N. 57 - 2020 | LUGLIO Gienneci Studios Editoriale. www.giroinfoto.com
N.57 - LUGLIO 2020
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Monferrato Ovadese
BAND OF GIROINFOTO
VILLA DURAZZO PALLAVICINI GENOVA Band of Giroinfoto
NARA GIAPPONE Di Isabella Nevoso
I MISTERI DEL BORGO ROSAZZA Band of Giroinfoto Photo cover by Giancarlo Nitti
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la redazione | Giroinfoto Magazine
Seattle skyline by Giancarlo Nitti
Benvenuti nel mondo di
Giroinfoto magazine
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Novembre 2015,
da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’outdoor, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Un largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti
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on-line dal
11/2015 Giroifoto è
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Ogni mese un numero on-line con le storie più incredibili raccontate dal nostro pianeta e dai nostri reporters.
Con Band of Giroinfoto, centinaia di reporters uniti dalla passione per la fotografia e il viaggio.
Sviluppiamo le realtà turistiche promuovendo il territorio, gli eventi e i prodotti legati ad esso.
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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente
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ANNO VI n. 57
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20 Luglio 2020
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VILLA BORGHESE Roma Di Gianmarco Marchesini
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LA MADDALENA Sardegna Di Manuela Albanese
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I MISTERI DI ROSAZZA Il borgo Band of Giroinfoto
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I MISTERI DI ROSAZZA
PASSAMANERIA Torino Di Mariangela Boni
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NARA Oltremare inglese Di Isabella Nevoso
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MATT MULLICAN 1967-2018 Skira Editore
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INSIDE “ON THE WALL” Arte pubblica per il territorio Band of Giroinfoto
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LE TUE FOTOEMOZIONI Questo mese con: Stefano Astorri Raimondo Enrico Claudia Lo Simolo Icaro Pigolotti
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Morsasco
LaRossa Il 21 di giugno
è generalmente conosciuto come il giorno del Solstizio d’Estate, il giorno in cui la nostra stella raggiunge il punto di declinazione massima. La Band of Giroinfoto di Alessandria in questa giornata ha il suo debutto e non a caso, raggiunge il punto di declinazione massima. Non per vantarci, ma abbiamo organizzato qualcosa di veramente interessante in un posto sconosciuto ai più. L’Alto Monferrato ovadese, una serie di colline prospicienti all’Appennino, ha presentato a noi di Giroinfoto il suo aspetto migliore. Terra di transizione tra la Liguria e il Piemonte, questo lembo di territorio è sempre stato conteso e controllato per il passaggio delle merci che transitavano da e verso il mare. Enormi ricchezze sono passate da questi sentieri, come testimoniano i Castelli che sono presenti in questa parte di Piemonte. “Superiori per numero a quelli della Loira". Chi ci dà questa informazione è Franco Priarone, titolare dell’Agriturismo La Rossa (www.quellidellarossa.it), nostra location di oggi. L’antico podere, casa colonica del feudatario del paese, è un luogo tranquillo e accogliente. Franco ci illustra la sua attività e lo sviluppo che questa azienda ha avuto negli anni, dai nonni agli attuali proprietari. I due fabbricati rurali che circondano l’ampio prato sono lo scenario ideale per organizzare iniziative ludiche, piccoli meeting all’aperto, nonché dedicarsi a momenti di assoluto relax. Franco, oltre ad essere il titolare dell’Agriturismo e presidente di Agriturist Alessandria, è anche un istruttore di Nordic Walking dell’Associazione Nordic Walking Passion. Molto sensibile al turismo outdoor, la sua attività alterna momenti di relax ad attività di svago nella natura con sentieri da percorrere a piedi o in bicicletta. “Sono convinto che la risorsa di questo paesaggio sia una opportunità che tutti dovrebbero conoscere. A piedi o in bicicletta si scoprono angoli di paesaggi veramente degni di essere vissuti” Dello stesso parere sono i nostri Reporter che hanno partecipato all'evento.
Un paesaggio da scoprire. Giroinfoto Magazine nr. 57
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Franco ora ci descrive il percorso che faremo per andare a Trisobbio, un castello che si vede dal podere LaRossa. “Ho scelto di farvi visitare prima questo castello e nel pomeriggio quello di Morsasco affinché possiate conoscere aspetti differenti di come queste residenze vengono utilizzate. Il castello di Trisobbio è un ristorante albergo. Lo gestisce uno chef conosciuto nel mondo della televisione, Juri Risso. Potrete vedere il panorama dall’alto della torre e visitare la struttura che attualmente è operativa.” Lasciamo l’agriturismo LaRossa in direzione di Trisobbio, passando per la costiera. “La Costiera – introduce in discorso Franco - è stata menzionata negli scritti di Veronelli quando descriveva le qualità del Dolcetto di Ovada e diceva che sulla costiera tra Morsasco e Cremolino ci sono i vigneti meglio esposti con le caratteristiche ideali per l’ottenimento di vini profumati. Anche se non longevo ma molto sincero, il Dolcetto di Ovada è un vino con un grado alcolico non troppo elevato ma dal profumo spiccato. I profumi primari dell’uva dolcetto sono sentori di viola, e la nota tannica caratteristica del vino con gli anni diventa sempre più evidente, il che permette di mantenere in bocca un sapore piacevole di Barbara Tonin Photography confettura e di frutti rossi. E’ un vino che può essere abbinato ad un pasto di cucina tipica piemontese. È usanza di queste parti condire i ravioli con il vino”.
Maria Grazia Castiglione Photography
LaRossa www.quellidellarossa.it
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Maria Grazia Castiglione Photography
Arrivati a Trisobbio ci accoglie un piccolo borgo carino, arroccato intorno alle mura del castello. Sembra un paese provenzale che apre i suoi scorci panoramici sulle colline.
Entriamo nella corte del castello e dal basso vediamo la torre che si staglia nel cielo. Ci accoglie un muro di gelsomino che rilascia il suo profumo nel tepore della giornata.
Una terrazza sul sagrato della chiesa ci mostra le colline addossate agli Appennini e all’orizzonte troviamo la catena montuosa con il Monviso in primo piano. Uno spettacolo. E’ una vista panoramica degna di luoghi più famosi e gettonati come le Langhe. Il Monferrato è indubbiamento degno di nota rispetto ai cugini blasonati, se non addirittura superiore.
Juri, il gestore, si presenta con due parole di benvenuto, indicandoci la strada per salire sulla torre. Dopo mille gradini, arriviamo sulla cima della torre, con Captain Swat al seguito, un siberian huski educato e scattante, e da lì vediamo un paesaggio veramente mozzafiato.
“I vantaggi che si hanno a venire in Monferrato rispetto alle Langhe sono innumerevoli. C’è poca urbanizzazione, rispetto ai nostri cugini confinanti, e questa si trova vicino alle arterie di comunicazione importanti, servite da autostrade, mentre in Langa dobbiamo recarci su strade provinciali; c’è poca gente e il territorio è più ampio. Pensate che la marca del Monferrato arrivava fino ad Alassio. Era una potenza economica molto importante all’epoca medievale perché aveva il suo sbocco al mare. L’enogastronomia molto conosciuta delle Langhe è altrettanto presente qui in Monferrato, con vini da degustare che molte volte sono sconosciuti al grande pubblico delle Langhe”. Giroinfoto Magazine nr. 57
“Il Monferrato non è mai stato così bello” dice Franco, “Tutto ordinato e pulito. Questo è il Monferrato che può competere con i cugini delle Langhe, con la differenza della presenza di boscaglie. I click si sprecano all’orizzonte di un paesaggio da cartolina; ne pubblichiamo solo alcuni, ma credetemi che tutti gli angoli della torre meritano la vista. La piana in basso si estende per chilometri per poi innalzarsi nuovamente verso le colline del tortonese e il paesaggio del Basso Monferrato, dove le colline sono più dolci. Il Carducci definì il Monferrato “La Toscana senza i cipressi”;
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Trisobbio Scendiamo dalla visita alla torre e arriviamo nella sala ArtÚ, dedicata ai cicli cavallereschi del paladino, per poi visitare le camere che ospitano i villeggianti della struttura e che hanno come nome Ginevra, Morgana, Excalibur, la dama del Lago. Sono suites ricavate dalle volte alte della torre, controsoffittate, con vista sui camminamenti della torre. Prendiamo commiato da Juri, riservandoci di venire di nuovo con la Band di Giroinfoto a trovarlo per conoscere meglio il Castello di Trisobbio per un servizio specifico sui Castelli dell’Ovadese.
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Rientriamo all’Agriturismo dove ci aspetta la cucina di Marzia, la chef de La Rossa. Io sono stato cuoco professionista per tanti anni e non amo chiamare Chef i cuochi. Gli chef sono quelli che hanno una brigata di cucina e io definisco Marzia una chef perché ho avuto il piacere di far parte della sua brigata in alcuni eventi che abbiamo realizzato insieme. Franco ci illustra la “Colazione Monferrina”, una serie di assaggi e piatti tipici del territorio, mentre ci serve come aperitivo uno spumante Brut servito con le loro focacce artigianali. “Noi qui a La Rossa organizziamo anche eventi emozionali. Simona, che ha già provato, può raccontare le sue
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esperienza durante i corsi e laboratori che programmiamo: ha partecipato al corso di panificazione e al corso di cucina sui ravioli. L’Agriturismo è anche Fattoria didattica per i progetti scolastici interattivi da ben 17 anni, quindi per noi realizzare momenti esperienziali nella nostra cucina è un piacere. Un altro momento di condivisione delle attività produttive aziendali è la vendemmia educativa. Le persone che vogliono vendemmiare in vigna si accreditano su Facebook per una giornata di lavoro tradizionale, come quello di raccogliere grappoli e pestarli trasformandoli in quello che diventerà mosto sotto la guida di occhi esperti. Ci sono due momenti della vendemmia: dolcetto e barbera. All’evento che si vorrà partecipare, dopo l’accreditamento, seguirà un’introduzione sulla pratica della vendemmia e sui trucchi e metodi impiegati per un miglior risultato. Si andrà a vendemmiare in vigna insieme tra colorati e profumati filari ricchi di frutti a grappolo e poi tutti in cascina a festeggiare la fine della giornata. Ho ideato la Colazione Monferrina, un assaggio di piatti del territorio e della nostra tradizione che gusteremo insieme”
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Colazione Monferrina Dopo l’aperitivo con le focacce prodotte da loro, ci viene servito un piatto con i ravioli fritti, una lingua con bagnetto, una novità in assoluto, che sono le polpette di quinoa e zucchine, salame cotto e salame crudo, ed infine uno sformatino di verdure con salsa d’acciughe. “I ravioli fritti derivano da una tipicità del posto. I vecchi mettevano i ravioli a cuocere sulla stufa calda e li mangiavano cosi, abbrustoliti dal calore della ghisa. Li abbiamo riproposti passandoli con un filo di olio e fatti scottare in forno”.
Focaccina rustica Focaccia integrale di cereali cotta al forno.
Salame cotto e crudo Salame di tipo piemontese, cotto e crudo di produzione locale.
Lingua al verde Lingua di manzo bollita con intingolo di bagnetto verde alla piemontese.
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Tortino di verdure Sformato di verdure con crema di acciughe.
Ravioli fritti In realtĂ , ravioli tostati in griglia con olio, ripieni di carne di manzo, maiale e verdure.
Polpette di quinoa Polpette tradizionali fritte composte di quinoa.
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Colazione Monferrina In seguito Franco ci spiega l’origine del raviolo, che non è l’agnolotto. Discutiamo su una figura molto cara a me, Carletto Bergaglio, farmacista di Gavi, che ha fondato la Confraternita del Raviolo e che è stato ospite di Franco. Tra i ricordi Franco esibisce il gagliardetto della confraternita con la dedica di Carletto Bergaglio che conferisce il titolo di raviolo alla produzione di Franco. “L’agnolotto si differenzia dal raviolo in quanto l’agnolotto dovrebbe avere un ripieno di agnello. Era prodotto nel torinese, dove c’erano allevamenti di caprino, e d qui deriva il nome Agnellotto. Qui in Monferrato si facevano i ravioli che si differenziano dall’agnolotto per il taglio (tre tagli di pasta anziché quattro. Quelli con quattro tagli sono fatti con lo stampo, quelli con tre sono
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fatti a mano) e per il ripieno. Ci sono quattro ripieni differenti per i ravioli che si differenziano per la cultura, la tipicità e le organizzazioni delle famiglie. Contengono carne di maiale, manzo, o coniglio a seconda della produzione di carni che c’erano al momento; la carne può essere stufata o meno, e ci può essere della salsiccia. Noi usiamo cavoli, salsiccia, carne di manzo, timo e maggiorana”. I racconti di Franco mi riportano alle chiacchierate a tavola con Carletto Bergaglio che mi spiegava che il Raviolo di Gavi si mangia a “culo nudo”, come lui affermava. In effetti, se tu condisci il tuo raviolo con il burro ed una grattugiata di parmigiano, quando lo pinzi con la forchetta e lo porti alla bocca, la parte retrostante rimane scondita e liscia: appunto con il “culo nudo”!
La novità di questa colazione monferrina sono le polpettine di quinoa e zucchine. Nascono da una collaborazione di Franco con il produttore di Quinoa di Alessandria e l’istituto alberghiero di Acqui Terme come ricetta innovativa per lanciare questo alimento ipocalorico privo di glutine e utile per la salute di cuore e muscoli. La lingua con il bagnetto verde è un classico del Monferrato, insieme alla bagna caoda e al bollito. I salumi sono sinceri e gustosi. Questi assaggi vengono accompagnati da un Dolcetto Primo Amore, fresco fresco, che ci ruffianeggia tutta la degustazione. Come primo piatto vengono serviti i ravioli con il vino. “Il sugo dello stufato serviva per legare il ripieno del raviolo, quindi non poteva essercene di più.
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I ravioli si condivano con il vino e poi si beveva il vino del condimento.” Questa la spiegazione di Franco. Da cuoco sostengo che le paste farcite devono essere accompagnate da poco condimento, se non addirittura esserne prive, per assaporare al meglio le caratteristiche. Da queste parti si usa mangiare i ravioli al tovagliolo: vengono scolati e serviti nel piatto con un tovagliolo bianco posto nella fondina, con lo scopo di assorbire la poca acqua di cottura che è rimasta ancora sui ravioli. Questo fa sì che il commensale gusti al meglio il ripieno e la pasta sottile. Il condimento di questo nostro piatto è la barbera Il Dono. Si tratta di una barbera del Monferrato che è prodotta in acciaio. A fine pasto, prima del dolce e finiti i nostri ravioli, Franco ci fa degustare una Barbera del Monferrato barricata, che è della stessa qualità della precedente, ma che permane per altri due anni in botti barriques, poco capienti e di legno. Il sapore complesso ed il sentore di vaniglia della botte accolgono il nostro palato con la freschezza tipica della barbera. Per ultimare la colazione monferrina arriva il piatto dei dessert: Bonet, Polenta di Marengo, amaretto di Mombaruzzo e gelatina di moscato. Il Bonet è il tipico dolce piemontese, fatto di amaretti sbriciolati e cacao; la polenta di marengo è una tipica torta di farina di mais e uvetta. Due parole sull’amaretto le aggiungo io ai nostri commensali. L’amaretto prende questo nome da “amar e poc dusett”. A Mombaruzzo vi spiegano che l’amaretto era stato portato in Piemonte da un cuoco dei Borboni che faceva le paste di mandorla. Solo che le mandorle erano care, quindi sostituì le mandorle con le armelline delle albicocche, che erano un prodotto a basso prezzo poiché era considerato uno scarto di produzione.
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permanenza presso la nostra struttura. Come ho spiegato prima, partecipiamo al progetto di Fattorie Didattiche accogliendo i ragazzi delle scuole per avvicinarli al mondo dell’agricoltura. Da qualche anno ci siamo adeguati alla tecnologia ed abbiamo disseminato per la nostra azienda dei beacon per dare informazioni educative dei luoghi di permanenza”. Questa spiegazione al fresco dell’ippocastano centenario, degustando il caffè, ci coglie interessati. “I beacon sono delle boe informatiche che attivano un’APP precedentemente scaricata sul nostro telefonino. Al passaggio in prossimità a questa “boa” viene emesso un segnale che attiva sul cellulare di chi passa nelle vicinanze una spiegazione del luogo. Noi utilizziamo questo percorso anche nell’evento della vendemmia interattiva, per far conoscere vitigni e soffermarsi sui paesaggi mentre si vendemmia. Alla fine chi ha partecipato dovrà rispondere ad un breve questionario.” La tecnologia all’interno dell’accoglienza agreste ci colpisce piacevolmente.
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E’l’armellina a dare il gusto amarognolo al biscotto della tradizione piemontese. Indicato anche per i celiaci in quanto privo di farina, è un fine pasto eccezionale per la cucina che ci ha proposto Franco, per di più se accompagnata dalla gelatina di moscato. L’ho tenuta per ultima perché la gelatina di moscato è una cosa che non ti fa dire mai basta. Viene fatta con il vino moscato e ti lascia un sapore pulito e persistente in bocca, come quando bevi un calice del vino bianco a fine pasto. “La nostra famiglia ha un’ampia tradizione dell’ospitalità. La prima legge quadro degli agriturismi in Italia è del 1985 e in quegli anni iniziai con mio fratello l’avventura, poi sospesa per i suoi studi universitari e dopo ripresa. Abbiamo cercato sempre l’innovazione in quella che è la
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Colazione Monferrina
I dolci Gelatina di Moscato Prodotta con Moscato locale.
Bonet Tipico dolce piemontese, fatto di amaretti sbriciolati e cacao;
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Polenta di Marengo Tipica torta di farina di mais e uvetta.
Amaretto di Mombaruzzo Amaretto con armellina di albicocca.
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Morsasco “Ora vi accompagnerò da Franca Mollo, la persona che gestisce il Castello di Morsasco. Vedrete un castello differente da quello che abbiamo visitato prima di pranzo. E’ una residenza privata che resta aperta al pubblico che vuole fare visita.” Arriviamo all’interno del paese e vediamo il corpo del castello vicino alla Chiesa. L’accesso è stretto volutamente, per motivi di difesa. Il dongione o donjon si evidenzia nella struttura del Castello. La signora Franca Mollo ci accoglie introducendoci nella corte del Castello sotto un ippocastano centenario. Anche qui, come da Franco, una piacevole ombra ci introduce in un prato esteso che ricopre quello che anticamente era il fossato difensivo.
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OVADESE “Questo muro che vedete è quello del dongione del 1200, periodo in cui abbiamo la prima notizia di esistenza del castello. I proprietari erano i Del Bosco, che discendono dal marchese Aleramo. Avevano in Morsasco la sede principale del feudo che si estendeva fino alla Liguria. La Marca aleramica arriva fino alla Liguria, passando per gli Appennini arrivando fin qui.
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Agnese Del Bosco si sposerà con Federico Malaspina passando dalla marca Aleramica alla marca Obertenga, da una suddivisione fatta dall’imperatore Ottone I” .
fossato viene riempito, e aggiungono lo scalone, la sala del camino e la torre rotonda, così prende le sembianze di una residenza nobiliare e non più un punto di difesa e di controllo.
La storia continua dicendoci che il Castello di Morsasco in origine era simile a quello di Trisobbio, anzi quest’ultimo potrebbe rappresentare un modello di come era in origine il castello di Morsasco. “Nel '500 il castello viene ampliato, il
Nel '700, quando ci sarà l’ultimo ampliamento del castello, aggiungeranno la manica della pallacorda. Dopo la sala del camino verrà aggiunta questa manica per il gioco del tennis antico al coperto.”
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Dalla torre si gode di un paesaggio incantevole e si scorge la manica del gioco della pallacorda. “L’ultimo restauro risale al 1916, quando Domenico Pallavicino vince al gioco il castello di Morsasco. Questo è uno dei tanti castelli finiti sul tavolo da gioco. Dal proprietario Centurione, discendente di una potente famiglia di banchieri, passa ai nobili Pallavicino, che effettuano l’ultimo restauro rendendo il castello di Morsasco una residenza abitabile servita di bagni ed energia elettrica. I Pallavicino lo utilizzano fino alla seconda guerra mondiale, dopodiché il castello viene abbandonato. Al castello erano annessi circa 400 ettari di terreno. Negli anni '80 il castello viene messo in vendita. Il castello aveva una dotazione artistica molto bella; gli stessi Pallavicino nel periodo della guerra vi avevano portato opere artistiche per salvarle da Genova. Fu acquistato da una cordata di antiquari che lo spogliarono di tutte le opere presenti all’interno lasciando solo le mura, che furono poi acquistate dall’attuale proprietario” . Questa è la storia del castello di Morsasco. Da fortezza a residenza, a deposito di merci e derrate agricole; dalle sue mura ci osservano secoli di storia. Attualmente alcune ali del castello sono adibite a mostra permanente di opere di artisti emergenti.
Giancarlo Nitti Photography
Prendiamo commiato da Franca Mollo e dall’attuale proprietario per ritornare all’Agriturismo LaRossa per un ultimo saluto. Visitiamo ancora la bottega Kilometr0, il piccolo punto di prodotti a chilometro zero di Confagricoltura che Franco ospita nel suo agriturismo. Abbiamo visitato un angolo di Monferrato sconosciuto ai più. Ci siamo innamorati di questo territorio a ridosso degli Appennini. L’invito a fare visita a Franco e a questo territorio rimane aperto a tutti coloro che vogliono conoscere le bellezze della nostra regione.
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VILLA BORGHESE E IL PINCIO
VILLA BORGHESE E IL PINCIO A CURA DI GIULIO PASCALI Giroinfoto Magazine nr. 57
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IL CUORE VERDE DI
ROMA
Il Green City Index del 2018 collocava Roma tra le prime 10 città al mondo per la percentuale di aree verdi disponibili all’interno del territorio comunale. Si tratta di una qualità che la nostra capitale può indubbiamente vantare (tra le tante e tra gli altrettanto innumerevoli difetti). I parchi e i giardini romani appartengono all’immaginario culturale della città; pensare a Roma senza i suoi parchi vorrebbe dire immaginare una città dimezzata.
Sara Morgia Photography
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VILLA BORGHESE E IL PINCIO
La regina delle aree verdi I giardini e i parchi romani sono il frutto di una tradizione consolidata che ha origine nel Rinascimento e si è perpetuata ininterrottamente fino all’epoca contemporanea. Accanto alle ville storiche vi sono i parchi più moderni che si incuneano come un negativo fotografico accanto alle direttrici radiali delle grandi vie consolari. Solo per citare i principali: a nord lungo la via Tiburtina troviamo il parco di Veio che a partire da Ponte Milvio si estende costeggiando il Tevere; a sud il parco dell’Appia Antica, innestato sulla omonima consolare; a est troviamo il parco di Centocelle (di recente sistemazione) che costeggia la prenestina; a Ovest la storica Villa Pamphili attraversata dall’Aurelia Antica. Potremmo andare avanti citando parchi e giardini più o meno famosi, grandi o di dimensioni più riservate, pensando a Villa Ada, a Villa Torlonia (famosa per essere stata la residenza di Mussolini), al Pineto, ad aree e quartieri frutto di una attenta progettazione paesaggistica (si pensi all’EUR o ai viali alberati di Prati) oppure ad aree semi abbandonate
come il parco dell’Insugherata, una valle praticamente incontaminata tra la Cassia e la Trionfale, dove prosperano volpi e cinghiali. Al centro di questa incredibile costellazione verde, nessuno esiterebbe ad assegnare il ruolo di regina incontrastata a Villa Borghese e alla sua appendice del Pincio. Per la sua collocazione, per il valore dei suoi monumenti, per le relazioni culturali che vi prendono vita Villa Borghese è un autentico cuore verde della Capitale. Non si tratta solo di una questione baricentrica o di primogenitura storica (tra i grandi parchi è quello più centrale e di fatto l’unico che si colloca all’interno del centro storico), Villa Borghese è un parco unico al mondo anche per la sua continuità come luogo di innovazione culturale e che pur avendo una fortissima valenza storica e turistica continua ad essere un’area frequentatissima anche dai residenti che ne utilizzano gli spazi e le attrazioni.
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GALLERIA BORGHESE Giulio Pascali Photography
Si dice che i romani non abbiano l’abitudine di visitare i loro monumenti, come il Colosseo per fare un esempio; il Colosseo infatti è ormai un luogo totalmente asservito al turismo, da cui in genere i residenti stanno alla larga.
C’è da dire che sin dalla sua prima realizzazione il parco non ha mai smesso di ampliarsi e di rinnovarsi ospitando opere d’arte, musei, gallerie, collezioni, spazi in genere dedicati alla cultura antica e contemporanea.
Villa Borghese invece non subisce questa colonizzazione, a Villa Borghese i romani ci vanno e ci vivono. Accanto ai luoghi e ai monumenti più celebri, quali possono essere la Galleria Borghese o il Giardino Zoologico, il Parco ospita innumerevoli altre attività che contribuiscono a rendere la Villa una sorta di giardino domestico, uno spazio familiare dove ritrovarsi all’ombra di antichi e nuovi gioielli. Con questo breve giro cercheremo di dare un’idea di questo lato “affettivo” della villa.
A partire dal primo nucleo storico seicentesco (il casino Borghese completato nel 1633 su progetto degli architetti Flaminio Ponzio e Giovanni Vasanzio) la “villa di delizie”, realizzata con il contributo del Bernini, si è progressivamente ampliata per estensione e per nuove acquisizioni che sono continuate e continuano ancora oggi. Nel ‘700 tocca a Marcantonio IV Borghese affidare agli architetti Antonio e Mario Asprucci la realizzazione del giardino del lago (1766) con il caratteristico tempio di Esculapio e di altre sistemazioni architettoniche, come Piazza di Siena o la Fortezzuola.
L’origine stessa della Villa, insieme al suo monumento più famoso, la Galleria Borghese, non è altro che una residenza privata, un giardino personale dedicato al piacere dell’arte, voluto dal cardinale Scipione Borghese che decise di raccogliere la sua collezione privata (che vantava opere del Bernini) in un unico luogo. L’intera Villa risente di questo stesso spirito domestico, che i romani hanno sempre saputo riconoscere ed apprezzare.
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ZOO Giulio Pascali Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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TRINITÀ DEI MONTI Giulio Pascali Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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IL PINCIO Nell’Ottocento Camillo Borghese acquista due ulteriori lotti di terreno ampliando la Villa a Ovest fino a piazza del popolo e a Sud fino a porta Pinciana (da dove parte Via Veneto); i lavori per la sistemazione dell’estensione saranno affidati all’architetto Luigi Canina che oltre a realizzare alcune opere come i propilei dell’ingresso di piazzale Flaminio, darà alla villa un’impronta paesaggistica di ispirazione inglese. La sistemazione del pendio che dà accesso al parco attraverso il Pincio invece è opera del Valadier, realizzata nei primi anni dell’Ottocento. Il Pincio, per quanto formalmente distinto dalla Villa, è di fatto saldato ad essa e anche se i due parchi sono separati dall’antica cinta delle mura Aureliane, essi sono da sempre visti e vissuti come un solo grande spazio continuo; si attraversa l’unico ponte che li collega quasi senza rendersene conto. Le statue collocate nel Pincio rappresentano personaggi celebri della storia Italiana; le prime opere risalgono alla breve parentesi ottocentesca della Repubblica Romana e con l’unità d’Italia sono state integrate con nuove personalità storiche; considerato lo spirito patriottico che le contraddistingue, non è un caso se tra le 228 personalità raffigurate non compare neanche un papa… Il Pincio ha comunque il merito di essere stato sin dall’inizio, ovvero ancora sotto il regime papale, concepito come un giardino pubblico aperto a tutti gli abitanti. Oggi in questo spazio convivono luoghi di cultura e monumenti antichi, ma a farla da padroni sono le giostre e le attrattive per bambini. Se poi volete godere di uno degli affacci sul panorama romano più suggestivi della città la terrazza del Pincio è il posto giusto. Nel 1901 Villa Borghese viene acquistata dallo Stato Italiano che la salvaguarderà quindi dalla speculazione edilizia che invece interesserà la vicina Villa Ludovisi.
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GNAM Giulio Pascali Photography
Lo stato intitolerà la Villa a Umberto I, ma di questo in pochi se ne sono mai accorti. Impossibile invece non accorgersi dell’ultima grande trasformazione in occasione dell’Esposizione internazionale del 1911 (nata per celebrare i 50 anni dell’unità d’Italia), quando lungo il confine nord della Villa furono collocate le accademie di cultura straniere. Ungheria, Belgio, Olanda, Egitto, Gran Bretagna, Giappone per citarne alcune si trovano in questa area e si aggiungono alla storica Villa Medici che, sin dall’occupazione napoleonica, ospita l’Accademia di Francia in prossimità del Pincio. Sempre nel 1911 viene realizzata la Galleria Nazionale di Arte Moderna (GNAM) su progetto in stile eclettico dell’architetto Cesare Bazzani.
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Per completare il quadro storico occorre citare l’Aranciera, che ospita il museo dedicato a Carlo Bilotti, un collezionista italoamericano che ha raccolto negli anni opere contemporanee di artisti quali Giorgio De Chirico, Gino Severini, Andy Warhol, Larry Rivers e Giacomo Manzù. Il nostro percorso ideale inizia da Viale delle Belle Arti, in prossimità della GNAM. Sul cortile esterno e lungo la scalinata che porta verso Villa Borghese sono collocate alcune opere contemporanee tra cui “Hic sunt leones”, opera di Davide Rivalta realizzata nel 2017, che allude simbolicamente al territorio inesplorato dell’arte (hic sunt leones era la frase che i romani usavano per indicare le zone desertiche africane inesplorate).
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Ci addentriamo quindi nel territorio inesplorato della Villa in una parte del giardino che tradisce la sua vicinanza con le accademie. È qui che sono collocate le statue raffiguranti poeti e letterati stranieri; tra le varie personalità rappresentate scorgiamo Henryk Sienkiewicz (scrittore polacco insignito del premio Nobel, famoso per il romanzo Quo Vadis), Nicolaj Gogol (scrittore russo), Ahmed Shawqi (poeta egiziano). La collezione di sculture en plein air si aggiorna di continuo di nuove opere e di omaggi ad artisti e letterati da tutto il mondo; l’ultima opera risale al 2012 con l’omaggio scultoreo dedicato al poeta persiano Nizami Ganjavi. Attraverso un breve vialetto si accede ad una zona più antica del parco. Attraversiamo una riproduzione ottocentesca di un arco romano (con una statua raffigurante l’imperatore Settimio Severo a cui è dedicato l’arco), opera dell’architetto Luigi Canina, e veniamo catapultati nello scenario bucolico del giardino del lago. Al centro del lago si trova una riproduzione settecentesca del tempio di Esculapio, come accennavo in precedenza. Il laghetto è dominato dalle tartarughe; si tratta di una specie “americana” che ha colonizzato le acque dei laghetti di tutta Roma, soppiantando le più tradizionali nutrie, per via della moda diffusa negli anni ’80 di tenere in casa queste tartarughine (oggi vietatissime), le quali avevano la spiacevole caratteristica di crescere a dismisura, quando la vasca da bagno non era più sufficiente ad ospitare i rettili, in molti hanno pensato bene di liberarsene.
MUSEO BILOTTI
Una storia analoga riguarda i pappagallini che sono ormai parte integrante della fauna locale. Non mancano animali più tradizionali come i germani reali, le immancabili papere, i cigni e i merli.
SIENKIEWICZ
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SHAWKY Giroinfoto Magazine nr. 57
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CASINA RAFFAELLO Giulio Pascali Photography
Oltre il laghetto, la Fontana dei Fauni (1929) di Giovanni Nicolini, attira l’attenzione per la sua forza magnetica caratterizzata dalla torsione dei personaggi raffigurati. Si esce dal giardino e ci si ritrova davanti alla Casina di Raffaello, così chiamata perché si ritiene che fosse utilizzata come abitazione da Raffaello in persona; oggi la Casina ospita la ludoteca comunale e ha un intenso programma di animazione culturale e didattica dedicato ai più piccoli; una maniera significativa per celebrare i bambini che sono tra i più assidui visitatori del parco. Non è un caso se dentro la Villa si trova il Cinema dei Piccoli, certificato dal Guinness dei Primati come il cinema più piccolo al mondo. Il cinema ha una programmazione dedicata ai bambini ma la sera si proiettano regolarmente film di prima visione.
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Proprio di fronte al cinema, la vecchia Casina delle Rose è stata recuperata e oggi ospita la Casa del Cinema dedicata a Umberto Mastroianni ed è uno dei luoghi più attivi durante il Festival del Cinema di Roma. Questo accumularsi di cose piccole e grandi, questo susseguirsi di luoghi e monumenti, è in fondo la caratteristica con cui è nata ed è cresciuta la Villa, una concatenazione continua di opere, ed architetture, angoli e scorci, viali costellati di piccoli monumenti e sorprese, grazie ai quali la passeggiata nella villa che si estende per 90 ettari risulta sempre leggera e piacevole. Non fai a tempo a finire di osservare uno scorcio che un attimo dopo vieni attratto da un nuovo monumento, una sorpresa, che ti guida e ti attrae fino a quando non vieni trascinato nel viale successivo attratto da qualcos’altro.
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Dalla casina di Raffaello possiamo girare verso il Pincio di cui abbiamo già accennato, oppure percorrere viale Pietro Canonica guidati dalla vista in prospettiva di una riproduzione del Tempio di Antonino e Faustina (1792) realizzato in forma di rovina secondo il gusto tipico romantico che amava “fotografare” la decadenza delle rovine archeologiche. Mentre ci avviciniamo troviamo a destra l’anfiteatro di Piazza di Siena, dove ogni anno si svolge l’omonimo trofeo ippico internazionale (tra i più prestigiosi al mondo); la sistemazione della piazza è dovuta allo stesso Asprucci progettista del giardino del lago. Come suggerisce il nome della Piazza, il progettista si è ispirato alla piazza del campo senese.
TEMPIO ANTONIO E FAUSTINA Giulio Pascali Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Con Piazza di Siena cogliamo l’occasione per ricordare i legami della villa con la musica. Nel 1981 nella piazza si tenne il concerto finale del tour “Strada facendo” di Claudio Baglioni con la cifra record di 160.000 spettatori, dal concerto fu poi prodotto l’album live “Alè Oò”; anche più recentemente è stata la location per una serie di concerti celebrativi di Renato Zero; il legame della Villa con la musica risulta ancora più stretto se pensiamo che "I Pini di Villa Borghese" corrisponde proprio al primo movimento del poema sinfonico “I pini di Roma” composto nel 1927 da Ottorino Respighi e utilizzato per uno degli episodi di Fantasia di Walt Disney. Sull’altro lato del viale che costeggia Piazza di Siena troviamo il Silvano Toti Globe Theatre, una ricostruzione dello storico teatro in cui operava, a Londra, la compagnia di Shakespeare; il teatro è operativo solo d’estate ma frequentatissimo, con un cartellone interamente dedicato al teatro elisabettiano; in platea ci sono solo posti a terra, è buona prassi portarsi un cuscino da casa... Proseguendo si trova il museo Canonica. L’edificio inizialmente realizzato per l’allevamento di volatili da caccia (sempre su progetto dell’Asprucci), soprannominato la fortezzuola fu donato nel 1926 allo scultore Pietro Canonica che ne fece la sua casa-museo. Di fronte al museo campeggia la coppia di sculture bronzee “Monumento all’Alpino” e all’”Umile eroe” ovvero il ciuco abitualmente utilizzato dagli alpini nelle operazioni di guerra. Ci immergiamo quindi nella parte più storica del parco, dirigendoci verso la Galleria; come ormai abbiamo capito, il percorso è punteggiato da sorprese ed elementi decorativi architettonici; uno dei più suggestivi è senza dubbio la Fontana dei Cavalli Marini, tra le fontane più antiche, ideata dal pittore Cristopher Unterberger e realizzata nel 1791 da Vincenzo Pacetti. Tra un pedalò e una coppia di poliziotti a cavallo, entrambi onnipresenti nel parco, si arriva finalmente alla Galleria Borghese, ci riserviamo la visita del museo per un’altra volta (ricordando che la prenotazione è obbligatoria) e ci dirigiamo verso il Giardino Zoologico, oggi trasformato in Bioparco, passando accanto alla Voliera e alla Meridiana, piccoli gioiellini architettonici integrati alla Galleria. Scendendo ancora costeggiamo il Bioparco con un rapido sguardo alle sue architetture zoomorfe e ritorniamo al punto di partenza, in prossimità della GNAM. Una fontanella, uno dei migliaia di “nasoni” che si trovano in città, costituisce un’adeguata conclusione del giro.
Giulio Pascali
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Dario Truffelli Manuela Albanese Monica Gotta Stefano Zec
GENOVA
VILLA DURAZZO PALLAVICINI Il viaggio filosofico ed esoterico A cura di Monica Gotta
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VILLA DURAZZO PALLAVICINI L'ASSOCIAZIONE E LA COOPERATIVA L’Arch. Ghigino, che da tantissimi anni si occupa del luogo, ha costituito l’Associazione APS e poi la Cooperativa L'Arco di Giano che, insieme allo Studio Ghigino & Associati Architetti, curano e gestiscono la Villa Durazzo Pallavicini in un’associazione temporanea di imprese. Queste organizzazioni, in parti economicamente e di responsabilità diverse, sono quelle che si occupano della conservazione di Villa Durazzo Pallavicini e sono gli intestatari della concessione.
Parte del lavoro di conservazione e cura della location avviene anche per mano dei volontari che operano con le suddette organizzazioni. Si fanno pertanto carico di una parte di responsabilità affiancando i giardinieri e rendendosi disponibili per le attività di sorveglianza come ad esempio l’apertura del Castello del Capitano.
interessanti su come era stato pensato il parco e il giardino in origine e come veniva gestito. Un lavoro monumentale che continua a portare alla luce preziose informazioni sul passato della villa e della nostra città.
La Direzione, individuata nello Studio Ghigino, oltre a gestire l’attività manutentiva quotidiana, è sempre impegnata in ricerche di archivio con lo scopo di ritrovare informazioni
occupa da oltre trent’anni, prima con la tesi di laurea, poi con lunghi studi approdati a tre progetti di restauro che hanno permesso al complesso di raggiungere oggi uno stato di conservazione di alto livello.
Silvana Ghigino
ha dedicato molta parte della sua vita professionale al mondo dei giardini, prediligendo quelli storici ricchi di saperi antichi e di natura matura e, a volte, misteriosa. Laureata in Architettura e specializzata in Architettura del paesaggio, si è occupata di notevoli restauri spesso articolando le proprie abilità sia nel mondo del restauro monumentale che in quello della paesaggistica, come è avvenuto ad esempio per l’importante restauro di Villa Serra a Comago e del suo splendido giardino all’inglese.
Studiosa e curiosa di filosofia e di esoterismo ha nel tempo riscoperto e rivitalizzato i significati misterici del Parco nella speranza di “far riemergere ciò che era stato impropriamente scordato”. Professore a contratto per il Corso di Restauro del Giardino Storico presso la Facoltà di Architettura di Genova, insegna anche Decorazione Dipinta presso l’Accademia Ligustica di Belle Arti. Oggi è Direttore e Curatore del parco e dell’ATI Villa Durazzo Pallavicini che ha in concessione il bene. Tra i molti testi sull’argomento, ha recentemente pubblicato "Il Parco nascosto, Villa Pallavicini a Pegli", interamente dedicato al lato esoterico e simbolico del giardino.
Ma la Villa Durazzo Pallavicini con il suo parco e l’orto botanico, resta il lavoro più amato, del quale si
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VILLA DURAZZO PALLAVICINI
VILLA DURAZZO PALLAVICINI IL PARCO E IL GIARDINO Il Parco di Villa Durazzo Pallavicini è un’eccellenza nell'ambito del giardino storico romantico italiano ed europeo. Fu realizzato tra il 1840 e il 1846, su progetto dell’architetto Michele Canzio, all’epoca scenografo del Teatro Carlo Felice, per volere del Marchese Ignazio Alessandro Pallavicini. Il Parco copre un’area di 8/9 ettari di collina e … “la caratteristica
unica di questo giardino è quella di essere strutturato su un racconto teatrale a sfumature esotericomassoniche che rendono la visita un’esperienza storico-culturale, paesaggistico-botanica ma anche meditativo-filosofica”, proprio come si descrive sul sito ufficiale del parco. Possiamo percorrere i sentieri del giardino come un viaggio nella
natura e ammirare le architetture che incontriamo di scena in scena oppure possiamo fare un viaggio di natura filosofica, esoterica e massonica. Quale sia la formula scelta è un viaggio esperienziale che ognuno di noi vive ed assapora nel suo intimo in modo irripetibile con lo scopo di ritrovare sé stessi.
Vediamo come sono strutturati gli atti e le scene. Il percorso inizia con L’Antefatto & Il Prologo attraverso il Viale Gotico e il Viale Classico che ci fanno arrivare alla presenza dell’Arco di Trionfo. Ecco come si presenta schematicamente l’articolazione scenografica pensata da Michele Canzio. Il Primo Atto è denominato Il Ritorno alla Natura e le scene sono 4: Il Romitaggio, Il Parco dei Divertimenti, Il Lago Vecchio, La Sorgente. Il Secondo Atto è denominato Il Recupero della Storia e le scene sono 4: La Cappelletta di Maria, La Capanna Svizzera, Il Castello del Capitano, Il Mausoleo del Capitano. Il Terzo Atto è denominato La Catarsi e le scene sono 4: Le Grotte/Inferno Dantesco, Il Lago Grande, I Giardini di Flora, La Rimembranza. Si termina con L’Esodo che contiene i famosi Giochi D’Acqua. Il Primo Atto è un lungo percorso attraverso la natura, viali con vegetazione particolare caratterizzati da alberi secolari e piante in fiore. Il famoso Viale delle Camelie con i suoi innumerevoli esemplari arborei di Camellia Japonica è il raggruppamento più vasto e più antico di camelie d'Italia. Il Secondo Atto è ambientato in un bosco fiabesco voluto dai suoi costruttori, mentre il Terzo Atto pare essere un luogo paradisiaco, circondato da maestosi alberi che vivono sulla riva del Lago Grande. Durante il percorso troveremo anche scorci visivi che si proiettano sul panorama esterno capaci di dilatare verso l’infinito i confini del parco. Nel Parco troviamo una vasta raccolta di specie rare, alberi secolari, camelie e fiori acquatici oltre che giochi d’acqua. Per chi ama la natura e il romanticismo questa location corrisponde al sogno di chiunque. Tra profumi inebrianti e colori luminosi i nostri sensi vengono sollecitati e attivati dalle meraviglie della natura che sembra essere incontaminata come nei luoghi più ameni del nostro pianeta.
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IL VIAGGIO FILOSOFICO ED ESOTERICO Il lungo e monumentale viale d’accesso, in leggera pendenza, ci conduce all’edificio che in passato fu la residenza estiva dei Marchesi, un esempio di villa nobiliare come da tradizione delle più potenti famiglie genovesi. Ai nostri giorni ospita il Museo Archeologico dove si trovano reperti liguri che vanno dalla preistoria all’epoca romana. Parte di questo complesso è anche il bellissimo Orto Botanico, oggi in restauro, voluto a metà ‘800 dalla Marchesa Clelia Durazzo Pallavicini, eminente botanica. Il Parco è stato restaurato recentemente e i lavori continuano ad oggi presentando al visitatore il suo ritrovato splendore.
Il parco oggi è annoverato tra i 10 parchi italiani più interessanti dal punto di vista culturale e turistico, “un’opera considerata tra le più alte espressioni di giardino romantico ottocentesco”, come recita il sito Il Parco più bello D’Italia, network nazionale di parchi e giardini. Presso la villa nobiliare ci accoglie l’Arch. Silvana Ghigino, Direttrice di Villa Durazzo Pallavicini. Da qui si può iniziare il viaggio nel parco vero e proprio, con le sue scenografie teatrali. Procediamo quindi in compagnia della direttrice lungo il Viale Gotico, rappresentazione della selva oscura dantesca, e poi nel Viale Classico, fino all’Arco di Trionfo.
L'Arco di Trionfo - Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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L’Arch. Silvana Ghigino ci introduce con la presentazione del parco e della villa parlandoci dell’interesse suscitato nei mesi precedenti da diversi organi di stampa specializzati in paesaggista e giardini, non solo italiani ma anche stranieri. A marzo 2020 si pensava, infatti, che questo rinnovato interesse potesse aiutare la struttura nella promozione della location al pubblico e non solo a quello italiano. Si attendeva un pubblico numeroso tra cui anche le gite organizzate dagli istituti scolastici, ma il lockdown causato dal Covid-19 ha vanificato gli sforzi promozionali. Parlando dei visitatori la direttrice esprime il suo dispiacere pensando che il lockdown ha impedito la fruizione di questo spazio naturale e sereno alle persone proprio durante la primavera, momento delle affascinanti fioriture. Quest’anno oltre alle camelie, alle piante di ginestra, di cisto, di rosmarino, di lavanda e alle rose, sono sbocciati anche i 260 tulipani piantati da lei stessa che purtroppo nessuno ha potuto vedere se non attraverso i social media. Durante il lock down, ottenuta l’autorizzazione come bene monumentale e giardino storico, la direttrice ha continuato a lavorare con due giardinieri, mantenendo al minimo l’organico. Si sono dedicati ad esempio a curare e mantenere in vita le oltre 400 piante in vaso che hanno goduto della splendida primavera ma sono state anche provate da una insolita siccità. L’obiettivo del tipo di manutenzione accurata è di riproporre al pubblico l’idea di “parco di qualcuno”, in antitesi alla sensazione generale che tutto ciò che è pubblico è di tutti non viene curato se non al minimo indispensabile. Scopo di questo grande impegno è quello di far sentire i visitatori alla stregua di ospiti nella casa del Marchese e non semplicemente coloro che pagano il biglietto per entrare in un luogo pubblico.
La mission del proprietario, il Marchese Ignazio Alessandro Pallavicini, secondo la direttrice, era proprio questa: ciò che abbiamo imparato durante il lock down. L’intenzione era costruire un giardino esoterico che parla di filosofia e spiega così agli esseri umani come tornare alla Natura. In questo periodo storico, dove la natura risente delle nostre manipolazioni che generano disequilibri biologici ed ambientali, proliferano insetti nocivi e parassiti.
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Dario Truffelli Photography
Il lockdown ha però avuto un effetto provvidenziale, ha fatto sì che si risvegliasse la natura, godendo anche del silenzio generato dall’assenza di traffico sull’adiacente autostrada. Gli animali, scoiattoli, uccelli e cerbiatti, si sono avvicinati nuovamente agli unici tre essere umani presenti nel parco invece di nascondersi ai loro occhi. La natura è tornata padrona di sé stessa e del parco. Un’emozione rara, afferma la direttrice, che mai avrebbe pensato di vivere. Questa “catastrofe planetaria” ha generato però delle nicchie di beneficio insperate, una bolla magica proprio come quella che lei ha potuto vivere.
La globalizzazione ha sconfitto il concetto areale e quindi le malattie non sono più localizzate ma, proprio come il Covid 19, infestano tutto il mondo. Considerando il fatto che questo giardino occupa tra gli 8 e 9 ettari mantenerlo in buona salute sta diventando una “battaglia”.
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Stefano Zec Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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ATTO PRIMO
IL RITORNO ALLA NATURA
Il Romitaggio, Il Parco dei Divertimenti, Il Lago Vecchio e La Sorgente.
Il Primo Atto è un lungo percorso attraverso la natura, viali con vegetazione particolare caratterizzati da alberi secolari e piante in fiore. Il famoso Viale delle Camelie con i suoi innumerevoli esemplari arborei di Camellia Japonica è il raggruppamento più vasto e più antico di camelie d'Italia.
Entriamo ora nel Primo Atto. Come già detto, il giardino è diviso in atti e scene, pensato e realizzato da uno scenografo nonché grande architetto e decoratore, Michele Canzio, che immagina di organizzare un viaggio nella natura. Viaggio che per il Marchese Pallavicini è un viaggio iniziatico che si svolge su una trama teatrale. È una condizione praticamente unica nel panorama dei giardini storici. Attraversiamo il Viale Classico dove la natura è intesa come materiale da costruzione, dove l’acqua è recinta in una elegante fontana con tanto di zampillo, ninfee e pesci rossi. Sul fondo un imponente Arco di Trionfo sul quale è scolpito un verso che recita … “abbandona le cure cittadine che ti sono di impedimento all’anima e attraverso di me passa nella natura che con tutte le sue bellezze saprà elevare il tuo spirito a Dio”. Oltrepassandolo si diventa protagonisti di un cambio di scena degno del grande scenografo. L’arco neoclassico si trasforma in una baita alpestre accolta in uno scenario di abeti, tassi, agrifogli e felci, la prima scena del primo atto denominata dai suoi autori Il Romitaggio. Proseguendo si giunge all’Oasi mediterranea che avrebbe dovuto portarci poi al Parco dei Divertimenti, l’unica scena che non si trova più nella sua localizzazione originaria perché spostata dalla figlia del marchese nel 1886 nella
parte alta del giardino, generando un danno che oggi consideriamo storico e quindi definitivo. Questo straordinario luogo che contiene due delle ultime giostre ottocentesche d’Italia, è stato recentemente restaurato. Per il resto il parco è rimasto intonso, come lo hanno lasciato i due ideatori. Da questa seconda scena si attraversa il Viale delle Camelie e si arriva poi alla terza scena, il Lago Vecchio. Questa prima parte del viaggio corrisponde ad un incontro con la Natura. La logica per cui venne realizzato questo giardino è una logica nobile, quella di elevare l’uomo comune che già nell’800 aveva raggiunto un alto livello di saturazione in materia di razionalità, materialità e modernismo. Nel parco gli viene concesso di entrare nel mondo naturale, nel mistero delle cose vegetali, delle stagioni, delle armonie del creato e di trarne beneficio. Il tempo non ha sottratto nulla a questo posto, se non il paesaggio che l’uomo è riuscito a modificare in modo meno armonico. Ma, dal punto di vista dei valori del giardino, nulla è cambiato rispetto al passato e quindi lo scopo del luogo rimane intatto e per noi abitanti del XXI secolo diventa sempre più un ausilio di serenità.
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Il Romitaggio Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Chi ha pensato questo parco voleva dimostrare che la natura, il mondo e il paesaggio sono un Unicum inscindibile, profanato da barriere insensate costruite dall’uomo. Quindi il suo autore tutte le volte che può, esce visivamente dal parco con degli affondi prospettici che coinvolgono tutto il panorama. In questi “balconi” posizionati lungo il sentiero l’occhio si perde nella magia dell’infinito.
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Arriviamo ora al famoso Viale delle Camelie. È considerato il nucleo di camelie più ampio e più antico d’Italia. Per realizzarlo è stato necessario cambiare tutto il terreno di coltura, localmente troppo calcareo e non adatto a questo tipo di piante acidofile. Da altri possedimenti in Piemonte e Lombardia fu fatta portare terra idonea alla vita delle camelie.
Molte piante hanno raggiunto altezze considerevoli il che ha portato le fioriture in alto rispetto alla visuale dei visitatori.
Tutti gli individui sono numerati e censiti in un rilievo preciso, anche se molti non più identificati. Si tratta di cultivar di Camellia Japonica, ossia di piante realizzate dall’ingegno e dalla pazienza dell’uomo che ha lavorato per generare fiori sempre più complessi ed unici.
Peccato che il lockdown quest’anno abbia impedito a molti di godere di questo spettacolo! Ma oltre alle Camellia Japonica incontriamo anche alcuni esemplari di Camellia Sinensis, la varietà dalla quale nasce il thè, inserite in vaso recentemente, allo scopo di potenziare la presenza botanica di questo genere.
Nel prossimo futuro sarà compito della manutenzione innescare un progetto di micro potatura capace di governare le chiome e abbassarle leggermente pur non perdendo i portamenti arborei che oggi rendono il viale un luogo incantato.
Nella parte più alta, quella dei grandi alberi si trovano le camelie risalenti al 1856-1860. A scendere troviamo piante più giovani, alcune inserite dalla famiglia dopo la morte del Marchese Ignazio, altre piantate dal Comune dopo il 1928, anno in cui la proprietà è stata donata al Comune di Genova. Queste piante si sono sviluppate e trasformate in alberi, ben diversi dagli arbusti che conosciamo. I tronchi invecchiando sono diventati simili a grandi sculture fiabesche che palesano all’occhio degli esperti le antiche ferite dovute all’innesto delle talee. Alcune sembrano vecchie zampe di elefante dove le deformità corrispondono al diverso modo di svilupparsi della radice porta innesto rispetto alla talea innestata. Giroinfoto Magazine nr. 57
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Il marchese aveva infatti interpretato questo atto dedicato alle rarità della natura come luogo di introduzioni particolari, intento che oggi la direzione vuole riattivare. In passato, alla fine del camelieto, erano presenti i rododendri inseriti presumibilmente dalla Marchesa Teresa. Queste piante non si sono però acclimatate alle condizioni calde e secche di Pegli e quindi si sta concependo il progetto di inserire in questa zona, ormai nuda, una collezione di Camellia Sasanqua, la camelia a fioritura invernale che, nella logica compositiva di Canzio e Pallavicini aumenterà la spettacolarità intrinseca della Natura. Proseguendo sul sentiero in salita, al centro di un tornante troviamo una aiuola di Oxalis purpurea con la sua miriade di piccoli fiori gialli, che risiede lì da almeno 2 anni e mezzo. Questa pianta, sempre fiorita sia d’estate che d’inverno, ha un colore spettacolare veramente unico ed è una delle tante curiosità all’interno del parco.
Camelie Dario Truffelli Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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In qualità di progettista dei restauri la direttrice ha molto combattuto le variazioni introdotte casualmente nel tempo da giardinieri poco avvezzi al concetto di conservazione e restauro. Oggi come Curatore cerca di accondiscendere alle forme naturalistiche del giardino all’inglese, di risolvere i problemi delle sostituzioni e dei rimpiazzi, di immaginare le forme che si genereranno nel tempo per evitare errori poi difficilmente risolvibili. E si fa aiutare dai disegni che sono stati realizzati ancor prima dell’avvento della fotografia perché sono certamente la radiografia più sincera e autorevole dello stato originario. Manuela Albanese Photography
Continuando, questa Natura sempre più selvaggia e straordinaria ci porta al Lago Vecchio, dove si ribaltano le situazioni. Nel Viale Classico la natura era considerata come una sorta di oggetto da costruzione a servizio dell’uomo, intesa alla stregua dei manufatti artistici. Ma, man mano che ci si addentra in questa favola, la Natura prende il sopravvento e si arriva alle ultime scene del Primo Atto dove l’architettura svanisce e tutto è effetto di naturalità. La cosa interessante è che in realtà questa prorompente naturalità non è altro che il prodotto della fantasia e dalla genialità di Michele Canzio che, insieme ai suoi 350 operai, ha per anni trasformato la banale collina di Pegli in uno straordinario teatro filosofico all’aria aperta. Durante il tragitto sul sentiero troviamo il tronco di una sughera monumentale stroncata da una tromba d’aria di recente. Date le dimensioni e l’età era chiaro che fosse un albero originale. Il parco inevitabilmente invecchia ma il compito di un Curatore è proprio questo, quello di mantenerne nel tempo le caratteristiche e assicurare l’avvicendamento. Per questo è già stata piantata una giovane sughera alla quale è demandato il compito di sostituire per i prossimi cent’anni il suo predecessore. La giovane sugherella è stata acquistata grazie al contributo di due giovani genitori che l’hanno dedicata alla loro figlioletta neonata. In una area così vasta tutti i giorni muore qualcosa e tutti i giorni qualcosa deve essere ripristinato, vale per gli alberi, le piante da fiore, per gli arredi e le architetture che inevitabilmente si rovinano e devono essere accudite e restaurate. In verità di un parco come questo si può soltanto raccontare l’anno di inizio lavori ma non quello della fine. La fine non c’è stata per i due ideatori che hanno continuato a lavorarci per tutta la vita e la fine non ci sarà neppure per coloro che ogni giorno combattono affinché tutto conservi la sua forma pur nell’inevitabile nascita, crescita e morte. Giroinfoto Magazine nr. 57
Di fronte ad un’opera che ha mantenuto nel tempo la sua struttura intatta il conservatore deve preservare ciò che stava alla base del progetto iniziale, cercando di capire se ciò che attualmente esiste nel parco è originale oppure no. La storia del parco è comunque segnata dalla fortuna di essere stato generato dal marchese e dalla sua anima elevata. Tutto ciò che è stato fatto in origine denota una grande consapevolezza anche espressa dall’integerrima redazione di un archivio molto preciso e completo di documenti. Ciò è di enorme aiuto perché permette di trarre informazioni precise sullo stato originale e sulla capacità di sviluppo delle cose. Sappiamo ad esempio che il marchese aveva fatto piantare centinaia di ginepri. Ebbene oggi non ne è restato neppure uno; questo ci indica che non bisogna piantare ginepri perché in questo luogo non riescono a vivere! Dal Lago Vecchio dove nuotano diverse carpe giungiamo alla Sorgente, l’ultima scena del Primo Atto. Qui si realizza l’incontro con una naturalità totale che dal punto di vista esoterico, si configura come un vero e proprio atto liturgico. A questo punto, ripulito il cuore dalle incrostazione lasciate dalla civiltà umana, si è pronti ad entrare in un altro mondo che, in questo caso, è il Secondo Atto. Il lavoro lo ha fatto la Natura.
Monica Gotta Photography
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RECUPERO DELLA STORIA La Cappelletta di Maria, La Capanna Svizzera,
Il Castello del Capitano e Il Mausoleo del Capitano
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ATTO SECONDO
Il Secondo Atto è ambientato in un bosco fiabesco voluto dai suoi costruttori.
Entriamo ora nel Secondo Atto e incontriamo la Cappellina di Maria. Il Secondo Atto è quello dedicato al Medioevo. Una volta che si è raggiunta la purezza del cuore l’uomo viene chiamato a riflettere sulla sua vita sociale. Canzio ci trasporta in un fiabesco feudo medievale, inventa la figura del Capitano e realizza sulla collina di fronte un piccolo castelletto diruto con cascine e cinta muraria per raccontare una storia di guerre intestine tra il nostro feudo e il feudo limitrofo che assume subito il ruolo del feudo nemico.
La collina di fronte in verità, pur non essendo mai stata parte del parco, era sempre proprietà del Pallavicini che non ebbe niente a ridire nel fatto che il suo architetto trasformasse la casa dei manenti in un castelletto riccamente decorato ma intensamente bombardato. Proseguendo passiamo sotto ad un antico tronco di erica che attraversa il sentiero. Questa pianta morì per la stessa tromba d’aria che ha colpito la sughera. Il tronco è stato puntellato e messo in sicurezza ma conservato come preziosa testimonianza del passato. Ora è colonizzato dall’edera ed è come una scultura che sarà conservata fin quando sarà possibile.
Il Secondo Atto narra la storia dell’umanità e della sua prassi a risolvere qualsiasi problema con la guerra, l’evento più brutale che abbia mai concepito. Infatti inizia con l’inno alla spiritualità identificata con l’immagine della Madonna, e si conclude con la quarta scena al Cimitero dove sono seppelliti tutti i protagonisti della storia cruenta, travolti dalla lotta fratricida che comporta la fine della vita nella materia. Questo collegamento visivo tra il parco e l’esterno è una delle intriganti strategie panoramico-teatrali di Canzio, un fondale scenografico dove anche le nuvole sembrano essere consce di essere parte integrante di un’opera d’arte.
Stefano Zec Photography
Monica Gotta Photography
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Si giunge adesso alla seconda scena, quella che rappresenta il villaggio al piede del Castello. La composizione era sostenuta dalla presenza della Capanna svizzera, costruzione in pali di castagno e tetto in paglia di segale, persa ormai da oltre settant’anni. Il cartello illustrativo sito in loco presenta il progetto originario di pugno di Canzio e il rendering della sua ricostruzione. Proprio in questi giorni è stata completata la ricostruzione della Capanna a due tetti del Parco dei Divertimenti che apre una possibile strada anche a questa ricostruzione. Il progetto è pronto; mancano solo i contributi economici necessari. Da questo luogo che narra della posizione sociale del popolo medievale, Canzio ha saputo metterci in collegamento visivo con il simbolo di Genova, la Lanterna che sembra assicurare che il villaggio di cui parliamo è la grande e superba Repubblica genovese. Come succedeva spesso in questi momenti storici dove il mondo era diviso in modo netto tra poveri ed abbienti, a volte emergevano personaggi illuminati capaci di aiutare tutti ad “elevare lo spirito a Dio”.
Mentre passeggiamo all’interno del parco possiamo ricordare la storia della costruzione del parco raccontata nelle Affinità Elettive di Goethe, o ripercorrere il percorso iniziatico di Pamino nel Flauto Magico di Mozart e magari domandarci se ci sentiamo Pamino o un semplice Papageno. Giungiamo quindi al Castello del Capitano, in apice alla collina, ossia sul punto più alto del parco. Dall’ingresso nel parco non abbiamo fatto altro che salire, da adesso in poi potremo solo scendere! In sostanza il Castello divide la storia in due parti e varrebbe da solo una visita approfondita essendo un oggetto estremamente complicato sia dal punto di vista esoterico che scenografico ed artistico. Scenograficamente è l’ambientazione della storia medievale del Capitano e della sua corte troppo dedita alla guerra. Esotericamente rappresenta il punto apice dell’elevazione umana. La sua forma allude ai tre stati possibili, quello della materialità (il bastione), quello dell’anima (il torrione) e quello dello spirito (il terrazzo apicale).
Il Marchese si interessava di filosofia, probabilmente fu un massone, un uomo di cultura che insieme a Canzio conosceva bene l’arte alchemica, quella esoterica, l’arte dei giardini e la cultura del momento.
Castello del Capitano Dario Truffelli Photography
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Manuela Albanese Photography
Il percorso originale permetteva di giungere in cima al torrione dove si arriva veramente a concepire la possibilità del rapporto totale con Dio. Dalla cima del torrione non c’è nulla che possa interrompere la spazialità della vista: ci si trova ad ammirare tutto l’arco degli Appennini e tutta la linea dell’orizzonte del mare, in una scena a dir poco commovente. Nel torrione l’anima viene raccontata con i colori sgargianti delle vetrate che si illuminano al passare del sole. I colori delle vetrate sono organizzati in maniera tale per cui l’ingresso del sole trasforma la sala circolare in una sorta di meridiana. Essendo il Castello costruito esattamente sulla croce degli assi Nord-Sud ed Est-Ovest nonché attorno ad un Asse del Mondo, succede che i vetri delle finestre si illuminano e proiettano il loro colore al centro della sala. Solo la notte non è mai illuminata.
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Dario Truffelli Photography
Anche questo è un simbolo esoterico perché la notte è l’unico luogo dove “l’infinito nasconde il possibile” mentre il giorno è il luogo e il tempo di tutto ciò che è completamente manifesto. Scendendo per la stessa scala a spirale che ci ha portato su con i suoi 33 gradini, usciamo dal Castello dalla porta nord e ci avviamo al Cimitero abbandonato anche chiamato nel tempo il Cimitero degli Eroi campeggiato dal Mausoleo del Capitano. Qui tutto parla delle conseguenze estreme a seguito di una vita spesa in guerre fratricide. Da qui si inizia la discesa verso gli inferi dove la nostra anima dovrà ricevere una definitiva purificazione per meritare la pace del Paradiso.
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Ponte Cinese Stefano Zec Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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LA CATARSI
Le Grotte/Inferno Dantesco, Il Lago Grande,
I Giardini di Flora e La Rimembranza.
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ATTO TERZO
Il Terzo Atto pare essere un luogo paradisiaco, circondato da maestosi alberi che vivono sulla riva del Lago Grande. Durante il percorso troveremo anche scorci visivi che si proiettano sul panorama esterno capaci di dilatare verso l’infinito i confini del parco.
Mentre scendiamo incontriamo il Parco dei Divertimenti spostato nel 1886 dalla marchesa Teresa Pallavicini. Prima del restauro del 2010 non si poteva entrare in quest’area e le giostre, ridotte a ferro arrugginito, erano fagocitate dalle acacie e dai rovi. Dopo un primo lavoro di recupero dell’area, questa imponente scena è stata appena restaurata anche grazie al contributo ottenuto dal bando I Luoghi della Cultura della Compagnia di San Paolo di Torino. È stata ripristinata la cavallerizza ellittica, sono stati ripiantati gli alberi di oleandro, ricreata la siepe fiorita e fortemente profumata grazie a elicrisi, santoline, lavande e rosmarini, restaurate con un intervento filologico le due preziose giostre, ormai giunte ad un degrado totale. Grazie ai documenti fotografici ed iconografici e ad un disegno progettuale di Michele Canzio è stato possibile ricostruire la Capanna a due tetti, con l’intervento di un abilissimo falegname del Sassello che oltre al lavoro di falegnameria ha addirittura seminato e poi raccolto la segale necessaria alla realizzazione del tetto.
Al posto dei due cavallini originari, tanto naturalistici da sembrare veri, sono stati inserite due sagome piane. Purtroppo i due cavallini estremamente degradati, sono depositati, insieme a molte altre opere appartenenti al parco, in un magazzino comunale perché in villa non ci sono spazi adeguati e disponibili per l’esposizione di queste opere. Arriviamo al Lago Grande , seconda scena del terzo atto, dove la direttrice ci saluta e ci lascia soli ad ammirare questo luogo magico. Ci indica come girare intorno al lago per godere delle migliori visuali fotografiche. Il luogo è quanto di più incantevole si possa immaginare. Un lago sinuoso scavalcato da un prezioso Ponte Cinese con tanto di Pagoda sul quale si affacciano il Ponte Romano, il Chiosco Turco e l’Obelisco Egizio a testimoniare la presenza di tutte le etnie della terra. Al centro sembra planare sull’acqua il Tempio di Diana, candido di marmi bianchi, in perfetto stile ionico monoptero, rappresenta la divinità alla quale si è giunti dopo il percorso di elevazione nel parco.
Manuela Albanese Photography
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Tempio di Diana Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Iniziamo a dirigerci verso i Giardini di Flora, terza scena del Terzo Atto, che rappresenta il Paradiso Terrestre. Ammiriamo la statua, la Silfide Alata, al centro del giardino personale della dea, il Viridario, mentre entriamo nel tempio dedicato a Flora e ci godiamo gli interni dai colori caldi e accesi dal sole intenso del pomeriggio. La volta è adornata da un affresco che rappresenta l’amore tra Flora e Zeffiro. Passando attraverso il tempio ottagonale di architettura neoclassica e arrivando sul prato antistante si ha una vista globale che abbraccia il tempio con il suo colore rosato, il verde intenso del prato contro un brillante cielo azzurro. Qui troviamo anche le due giardiniere che rappresentano la primavera e l’estate. In stato di ammirazione giriamo intorno al Lago Grande incontrando La Rimembranza, scena con la quale si conclude il Terzo Atto. Qui il visitatore viene di nuovo messo a confronto con la morte, ma stavolta con un trapasso sereno che ”lascia dietro di sé insegnamenti positivi e il conforto dell’arte”. Visitiamo poi il Chiosco delle Rose come indicatoci. La villa è stata classificata anche come “Luogo del Cuore” del FAI (Fondo Ambiente Italiano) che ha erogato un finanziamento utilizzato successivamente per restaurare il Chiosco delle Rose al quale mancava tutta la boiserie in legno ed altro. Manuela Albanese Photography
Stefano Zec Photography
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Chiosco delle Rose Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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VILLA DURAZZO PALLAVICINI COME ARRIVARE
Villa Durazzo Pallavicini si trova nella zona di Ponente della città, precisamente in Via Ignazio Pallavicini, 13 – 16155 Genova Pegli.
Arrivando in treno l’ingresso del parco è di fianco alla stazione di Genova Pegli, facilmente raggiungibile con i treni regionali.
Chi proviene da levante in autostrada può uscire a Genova ovest, prendere la SS1 Aurelia oppure la superstrada in direzione Savona. Per chi invece proviene da Ponente può uscire a Genova Pegli e seguire le indicazioni per l’indirizzo della villa stessa. Potete anche usufruire del servizio di treni regionali sulla tratta Genova Brignole / Porta Principe - Voltri con fermata a Pegli, così come il servizio Navebus nella tratta Genova Porto Antico - Pegli.
Per conoscere gli orari di apertura di Villa Durazzo Pallavicini vi invitiamo a visitare il sito ufficiale www.villadurazzopallavicini.it dove troverete tutti gli aggiornamenti e le notizie in tempo reale.
Dario Truffelli Photography
RINGRAZIAMENTI Ringraziamo l’Arch. Silvana Ghigino, Direttrice di Villa Durazzo Pallavicini per averci accolto, ma soprattutto per aver condiviso con noi la sua grande passione per questo luogo incantato. Ringraziamo anche i dipendenti, l’Associazione e la Cooperativa che si occupano di conservare questo luogo nel cuore di Genova con tanta dedizione.
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A CURA DI MANUELA ALBANESE Nel corso degli anni ho trascorso lunghissimi periodi nell’arcipelago di La Maddalena. Essendo figlia di uno dei padri fondatori della subacquea italiana ho avuto la fortuna di fare immersioni prima ancora di imparare ad andare in bicicletta. Negli anni mi sono nutrita dei colori, dei profumi e dei sapori di questa terra, a volte in maniera cosÏ profonda al punto di provare quasi dolore al momento della separazione per tornare alla routine quotidiana. Giroinfoto Magazine nr. 57
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CALA ANDREANI Manuela Albanese Photography
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L’Arcipelago di La Maddalena è la mia “isola che non c’è”, il luogo dove lo stress e le ansie della vita frenetica si azzerano, il luogo dove i giorni si susseguono scanditi solo dal ritmo del vento e delle onde. Qui l’orologio non ha senso di esistere: l’esploratore, perché questo deve fare il fortunato turista, è animato solo dal gusto della scoperta.
Raggiungere La Maddalena Quando si sbarca sull’isola, i nostri 5 sensi sono tempestati da sensazioni diverse, gli input sono tantissimi: il profumo della salsedine mescolato ai profumi della macchia mediterranea qui composta prettamente da tamerici, lentischio e mirto, il vento caldo che ti avvolge, i colori saturi del mare ed il luccichio del granito al sole, rappresentano una tempesta sensoriale. L’unico modo per raggiungere l’arcipelago è prendere il traghetto da Palau. La Sardegna si può raggiungere da diversi luoghi della nostra penisola. Da Genova, Livorno, Civitavecchia e Napoli partono i traghetti che raggiungono la Sardegna. Se preferite l’aereo potrete atterrare ad Olbia e poi recarvi a Palau. Credo sia impossibile descrivere solo con le parole il senso di conquista e la magia che si provava un tempo nel raggiungere l’arcipelago di La Maddalena.
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I trasporti erano complicati ed i collegamenti tra Palau e Cala Gavetta - punto di approdo sull’isola principale dell’arcipelago, La Maddalena - erano assicurati da due piccolissimi traghetti, il Jolly Ferri (un traghetto danese degli anni ’30) ed il Centoscudi. Oggi abbiamo mezzi più moderni, ma ci vuole comunque una ferma convinzione per affrontare tutte le tappe necessarie per raggiungere quest’arcipelago.
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Le corse si interrompevano la notte e le code per salire a bordo erano chilometriche. Ricordo ancora con una vena di malinconia, gli sbarchi ad Olbia per chi come noi proveniva da Genova e la corsa sulla statale 125 per arrivare all’imbarco di Palau tra i primi in modo da poter giungere almeno in mattinata a La Maddalena.
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L'Arcipelago L’arcipelago di La Maddalena si compone di circa 60 isolotti, alcuni poco più grandi di uno scoglio, altri di dimensioni importanti come le isole maggiori: La Maddalena, Caprera, Santo Stefano, Spargi, Budelli, Razzoli e Santa Maria. In estate i colori del mare che corrono dal blu intenso al verde smeraldo contrastano con i colori della terra bruciata dal sole che a tratti, soprattutto nella parte nord di Caprera nella zona di Punta Rossa, tende alle sfumature dell’arancione. Non è da tutti soggiornare qui. Le comodità sono poche ed i venti ci accompagnano quasi sempre. Ma uno dei segreti per scoprire la storia dell’isola è sfruttare le giornate di “ponente teso”, il vento predominante che dona un’ulteriore bellezza a questi luoghi ancora selvaggi. Sia l’isola maggiore, La Maddalena, sia Caprera, unite da un pittoresco ponte recentemente ricostruito, sono ricche di fortificazioni militari. Un tempo il ponte era una classica costruzione del genio militare costruito con assi di legno che cigolavano al passaggio delle auto. Già in epoca napoleonica l’arcipelago si era rivelato un punto strategico, ma fu con la Prima Guerra Mondiale che si edificarono una serie di forti e batterie visitabili ancora oggi. A Caprera merita una visita il piccolo borgo di Stagnali che ospita anche il museo geo-mineralogico naturalistico. (CEA)
PONTE CAPRERA Manuela Albanese Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Ospitato in una ex zona militare, la struttura realizzata dal Ministero della Guerra agli inizi del ‘900 fa parte dell’ex compendio militare di Stagnali. Destinata a baraccamento truppa, ogni capannone poteva ospitare 100 uomini. Durante le due Grandi Guerre hanno soggiornato all’interno di questi locali: il 3° Reggimento Bersaglieri, il 45° Reggimento Fanteria Regio e il 59° Reggimento Fanteria Calabria.
Il museo geo-mineralogico naturalistico, che ha anche la funzione di laboratorio di ricerca, è costituito da due grandi sale nelle quali sono presenti vetrine e numerosi espositori dove sono conservati campioni di rocce dell’arcipelago e della Sardegna in genere, sabbie di spiaggia, minerali, fossili, meteoriti, ambiente e storia di cava, conchiglie e crostacei del Mediterraneo. Sono presenti inoltre le sabbie delle spiagge di tutte le cale dell’arcipelago. Alcune vetrine contengono fossili provenienti da donazioni. Uno spazio è stato dedicato all’attività estrattiva del granito di Cala Francese con l’esposizione di attrezzi da lavoro, documenti e fotografie d’epoca. Una sala invece conserva l’evoluzione antropologica del popolo di Maddalena con reperti legati alla storia dei palombari della marina, all’arsenale ed ai pescatori.
CEA Manuela Albanese Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Ricordo ancora come un miraggio la batteria antisommergibili di Candeo che si trova sulla costa nord-est di Caprera, faticosissima da raggiungere, ma alla fine si è ripagati sia dal panorama sia dalla costruzione. Si tratta di una vera e propria fortificazione completamente scavata nel granito e non visibile dal mare. Un altro luogo che considero magico è la fortificazione di Punta Rossa, sempre a Caprera. Per arrivare alla Batteria Militare ed alla Stazione Torpedini di Punta Rossa, erette tra le due Grandi Guerre, si deve attraversare la bellissima pineta che copre gran parte dell’isola. Qui il profumo è inebriante ed in estate è una bella e fresca alternativa alle giornate assolate in spiaggia. Quando la strada asfaltata termina si continua sullo sterrato cercando di barcamenarsi tra i frequenti restringimenti e le necessarie manovre nel caso si incroci un’altra auto in
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senso opposto. Non è semplice dato che da un lato ci sono piccoli strapiombi sul mare e dall’altro pareti di granito, ma una volta superata la parte più tortuosa ci troviamo di fronte allo splendido panorama dei due mari. Da qui in poi il cuore si allarga e gli occhi non sanno più dove posarsi rapiti dalla bellezza delle baie e dai colori del mare che varia dal verde smeraldo al blu cobalto passando per il verde rossastro delle praterie di posidonia. Una volta attraversato un vecchio cancello arrugginito, il terreno si fa più rosso e dopo un tornante si apre davanti a noi Cala Andreani sulla cui sinistra si inerpica il sentiero che porta alla Spiaggia del Relitto, mentre di fronte si scorgono le prime costruzioni di Punta Rossa.
Manuela Cosimo Albanese Nardone Photography Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Andando in direzione Corsica incontriamo l’isola di Budelli dove si può ammirare la famosissima spiaggia rosa, situata a Cala di Roto. Sfido chiunque a dire che non ne ha mai sentito parlare! E’ stato il regista Antonioni a farla conoscere al grande pubblico e a renderla famosa quando girò qui alcune scene del suo film Deserto Rosso. La colorazione rosa della spiaggia è dovuta alla presenza di gusci calcarei di un foraminifero il cui habitat viene individuato presso i rizomi di Posidonia Oceanica. Purtroppo nel corso degli anni l’usanza di portar via “un souvenir di sabbia” ha portato l’Ente Parco a chiudere completamente l’accesso alla spiaggia. Dal 1994 ne è vietato l’accesso e solo i custodi dell’isola sono autorizzati a transitare. Le tre isole di Budelli, Santa Maria e Razzoli creano insieme una sorta di piscina naturale nota come “Porto della Madonna” perché il colore delle sue acque e l’incredibile trasparenza ricorda il velo che le cingeva il capo. In realtà si dice che il nome sia dovuto al cognome di un pescatore d’aragoste maddalenino che frequentava spesso queste acque. I fondali sono bassissimi e solo naviganti esperti possono avventurarsi in questa zona dato che la trasparenza dell’acqua è tale da falsare la percezione della profondità sotto l’imbarcazione. Qui in molti hanno lasciato chiglie ed eliche.
Le 3 isole che compongono le piscine sono molto diverse tra loro, la sola abitata stabilmente è l’isola di Santa Maria con il suo bellissimo approdo naturale. Qui la spiaggia, lunga circa 200 metri, è bianchissima e composta da granelli fini quasi quanto la farina. Ogni giorno in estate migliaia di persone si riversano qui portate dai barconi. L’isola di Santa Maria è separata da Razzoli da uno stretto e basso passaggio: il Passo degli Asinelli che la divide da questa ed è profondo circa 50 cm. La seconda curiosità dell’isola di Razzoli è la presenza di un faro che si erge a picco sul mare ed è uno degli ultimi in Italia ad essere stato abitato e custodito. Razzoli è un’isola molto rocciosa. Al suo interno, tra rocce granitiche e macchia mediterranea, crescono elicriso e ginepri mentre antiche mulattiere permettono di addentrarsi sino al cuore dell’isola abitata soprattutto da uccelli marini. I sentieri portano al faro, costruito nel 1974 accanto al vecchio edificio risalente al 1843. La sua portata luminosa era molto potente: prima dell'arrivo della corrente elettrica, la grande lampada di acetilene richiedeva per l'accensione il lavoro di così tante persone che nell'edificio abitavano sei famiglie. Gettando lo sguardo all’orizzonte, notiamo che qui le tonalità del mare variano tra azzurro e blu intenso, con fondali ricchissimi di fauna e flora marine, perfetti per gli amanti dello snorkeling.
FARO BARETTINELLI Manuela Albanese Photography
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Un’estate di tanti anni fa - ero ancora al liceo - mi misi in testa di fare il periplo di tutte le isole maggiori. Con la mia famiglia, ogni mattina dopo la consueta immersione, ci recavamo in qualche insenatura poco affollata, si gettava l’ancora, se necessario si assicurava anche la poppa con un rampino a terra e poi mio papà ed io con pinne, maschera, boccaglio e retino ci lasciavamo cullare dalla corrente e per qualche ora sparivamo facendo il periplo dell’isoletta di turno. Mia mamma, da buon capitano di lungo corso, si godeva la pace ed il silenzio cullata dallo sciabordio delle onde con la sua immancabile settimana enigmistica.
Il fondale che mi ha lasciata decisamente a bocca aperta fu quello dello specchio d’acqua tra le isole di Barrettini, Barretinelli, Corcelli, Piana e Barrettinelli di Fuori sormontato da uno splendido faro. Si tratta di un gruppo di piccole terre emerse circondate da acque cristalline e fondali rocciosi. Qui in un assolato pomeriggio agostano ebbi la fortuna di nuotare in mezzo alle razze. Barrettinelli di Fuori è un isolotto incantevole tutto roccioso e accessibile dal lato sud dove un minuscolo approdo consente di salire sulla scogliera. Un altro faro, non privo di fascino, è noto come il Semaforo di Guardia Vecchia. Si trova su una delle isole maggiori, a La Maddalena per la precisione. Oggi accoglie un moderno strumento di gestione del traffico marittimo che guida e controlla le navi in transito nelle
Bocche di Bonifacio, pericolose per la loro scarsa ampiezza e per la presenza di isole e scogli. La torretta del Semaforo, dalla quale si scorgono tutti i passaggi fra le isole dell’arcipelago, dalla costa gallurese alla Corsica, è stata costruita alla fine dell’Ottocento su un vecchio forte ottagonale il cui perimetro risale ancora alla costruzione originale. Il forte, voluto dall’ammiraglio G. A. Des Geneys nel 1808 e chiamato San Vittorio in onore del Re di Sardegna Vittorio Emanuele I, era munito di cannoni su tutti i lati perché doveva difendere l’isola e i suoi abitanti dall'invasione della Francia napoleonica. Ebbe anche il ruolo di base per la comunicazione con i velieri che entravano nella rada interna, attraverso un grande “albero dei segnali”. Negli anni ha acquisito anche la funzione di stazione meteorologica.
GUARDIA VECCHIA Manuela Albanese Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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CALA FRANCESE Manuela Albanese Photography
Restando a La Maddalena segnalo un luogo rimasto nel ManuelaèAlbanese cuore: la zona di Photography Cala Francese. Qui gli scogli degradano delicatamente in mare quasi ad invitarti a fare un tuffo, la cava è ricca di storia ed ancora si possono ammirare i resti di quello che fu un glorioso passato. Sul pontile, dove attraccavano piccole navi troviamo gru, carrelli e binari ormai corrosi dal passare del tempo. Il granito maddalenino è di una qualità sopraffina ed è stato utilizzato in moltissime opere importanti addirittura anche oltre oceano. Tra le opere di granito maddalenino troviamo niente meno che il basamento su cui poggia la Statua della Libertà a New York! Proprio di fronte a Cala Francese c’è l’isola di Spargi. In un certo qual modo posso dire di essere cresciuta sulle sue spiagge, a Cala Granara in particolare. Qui passavamo intere giornate di relax dopo le immersioni e le battute di pesca. Le acque di Spargi sono le più belle dell’arcipelago, la loro trasparenza ed il colore azzurro che si contrasta alla macchia mediterranea che arriva quasi in spiaggia e la sabbia bianca cintata dal granito rosa rende unico il panorama. Qui anche gli animi più tormentati trovano la serenità cullati dalle onde. Questi panorami non hanno nulla da invidiare agli arcipelaghi polinesiani.
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Non da meno sono le spiagge di La Maddalena, si passa dai granelli di granito rosa di Monte di Rena, alle sabbie bianchissime della Trinita (senza accento attenzione!!!), ai panorami dello Strangolato, al fiordo di Spalmatore per arrivare alle scogliere di Tegge dove si può ammirare un tramonto spettacolare con il sole che lentamente scende tra Spargi e Punta Sardegna.
CALA GRANARA Manuela Albanese Photography
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Se si ha la fortuna di poter soggiornare a lungo nell’arcipelago di La Maddalena, l’ideale è poter affittare per più giorni un gommone per poter esplorare in autonomia le piccole insenature deserte. Basta allontanarsi di poco dai percorsi turistici per scoprire fino in fondo questi luoghi meravigliosi. Dietro ad ogni insenatura si può celare un piccolo tesoro, magari piccole spiagge fatte di sabbia o graniglia, ciottoli o ancora ripide scogliere, per non parlare delle bellezze che si trovano sott’acqua. Non dimenticate di godervi anche la cucina sarda fatta di culurgiones, malloreddus, seadas ed ovviamente pescato sempre freschissimo e porceddu, arricchita anch’essa dal fondersi di tutti i profumi di questa terra selvaggia, che aleggiano e si mischiano per dare vita a quest’esperienza che, secondo me, andrebbe vissuta assaporando un attimo dopo l’altro. Manuela Albanese
CALA INFERNO Manuela Albanese Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Giroinfoto Magazine nr. 57
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Manuela Albanese Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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I MISTERI DI ROSAZZA UN LUOGO IN CUI SI VIENE PROIETTATI IN UN'ATMOSFERA SURREALE, CARICA DI SIMBOLOGIE MASSONICHE ED ESOTERICHE.
La Band of Giroinfoto, questa volta, si è lasciata attrarre dalle enigmatiche storie che si raccontano del Borgo di Rosazza, una suggestiva località del Biellese che si fonde tra paesaggi rurali e storie massoniche ed esoteriche.
Andrea Barsotti Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
È così, che guidati da Giovanni Gallazzi, esponente della Proloco, percorriamo l'itinerario del borgo per riportare alla luce l’incredibile storia di questo luogo definito da molto tempo "Il Borgo più misterioso d'Italia".
Andrea Barsotti Andrea Zanatta Barbara Lamboley Chiara Borio Cinzia Carchedi Elisabetta Cabiddu Giancarlo Nitti Giuliano Guerrisi Giulio Pascali Mariangela Boni Samuele Silva
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ROSAZZA, E FEDERICO ROSAZZA Rosazza è un piccolo borgo di circa 90 abitanti della provincia di Biella in Piemonte. Si trova in Valle Cervo a 880m di altitudine.
Giovanni, ci conduce catapultandoci in una strana dimensione; l’atmosfera che si respira è molto intrigante, complice di un clima particolarmente tetro come fosse la scenografia giusta per entrare nelle vicissitudini storiche del paese. Non si può parlare del Borgo di Rosazza senza parlare del suo protagonista assoluto, ovvero Federico Rosazza. Federico Rosazza Pistolet è stato un filantropo e politico italiano, famoso per avere realizzato numerose opere a favore della popolazione della Valle Cervo. Figlio di Anna Maria Mosca Belrosa e di Vitale Rosazza, notaio e impresario edile, nacque il 4 marzo 1813 a Rosazza. Iniziò gli studi nella sua località natale, in Valle Cervo e poi nel seminario di Biella, orientandosi alla carriera ecclesiastica. A quindici anni abbandonò il seminario e chiese alla propria famiglia di essere impiegato in un cantiere di Genova, città nel cui ampliamento ottocentesco l'impresa familiare ebbe un ruolo notevole. Frequentò il collegio presso i padri Somaschi ed entrò poi all'università laureandosi in giurisprudenza nel 1835.
Nel corso dei suoi studi strinse amicizia con vari patrioti liguri, tra i quali Giuseppe Mazzini, ed aderì alla Giovine Italia. Il ricordo della moglie e della sua unica figlia, entrambe morte prematuramente, lo spinsero ad agire a favore della propria terra d'origine e della popolazione locale. Nell'ultimo trentennio dell'Ottocento realizzò a proprie spese numerose opere pubbliche per migliorare la vita dei propri concittadini ed abbellire Rosazza e la Valle Cervo. Utilizzò per queste opere maestranze e materiali locali, contribuendo così allo sviluppo economico di questa area montana. La sua fede mazziniana e i suoi legami con la massoneria gli alienarono le simpatie di parte degli ambienti ecclesiastici, nonostante il fatto che tra le opere da lui finanziate fossero compresi anche alcuni edifici religiosi (primo fra tutti la chiesa di Rosazza).
L'appartenenza alla massoneria oltre agli interessi all'alchimia e in generale il mondo esoterico, fino ai templari, lo portarono a riempire di simboli legati a quel mondo tutte le opere da lui realizzate chiese e cimiteri compresi. Così in Valle Cervo, e soprattutto nel paese di Rosazza, galleria compresa, possiamo ritrovare decine di simboli massonici. Il 21 novembre 1892 fu nominato Senatore del Regno; morì a Rosazza il 25 settembre 1899.
Giuliano Guerrisi Photography
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ROSAZZA, IL BORGO PIÙ MISTERIOSO D'ITALIA Giovanni, introducendo la biografia di Federico Rosazza e delle sue opere riguardanti il suo paese natale, una volta solamente frazione del comune di Piedicavallo, inizia a guidarci nel percorso esoterico del luogo, percorrendo un viottolo che si inserisce nell'architettura del borgo.
quello di Vitale Rosazza, padre di Federico e posti sui capitelli delle colonne le statue di marmo di Federico Rosazza e il suo amico e collaboratore Giuseppe Maffei, insieme a Battista Rosazza Bertina e la “donna portatrice”, una donna che trasporta sulle spalle la pietra della fondazione della chiesa.
Un viale con una leggera pendenza, chiamata "La Via Pulchra", che porta ad una imponente porta adornata con una stella a cinque punte e una svastica, o meglio per quest'ultima, una croce gammata che nella massoneria rappresenta il movimento cosmico delle stelle intorno all'uomo.
Davanti alla casa parrocchiale, ai lati della porta, sono stati rappresentati Bernardo Zanetto (impresario) e Antonio Gilardi Magnan (assistente ai lavori).
Vedremo la stella a cinque punte riproposta svariate volte durante il percorso, proprio perchè questa simbologia è importante nell'esoterismo, definendola come simbolo di slancio verso Dio. In realtà, arrivare a queste porte che accedono al portico della chiesa, fà parte di un cammino iniziatico, espresso con svariate scritte e simbologia esoterica, appunto, come la stella, l'elevazione dei gradini e alcune scritte in latino. Attraversato il portale, ci si addentra nel porticato che espone immediatamente alcuni busti memoriali, come
Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
Giancarlo Nitti Photography
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Cinzia Carchedi Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Chiara Borio Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Prima di entrare nel cuore dell'opera del Rosazza, la guida ci fa notare diversi dettagli della simbologia esoterica, presente sul sagrato della chiesa parrocchiale. Se dovessimo individuare l'area più importante dal punto di vista simbolico a Rosazza, questo sarebbe costituito dalla chiesa e dagli spazi che la circondano. Sul sagrato, in particolare, si trovano dodici cippi dendriformi, ovvero dalla forma di albero. Queste lavorazioni in pietra, rappresentano simbolicamente una foresta, la “selva oscura” in cui il profano vive prima di essere iniziato e poter accedere al “sacro”, simboleggiato in questo caso dalla chiesa. Sappiamo che il numero dodici ha un significato simbolico esoterico che rappresenta la ricomposizione della totalità originaria, in altre parole indica la discesa in terra di un modello cosmico di armonia.
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Infatti, il significato del numero dodici indica la conclusione di un ciclo compiuto, la creazione, i mesi dell’anno, gli apostoli, ecc. Notiamo subito che la pavimentazione, eseguita con ciotoli bianchi e neri, rappresenta un roveto privo di fiori mentre in una formella successiva, il medesimo roveto, questa volta fiorito. I due riquadri sono divisi da una scala a pioli a cinque gradini, realizzata sempre sul ciotolato. La scala è un simbolo massonico che indica evoluzione e trasformazione, in questo caso, il passaggio dai rovi alle fronde fiorite indica un’evoluzione individuale, il passaggio “oltre” o, forse, la possibilità di una vita oltre la morte.
Giancarlo Nitti Photography
Remo Turello Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Samuele Silva Photography
Durante la permanenza sul sagrato della chiesa parrocchiale, esplode un po' quella che si può definire "caccia al simbolo", in quanto ci si rende conto che l'area ne è tempestata. Vagando in lungo e in largo, i simboli in cui ci si imbatte più di frequente sono senza dubbio le stelle e le rose. Lo stemma della casata dei Rosazza era composto da una rosa con tre stelle, e ciò spiega, in parte, il motivo di queste frequenti decorazioni. Avvicinandoci all'ingresso principale della chiesa, Giovanni ci fa notare che anche l'imponente portone in legno incorniciato dal marmo rosa ne è pieno.
Andrea Zanatta Photography
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Giuliano Guerrisi Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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LA CHIESA PARROCCHIALE DI ROSAZZA La principale opera di federico Rosazza è stata Iniziata a partire dall’anno 1876 e terminata quattro anni dopo sorgendo dove un tempo vi era il cimitero, spostato in posizione più esterna su decisione di Federico Rosazza e Giuseppe Maffei. I lavori portarono non pochi disappunti da parte della curia, anche se, a compimento dell'opera, furono molti i complimenti nei confronti della magnificenza del "nuovo Duomo". Varcata la soglia, lo sguardo viene attirato immediatamente in alto, verso un immenso cielo stellato, un autentico planetario dipinto con tanto di Orsa maggiore e minore, via Lattea e Croce del Sud in un effetto quasi magico. La sensazione è di essere in un tempio a cielo aperto. Oltre all'elemento più notevole della struttura che è senza dubbio il magnifico cielo stellato, dipinto da Giuseppe Maffei, all'interno della chiesa, le rose e le stelle a cinque punte appaiono ovunque, tutta la simbologia massonica si concentra con i suoi forti legami con la religione.
Elisabetta Cabiddu Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
La chiesa presenta alcuni aspetti ironici, ma non privi di significato come per esempio, nell’epigrafe all’ingresso della realizzazione della chiesa edificata “redempta Italia”, ovvero per l’Italia redenta: il riferimento è chiaramente, al 20 settembre e alla breccia di Porta Pia, un evento storico che molto di rado viene celebrato dall’architettura cristiana, nominando la struttura ecclesiastica non “ecclesiam”, come di norma, ma “templum”, un termine che, ancora una volta, ci rimanda inequivocabilmente alla sfera massonica. Sorpassando l'altare, nel retro della chiesa, si nota una porta sulla navata di destra, un elemento non consueto, forse utilizzato dai fedeli per uscire nel corso della predica o di entrare ad altre persone durante la funzione. Come se non bastasse, dietro all'altare viene realizzato un sali-scendi a gradini, forse usato per spiare dall'alto o forse come luogo cerimoniale massonico per l'iniziazione.
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Barbara Lamboley Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Samuele Silva Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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IL PARCO COMUNALE DI ROSAZZA Usciti dalla chiesa, Giovanni ci conduce verso il parco comunale, poco distante dalla piazza del sagrato. Non si fà a meno di notare che nell'area verde, accanto a un bar e giochi all'aperto, sorgono colonne in veste di rovine e uno dei due orsi in pietra, reduci da una rovinosa piena del torrente Pragnetta che nel maggio del 1916 inondò i locali del Castello. Al centro del parco, emerge una fontana a cascata, chiamata Fontana della Valligiana con alla base un lastrone di pietra su cui è scolpita una scritta enigmatica a lettere runiche che sarebbe stata incisa dal Maffei a copia di un’antichissima tavola autentica ritrovata lungo il corso del Rio Cervetto e mai decifrata. La scultura dell’orso è rivolta ai graffiti enigmatici, osservandoli, come se custodisse la soluzione.
Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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LE FONTANE PARLANTI Ci allontaniamo dal parco e percorriamo il paese, che è evidentemente disseminato di fontane, che testimoniano un grande lavoro dell'amministrazione comunale del tempo con l'aiuto di Federico Rosazza che fece realizzare un’impresa idraulica di grande utilità pubblica distribuendo l’acqua in tutto il paese attraverso una rete di tubazioni in ghisa. I cittadini chiamarono tali fontane “parlanti”, poiché le più importanti riportavano un cartiglio su cui sono scritte frasi di storia o di morale. Inutile dire che tali installazioni idriche, nella loro architettura riportano gli stessi simboli, la rosa e la stella a cinque punte. Entrando nel paese, ad esempio, ci s’imbatte nella fontana detta delle Balmacce, dedicata a San Giovanni Battista e alla Madonna Nera di Oropa. È risaputo che i due San Giovanni (Evangelista e Battista) sono un riferimento importante per la Massoneria, perché sono i patroni dei due solstizi, ma se avete qualche dubbio in proposito, spostate con il piede le foglie secche che ricoprono la base della fontana: vi troverete, scolpita nella pietra, una melograna, simbolo di fratellanza. Barbara Lamboley Photography
Andrea Barsotti Photography
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IL MUNICIPIO DI ROSAZZA Nel percorrere il paese, ci ritroviamo all'edificio del Municipio di Rosazza, anche lui costruito per volere di Federico Rosazza. L'attuale palazzo comunale, progettato da Giuseppe Maffei nel 1880-1881, fu voluto in origine per ospitare la sede del municipio di Piedicavallo, ai tempi comune della piccola frazione di Rosazza che ne dipendeva amministrativamente. Divenne invece sede del comune di Rosazza nel 1909 a seguito dell'autonomia comunale ottenuta nel 1906. Giuseppe Maffei, curò anche i piÚ minuti dettagli decorativi, sono particolarmente degne di nota la torre ornata da merlature ghibelline e l'armoniosa scala di marmo bianco che dà accesso ai piani superiori. Anche in questo caso non mancano gli elementi che riportano ad un evidente legame con la massoneria.
Giulio Pascali Photography
Elisabetta Cabiddu Photography
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IL CASTELLO DI ROSAZZA Uscendo dal centro del borgo, dopo una breve passeggiata con una lieve pendenza, si ammira già da lontano il Castello di Rosazza che affaccia sul torrente. La costruzione del castello, voluta da Federico Rosazza, ormai titolato come Senatore del Regno, già membro della Giovane Italia mazziniana e Gran Maestro Venerabile della massoneria biellese, fu avviata nel 1883 con l’innalzamento della torre guelfa e della palazzina sottostante, poi ampliata in due successive fasi, ed ebbe termine nel 1899, anno della morte di Federico, con il completamento della grande galleria dove il nobile intendeva esporre i suoi dipinti.
L’edificio fu progettato da Giuseppe Maffei sfruttando il tema dell’estetica della rovina: false muratura sbrecciate trattate con acido nitrico, finti colonnati ed architravi, allo scopo di richiamare gli antichi templi di Paestum e chiari riferimenti esoterici alla massoneria. L’arco di accesso al castello riproduce quello della città di Volterra; qui campeggiano le teste di tre valligiane con una stella a cinque punte tra i capelli. Oggi il castello rimane di proprietà privata e non è accessibile.
In punta alla Torre Guelfa, si possono distinguere 12 poltroncine scolpite nella pietra, il che lascia presupporre che fosse impiegata per svolgere assemblee importanti.
Chiara Borio Photography
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IL CIMITERO DI ROSAZZA Dove sorge oggi la chiesa parrocchiale, era l'antico luogo di sepoltura, che in concomitanza con la decisione di erigere una nuova chiesa si pensò di spostare il cimitero: l'area che occupava è stata liberata e il camposanto è stato trasferito a sud, in regione Fornaca.
Lo stesso elemento della clessidra ricorre poi sul bellissimo portale di legno scolpito, sul quale la vediamo come elemento inframezzato al ramo inferiore secco di rose con quello vivo e fiorito, palesando l’aspetto di rinascita dato dai rovi secchi alla base e alla nuova vita.
Per superare il Torrente Cervo è stato necessario costruire un ponte con tre arcate costituite da blocchi lapidei regolari, carreggiata con pavimentazione a lastre regolari e acciottolato compresa tra due balaustre laterali formate da colonne cilindriche di pietra.
Il ponte rappresenta da un punto di vista simbolico, l’archetipo del passaggio all'aldilà, svolgendo l’azione di connessione tra due mondi. Sui parapetti sono ancora presenti le stelle a cinque punte, mentre sul sentiero in acciottolato del ponte, sono tracciati, con pietre di colore bianco, 13 cerchi inframmezzati ad altri di diverso colore.
Anche il cimitero è un punto denso di simbologia chiarmente. Troviamo infatti alcune clessidre sulle testate delle spallette del ponte, quali hanno un preciso significato che non è solo quello dello scorrere del tempo. Tale simbolo è sempre stato molto apprezzato dagli alchimisti antichi: la metà superiore della clessidra raffigura il cielo, mentre la metà inferiore indica la Terra, simboleggiando la connessione tra il divino e il terreno.
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Il 13 rappresenta simbolicamente l’Alchimista e risulta in stretta relazione con l’universo dei sensi e delle forme, essendo un numero di rottura di un equilibrio e l’inizio di un processo nuovo e ignoto. I tredici tondi sul selciato del ponte scandiscono il percorso del defunto che si approccia alla sua ultima dimora ma anche verso un nuovo percorso in un’altra manifestazione.
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Andrea Barsotti Photography Giroinfoto Magazine nr. 57
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All’interno del cimitero si trovano, confuse tra le altre, alcune tombe massoniche, le identifichiamo anche con il posizionamento di una rosa rossa da parte dei cari. Ma il punto che attira il maggior interesse, poco avanti all'entrata, è senz’altro il centro, in cui troviamo un catafalco in pietra per il posizionamento della bara, circondato di lacrime di pietra bianca, sette per l’esattezza e che sono presenti ancora una volta nel rito massonico del terzo grado.
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e la rugiada che rappresentano l’aspetto della discesa benigna dell’influenza spirituale. Insomma, il paese di Rosazza è sicuramente un luogo ricco di fascino e mistero: passeggiare per le sue strade è un’esperienza imperdibile per chiunque si interessi di tradizione e storia con un po' di più di un pizzico di mistero.
Le lacrime possono rappresentare l’aspetto sentimentale che caratterizza la tristezza di chi rimane sulla terra, ma ad un livello superiore le lacrime possono essere considerate come la pioggia
ROSAZZA, IL BORGO PIÙ MISTERIOSO D'ITALIA
Cinzia Carchedi Photography
Si ringrazia di cuore il sig. Giovanni Gallazzi, membro della Proloco di Rosazza, che ci ha illustrato nei minimi dettagli la storia del paese aprendoci le porte della Chiesa. La Proloco di Rosazza ha l’ambizioso obiettivo di creare un legame forte e costante tra tutti i Rosazzesi e gli amici di Rosazza. E' un contatto sempre attivo ed aggiornato per anticipare e raccontare eventi, iniziative culturali o semplicemente, come ha fatto con il nostro gruppo, riportare alla luce e mantenere viva l’incredibile storia di questo piccolo borgo del Piemonte.
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ANTICHE PASSAMANERIE
A cura di Mariangela Boni
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Andrea Zanatta e Mariangela Boni
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A Pianezza, un paese a pochi chilometri da Torino, si trova un’eccellenza dell’industria manifatturiera italiana: la Antica Fabbrica Passamanerie Massia Vittorio. Ad accoglierci ci sono Massimiliano (detto Max) e il papà Vittorio. È una realtà che affonda le sue radici nel lontano 1685, come fabbrica di tessuti, ma è nel 1843 che si specializza in passamaneria: è la più longeva d’Europa a conduzione familiare e l’unica ancora attiva in Italia per quanto riguarda il restauro. Una tradizione che si tramanda di generazione in generazione e, oggi, a capo dell’azienda vi è Max Massia. Orgogliosi della loro attività e desiderosi di farla conoscere al pubblico, organizzano tour guidati dove con passione raccontano la storia dell’azienda, della passamaneria ed effettuano dimostrazioni pratiche. Per i fotografi è un paradiso: il trionfo di colori, gli antichi telai, gli ingranaggi, la luce che filtra dalle ampie finestre rendono questo posto una fonte continua d’ispirazione. Mariangela Boni Photography
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Mariangela Boni Photography
PASSAMANERIA Ma cos’è la passamaneria? Dal francese “passement” rimanda a un tessuto che si ottiene passando, ovvero intrecciando, i fili. La passamaneria risponde a due scopi diversi: uno funzionale, ovvero impedire che un tessuto si sfilacci tramite l’applicazione di bordure e orli; l’altro estetico, per arricchire e abbellire i tessuti. Può essere utilizzata qualsiasi fibra tessile: dalla seta al rayon, dal cotone all’acetato, dal lino alla raffia, dalla lana all’ottone, solo per citarne alcune. Col nome di “passamani” s'indica un numero assai ampio di tessuti e d'intrecci usati per guarnizione, come cordoni, fiocchi, trecce, frange, galloni… Come ci spiega Vittorio, prima dell’introduzione del sistema metrico decimale, se un tessuto non superava il palmo (circa 10 cm) era una passamaneria altrimenti era una stoffa.
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L’uso dei passamani ha origini antiche: le prime testimonianze risalgono alle tribù primitive che si ornavano con trecce, cordoni e ghirlande di fiori. Assai diffusa in Oriente, ne sono state trovate tracce nelle tombe degli antichi Egizi, come quella del faraone Ka (3100 AC). Sembra si siano diffusi in Europa durante le invasioni dei Mori. Un’altra teoria invece attribuisce un ruolo fondamentale alle crociate, durante le quali si sarebbero apprese le tecniche del macramè che sarebbero poi state trasmesse alle botteghe nel vecchio continente. Il ‘600-‘700 è il periodo più fiorente per questo settore. Dalla corte del Re Sole, che ne faceva ampio uso, si diffuse in tutte le corti europee.
Sotto Luigi XVI la passamaneria è stata suddivisa in varie sezioni, valide tutt’oggi: ARREDAMENTO: comprende guarnizioni per porte, quadri, tende e cuscini come galloni, bordi, cordoni e fiocchi… ABBIGLIAMENTO: le stoffe sono impreziosite da alamari, fiocchi, merletti… ECCLESIASTICO: per ornare le pianete, i drappi, i paramenti con galloni, frange, bindelline, tocche, cordoniere... CARROZZE E LIVREE: (oggi include anche altri mezzi di trasporto quali yacht, automobili e vetture ferroviarie) con fiocchetti per tendine, galloni, battentini, cuscini… MILITARE E COSTUMI TEATRALI: alamari, cordelline e dragone…per quanto riguarda l’ambito militare la passamaneria non è praticamente più utilizzata dalla prima Guerra Mondiale, da quando le divise hanno assunto una funzione mimetica.
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In origine le guarnizioni erano confezionate a mano, le prime applicazioni a macchina risalgono al 1748 in Inghilterra. Le trecciatrici, i telai e le macchine a crochet sono i tipi attualmente più in uso per la fabbricazione della passamaneria: i loro prodotti si differenziano nella lavorazione in quanto il telaio intreccia ad angolo retto l'ordito e la trama; la trecciatrice ha un unico ordito montato sopra i fusi che intreccia sé stesso; nella macchina a crochet è l’ordito che fa il punto catenella. Tutti e tre i tipi sono muniti di Jacquard. Oltre a queste macchine e a quelle ausiliarie, di preparazione e finitura, comuni agli altri generi di tessuti (incannatoi, spolatoi, orditoi, abbinatrici, ecc.), sono necessarie altre speciali come ritorcitrici per frange, macchine per agremani, cordonatrici, macchine per ciniglie macchine per filati di metallo, laminatoi per tirati di metallo, macchine per vergole, ecc. Dal Novecento purtroppo la passamaneria ha subito un lento declino.
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PASSAMANERIA MASSIA In origine la produzione Massia era sita a Torino, all’interno dell’Albergo di Virtù, in via delle Rosine. Viene poi spostata in via Bellezia, via Mercanti e via Della Basilica. L’edificio in via Della Basilica venne raso al suolo dai bombardamenti del 1943. Il nonno di Max, Giovanni, dopo la guerra, decise di concentrarsi di più sulla commercializzazione riducendo la produzione e concentrandosi sul negozio a poche centinaia di metri, in via Giuseppe Barbaroux, 20, aperto dal 1880. Il negozio è tutt’oggi attivo e conserva il suo antico splendore. L’insegna è quella originale e, ridendo, sostengono che è per questo motivo che di generazione in generazione chiamano un membro della famiglia Vittorio, per risparmiare sull’insegna e i biglietti da visita.
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TREK IN SCAMPIA ANTICHE PASSAMANERIE
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Varcando la soglia sembra che il tempo si sia fermato: al centro del soffitto campeggia un elegante lampadario in cristallo che illumina il bancone dove spiccano un magnifico registratore di cassa degli inizi del Novecento e un tirapezze. I preziosi tessuti sono riposti ordinatamente nelle vetrine in legno e le sedie Savonarola aggiungono il tocco finale di eleganza ed ospitalità. E in questa atmosfera accogliente e immutata non si fatica a immaginare la principessa Iolanda di Savoia, cliente abituale, intrattenersi a chiacchierare con la proprietaria. Per quanto concerne la produzione fu Vittorio a riattivare le attrezzature per occuparsi di restauro e di ricostruzione storica. Nel 2000 si trasferirono nella sede di Pianezza, nell’antica zona industriale. Attualmente nella fabbrica lavorano 17 persone. I collaboratori sono laureati in Restauro e Storia dell’Arte e per la formazione possono essere necessari dai 5 ai 10 anni. Questo è un lavoro che richiede precisione, competenza e, soprattutto, molta pazienza: basti pensare che per certi lavori il ritmo produttivo è di 10 cm al giorno…
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La produzione è suddivisa in due sezioni: Heritage e Day by day. I clienti della sezione Heritage sono antiquari, collezionisti, musei, teatri, residenze storiche e gruppi storici. Tra i loro clienti figurano diverse case reali, in primis i Savoia. Si possono ammirare i loro capolavori praticamente in tutte le residenze sabaude: da Palazzo Reale a Torino alla Reggia di Venaria, dal castello di Agliè a quello di Racconigi. Ma sono anche fornitori della Real Casa olandese per la quale hanno eseguito i restauri della carrozza gala della regina così come quelli delle carrozze usate per il matrimonio dell’Infante di Spagna. Al castello di Potsdam servivano 70 m di gallone broccato in oro per bordare le tende. Per decidere l’ordine e trovare la passamaneria in grado di farlo, ci sono voluti tre anni. Ai Massia ci è voluto un anno e mezzo dalla commessa alla consegna…per ottenere il gallone broccato si intrecciano 11 tipologie di oro e si confezionano al massimo 11 cm al giorno.
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Hanno lavorato per teatri di tutto il mondo: il Bolshoi di Mosca, l’Opéra Garnier di Parigi, il Colòn Di Buenos Aires, una settantina di teatri in Italia tra cui la Fenice di Venezia e il teatro Carignano a Torino. Con il Carignano c’è un legame speciale, infatti il sipario era stato commissionato al bisnonno di Max. Come tributo, in occasione del restauro, hanno riprodotto il sipario tale e quale e l’hanno donato al teatro. Poi vi sono i gruppi storici: Pietro Micca, Palio di Siena e Palio di Asti. Negli anni ’60 gli ornamenti interni dell’automobile del Papa e del Presidente della Repubblica erano firmati Massia. Il fatto che lavorino ancora a mano, abbiano un archivio fornitissimo (dove sono conservati campioni di passamanerie, libri specialistici, anime in legno tornito usate per confezionare fiocchi e bracciali) e utilizzino telai originali, è la chiave del loro successo nell’ambito del restauro.
Andrea Zanatta Photography
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La sezione Day by day invece si concentra sull’utilizzo di materiali innovativi quali neoprene, fibre di carbonio e fibre ottiche, con l’obbiettivo di rendere la passamaneria un accessorio contemporaneo. Importanti le collaborazioni con le case d’alta moda come Prada, Armani, Dsquared, Cavalli, Westwood…e con designer quali Dario Bartolini, Studio Marcante, Cqs e Cristina Celestino. Un accessorio alla portata di tutti è il “cocktail bracelet”: un braccialetto di rayon acetato e cotone, realizzato in 50 colori differenti che fanno riferimento ad altrettanti cocktail. All’interno della confezione vi è un kit per il taglio su misura permettendo a chiunque di essere passamantiere per un giorno. Un braccialetto da “indossare responsabilmente”, questo è il geniale slogan ideato per sponsorizzare questo prodotto. Un’idea che è piaciuta molto a Martini & Rossi e alla squadra di football americano Giaguari Torino. Max ci spiega che ciò che si vede nell’ambito della moda oggi, si riflette nell’arredamento dopo due o tre anni.
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Una linea che ha catturato la nostra attenzione facendoci tornare all’infanzia è “tassel brick”, dove ad impreziosire i passamani ci sono delle creazioni realizzate con i colorati mattoncini lego. Poco lontano scorgiamo su un tavolino un pezzo che non passa di certo inosservato, un bracciale per mobili tempestato di Swarovski: scopriamo che Michael Jackson ne aveva commissionati alcuni. Ci sono anche collezioni realizzate utilizzando pezzi della dama e degli scacchi…insomma, la fantasia è un ingrediente fondamentale e in casa Massia non manca di certo: pensate che ogni anno vengono ideati dai 200 ai 300 prototipi!
Mariangela Boni Photography
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LA FIRMA Nel mondo dei tessitori è tradizione apporre una firma nei tessuti di alta gamma, un marchio distintivo. La firma dei Massia è un filo viola. La scelta del colore è da ricercare in una storia che ha origini lontane e la vogliamo raccontare a modi fiaba. C’era una volta, agli inizi dell’Ottocento, un giovane uomo di nome Vittorio. Il nostro protagonista era innamorato della bella Antonietta e avrebbe voluto coprirla di regali, ma Vittorio non poteva permettersi doni costosi come ombrellini, coprispalle, ventagli o pietre preziose. Dovete sapere che all’epoca solo i nobili potevano indossare il colore viola. Vittorio non si perse d’animo e trovò comunque il modo di far sentire la sua amata una principessa: nelle sue passeggiate lungo il Po si chinava a raccogliere le viole più fresche e più belle da portarle in dono. Antonietta accoglieva con gioia questi delicati fiori e li conservava con cura o li trasformava in deliziose e profumate caramelle. E vissero felici e contenti.
Ringraziamo la famiglia Massia per l’ospitalità.
Mariangela Boni
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Mariangela Boni Photography
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112 PRESENTA
WORKING GROUP 2019
BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project
PIEMONT
ITALIA
E
L OMBARDI
A
LAZIO
ORINO ALL AMERICAN
REPORT
Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 57
LIGURIA
STORIES
GIROINFOTO MAGAZINE
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COME FUNZIONA
Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.
Impara Condividi Divertiti Pubblica
CHI PUÒ PARTECIPARE
Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.
PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.
SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto si trova a Torino con sezioni a Genova, Milano e Roma. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.
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A cura di Isabella Nevoso Tutti noi abbiamo un sogno nel cassetto. Il mio era realizzare un viaggio nell'arcipelago del Sol Levante. Per farlo avverare ho fatto alcuni sacrifici, ho passato i miei 5 anni di università oltre che a studiare anche a lavorare per risparmiare ogni centesimo comprese le borse di studio e, come volevasi dimostrare, ne è valsa la pena. Credo di essermi appassionata a questo Paese, come tante altre persone, con i famosi cartoni animati giapponesi: gli anime. Nonostante i luoghi comuni occidentali, gli anime sono sì un prodotto di intrattenimento commerciale, ma anche un fenomeno culturale popolare di massa e una forma d'arte tecnologica. Oggi potrei definirmi otaku, una parola giapponese per identificare un soggetto particolarmente dedito ad alcune attività. Nel mio caso la passione risiede nel leggere manga, i fumetti giapponesi, guardare anime e collezionare oggetti di alcune storie majokko, e cioè racconti di ragazze magiche che si trasformano in eroine dai poteri speciali e paladine che combattono il male. Partendo dalla passione scatenata da questo mondo fantastico, nasce il desiderio di essere avvolta dalla realtà nipponica, quella vera. Vi porterò nella piccola città di Nara, una delle culle della civiltà giapponese.
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Il viaggio, organizzato interamente in maniera autonoma, ha avuto inizio il 31 dicembre 2019 da Milano dove sono salita sull'aereo che, dopo uno scalo a Parigi, mi ha dato modo di festeggiare due Capodanni: quello europeo e quello asiatico. La scelta di volare a Capodanno è stata anche dettata dal fatto che spesso le compagnie aeree riducono i prezzi nei giorni di festa come Natale e Capodanno. Essendo feste che solitamente si passano con la famiglia oppure in luoghi di vacanza, i voli non sono poi così gettonati. Ecco un piccolo consiglio per risparmiare qualche euro in vista di un viaggio abbastanza costoso come lo è il Giappone. Ho scavato a fondo e fatto tantissime ricerche per organizzare tutto al meglio con l'obiettivo di viaggiare nel modo più economico possibile.
Esistono tipologie molto differenti di luoghi in cui dormire in Giappone, ed una delle soste notturne predilette dai businessmen sono i Capsule Hotel. Alberghi con zone letto ridotte alla dimensione di un essere umano, in cui poter solo dormire. Costano poco e consentono al lavoratore di pernottare vicino alla zona in cui lavora, per evitare di fare quotidianamente molti chilometri in treno.
Finalmente, dopo più di 10 ore di volo, sono arrivata a Narita, poco distante da Tokyo. Da qui ho preso il treno Sakura per arrivare ad Osaka, prima città in cui ho dormito. La stanza d'albergo era molto piccola ed il bagno era quello caratteristico giapponese, infatti si trovava ad un piano rialzato ed era un modulo inserito all'interno della camera. Non vedevo l'ora di usare il wc con tavoletta riscaldata e il tastierino digitale per avviare le mille funzioni. Giroinfoto Magazine nr. 57
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Il secondo giorno in Giappone eccomi finalmente a Nara, un concentrato di arte e cultura nipponiche. Nara, anticamente provincia di Yamato e capitale del Giappone per quasi tutto il 700, è una prefettura giapponese dell'isola di Honshū, la più grande dell'arcipelago. Questo capoluogo si contraddistingue in particolar modo per una singolare caratteristica molto famosa in occidente: l'uomo può stare totalmente a contatto con i cervi shika, tipici dell'Asia. Oltre a questo interessante aspetto, nel 1998 Nara è stata dichiarata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO. Piccolo posto, enorme importanza. Nara è quel tipo di luogo che gli inglesi potrebbero definire come hidden gem, e cioè un posto di bellezza unica nel suo genere. Per arrivare a Nara, da Osaka, città in cui ho alloggiato le prime cinque notti del mio viaggio, ho preso un treno che mi ha portata alla stazione principale. Il percorso è stato di circa un'ora e dai finestrini ho potuto osservare un po' di Giappone meno convenzionale. Casette tenute in modo certosino, strade tranquille e apparentemente silenziose ed un po' di zone isolate.
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Una volta arrivata alla stazione di Nara, per poter raggiungere il parco, e quindi i famosi cervi, ho semplicemente seguito il flusso di visitatori davanti a me. Il bello di aver visitato la città tenendo il GPS spento e affidandomi all'intuito, per me è stata pura serendipità. Questo mi ha dato la gioia di assaggiare per la prima volta il gelato nero al sesamo, e anche un dolce tradizionale giapponese a base riso glutinato, il mochi. L'ho potuto assaggiare appena fatto, al gusto di matcha e ripieno di anko, la tipica marmellata giapponese di fagioli rossi. Se capitate da quelle parti, provatelo. È una prelibatezza e costa poco meno di 1,50€.
Dopo un po' di camminata, eccomi finalmente giunta dall'immenso parco che, oltre ai cervi, conta anche molte strutture tipiche religiose giapponesi che fanno parte del tempio buddhista Tōdai-ji, che letteralmente significa Grande tempio orientale, e Kofuku-ji, ma ne parlerò più avanti.
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Arrivata all'inizio del percorso mi sono guardata attorno e ho visto i visitatori, che ho seguito fin lì, diramarsi. Alcuni proseguivano dritti in salita, altri percorrevano una scalinata enorme alla mia sinistra. Alla fine ho scelto di andare dritta anche io, iniziando a vedere i primissimi cervi. Avevo finalmente poggiato i piedi sul suolo del famoso Nara koen, il parco di Nara. Cervi maschi, femmine, cuccioli, adulti. Un'atmosfera unica.
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Ammetto, però, che ho provato un po' di tristezza nel vedere i maschi adulti con le corna tagliate. Presumo l'avessero fatto per evitare che si ferissero tra loro durante la lotta per la proclamazione del maschio alfa. Per rendere i cervi un po' più docili è possibile acquistare in loco dei biscotti a forma di disco, realizzati appositamente per loro. Non sembravano andarne ghiotti, ma sicuramente era un ottimo modo per potersi avvicinare e fargli qualche carezza. Personalmente ho preferito non dare troppa confidenza, poiché quello che normalmente viene scambiato come inchino da parte dell'animale per chiedere il cibo, in realtà è il passaggio prima della carica.
Come dicevo pare che i biscotti non fossero molto apprezzati dai cervi. Al contrario sono state apprezzate le bucce della patata dolce arrostita che ho comprato come snack. Forse serviva solo mangiare qualcosa di diverso da quei dischetti insipidi...e sì, li ho assaggiati!
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Il parco di Nara è veramente enorme e, tra un cervo e l'altro, sono capitata anche di fronte a Daibutsu-den, cioè la sala principale del tempio Tōdai-ji, considerata la più grande struttura in legno del mondo.
All'interno della Daibutsu-den è conservata la statua del Daibutsu, alta ben 15 metri e rappresentante il Buddha Vairocana. Si narra che per la costruzione di queste 440 tonnellate di scultura vennero consumate tutte le risorse di bronzo del paese. Guardando frontalmente la statua, alla sua destra è posizionata la dea Nyoirin Kannon, un'altra figura del culto buddhista, signora della compassione e dea della misericordia, risalente al 1709.
Di fronte alla sala che ospita e conserva il Vairocana, vi è la famosa lanterna ottagonale alta 5 metri che è stata costruita nello stesso periodo del santuario. Questa lanterna ha le sembianze di una piccola pagoda in miniatura e i pannelli che la costituiscono sono decorati con dei musicisti orientali. Il Tōdai-ji venne edificato sotto il dominio dell'imperatore Shomu per esaltare la magnificenza del Vairocana Buddha, ma non serviva solo come luogo di preghiera, bensì anche come centro di ricerche delle dottrine buddhiste. L’inizio della sua costruzione è stato datato intorno al 743.
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Seppure buddhista, oggi il rito del visitatore somiglia molto a quello delle nostre chiese. Si entra nel luogo sacro, si dà un'offerta lanciando una moneta in un'apposita cassa, si prende un bastoncino di incenso e lo si attiva per poi lasciarlo nel bruciatore. Se l'odore dell'incenso non è tra i vostri preferiti, meglio stare distanti dal centro dell'ingresso, luogo in cui è posizionato il bruciatore.
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Nara vanta diversi luoghi di culto. Infatti, come precedentemente menzionato, vi è un altro tempio buddhista, il tempio Kofuku-ji costruito al tempo in cui Nara divenne capitale ed era di proprietà della famiglia Fujiwara, una delle più potenti famiglie dell'epoca. Kofuku-ji inizialmente contava ben 150 edifici, ma solo alcuni sono rimasti oggi visibili e visitabili poiché, come tanti altri complessi di strutture religiose in Giappone, anche questo ha subito danni dovuti al fuoco. Oggi esistono ancora pochi elementi di questo tempio, tra cui la pagoda a cinque piani e la stanza principale, la Central Golden Hall. Quest'ultima è stata resa nuovamente accessibile al pubblico da ottobre 2018 dopo l'ultimo restauro che riproduce fedelmente la prima versione del 714. Nara è una bomboniera a cielo aperto. È uno di quei piccoli luoghi che bisogna vedere più volte nella vita, seppure le guide dicano che basti un giorno per girarla.
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Però Nara è ricca di storia e proprio per questo, a me, un giorno non è bastato. Sento la necessità di tornare per approfondire la mia conoscenza di questo luogo. Sono spinta da dentro a rivedere nuovamente i suoi angoli e imprimere ancora di più la sua cultura dentro di me. E poi dovrò pur mangiare un altro buon gelato al sesamo e un tiepido mochi al matcha! Al calar del sole ho dovuto lasciare la città di Nara per continuare il mio viaggio alla scoperta del Giappone. La tappa successiva è stata Kyoto per poi terminare il viaggio a Tokyo. Se avete l'occasione, non esitate ad intraprendere un viaggio in questo Paese ricco di cultura, arte e curiosità.
Isabella Nevoso
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1. MULLICAN Bulletin Board 1979 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich
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6. MULLICAN Bringing sunlight into the windowless classroom (John Baldessarri) and burning a leaf in that room. Class exhibition 1973 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich
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Matt Mullican Fotografie
Catalogo 1967–2018
La prima monografia completa delle fotografie di Mullican dagli anni ’70 ad oggi a cura di Roberta Tenconi Testi di Marie-Luise Angerer, Matt Mullican, Tina Rivers, Anne Rorimer, Roberta Tenconi, James Welling SKIRA editore
La presente pubblicazione raccoglie l’intero lavoro fotografico di Matt Mullican dal 1967 al 2018 ed è realizzata in occasione della sua mostra personale “The Feeling of Things”, tenutasi nel 2018 in Pirelli HangarBicocca. Il medium fotografico, ampiamente impiegato dall’artista, è investigato per la prima volta in questo volume, attraverso la collezione di tutte le fotografie analogiche degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta – tra cui i primi due esempi scattati all’età di quindici anni e la serie completa di Untitled (Dead Man and Doll) (1973–74) – fino ai più recenti scatti e serie digitali. Sono inoltre incluse le immagini realizzate da That Person, alter ego di Mullican, e vedute della mostra in Pirelli HangarBicocca, eccezionalmente documentata dall’artista stesso. La pubblicazione include una straordinaria sezione composta da mille immagini – suddivise in cinque capitoli corrispondenti alla cosmologia di Matt Mullican – corredate dalle annotazioni originali e da brevi testi introduttivi dell’artista. Il libro presenta inoltre una conversazione tra Mullican e l’artista, amico e fotografo James Welling, contributi critici di Anne Rorimer e di Tina Rivers Ryan sull’utilizzo delle immagini e della fotografia digitale, insieme a un dialogo tra l’artista e il curatore della mostra Roberta Tenconi. Un testo della filosofa Marie-Luise Angerer approfondisce infine l’idea del “sentire” e percepire le cose. Il volume prosegue l’indagine sul corpus di lavori di Matt Mullican iniziata con “Mullican. Rubbings. Catalogue. 1984–2016”, che raccoglie tutti i rubbings su tela realizzati dall’artista, e ne richiama la grafica. 2019, Skira / Pirelli Hangar Bicocca edizione italiana e inglese 17,5 x 23 cm, 608 pagine 914 colori, cartonato.
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11. MULLICAN Elements 1988–90 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich
15. MULLICAN Sky and ground, hot and cold 2001 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich
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16. MULLICAN Texture mapping 2002–03 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich
19. MULLICAN Experiments with light in the digital studio 1994–95 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich
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30. MULLICAN People on the street 1973 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich Giroinfoto Magazine nr. 57
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36. MULLICAN Computer Project 1988–91 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich
25. MULLICAN Colored light in studio Light boxes 1995 Courtesy Matt Mullican and Mai 36 Galerie, Zurich
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INSIDE “ON THE WALL”
ARTE PUBBLICA PER IL TERRITORIO
Monica Gotta Photography
ARTE PUBBLICA PER IL TERRITORIO A cura di Monica Gotta Foto Stefano Zec e Monica Gotta Giroinfoto Magazine nr. 57
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Tellas
tellas.org Fabio Schirru, artista sardo, inizia a sviluppare le sue idee e la sua arte negli ambienti rurali della sua terra d’origine. Nasce così la sua visione soggettiva e personale della natura e del paesaggio. Nella sua evoluzione artistica ha sviluppato e sperimentato diversi linguaggi espressivi fino a diventare un artista conosciuto ed apprezzato a livello mondiale.
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LUGLIO 2020 Un anno dopo l’inizio del progetto di riqualificazione del quartiere di Certosa – ON THE WALL – ci ritroviamo in compagnia dell’Arch. Emanuela Caronti, curatrice del progetto per la realizzazione di un altro muro ad opera dell’artista Tellas. Come ci spiega la curatrice questo murale era già previsto fin dallo scorso 2019 ma, per vari motivi, lo si è realizzato solamente ora. Questa volta sarà il grigio edificio di FILSE BIC Incubatore di Impresa ad essere dipinto nei suoi 150 metri di lunghezza e circa 15 metri d'altezza, facendo di quest'opera una delle più grandi d'Italia. Il nuovo murales è di fronte alla cabina di E-Distribuzione dipinta dall’artista olandese Zedz l’anno scorso. Ciò permetterà a coloro che si muovono lungo il torrente Polcevera di avere una visione rinnovata dell’area, connessa anche al nuovo ponte “Viadotto Genova-San Giorgio”. Questi due murale e il nuovo ponte saranno un colorato portale d’ingresso verso il quartiere di Certosa, oggi museo a cielo aperto grazie a questo percorso di consapevolezza artistica, sociale e culturale. Vedi Giroinfoto magazine 46 - Agosto 2019
Monica Gotta Photography
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INSIDE “ON THE WALL”
Monica Gotta Photography
In questo momento post COVID-19, dove ci siamo resi conto di quanto la natura sia viva e presente anche nelle aree urbane e dove molti si sono trovati a desiderare di immergersi nuovamente e totalmente in lei, Tellas ha dipinto un muro a tema natura. L’artista ci rivela che questo disegno fa parte di una serie di dipinti chiamata Spontaneous. Non esiste una bozza di questo disegno, è nata un’idea ed è stato creato man mano che Tellas e il suo assistente dipingevano il muro. Quest’opera inizia con un colore molto chiaro, quasi bianco, per poi svilupparsi in una sfumatura di colore verde acquamarina sempre più scura. Allo stesso tempo sul muro evolvono boccioli, fiori, foglie, intrecci di natura viva che tendono naturalmente verso monte, verso il nuovo ponte genovese. Ciò rende il colpo d’occhio ancor più d’effetto. Rientrare INSIDE “ON THE WALL” è stato un nuovo tuffo nel fantastico mondo della Street Art!
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Stefano Zec Photography
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Monica Gotta Photography
Stefano Zec Photography
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Stormy Dinant Autore:Stefano Astorri Dinant (Belgio) Giroinfoto Magazine nr. 57
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he sound of June's rain Autore: Raimondo Enrico Porticciolo Romano di Gianola
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Parfum de lavande Autore: Claudia Lo Stimolo Sale San Giovanni (CN) Giroinfoto Magazine nr. 57
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Lago del Montozzo
Autore: Icaro Pigolotti Lago del Montozzo - Rifugio Bozzi mt 2.478 Val di Viso - Valle Camonica Parco dello Stelvio Lombardia Giroinfoto Magazine nr. 57
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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 20 Agosto 2020
www.giroinfoto.com Giroinfoto Magazine nr. 57
Conoscere il mondo attraverso un obbiettivo è un privilegio che solo Giroinfoto ti può dare veramente.
APPASSIONATI A NOI
PHOTO T R AV E L
M AG A Z I N E
Costiera di Morsasco - Monferrato Giancarlo Nitti
www.giroinfoto.com