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2019 Aprile
N. 42 - 2019 | APRILE, Gienneci Studios Editoriale. www.gienneci.it
N.42-
PARCO DORA TORINO Band of Giroinfoto
ANTHROPOCENE BURTYNSKY, BAICHWAL, DE PENCIER MAST Bologna
UFO MUSEUM ROSWELL Di Giancarlo Nitti Photo cover by Giancarlo Nitti
WEL COME
42 www.giroinfoto.com APRILE 2019
la redazione | Giroinfoto Magazine
fotografare e viaggiare due passioni un’ unica esperienza Benvenuti nel mondo di Giroinfoto magazine©. Una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle bellezze offerte dal nostro pianeta. Una lettura attuale e innovativa, che accoglie, oltre i migliori professionisti della fotografia da reportage, anche le immagini e le esperienze di chiunque sia appassionato di viaggi e fotografia. Con i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, Giroinfoto magazine ha come obiettivo, essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la condivisione di migliaia di luoghi e situazioni sparsi per il nostro pianeta. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Uno largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e testi, indipendentemente dal valore professionale dell'autore. Una raccolta di molteplici idee e progetti di viaggio, frutto delle esperienze e lavori eseguiti da esperti nel settore del reportage fotografico, che hanno saputo confrontarsi con le condizioni climatiche e socio-politiche, con le difficoltà imposte dalla natura, per catturare l'immagine e la spontaneità selvaggia della stessa. Troverete anche articoli tecnici, dove prendere spunto per ottenere scatti sempre perfetti e con idee sempre nuove per rendere le fotografie più interessanti. Giroinfoto.com© , con la sua rivista e la sua rete web è la più grande community di foto-viaggiatori che accoglie chiunque voglia condividere le proprie esperienze di viaggio o semplicemente farsi coinvolgere dai racconti pubblicati. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti
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ANNO V n. 42
giroinfoto magazine
20 Aprile 2019 DIRETTORE RESPONSABILE HEAD PROJECT MANAGER Giancarlo Nitti CAPO REDAZIONE Paolo Buccheri SEGRETERIA DI REDAZIONE E RELAZIONI Margherita Sciolti CAPI SERVIZIO Giancarlo Nitti REDATTORI E FOTOGRAFI Giancarlo Nitti Redazione Barbara Tonin Reporter Manuel Monaco Reporter Band Of Giroinfoto - Torino Adriana Oberto Barbara Lamboley Barbara Tonin Davide Tagliarino Giulia Migliore Lorena Cannizzaro Floriana Speranza Giancarlo Nitti Manuel Monaco Mariangela Boni
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INSIDE
Giroinfoto Magazine
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Indice 10
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PARCO DORA Torino
Band of Giroinfoto
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PAVIA VINTAGE Belgioiso Band Of Giroinfoto
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VERONA Città antica A cura di Manuel Monaco
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UFO MUSEUM Roswell A cura di Giancarlo Nitti
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CUNEESE Giornate FAI A cura di Barbara Tonin
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ANTHROPOCENE Edward Burtynsky MAST Bologna
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FOTO EMOZIONI Questo mese con: #INSTAWALKMILANO2019 Riccardo Audace Adriana Oberto Matteo Mammato Fabio Salvatore Giordano Lorena Cannizzaro
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Testi di Lorena Cannizzaro
PARCODORA
Giancarlo Nitti Photography
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Giroinfoto Magazine nr. 42
Adriana Oberto Barbara Lamboley Davide Tagliarino Floriana Speranza
Giancarlo Nitti Giulia Migliore Lorena Cannizzaro Massimiliano Calligaris
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Acqua, acciaio e verde. Parco Dora dalla sua età del ferro e dell’acciaio alla sua trasformazione post-industriale. Nel cuore della città di Torino alla scoperta di quasi cinquanta ettari per un perfetto confronto tra la passata storia del luogo e le attuali funzioni dell’area.
Negli ultimi anni la città di Torino è stata sottoposta a una complessiva riqualificazione della sua immagine attraverso la promozione di diversi progetti sul territorio cittadino. La ex Area Spina 3, Parco Dora è uno dei progetti che più s’identifica con questa trasformazione e si ricollega a particolari temi quali: il legame del parco con la città; la presenza del fiume Dora all’interno del parco; la memoria e la relativa metamorfosi delle vecchie strutture industriali. La riqualificazione è stata attuata attraverso il progetto italo-tedesco realizzato dal gruppo diretto da Peter Latz, che rappresenta ad oggi uno dei più importanti e recenti esempi italiani di bonifica, recupero e riqualificazione urbana di aree industriali dismesse. Il parco postindustriale sorge infatti dove fino agli anni Novanta sorgevano i grandi stabilimenti produttivi della Fiat e della Michelin.
gli dà anche il nome, è il fiume Dora, valorizzato e reso accessibile. La riqualificazione delle battigie del fiume s’inserisce anche nel più vasto progetto Torino Città d’Acque, che prevede la concretizzazione di un percorso ciclopedonale che unisce l’area di Spina 3 ai tratti ciclabili già esistenti lungo il corso del fiume. L’intero complesso si è stato articolato in cinque lotti:
Area Ingest progettata come un giardino pubblico con la presenza di specchi d’acqua tra le fondazioni delle vecchie ossature industriali e degli originali “hortus conclusus”.
Area Vitali che appare come un susseguirsi di zone verdi;
Il gruppo ha realizzato un parco che alterna zone strettamente naturalistiche, rappresentate da grandi prati e spazi alberati, ad altre più antropizzate, che mantengono una forte connessione con gli elementi preesistenti, conferendo loro nuove funzioni.
caratterizzata dalla presenza del fiume Dora e che si configura come un “grande prato”;
Il confronto con la storia del luogo e il suo carattere industriale risulta pertanto una componente sostanziale dell’intero progetto di riqualifica. Un altro elemento importante per il parco, in quanto
una vasta piazza alberata, l’area Mortara, che gode Barbara Lamboley Photography di una vista privilegiata su tutto il parco;
Area Michelin Area Valdocco
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Giulia MigliorePhotography Giroinfoto Magazine nr. 42
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AREA INGEST La zona Ingest si estende per 47.000 m², rappresenta il lotto più piccolo del Parco Dora e quello più a ovest; si sviluppa lungo via Nole nell’area delimitata da via Borgaro, immediatamente a ridosso dei complessi residenziali di via Valdellatorre e della Chiesa del Santo Volto. Il lotto è caratterizzato da una successione di zone con funzioni e configurazioni alquanto differenti: aree sistemate a prato, zone alberate, aree attrezzate per il gioco, aiuole e un giardino acquatico con profonde vasche e canali d’acqua in movimento. Quest’ultimo è realizzato utilizzando i grandi plinti e le strutture di fondazione in calcestruzzo dei laminatoi Fiat che occupavano un tempo l’area prima della sua trasformazione. Al precedente stabilimento appartengono anche la fila di pilastri che ad oggi fungono da supporto per la passerella che, percorrendo l’area da ovest a est, consente di superare in elevato via Borgaro per accedere al lotto Vitali. I muri perimetrali dell’ex capannone di servizio posto lungo via Nole definiscono infine un “hortus conclusus”, un giardino protetto che accoglie specie vegetali particolari.
Lorena Cannizzaro Photography
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AREA VITALI L’area Vitali si estende per circa 90.000 m² ed è pertanto la più ampia del parco. Il lotto si caratterizza più di tutti per la consistente presenza delle preesistenze industriali e prende il nome dall’omonimo stabilimento delle Ferriere Fiat che sorgeva un tempo sull’area. Domina l’intera area l’imponente struttura del capannone dello strippaggio, di cui sono stati conservati gli alti pilastri in acciaio dipinti di rosso ed una parte della copertura. Al di sotto della grande tettoia, oggi trova posto un vasto spazio multifunzionale che oltre ad essere attrezzato con campetti per il gioco libero (calcetto, basket, tennis, pallavolo, rampa per skate), viene di frequente impiegato per ospitare manifestazioni e attività sportive; accanto a questa si sviluppa un vasto giardino, che si articola
Davide Tagliarino Photography Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
attorno ai pilastri della smantellata acciaieria alternando aiuole, aree gioco e una passerella sopraelevata in acciaio zincato. La passerella percorre longitudinalmente l’intera area e permette il collegamento tra la terrazza del lotto Mortara e quello Ingest. La passerella risulta accessibile tramite le scale realizzate a ridosso delle torri in cemento armato che appartenevano all’ex acciaieria, conservate e rese accessibili. Degli stabilimenti industriali sono state conservate ancora tre vasche di decantazione cilindriche trasformate in giardini acquatici e l’edificio per il trattamento delle acque caratterizzato dalle quattro torri di evaporazione.
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AREA MICHELIN Il settore Michelin si estende per 89.000 m² nell’area che durante tutto il Novecento ospitava l’omonimo stabilimento torinese. Si tratta del lotto posto più a sud dell’intero parco e la caratteristica torre evaporativa del complesso industriale, conservata e rifunzionalizzata, è ben visibile dall’intera area e ne segna uno dei principali ingressi. La grande torre, costruita tra la fine degli anni Quaranta e il 1950, era un impianto refrigerante per l’acqua utilizzata per il funzionamento di una turbina. La sua altezza è di circa 30 m e la forma è tipica degli impianti di raffreddamento, a cilindro, con le pareti sagomate a parabola proprio per ottimizzarne il rendimento, mentre la struttura è in cemento armato. Questa pre-esistenza è diventata un elemento caratteristico del Parco Dora, usato anche come “logo” per materiale pubblicitario di vario tipo. La presenza del fiume rappresenta il carattere più significativo di questa area, infatti la morfologia del terreno è stata modellata per creare un ampio prato verde che, a partire dalla collina alberata posta nella fascia sud, digrada dolcemente verso la Dora fino a consentire il raggiungimento della sponda, creando così una sorta di “spiaggia urbana”. La piccola valle affacciata sul fiume consente inoltre di accogliere l’acqua in caso di esondazione. Il prato si presenta disseminato da zone alberate ed è attraversato da diversi percorsi ciclopedonali che giungono in corrispondenza del fiume mediante passerelle sopraelevate, che permettono di costeggiare la sponda da ovest a est senza scendere nella valle. Il lotto è caratterizzato anche dalla presenza di un ponte, il quale permette l’attraversamento della Dora per raggiungere il lotto Mortara. Si segnala ancora la presenza, al suo confine su corso Umbria, del Museo A come Ambiente - MAcA, in genere molto visitato dalle scolaresche e dal pubblico generale.
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AREA MORTARA E VALDOCCO Con i suoi 62.000 m² il lotto comprende l’area su cui si trovava il vecchio tracciato di corso Mortara e l’area in cui è stato realizzato il nuovo corso interrato. Lo spostamento del traffico così creatosi e la pedonalizzazione della porzione di corso compresa tra via Orvieto e via Borgaro permettono la totale continuità tra le diverse aree Vitali, Dora e Michelin; nell’ambito del progetto del parco, il vecchio tracciato viario è mutato in una larga promenade verde costeggiata da alberature. Sul tracciato del sottopasso, che sfrutta il dislivello di circa 8 m esistente tra la quota di via Verolengo e il fiume Dora, è stata realizzata una grande terrazza, che consente l’accesso da nord e da est al lotto Vitali del parco, a cui è collegata mediante delle scale e rampe.
Il settore Valdocco si estende per ben 73.000 m². In questo tratto la Dora risulta coperta da una soletta di calcestruzzo di cui si prevede la rimozione parziale; per le pareti laterali e i setti di sostegno paralleli al corso d’acqua è prevista la conservazione di alcune tracce del suo passato industriale. Nell’area sono state realizzate una grande piazza alberata, con zone erbose liberamente accessibili e un sistema di passeggiate lungo il fiume protette da muretti di pietre provenienti dalla Dora e ingabbiate.
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IL NUOVO PONTE DI VIA LIVORNO Un tempo le aree al di qua e al di là della Dora, attualmente occupate dal Parco, erano collegate tramite il ponte Amedeo IX. Questo si caratterizzava per essere circondato dalle grandi fabbriche della Fiat, della Michelin e dell’industria pesante torinese. La sua leggibilità risultava quindi alquanto complicata per via del fatto che la Dora era e continua ancora in parte ad essere coperta, per cui il vecchio ponte non era completamente visibile in quanto tale. Questo, realizzato ad una sola campata e con eleganti ringhiere di ghisa, una volta abbattute le fabbriche, per la realizzazione del Parco Dora e del quartiere residenziale che oggi lo circonda, riacquistò per un breve periodo la sua centralità e il suo protagonismo, anche se ormai inadeguato per il traffico cittadino. Per superare questo limite, nel 2011, gli fu costruito accanto un nuovo ponte, più alto, più ampio, dotato di due grandi V a cui sono ancorati i cavi di acciaio che lo sostengono: così il piccolo ponte Amedeo IX, oltre ad essere diventato pedonale è stato dotato anche di una pista ciclabile. La tipologia di progettazione del ponte, detto strallato è stata scelta proprio con l’obiettivo di limitare al minimo la dimensione dell’impalcato. La struttura è interamente realizzata in acciaio Corten (Corrosion Tensile Strength) con colorazione che richiama volutamente i preesistenti insediamenti produttivi di l lavorazione del ferro; mentre l’antenna a “V” intende richiamare lo Skyline delineato dai nuovi edifici realizzati nell’area di trasformazione e disegna un varco per il passaggio tra le due sponde del fiume.
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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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CHIESA DEL SANTO VOLTO La chiesa del Santo Volto è il primo edificio di culto cattolico costruito a Torino nel XXI secolo. Questa, inaugurata l’8 dicembre 2006, è stata costruita in soli cinque anni e trova sistemazione all’incrocio tra via Borgaro e corso Svizzera, a poca distanza dalla Dora. L’edificio si sviluppa secondo una pianta centrale e la navata è formata da sette torri perimetrali alte ciascuna 35 m. L’interno della chiesa ha una capienza di 700 posti e l’ambiente risulta alquanto luminoso in quanto si avvale di un’illuminazione diurna che penetra perpendicolarmente dalle alte torri. I volumi delle singole torri, svuotate al loro interno per assolvere per l’appunto alla funzione di lucernari, sostengono il modulo cilindrico sospeso che è adibito a tamburo della cupola che sovrasta la navata e che assume una forma piramidale, data dall’alternarsi di moduli pieni e vuoti. La navata si caratterizza per la presenza di un altare bianco rivolto verso la città torinese, con alle sue spalle un originale Santo Volto della Sindone, stilizzato con mattoni in marmo rosa di Verona posti in rilievo in modo da imitare un effetto simile a quello dei pixel. In ricordo della vocazione industriale dell’area è stata volutamente lasciata una vecchia ciminiera che si può vedere affianco alla facciata della chiesa, attualmente trasformata in una sorta di campanile postmoderno avvolto da una struttura metallica elicoidale che sale verso la croce collocata proprio sulla sua sommità; le campane risultano però collocate ai piedi della ciminiera, incernierate all’interno di una struttura inscritta in una cornice di metallo quadrangolare posta accanto alle gradinate che danno accesso al sagrato. L’intero complesso presenta, oltre alla chiesa, una sala polivalente sotterranea e una serie di locali nei quali trovano posto i nuovi uffici della Curia Metropolitana dell’Arcidiocesi di Torino.
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Floriana Speranza Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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La street art e il murale dedicato a Bobby Sands Fin dagli albori del parco, esso è stato decorato da varie opere di street art, in perfetto connubio con le vaste aree verticali composte da muri, pareti, torrioni. Tra queste opere si ricorda quella inaugurata il 30 gennaio 2015 e dedicata a Bobby Sands, in occasione del venticinquesimo anniversario della sua morte. L’opera è visibile sulle quattro torri di raffreddamento cilindriche ora trasformate in quattro simboli dedicati all’attivista irlandese e alla sua patria: un boccale di birra e tre cappelli a cilindro caratterizzati dai colori della bandiera irlandese (verde, bianco, arancione). I simboli scelti risultano essere: un’arpa e una croce celtica, che richiamano l’antichissima tradizione celtica irlandese e poste sotto il boccale di birra; il cilindro verde si compone invece di moltissimi trifogli, usati da San Patrizio per spiegare la Trinità agli Irlandesi; quello bianco presenta invece l’Easter lily, il fiore che gli irlandesi portano a Pasqua in ricordo delle vittime repubblicane della rivolta di Pasqua del 1916, che diede il via all’indipendenza dell’Irlanda datata 1922; infine sul cappello arancione è presente un’allodola, un simbolo della libertà che non si piega davanti ad alcuna prigionia. Ad unire questi quattro elementi, c’è un nastro arricchito con i colori dell’arcobaleno, simbolo di pace e ricordo di un’antica leggenda irlandese, secondo la quale chi riuscirà a raggiungere dove termina l’arcobaleno all’orizzonte troverà alla sua fine una ricchissima pentola ricolma d’oro.
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Massimiliamo Calligaris Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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Barbara Lamboley Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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Dal 5 al 8 di Aprile 2019, presso il Castello di Belgioioso (PV), si è svolta la mostra “Next Vintage”, un viaggio nel tempo attraverso capi e oggetti che rappresentano la storia del costume della moda. Un percorso interessante e molto divertente attraverso il quale la fantasia sarà solleticata più volte con ricordi, emozioni e nostalgia.
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Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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Francesca Iudica Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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Giacche e gilet vintage Moschino Una collezione di giacche e gilet originali raccolti con passione nel corso degli anni da Alessio Modonesi di Icons luxury & Vintage, ha trovato in Stefano Bertolucci, fotografo con decennale esperienza in pubblicità, nuova forza interpretativa nella realizzazione di un servizio fotografico in mostra assieme ai capi originali per dare il benvenuto ai visitatori in occasione di Next Vintage. Anche grazie alla pazienza con cui la modella Marika Esposito si è sottoposta a lungo ed estenuante trucco e alla bravura di Katiuscia Masarin, make up artist, che ha trasformato il suo fisico in statua conferendo plasticità e risalto ai colori ed alle preziosità dei capi. In occasione della mostra il visitatore sarà guidato virtualmente dalla stilista Isabella Cascianelli, docente dello IED (Istituto Europeo di Design) di Roma, con schede tecniche su materiali e lavorazioni e descrizioni del processo creativo di progettazione attraverso una serie di disegni illustrati.
Stefano Bertolucci Stefano Bertolucci inizia la sua attività di fotografo giornalista nel 1978 pubblicando la primai immagine sul Corriere della Sera, nei primi anni di carriera si specializza in reportage giornalistici diattualità, fotografia industriale così come fotografia naturalistica. A partire dal 1985 inizia a collaborare con grandi marchi del settore moda come Oviesse, Coin, Lancett, Timberland, Porsche Design, Think Pink e molti altri ancora altri. Dal 1993 con il suo studio Errebi si specializza in fotografia digitale attraverso una collaborazione con Safilo, Gucci, Dior, Missoni, Ferré, Valentino, Oliver,Max Mara, Cardin, Biagiotti, Diesel, Ralph Laurent e molti altri ancora. Oltre ad una serie di corsi e workshop realizzati con varie strutture commerciali per cinque anni ha insegnato materie fotografiche presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Arti Visive di Padova sia nei corsi regolari del biennio, sia in alcuni progetti speciali con gli allievi della scuola.
ICONS Luxury & Vintage Boutique di riferimento a Bologna e in tutta Italia, tappa immancabile per chi cerca shopping di lusso e di ricerca. La sua ricerca è indirizzata alle icone del passato che vivono e continuano a vivere nel presente: borse iconiche Chanel, Hermès, Louis Vuitton, la seta stampata di Hermès, la bigiotteria di Chanel, gli accessori di LV. Specializzato nei tre marchi francesi Chanel, Hermès e Louis Vuitton, amplia la sua ricerca anche a Gucci, fieri di un marchio italiano rinato dal proprio passato. Tratta le migliori maison di lusso come Dior, Versace,vMoschino, Gaultier, Comme Des Garcons, V. Westwood, Alexander McQueen, Roberta di Camerino, Gucci, Yves Saint Laurent.
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Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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Sara Gatti Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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FURNITURES&DESIGN È l’area esordiente dell’edizione di “Next Vintage” che raccoglie due espositori di mobili e complementi d’arredo. La decisione di inserire questo nuovo binomio è perché la moda e il design hanno sempre viaggiato insieme e hanno rappresentato il simbolo del made in Italy nel mondo come parte di un unico panorama produttivo e culturale. Ci sono oggetti che fanno parte della nostra storia e che hanno fatto la storia. La storia del Design, dagli anni ’30 ad oggi, ha modificato profondamente la nostra relazione con l’ambiente domestico, il nostro modo di guardare alle cose che fanno parte della nostra vita. La “risultante armonica tra produzione e cultura”: una nuova dignità estetica conferita agli oggetti anche di uso quotidiano, un desiderio continuo di ricerca, la valorizzazione dei materiali, delle tecniche artigianali, nel più alto significato del termine, tutto questo è rappresentato nell’enorme varietà tipologica di quello che definiamo “Design”. Una cultura che fa parte del panorama del XX secolo e che si pone al servizio della vita, che arreda le nostre case, che disegna i nostri paesaggi quotidiani, che cerca nuove soluzioni in un rapporto creativo con la realtà: “La realtà delle cose e la realtà anche del “disegno industriale” è una realtà vitale e viva, nella quale la funzione e la produzione e la forma non stanno né prima né dopo, ma stanno prima e dopo insieme perché l’artista non è l’uomo che scopre la forma conoscendo la funzione, e conoscendo la produzione, ed è l’uomo che alle sue scoperte dà forma”. Trovano posto in questo nuovo spazio due postazioni per la cura dell’uomo e la donna in cui vi aspettano, la nostra immancabile Ketty Cinieri pronta ad acconciarvi con i suoi look in pieno vintage style. Un capo vintage non rappresenta solo un tuffo nel passato, ma un vero e proprio oggetto di culto, che, alle rughe del tempo, ha sostituito l’irripetibilità e, talvolta, la sua riproducibilità con i medesimi standard di qualità di un tempo.
Mariangela Boni Photography
Testimonianza dello splendore di un’epoca passata, icona di un particolare momento storico della moda, del costume e del design, il vintage è un fenomeno di costume sempre attuale, si tratta di creazioni artigianali e industriali, riconsacrate come oggetti cult da parte di un’utenza sempre meno di nicchia.
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Lo Street Food a NextVintage Lo street food, il cibo da strada, ultimamente è di gran moda, unisce l’utile al dilettevole , ma sappiamo bene che esiste da millenni, i cibi da strada fanno parte degli albori culinari di un popolo. Le tracce più antiche di cibo preparato e cucinato per strada risalgono agli albori della nostra civiltà, circa diecimila anni fa. I greci già descrivevano l’usanza egizia, tradizione del porto di Alessandria poi adottata in tutta la Grecia, di friggere il pesce e di venderlo per strada. All’epoca le classi urbane vivevano in abitazioni, condomìni a tutti gli effetti, per la maggior parte sprovviste di cucina. Il popolo si nutriva dunque per strada con vivande corroboranti alla portata di tutte le tasche. La corrente odierna dello street food sta prendendo una piega decisamente diversa, puntando all’aspetto culturale di tradizione, a volte da riscoprire, e scommettendo sulla qualità di una proposta sempre più raffinata. Come per la moda vintage anche il cibo da strada ha il dono di riportarci alla memoria momenti della nostra infanzia legati al cibo ai sapori e alle tradizioni passate. In questa edizione ci è sembrato carino proporvi qualcosa di nuovo che ha il sapore di antico, perduto e per fortuna ritrovato. Moda e cibo un binomio da saper coniugare. Ci aiuteranno in questo scopo 4 bellissime apine gourmande e uno scuolabus degli anni ’80 che è adibito a scuola di birra.
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Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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Manuel Monaco e Silvia Scaramella
ALLA SCOPERTA DEL QUARTIERE CITTÀ ANTICA Se dovessimo chiedere, nel mondo, ad una persona qualunque, se conosce Verona, probabilmente ci sentiremmo rispondere qualcosa come: sì, è la città degli innamorati! Chi, infatti, non la conosce grazie a Shakespeare e al suo Romeo e Giulietta? Ma è davvero solo questo? Ce lo siamo chiesti e in una visita lampo, ci siamo inoltrati nel cuore della città: il quartiere Città Antica. Questa zona corrisponde grosso modo a quella che era Verona in epoca romana: si estende verso nord, da piazza Brà fino al fiume Adige. È una zona ricca di storia, di attrazioni, nonché il cuore pulsante della vita cittadina. Vi si accede attraversando i Portoni della Brà, a sud dell’omonima Piazza. In origine i Portoni non erano stati edificati con l’intento di essere usati come tali, ma piuttosto come collegamento tra Castelvecchio e la cittadella, di cui oggi non rimane traccia.
Manuel Monaco Photography
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Silvia Scaramella Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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Particolare è l’orologio posto al centro dei Portoni, visibile da entrambi i lati. La sua storia è particolarmente travagliata. Già nel 1584 si era proposto di applicare un orologio sui portoni, ma la proposta cadde in un nulla di fatto. Altre proposte si susseguirono nel 1797 e nel 1809 fino a quando, nel 1812, si utilizzò la campana della Torre del Gardello per battere le ore, campana che era stata tolta dalla torre per essere venduta e demolita. Solo nel 1871 il conte Nogarola regalò l’orologio attuale al Comune, a patto che fosse visibile da entrambi i lati e che la suoneria battesse le ore dalla cima della torre Pentagona. I lavori andarono alle lunghe e una volta terminati, furono un fiasco totale. Nel 1879 l’allora orologiaio Montemezzi di Vigasio, dopo alcune modifiche, riuscì a far funzionare, finalmente, l’orologio. Nel 1881 la campana scaligera fu sostituita con quella che rintocca oggi le ore. Attraversando i Portoni si entra in Piazza Brà, una piazza molto ampia e ricca di vita, luogo d’incontro quotidiano ma anche, in occasione degli spettacoli, foyer dell’Arena. La storia è ancora una volta protagonista. Secondo alcuni scritti infatti, nell’antichità questa piazza fungeva da foro boario. Nel XII secolo intorno all’Arena si teneva il mercato del legname e del bestiame e dal 1897, fu ospitata la Fiera dei cavalli che ben presto divenne una delle più importanti del nord-est e ancora oggi è una delle maggiori fiere a livello europeo. La Piazza divenne quindi, con il tempo, sempre più centrale e tra il XVI e il XVIII secolo vi fu una notevole urbanizzazione che portò alla creazione di diversi edifici. La parte centrale della piazza fu sistemata a giardino solo nel 1873. Oggi, in piazza, trovano sede il Palazzo della Gran Guardia, sede di importanti eventi culturali, Palazzo Barbieri, sede del Municipio della città, e la famosissima Arena.
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Uno dei simboli della città è proprio l’Arena. Si tratta dell’anfiteatro romano con il miglior grado di conservazione nonché il terzo più grande al mondo dopo il Colosseo e l’anfiteatro di Capua. Purtroppo è difficile fornire una cronologia sicura. Si sa tuttavia, quasi con certezza, che nel 69 d.C l’Arena era già stata costruita e si trovava al di fuori delle mura della città. Con l’affermazione del Cristianesimo e il conseguente abbandono dei giochi dei gladiatori, l’Arena iniziò un percorso di degrado e di abbandono. Nel corso dei secoli, diversi eventi sismici hanno fatto crollare quasi completamente la facciata esterna: oggi rimangono solamente 4 arcate che costituiscono la cosiddetta Ala. Se avessimo avuto la fortuna di ammirare, in origine, la facciata esterna dell’Arena, avremmo potuto osservare tre ordini di arcate di dimensioni progressivamente ridotte (circa 7 metri per il primo ordine, circa 6 metri per il secondo e circa 4 per il terzo) in grado di evidenziare la struttura interna dell’Arena: due gallerie, un porticato superiore e una serie di gallerie interne, chiuse sulle volte da architravi. Il materiale utilizzato per la costruzione di questo grande anfiteatro è il calcare rosso ammonitico, una pietra molto particolare (per il suo colore e per la presenza di numerosi ammoniti visibili al suo interno) e spesso presente anche in altre costruzioni della città. L’interno dell’anfiteatro era originariamente formato da una serie di gallerie di larghezza e altezza differenti che costituivano i quattro settori dell’Arena.
La capienza odierna stimata dell’anfiteatro è, per gli spettacoli lirici, di circa 15000 posti. Nel 1276 Alberto I della Scala regolamentò per la prima volta l’accesso all’Arena. Da quel momento solo le prostitute potevano abitare nei suoi arcovoli. Nel 1310 si decise per la chiusura definitiva dell’anfiteatro. Tuttavia, solo nel 1537 vennero allontanate le prostituite dagli arcovoli e, nel 1568, si deliberò per iniziare il restauro dell’anfiteatro. Restauro che fu tuttavia presto interrotto a causa di una grave pestilenza. Da allora, con scarsa continuità, furono intrapresi e sospesi molti interventi volti al restauro dell’edificio. Nel corso dei secoli l’Arena ha ospitato moltissimi eventi: spettacoli dei gladiatori in epoca romana; lotte giudiziarie in epoca comunale e scaligera (sembra che anche Dante abbia partecipato come spettatore ad una di queste dispute). Nel 1278 fu scelta come luogo per il rogo di 200 eretici patarini. Nell’Ottocento Napoleone Bonaparte ammirò la caccia dei tori e, negli anni successivi, l’Arena fu usata anche come campo di concentramento per prigionieri austriaci. Sempre nell’Ottocento l’Arena ospitò gare di equitazione, gare velocipedistiche e spettacoli con l’aerostato, oltre a commedie e giochi della tombola. Passò da questo luogo anche Buffalo Bill con il suo Wild West Show e nel Novecento iniziò l’era lirica con l’Aida del 1913. É proprio dal 1913 che l’Arena è diventata il più grande teatro lirico all’aperto del mondo.
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L’altro simbolo della città è sicuramente l’edificio sito in via Cappello 23, meglio noto come Casa di Giulietta. Un grande cancello in ferro battuto separa i passanti da un luminoso cortile interno, caratteristico per la presenza di uno dei balconi più famosi al mondo: il balcone dal quale si dice che Giulietta si sia affacciata per parlare al suo Romeo. Il balcone è parte di un edificio medievale in mattoni e si affaccia sul cortile interno in cui è presente la statua di Giulietta. A quanto sembra l’aspetto della Casa di Giulietta e dell’edificio adiacente sono stati modificati tra il 1937 e il 1940 con diversi restauri, aventi come scopo la riproduzione della scenografia di un film americano del ‘36, ispirato al famoso dipinto di Hayez: Il bacio. Anche il famoso balcone è stato assemblato con resti marmorei del XIV secolo provenienti dal museo di Castelvecchio per sostituire quella che doveva essere la ringhiera di una casa popolare. Il punto di maggior interesse in questo angolo di Verona è sicuramente la statua di Giulietta all’interno del cortile. Fu realizzata nel 1969 dallo scultore Nereo Costantini e posata, nel 1972, in questa corte per iniziativa del Lions Club di Verona. Una delle tradizioni più conosciute da chi visita la città di Verona riguarda proprio questa statua: si dice infatti che toccare il seno destro di Giulietta sia auspicio di buona sorte in amore: si crede infatti che la statua sia custode del vero amore e che toccandole il seno si possa avere una sorte migliore di quella che è toccata alla povera Giulietta. Vista la pratica comune, la statua visibile oggi nel cortile non è più quella originale che si trova all’interno della Casa museo e che presenta un seno destro alquanto usurato a causa dei continui tocchi. Degno di nota è anche l’andito che dà accesso al cortile. Esso è infatti ricoperto da numerosi strati di bigliettini, dediche e foto che gli innamorati, giunti apposta da tutto il mondo, attaccano dopo aver toccato la statua per far sapere a tutti del loro amore.
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Adiacente alla casa di Giulietta si trova Piazza (delle) Erbe, una piazza che è stata più volte descritta come una delle più belle, se non la più bella, d’Italia in quanto conserva la memoria storica della città. In epoca romana accoglieva il Foro, il Campidoglio, diversi Templi e le Terme. Nel periodo comunale fu sede del potere politico e, sotto gli Scaligeri, divenne centro di commerci. Durante la dominazione veneziana prima e quella austriaca poi, accolse il tribunale ma rimase sempre luogo d’incontro e di scambi. Sulla piazza si affacciano il duecentesco Palazzo della Ragione e la torre dei Lamberti, la Casa dei Giudici, le Case Mazzanti, Palazzo Maffei e la Torre del Gardello. Molto particolari sono l’Arco della Costa (da cui pende una gigantesca costola di balena, utilizzata come insegna di uno dei negozi di spezie nel medioevo), la colonna antica (un pilastro gotico con edicola eretto nel 1401 per portare le insegne dei Visconti di Milano e nelle cui nicchie sono rappresentati Maria, San Zeno, Cristoforo e Pietro Martire) e il capitello (del XIII secolo, un baldacchino in marmo utilizzato per l’insediamento dei governanti e per i proclami) dove venivano esposte le teste mozzate dei giustiziati. Particolari sono le due misure medievali scolpite alla base del capitello: il copo (la tegola) e il quarel (il mattone). Su una delle colonne è appesa una catena in ferro che serviva per determinare la fassina, la dimensione del fascio di legname tenero. Al centro della piazza si trova la fontana di Madonna Verona, costruita nel 1368 dal principe Cansignorio della Scala. Particolare interessante è la statua romana presente in questo sito già dal I secolo d.C. Infine, adiacente a palazzo Maffei vi è la colonna di San Marco, realizzata nel 1523 sotto il dominio veneziano. Purtroppo, a causa del mercato, non siamo riusciti a documentare nel migliore dei modi la bellezza di questa piazza, ma è una piazza che va visitata assolutamente!
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Da piazza delle Erbe, passando sotto l’Arco della Costa, si giunge in Piazza dei Signori.
Provinciale, ma fu realizzata alla fine del XV secolo per il Consiglio dei Cittadini Illustri.
Se Piazza delle Erbe può risultare caotica e affollata, Piazza dei Signori è più raccolta e armoniosa. In epoca medievale qui veniva ospitata la corte della Signoria degli Scaligeri. Al centro della Piazza svetta il monumento dedicato a Dante Alighieri, eretto nel 1865 in occasione del sesto centenario della nascita del Sommo, ospitato per lungo tempo a Verona durante il suo esilio.
È un edificio a due piani con porticato, ritenuto da molti una delle migliori rappresentazioni del Rinascimento a Verona. Sul tetto del Palazzo vi sono una serie di statue che raffigurano veronesi illustri di epoca romana e, sull’arco alla sinistra dell’edificio, vi è la statua di Girolamo Fracastoro che, secondo la leggenda, lascerà cadere la pietra che regge in mano sulla testa del primo uomo onesto che transiterà sotto di lui.
Il perimetro della Piazza è delimitato da una serie di edifici di importanza storica che conferiscono alla piazza l’aspetto armonioso di cui si è parlato. Partendo dall’arco della costa e compiendo un giro in senso antiorario nella piazza ci si trova immediatamente ai piedi della Torre dei Lamberti e del Palazzo della Ragione. Il Palazzo, di origine duecentesca, fu edificato per accogliere le magistrature del Comune e in origine, aveva l’aspetto di una fortificazione, con ben quattro torri (sono rimaste oggi solo le due che si affacciano su Piazza Erbe). La presenza di un arco a metà dell’edificio permette di accedere al cortile del palazzo, una volta sede del Mercato Vecchio. Dal cortile è possibile ammirare la bellissima scala marmorea che dava accesso al Tribunale. Sotto la scala vi è anche l’ingresso alla Torre dei Lamberti che purtroppo, a causa di lavori di manutenzione straordinaria, non abbiamo potuto visitare. Tuttavia la Torre è normalmente visitabile e, dicono, dalla sua sommità è possibile ammirare lo splendido skyline di Verona. Tornando alla Piazza, subito dopo il Palazzo della Ragione, è possibile ammirare il Palazzo di Cansignorio, separato dal primo da scavi archeologici. Il Palazzo fu costruito nella seconda metà del XIV secolo e, anch’esso, era inizialmente una casa-torre ben difesa da possenti torri. Entrando sulla Piazza ci si trova invece di fronte il Palazzo di Cangrande, oggi sede della Prefettura. Costruito alla fine del XIII secolo, è formato da un complesso di edifici a U con corte interna rettangolare. La facciata del Palazzo su Piazza dei Signori è molto maestosa: il portale con arco a tutto sesto cattura subito l’attenzione, ma non è l’unica chicca. Infatti, se ci si avvicina e si osserva il porticato alla destra del portale si possono ammirare le pareti dipinte e un bellissimo soffitto cassonato. A sinistra di questo magnifico Palazzo in cotto si trova la Loggia di Fra Giocondo, oggi ospita gli uffici dell’Amministrazione
L’arco che ospita la statua del simpatico Girolamo collega la Loggia di Fra Giocondo alla Casa della Pietà, un’abitazione privata risalente alla fine del XV su cui è presente un bassorilievo raffigurante una donna seduta che regge una bandiera. Tale bassorilievo simboleggia Verona che riposa sotto la protezione della Serenissima. Infine, a chiudere il perimetro della piazza, c’è la Domus Nova, anche detta Casa dei Giudici, edificio che nel corso degli anni ha avuto funzioni politico-amministrative diverse e che subì un crollo nel XVI secolo. L’edificio visibile oggi è chiaramente una ricostruzione successiva e ospita un ristorante. Nel giro panoramico degli edifici di Piazza dei Signori abbiamo volutamente saltato una piccola gemma, incastonata tra il palazzo di Cansignorio e quello di Cangrande. Ci riferiamo alla piccola Chiesa di Santa Maria Antica e al suo spettacolare sepolcro monumentale, protetto esternamente da un massiccio recintato in pietra sovrastato da una cancellata in ferro battuto. Al suo interno sono conservate le arche di Alberto I, Alboino, Bartolomeo, Mastino I, Cangrande I, Mastino II, Cangrande II e Cansignorio. Sebbene le Arche che attirano maggiormente l’attenzione siano quelle sospese, ve ne sono anche altre di pregevole fattura e, la più antica, è addirittura senza ornamenti. Il nostro è stato un giro breve ma intenso. Chiaramente, per non dilungarci troppo, abbiamo tralasciato molte informazioni e tante altre location per le quali non sarebbero bastate pagine e pagine. Risulta evidente che Verona non può essere riassunta con il semplice appellativo di città degli innamorati. C’è di più, molto di più. Ci sono secoli e secoli di Storia, di Personaggi e di vicende che hanno plagiato e trasformato questa città, così famosa ma anche così sminuita. Una città che andrebbe vissuta meglio, con più tempo. Una città con un potenziale altissimo che, speriamo, di aver portato alla Vostra attenzione.
Manuel Monaco e Silvia Scaramella
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A cura di Giancarlo Nitti
L’International UFO Museum & Research Center di Roswell, è sorto per informare il pubblico su ciò che successe il 2 luglio del 1947, diventato noto come “L’incidente di Roswell”. Il Museo è un’associazione senza scopo di lucro dedicata alla raccolta e alla conservazione di materiali e informazioni correlati al dubbioso evento e altri fenomeni inspiegabili relativi alla ricerca sugli UFO.
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UFOCRASHROSWELL CRONOSTORIA DELL’EVENTO
Le cronache del tempo riportano di un oggetto volante non identificato schiantato nei pressi di un ranch a nord-ovest di Roswell, nel New Mexico, durante la prima settimana di luglio del 1947. W.W. “Mack” Brazel, proprietario della cascina, riferiva in seguito, che mentre lui, Floyd e Loretta Proctor controllavano a cavallo il bestiame dopo il violento temporale della sera prima, notavano resti insoliti di quelli che sembravano detriti metallici sparsi su una vasta area. Controllando meglio nella zona, notarono anche un solco scavato nella terra, lungo diverse centinaia di metri. Incuriosito, Brazel, trascinò fino a casa alcuni pezzi dei resti rinvenuti, nascondendoli nel suo capannone e li fece vedere anche ai suoi vicini, la famiglia Proctor. Qualche giorno dopo, Brazel andò in città, a Roswell, riferendo dell’accaduto allo sceriffo Wilcox, che a sua volta avvertì il maggiore Jesse Marcel, ufficiale dei servizi segreti del 509° Gruppo di Roswell Army Air Field. Immediatamente dopo, il sito del rinvenimento rimasechiuso per diversi giorni, presidiato dai militari, mentre il Maggiore Marcel e il Capitano Sheridan Cavitt effettuavano le indagini sui detriti rimasti. Nel frattempo, nelle indagini del Colonnello William Blanchard, allora comandante del 509°, si rivelò un ulteriore testimone, William Woody, che la stessa sera dell’incidente, vide una strana luce schiantarsi a terra.
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In un rapporto, svelato ultimamente, Marcel e Cavitt, dichiaravano di aver studiato il materiale descrivendolo come strutture leggere che non si piegavano né si rompevano pur essendo della stessa consistenza della carta stagnola. Alcuni di questi resti metallici riportavano caratteri indecifrabili lungo la lunghezza, in due colori. “Non sapevo cosa stavamo raccogliendo, ancora oggi non so cosa fosse ... Nulla di ciò avrebbe potuto far parte di un aereo e di nessun tipo di pallone meteorologico o altro oggetto sperimentale “. L’area fu ripulita e liberata in pochi giorni. Nello stesso periodo, Glen Dennis, un giovane che lavorava in una impresa funebre, ricevette alcune telefonate dall’Ufficiale della RAAF, il quale richiedeva alcune bare di piccola taglia, chiedendo consiglio di come siggillarle al meglio per non contaminare l’eventuale corpo all’interno. Dennis, recandosi in ospedale presso le camere mortuarie, notò la presenza di un’ifermiera che conosceva, la quale gli riferì di aver visto alcuni detritri con strane incisioni e dei piccoli cadaveri di ominidi dei quali ne fece uno schizzo su un blocco notes. Quella stessa settimana l’infermiera fu trasferita in Inghilterra e mai più ritrovata da Dennis.
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L’INSABBIAMENTO
IL COINVOLGIMENTO DEL QUARTIER GENERALE DEL FORT WORTH ARMY AIR FIELD Il Maggiore Marcel fu mandato a Fort Worth Army Air Field (poi Base Aerea Aeronautica di Carswell) per fare rapporto al Brig. Gen. Roger M. Ramey, ufficiale comandante dell’ottava aviazione. Marcel portò con se alcuni detriti del ritrovamento da Ramey per mostrargli cosa era stato rinvenuto, lasciandoli nel suo ufficio, mentre, su richiesta del Generale, si recavano in un’altra stanza per individuare la posizione esatta del ritrovamento su di una mappa. Al loro ritorno, il campione del relitto era sparito e sostituito con alcuni pezzi di un pallone meteorologico disteso sul pavimento. Il maggiore Charles A. Cashon scattò l’ormai famosa foto di Marcel con il pallone meteorologico nell’ufficio di Ramey. Fu poi riportato, nei rapporti ufficiali, che Ramey riconobbe i resti come parte di un pallone meteorologico. Il generale Thomas DuBose, capo dello staff dell’ottava aeronautica militare, dichiarò successivamente che quella era una storia di copertura e che il pallone faceva parte della storia che si doveva dare al pubblico e agli organi giornalistici.
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Infatti, il 9 luglio, fu emesso un secondo comunicato stampa in cui si affermava che il 509 ° gruppo bombardieri, aveva identificato erroneamente un pallone meteorologico come relitto di un disco volante.
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UFOCRASHROSWELL LE INDAGINI
Dopo la smentita ufficiale da parte dell’Esercito, il caso Roswell cadde lentamente nel dimenticatoio, fino a quando, algli inizi degli anni ‘80, l’ufologo William Moore e lo scrittore Charles Berlitz riesumarono il caso pubblicando un libro “The Roswell incident”, tradotto anche in Italia con il titolo “Accadde a Roswell”. Ma fu solo nel 1991, con il libro “UFO-crash at Roswell” degli ufologi Kevin Randle e Donald Schmitt, che si riaprirono le indagini sull’evento,seguite poi nel 1992, dal libro “Crash at Corona” del controverso ufologo Stanton Friedman. È così che per un pò si ritornò a parlare di presunti Extraterrestri ritrovati dall’Esercito e conservati in Basi Militari segrete. Nel 1995, il produttore inglese Ray Santilli annunciò di essere entrato in possesso di diversi filmati segreti eseguiti dai militari riguardanti il caso Roswell. Uno di questi filmati documentava il recupero dei rottami del Disco Volante, mentre altri riptoducevano ben due autopsie di corpi alieni.
La clamorosa notizia di Santilli fece il giro del mondo, dove tutti i mass-media trasmisero le sconcertanti immagini dell’autopsia. Passato il clamore, le successive indagini sui filmati da parte di ufologi, confermarono la molte perplessità, avanzate soprattutto in ordine al filmato dei rottami, la cui struttura non coincide con quella descritta dal figlio del magg. Jesse MARCEL, che da ragazzo vide i rottami recuperati dal padre. I filmati delle autopsie fu naturalmente quello che suscitò le maggiori polemiche tra gli entusiasti sostenitori della sua autenticità e gli scettici sostenitori della truffa. Santilli, non ha mai rivelato la fonte del filmato,con la scusa di doverne tutelare la privacy, mentre nessuna autorità governativa, ha mai rivendicato la proprietà di tali filmati che potrebbero provenire, di tutta evidenza, soltanto dagli archivi segreti di qualche ente militare.
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L’AUTOPSIA Le analisi condotte su alcuni spezzoni di pellicola, hanno dimostrato che effettivamente si tratta di una pellicola del 1947, molti esperti patologi si sono dichiarati convinti che si tratti di un vero cadavere e non di un semplice “manichino”, mentre vari esperti di effetti speciali cinematografici si sono invano cimentati nel tentativo di riprodurre una falsa autopsia, senza per altro raggiungere i livelli di verosomiglianza del “Santilli Footage”. Il caso Roswell resta comunque uno dei casi più documentati della storia dell’ufologia e presenta senza ombra di dubbio alcuni punti certi, che uniti tra loro dichiarano sicuramente il vero. Da quel lontano luglio del 1947, sono passati oltre 70 anni ed il tempo ha lentamente cancellato, tutte le possibilità di fare luce su questo controverso caso, nonostante le varie inchieste amministrative da parte dell’USAF o le sconcertanti rivelazioni dell’ exColonnello Philip Corso, autore nel 1997 del discusso libro “The Day after Roswell”
“Il giorno dopo Roswell”
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70 PRESENTA
WORKING GROUP 2019
BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project
ITALIA
ORINO ALL AMERICAN
REPORT
Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 42
STORIES
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COME FUNZIONA Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.
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CHI PUÒ PARTECIPARE
Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.
PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.
SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto, si trova a Torino. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.
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BARGE, CERTOSA MOMBRACCO E REVELLO
A cura di Barbara Tonin
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Il FAI è una fondazione nata nel 1975, con il fine di tutelare e valorizzare il patrimonio storico, artistico e paesaggistico italiano e scoprire il patrimonio culturale e paesaggistico nascosto. Propone itinerari culturali non consueti, capaci di suscitare meraviglia in chi li vive. L’attività principale consiste nel prendersi cura dei luoghi speciali che ha ricevuto in donazione, in eredità o che sono stati concessi in gestione: boschi e coste, parchi e giardini, castelli e dimore storiche, ville e abbazie, ma anche piccoli beni dall’alto valore identitario, come un’edicola storica o l’antica barberia della città. (https://www.fondoambiente.it/) Numerosi sono gli eventi che tutti gli anni il FAI organizza per far conoscere agli amanti della storia e dell’arte, ma anche della Natura, le ricchezze del patrimonio italiano. Svela i segreti e le curiosità di luoghi già conosciuti e promuove i nuovi restauri di beni dimenticati, che ritornano alla luce.
È il caso della Certosa di Mombracco di Barge e degli affreschi della Cappella Marchionale di Revello.
BARGE REVELLO
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BARGE Barge è un piccolo Comune della provincia di Cuneo ai piedi delle Alpi Cozie e situato in una conca del Monte Bracco. Le sue origini sono molto antiche ma sconosciute. In età pre-romana vide l’insediamento dei Taurini, di cultura celtico-ligure, che tra il VII° e III° secolo a.c. occuparono la Valle del Po, ovvero l’attuale Piemonte. La prima testimonianza scritta su Barge si trova su un diploma dell’imperatore Ottone III dell’anno 1001. Nell’Alto Medioevo fu un territorio di notevole rilievo demografico e, per la sua posizione strategica, fu per i secoli a venire regione di contesa per gli eserciti spagnoli, francesi, austro-russi, napoleonici e piemontesi. Le bellezze di Barge sono conosciute da tempo. I signori dell’alta borghesia, perlopiù torinese, frequentavano il paese e i suoi dintorni ameni per le passeggiate e i riposi estivi. Una delle principali attrazioni è sicuramente il Castello inferiore, oggi ad uso privato, piazzato su uno spuntone, alla confluenza dei torrenti Infernotto e Chiappera, e caratteristico per la sua alta torre.
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Del Castello superiore invece rimangono pochi ruderi, perlopiù la cisterna per l’acqua. Passeggiando per il suggestivo centro storico si può ammirare la maestosa Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista, decorata con un pavimento di quarzite e affreschi colorati e al cui interno troviamo una pregevole fonte battesimale del XV-XVI° secolo e un organo monumentale della famiglia organara dei Collino, risalente al 1853. Proseguendo possiamo apprezzare le antiche case Quattrocentesche e sorridere alla stranezza delle denominazioni di alcune vie, quali via Coperta, Via Beneficio, via Terrazzo ecc., fino ad incontrare il mercato coperto, recentemente ristrutturato, o l’incantevole paesaggio del rio Chiappera. Nella frazione di Torriana, invece, è situato il Museo etnografico “La Brunetta”, che espone pezzi legati al lavoro contadino e alle attività collaterali antecedenti all’avvento della meccanizzazione agricola degli anni ’60, nonché a professioni artigianali cadute in disuso.
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Barbara Lamboley Photography Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 42
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MOMBRACCO Il luogo più ricco di storia, tuttavia, è il Monte Bracco, più comunemente chiamato Mombracco. Barge infatti è rinomata per l’estrazione in Valpellice e Val Po della “Pietra di Luserna” (lo Gneiss), ma soprattutto per l’estrazione sul Mombracco della pietra Bargiolina, meglio conosciuta come Quarzite per via della presenza di quarzo. I primi documenti certi che testimoniano il suo utilizzo risalgono al 1374 circa per concessione di Amedeo VI di Savoia, che dal 1363 aveva il dominio su Barge. Il XVII° ed il XVIII° secolo fu il secolo d’oro per le cave del Mombracco, che rifornivano i maggiori architetti dell’epoca. Si parla di artisti quali il Guarini, Juvarra, Gallo ed Alfieri, che utilizzarono la Bargiolina per abbellire opere che tutt’ora meravigliano e ammaliano migliaia di visitatori: le torri Guariniane del Castello di Racconigi, il salone del primo parlamento subalpino in Palazzo Madama, il Castello di Stupinigi e la Reggia di Venaria, per citarne alcune. Le caratteristiche uniche della Bargiolina erano talmente apprezzate da essere conosciuta anche da Leonardo Da Vinci, che ne descrisse i pregi in un manoscritto, ora conservato presso
l’Institut de France a Parigi: “Monbracho sopra Saluzo sopra la certosa un miglio a piè di Monviso a una miniera di pietra faldata la quale è bianca come marmo di Carrara senza machule che è della dureza del porfido obpiù delle quali il compare mio maestro Benedetto scultore a impromesso donarmene una tabuletta x li colori. Adì 5 di gennaio 1511.” (Manoscritto G). Le cave di Bargiolina non sono l’unico “tesoro” di Barge. Il Monte Bracco ha conservato sulla sua sommità un’antica certosa. Il 5 Ottobre 1248, alcuni Signori di Barge donarono 5 giornate di terra (circa 4,7 acri) sul Mombracco al sacerdote Bartolomeo di S. Angelo, affinché questi vi costruisse una chiesa. I fondi tuttavia non furono sufficienti e la chiesa non fu edificata. Con il benestare di Giovanni Arborio, vescovo di Torino e grazie ad ulteriori possedimenti e diritti concessi negli anni successivi dal Signore d’Envie e dal Marchese di Saluzzo Tommaso II, Bartolomeo tra il 1253 e il 1257 riuscì a far erigere una chiesa dedicata a S. Salvatore, la cui gestione fu affidata ai Benedettini. Giroinfoto Magazine nr. 42
80 Il sacerdote ebbe anche l‘incarico di costruire altre due chiese: una dedicata alla Madonna e una a S. Giovanni. A causa però delle difficoltà economiche e di gestione, i Benedettini non riuscirono nell’incarico e persero l’amministrazione anche della chiesa di S. Salvatore. La chiesa di Santa Maria, infatti, fu edificata dopo il 1257 grazie alle elargizioni di Sinibaldo Fieschi di Bagnaria, che fondò anche un monastero. Nel 1274, le due chiese e il monastero furono donate alle monache certosine di Belmonte. L’Ordine Certosino a Mombracco, però, si insediò solo qualche anno più tardi, il 18 marzo del 1282, dopo anni di contesa tra la Certosa di Belmonte e l’Abbazia cistercense di Staffarda. La comunità inizialmente contava solo due monaci, ma col passare degli anni crebbe e rimase a Mombracco per diversi secoli fino a circa il 1630, quando la peste ormai si era diffusa in tutta la regione. Per tutto il periodo di permanenza, i Certosini vissero tempi travagliati, dovuti alle continue contese tra vari Ordini e Abbazie per la sua amministrazione. Gli ultimi che vissero nella Certosa di Mombracco furono un gruppo di frati Trappisti francesi, fuggiti alla Rivoluzione francese, nel 1794. Vi rimasero fino al 1802, quando un editto napoleonico ordinò la soppressione definitiva del monastero e costrinse i frati ad abbandonarlo. La Certosa di Mombracco ha una struttura fondamentale tipica delle certose: il fulcro del complesso è una chiesa in pietra, circondata da piccole casette con una o due stanze, anch’esse in pietra, che erano le celle dei padri e del priore. Altre piccole strutture erano adibite ad ambienti della vita comunitaria: il refettorio, la cucina con un forno, un piccolo magazzino per il raccolto. La vita dei Certosini è votata ad una spiritualità di preghiera contemplativa nel silenzio e nella solitudine e all’obbedienza al padre priore. I monaci, nei giorni ordinari, possono lasciare le loro celle soltanto per recarsi in chiesa e in refettorio. Ogni abitazione era molto semplice ed austera: un piccolo letto di legno, un inginocchiatoio per la preghiera, un tavolino per mangiare e uno spazio per lavorare. Nelle loro celle, i padri si dedicavano allo studio delle Sacre Scritture e della Teologia, per poter più facilmente tendere alla contemplazione; uno studio, dicono gli Statuti, mirato alla “formazione più solida dell’anima”. Il lavoro manuale invece forniva la distensione fisica necessaria alla salute e lo rendeva più idoneo ai suoi doveri spirituali. Ogni monaco aveva l’obbligo di tener in ordine la sua cella, di tagliare la legna per l’inverno, di occuparsi dell’orto e del raccolto e di dedicarsi alla sua specifica mansione: lavori di artigianato
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quali ad esempio la rilegatura, la scultura del legno, le miniature e la pittura d’icone. Durante la settimana i padri si radunavano tre volte al giorno in chiesa: per il Mattutino, per la messa conventuale e per i Vespri. Le domeniche, e i giorni di festa di una certa importanza, cantavano in coro tutto l’ufficio, prendevano il pasto di mezzogiorno in refettorio e avevano una ricreazione nel pomeriggio, tra Nona e Vespri. Infine uscivano in spaziamento una volta la settimana. Lo spaziamento è la passeggiata settimanale durante la quale si può parlare liberamente. Aveva luogo il primo giorno libero della settimana, normalmente il lunedì, se il tempo lo permetteva e se nessuna festa importante lo impediva. Durava tre o quattro ore e si camminava abitualmente a due a due, per permettere un colloquio più personale. Ora la Certosa di Mombracco, detta anche della Trappa, è ad uso di privati ed è a aperta ai visitatori soltanto alcune giornate all’anno. Recentemente è stata restaurata la chiesa e i lavori hanno portato alla luce degli affreschi raffiguranti una pregevole Annunciazione del Cinquecento. È officiata la prima domenica di agosto (festa di S. Giacomo) e la seconda domenica di ottobre (festa dei paesi di Mombracco).
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REVELLO Altro sito promosso dal FAI, a pochi chilometri da Barge, è la Cappella Marchionale di Revello. Revello, conosciuto soprattutto per l’Abbazia cistercense di Santa Maria di Staffarda, è un borgo situato ai piedi del Monte Bracco, come Barge. Si presume da alcuni resti archeologici, che esistesse un antico ed importante insediamento già all’epoca romana, ma visse il suo periodo di maggior autorevolezza solo a partire dalla metà del secolo XI°.
Torre delle guardie con la galleria a doppia porta, il cammino di ronda, una seconda doppia porta e la torre dell’orologio, che era il campanile di una chiesa quattrocentesca ora distrutta. Il borgo abitato invece offre ai visitatori diverse strutture di valore architettonico e artistico. La Collegiata è Chiesa Parrocchiale dedicata a Maria Vergine Assunta, in stile prevalentemente gotico, ma in cui permangono gli stili romanico e rinascimentali, come il bellissimo candido portale marmoreo del 1534, che si staglia sulla facciata in mattoni rossi.
Il borgo è costituito da un’area abitata e da una fortificata. Il percorso del borgo fortificato si sviluppa attraverso un cammino che porta al Castello e al Forte del Bramafam. Del Castello ormai rimangono solo alcune rovine, dopo essere stato distrutto dalle mine dei francesi nel 1642.
Il Palazzo della Dogana, a destra della Collegiata, era la sede dell’esattoria delle gabelle nel periodo in cui il marchesato fu sottoposto al dominio francese e fu utilizzato come deposito per il sale, che i Marchesi di Saluzzo commerciavano con la Francia.
Il Forte invece conserva i spessi muri scarpati, il terrazzo e un corridoio con cinque cannoniere periferiche, a difesa del Castello e del borgo. Al suo interno è presente un locale per i soldati e le munizioni. Lungo il cammino che porta al Castello si possono osservare la
Percorrendo la via principale di Revello, di fronte alla Collegiata, un tempo ricca di botteghe e laboratori di artigiani, si possono ammirare alcuni piccoli affreschi databili tra il XV° e il XVI° secolo. La via conduce alla torre merlata del mercato coperto, tutt’ora Giroinfoto Magazine nr. 42
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utilizzato per il mercato ortofrutticolo, e alla Chiesa di Santo Stefano. Conosciuta come Confraternita del Gonfalone, fu edificata all’inizio del Seicento e si distingue dalla altre chiese per la sua facciata completamente affrescata.
Sulla volta dell’abside è dipinto il sole raggiante, simbolo di Ludovico II e la sua discendenza. Sui capitelli gli stemmi SaluzzoFoix dipinti a fogliami. Sulla contro-facciata dell’abside si può ammirare una riproduzione del Cenacolo di Leonardo da Vinci.
Al primo piano del Castello sottano, oggi sede del Comune, si trova la Cappella Marchionale, di architettura tardo-gotica a navata unica. Era la cappella dei Marchesi di Saluzzo e per volere di Margherita di Foix, moglie di Ludovico II, fu interamente affrescata intorno 1519 da pittori di cultura lombarda. Erano gli anni della sua maggior influenza e Margherita di Foix volle far realizzare un’opera che esaltasse se stessa e il suo casato, sotto spoglie allegoriche e della pietas religiosa.
Criticata dagli storici dell’epoca, l’affresco mantiene la struttura dell’originale con Gesù al centro e gli apostoli ai suoi lati.
Le pareti e le volte riportano dipinti con alcuni episodi delle vite dei santi protettori dei marchesi, Santa Margherita d’Antiochia sulla parete di destra e S. Luigi IX di Francia su quella di sinistra. Le lunette superiori riproducono i ritratti degli Evangelisti e dei Dottori della Chiesa. La parte sinistra dell’abside è decorata con affreschi del marchese Ludovico II e San Luigi IX e la parte destra con Margherira di Foix e Santa Margherita.
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La stanza differisce per la disposizione della porta e delle finestre: dietro ai personaggi nell’originale e a sinistra sulla riproduzione, inoltre, la copia revellese ha minor profondità prospettica ed è quindi meno dinamica. L’anno esatto di esecuzione e l’artista sono sconosciuti e non ci sono documenti che rivelino se l’autore sia venuto a contatto con Leonardo o abbia soltanto visto la sua opera a Milano.
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Uralkali Potash Mine #4, Berezniki, Russia 2017 - photo(s) © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
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DAL 16 MAGGIO AL 22 SETTEMBRE 2019
BOLOGNA
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Il progetto Anthropocene è un’esplorazione multimediale che documenta l’indelebile impronta umana sulla terra: dalle barriere frangiflutti edificate sul 60% delle coste cinesi alle ciclopiche macchine costruite in Germania, dalle psichedeliche miniere di potassio nei monti Urali in Russia alla devastazione della Grande barriera corallina australiana, dalle surreali vasche di evaporazione del litio nel Deserto di Atacama alle cave di marmo di Carrara e ad una delle più grandi discariche del mondo a Dandora, in Kenya. Il progetto ha debuttato in Canada a settembre 2018 con il documentario “Anthropocene: The Human Epoch” proiettato in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival e con la mostra allestita in contemporanea all’Art Gallery of Ontario di Toronto e alla National Gallery of Canada di Ottawa - organizzata in partnership con la Fondazione MAST - e arriva per la prima volta in Europa, al MAST dal 16 maggio al 22 settembre.
35 fotografie di Edward Burtynsky che illustrano temi quali l’estrazione delle risorse naturali, le deforestazioni, le grandi infrastrutture di trasporto, il cambiamento climatico, le discariche e l’inquinamento. .quattro enormi murales ad alta risoluzione, realizzati utilizzando tecnologie fotografiche all’avanguardia, che offrono esperienze di visione sorprendenti e consentono agli spettatori di esaminare nei più minuti dettagli la complessità delle incursioni umane sulla Terra. I murales sono arricchiti da filmati di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, che consentono ai visitatori di vivere un’esperienza immersiva, esplorando in dettaglio i singoli scenari rappresentativi delle teorie dell’Antropocene. Videoinstallazioni di Baichwal e de Pencier, che favoriscono la comprensione della portata e dell’impatto del fenomeno con tecniche di ripresa all’avanguardia e forniscono una esperienza diretta del dominio dell’uomo sul pianeta. Tre installazioni di realtà aumentata che come avviene per i murales sono accessibili tramite AVARA, la App gratuita per smartphone e tablet: composte da migliaia di immagini fisse e assemblate attraverso un processo chiamato fotogrammetria, ogni installazione di realtà aumentata porterà il visitatore a vivere un’esperienza immersiva grazie ad un’immagine 3D a grandezza quasi naturale. Il premiato docufilm “ANTHROPOCENE: The Human Epoch”, codiretto dai tre artisti che testimonia con un approccio esperienziale un momento critico nella storia geologica del pianeta, proponendo una provocatoria e indimenticabile esperienza dell’impatto e della portata della nostra specie. La voce narrante è del premio oscar Alicia Vikander. Il film sarà distribuito in Italia da Fondazione Culturale Stensen e Valmyn. Un percorso didattico interattivo, corredato da attività dedicate sia all’infanzia sia all’adolescenza con - MAST Dialogues on Anthropocene - ricco programma di eventi culturali, letture, tavole rotonde, proiezioni. Giroinfoto Magazine nr. 42
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Carrara Marble Quarries, Cava di Canalgrande #2, Carrara, ltaly 2016 photo(s) Š Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
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Il progetto si basa sulla ricerca di un gruppo internazionale di scienziati (Anthropocene Working Group) impegnato nel raccogliere prove del passaggio dall’attuale epoca geologica – l’Olocene, iniziata circa 11.700 anni fa – all’Antropocene (dal greco anthropos, uomo). La ricerca è volta a dimostrare che gli esseri umani sono diventati la singola forza più determinante sul pianeta. La terraformazione del pianeta mediante l’estrazione mineraria, l’urbanizzazione, l’industrializzazione e l’agricoltura; la proliferazione delle dighe e la frequente deviazione dei corsi d’acqua; l’eccesso di CO2 e l’acidificazione degli oceani dovuti al cambiamento climatico; la presenza pervasiva e globale della plastica, del cemento e di altri tecno-fossili; un’impennata senza precedenti nei tassi di deforestazione ed estinzione: queste incursioni umane su scala planetaria - argomentano gli scienziati sono così pesanti che i loro effetti sono destinati a perdurare e a influenzare il corso delle ere geologiche.
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Clearcut #1, Palm Oil Plantation, Borneo, Malaysia 2016 photo(s) © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
“Burtynsky documenta questo proliferare di interventi a danno della natura, sempre più invasivi, e lo fa attraverso la forza essenziale delle sue immagini e lo sguardo attento su simmetrie, figure circolari, griglie e linee geometriche pure. Le opere di grande formato sono un crescendo di forme e colori e sono affiancate al materiale filmico, realizzato da Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, caratterizzato da inquadrature e tagli che si fondono con l’effetto coinvolgente e crudo delle immagini al rallentatore. L’osservatore viene catturato e affascinato esattamente come avviene, per un ascoltatore, con la Quinta Sinfonia di Beethoven”, spiega il co-curatore Urs Stahel. La mostra si compone di diversi elementi tra cui 35 fotografie di Edward Burtynsky che illustrano temi quali l’estrazione delle risorse naturali, le deforestazioni, le grandi infrastrutture di trasporto, il cambiamento climatico, le discariche e l’inquinamento. Quattro enormi murales ad alta risoluzione, realizzati utilizzando tecnologie fotografiche all’avanguardia, offrono esperienze di visione sorprendenti e consentono agli spettatori di esaminare nei più minuti dettagli la complessità delle incursioni umane sulla Terra. I murales sono arricchiti da filmati di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, che consentono ai visitatori di vivere un’esperienza immersiva, esplorando in dettaglio i singoli scenari rappresentativi delle teorie dell’Antropocene. I filmati evidenziano la sinergia dei medium espressivi che caratterizza la collaborazione di ampio respiro tra Burtynsky, Baichwal e de Pencier. Gli spettatori avranno accesso a questi filmati integrati mediante la app gratuita AVARA (Apple App Store e Google Play); tablet già configurati saranno disponibili gratuitamente anche all’interno del MAST.
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Coal Mine #1, North Rhine, Westphalia, Germany 2015 photo(s) Š Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
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Dandora Landfill #3, Plastics Recycling, Nairobi, Kenya 2016 photo(s) © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
La mostra include anche videoinstallazioni di Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier. Si tratta di vivide riflessioni sull’Antropocene che, grazie a questo mezzo espressivo, favoriscono la comprensione della portata e dell’impatto del fenomeno. Dal tunnel ferroviario più lungo della Svizzera allo storico rogo in Kenya delle zanne di avorio nel 2016, dalle ciclopiche macchine costruite in Germania alla devastazione senza precedenti della grande barriera corallina, le installazioni di Baichwal e de Pencier si avvalgono di tecniche di ripresa all’avanguardia per documentare l’evidenza e fornire un’esperienza diretta del dominio dell’uomo sul pianeta.
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Nel percorso espositivo si trovano inoltre tre installazioni di realtà aumentata che come avviene per i murales sono accessibili tramite AVARA, la App gratuita per smartphone e tablet (disponibile su Apple App Store e Google Play): composte da migliaia di immagini fisse e assemblate attraverso un processo chiamato fotogrammetria, ogni installazione di realtà aumentata porterà il visitatore a vivere un’esperienza immersiva grazie ad un’immagine 3D a grandezza quasi naturale. È parte integrante della mostra al MAST. il premiato docufilm “ANTHROPOCENE: The Human Epoch” (ANTHROPOCENE: l’Epoca Umana), codiretto dai tre artisti. Terzo capitolo di una trilogia che include Manufactured Landscapes (2009) e Watermark (2013), il film testimonia con un approccio esperienziale e non didattico un momento critico nella storia geologica del pianeta, proponendo una provocatoria e indimenticabile esperienza dell’impatto e della portata della nostra specie. La voce narrante è del premio oscar Alicia Vikander. Il film sarà distribuito in Italia da Fondazione Culturale Stensen e Valmyn.
Makoko #2, Lagos, Nigeria 2016 photo(s) © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
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Oil Bunkering #4, Niger Delta, Nigeria 2016 photo(s) Š Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
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Phosphor Tailings Pond #4, Near Lakeland,Florida, USA 2012 photo(s) © Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
La mostra si completa con un percorso didattico interattivo, corredato da attività dedicate sia all’infanzia sia all’adolescenza con - MAST Dialogues on Anthropocene - ricco programma di eventi culturali, letture, tavole rotonde, proiezioni. La mostra Anthropocene è organizzata dalla Art Gallery of Ontario e dal Canadian Photography Institute della National Gallery of Canada in partnership con la Fondazione MAST di Bologna. La mostra, esplorando gli effetti delle attività umane sul Pianeta, si inscrive nel progetto artistico della Fondazione MAST che dal 2013 conduce una riflessione approfondita sul rapporto tra l’uomo e il mondo del lavoro attraverso esposizioni di fotografia [tratte dalla collezione di Fondazione MAST o provenienti da musei, archivi e raccolte private], che raccontano il settore produttivo, le comunità dei mestieri e l’occupazione in genere.
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Saw Mills #1, Lagos, Nigeria 2016 photo(s) Š Edward Burtynsky, courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto.
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Edward Burtynsky è uno dei fotografi più conosciuti e apprezzati al mondo. I suoi straordinari scatti fotografici di paesaggi industriali sono conservati nelle collezioni di oltre sessanta musei tra cui la National Gallery of Canada, il Museum of Modern Art and il Guggenheim Museum di New York, il Reina Sofia di Madrid, la Tate Modern di Londra, e il Los Angeles County Museum of Art, in California. Tra i riconoscimenti conferiti a Burtynsky figurano il TED Prize nel 2005 che ha condiviso con Bono e Robert Fischell, il Governor General’s awards in Visual and Media Arts, l’Outreach award ai Rencontres d’Arles, il premio Roloff Beny Book, e il premio Rogers come miglior film canadese. Nel 2018 Burtynsky è stato nominato Master of Photography a Photo London 2018, e ha ricevuto la menzione di Peace Patron del Mosaic Institute. Gli sono state conferite otto lauree honoris causa.
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Jennifer Baichwal ha diretto e prodotto documentari per oltre 25 anni. I suoi film sono stati visti in tutto il mondo e hanno ottenuto un gran numero di riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui un International Emmy, tre premi Gemini, e ancora i premi per il miglior documentario culturale e il miglior documentario indipendente canadese al festival Hot Docs, per opere quali Let It Come Down: The Life of Paul Bowles (1998), The Holier It Gets (1999), The True Meaning of Picture (2002), Act of God (2009), e Payback (2012). Manufactured Landscapes ha ricevuto, tra gli altri, la menzione come miglior film canadese al TIFF e il Reel Current Award di Al Gore. Il film è stato proiettato in oltre 15 paesi del mondo, e il TIFF l’ha incluso tra le 150 opere essenziali della storia del cinema canadese nel 2016. Il documentario Watermark è stato presentato in anteprima al TIFF 2013, vincendo il premio della Toronto Film Critics Association, come miglior documentario canadese. Da allora è stato distribuito in undici paesi. Baichwal è membro del consiglio di amministrazione di Swim Drink Fish Canada, e del consiglio consultivo della School of Image Arts della Ryerson University. Dal 2016 fa parte del consiglio di amministrazione del Toronto International Film Festival ed è ambasciatrice appassionata della campagna Share Her Journey, progetto quinquennale che mira a promuovere e ad accrescere la partecipazione, le capacità e le opportunità a favore delle donne, sia dietro la macchina da presa che davanti all’obiettivo.
Nicholas de Pencier è un documentarista, produttore e direttore di fotografia. Tra i suoi lavori più noti figurano Let It Come Down: The Life of Paul Bowles (International Emmy), The Holier It Gets (miglior documentario canadese al festival Hot Docs), The True Meaning of Pictures (premio Gemini per miglior documentario artistico), Hockey Nomad (premio Gemini per miglior documentario sportivo), Manufactured Landscapes (miglior lungometraggio canadese al TIFF; vincitore del premio Genie come miglior documentario), e Act of God (film d’apertura del festival Hot Docs). È stato produttore e direttore della fotografia dei film Watermark e Black Code (presentato al TIFF 2016), quest’ultimo da lui scritto e diretto. Tra le installazioni di video art, realizzate con Jennifer Baichwal, figurano Watermark Cubed presentata al festival Nuit Blanche di Toronto nel 2014, Music Inspired by the Group of Seven del 2015 con la band rock Rheostatics, nella Walker Court dell’Art Gallery of Ontario, e l’installazione Ice Forms, parte integrante della mostra di Lawren Harris, esposta all’Art Gallery of Ontario nell’estate del 2016. De Pencier è membro del consiglio di amministrazione di Hot Docs e DOC Toronto.
107 Edward Burtynsky with Jim Panou on location north of Port Renfrew, Vancouver lsland, British Columbia Photograph: TJ Watt, courtesy of Anthropocene Films lnc. Š 2018.
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#INSTAWALKMILANO2019 Autore: Riccardo Audace Luogo: Porta Ticinese - Milano
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#INSTAWALKMILANO2019 Autore: Adriana Oberto Luogo: Porta Ticinese - Milano
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#INSTAWALKMILANO2019 Autore: Matteo Mammato Luogo: Basilica di San Lorenzo - Milano
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#INSTAWALKMILANO2019 Autore: Fabio Salvatore Giordano Luogo: Basilica di Sant’Ambrogio - Milano Giroinfoto Magazine nr. 42
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#INSTAWALKMILANO2019 Autore: Lorena Cannizzaro Luogo: Basilica di Sant’Ambrogio - Milano
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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 20 Maggio 2019
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