N. 68 - 2021 | GIUGNO Gienneci Studios Editoriale. www.giroinfoto.com
N.68 - GIUGNO 2021
www.giroinfoto.com
Polpetta Tutto è polpettabile Band of Giroinfoto
ORTO BOTAICO GENOVA Band of Giroinfoto
USSEAUX BORGHI PIEMONTESI Band of Giroinfoto
TEATRO MASSIMO PALERMO Band of Giroinfoto Photo cover by Laura Rossini
WEL COME
68 www.giroinfoto.com GIUGNO 2021
LA REDAZIONE
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GIROINFOTO MAGAZINE
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Benvenuti nel mondo di
Giroinfoto magazine
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Novembre 2015, da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’outdoor, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio.
Oggi Dopo più di 5 anni di redazione e affrontando un anno difficile come il 2020, il progetto Giroinfoto continua a crescere in modo esponenziale, aggiudicandosi molteplici consensi professionali in tema di qualità dei contenuti editoriali e non solo. Questo grazie alla forza dell'interesse e dell'impegno di moltissimi membri delle Band of Giroinfoto (i gruppi di reporter accreditati alla rivista e cuore pulsante del progetto) , oggi distribuite su tutto il territorio nazionale e in continua crescita. Una vera e propria community, fatta da operatori e lettori, che supportano e sostengono il progetto Giroinfoto in una continua evoluzione, arricchendosi di contenuti e format di comunicazione sempre più nuovi.
Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati.
Per l'anno 2021 affronteremo nuove sfide per offrire ancora più esperienze alle nostre band e ai nostri lettori, proiettando i contenuti su nuove frontiere dell'intrattenimento, oltre la carta stampata, oltre l'on-line reading, oltre i social, per rendere più forte la nostra teoria di aggregazione fisica, reale interazione sociale e per non assomigliare sempre di più a "pixel", ma a persone in carne ed ossa che interagiscono fra di loro condividendo la passione della fotografia, della cultura e della scoperta.
Un largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili.
Un sentito grazie per averci seguito e un benvenuto a chi ci seguirà da oggi, ci aspettano esperienze indimenticabili da condividere con tutti voi.
Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti.
Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti
Giroinfoto Magazine nr. 68
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Giroifoto è
Editoria
Ogni mese un numero on-line con le storie più incredibili raccontate dal nostro pianeta e dai nostri reporters.
Attività
Con Band of Giroinfoto, centinaia di reporters uniti dalla passione per la fotografia e il viaggio.
Giroifoto è
Promozione
Sviluppiamo le realtà turistiche promuovendo il territorio, gli eventi e i prodotti legati ad esso.
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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI
Progetto editoriale indipendente
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ANNO VII n. 68
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20 Giugno 2021 DIRETTORE RESPONSABILE ART DIRECTOR Giancarlo Nitti CAPO REDATTORE Mariangela Boni RESPONSABILI DELLE ATTIVITÀ Barbara Lamboley (Resp. generale) Adriana Oberto (Resp. gruppi) Barbara Tonin (Regione Piemonte) Monica Gotta (Regione Liguria) Manuel Monaco (Regione Lombardia) Gianmarco Marchesini (Regione Lazio) Isabella Bello (Regione Puglia) Rita Russo (Regione Sicilia) Giacomo Bertini (Regione Toscana) Bruno Pepoli (Regione Emilia Romagna) COORDINAMENTO DI REDAZIONE Maddalena Bitelli Remo Turello Regione Piemonte Stefano Zec Regione Liguria Silvia Scaramella Regione Lombardia Laura Rossini Regione Lazio Rita Russo Regione Sicilia Giacomo Bertini Regione Toscana
giroinfoto TV LAYOUT E GRAFICHE Gienneci Studios PER LA PUBBLICITÀ: Gienneci Studios, hello@giroinfoto.com DISTRIBUZIONE: Gratuita, su pubblicazione web on-line di Giroinfoto.com e link collegati.
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CONTATTI email: redazione@giroinfoto.com Informazioni su Giroinfoto.com: www.giroinfoto.com hello@giroinfoto.com Questa pubblicazione è ideata e realizzata da Gienneci Studios Editoriale. Tutte le fotografie, informazioni, concetti, testi e le grafiche sono di proprietà intellettuale della Gienneci Studios © o di chi ne è fornitore diretto(info su www. gienneci.it) e sono tutelati dalla legge in tema di copyright. Di tutti i contenuti è fatto divieto riprodurli o modificarli anche solo in parte se non da espressa e comprovata autorizzazione del titolare dei diritti.
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POLPETTA Tutto è polpettabile Band of Giroinfoto Lazio
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CHIARA FERRARIS Il vetro diventa arte Band of Giroinfoto Piemonte
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VOMV GAZ Sul relitto A cura di Pierluigi Peis
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TEATRO MASSIMO Vittorio Emanuele Band of Giroinfoto Sicilia
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PROVE DI LIBERTÀ Riccardo Ghilardi Skira Editore
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ORTO BOTANICO Genova Band of Giroinfoto Liguria
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NOTO La perla barocca e il saluto alla primavera A cura di Giulia Migliore
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LIBRERIA LUXEMBURG Oltre un secolo all'insegna della cultura Band of Giroinfoto Piemonte
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USSEAUX Uno scrigno di rare bellezze Band of Giroinfoto Piemonte
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POLPETTA
A cura di Laura Rossini
Gianmarco Marchesini Laura Rossini Marta Petrucci
Laura Rossini Photography
Nella vita si deve avere sicuramente una buona dose di fortuna, ma per avere successo si deve partire dal duro lavoro, dalle proprie radici, dall’esperienza, dalla consapevolezza di se stessi e dei propri limiti, il tutto condito da una buona dose d’incoscienza e visione pura delle cose, come quella dei bambini.
Marta Petrucci Photography
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POLPETTA
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Possiamo riassumere in questa ricetta l’intervista che Giovanni Nerini, chef nonché socio fondatore della catena di Ristoranti Polpetta, ci ha rilasciato nell’incantevole cornice della terrazza giardino del locale di Trastevere. Ci troviamo al centro del quartiere più famoso della movida romana, all’ombra della porta Settimiana, che storicamente rappresenta l’unica parte del complesso delle mura Aureliane ancora conservata intatta sin dalle origini e nel luogo dove fu costruita. Oggi è totalmente integrata nel contesto urbano, e la vista che se ne gode dalla terrazza del ristorante fa sì che questa sede sia il fiore all’occhiello dalla catena senza nulla togliere alle altre location: Gazometro, Monti e l’ultima nata Fiumicino.
Laura Rossini Photography
Marta Petrucci Photography
Marta Petrucci Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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POLPETTA
Marta Petrucci Photography
Il fascino di questo luogo ha anche un altro volto, quello del poeta della romanità. Le mura sono, infatti, quelle dell’osteria in cui Trilussa amava trascorrere il suo tempo. Non è difficile immaginarlo seduto in una saletta al tavolo, mentre legge il giornale, scrive o prende ispirazione dai momenti di vita che intravede dalle finestre che danno sulla strada, come uno spettatore davanti a un film. La prima domanda nasce spontanea:
"Cosa vuol dire #tuttoèpolpettabile? È un’espressione che mi è uscita all'inizio di questo percorso, mentre pensavo a quali polpette potessi fare e a poco a poco la lista delle possibili polpette diventava sempre più lunga. Pensavo a diverse ricette e come potessi “polpettizzarle”, quindi mi sono detto: "praticamente...tutto è polpettabile!"
"È nata prima l’idea di aprire un locale, oppure di trovare un luogo dove servire solo polpette?" Diciamo che sono nati quasi insieme. Sapevo che se avessi aperto un locale di polpette avrebbe avuto sicuramente successo, ma al tempo ero ancora impegnato in alcune consulenze. Poi quelli che al tempo erano degli amici e che oggi sono anche miei soci, mi hanno detto che avevano trovato un locale in via del Gazometro e così è nato il primo locale "Polpetta".
Laura Rossini Photography
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Gianmarco Marchesini Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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POLPETTA
Dall’antipasto al dolce, quali sono fino a oggi i piatti che ti hanno dato più soddisfazione e quali invece hanno riscosso più successo? Tanti piatti mi hanno dato molta soddisfazione. Per citarne alcuni le polpette di Goulash, o quelle di Sacher o di Red Velvet. Molte hanno riscosso molto successo, difficile dire quali. Dovendo citarne qualcuna: le polpette alla fiamminga, un piatto che ho mangiato molti anni fa nel nord della Francia e che ho polpettizzato; poi quelle di saltimbocca alla Romana o quelle di zucca alla mantovana. Tra i dolci, quelle di pan di stelle e le polpette di Mimosa.
Varcherete i confini di Roma aprendo altri locali? Sicuramente ci piacerebbe aprire a Milano, per 2 motivi. Il primo e principale è che per far crescere il Brand è importante aprire in una città come Milano. Il secondo è che è la mia città Natale, ho tantissimi amici a Milano e sarebbe l'occasione per rivederli tutti. Tra l'altro loro non vedono l'ora, al momento si devono accontentare delle fotografie che vedono sui social. Gianmarco Marchesini Photography
Marta Petrucci Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Marta Petrucci Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Marta Petrucci Photography
La polpetta è un piatto tipico romano? Purtroppo no, è sicuramente un piatto che sentiamo nostro ma non ha origini romane, tantomeno italiane. Non ci sono certezze, ma la teoria più accreditata ne riconosce la paternità alla Persia. La carne pestata del Medio Oriente arrivò in Europa con gli arabi. Di sicuro però il primo a scrivere ricette nei suoi libri di cucina fu il cuoco romano Marco Gavio Apicio tra il 25 a.C. e il 35 a.C. Abbiamo adottato questo piatto facendolo nostro e declinandolo lungo tutto lo stivale, come fosse un dialetto. Dai canederli alle polpettine affogate nel ragù napoletano della domenica. Siamo affezionati alle polpette al sugo perché le associamo all’amore che le nostre nonne o mamme mettevano nella lunga e lenta cottura a fuoco dolce. Un piatto semplice, povero e genuino che potevi mangiare a casa perché sapevi che veniva preparato con carne sceltissima, con gli odori dell’orto e con la passata fatta in casa con i pomodori San Marzano della raccolta di Settembre. Nei ristoranti, in passato, era caldamente sconsigliato ordinare polpette perché alcuni ristoratori, tentati dal Dio risparmio, avrebbero potuto utilizzare gli avanzi dei giorni precedenti come ingredienti. In questo ristorante la procedura di cottura è rigorosamente tradizionale, le materie prime sceltissime e il risultato è strabiliante: ti senti a casa!
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Scarpetta o Galateo? La qualità del servizio sta anche nel saper leggere le espressioni sui volti degli avventori. Qui può capitare che prima di portare via il piatto con un po’ di sugo rimasto, il cameriere chieda: desidera altro pane per fare la scarpetta? La risposta ve la lasciamo immaginare e non rientra nelle regole previste dal Galateo.
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Semplice e facile? Non c’è nulla di semplice nello studiare una ricetta e riprodurre sapori, odori e consistenze di un intero piatto da concentrare in un solo morso. L’impresa è riuscita perché nel menù, dall’aperitivo al dolce, si susseguono pietanze gustose e sfiziose. Si comincia con l’aperitime un momento di chiacchiere e convivialità intorno ad assaggi gustosi dalla sempre perfetta forma sferica. Fare palline perfettamente tonde e della stessa dimensione è un’arte.
L’antipasto della casa è composto da una polpetta di pecorino e ricotta su un letto di rucola e acciughe, una di mortadella con pistacchi, crema di formaggio e glassa di aceto balsamico, e per finire una di ‘nduja, mascarpone e crostini di pane.
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Siamo rimasti talmente soddisfatti che il piatto post assaggio ci è sembrato la migliore rappresentazione oltre a essere un quadro di colori e forme.
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POLPETTA
Ci vuole coraggio a inserire delle polpettine all’interno della più classica ricetta della pasta alla carbonara, eppure lo chef ha trasformato un piatto della tradizione in una esplosione di gusto. Il piatto forte è sicuramente la cassetta con assaggi diversi, ma Giovanni non ha confini e ha ideato piatti fusion come le polpette in salsa teriyaki servite con riso al vapore, semi di sesamo ed erba cipollina.
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Immancabile il trionfo di dolci dove la regina incontrastata è la cheesecake. La professionalità non si improvvisa, dietro c’è lavoro, studio, viaggio e curiosità. E se questa è un’avventura tra amici cominciata per caso, vediamo dove li porterà. Al momento non resta che seguirli nella nuova apertura di Fiumicino, senza dimenticare il sempre spettacolare Gazometro e quartiere Monti. E a chi non è di Roma, ci spiace, non rimane che aspettare. Coming soon a Milano. Ringraziamo Polpetta per l’ospitalità e Giovanni Nerini per averci permesso di entrare nel suo mondo dove tutto ha la forma di una sfera simbolo di perfezione, equilibrio ed equità.
www.polpetta.it
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CHIARA FERRARIS
A cura di Margherita Sciolti A Torino, nel quartiere Campidoglio, tra corso Svizzera e corso Tassoni, e più precisamente in Via Levanna possiamo trovare il laboratorio di vetrofusione e decorazione Chiara Ferraris, Art and Glass Fusing. Chiara Ferraris è titolare di una Bottega artigiana da oltre vent’anni e si occupa di arte vetraria e principalmente di vetrofusione.
Giancarlo Nitti Margherita Sciolti Maria Grazia Castiglione Massimo Tabasso
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CHIARA FERRARIS
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Dopo essersi diplomata al Liceo Scientifico e Laureata in Storia della Miniatura presso la facoltà di lettere di Torino, volendo svolgere un’attività nell’ambito del restauro, ha frequentato i due anni di scuola serale per Artigiani e Restauratori. Di sera studiava e di giorno andava in Bottega, imparando l’arte dai vecchi vetrai che le hanno permesso di innamorarsi del vetro. È stato amore a prima vista. Ha poi continuato a specializzarsi al fine di affinare le tecniche di lavorazione del vetro, di restauro e di pittura. Nel 2000, dopo tre anni di esperienze in varie Botteghe, decide finalmente di coronare il suo sogno e aprire la Sua attività di Via Levanna dove crea tutte le sue opere e dove spesso accoglie giovani del politecnico o giovani ragazzi che vogliono imparare il mestiere artigiano. Chiara infatti ama trasmettere le sue conoscenze ai giovani cercando di trasferire, oltre che le tecniche di lavorazione, anche l’amore per l’arte e per il restauro. Oltre a organizzare corsi privati è anche docente dal 2006 presso la Scuola Artigiani Restauratori Maria Luisa Rossi e dal 2007 presso la Scuola Orafi Enzo Ghirardi di Torino. La sua attività di Docente si è arricchita partecipando, ormai da decenni, al Progetto Bottega Scuola della Regione Piemonte, in qualità di Maestro di Bottega al fine di trasmettere le sue conoscenze e le sue passioni ai giovani.
Massimo Tabasso Photography
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CHIARA FERRARIS
Margherita Sciolti Photography
Molto presto, proprio grazie ai suoi studi e alle sue esperienze nelle varie Botteghe Artigiane le viene conferito, dalla Regione Piemonte, il marchio di “Eccellenza Artigiana”. Negli anni ha promosso le sue creazioni partecipando a numerose Esposizioni d’Arte sia in Italia che all’estero. Nel 2003, per esempio, ha esposto i suoi lavori presso la Fiera di Settore di Dubai. Chiara nel suo lavoro ha ricercato l’espressione estetica cercando sempre di valorizzare ogni suo lavoro attraverso i colori e il vetro. Ha sempre cercato nuovi stimoli per migliorarsi dal punto di vista tecnico e artistico. Nel 2006, in collaborazione con la Fondazione Pistoletto di Biella, a dimostrazione dell’impegno profuso nel suo lavoro, realizza un oggetto-scultura in occasione dell’evento “Cubi in Movimento” che l’ha portata a partecipare ad un convegno al Museo di Arte Contemporanea Mart di Trento come relatrice ed espositrice. Spesso è stata scelta per esporre le sue opere presso mostre sponsorizzate e svolte dalla Regione Piemonte relativamente all’Artigianato Artistico d’Eccellenza del vetro.
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Dopo la nascita del figlio, ha sviluppato una passione per una nuova tecnica pittorica. Si è così dedicata a perfezionare la tecnica che ritrae bambini con effetto tridimensionale all’interno di una mattonella, ovviamente in vetro, spessa circa 2 cm. Nel 2010 ha creato, insieme a Confartigianato, una Rete di Imprese chiamata Unilab Project che può vantare tra i suoi progetti la realizzazione della Fontana Luminosa con Lastre in vetrofusione artistica che si trova nella piazza centrale del Comune di Vinovo. È riuscita a far crescere la sua notorietà partecipando alla ristrutturazione del Ristorante il Cambio di Torino e realizzando, per il dehor del ristorante Naskira dello Chalet Il Capricorno, un’installazione luminosa di 8 vetri d’arte temperati ed antivento. Sue anche le vetrate del Comune di Groscavallo e la vetrata per la Chiesa di Santa Maria di Testona di Moncalieri. Nel 2013 nasce la collaborazione con Giorgio Gros con cui fonda la start up GIOARA per cercare di portare ad un livello massimo la produzione del vetro. Con lui realizza una collezione di lampade di design dedicate allo sci, una serie di piastrelle in vetro con applicazioni nanotecnologiche e di retroilluminazione e depositano all’UAMI il progetto dello sci di vetro che è diventato uno dei pezzi più richiesti per moltissime produzioni d’élite.
Archivio fotografico Chiara Ferraris Giroinfoto Magazine nr. 68
Archivio fotografico Chiara Ferraris
Si è fatta conoscere anche nel mondo dello sport creando trofei e coppe per gare agoniste nazionali ed internazionali come la Coppa del Mondo di Sci femminile a Sestriere, la Coppa del Mondo di Sci a Madonna di Campiglio e il Trofeo Romanini Circolo Esperia per la gara internazionale di canottaggio d'inverno sul Po. Ha anche realizzato un’opera per lo Sporting Club di Torino per rappresentare il Torneo Internazionale di Tennis.
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ARTE CON LO SCARTO Chiara, essendo amante della natura, è molto attenta al riciclo dei materiali. Riesce ad utilizzare dei “vetri di riuso”, collaborando con una importante rete di vetrerie industriali che le forniscono tutti gli “scarti di materiale”. Tramite la vetrofusione, facendo passare il vetro dallo stato solido allo stato liquido e nuovamente allo stato solido, riesce ad eliminare il deterioramento del materiale riuscendo così a riutilizzarlo. Questo le permette di usare degli ottimi materiali riuscendo ad abbassare il costo per il cliente finale. La vetrofusione è una tecnica antichissima, ancora oggi utilizzata da diverse figure nell'ambito dell'artigianato e dell'arte utilizzando forni speciali a temperature di 700°C/800°C. Questa tecnica offre infinite possibilità di espressione artistica, per cui infiniti sono i linguaggi e gli stili che vi si esprimono abbinando una buona dose di creatività. Questo ne fa una tecnica sempre attuale e in continua evoluzione, adatta al riutilizzo di materiali di scarto in una vasta scelta di impieghi con risultati mai scontati.
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Per fare un esempio di arte con il riciclo, Chiara ci ha mostrato un vetro appena realizzato, che diventerà un tavolino creato per una esposizione che sarà tenuta a Pisa dal designer Antonio Caggianelli che ha creato la grafica, stampata ad altissima definizione con colori all’acqua performanti. L’Opera si chiama “Fetonte” e la grafica rappresenta le fiamme, le stelle e il carro di Fetonte bruciato dal sole che cade poi sulla terra. Il piano è in cristallo fuso, cotto a circa 800 gradi e bisellato a mano, cioè una particolare tipologia di molatura in cui si lavora sui bordi della lastra da un qualunque angolo inferiore ai 90° rispetto alla superficie della stessa. Per quest'opera sono stati utilizzati tutti materiali “riciclati”, provenienti da altre lavorazioni, valorizzandone l’opera dal punto di vista della sostenibilità.
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Si tratta di un cilindro di un motore di un camion adattato a mortaio. Lo vediamo subito all'opera, recuperando alcuni frammenti di vetro colorato e creandone in pochi secondi la frammentazione. La "granella" verrà utilizzata per la decorazione di un vetro che con la successiva fusione prenderà vita una splendida piastrella.
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Maria Grazia Castiglione Photography
Il riclaggio non ha limiti nella bottega di Chiara, Ci mostra infatti un oggetto utilizzato come strumento per frantumare il vetro e trasformarlo in "granelli" per le decorazioni.
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Altra parte interessante e di fondamentale maestria à il taglio del vetro. Chiara spiega che uno dei primi passi nella lavorazione del vetro piano è quello di ricavare pezzi delle dimensioni volute da grandi lastre di vetro. Incidendo la superficie del vetro, vengono create le tensioni che permettono un troncaggio controllato sia a mano sia con uno strumento apposito. Solo quando si utilizza uno strumento adatto è garantito che il vetro si tronchi dove desiderato. Una volta tracciato il taglio si procede con la separazione delle due parti con una pinza apposita. Per evitare che il vetro diventi pericoloso e tagliente nelle parti appena distaccate si utilizza una mola per smussare gli angoli. Con questa tecnica si possono ottenere diverse forme, anche di piccolissime dimensioni.
Maria Grazia Castiglione Photography
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Ci è stata anche mostrata una scultura tridimensionale in verticale creata utilizzando una lastra di 6 mm tutta tagliata a spicchi che attraverso l’utilizzo del calore di arrotonda e si fonda rendendo solido l’intero pezzo. Anche questa creata con una lastra riciclata a cui viene data una nuova vita e una nuova forma. Un ultimo giro per la bottega per ammirare le diverse creazioni di Chiara, compresa la creazione della figura di Camillo Benso di Cavour, realizzata con uno specchio perpendicolare all'immagine che permette la visione intera da qualsiasi tipo di angolazione.
www.chiaraferraris.com
Giancarlo Nitti Photography
Massimo Tabasso Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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VOMV GAZ
NEL CIMITERO DELLE NAVI A cura di Pierluigi Peis Al porto di Ravenna, in una zona che sembra dimenticata da tutti tranne che dai gabbiani, in fondo alla zona industriale della “Pialassa” all'imbocco del canale Piomboni, c'è quello che sembra a tutti gli effetti un cimitero di navi. Il cielo un po' nuvoloso e a momenti plumbeo e un vento fortissimo che alza sabbia e polvere rendono l'atmosfera molto tetra.
RAVENNA
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Pierluigi Peis Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Pierluigi Peis Photography
Lasciamo la macchina nel parcheggio dell'ultima ditta prima che la strada finisca in un cancello da cantiere spalancato. Poi ci inoltriamo a piedi: sulla sinistra tanti rimorchi di camion uno dietro l’altro; sulla destra un campo con una distesa di gabbiani con nidi, uova e pulcini. Appena ci notano, molti si alzano in volo e cominciano a stridere sempre più forte. La stradina arriva a una specie di collinetta che sembra artificiale con un piccolo canale con acqua disgustosa che interrompe il nostro avanzamento. Proseguiamo, quindi, paralleli al canale e alla collinetta entrando nel campo a destra, dove finisce la recinzione. Strapieno di gabbiani, anche quelli che rimangono a terra ci garriscono contro e quelli in volo si avvicinano paurosamente, scendendo in picchiata per poi risalire rapidamente: mi ricorda vagamente il film Gli uccelli di Alfred Hitchcock.
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Per terra tanti nidi con uova e mamme coi pulcini, in aria probabilmente i maschi che vogliono spaventarci e mandarci via. Arrivati al mare, il piccolo canale è prosciugato e possiamo attraversare. Oltre la collina, si vede l'inquietante paesaggio, una prima nave, la Orenburggaz Prom, semi affondata, appoggiata al fondo e piegata sulla sinistra. Dietro di noi, dove finisce la banchina in cemento, probabilmente della ditta del parcheggio, fuori dall'acqua si notano i resti affioranti della poppa di un’altra grande nave. Continuando davanti a noi la Vomv Gaz, ormeggiata con delle gomene a dei corpi morti e le catene delle ancore non in tiro con le ancore insabbiate.
Pierluigi Peis Photography Claudia Lo Stimolo Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Pierluigi Peis Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Pierluigi Peis Photography
Appoggiata al basso fondo e praticamente attaccata a terra e facilmente raggiungibile, subito dopo quello che rimane di una piccola nave tutta arrugginita, forse una piccola chiatta o un rimorchiatore, qualche rottame e dei vecchi pneumatici ricoperti di alghe. In fondo, più lontano, un’altra grande nave, la V. Nikolaev. La Vomv Gaz, insieme alla Orenburggaz Prom e alla V. Nikolaev, sono le tre navi della flotta di cargo russo-ucraine portanti bandiera maltese riconducibili a un unico armatore che facevano la spola tra la Croazia e Ravenna con ghiaia e materiale per l’edilizia.
Nel 2006 furono abbandonate nella banchina del porto di Ravenna per alcune controversie legali e poi nel 2009 furono spostate in una zona dove non avrebbero dato fastidio al traffico portuale, in attesa di essere vendute o demolite. La Vomv Gaz è lunga centonove metri e larga sedici, su internet trovo che è stata varata nel 1995 in Ucraina, anche se altri siti dicono che le tre navi “russe”, sono della metà degli anni ottanta.
Pierluigi Peis Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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DA BASTIA VOMV GAZ A PORTO
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Dalla fiancata della Vomv Gaz cala una vecchia e malmessa scala a pioli di corda legata ad una bitta, per arrivarci un cumulo di rottami di cemento, legno, ferro e vecchi pneumatici fanno da ponte sul pavimento fangoso e pozzanghere. La scaletta è molto insicura e pericolante ma salire si rivela più semplice di quello che sembri. Una volta a bordo basta scavalcare la battagliola arrugginita e ci troviamo davanti a due porte stagne spalancate: quella a sinistra si apre su un ambiente pieno di bombole di CO2 in fila sui due lati, collegate a piccole tubazioni; la porta frontale entra nella pancia della nave, dove si trovano la cucina, la mensa, la sala ricreativa e le cabine dei marinai. Ormai la decadenza la fa da padrone: tutto è arrugginito, vandalizzato e piccioni e colombi l’hanno trasformata in casa loro con tutto quel che ne consegue.
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Molti vetri e oblò sono rotti, i materassi e i mobili economici ormai sono marci, dei libri con caratteri in cirillico sono rovinati e quasi illeggibili, un tavolo da biliardo senza piedi e ammuffito giace ancora nella sala relax insieme a divanetti e poltrone marcescenti. In uno stanzone alto almeno due piani, con delle ringhiere e aperto in centro con diversi strumenti e altri quadri elettrici, troviamo delle scale che scendono alla sala macchine, ormai allagata.
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VOMV GAZ
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Saliamo i vari piani del castello di poppa fino ad arrivare al ponte di comando, col pavimento in legno ormai marcio e sfondato in alcuni punti. Gli strumenti e i telegrafi di bordo sono stati rotti, una poltrona e dei computer, un libro aperto mangiucchiato dai topi, uno dei tanti telefoni a cornetta, la sala radio con qualche strumento vandalizzato, delle scale portano al piano di sotto, con altre cabine, probabilmente quella del capitano, che ha il bagno, il televisore e qualche vaso con i resti di piantine secche.
Si esce a poppa, un argano e diverse bitte color ruggine e due relitti fanno inquietante figura sullo sfondo.
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VOMV GAZ
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Continuiamo ad andare su e giù per i vari piani, corridoi bui e pieni di deiezioni di uccelli e piume, altri telefoni in altre cabine e nei corridoi. Sgabuzzini con dei ricambi elettrici o idraulici. Passiamo all'esterno, seguendo la battagliola arriviamo alla grande coperta di carico, sembra un campo da calcio in metallo, con il castello di poppa che si staglia alto verso il cielo come un palazzo di periferia. Arriviamo a prua, per salirci un corridoio buio e delle scale ormai sfondate dalla ruggine, i grandi argani salpa ancora, bitte, grossi rotoli di gomene, una grossa ancora di rispetto, un pulcino di gabbiano impaurito tra due lamiere. Scendiamo sotto la prua, alcuni ambienti completamente bui, forse un’officina e scaffali con ricambi e altre gomene.
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Anche scendere dalla nave con la scaletta di corda si rivela più semplice di quello che sembrava guardando la discesa dalla battagliola. Una volta a terra vado dietro il relitto per ammirare la poppa da terra: si notano le pale dei timoni e le eliche fuori dall'acqua. Il rientro all'auto è più impressionante che raggiungere le navi, il vento è più forte e continua ad alzare polvere e sabbia, i gabbiani sono molto più aggressivi, si avvicinano pericolosamente, stridono forte, ci girano intorno a pochi metri di distanza, salgono e scendono in picchiata virando vicinissimi e “sganciando bombe”. Finalmente arriviamo alla macchina e andiamo a Marina di Ravenna a pranzare con una piadina romagnola e bere una birra.
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A CURA DI RITA RUSSO Rita Russo Stefano Zec
È noto a molti che percorrere le vie e i vicoli del centro storico di Palermo regala al visitatore continue emozioni per il gran numero di tesori storico artistici che esso custodisce. L’emozione cresce quando è possibile entrare in alcuni di essi per fruire anche degli interni. È questo il caso del Teatro Massimo “Vittorio Emanuele” che, così come per Roma il Colosseo e per Milano il duomo, rappresenta universalmente il simbolo della città di Palermo.
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Tornato agli antichi splendori nel 1997, dopo un intervento di restauro durato ben 23 anni, il maestoso edificio si affaccia sulla centralissima piazza dedicata a Giuseppe Verdi, conosciuta da tutti come Piazza Massimo. Questo monumento, con i suoi 7730 mq distribuiti fra teatro, sale di rappresentanza, gallerie e scale monumentali, è considerato la più grande struttura lirica in Italia, la terza in Europa dopo l’Opéra National di Parigi e la Staatsoper di Vienna e la quinta al mondo. Costituisce uno dei più importanti centri culturali della città, dal momento che, ogni anno, propone una corposa programmazione di eventi di grande spessore, sia di carattere lirico sia drammaturgico, cui contribuisce anche il “Caffè del Teatro Massimo”, che occupa due eleganti e ampie sale interne al pian terreno dell’edificio, nel quale si tengono spesso iniziative ed eventi culturali di vario tipo in stretta collaborazione con la Fondazione Teatro Massimo.
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Sebbene a causa dell’ormai fin troppo noto evento pandemico, la struttura sia attualmente chiusa al pubblico, è normalmente possibile effettuare una visita guidata delle numerose sale interne di questo austero ed elegante edificio, della durata di 30’, prenotando all’indirizzo mail visiteguidate@ teatromassimo.it. Inoltre, in aggiunta al tour standard è possibile, solo su prenotazione e per un numero limitato di persone, avere accesso anche ad alcuni spazi generalmente vietati al pubblico, acquistando il corrispondente ticket. Infatti, è possibile visitare sia il palcoscenico dietro le quinte, le cui modalità variano a seconda delle esigenze della produzione artistica dello spettacolo in programma, sia salire sulla terrazza per godere di una vista mozzafiato sulla città.
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Ma è anche possibile intrattenersi, dopo la visita standard, nel Salotto del re annesso al Palco Reale, sorseggiando un aperitivo seduti sulle storiche poltrone di seta bordeaux o, ancora, ascoltare un esclusivo concerto da camera in uno dei ridotti del teatro, prima della visita e dell’aperitivo nel Salotto del re.
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Nonostante prima dell’Unità d’Italia, la città di Palermo sentisse già la necessità di possedere un teatro dell’opera, la progettazione di questo monumentale edificio avvenne dopo l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia. Per questo scopo, il Consiglio Comunale identificò nella zona tra il bastione di San Vito e Porta Maqueda, l’area sulla quale esso doveva sorgere, espropriando, grazie alle leggi eversive del 1866, i terreni sui quali sorgevano tre chiese: la Chiesa e il Monastero delle Stimmate, la Chiesa di San Giuliano e il Monastero dell’Ordine Teatino dell’Immacolata Concezione e la chiesa di S. Agata delle Scorruggie alle Mura, sorta nella casa dove sarebbe vissuta la santa. Un’area che, per la sua posizione a confine tra il nucleo antico della città e l’espansione settentrionale di essa, sanciva la continuità storica tra le due zone. Così, il 10 settembre 1864, l’allora Sindaco di Palermo, Antonio Starabba marchese di Rudinì, bandì un concorso di progettazione aperto ad architetti sia italiani sia esteri. L’idea era quella di donare ai Palermitani un teatro ben più spazioso e moderno di quello da poco realizzato e intitolato al grande compositore Catanese Vincenzo Bellini, il Real Teatro Bellini, unico teatro della città, piuttosto piccolo per le rinnovate esigenze della popolazione, soprattutto in considerazione del nuovo regno. Bandito il concorso, la cui scadenza fu fissata il 9 settembre del 1866, nel tentativo di limitare il rischio di favoritismi, fu istituita una Commissione giudicatrice composta da un membro tedesco, uno francese e uno italiano. La scadenza del concorso subì una proroga di sei mesi non solo per l’importanza e la vastità del progetto ma, soprattutto, per la Terza guerra d’indipendenza alla quale alcuni dei concorrenti presero parte. Fu comunque a settembre del 1868 che la Commissione giudicatrice formulò la graduatoria e proclamò vincitore, tra i trentacinque partecipanti, il noto architetto palermitano Giovan Battista Filippo Basile. Dopo un ulteriore periodo di attesa, successivo alla proclamazione del vincitore, la prima pietra del teatro fu posata il 12 gennaio del 1875, in Piazza G. Verdi, alla presenza delle maggiori autorità cittadine.
In particolare, la pietra utilizzata per la realizzazione di quest’ultimo, dalle fondamenta fino alle strutture dei solai, comprese le decorazioni esterne, fu la calcarenite proveniente da Carini. Visto il tipo di lavoro necessario per la costruzione di questo imponente edificio e la scarsità di maestranze capaci di lavorare la pietra da taglio, fu Basile stesso ad istruire centocinquanta scalpellini attraverso opportuni corsi di formazione sia per l’intaglio sia per la decorazione della pietra secondo il gusto dell’arte classica. Mentre Rutelli creò per l’occasione una rivoluzionaria gru, azionata da un motore a vapore che, con un sistema di pulegge, carrucole e cavi era capace di sollevare a più di 20 metri di altezza, i pesanti massi e tutti i componenti lapidei necessari alla realizzazione dell’edificio, con un notevole risparmio di tempo durante l’edificazione. Nel 1878, i lavori di costruzione furono sospesi, probabilmente per i costi elevati dell’opera (pare che quella finale dovesse comprendere sculture esterne mai realizzate proprio per mancanza di fondi) e ripresero dodici anni dopo, nel 1890, sempre sotto la direzione dell’arch. Giovan Battista Filippo Basile, con l’intento di completare la struttura in tempo per l’Expo internazionale che nel 1891 si sarebbe tenuta a Palermo. Pochi mesi dopo la ripresa dei lavori, l’Architetto Basile morì e a lui subentrò il figlio Ernesto, anch’esso architetto, che su richiesta del Comune accettò di portare a compimento l’opera iniziata dal padre, completando anche i disegni necessari per la definizione dei lavori del teatro. In occasione dell’inaugurazione del nuovo edificio, che avvenne il 16 maggio 1897, fu messo in scena, per la prima volta a Palermo, il Falstaff di Verdi ed il teatro fu intitolato al neonato re del Regno d’Italia, Vittorio Emanuele II.
I lavori furono affidati all’impresa edile di Alberto Machì e Giovanni Rutelli, per la lunga esperienza ottenuta negli anni nel settore dell’architettura e in particolare per le competenze acquisite nell’arte dell’intaglio delle pietre usate per strutture complesse come quella che il progetto del Teatro Massimo prevedeva. Rutelli, in particolare, era un profondo conoscitore dell’architettura religiosa greco - romana e delle tecniche stereotomiche, ossia delle procedure geometriche codificate per progettare elementi strutturali in pietra da taglio, conoscenze essenziali per la realizzazione di un edificio tempio delle dimensioni del Teatro Massimo. Antonio Pedone Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Oltre l’imponenza dell’edificio che non può non essere notata insieme alla sua simmetria compositiva, la prima cosa che salta all’occhio del visitatore è senz’altro lo stile neoclassico del monumento di ispirazione greca e romana. Un vero e proprio tempio della musica e della lirica. In corrispondenza del prospetto principale, che si affaccia su Piazza Verdi, fa bella mostra di sé una maestosa scalinata che termina con un porticato (pronao) preceduto da sei colonne di ordine corinzio. Ai lati superiori della scalinata svettano su dei piedistalli, due grandi leoni in bronzo con le allegorie della Tragedia (realizzata dallo scultore Benedetto Civiletti) e della Lirica (realizzata dallo scultore Mario Rutelli) e sul fregio della trabeazione si
legge una frase la cui attribuzione di paternità risulta ancora oggi incerta e controversa: "L'arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire" (alcuni l’attribuiscono a Camillo Finocchiaro Aprile, ministro di Grazia e Giustizia, altri a Francesco Paolo Perez, letterato, sindaco di Palermo dal 1876 al 1878, senatore del Regno d’Italia e ministro). Quella che di certo non passa inosservata è, infine, la grande cupola emisferica, coperta da squame in lamiera di rame, del diametro di 28,73 metri, la cui struttura metallica reticolare poggia su un sistema di rulli che ne consentono gli spostamenti dovuti alle variazioni di temperatura, che culmina con un grande vaso d’ispirazione corinzia.
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Oltrepassato il portone d’ingesso, si resta incantati dalla sontuosità e dall’eleganza del grande Foyer che anticipa la magnificenza che caratterizza le sale successive. Il colore predominante di questa sala rettangolare, spesso utilizzata per concerti ridotti e mostre, è il rosso tipico delle foglie autunnali, chiamato per questo “ottobrino”. Essa è decorata con due grandi candelabri in bronzo posti in alto sui lati corti della sala, insieme a rilievi scultorei realizzati da Salvatore Valenti e a un busto, opera dello scultore Antonio Ugo, che rappresenta G. B. Filippo Basile, architetto del teatro. Usciti dal Foyer si attraversa l’elegante corridoio arredato da grandi specchi per raggiungere la Sala Grande, ossia la celebre sala principale dedicata alle rappresentazioni, che ha la forma di un ferro di cavallo, una pendenza del 4% contraria a quella del palcoscenico che è del 6 % e un’acustica perfetta, tanto da essere elogiata da tutti gli appassionati di teatro che hanno avuto l’occasione di viverla. La sua capienza, progettata originariamente per ospitare fino a 3000 spettatori, tra platea, loggione e cinque ordini di 31 palchi ciascuno, è oggi ridotta a 1247 posti, per ragioni di sicurezza. Le magnifiche decorazioni della sala, insieme alla progettazione del Palco Reale, sono opera dell’architetto Ernesto Basile, subentrato al padre dopo la sua morte e grande esponente del Liberty palermitano ed europeo. Egli si servì dell’opera del produttore di arredi Vittorio Ducrot e di diversi pittori e scultori, tra i quali Giuseppe Sciuti che raffigurò il corteo dell’incoronazione di Ruggero II nel grande sipario. In particolare, per quanto attiene l’illuminazione del teatro, originariamente progettata per essere alimentata a gas, fu trasformata da Basile in illuminazione elettrica. Così, per rendere omaggio al nuovo ed imponente tempio dell’arte, l’allora distributore di energia fornì gratuitamente per le prime cento rappresentazioni la corrente elettrica.
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Altra particolarità della Sala Grande è lo speciale soffitto che sovrasta la platea, la cosiddetta “Ruota simbolica”. Esso ricorda un fiore i cui undici petali, costituiti da elementi trapezoidali di pitture su tela, sono disposti a ruota intorno ad un tondo centrale sul quale è dipinto “Il Trionfo della Musica”, ideato da Rocco Lentini ma opera di Luigi Di Giovanni. I petali, grazie ad un sistema di funi, possono essere aperti a vasistas per consentire all’aria calda di defluire, garantendo una perfetta ventilazione della sala. Al centro del secondo ordine di palchi risalta il sontuoso Palco Reale, delle dimensioni di 28 mq, intagliato finemente all’esterno, con decorazioni dorate e due figure femminili che reggono i candelabri, nel quale possono trovare posto a sedere 27 persone. Esso, che è il più alto di tutti, occupando lo spazio di due ordini di palchi, è abbellito internamente da due affreschi alle pareti laterali e il soffitto è rivestito da seta dipinta in stile Liberty. È dotato di un foyer privato detto Salone del Sovrano, interamente rivestito in mogano e arredato con divani e poltrone in broccato rosso, 9 specchi alle pareti e al centro uno sfarzoso lampadario di Murano. Sulle porte e sui capitelli è affisso lo stemma reale sabaudo.
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Le due strutture esterne semicircolari che sporgono sui fianchi dell’edificio corrispondono ad altrettante sale. In particolare, quella esposta a sud, chiamata Sala Pompeiana, una volta riservata solo ai nobili, ha una forma circolare, il soffitto affrescato e mostra chiari richiami al Tempio di Vesta di Tivoli. Essa è stata progettata e realizzata seguendo un preciso riferimento al numero sette e ai suoi multipli. La sala, infatti, presenta 14 porte di accesso, 28 medaglioni raffigurano teste maschili e femminili e il lucernario è suddiviso in 7 spicchi. La simbologia del sette riporta ai sette giorni, ai sette pianeti, ai sette peccati capitali ed alle sette virtù, ma anche alle sette note. Questa sala ha anche una particolare acustica, appositamente voluta da Basile e per questo viene chiamata anche la Sala dell’eco. Infatti, per la sua struttura e conformazione, il riverbero che si produce parlandovi all’interno aumenta man mano che ci si avvicina al centro. Pertanto, chi sta al centro ha la percezione di udire la propria voce amplificata, mentre chi è all’esterno non può sentire ciò che viene detto all’interno.
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Dal lato opposto alla precedente, si trova la Sala Onu, così chiamata perché nel 2000 vi si è svolta la Conferenza Mondiate dell’ONU sulla criminalità organizzata transnazionale. Anche questa sala coperta da un soffitto a vetri, presenta una forma circolare e al suo interno 14 colonne in legno di ciliegio, sormontate da capitelli corinzi scolpiti a mano, sorreggono un loggiato circolare. Sullo stesso piano si trova la grande Sala degli Stemmi, a pianta rettangolare, che deve il suo nome agli stemmi delle nobili famiglie siciliane che contornano le pareti. Lungo i quattro lati della sala, il cui colore predominante è il rosso mattone, vi sono raffigurate sei figure femminili danzanti tra medaglioni con fronde e tralci di vite, interrotti da maschere. Questa sala, che ricorda i tradizionali salotti delle feste ottocenteschi e ha imponenti finestre che si affacciano sul centro storico della città, può ospitare fino a 150 persone ed è generalmente utilizzata come sala prove per il corpo di ballo del teatro, oltre che per conferenze e congressi.
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Sugli angoli estremi di Piazza Verdi, di fronte la facciata principale del Teatro Massimo, fanno da cornice a quest’ultimo i due chioschetti in stile Liberty, progettati da Ernesto Basile e realizzati tra il 1875 e il 1897. Queste due strutture fanno parte dei numerosi gioielli realizzati in questo stile che Basile regalò alla città di Palermo, molti dei quali furono crudelmente cancellati in men che non si dica durante il sacco di Palermo, avvenuto tra gli anni 1955 e 1960, in seguito al boom edilizio che stravolse la fisionomia architettonica della città. La struttura in muratura dei due chioschi, originariamente realizzati come punti di ristoro per le passeggiate urbane, che oggi ospitano due negozi di tabacchi, è abbellita oltre che da ricercati accostamenti di colore anche da decorazioni metalliche in ferro battuto che formano ghirigori floreali, caratteristica tipica dello stile Liberty, conosciuto anche come Art Nouveau, che segnò il periodo compreso tra fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento, sia in Europa che a Palermo.
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Come accade per ogni grande teatro che si rispetti, anche per il Teatro Massimo di Palermo non può mancare il fantasma dell’opera. Si narra, infatti, che, durante il corso delle operazioni di demolizione, necessarie per l’edificazione del nuovo tempio, che sorse come già detto a spese di tre chiese e dei loro rispettivi monasteri, fosse stata involontariamente profanata la tomba di una monaca che, disturbata nel suo sonno eterno, volle ostacolare la costruzione. Pare, quindi, che il fantasma inquieto della suora, chiamato la monachella, la cui ombra secondo svariate testimonianze sarebbe apparsa sul palcoscenico, tra le quinte e nei sotterranei, aleggi ancora oggi per le sale del teatro, maledicendo questo posto.
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Forse la maledizione della monaca non si è ancora placata davvero, visto che dallo scorso 2020, a 23 anni esatti dalla riapertura, il teatro ha sospeso quasi tutte le proprie attività a causa della pandemia da Covid! Non ci crediamo ma … ci crediamo! Si ringrazia, infine, la Fondazione Teatro Massimo per aver concesso la pubblicazione delle foto degli interni a corredo del presente articolo. Per i contatti si rimanda al sito internet consultabile all’indirizzo www.teatromassimo.it.
È per questo che ci vollero 23 anni per finire l’intera opera e per altri 23 anni il teatro restò chiuso per restauro. Inoltre, per avvalorare la tesi dell’esistenza del fantasma, entrando a teatro, esiste un particolare gradino, chiamato “il gradino della suora”, nel quale pare inciampino tutti coloro i quali non credono nella leggenda.
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Riccardo Ghilardi Prove di libertà
Evasioni virtuali, fughe ipotetiche, prove di libertà
Come quelle che Riccardo Ghilardi ha documentato con la sua macchi- na fotografica, fissando istanti emblematici nella vita di registi, attrici e attori alle prese con le prove inedite non di un film, ma di pura e semplice sopravvivenza. Istantanee memorabili, in quanto riassumono in maniera esemplare gli stati d’animo, i rari momenti di gioia e i molti momenti inquieti di un periodo che non avremmo mai voluto dover conoscere, ma dei quali ci ricorderemo per sempre. E se la sospensione sembra il minimo comun denominatore di tutte loro, è per il senso catartico dell’attesa di un mondo finalmente affrancato dalla pandemia.
edizione bilingue (italiano-inglese) 24 × 30 cm, 208 pagine 100 colori e b/n, cartonato ISBN 978-88-572-4609-3 IN LIBRERIA MAGGIO 2021
Piazza San Giovanni 2021 ©Riccardo Ghilardi
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PROVE DI LIBERTÀ
Alessandro Gassmann 2021©Riccardo Ghilardi
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PROVE DI LIBERTÀ
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Lunetta Savino 2021©Riccardo Ghilardi
Piazza del Popolo dalla terrazza del Pincio 2021©Riccardo Ghilardi
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PROVE DI LIBERTÀ
Veduta del Colosseo 2021©Riccardo Ghilardi
© Richard Mosse Of Lilies and Remains, eastern Democratic Republic of Congo, 2012 * DZ Bank Art Collection Giroinfoto Magazine nr. 68
Rocco Papaleo 2021©Riccardo Ghilardi
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PROVE DI LIBERTÀ
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Via Nazionale 2021©Riccardo Ghilardi
Veduta di San Pietro da Ponte Umberto 2021©Riccardo Ghilardi
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A CURA DI MONICA GOTTA E STEFANO ZEC
Dario Truffelli Federico Figari Giuseppe Tarantino Luca Barberis Silvia Barbero Stefano Zec
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Luca Barberis Photography
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GENOVA - ORTO BOTANICO
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Per celebrare l’International Day for Biological Diversity, fissato quest’anno il 22 maggio, Giroinfoto Magazine ha visitato l’Orto Botanico di Genova che ha come mission la ricerca, la conservazione, l’educazione e la divulgazione, nell’ottica della conservazione della flora e della diffusione di una nuova cultura ambientale. Biodiversità significa diversità della vita e un orto botanico può essere custode del patrimonio genetico di specie a rischio oppure conservare specie estinte in natura. Per la sua conformazione molto particolare, incastonata tra mare e monti, Genova si dipana tra il porto, il centro storico e le alture delle città, che portano verso l’entroterra e a luoghi di rara bellezza. Lasciando le zone più vicine al mare, salendo verso le alture la città regala ai suoi visitatori un profumo tipicamente mediterraneo e inconfondibile, che si fonde con il sapore del sale. Proprio sulle alture della città si trova l’Orto Botanico dell’Università di Genova. Situato in Corso Dogali, in un quartiere centrale e sopraelevato rispetto al livello del mare, l’Orto Botanico gode di una vista panoramica sulla città senza eguali. Ma non è l’unico valore aggiunto di questo luogo: essendo posizionato sulle alture, da lì si possono assaporare il silenzio e la pace dimenticando il caos della città, che diventa un ricordo lontano. L’essere immersi letteralmente in mezzo alle meraviglie della natura permette di nutrire lo spirito di ciascuno di noi. Per raggiungere l’orto botanico si possono utilizzare i mezzi pubblici oppure arrivare in macchina, benché nel quartiere i posti macchina non siano così facili da trovare. Diverse linee AMT Genova vi arrivano partendo dalle stazioni ferroviarie principali o dal centro cittadino. La fermata per l’Orto Botanico è “Albergo dei Poveri-Università”. Dalla Stazione F.F.S.S. di Genova Porta Principe si può percorrere Via Balbi fino all’ingresso principale dell’università. Attraverso passaggi interni all’edificio si può raggiungere la sede in Corso Dogali.
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Da tenere in considerazione è la breve distanza che separa l’Orto Botanico di Genova da un’altra meraviglia cittadina: Castello D’Albertis, di cui si può leggere sul N. 52 di Giroinfoto Magazine. La distanza da percorrere a piedi è di circa circa 600-700 metri, che equivalgono a 7-8 minuti. Si possono quindi facilmente unire le due visite e passare una giornata all’insegna della cultura e della natura. Per quanto concerne l’Orto Botanico si consiglia di svolgere la visita in modalità slow in modo da notare ed assaporare i dettagli che a volte sfuggono all’attenzione dei più. Questi particolari sono stati catturati nelle immagini a contorno a questo reportage.
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GENOVA - ORTO BOTANICO
Se stai cercando un giorno per dimostrare il tuo amore per il nostro pianeta, perché non celebrare la Giornata Internazionale per la Diversità Biologica il 22 maggio? Questo è un giorno dedicato a fare in modo che la Terra rimanga un luogo in cui tutte le creature, indipendentemente dall'ambiente da cui dipendono, non solo possono sopravvivere, ma anche prosperare. … Quindi, che tu provenga da un clima desertico, da una foresta, da una valle o da una palude, vieni a celebrare la diversità biologica con noi questo 22 maggio”. Siamo parte della soluzione Poiché la comunità globale è chiamata a riesaminare la nostra relazione con il mondo naturale, una cosa è certa: nonostante tutti i nostri progressi tecnologici siamo completamente dipendenti da ecosistemi sani e vivaci per l'acqua, il cibo, le medicine, i vestiti, il carburante, i ripari e energia, solo per citarne alcuni. Lo slogan è stato scelto per essere una continuazione dello slancio generato lo scorso anno (2020) nell'ambito del tema generale "Le nostre soluzioni sono nella natura", che è servito a ricordare che la biodiversità rimane la risposta a diverse sfide di sviluppo sostenibile. Dalle soluzioni basate sulla natura al clima, ai problemi di salute, alla sicurezza alimentare e idrica e ai mezzi di sussistenza sostenibili, la biodiversità è la base su cui possiamo costruire meglio. [Fonte: international-day-biological-diversity]
Giuseppe Tarantino Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Silvia Barbero Photography
L’Orto Botanico è inserito nel DIPTERIS – Polo Botanico Hanbury. Il Museo Botanico si trova in un edificio costruito con il contributo di Thomas Hanbury nel lontano 1862 a Genova. L’orto si estende intorno all’edificio museale e fu fondato nel 1803. Attualmente ricopre una superficie di circa un ettaro. La città di Genova è conosciuta per via di molti personaggi storici che hanno avuto i natali dalla Superba, oppure hanno lasciando un’impronta indelebile nella storia cittadina. A questo proposito ricordiamo Cristoforo Colombo; Giuseppe Garibaldi, che comandò la spedizione dei Mille; Giuseppe Mazzini, patriota, filosofo e politico; e il Capitano D’Albertis che fece dell’omonimo castello un ricettacolo di arte e cultura, oggi Museo delle Culture del Mondo (N.52 di Giroinfoto Magazine). Tuttavia la storia di Genova è anche legata alle antiche famiglie nobiliari di cui si sente parlare molto in occasione dei Rolli Days e alle loro dimore patrizie.
Queste stesse famiglie sono anche quelle che hanno avviato alcune ricerche scientifiche, che sono forse meno conosciute rispetto alle gesta dei personaggi prima citati. Per esempio, in città si trovano ancora testimonianze del lavoro dei Durazzo. Villa Durazzo Pallavicini è un esempio di quanto nell’Ottocento l’interesse per lo sviluppo scientifico e per le piante fosse importante. Parte del complesso di Villa Durazzo Pallavicini è anche il bellissimo Orto Botanico, oggi in restauro, voluto a metà ‘800 dalla Marchesa Clelia Durazzo Pallavicini, eminente botanica (N. 57 di Giroinfoto Magazine). Per quanto riguarda gli orti botanici, il primo fondato a Genova fu quello dell’attuale Villetta Di Negro, dove fu istituita la prima Scuola Botanica della Liguria. Il secondo orto botanico fu creato sulle Mura dello Zerbino sempre dal Marchese Ippolito Durazzo. A sostegno del lavoro svolto furono prodotti alcuni cataloghi che annoveravano le specie e taxa¹ presenti nei giardini. 1.Singolare tàxon dal greco τάξις <ordine>. Nella sistematica biologica e botanica, termine che indica una categoria sistematica non meglio circoscritta e definita (può essere di qualsiasi grado: specie, genere, famiglia, ecc.); corrisponde a entità, raggruppamento sistematico.
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L’Orto Botanico dell’Università di Genova fu istituito nel 1803 con l’acquisizione di una piccola parte della tenuta del Collegio di San Gerolamo: tutta la collina era una tenuta di proprietà dei Gesuiti che si chiamava “Podere di Pietra Minuta” ; negli anni questi hanno venduto all’università gli spazi per ampliare l’Orto.
Infatti l’Ateneo conduceva al tempo ricerche scientifiche in campo medico ma, fino ad allora, non aveva avuto un laboratorio “in vivo” di piante officinali usate a quell’epoca. Fu grazie al finanziamento del Marchese De Negro che il laboratorio ricevette il sostegno desiderato e la Scuola Botanica ebbe la sua nuova sede presso l’Università.
Questo fu fondato dal professor Domenico Viviani, docente di botanica dell’Università di Genova. Nel 1800 l’università si trovava esclusivamente in Via Balbi 5 presso l’ex collegio dei Gesuiti e conteneva tutte le discipline, sia scientifiche che umanistiche, compresa la botanica. Per questo motivo l’orto botanico nacque in questa zona della città. Il primo nucleo, di circa 1000 m², pur essendo piccolo e limitato nel numero di specie coltivate si distinse per la collezione di piante officinali, collezione trasportata da Villetta di Negro, struttura privata ma utilizzata dal prof Viviani per le lezioni.
Ad esso seguirono il centro di ricerca botanica ed un’apprezzabile biblioteca e un erbario considerevole. Durante gli anni di attività del professor Viviani venne anche costituita la prima serra fredda, all’interno della quale erano conservate le specie esotiche. Successivamente, e con l’avvento del nuovo direttore, fu costruita la prima serra in muratura e la ricerca di nuove specie esotiche divenne intensa.
L’orto botanico, nella sua essenza, non si compone di giardini, ma di veri e propri laboratori e strutture museali destinate alla didattica e alla ricerca ed è un posto dove si collezionano piante.
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Nel 1865 l’orto botanico fu completato e arrivò ad avere un’estensione di 10.000 metri quadrati. Fu con Ottone Penzig che nacquero importanti collaborazioni con altri istituti e con alcuni privati come Sir Thomas Hanbury, baronetto inglese, che fornì finanziamenti e nuovi esemplari alla struttura genovese.
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Dario Truffelli Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Scopo degli orti botanici, istituzioni aperte al pubblico, è quella di mantenere una collezione ben documentata di piante vive per promuovere la ricerca scientifica, la conservazione della biodiversità vegetale, la sua esposizione al pubblico e l’educazione ambientale ad essa connessa. Sono luoghi che rivestono importanza didattica e divulgativa, nonché uno strumento per far conoscere ed apprezzare il patrimonio botanico e le collezioni scientifiche e per sostenere l’importante tema della conservazione. Quattro parole determinano la loro mission: ricerca, conservazione, educazione, divulgazione. Ciò si potrebbe riassumere nell’intento di conservazione della flora e nella diffusione di una nuova cultura ambientale. Gli orti botanici sono anche musei viventi di storia naturale, luoghi di scambio culturale, nonché di incontro.
Margherita Sciolti Photography
SAMBUCO Luca Barberis Photography
Giroinfoto Magazine nr. 68
Non sono solamente i profumi ad inebriare i visitatori. Le fioriture e i loro colori intensi riempiono gli occhi non solo di diverse sfumature, ma anche di mille forme diverse. Attualmente l’orto botanico raccoglie circa 4.000 unità che rappresentano circa 2.000 gruppi tassonomici o taxa. Alcuni esemplari sono di rilievo storico in quanto risalenti all’epoca della fondazione dell’orto stesso. E’ citato anche dal sito Il Parco più bello d’Italia, una guida online dei più famosi giardini e parchi d’Italia, che valorizza il patrimonio paesaggistico e naturale della nostra penisola. L’Orto Botanico è stato chiuso al pubblico fino al 2006 ed è, per questo motivo, ancora relativamente poco conosciuto: prima della pandemia i visitatori annuali erano circa 5.000, per la maggior parte presenti nel periodo delle visite dei Rolli (Rolli Days - N. 50 di Giroinfoto Magazine).
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ERBE AROMATICHE Giuseppe Tarantino Photography
Margherita Sciolti Photography
L’ingresso storico dell’orto botanico è da Via Balbi tramite una scalinata, che rappresenta il collegamento storico con gli spazi dell’università come detto in precedenza. La configurazione odierna è frutto di un restauro degli anni 90, eseguito dopo aver trovato i progetti originali negli archivi di Stato, nella fattispecie una tavola acquarellata da cui si deduce che è stato ripreso pari pari. La visita inizia dalla prima terrazza dove si trova il viale delle Piante Officinali. In esso sono presenti circa 160 specie che appartengono alla farmacopea europea. Sono piante che vengono utilizzate nella medicina tradizionale europea e piante esotiche, che sono entrate in uso e che ora troviamo regolarmente in erboristeria. Si incontrano per prime le piante aromatiche che noi conosciamo per l’uso culinario, ma che, contenendo tutte olii essenziali con proprietà balsamiche e antibatteriche, erano importantissime quando ancora non esistevano gli antibiotici. Piante comuni che nell’alimentazione tradizionale erano un supporto di cura e permettevano di acquisire delle sostanze benefiche con la semplice alimentazione. Si può sentire il profumo del cardamomo passando tra le dita le sue foglie e non manca la menta con il suo aroma intenso e conosciuto a tutti. Le piante aromatiche come il basilico, il rosmarino, la salvia e il timo, invece, ci ricordano i profumi della cucina mediterranea. Parliamo ad esempio dal sambuco da cui si ottenevano gli sciroppi, un aiuto contro la tosse e gli stati febbrili: è una pianta molto importante perché ha la proprietà di stimolare la reazione immunitaria nei confronti dell’influenza, con effetti riconosciuti anche dalla medicina moderna, ma soprattutto era comune e tutti potevano usarla.
Luca Barberis Photography
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Anche il carciofo e il cardo mariano sono piante medicinali importantissime perché regolano il metabolismo dei lipidi e dei glucidi; le Malve invece contengono mucillagini e quindi sono piante antinfiammatorie. Perfino le foglie delle fragole hanno proprietà medicamentose. Tra le tante piante esotiche introdotte si possono osservare: il cardamomo, della famiglia delle zingiberaceae, di cui fa parte anche lo zenzero, che oltre alle conosciute proprietà aromatiche è una pianta usata per problemi a livello del sistema digerente; l’Hamamelis (americana) largamente impiegata per gli sciroppi per la tosse; la Withania Somnifera usata nella medicina tradizionale asiatica per le sue proprietà antistress.
è conosciuta anche come l’aspirina vegetale poiché è l'unica pianta che contiene nei suoi fiori l’acido salicilico naturale che, dopo esser stato estratto e studiato, ha permesso la creazione della moderna aspirina.
pianta mediterranea che deve il nome al colore nero dei suoi semi, ha un fiore dal colore del cielo e una struttura fogliare molto particolare: le strisce filiformi ed appuntite intorno al fiore sono tanto Margherita Sciolti Photography più lunghe e strette quelle superiori quanto più larghe e corte quelle basali. I suoi semi possono esser mangiati e in generale ha un uso terapeutico; non si deve però eccedere nelle dosi perché può essere tossica.
Il cardo dei lanaioli: la testa del fiore veniva usata in antichità per cardare la lana appena tosata, come se fosse una “spazzola”.
SPINEA ULMARIA Stefano Zec Photography
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CARDO MARIANO Giuseppe Tarantino Photography
CARDO DEI LANAIOLI Stefano Zec Photography
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NIGELLA DAMASCENA Luca Barberis Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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IRIS PSUDACORUS Stefano Zec Photography
GIARDINO SECCO Silvia Barbero Photography
GIARDINO SECCO Silvia Barbero Photography
La seconda terrazza è in realtà il primo spazio che si incontra entrando dall’ingresso principale di Corso Dogali; è la l’area più vasta e più ricca di biodiversità. La prima parte contiene la collezione originale di gimnosperme: è il gruppo tassonomico che contiene le conifere e loro parenti; si tratta di piante legnose con foglie aghiformi, molto antiche e importanti dal punto di vista didattico. La zona delle fitodepuratrici, ovvero quelle piante come l’Iris Psudacorus, la Typha Latifolia e la felce galleggiante, che hanno la capacità di depurare le acque in cui vivono asportando le sostanze inquinanti per usarle come nutrienti. Il giardino secco è un giovane prato, realizzato due anni fa, dedicato alla collezione di piante mediterranee, che presenta caratteristiche tali da non aver bisogno di irrigazione: la mission dell’orto botanico è anche essere un esempio di sostenibilità ambientale e di riduzione del consumo di acqua.
FELCE GALLEGGIANTE Stefano Zec Photography
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GIARDINO SECCO Stefano Zec Photography
GIARDINO SECCO Dario Truffelli Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Nelle vicinanze troviamo il prato spontaneo, molto utile sia le esercitazioni di botanica sia per la gestione naturale del giardino. Spesso i professori possono prendere da qui materiale da sottoporre agli studenti. Infatti l’erba viene tagliata 2/3 volte all’anno e questo consente il ciclo riproduttivo di moltissimi insetti. Le piante acquatiche, distribuite sia nelle numerose vasche esterne che in quella all’interno della serra, sono coltivate per essere studiate: la particolarità delle radici e dei loro tessuti spugnosi è quella di catturare l’aria e permettere così il galleggiamento. Oltre ad avere caratteristiche uniche sono tendenzialmente piante infestanti. La Stratiotes Aloides, originaria del nord Europa, ha rischiato l’estinzione poiché, essendo infestante, danneggiava la navigazione.
Eppure ha l’incredibile capacità di ritirarsi sott’acqua in inverno per sopravvivere al freddo che potrebbe gelare la superficie d’acqua. Il giacinto d’acqua, che ha un bellissimo fiore tanto da esser coltivato anche nei giardini privati, sta causando gravi danni all’ecosistema in Amazzonia senza che l’uomo si sia posto il problema di come contenerne l’espansione, almeno per ora.
Margherita Sciolti Photography
Federico Figari Photography
Federico Figari Photography
Stefano Zec Photography
Stefano Zec Photography
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Luca Barberis Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Giuseppe Tarantino Photography
Dario Truffelli Photography
Luca Barberis Photography
Oggi l’orto botanico conta 6 serre disposte su 3 piani diversi che riproducono diverse condizioni ambientali per accogliere diverse specie. Il vero tesoro dell’orto botanico si trova infatti proprio all’interno di queste 6 serre: la serra grande ospita piante tropicali ad alto fusto, mentre a sinistra si entra nella serra che ospita le specie acquatiche di interesse ornamentale e di interesse applicativo come, ad esempio, il papiro e la felce galleggiante, usata come già detto per la fitodepurazione. A destra della serra grande si trova la collezione di felci tropicali: è la collezione più importante dell'Orto Botanico poiché alcune piante hanno oltre 200 anni.
Stefano Zec Photography
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GERMOGLIO FELCE Dario Truffelli Photography
Purtroppo durante le guerre mondiali le collezioni sono state danneggiate, così come le serre: ne rimangono circa 100, delle quali 70 tropicali e quindi interne alla serra. Al centro si trovano gli esemplari di felci arboree che, con ogni probabilità, arrivano dalla collezione originale, poiché erano specie già censite a metà dell’Ottocento e di cui esistono alcuni reperti fotografici che ne confermano l’attuale posizione.
Federico Figari Photography
Infatti molti direttori dell’Orto Botanico sono stati esperti di felci e, viaggiando per il mondo per classificare e studiare, spesso “si sono portati a casa” alcuni esemplari. A metà dell'Ottocento la collezione contava più di 200 specie ed era una delle collezioni più importanti d’Europa.
La particolarità delle felci, che è anche il modo per identificarle e studiarle, sono gli sporangi: è la zona dove si formano le spore, si trovano sul retro della foglia e determinano le caratteristiche nervature/puntini neri. La quarta serra ospita piante succulente, un’altra raccoglie piante erbacee tropicali, mentre l’ultima ospita rari esemplari di Cycadeae, piante primitive che crescono naturalmente nell’emisfero australe (Messico, Australia, Centro e Sud America, parti dell’Africa). Giroinfoto Magazine nr. 68
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Dopo il lock down ed un successivo lungo periodo di chiusura dei musei e di tutte le attività aperte al pubblico, il piacere di visitare uno dei luoghi più interessanti della città di Genova è stato impagabile. Tutti noi abbiamo navigato online, guardato video, ci siamo riempiti gli occhi delle bellezze del nostro pianeta attraverso uno schermo pensando che fosse la cosa più bella del mondo "poter vedere". Tuttavia la possibilità di passeggiare in mezzo alle piante e osservare le mille sfumature di colore della natura, delle piante e dei fiori ci appaga e ci fa dimenticare quanto ci sia mancata la libertà di entrare e visitare i luoghi di cultura della nostra città. Con l’augurio che si aprano altre porte, anche socchiuse, ringraziamo:
La curatrice Elena Mora Guida che ci ha accolto e accompagnato nella visita I giardinieri, gli aiuto vivaisti e i volontari “Amici dell’Orto Botanico dell'Università di Genova” che si prendono cura di oltre un ettaro di giardino
Orto Botanico dell’Università di Genova Orari di apertura: Lunedì - Mercoledì – venerdì: dalle 8.30 alle 13.30 Martedì e Giovedì: dalle 8.30 alle 17.00 L’ingresso è sempre gratuito, ma in settimana le visite guidate sono a pagamento; viene inoltre fatta un’apertura al mese di sabato grazie all’assistenza dei volontari.
Margherita Sciolti Photography
Per informazioni su aperture straordinarie o nei giorni festivi, contattare l’associazione di volontariato “Amici dell’Orto Botanico dell'Università di Genova” oppure consultare il sito www.ambog.org Vengono organizzate anche, con il supporto dell’Associazione Didattica Museale, attività curriculari per le scuole e visite didattiche. www.ortobotanicoitalia.it
Dario Truffelli Photography
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Stefano Zec Photography
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SESTRI LEVANTE 9 -11 luglio 2021
Sestri Levante rinnova l’appuntamento con la Fotografia attraverso il Festival Penisola di Luce, promosso dal Comune di Sestri Levante in collaborazione con Mediaterraneo Servizi. La manifestazione, dedicata a Lanfranco Colombo, patrocinata dalla FIAF – Federazione Associazioni Fotografiche – è organizzata dall’Associazione Culturale Carpe Diem con il coordinamento artistico di Roberto Montanari. Mediapartner Giroinfoto magazine.
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FOTO Adriano Migliore Giulia Migliore
A CURA DI GIULIA MIGLIORE
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Noto è definita la "capitale del Barocco", nel 2002 il suo centro storico è stato dichiarato Patrimonio dell'Umanità da parte dell'UNESCO. Le vie della città sono caratterizzate da un’alternanza di imponenti scalinate e scenografiche piazze che raccordano terrazze e dislivelli. Il centro storico racchiude numerose meraviglie barocche, la Porta Reale, eretta in onore del Re Ferdinando II, Re delle due Sicilie, durante una sua visita nella Val di Noto nel 1838, apre Corso Vittorio Emanuele II. Poco più avanti spiccano due fra i più imponenti edifici religiosi di Noto, la chiesa di S. Francesco all’Immacolata con annesso ex convento e la Chiesa di Santa Chiara, che conserva un’architettura barocca di altissimo pregio, con adiacente convento delle ex Benedettine.
Adriano Migliore Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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MUNICIPIO Giulia Migliore Photography
Proseguendo, l’uno di fronte all’altra, sorgono il Palazzo del Municipio e la Cattedrale di San Nicolò che, a causa di un difetto strutturale e del terremoto del 1990, subì nel 1996 il crollo della cupola e della navata centrale. La ricostruzione ultimata nel 2007 le ha restituito il candore originario. A destra della Cattedrale si sviluppa il complesso del SS. Salvatore il cui aspetto scenografico fonde felicemente tre costruzioni di differenti stili architettonici: il Monastero con decorazioni barocche, la Basilica in stile neoclassico e il Seminario realizzato alla metà del sec. XIX. Il Palazzo dei principi di Nicolaci, riportato recentemente agli antichi splendori, si trova proseguendo lungo Corso Vittorio Emanuele II e imboccando via Nicolaci, è una struttura che rappresenta nella sua interezza la ricchezza artistica e l’opulenza del centro storico Netino.
SAN SALVATORE Adriano Migliore Photography
La facciata è caratterizzata da un portale imponente e due grandi colonne ioniche, sormontate da una sequenza di balconi con inferriate in ferro ricurvo, sorretti da mensoloni in pietra scolpita con le sembianze di figure grottesche quali sirene, leoni, sfingi, ippogrifi, cavalli alati e angeli. Chiude il centro storico Piazza XVI Maggio (comunemente nota come Piazzetta Ercole) che ospita anche il Teatro Tina Di Lorenzo e la chiesa di San Domenico. Nei dintorni del centro storico sorgono numerosi palazzi nobiliari visitabili come Palazzo Landolina, Palazzo Rau della Ferla, Palazzo Trigona, Palazzo Di Lorenzo, solo per citarne alcuni.
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SAN NICOLÒ Giulia Migliore Photography
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PALAZZO NICOLACI Giulia Migliore Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Una delle manifestazioni netine più sentite e una tra le più importanti dell’intera Sicilia è l’Infiorata: non si tratta di una manifestazione di carattere religioso, ma del “Saluto alla Primavera”, un susseguirsi di “tele dipinte con fiori” nella via più affascinante della città, Via Nicolaci. Noto, la perla del barocco siciliano celebra quest’anno la 42esima edizione dell’infiorata di Noto. Ogni anno, dal 1980, la terza settimana di maggio Noto accoglie, nel cuore del centro storico, un giardino di Fiori. Il venerdì pomeriggio alla luce del tramonto che potenzia le tonalità dorate della pietra dei monumenti barocchi, ciascuno degli artisti vincitori del concorso per l'ideazione dei bozzetti ispirati a temi che variano, di anno in anno, dalla mitologia all'arte sacra, al folklore locale, ecc., prende possesso del riquadro assegnatogli tra i sedici a disposizione sui lastroni di lava che pavimentano via Nicolaci.
DANTE Adriano Migliore Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Giulia Migliore Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Giulia Migliore Photography
Il pendio lungo 122 metri, che costeggia Palazzo Nicolaci, Principe di Villadorata, è caratterizzato da sette balconi barocchi raffiguranti figure grottesche e si chiude con la facciata concava della Chiesa di Montevergini, che le fa da sfondo conferendo spettacolarità e valorizzando il lavoro degli artisti infioratori.
L’olfatto è un grande protagonista: l’aroma di caffè, erba fresca e fiori di ogni tipo, inebriano i passanti generando una vera e propria gioia che coinvolge tutti i sensi, infatti la passeggiata è spesso accompagnata da musica allegra barocca allietando i passanti che ininterrottamente a partire dal venerdì sera percorrono la strada in fiore.
I 16 bozzetti vengono selezionati da una Commissione nominata dall'Amministrazione Comunale, gli artisti si impegnano con competenza tecnica e creatività ricoprendo con petali di fiori e materiale vegetale il riquadro loro assegnato, le cui dimensioni sono 6 m x 4 m.
È consolidata tradizione che la realizzazione del bozzetto raffigurante lo stemma della città, che apre l'Infiorata con il primo riquadro, venga affidata, fuori concorso, all'Istituto d'arte di Noto.
Il tappeto floreale ricopre dunque un'area complessiva di 700 mq, in cui sono distribuiti sedici bozzetti. Percorrendo la via Nicolaci il colpo d’occhio dei monumenti storici, unito al tripudio di colori dei petali utilizzati per la realizzazione dei bozzetti è trainato dai profumi sprigionati lungo la passerella.
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Per infiorare il tappeto di mq 700, occorrono circa 400.000 fiori, in prevalenza margherite, garofani, gerbere, rose, ma anche fiori di campo delle più varie dimensioni e colori, ampiamente disponibili nel mese di maggio in tutto il territorio collinare di Noto.
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Nei diversi anni Noto ha ospitato maestri infioratori provenienti da tutte le regioni d’Italia e dall’estero, unendo varie tecniche di realizzazione dei bozzetti (polveri, fiori tritati, tagliati, con sale ecc..) che hanno dato vita ad una festa multiculturale. Il tema dell’edizione di quest’anno è dedicato alla celebrazione del Sommo Poeta nell’anniversario dei 700 anni dalla sua morte. A causa delle restrizioni Covid-19 sono stati realizzati solo 8 bozzetti rappresentativi. Il selciato di Via Nicolaci si apre con gli ultimi versi dell’Inferno “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Giulia Migliore Photography
Il girone dell’Inferno è stato rappresentato con “Il sommo traditore” raffigurante Lucifero e “The journey of salvation” evocazione del viaggio di Dante accompagnato dal poeta Virgilio.
THE JOURNEY OF SALVATION Adriano Migliore Photography
IL SOMMO TRADITORE Adriano Migliore Photography
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Per il Purgatorio sono stati scelti i bozzetti “Ahi selva Italia, di dolore ostello” celebre verso del VI canto del Purgatorio che introduce un’amara riflessione sulla situazione politica in Italia e la raffigurazione del II canto del Purgatorio con “Angelo Nocchiero” incaricato di raccogliere sulla sua barca le anime salve destinate al Purgatorio.
Giulia Migliore Photography
AHI SELVA ITALIA ... Adriano Migliore Photography
ANGELO NOCCHIERO Giulia Migliore Photography
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I canti scelti del Paradiso sono stati il XXI canto che rappresenta il legame tra il mondo terreno e il mondo celeste attraverso la luminosissima scala e il canto XXXIII con la "Preghiera di San Bernardo alla Vergine". L’ultimo quadro cita infine gli ultimi versi del Paradiso “L’amor che move il sole e l’altre stelle”.
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PREGHIERA A SAN BERNARDO ... Giulia Migliore Photography
L'AMOR CHE MUOVE ... Adriano Migliore Photography
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Oltre alla celebrazione di Dante, l’infiorata 2021 ha voluto lanciare un messaggio di speranza, rinascita e resilienza, seppur con un pubblico limitato, infatti, l’infiorata è stata svolta come di consueto garantendo gli eventi principali e la spettacolarità del tappeto fiorito.
Le sere sono animate da spettacoli musicali e video-mapping sulle facciate simbolo della città. L’evento dura quattro giorni ed accoglie migliaia di turisti provenienti da tutto il mondo, permettendogli di visitare anche le bellezze architettoniche di questa città di pietra.
L’infiorata è sempre stata sinonimo di rinascita: Noto nel mese di maggio si rigenera ed è possibile respirare l’arte a ogni angolo della città. Fanno da cornice, infatti, tantissime attività ed eventi correlati.
Se si volesse visitare Noto durante il periodo estivo, è consigliato un cappellino e una scorta d’acqua ma è possibile una fresca pausa nelle vicinissime spiagge meravigliose come l’oasi naturalistica di Vendicari, che ogni anno ospita tantissimi uccelli migratori, tra i quali i fenicotteri sono i protagonisti indiscussi, la Spiaggia di Calamosche, Eloro e tante altre.
Il corteo barocco è uno degli eventi cardine dell’infiorata, una rievocazione storica dove i figuranti indossano gli abiti storici del ‘700 rappresentando le nobili famiglie e i personaggi di spicco dell’epoca, accompagnati da musicanti, sbandieratori e ballerine.
Adriano Migliore Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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ACQUEDOTTO ALIBRERIA LUXEMBURG GENOVA
Dario Truffelli Davide Mele Gianfranco Cavassa Giuseppe Tarantino
Isabella Nevoso Luca Barberis Sara Morgia Stefano Zec
“oltre un secolo all’insegna della cultura” A cura
Entrare nella Libreria Internazionale Luxemburg è come essere proiettati in una dimensione parallela; appena varchi la soglia, vieni avvolto dalla musica classica che fa da sottofondo alla tua visita e, man dimano Gaiache Cultrone ti addentri all’interno delle sue stanze, scopri che questo posto non è una semplice libreria bensì un vero e proprio pilastro del panorama culturale torinese e non solo.
A CURA DI BARBARA LAMBOLEY
Barbara Lamboley Floriana Podda Maria Grazia Castiglione Massimo Tabasso Remo Turello
Barbara Lamboley Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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ALIBRERIA LUXEMBURG
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Il negozio è suddiviso in più aree: la sala principale è dedicata alle novità editoriali e alle case editrici italiane mentre, in fondo, si accede ad una saletta che espone illustrati di tutti i tipi (architettura, moda…). Infine, salendo una bellissima scala di legno, si arriva al settore della letteratura in lingua straniera per poi scoprire l’ultima saletta dedicata ai bambini. Ma partiamo dall’inizio e ripercorriamo la sua incredibile storia.
Remo Turello Photography
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ALIBRERIA LUXEMBURG
La libreria Luxemburg nasce nel 1872 sotto nome diverso; all’epoca, fungeva da filiale alla libreria Le Beuf di Genova e, due anni dopo, fu rilevata dal gestore della succursale, Francesco Casanova, che ne prese le redini facendola diventare Libreria Casanova.
La particolarità di questo nuovo procedimento risiedeva nella scelta molto accurata dei dettagli con cui venivano stampati piccoli volumi; niente era lasciato al caso: i caratteri, la carta, il formato e, soprattutto, le illustrazioni firmate da artisti di grande spessore.
Francesco Casanova era appassionato, oltre che di libri, anche di editoria e fece pubblicare una serie di grandi nomi quali De Amicis e Verga. La libreria diventò presto un luogo di ritrovo culturale e artistico per i più grandi autori di Torino.
Casanova fu anche il primo ad utilizzare la fotoincisione per le sue pubblicazioni. Dopo una lunga carriera caratterizzata da scelte editoriali di grande eleganza e raffinatezza, nel 1921, Francesco Casanova decise di cedere l’attività ai suoi collaboratori Rocco e Scala.
Casanova è stato all’avanguardia per le sue scelte editoriali nonché per alcune innovazioni nel campo come la collana “Biblioteca Elzeviriana”: un’idea del tutto nuova nell’editoria italiana e che, ancora oggi, nessuno è stato in grado di imitare alla perfezione.
Maurizio Lapera Photography
Remo Turello Photography
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Barbara Lamboley Photography
La libreria Casanova andò avanti senza grande clamore fino agli anni ’70 quando venne acquistata da Angelo Pezzana. Nel 1974, Pezzana, già precedentemente proprietario di una libreria internazionale, portò un vento di modernità e vivacità alla nuova nata Libreria Internazionale Luxemburg; la fece diventare un grande punto di riferimento per la narrativa angloamericana, nonché per la letteratura internazionale in generale.
Angelo Pezzana è stato un libraio, giornalista, scrittore e politico ma è anche conosciuto come fondatore del movimento “Fuori!” (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), il primo movimento di liberazione omosessuale italiano. Pezzana è stato un pioniere della difesa dei diritti degli omosessuali in Italia e, nel 1977, non esitò ad andare fino a Mosca per protestare contro la detenzione di un regista sovietico, imprigionato perché omosessuale.
Maria Grazia Castiglione Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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Floriana Podda Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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ALIBRERIA LUXEMBURG
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ALIBRERIA LUXEMBURG
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Da sempre appassionato di studi ebraici, Pezzana è stato oggetto di intimidazioni fino a subire, nel 1988, un attentato a sfondo antisemita. Una bomba molotov venne lanciata all’interno del negozio riducendo in cenere circa duemila libri. Insomma, la libreria con Pezzana diventò, tramite la figura carismatica del suo proprietario, luogo di lotta e impegno per i diritti civili nonché punto di riferimento per un pubblico sempre più internazionale, alla ricerca di titoli o articoli che, da altre parti, sarebbe improbabile trovare. La Libreria Luxemburg rimase di proprietà di Angelo Pezzana fino al 2004, anno in cui decise di cedere la gestione a Tonino Pittarelli e Gigi Raiola, tuttora gestori del negozio. I due, negli ultimi 20 anni, hanno assicurato la continuità dell’egregio lavoro fatto dal grande Pezzana e hanno cercato di dare maggiore visibilità alla libreria girando per le più grandi manifestazioni internazionali di libri.
Maria Grazia Castiglione Photography
Barbara Lamboley Photography
Remo Turello Photography
Massimo Tabasso Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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La libreria è diventata negli anni un “salotto” dove incontrarsi per scambiare opinioni, sfogliare riviste di difficile reperibilità o semplicemente girare alla ricerca del titolo più adatto ai propri gusti. Grazie alla sua lunga storia e all’impegno dei suoi proprietari, nel 2015, la libreria ha ricevuto il maggiore riconoscimento internazionale dal quotidiano argentino Clarin ed è entrata nella top ten delle librerie più importanti al mondo. Questo premio è stato motivo di orgoglio non solo per i gestori (ex ed attuali) ma anche per Torino; la Libreria Internazionale Luxemburg è stata definita dal Clarin “la migliore e la più completa della città”.
Maurizio Lapera Photography
Dario Truffelli Photography
Floriana Podda Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
E’ stata premiata insieme ad altre rinomate librerie di Parigi, Tangeri, Oporto, Bruxelles, Barcellona, Maastricht e Buenos Aires. Capite, allora, che entrare in un luogo simile può davvero avere un significato paragonabile al viaggio in un’altra dimensione in cui la musica classica, le riviste e i libri esposti hanno il potere di farvi tornare indietro di anni o di proiettarvi nel futuro, di farvi conoscere culture diverse o di farvi ritrovare la vostra lingua madre… Dipende da quello che decidete di leggere e, se siete indecisi, ci sarà sempre qualcuno pronto a darvi consigli.
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Remo Turello Photography Giroinfoto Magazine nr. 68
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UNO SCRIGNO DI RARE BELLEZZE A cura di Margherita Sciolti
Giancarlo Nitti Margherita Sciolti
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TERRE D'OCCITANIA Usseaux, altrimenti detto Usseauso in italiano; Usseaus in occitano o anche Useaou o Ussò in piemontese, è un piccolo gioiellino alpino di 180 abitanti. I suoi abitanti la chiamano invece Siò. È una meta deliziosa apprezzabile sia in estate che in inverno. Usseaux è probabilmente il villaggio chiamato “Occellum” attraversato da Giulio Cesare e citato nel De Bello Gallico. Il nome ha forse origini celtiche, da “uxellos” che significa “alto”. Vi si parla ancora il patois, una variante dell’occitano alpino, vale a dire la lingua d’Oc parlata un tempo nel sud della Francia.
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Il territorio del comune di Usseaux, considerato uno dei Borghi più belli e suggestivi d’Italia, è collocato nel panorama mozzafiato delle Alpi Cozie, nel cuore dell’Alta Val Chisone, a circa 80 km da Torino, ed è compreso tra due incantevoli aree naturalistiche, il parco naturale Orsiera-Rocciavrè e il parco naturale del Gran Bosco di Salbertrand.
In questa zona troviamo anche il parco naturale della Val Troncea, campione di biodiversità, che si estende su una superficie di 35474 ettari tutelati che arrivano a sfiorare i 3550 metri di quota e che ospita le principali specie di ungulati d’Italia tra cui cervi, caprioli, camosci, stambecchi, cinghiali e mufloni.
Queste due meravigliose aree naturalistiche sono state istituite al fine di preservare e tutelare gli ecosistemi alpini e gli ambienti in essi racchiusi, con i loro monumenti ed edifici di grande valore storico-culturale. Il territorio di questi parchi è caratterizzato da numerose miniere e da alcuni ghiacciai, oltre che da antiche strade e da splendidi edifici religiosi di pregio.
Questi tre parchi naturali rendono questo territorio uno tra i più ricchi di flora e fauna delle vallate alpine piemontesi. Nel 2011 è stato anche insignito della “Bandiera Arancione” dal Touring Club.
Tutta la Valle Chisone è di origine glaciale, un tempo i ghiacciai arrivavano fino alle porte di Pinerolo.
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Il Comune è distribuito in cinque borgate, tutte abitate:
Usseaux capoluogo, Laux, Balboutet, Pourrieres Fraisse da un’altitudine che va dai 1210 ai 2890 metri s.l.m.. Ogni borgata ha la sua Chiesa, il suo forno della comunità e la sua festa patronale e ha una caratteristica che la contraddistingue. Questi 5 villaggi alpini sono un esempio di architettura rurale tra i più integri di tutta la zona. I piccoli borghi arroccati sui fianchi della montagna, le case in pietra e in legno addossate l’una all’altra e distribuite sul fianco della montagna, le fontane, i lavatoi, i forni per il pane, le stalle, il mulino, i segni evidenti dei terrazzamenti che in passato erano coltivati a grano, i pascoli ancora oggi utilizzati e i boschi, testimoniano una realtà agricola e contadina di alta montagna ancora oggi ben conservata e rendono questi villaggi alpini delle piccole perle rurali.
Qui il tempo sembra essersi fermato, si respira un’atmosfera d’altri tempi e i suoi paesaggi incontaminati trasmettono un senso di pace e serenità. L’economia è ancora basata sull’agricoltura, sull’allevamento, sull’artigianato del legno, sulla produzione casearia e sul turismo. Le origini delle Borgate di Usseaux sono molto antiche e legate a tutti i popoli che nel tempo hanno abitato il territorio: Liguri, Celti, Romani, Barbari, Bizantini, Provenzali, Longobardi e Saraceni. Ognuno di loro ha lasciato importanti influenze per quanto concerne cultura, lingua e tradizioni.
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Le prime notizie sull’esistenza di Usseaux risalgono al 1064, quando i conti di Savoia donano il territorio all’abbazia di Pinerolo. Dal 1091 al 1349, il territorio fa parte del Delfinato. Il 29 maggio 1343, a Beauvoir en Royans, il Delfino Umberto II, insieme ad altri 18 rappresentanti delle valli alpine, firma la Carta delle Libertà: nasce così la Repubblica degli Escartons. Il termine “escarton” deriva dal francese “écarter”, che significa ripartire in quarti le imposte. Tutto nasce infatti da una legge sulle tasse imposta su questo territorio, allora francese. Questa Repubblica comprende cinque valli: Briançonnais, Oulx (Alta Val di Susa), Casteldelfino (Valle Varaita), Val Chisone, Queyras, le cui popolazioni, affrancate dalle servitù feudali, si uniscono per difendersi da una natura ostile e provvedere al loro fabbisogno. In questo modo il Delfino riconosceva alle diverse comunità montane il diritto di governarsi e accordava a tutti il titolo di Franco Borghese. Nel 1349, dopo soli sei anni dalla promulgazione della Carta, lo stesso Delfino Umberto II, pressato dai debiti, cedette gli Escarton al Re di Francia per 20.000 fiorini a patto che rispettasse i diritti già concessi nel 1343. Solo nel 1713, con il trattato di Utrecht, si pose fine a questa piccola nazione di montagna con il passaggio delle valli Susa, Varaita e Chisone all’Italia. Gli Escarton costituiscono quindi la prova che le Alpi non hanno mai avuto una funzione di barriera tra le diverse popolazioni, bensì hanno generato un nucleo ambientale e culturale dove tradizioni diverse si sono fuse tra loro. Nell’ambiente degli Escartons si sviluppano il valdismo e, in seguito, la riforma protestante. In questo modo anche a Usseaux convivono per secoli la fede cattolica e quella valdese. Nel 1526 a Laux i Valdesi si riuniscono per discutere le nuove idee di riforma calvinista, e, in breve, tutta l’alta Val Chisone, in cui il calvinismo era fortemente consolidato, passa al culto riformato. Nel 1734 Usseaux è concessa in feudo ai Brunetta di Pinerolo. Il 19 luglio 1747, durante la guerra di successione austriaca, l’esercito franco-spagnolo è sconfitto dall’esercito austro-piemontese nella famosa battaglia dell’Assietta, grazie anche al determinante aiuto delle milizie locali.
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Nel 1848 Carlo Alberto promulga le Lettere Patenti, con le quali riconosce ai valdesi i diritti civili e politici. Nello stesso anno sono inseriti nel Parlamento piemontese alcuni rappresentanti dell’Alta Val Chisone. Nel 1861, con l’Unità d’Italia, gli abitanti dell’Alta Val Chisone, e quindi anche di Usseaux, cominciano ad allontanarsi dalle abitudini francesi: la lingua usata negli atti pubblici e insegnata a scuola diventa quella italiana. Nonostante questo ad Usseaux si parla ancora patois (patouà, patuà, patwà) caratteristico idioma, variante dell’occitano alpino, l’antica lingua d’Oc che un tempo si parlava nella Francia meridionale.
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La cultura e le tradizioni occitane rivivono in questo pittoresco villaggio anche attraverso le loro casette in legno e pietra. Le abitazioni, un tempo, erano costruite in legno con il tetto in paglia o in legno. Questo però facilitava lo svilupparsi di incendi e quindi gravi pericoli per le borgate. Per questo motivo si iniziò poi ad utilizzare la pietra per la costruzione delle case. Il tetto e la parte verticale delle case sono in pietra, opportunamente lavorata, a seconda delle necessità e dell’utilizzo che avrebbe avuto la costruzione. Le pietre più grandi sono inserite nella parte bassa della costruzione e vengono sistemate in modo da dare stabilità alla struttura. Il fango viene inserito tra le pietre solo per riempire le fessure e non ha funzione cementante. La “casa tipo” era in genere formata da un seminterrato con volte a botte e pilastri centrali utilizzato come stalla; sullo stesso piano si trovano la cantina e la cucina. In alcune case possiamo trovare un “crotin” o un “infernot” scavato nella roccia, sotto la stalla, utilizzato per la conservazione degli alimenti e la stagionatura di salumi e formaggi. Al primo piano troviamo le camere da letto e una camera chiamata grangia, ossia un ampio vano destinato a granaio o al deposito per gli attrezzi agricoli. Il sottotetto, spesso soppalcato, è anche utilizzato come fienile.
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Il tetto sporge dai muri con falde per proteggere i balconi sottostanti, è costruito con travi in legno a due falde. Il legno utilizzato per le costruzioni è il larice che si sviluppa in tronchi lunghi e lineari ed è difficilmente attaccato dai tarli. Il tetto non è molto inclinato per evitare lo scivolamento della neve che in inverno cade in grandi quantità rendendo questa valle ancora più bella e affascinante. Le lunghe balconate in legno, talvolta con balaustre sagomate, sempre in legno, servivano principalmente come essiccatoio per legname e cereali e si trovavano, di regola, sulla facciata principale della casa. Sono in legno anche tutti i sostegni dei ballatoi. Tutte le parti in ferro che si possono attualmente vedere sono state adottate in epoca successiva anche se non molto recente. La parte anteriore delle case ha la maggior parte delle aperture rivolta verso valle ed è generalmente esposta a sud, mentre la parte posteriore, parzialmente interrata, è più chiusa. L’accesso al primo piano avviene attraverso una scala in pietra mentre, la scala di accesso al sottotetto, può anche essere in legno ed è posta al lato, a monte della casa. Alcune case sono anche dotate di una scala a pioli che collega il ballatoio del primo piano a quello del sottotetto. Gli infissi sono realizzati in legno. Nelle serate più fredde gli abitanti si radunano ancora oggi nelle tipiche stalle, trasformate in taverne, per mangiare insieme, cantare o raccontarsi storie e aneddoti.
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Iniziamo il giro delle borgate proprio da Usseaux, il capoluogo, definito il borgo del pane e dei murales.
Per ricordare il passaggio di Annibale possiamo ammirare il murales che ritrae la sua traversata con gli elefanti.
Il borgo spicca proprio per i suoi splendidi e fantasiosi murales, circa una quarantina, che abbelliscono i muri delle abitazioni e rappresentano temi di vita contadina, di personaggi fantastici o di elementi della natura e degli animali. Possiamo incontrare dipinti di finestre aperte da cui si affacciano talvolta bambini e altre volte vecchietti; gattini assopiti e lupi selvaggi.
Lungo le strade lastricate di pietre irregolari incontriamo fontane, lavatoi, antichi mulini e tracce della cultura occitana. Passeggiando tra gli stretti vicoli e le pittoresche stradine, giungiamo al forno della comunità, utilizzato ancora oggi per cucinare il pane.
Nella piazza principale, la Piazzetta delle cinque borgate, c’è raffigurata la storia del pane, dalla semina alla panificazione e la cottura nel forno, passando per la falciatura e la macinatura nel mulino.
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Molto suggestivi anche il moe – palo del sindaco, il mulino ad acqua, ristrutturato e visitabile in alcuni giorni, il grande lavatoio e i collegamenti sotterranei.
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A monte spicca la chiesa Santissimi Pietro e Paolo, risalente all'epoca di Luigi XIV, soggetta nel tempo a numerosi restauri. Nel periodo natalizio si svolgono i mercatini di Natale dove si possono ammirare esempi di artigianato locale e assaggiare cibi tradizionali tipici del Borgo. La cosa particolare è che questi mercatini vengono allestiti al caldo, nelle antiche stalle delle case. Lo stemma comunale ha come emblema due spade d’argento, guarnite d’oro, incrociate, con le punte all’insù, accompagnate in campo dalla scritta Uxellum, in lettere maiuscole in oro.
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Il gonfalone, che riprende nella sua parte centrale il disegno dello stemma, è in drappo bianco riccamente ornato di ricami d’argento e reca una cravatta con nastri dei colori nazionali frangiati di argento. Viene solitamente esposto durante le cerimonie ufficiali nell’ambito del Comune, ed anche fuori del territorio comunale.
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Percorrendo la strada che porta al Pian dell’Alpe incontriamo Balboutet, la borgata del sole e delle meridiane. Sui muri delle case troviamo infatti una ventina di quadranti solari. È detto paese del sole, poiché soleggiato anche nel giorno del Solstizio d’Inverno. Da Piazza del Sole parte un percorso didattico sul sistema solare e sulle diverse tipologie di misurazione del tempo. Balboutet è famosa anche per l’allevamento bovino e per la sua produzione di formaggi. Qui è facilissimo incontrare le rondini, che amano trovare riparo nelle antiche stalle.
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Costeggiando il torrente Chisone arriviamo invece a Laux, la borgata dell’acqua. Qui ci troveremo davanti ad uno splendido laghetto naturale dalle acque purissime color smeraldo sul quale si affaccia un vecchio casolare. Il tutto incorniciato dai verdeggianti pendii delle Alpi. Il lago è molto suggestivo, piccolo e dall’atmosfera magica. Guardandolo sembra di essere stati trasportati in una fiaba. Il lago risulta affascinante agli occhi dei turisti anche per via di una leggenda che continua a tramandarsi di padre in figlio.
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La leggenda narra che in tempi lontani al posto del lago ci fosse il campo di un contadino, gran lavoratore. Giorno dopo giorno il contadino non faceva che zappare, arare, seminare, non esisteva un giorno di pausa, non si assentava mai dalla sua campagna per nessun motivo. Diceva che lui non avrebbe smesso di lavorare neanche se un giorno il campo fosse sprofondato. Rinunciava a tutto pur di continuare a lavorare il suo campo. Una domenica mattina, in onore della celebrazione del Corpus Domini, nonostante le campane avessero iniziato a richiamare i fedeli a messa, lui ha comunque continuato a lavorare. I compaesani, mentre si recavano in Chiesa, ligi al proprio dovere, lo chiamavano chiedendogli di unirsi a loro, pensando che fosse solo distratto o in ritardo. Lui invece era ben consapevole delle sue decisioni e non aveva nessuna intenzione di unirsi a loro, anzi li cacciò in
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malo modo chiedendo di essere lasciato in pace a lavorare la sua terra. Quando al ritorno la gente passò nuovamente davanti al suo campo rimase stupefatta dal fatto che il campo era completamente sparito così come l’uomo ed il suo aratro, risucchiati da un vortice che fecero sprofondare la terra lasciando il posto a un meraviglioso specchio d’acqua! Infatti, non è possibile fare il bagno nelle acque del lago a causa di continui gorghi e mulinelli d’acqua che ci risucchierebbero sul fondo non permettendoci di stare a galla. La leggenda narra anche che se si sale in punta alla Rocca del Lago, la parete rocciosa che cade a strapiombo sull’acqua, e si guarda giù verso il fondo del lago, si possa vedere l’aratro del contadino.
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È uno dei Borghi alpini meglio conservati della valle, oltre ad essere quello in cui si sente più forte la tradizione valdese. Da non perdere la chiesa parrocchiale di S. Maddalena con la sua bella meridiana e la Piazza della Preghiera. Laux conta solo 7 residenti.
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Risalendo invece la strada regionale del Sestriere incontriamo Pourrières, celebre per la battaglia che, nel 1747, vide l’esercito dei Savoia scontrarsi con quello francese tra il vallone di Cerogne e il Colle dell’Assietta. Lungo il “percorso della battaglia dell’Assietta” si trovano sagome artistiche dei soldati dell’epoca. Nel borgo meritano una menzione la chiesa seicentesca dedicata all’Annunciazione di Maria con campanile del 1889 e il piccolo cimitero.
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Ultima tappa è Fraisse, la borgata più a monte, conosciuta come “il borgo dei boschi e del legno” per la sua dedizione all’arte della falegnameria, sostenuta proprio dai rigogliosi boschi circostanti, che forniscono la materia prima. Passeggiando per le vie del paese puoi ammirare appesi ai muri esterni delle case quadri intagliati proprio in legno che rappresentano scene di vita quotidiana, lavorativa o natura e animali.
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Tra le attrazioni architettoniche spicca la chiesa dedicata ai Santi Giacomo e Filippo, costruita dagli abitanti per volere del duca Vittorio Amedeo II, con il grande quadrante solare sul campanile.
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Le condizioni climatiche e lo scenario particolare rendono uniche anche le materie prime e la tradizione gastronomica, nella quale possiamo incontrare anche gusti e sapori francesi e valdesi. Il prodotto tipico per eccellenza è il plaisentif, una toma particolarmente ricca di essenze floreali prodotta con il latte delle mucche munto nei primi giorni di alpeggio. È conosciuto anche come “formaggio delle viole” perché l'erba del primo alpeggio coincide con l'epoca della fioritura delle viole. La stagionatura dura almeno ottanta giorni. Il piatto tipico, antica ricetta delle valli valdesi e occitane sono invece le calhiette valdesi. Sono di aspetto simili agli gnocchi ma a base di pane raffermo, patate grattugiate, salsiccia o salame o lardo e cipolla.
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Vengono poi cotte in acqua bollente e servite con burro fuso, salvia e parmigiano. Buonissimi e caratteristici del posto anche i salumi, tra cui il prosciutto cotto al forno e la mocetta, gli gnocchi con la fonduta e la polenta con selvaggina. Il tutto ovviamente da accompagnare con i rinomati vini rossi piemontesi. Il Ramìe è il vino rosso tipico della zona. Da non dimenticare le grappe aromatizzate, il genepì, tipico liquore piemontese a base di artemisia alpina, il serpoul liquore a base di serpillo (varietà di timo) e l’arquebuse digestivo a base di tanaceto.
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I villaggi alpini di Usseaux offrono molte possibilità per passeggiate a piedi, in mountain bike e a cavallo, lungo sentieri e strade militari, oltre a percorsi con le racchette da neve e con gli sci. Un percorso facile di circa due ore, ad anello, adatto a tutti, denominato “Il Sentiero del Pensiero”. Il nome deriva dal fatto che lungo il cammino si trovano delle massime incise su tavole di legno, scritte in quattro lingue: italiano, occitano, francese e spagnolo. Poco sopra Usseaux ci sono anche gli impianti olimpici per gli sport invernali di Pragelato e Sestriere. Per gli appassionati di mountain bike, ci sono la strada dell’Assietta e un reticolo di strade militari che offrono percorsi adatti a tutte le esigenze. Al lago di Laux è possibile fare pesca sportiva mentre, per gli amanti degli sport estremi, si può fare parapendio al Pian dell’Alpe.
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All’interno dei cinque borghi è possibile partecipare anche a dei tour guidati. Imperdibile, poi, a soli 4 km, la visita al Forte di Fenestrelle, la grande muraglia piemontese, la più grande fortificazione alpina d’Europa. Nel 2020 nel Comune di Usseax a Pian dell’Alpe nei pressi del lago delle rane è stata posizionata una “Big Bench”. La Big Bench è una panchina gigante diventata simbolo di promozione e valorizzazione del territorio. La panchina è fedele a quella del progetto del designer americano Chris Bangle. Insomma, un susseguirsi di magia, favole e storia che si intrecciano dando vita a qualcosa di veramente unico.
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