N.39 -
www.giroinfoto.com
2019 Gennaio
STORICO CARNEVALE DI IVREA
N. 39 - 2019 | GENNAIO, Gienneci Studios Editoriale. www.gienneci.it
BAND OF GIROINFOTO TORINO
TRIGGIANO STREET & FOOD Di Giancarlo Nitti
MANHATTAN QUARTIERI ETNICI Di Barbara Tonin
AUSCHWITZ IN MEMORIA Di Adriana Oberto Photo cover by Giancarlo Nitti
WEL COME
39 www.giroinfoto.com GENNAIO 2019
la redazione | Giroinfoto Magazine
fotografare e viaggiare due passioni un’ unica esperienza Benvenuti nel mondo di Giroinfoto magazine©. Una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze offerte dal nostro pianeta. Una lettura attuale e innovativa, che accoglie, oltre i migliori professionisti della fotografia da reportage, anche le immagini e le esperienze di chiunque sia appassionato di viaggi e fotografia. Con i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, Giroinfoto magazine ha come obiettivo, essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la condivisione di migliaia di luoghi e situazioni sparsi per il nostro pianeta. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Uno largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e testi, indipendentemente dal valore professionale dell'autore. Una raccolta di molteplici idee e progetti di viaggio, frutto delle esperienze e lavori eseguiti da esperti nel settore del reportage fotografico, che hanno saputo confrontarsi con le condizioni climatiche e socio-politiche, con le difficoltà imposte dalla natura, per catturare l'immagine e la spontaneità selvaggia della stessa. Troverete anche articoli tecnici, dove prendere spunto per ottenere scatti sempre perfetti e con idee sempre nuove per rendere le fotografie più interessanti. Giroinfoto.com© , con la sua rivista e la sua rete web è la più grande community di foto-viaggiatori che accoglie chiunque voglia condividere le proprie esperienze di viaggio o semplicemente farsi coinvolgere dai racconti pubblicati. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti
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ANNO V n. 39
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20 Gennaio 2019 DIRETTORE RESPONSABILE HEAD PROJECT MANAGER Giancarlo Nitti CAPO REDAZIONE Paolo Buccheri SEGRETERIA DI REDAZIONE E RELAZIONI Margherita Sciolti CAPI SERVIZIO Giancarlo Nitti REDATTORI E FOTOGRAFI Giancarlo Nitti Redazione Barbara Tonin Reporter Adriana Oberto Reporter Band Of Giroinfoto - Torino Adriana Oberto Barbara Lamboley Giulia Migliore Barbara Tonin Manuel Monaco Fabrizio Rizzo Fabrizio Rossi Nadia Laboroi Cinzia Carchedi Floriana Speranza Giancarlo Nitti
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INSIDE
Giroinfoto Magazine
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Indice 10
TRIGGIANO Street and Food
A cura di Giancarlo Nitti
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MANHATTAN I quartieri etnici A cura di Barbara Tonin
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IRISH TWEED
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NATURE AND POLITICAN Thomas Struth Mast Bologna
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STORICO CARNEVALE DI IVREA L’apertura Band Of Giroinfoto
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AUSCHWITZ In memoria A cura di Adriana Oberto
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Tessuto sociale A cura di Giancarlo Nitti
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FOTO EMOZIONI Le foto dei lettori Questo mese con: Sergio Agrò Angelo Bianchi
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Foto singole pubblicate
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A cura di Giancarlo Nitti
ECCELLENZA BARESE strade di sapori, profumi e arte
Treggiéne, nel dialetto barese è una borgata popolata da 27.000 abitanti a circa 8 km a sud dal capoluogo pugliese. Inserito nell’area chiamata “conca di Bari”, il paese si estende con un consistente anglomerato urbano, circondato da campi per il raccolto intensivo di viti, olivi, mandorli e altri alberi da frutta. La memoria culturale, nutrita dall’amore per la propria terra è particolarmente forte, mantenendo la tradizione barese viva, ogni giorno, sotto ogni aspetto, dalla cucina al folclore locale.
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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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SULLA STRADA DELLA LAMA SAN GIORGIO Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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TRIVIANUM O TRAIANUS L’area è stata popolata fin dal periodo neolitico, come dimostrano alcuni ritrovamenti nella Lama San Giorgio, mentre nella contrada San Lorenzo, nel 1902, venivano rinvenuti reperti funerari risalenti al III secolo a.c. Ma le prime testimonianze, sono del X secolo, sottoforma di insediamento ipogeo, l’attuale Triggiano nasce in una fossa a difesa di una residenza romana. Le ipotesi sono diverse sull’origine del nome , che potrebbe derivare dal toponimo “trivius” riferendosi alle tre strade che si diramavano dalle mura del forte difensivo per arrivare sulla costa, oppure da “Traianus”, dall’imperatore Traiano che ordinò la costruzione della via casolare traiana da Benevento a Brindisi attraversando Triggiano. Tuttavia, la prima documentazione scritta della città, risale al 983 d.C., quando l’arcivescovo Pavone concede a Leone, figlio di Argiro, la pieve di San Martino in loco Triviani. Il nome Trigiano appare invece in un testamento del 1054. Nel 1466, la costituzione dell’universitas triggianese iniziò a pretendere una certa autonomia amministrativa da Bari, ufficializzata poi con lo statuto concesso nel 1543 dalla duchessa di Bari Bona Sforza, che donò poi Triggiano, un decennio dopo, ai nobili di Pappacoda, che la reggeranno in qualità di principi fino al 1768, anno in cui il titolo passò alla famiglia Filomarino e poi ai Brancaccio.
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CHIESA MATRICE Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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IL PAESE Vivacemente caratterizzato dalle classiche strette viuzze dei paesi del sud, Triggiano assume un’aspetto antico nel proprio centro storico, volutamente mantenuto per preservare lo stile della città. Gran parte delle vie e piazze, rimangono quelle di un tempo, realizzate in muratura, pietra bianca e tufo, chiamate dai locali con nomi dialettali come, Rèt’ a terr, A chiangàt, U pònt ad indicare la posizione. Anche se poco conosciuta e nascosta dai tanti nuovi palazzi che gli sono “cresciuti” intorno, come la zona 167, Triggiano vecchia merita una visita, anche solo per
l’aspetto folkoristico che la caratterizza, visto che ogni angolo ha un suo particolare nome e storia raccontata dagli anziani. Gli elementi sotto il profilo storico-artistico sono: la chiesa di Santa Maria Veterana, chiamata anche Chiesa Matrice, costruita, nel 1500, su di un precedente edificio di culto, della fine del secolo XI; la seicentesca chiesa di San Francesco d’Assisi o dei Cappuccini, in cui si possono ammirare gli affreschi della prima metà del 1700; le chiese di San Giuseppe e della Madonna del Carmelo, della seconda metà del XIX secolo; quella del Santissimo Crocifisso e la chiesa di Santa Maria della Croce, dell’inizio del 1600, in cui si venera la sacra immagine della Vergine del Crocicchio.
VIA DANTE Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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LE PETTOLE Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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TRADIZIONI DELLA CUCINA BARESE A pochi km da Bari, Triggiano è lo specchio nitido delle tradizioni culinarie di questa zona. Focaccia, panzerotti, orecchiette, “crudo di mare”, pettole e sgagliozze, sono solo alcuni dei piatti iconici che caratterizzano la cucina locale. Un tripudio di specialità, colori e odori tutti da scoprire per le strade della città. La tradizione affonda nella propria storia di una zona “povera” ma ricca di risorse, dove ogni frutto del mare e della terra si è sempre sfruttato al massimo producendo piatti semplici ma gustosi. Una caratteristica unica e fondamentale della cultura gastronomica locale è il cosìdetto crudo di mare, che è presente quotidianamente sulle tavole baresi. Infatti, in tutta Italia, non si troverà alcun posto dove il crudo di mare venga così apprezzato e consumato in quantità importanti. Ma i must della gastronomia non si limitano al pesce e frutti di mare crudi, sono molteplici le pietanze simbolo della cucina barese, a partire per esempio dalle conosciutissime orecchiette o strascinate alle cime di rapa o al classico riso, patate e cozze al forno. Non dimentichiamoci invece uno dei migliori oli di oliva , prodotti nelle vastissime campagne baresi e che rimane ancora, insieme alle mandorle e agrumi, prodotti di produzione familiare. Insomma, la cucina barese, rappresenta per qualità e varietà una grossa fetta della cucina Italiana mediterranea e questo grazie alla capacità di rispettare e valorizzare la cultura gastronomica tipica locale.
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A PROPOSITO DI
Focaccia barese Se ci si vuole immergere nella cucina tipica barese, non si può assolutamente tralasciare la focaccia. Questa specialità fa parte della storia della zona, dove vi è una forte concentrazione di panifici che sfornano costantemente le cosiddette “ruote” calde. “A’ fcazz”, come la chiamano i baresi, si mangia a tutte le ore ed è fatta con pochi e semplici ingredienti come acqua sale e farina, che creano un impasto a cui ognuno ci aggiunge i propri segreti. Riguardo al pomodoro fresco, ci sono diverse scuole di pensiero e anche riguardo l’impasto: c’è chi la “massa” la preferisce più alta, chi più sottile, ma su un aspetto tutti sono d’accordo. La “croccantezza” è fondamentale per l’autenticità del prodotto finito. LA STORIA Le origini potrebbero essere attribuibili agli antichi Fenici che con un impasto di miglio, orzo, acqua e sale, quale Catone nel II secolo A.C. raccontava come un
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impasto di forma rotonda, cotto su pietra, con olio d’oliva, spezie e miele. Tracce di convivialità legata alla focaccia, si trovano anche fra cartaginesi e greci, dove si scopre che la focaccia veniva offerta agli Dei. Nell’epoca rinascimentale, veniva consumata assieme al vino, nei banchetti nuziali. Trattandosi di un prodotto della tradizione popolare, la ricetta presenta numerose varianti in base alla collocazione geografica. Nella sua versione più tipica, la “massa”, cioè l’impasto, si ottiene amalgamando semola rimacinata, patate lesse, sale, lievito e acqua. Lievitato e steso in una teglia tonda unta con abbondante olio extravergine d’oliva, viene lasciato lievitare di nuovo, condito e cotto, preferibilmente in forni in pietra alimentati a legna.
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A PROPOSITO DI
Panzerotto Tutto il barese è una delle capitali dello street food italiano e il panzerotto ne è il principe. Il panzerotto barese è il più rinomato, tanto da aver ricevuto l’appellativo di “ambasciatore” di Puglia nel mondo. La sua ricetta semplice è rimasta invariata nel tempo e si tramanda di generazione in generazione anche se ognuno ha il suo piccolo segreto per prepararli al meglio, dall’impasto, alla frittura, al ripieno. Fatto sta che non c’è famiglia in Puglia che non sappia preparare i panzerotti. LE ORIGINI Anticamente era diffusa l’abitudine di benedire con un taglio a forma di croce la “massa” dei panzerotti prima che completasse la lievitazione e baciare la lama del coltello, questa tradizione è ancora in uso in molte famiglie, che secondo un’interpretazione più attuale e tecnica del gesto, il taglio della massa aiuterebbe a farla crescere meglio, perché permetterebbe all’aria di entrare nell’impasto.
Risalire alle origini natali del panzerotto è complicato Secondo alcune teorie, il panzerotto pugliese è nato a Bari intorno al XVI secolo, in concomitanza con la diffusione del pomodoro in Italia. Le massaie usavano creare soffici palle con gli avanzi della massa del pane riempiendole di pomodori e pezzi di formaggio. Un piatto povero, dunque, che rappresentava la cena per molte famiglie che non potevano permettersi altro. Da allora, il panzerotto è diventato una delle celebrità della cucina pugliese, apprezzato dai turisti che arrivano in Puglia per scoprire non solo le sue bellezze ma anche i suoi sapori. CARATTERISTICHE ESSENZIALI Oltre alle varianti sull’impasto e sul ripieno, il vero panzerotto mantiene delle peculiarità inviolabili come la frittura in olio (non esistono panzerotti al forno, come molti sostengono) e la misura che può variare dai 15 ai 20 cm di lunghezza. La forma è categoricamente a mezza luna.
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EX MERCATO DEL PESCE Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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RIPRODUZIONE DELLA CHIESA MATRICE Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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ARTISTI NASCOSTI Triggiano è fondata tutt’ora sulla cultura del lavoro della terra, che produce frutti meravigliosi nelle campagne adiacenti al centro abitato. Non è difficile però, incontrare espressioni di lavoro artigianale che spesso sfociano in grandi opere artistiche, purtroppo nascoste in un paese poco noto e che vive nell’ombra del proprio capoluogo. E’ questo che accade, per esempio, ad un’artista triggianese, che da diversi decenni lavora a riproduzioni di monumenti famosi utilizzando i tondini di ferro. Opere maestose e maniacalmente perfette, frutto di passione e talento artistico.
Si chiama Francesco Porcelli, “Franchino” per coloro che affettuosamente lo chiamano, che orgogliosamente apre in diversi periodi dell’anno le porte di casa sua, in cui ha ricavato due stanze per l’esposizione dei suoi pezzi e un laboratorio. Si trova in Via Virgilio, 72, a ridosso del centro storico ed accoglie amichevolmente tutti i visitatori per esporre il suo magnifico lavoro. I pezzi non sono in vendita, ma fanno parte di una mostra permanente che raccontala sua arte meritevole di essere ammirata. INFO TEL: 080.4684809 MAIL: lartediuntempo@hotmail.it
STANZA DELLE ESPOSIZIONI Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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DETTAGLIO INTERNO DELLA CHIESA MATRICE Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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I QUARTIERI ETNICI
A cura di Barbara Tonin
Verticale, lussuosa, snob, maledetta: Manhattan rappresenta il crocevia delle tendenze, il faro della modernità, lo specchio delle avanguardie. Manhattan racchiude in sé la luce delle grandi vetrate di Soho, il luccichio della mondanità, l’esclusiva vanità dei loft più chic del pianeta (Ivas). È impossibile non lasciarsi ammaliare da Manhattan, dalle sue luci, dalle geometrie e persino dall’esagerato sfarzo di molti edifici e locali.
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Quante volte l’abbiamo vista nei film e abbiamo desiderato di assaporarne l’atmosfera, di confonderci con i passanti perdendoci nelle Streets e nelle Avenues, minuscoli tra i giganti skycrapers! È indubbiamente affascinante. C’è un quartiere nel Lower East Side di Manhattan, tuttavia, più stuzzicante e intrigante. Caotico, colorato, vivace, pittoresco, affollato. È il quartiere etnico tra i più popolati del mondo. É Chinatown e Little Italy.
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Conosciuto di più per essere stato set dei film “Il padrino” (1972), diretti da Francis Ford Coppola e “L’anno del dragone” (1985) diretto da Michael Cimino, Little Italy è il luogo dove si sono insediati i primi immigrati italiani a New York. Fu un marinaio veneziano, Pietro Cesare Alberti, il primo italiano a stabilirsi nel 1635 in quella che poi diventò Little Italy, ma che all’inizio era un quartiere abitato dagli Irlandesi. Successivamente si insediò una comunità di protestanti valdesi, migrati soprattutto tra il 1654 e il 1663. Uno scritto olandese del 1671 racconta che nel 1656 il Duca di Savoia esiliò 300 Valdesi, perlopiù francesi e piemontesi, a causa del loro credo. L’immigrazione italiana più massiccia si è verificata tra il XIX° e il XX° secolo: 5,3 milioni tra il 1820 e il 1978, di cui ben 2 milioni solo tra il 1900 e il 1920. Anche l’East Harlem si popolò di italiani provenienti principalmente dal Sud, la maggior parte dalla Sicilia e che vide il picco massimo dell’immigrazione negli anni 30. Un censimento del 1930 riportava che la Little Italy del Lower East Side era più popolosa rispetto a
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quella dell’East Harlem, ma in realtà quest’ultima aveva il triplo della popolazione italiana. Attualmente, Little Italy è confinata soltanto tra Mulberry St., un tempo nota ai newyorkesi per essere stata teatro della mafia italiana e Grand St., ed è stata lentamente inglobata negli anni da Chinatown. A nord di Little Italy, inoltre, troviamo NoLita (acronimo per North Little Italy), che oggi è un quartiere tranquillo con ristoranti, bar ed eleganti boutique. Ad oggi la presenza di Italiani a Little Italy è esigua, ma persistono ancora alcune attività di nostalgici proprietari a cui sta a cuore portare avanti la tradizione. È fitta di negozietti e ristoranti “italiani”, ormai purtroppo non più gestiti da italiani per la quasi totalità. Sono mantenute vive però la popolare processione di San Gennaro, che si tiene a settembre, in cui la statua del Santo viene portata lungo tutta Mulberry St. e in agosto la “Feast of our Lady of Mount Carmel” e la “Dancing of the Giglio” nella Little Italy di Harlem.
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In espansione invece è Chinatown che accoglie Cinesi, Ebrei, Vietnamiti e recentemente anche Dominicani. La comunità cinese è riuscita a mantenere la propria identità, conservando le abitudini, la lingua, le tradizioni, il cibo e la religione. Si pensi che quella di Manhattan, è la più numerosa e più antica aggregazione cinese non asiatica! Come per gli italiani, anche la comunità cinese si è velocemente diffusa tra la metà dell’Ottocento e i primi del Novecento. Provenienti perlopiù da Guangdong e da Hong Kong, si insediarono in una zona ricca di sinagoghe, chiese cattoliche, palazzi in stile georgiano, di cui ora non rimane più nulla e che sono stati sostituiti negli anni da edifici dai colori accesi, piccoli templi, ristoranti, negozi, insegne al
neon, graffiti e tanto caos! I confini di Chinatown si estendono approssimativamente da Grand St. (dove inizia Little Italy) a Worth St. e da Lafayette St. ad Allen Street. Il quartiere è diviso da nord a sud da Mott St. e da est a ovest da Canal St., le vie principali. Per le strade adiacenti, quali Pell, Bayard, Doyers e Bowery, si può trovare qualsiasi cosa: generi alimentari di ogni tipo, il mercato del pesce, bancarelle, drogherie, negozi di souvenir, antiquariato, gioielli, ristoranti e bar. Pell St. è la via più “pittoresca” e la più vivace, mentre Doyers St., piccola e contorta, è purtroppo nota come il “Bloody Angle”, luogo in cui nei primi anni del Novecento si incontravano e si svolgevano le guerre tra “tong”, ovvero le società segrete della mafia cinese.
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Le piazze principali a Chinatown sono Chatham Plaza e Confucius Plaza. Nella prima è stata posta una statua di bronzo allo studioso cinese Lin Ze Xu, che nell’Ottocento si oppose al commercio dell’oppio ed è stato eretto nel 1962 il Kim Lau Memorial Arch, in memoria del pilota Benjamin Ralph Kim Lau, vittima della Seconda Guerra Mondiale.
stata posta un’imponente (cinque metri!) e maestosa statua dorata di Buddha, seduto su un fiore di loto e circondata da candele, arance, fiori e mele offerti dai fedeli. Lungo le pareti laterali sono collocate 32 targhe che ne narrano la vita. Nella sala d’ingresso, invece, si trova un piccolo santuario dedicato a Guanyin, la dea cinese della compassione.
La Confucius Plaza è una piazza residenziale, che prende nome appunto dal filosofo cinese e a cui è dedicata una statua bronzea. Nei pressi di Pell St., “una chiesa parla in diverse lingue, ma con un’unica forte voce”: è la Transfiguration Church, la prima chiesa che dal 1801 ha ospitato dapprima gli irlandesi e poi gli italiani e i cinesi. Ora Padre Raymond Nobiletti recita le funzioni sia in cantonese che in inglese e assieme al Rev. Joseph Lin, è riferimento spirituale per gli immigrati.
Per ripercorrere la storia dei cinoamericani dal XVIII° secolo ad oggi, si può visitare il Museum of Chinese in America. Progettato da Maya Lin, nota anche per aver creato il Vietnam Memorial a Washington D.C., il museo si trova a Centre St. e ricorda la struttura del case tradizionali cinesi, con le gallerie che fanno da cornice a un soleggiato cortile interno. Le esposizioni rivivono i diversi momenti sia storici che culturali delle fasi immigratorie. Raccontano dell’esigenza e dello sforzo dei cinoamericani di ricreare in America una piccola porzione di Cina, in cui rivivere le tradizioni, le abitudini e professare il loro culto, nonostante le varie azioni restrittive come Cinese Exclusion Act del 1882, con il quale si proibì l’immigrazione per dieci anni, e il National Origins Provision (NOP) del 1924, che imponeva dei limiti sugli arrivi.
Il tempio buddista più grande e più famoso di New York si trova proprio a Chinatown: il Mahayana Buddhist Temple. Fu costruito a Canal St. nel 1997 dalla famiglia cinese Ying, originaria di Ningbo. Realizzato con i classici elementi cinesi, sull’altare è Giroinfoto Magazine nr. 39
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L’unica zona verde a Chinatown è il Columbus Park e si trova nella parte meridionale, dove un tempo erano i Five Points (quartiere che prende il nome dai cinque angoli del crocevia tra Worth St., Mosco St. e Baxter St.). Un tempo era un quartiere a luci rosse molto malfamato. La malavita imperversava, gli omicidi erano all’ordine del giorno e le bande erano talmente efferate, che nemmeno la polizia osava metterci piede. Nel 1892 i bassifondi furono finalmente eliminati e fu creato un tranquillo parco in onore di Cristoforo Colombo, in cui ora gli abitanti del quartiere si incontrano per rilassarsi, giocare a mahjong, praticare il tai chi o suonare musica tradizionale. Se guardiamo nel nostro passato, l’Italia è costellata di storia, arte, cultura e tradizioni, mentre Manhattan in questo senso non ha molto offrire. Eppure quando torni a casa, ti resta in testa.
Ci pensi, vorresti subito ritornarci. Ti manca quell’atmosfera, quella sensazione che ti stuzzica, che ti sussurra nell’orecchio “Vieni, non hai ancora visto questo...” e che piano piano, attraverso il mutare di stili e culture, ti porta a Little Italy e Chinatown. Una realtà nuova, diversa, che ad ogni passo ti ferma per farti assaggiare i sapori tradizionali, per farti vedere frutta e verdura insolita e coloratissima, per coinvolgerti nelle chiassose e pittoresche manifestazioni folcloristiche, popolate di draghi e figure mitologiche, che raccontano storie di uomini, di figure leggendarie e della bellezza e potenza della Natura.
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CALIFORNIA OREGON WASHINGTON IDAHO MONTANA WYOMING UTAH ARIZONA NEVADA
AGOSTO 2019 16 GIORNI E 14 NOTTI ALL AMERICAN
REPORT Giroinfoto Magazine nr. 39
la partecipazione è soggetta ad iscrizione alla community “band of giroinfoto”.
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ROAD TRIP
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ALL AMERICAN REPORT PROJECT Ad agosto ne vedremo delle belle. Band of Giroinfoto esplorerà i territori dell’ovest americano nelle sue diversità climatiche, ambientali e culturali. Dalla famosa San Francisco alle fredde coste dell’Oregon, passando per i parchi dei Mountain States, per i canyon dello Utah e Arizona, fino ai deserti del Nevada e California. Un viaggio fotografico in piena libertà dove occhi e cuore proveranno emozioni irripetibili. ROAD TRIP 2019 è riservato unicamente ai membri della community “Band Of Giroinfoto” a cui si può aderire gratuitamente per svolgere attività fotografiche e redazionali tutto l’anno con persone appassionate e inclini allo spirito di condivisione e aggregazione. Se non sei ancora iscritto alla community puoi chiedere informazioni all’indirizzo: events@giroinfoto.com
ALL AMERICAN
REPORT
ROAD TRIP 2019 Non è un prodotto turistico, ma un’attività aggregativa coordinata dall’organizzazione redazionale di Giroinfoto magazine.
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A cura di Giancarlo Nitti
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TESSUTO SOCIALE
L’Irlanda è famosa per molti aspetti, soprattutto per la sua natura incontaminata con viste panoramiche mozzafiato e il suo particolare folklore celtico. Ma non è tutto. Questo magnifico paese, sfoggia prodotti artigianali radicati nella storia e nella cultura irlandese che ancora oggi sono considerati un’eccellenza, una di quelle cose è l’irish Tweed. Storicamente, nel nord-ovest, la contea di Donegal era famosa per il suo “tweed” , una particolare tessitura in lana di pecora che ancora oggi rimane conosciuta in tutto il mondo per il suo calore e resistenza.
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Il Tweed, fin dalle origini, veniva generato tessendo a mano usando telai in legno e colorando le trame del tessuto inspirandosi al paesaggio naturale e selvaggio del Donegal. Utilizzando coloranti naturali come la ginestra gialla, i marroni terrosi, la torba o le bacche viola, la tradizione e l’aspetto del Donegal Tweed non è mai cambiato nei secoli. Oggi nel Donegal sono rimeste poche fabbriche e alcuni artigiani locali a produrre il vero tweed. Tra questi, i piÚ noti sono Magee, Molloy & Son e McNutt.
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TESSUTO SOCIALE Il significato del tweed
Il Donegal Tweed, a differenza dell’Harris tweed scozzese delle isole Ebridi, prevede l’inserimento di filatura dai colori decisi, in contrasto con il solito “grigio nero”. La sua caratteristica principale è l’aspetto ruvido con “bottoni” di lana di colore contrastante rispetto ai fili del tessuto. I suoi colori, anticamente, inseriti non a caso, indicavano lo status sociale di chi lo poteva indossare. I re potevano usare fino a sette colori, poeti e bardi sei, i guerrieri tre e i servitori uno. I pigmenti con cui coloravano le trame venivano estratti naturalmente da ciò che offriva l’ambiente, come il verde derivante dalle piante di erica, il marrone dall’abbondante torba, il rosso scuro da un lichene estratto da un minerale locale, il viola dai mirti e così via. Originariamente, la moglie del “crofter”, cioè colui che tesseva, produceva miscele di muschio e licheni in cui immergere e tingere la pura lana vergine dalle pecore, creando mix di colori che si trasformavano in “colori sociali” da utilizzare sui tessuti da vendere poi ai componenti dei clan al mercato del Tweed.
Davide Tagliarino Photography
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La tessitura a mano dei tweed è una tradizione che si tramanda di generazione in generazione. Il tipo di lana delle pecore locali, rendono unico il tessuto della zona, facilmente riconoscibile per la sua ruvidità. Attualmente, alcuni tessitori usano ancora vecchi telai in legno, mantenendo il sapore della tradizione in un compito così arduo che l’artigiano deve essere altamente qualificato ed abile. Oggi i prodotti derivanti dalla produzione del tweed sono infiniti, ma la classicità dell’indumento si restringe alle giacche o cappelli, quest’ultimi usati di più ancora oggi con i colori appartenenti alle famiglie per distinguersi da altre socialmente.
Giancarlo Nitti Photography
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NATURE & POLITICS
BOLOGNA DAL 2 FEBBRAIO 2019 AL 22 APRILE 2019 La Fondazione MAST, presenta una selezione di grandi immagini a colori del fotografo tedesco THOMAS STRUTH, realizzate a partire dal 2007 nei siti industriali e di ricerca scientifica di tutto il mondo che rappresentano l’avanguardia, la sperimentazione e l’innovazione nelle attività umane. Thomas Struth punta la sua attenzione sulle macchine quali strumenti di trasformazione della società contemporanea ed esplora l’estetica dell’innovazione e della sperimentazione attraverso la registrazione della complessità, alludendo alle strutture nascoste di controllo, potenza e influenza esercitata dalle tecnologie avanzate sulla nostra stessa esistenza.
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NATURE & POLITICS Come spiega Urs Stahel, curatore della mostra: “Con la consueta precisione e meticolosità e con una spiccata sensibilità estetica, Thomas Struth realizza grandiose immagini del mondo della ricerca contemporanea e dell’alta tecnologia.
Attraverso le sue fotografie siamo in grado di percepire tutta la complessità, la portata, la forza dei processi, ma anche di intuire il potere, la politica della conoscenza e del commercio che essi celano. Col tempo impariamo a dare un nome alle singole parti di questi processi, ce ne appropriamo integrandoli nel mondo che conosciamo, ma il nesso complessivo sfugge alla nostra comprensione e non ci resta altro che un grande stupore, a volte divertito, di fronte all’alterità straniante di questi ‘ingranaggi’ ipertecnologici del presente e del futuro.” THOMAS TRUTH Artista tra i più noti e affermati della scena internazionale, nelle 25 fotografie di grande formato esposte nella PhotoGallery del MAST, accompagna il visitatore alla scoperta di luoghi solitamente inaccessibili al pubblico, mostrandoci uno spaccato del mondo sconosciuto che sta dietro all’innovazione tecnologica. Laboratori di ricerca spaziale, impianti nucleari, sale operatorie, piattaforme di perforazione sono fotografati con minuziosa attenzione, distaccata curiosità e con la capacità di osservare quelle caratteristiche degli ambienti e delle infrastrutture che i ricercatori non vedono più, perché estranee ai loro interessi.
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Thomas Struth Modello in dimensioni reali / Full-scale Mock-up 2, JSC, Houston, 2017 Inkjet print, 208,1 x 148,6 cm © Thomas Struth
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DAL 2 FEBBRAIO 2019 AL 22 APRILE 2019
Thomas Struth Cappa chimica, Università di Edimburgo / Chemistry Fume Cabinet, The University of Edinburgh, 2010 C-print, 120,5 x 166,0 cm © Thomas Struth
Thomas Struth è divenuto celebre in tutto il mondo grazie alle sue fotografie di vedute urbane, ai ritratti individuali e di famiglia, alle immagini di grande formato scattate nei musei e alle fotografie della serie “Paradise”. Negli ultimi anni ha affrontato e illustrato un tema nuovo: la scienza e la tecnologia. Molte delle sue fotografie a soggetto scientifico e tecnologico, spesso di grande formato e composte con minuziosa precisione, sembrano a prima vista ritrarre una gran confusione di oggetti, un caos. In Measuring, Stellarator Wendelstein, Tokamak Asdex Upgrade, Laser Lab o Grazing Incidence Spectrometer, per esempio, il nostro sguardo si perde in un groviglio di cavi, sbarre, giunzioni, coperture metalliche, rivestimenti plastici e dispenser di nastro adesivo. Giroinfoto Magazine nr. 39
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Per chi non è del mestiere, trovare un senso in questo bricolage appare praticamente impossibile. Ci limitiamo dunque a osservare con curiosità, ma anche con una certa cautela, nel tentativo di comprendere il significato di questi accostamenti. Ci appaiono estranei, insoliti e incoerenti come le fotografie della serie “Paradise”, scattate nella giungla. Sappiamo solo che, in questo caso, non stiamo osservando una “natura primordiale”, bensì macchine, dispositivi, installazioni di una tecnologia all’avanguardia; e li osserviamo esattamente come un tempo abbiamo osservato e considerato la tigre di Blake, il mulino di Don Chisciotte, la “bestia di ferro” di Melville e altre metafore attraverso le quali, nella letteratura dei secoli scorsi, sono stati rappresentati gli eccessi dello spirito e della creazione umana.
Thomas Struth Sorghum, Danforth Plant Science Center, St Louis 2017 Inkjet print, 159,8 x 221,6 cm © Thomas Struth
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BOLOGNA
DAL 2 FEBBRAIO 2019 AL 22 APRILE 2019
Thomas Struth Golems Playground, Georgia Tech, Atlanta, 2013 C-print, 235,1 x 328,0 cm © Thomas Struth
E così, euforici come Marinetti nel suo manifesto futurista o malinconici come Freud, che interpretava come protesi ogni estensione tecnologica del corpo e della mente umana, descrivendola nei termini dell’assenza e della perdita, noi esseri umani ci troviamo a fronteggiare i nostri stessi progressi, la nostra evoluzione tecnica e tecnologica. Con queste immagini, Thomas Struth si muove in mondi il cui accesso ci è solitamente precluso e ci mostra una serie di sperimentazioni scientifiche e ipertecnologiche, di nuovi sviluppi, ricerche, misurazioni e interventi che in un momento imprecisato, nel presente o nel futuro, in modo diretto oppure mediato, faranno irruzione nella nostra vita e ne muteranno il corso. Ne è un esempio la chirurgia robotica, l’intervento sul corpo realizzato con l’ausilio di un robot e di strumenti chirurgici manovrati a distanza, spesso minimamente invasivi. Deleghiamo la nostra autorità e consegniamo i nostri corpi, fino a quel momento integri, alla scienza e alla tecnologia chirurgica.
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Thomas Struth Spettrometro a incidenza radente / Grazing Incidence Spectrometer, Max Planck IPP, Garching, 2010 C-print, 115,1 x 144,0 cm
Gli strumenti penetrano all’interno della persona attraverso il suo strato più superficiale, la pelle, sino a raggiungerne i meccanismi più intimi. Sottoporre il corpo a endoscopia osservandone le immagini in uno schermo significa scrutarne il lato più recondito, agganciarlo alla grande macchina, imporgli una nuova forma di umiltà, e così facendo portare a uno stadio ancora più avanzato la relazione tra uomo e macchina. Sul versante tematico opposto, al livello 0 della Gallery, nella video proiezione Read This Like Seeing It for the First Time del 2003, l’artista rappresenta il lavoro umano, la capacità propria dell’uomo di operare con la massima precisione manuale e artistica. Il video, che registra cinque lezioni di chitarra classica svolte da Frank Bungarten nell’Accademia musicale di Lucerna, illustra l’interazione puntuale tra insegnante e studenti, lo scambio necessario tra insegnamento e apprendimento, tra il dare e il ricevere. Giroinfoto Magazine nr. 39
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Thomas Struth (nato nel 1954) è uno degli artisti più importanti della sua generazione. Negli anni Settanta è stato studente alla Kunstakadamie Düsseldorf, dove prima ha studiato pittura con Gerhard Richter, poi fotografia con Bernd e Hilla Becher. Insieme agli altri allievi dei Becher, tra cui Andreas Gursky, Thomas Ruff e Candida Höfer, è stato uno dei protagonisti della cosiddetta Scuola di Düsseldorf. È divenuto celebre in tutto il mondo grazie alle sue fotografie di vedute urbane, ai ritratti individuali e di famiglia, alle immagini di grande formato scattate nei musei e alle fotografie della serie “Paradise”. Dal 2007 dopo aver visitato un enorme cantiere navale nell’isola di Geoje in Corea del Sud, ha affrontato e illustrato un tema nuovo: la scienza e la tecnologia. Le sue opere sono nelle collezioni dei più importanti musei del mondo.
Thomas Struth Albero bronchiale con struttura di support / Bronchial Tree with Support Structure, MMM, Wildau 2016 Inkjet print, 77,9 x 114,9 cm © Thomas Struth
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Thomas Struth GRACE-Follow-On, veduta dal basso / GRACE-Follow-On Bottom View, IABG, Ottobrunn, 2017 Inkjet print, 139,7 x 219,4 cm © Thomas Struth
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Barbara lamboley Adriana Oberto Barbara Tonin Fabrizio Rossi Fabrizio Rizzo Nadia Laboroi Cinzia Carchedi Giulia Migliore Manuel Monaco Giancarlo Nitti
STORICO CARNEVALE DI IVREA L’APERTURA Adriana Oberto Photography
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D OM E N I C A
6 GENNAIO 2019 Si apre, con la tradizionale prima uscita di Pifferi e Tamburi, l’edizione 2019 dello Storico Carnevale di Ivrea. Un evento unico in cui storia e leggenda si intrecciano per dare vita a una serie di eventi, celebrazioni e rappresentazioni dal forte valore simbolico: una grande Festa Civica popolare durante la quale la comunità di Ivrea celebra la propria capacità di autodeterminazione ricordando un episodio di affrancamento dalla tirannide che si fa risalire al Medioevo.
giorni per tre o n n a i gn per il volge o erizza t s t i a s r a e c h i ie ance c o che s gendar delle ar n event ni storico-leg a u a, li g ic à a n lt t o t a re ole zio e ba p in a r a c è n la o o le v a c a e c a v i t all’epo enso d la spet o carne edievali orico, d , quest più per t à m i t S i a it r o c o e la t t a iu bolo di po or ell sse po Conosc te nel C aia, sim iazze d o n n p m a g li u m in a o M ip s onia ulm rinc protag e: dalle Vezzos niale, c h la o a nelle p ic è ll r , e im o a r d t e s ic sso c oleon naggio epoche isorgimento. comple ine nap il perso ig e r diverse R c o l a s i e a d e d n g i e in ai mot enerale tale ch che att ta dal G nto fino o risorgimen a e n c e g t a t p e d dal S , accom el perio a. sta che oprio n r e f p a è o d’Itali ll d e ic t E d n a a in più ed ero nevale vale. libertà del car e il del Carne e in n m io iz m d e e del sta sta f le note le di que n o ia c c ffi a u li g i izio si risve Piazza d segna l’in di Ivrea nano in o tà u it s c L’Epifania ri u la b mattino, ri e Tam Di buon mati Piffe a dei li g e h musicale ro” c ti n ta la ta fi n s ra “ le 2019 ti con la o Genera untamen in p d p a ta Città. i it d c l ivere i de ata fitta cendo riv mazione fa la li c a ro v Una giorn p ie la ed tamburi, in abiti m pifferi e o corteo u s il e destà con il Po poredia. fasti di E
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STORICO CARNEVALE DI IVREA
Lo spirito dello Storico Carnevale vive, infatti, nella rievocazione di un episodio di liberazione dalla tirannide di un barone (storicamente riconosciuto nel Marchese di Monferrato), che affamava la Città e venne scacciato grazie alla ribellione di Violetta, la figlia di un mugnaio che non volle sottostare allo ius primae noctis e che, uccidendolo, accese la rivolta popolare. Il programma della manifestazione carnevalesca va oltre i tre giorni della più conosciuta battaglia delle arance. Infatti, gli appuntamenti iniziano con l’apertura del 6 gennaio fino alla conclusione del carnevale il 6 marzo. Ben tre mesi di evento storico-culturale colmo di rievocazioni. La presentazione della Mugnaia del Sabato Grasso, la tradizionale sfilata del Corteo Storico, i fuochi artificiali, la Battaglia delle Arance, l’abbruciamento
degli scarli e infine, l’intimo funerale del Carnevale: esso si svolge seguendo un lungo cerimoniale articolato e complesso, disciplinato da un ben preciso copione, in un arco temporale che si estende oltre i tre canonici giorni della festa. Le fagiolate rionali, la Prise du Drapeau, le Alzate degli Abbà, le zappate degli Scarli e la distribuzione di polenta e merluzzo sono solo alcuni degli appuntamenti disseminati dall’Epifania fino alla chiusura del Carnevale. Momenti di unione e condivisione non solo per i protagonisti della manifestazione ma anche per tutti gli eporediesi e i turisti che vogliano avvicinarsi al Carnevale di Ivrea con tutti i suoi riti e le sue tradizioni definito patrimonio storico-culturale della Città di Ivrea.
Barbara Lamboley Photography
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Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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Giulia Migliore Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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STORICO CARNEVALE DI IVREA
PIFFERI E TAMBURI Ore 08:30, in Piazza di Città si riuniscono diverse migliaia di persone in attesa dei Pifferi e Tamburi partano con il loro corteo di apertura del Carnevale. Ed ecco l’attacco, alle 09:00 si muove la marcia al suono dei pifferi in legno di bosso, armonicamente accompagnati dai tamburi e in coda la “timbala”, una grancassa storicamente in dotazione agli eserciti sabaudi che tiene il tempo. La sfilata percorrerà per tutta la mattinata le vie cittadine del centro storico di Ivrea. Il gruppo dei Pifferi e Tamburi della Città di Ivrea derivano dall’antica tradizione seicentesca dei carnevali rionali, riconoscendosi nell’inquadramento delle bande militari che accompagnavano anticamente gli eserciti lungo le campagne d’Europa.
Originariamente il gruppo era composto da un drappello di suonatori, di soli tre o quattro pifferi e di altrettanti tamburini, taluni in borghese, schierati in modo apparentemente casuale, ma nel 1908, nell’edizione del centenario del Carnevale si contavano, oltre al mazziere, cinque pifferi, cinque tamburini, un portatore di grancassa ed il suo battitore. Col passare del tempo l’organico aumentò, fino a che, negli anni successivi alla prima guerra mondiale si raggiunse il numero di sei-otto pifferi e altrettanti tamburini, oltre ai due addetti alla grancassa. Tale organico è rimasto sostanzialmente invariato sin quasi ai nostri giorni e attualmente si annoverano quindici pifferi, altrettanti tamburini, il portatore ed il suonatore della grancassa.
Fabrizio Rossi Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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Cinzia Carchedi Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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STORICO CARNEVALE DI IVREA Le sonate che compongono il repertorio musicale della sfilata, nella maggior parte, traggono ispirazione dalle marce dell’esercito piemontese di Emanuele Filiberto, dello Stato Sabaudo nel XVI secolo. A queste, successivamente , si sono aggiunte le “monferrine”, gaie e vivaci danze popolari piemontesi, alcune marce tipiche del periodo napoleonico e altre musiche di origine risorgimentale, riconoscendo l’intero repertorio parte fondamentale del patrimonio culturale della tradizione etnomusicale piemontese. E’ così che i Pifferi e Tamburi rimangono una componente fondamentale del Carnevale, amati
Fabrizio Rizzo Photography
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e seguiti da eporediesi e visitatori a loro seguito, di anno in anno in crescita fino a ormai migliaia di persone di tutte le età. Sul verbale che riporta i momenti salienti della cerimonia è stato riportato che “senza le musiche di questo preziosissimo gruppo, il Carnevale eporediese non potrebbe avere inizio, né conclusione”. Essi sono “un patrimonio a cui tutti gli eporediesi e i canavesani sono legati con grande sentimento di affetto, identificazione e soprattutto di riconoscimento per quelle radici che furono dei loro antenati e che rappresentano ancora oggi, riempiendosi di orgoglio”.
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Nadia Laboroi Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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INVESTITURA DEL GENERALE 2019 La piazza del Municipio, allo scoccare del mezzogiorno, si riempie di gente, accalcandosi avanti le scale del palazzo comunale di Ivrea. L’arrivo dei Pifferi e Tamburi per la conclusione della marcia mattutina, segna l’inizio di un’altro evento culmine della giornata carnevalesca. L’investitura del Cittadino Generale, proclamata dalla “voce” del Sostituto del Gran Cancelliere. Secondo la tradizione, il Generale “eletto”, ottiene il diritto al titolo e all’uniforme di “Generale dell’Esercito Napoleonico” e la concessione di chiamare con sè altre persone che, in veste di Ufficiali dello Stato Maggiore, lo aiuteranno nei suoi compiti, tra cui una
sorta di gestione dell’ordine pubblico durante tutto il carnevale. Il Generale viene nominato il 6 gennaio, il giorno di apertura del carnevale di ogni anno, ricevendo dall’interprete dell’edizione precedente, la feluca napoleonica e la sciabola. Successivamente, il giovedì grasso, riceverà dal sindaco del paese i poteri da primo cittadino. Vincenzo Ceratti, sarà il Generale dell’edizione 2019 dello Storico Carnevale di Ivrea, che acclamato dalla folla eporediese, riceve feluca e sciabola alzandole in segno di vittoria.
Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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CREDENDARI AL MAGNIFICO PODESTÀ Il Supremo Capo del Governo del Comune, il Magnifico Podestà, veniva nominato, sin dal XIV secolo, dai Credendari, i Consiglieri comunali dell’epoca ed era responsabile dell’amministrazione e della giustizia. Veniva scelto inoltre, al di fuori del Comune per garantire la sua imparzialità, il Podestà quando entrava in carica, dopo aver giurato sul libro degli Statuti, andava a prelevare con un apposito martello conservato presso il municipio cittadino, un sasso tra i ruderi del Castellazzo e lo gettava in Dora come spregio al Marchese del Monferrato. La cerimonia si ripete ogni anno, al mattino della domenica di carnevale. Da alcuni anni è stata anche ripresa l’antica tradizione dell’offerta dei ceri da parte della città, rappresentata dal Podestà al Vescovo. Questa funzione si svolge in forma solenne nel giorno di apertura del carnevale in Duomo.
Manuel Monaco Photography
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I Credendari appartenevano ai vari rioni in cui era divisa la città e formavano una specie di “senato”. Fra essi venivano eletti il Consiglio dei Sapienti con l’incarico della stesura e della revisione degli statuti, tre Procuratori per la tenuta dei registri contabili ed un Tesoriere per la gestione delle spese. E’ così, che alle 14:00, dopo l’elezione del Generale, si prosegue la giornata di menifestazione con il saluto dei Credendari al Magnifico Podestà alla presenza dei Gruppi Storici in piazza di Città, con il corteo del Gruppo Storico dei Credendari e del Podestà fino alla Cappella dei Tre Re, proseguendo verso il Duomo, dove verso le ore 16:00 verrà celebrata la Santa Messa alla presenza delle autorità cittadine. Il Magnifico Podestà farà dono a Monsignor Vescovo del cero votivo per invocare la protezione della Madonna sulla Città.
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Barbara Adriana Lamboley Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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STORICO CARNEVALE DI IVREA
AGENDA 2019 DEL CARNEVALE Lo Storico Carnevale di Ivrea dà appuntamento dal 6 gennaio 2019 con l’apertura ufficiale e gli importanti eventi caratterizzanti la manifestazione. Gli appuntamenti però sono molti e i giorni “clou” di questa edizione saranno la serata di sabato del 2 marzo con la presentazione della Vezzosa Mugnaia dal balcone del Municipio in Piazza di Città alle ore 21 e i tre giorni successivi, domenica 3, lunedì 4 e martedì 5 marzo: giorni in cui il Corteo Storico e la Battaglia delle Arance animeranno e coinvolgeranno tutta la città di Ivrea in una manifestazione ricca di storia, tradizione, spettacolo, emozioni e grandi ideali. Scopriamo il calendario completo quindi: Domenica 6 gennaio 2019
Domenica 3 marzo 2019
Prima uscita dei Pifferi e Tamburi e investitura ufficiale del Generale.
Fagiolate, Preda in Dora, prima delle tre giornate di Battaglia delle arance e Corteo Storico.
Fagiolate, Alzata degli Abbà e sfilata del Corteo Storico.
Zappate degli Scarli, seconda giornata di Battaglia e Corteo Storico.
Domenica 17 febbraio 2019 Domenica 24 febbraio 2019
Fagiolate, presentazione dei carri da getto e Alzata degli Abbà.
Giovedì 28 febbraio 2019 Calzata del Berretto Frigio.
Sabato 2 marzo 2019
Presentazione della Vezzosa Mugnaia, marcia del Corteo Storico e sfilata degli aranceri a piedi.
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Lunedì 4 marzo 2019
Martedì 5 marzo 2019
Terza giornata di Battaglia, Corteo Storico, premiazione dei Carri da Getto e delle squadre a piedi e abbruciamento degli Scarli.
Mercoledì 6 marzo 2019 Polenta e Merluzzo
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Barbara Lamboley Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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WORKING GROUP 2019
BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project
ORINO
ITALIA ALL AMERICAN
REPORT
Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 39
STORIES
GIROINFOTO MAGAZINE
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COME FUNZIONA Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.
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CHI PUÒ PARTECIPARE
Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.
PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.
SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto, si trova a Torino. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.
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IN MEMORIA
A cura di Adriana Oberto
IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO Auschwitz rappresenta nell’immaginario collettivo il lager per eccellenza – il campo prima di reclusione e poi di sterminio, in cui i Nazisti portarono avanti la “soluzione finale alla questione ebraica” (l’annientamento di tutti gli Ebrei). Ma nei vari campi che formavano la rete del lager di Auschwitz non perirono solo ebrei: c’erano, tra gli altri, prigionieri politici, quelli considerati asociali (ne facevano parte i ROM), i prigionieri di guerra sovietici, i criminali comuni, i testimoni di Geova e gli omosessuali. Della rete del lager facevano parte numerosi campi; oltre ad Auschwitz I (il campo di concentramento) e Auschwitz II (il campo di sterminio di Birkenau), c’erano il campo di lavoro di Monowitz (Auschwitz III) e altri 45 sottocampi, tutti situati nelle vicinanze.
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Auschwitz I e Birkenau fanno parte del memoriale voluto dal governo polacco nel 1947 e diventato patrimonio dell’umanità dell’UNESCO nel 1979. Il campo di Auschwitz I era in origine un complesso di caserme. Fu convertito in campo di concentramento nel 1940 e da allora funse da centro amministrativo per l’intero complesso. Le caserme erano costruzioni in mattoni e calcestruzzo, che vennero in seguito ampliate dai primi prigionieri del campo. Ora le singole costruzioni ospitano mostre, collezioni, fotografie. Qui è possibile vedere le condizioni di vita dei prigionieri di Auschwitz che lasciarono la vita nel Campo, in conseguenza del lavoro sovrumano, della fame, delle malattie, degli esperimenti, oltre alle esecuzioni, le torture e le punizioni di diverso tipo. In essa si trovano, tra l’altro, fotografie dei prigionieri che morirono al Campo, documenti e anche opere d’arte rappresentanti la vita nel Campo. Nel 1941 vennero internati anche i condannati a morte per inedia. Nei sotterranei di questo blocco morí, tra gli altri, Maksymilian Maria Kolbe, un religioso polacco che si sostituí ad uno dei prigionieri, per salvarlo, unendosi al destino dei condannati a morte per fame. Analogamente, in questo luogo, nell’autunno 1941, le SS portarono a compimento la prima prova dello sterminio di massa di uomini tramite il gas venefico Zyklon B.
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Il campo di Birkenau divenne operativo nel 1941, presso il toponimo polacco di Brzezinka, che significa “campo di betulle”. Era un campo immenso, della superficie di circa 2,5 Km per 2, e composto da vari settori, con costruzioni in diversi materiali (le prime erano ex stalle per i cavalli), molte senza fondamenta. Il terreno è acquitrinoso e si diventa facilmente un pantano – sembra uno scherzo del destino: un luogo pieno d’acqua dove però ci sarà sempre scarsità di acqua potabile per i prigionieri. Dal 1942 il campo diventa, a tutti gli effetti, un campo di sterminio: qui si trovavano quattro camere a gas con annessi forni crematori. Sul terreno di Birkenau si trova anche il monumento in memoria delle vittime del Campo. Nel 2005 venne aggiunta la commemorazione di due luoghi tragici legati alla storia della deportazione e dello sterminio: il terreno dove si trovava la prima camera a gas e il binario morto della ferrovia (la
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cosidetta Judenrampe), sul quale, dalla primavera 1942 al Maggio 1944, vennero effettuati i trasporti di Ebrei, Polacchi e Rom deportati al Campo. Sulla Judenrampe gli Ebrei appena giunti venivano sottoposti alla selezione da parte dei medici delle SS. Il campo di concentramento di Auschwitz venne liberato il 27 gennaio 1945 dalle truppe sovietiche. Furono trovati circa 7.000 prigionieri ancora in vita. Inoltre, furono rinvenuti migliaia di indumenti abbandonati, oggetti vari che possedevano i prigionieri prima di entrare nel campo e otto tonnellate di capelli umani imballati e pronti per il trasporto. Uno studio calcola che almeno 960.000 morti furono ebrei su 1,1 milioni di decessi totali. Il 1 novembre 2005, durante la 42° riunione plenaria dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la data del 27 novembre venne designata come ricorrenza annuale per commemorare le vittime dell’Olocausto ed è conosciuta come Giorno della Memoria.
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Barbara Adriana Lamboley Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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Adriana Oberto photography Giroinfoto Magazine nr. 39
85 UN GIORNO A
La prima volta che arrivi ad Oświęcim ti cambia la vita. O, per dirla più adeguatamente, cambia il modo in cui guardi al mondo e pensi a te stessa. Sono arrivata al campo di concentramento di Auschwitz in una giornata di sole di un paio di anni fa, sono passata sotto la famigerata scritta e mi sono ritrovata indietro nel tempo. La vedete la B della scritta? Si dice che il prigioniero polacco che la eseguì, l’avesse saldata apposta al contrario in segno di protesta, cosa che gli sarebbe potuta costare la vita, ma sopravvisse.
col treno direttamente ad Auschwitz – Birkenau), ma l’atmosfera è ugualmente oppressiva. Il campo era circondato da una doppia fila di filo spinato elettrificato, con torrette di guardia ad intervalli regolari. Gli edifici del campo sono in calcestruzzo e mattoni; alcuni, originariamente ad un piano, furono ampliati dai prigionieri stessi. A prima vista non sembrano poi così male: il campo nasceva come caserma militare; gli edifici sembrano solidi; ci sono anche aree per lo sport e una piscina che i prigionieri useranno poi per approvvigionarsi di acqua.
Da qui non passò la maggior parte degli ebrei (solo alcuni di loro furono internati al campo principale; loro arrivavano
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BOUCHONS Barbara Lamboley photography Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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Adriana Oberto photography Giroinfoto Magazine nr. 39
89 UN GIORNO A
Le baracche, oltre ad ospitare i prigionieri stipati in letti a castello a tre piani su pagliericci maleodoranti e ammuffiti, servivano da uffici amministrativi, lavatoi, ospedale e prigione. Non mancano il muro per le fucilazioni e la forca alla fine del tunnel. Oggi quasi tutte le baracche sono visitabili. Alcune sono rimaste come sono, con i pagliericci sudici; altre ospitano collezioni fotografiche; in altre ancora ci sono le raccolte, tristemente famose, degli effetti personali dei detenuti; delle valigie col nome scritto sopra; dei capelli conservati per farne coperte e tappeti; delle latte vuote di Zyklon B, il gas letale usato nelle camere a gas. Usciti dal campo principale, un bus ti porta a Birkenau, a
qualche chilometro di distanza. Il contrasto con la bellezza del giorno di sole e la tristezza che evoca il luogo è ancora più forte. Qui la scala delle cose e delle emozioni si amplia a dismisura. La vista spazia a perdita d’occhio. Le strutture ancora in piedi non sono molte: il muro di cinta; una fila di baracche di legno (le vecchie stalle per gli animali), che sono state ricostruite per dare l’idea di com’erano; altre file di baracche nei vari settori. Per il resto è una distesa infinita di muri crollati e le rovine dei camini usati per il riscaldamento delle baracche.
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Auschwitz – Birkenau colpisce perché sembra di toccare con mano la tragedia. I binari del treno sono ancora lì, così come è stata conservata una delle carrozze merci con le quali venivano trasportati i prigionieri. Le baracche di legno o di muratura erano a un solo piano, con un camino ad uno dei lati corti, da cui partiva una canalina di mattoni con aperture multiple per distribuire il calore nelle baracche. Quelle di mattoni avevano rozzi ripiani di legno su cui dormivano i prigionieri. Al fondo c’erano le latrine.
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Ovviamente non mancavano le baracche “speciali”, come quella dove venivano tenuti i bambini, molti dei quali gemelli e vittime degli esperimenti del famigerato dott. Mengele, oppure quella dove venivano tenute le donne ritenute non più abili al lavoro e destinate alle camere a gas: aspettavano il loro turno per giorni senza acqua né cibo, e molte morivano lì dove erano state rinchiuse. C’erano anche le baracche per donne e bambini, che avevano disegni sulle pareti che attestavano ad una vita “normale” nei campi.
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93 UN GIORNO A
Al campo c’erano quattro forni crematori, che furono distrutti dai nazisti nei giorni precedenti la liberazione del campo. Le ceneri venivano gettate nelle adiacenti zone acquitrinose. Una lapide ne ricorda il luogo e gli ebrei vi depongono piccole pietre bianche. Il campo ospita il monumento in memoria delle vittime del campo. Le lapidi, in diverse lingue, portano tute la stessa dicitura:
Grido di disperazione ed ammonimento all’umanità sia per sempre questo luogo dove i nazisti uccisero circa un milione e mezzo di uomini, donne e bambini, principalmente ebrei, da vari paesi d’Europa. Auschwitz – Birkenau 1940 – 1945
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BOUCHONS Barbara Lamboley photography Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 39
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Valcava
Autore: Sergio Agrò Luogo: Valcava (LC) Passo prealpino a 1340mt tra le provincie di Bergamo e Lecco, qui nella magia della neve e della nebbia.
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Ponte Thaon di Revel
Autore: Angelo Bianchi Luogo: porto turistico Mirabello di La Spezia
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