N. 44 - 2019 | GIUGNO, Gienneci Studios Editoriale. www.gienneci.it
N.44 - 2019 Giugno
www.giroinfoto.com
PRATI STABILI
MANTOVA - PARCO DEL MINCIO
PAVONE CANAVESE FERIE MEDIEVALI Band of Giroinfoto
FUERTEVENTURA ISOLA TRANQUILLA Di Maddalena Bitelli
OCCITANIA E BASTA SERGIO BERARDO Di Carlo Berenguez Photo cover by Giancarlo Nitti
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la redazione | Giroinfoto Magazine
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Novembre 2015,
da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’out-door, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle belelzze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Uno largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti
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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente
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ANNO V n. 44
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15 Giugno 2019 DIRETTORE RESPONSABILE ART DIRECTOR Giancarlo Nitti CAPO REDAZIONE Paolo Buccheri SEGRETERIA DI REDAZIONE E RELAZIONI Margherita Sciolti CAPI SERVIZIO Giancarlo Nitti REDATTORI E FOTOGRAFI Giancarlo Nitti Redazione Cinzia Marchi Reporter Maddalena Bitelli Reporter Carlo Berenguez Reporter Adriana Oberto Reporter Band Of Giroinfoto - Torino Adriana Oberto Barbara Lamboley Barbara Tonin Fabrizio Rossi Floriana Speranza Giancarlo Nitti Maddalena Bitelli
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comprovata autorizzazione del titolare dei diritti.
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Indice 10
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PRATI STABILI Mantova
Band of Giroinfoto
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AVELIGNESI Monte Bisbino A cura di Cinzia Marchi
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IL GIOIELLO ABBANDONATO Urbex Torino A cura di Urbex Team Old Italy
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FUERTEVENTURA Isola tranquilla A cura di Maddalena Bitelli
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OCCITANIA E BASTA Tradizione musicale A cura di Carlo Berenguez
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FERIE MEDIEVALI Pavone Canavese Band Of Giroinfoto
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FOTO EMOZIONI Questo mese con: Bruno Caccamo Enrico Raimondo
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Foto singole pubblicate
Copertura degli articoli sui continenti
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PRATI STABILI
PRATISTABILI Tra pianura e collina, tra terra e fiume, nel cuore del Parco del Mincio. Siamo nel territorio mantovano, forgiato dal fiume Mincio, ricco di pregi ambientali come i prati spontanei che rappresentano l'eccellenza delle origini gastronomiche e culturali.
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PRATI STABILI
PRATISTABILI PRATI STABILI ECCELLENZA AMBIENTALE
A cura di Giancarlo Nitti BAND OF GIROINFOTO Mese di Aprile 2019. In collaborazione con il Parco del Mincio e Latteria Agricola di Marmirolo di Grana padano dei prati stabili, ci siamo immersi nella magnifica area mantovana per approfondire il carattere unico della biodiversità di queste terre. L'evento organizzato da IG_mantova è stato dedicato alle eccellenze ambientali del territorio che rappresentano colture tipiche secolari di questa porzione mantovana: I PRATI STABILI Sono prati "spontanei" che non vengono quindi coltivati, arati o sottoposti a concimazioni artificiali, garantendo così una elevata qualità ambientale e alimentare. Il foraggio prodotto da questi prati, viene infatti destinato all'alimentazione dei bovini da latte per la produzione del rinomato Grana Padano DOP. Questo Habitat, inoltre è stato classificato di interesse comunitario con la denominazione Praterie magre da fieno a bassa altitudine Direttiva Habitat 92/43/CEE
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PRATI STABILI
"Prà", come vengono chiamati nel dialetto mantovano, sono delle colture tipiche della media pianura mantovana. La particolarità di questi campi è che non vengono arati o dissodati e non richiedono concimazioni chimiche o artificiali, sono presenti svariate specie erbacee e per questo, garantiscono un'elevata qualità ambientale. Sono gestiti in maniera spontanea, non subiscono alcun intervento e sono mantenuti esclusivamente attraverso lo sfalcio e la concimazione naturale. Inoltre, non vi è bisogno di procedere a semine artificiali, in quanto la propagazione delle specie è garantita dai meccanismi spontanei naturali. La presenza dei prati stabili nel territorio è legata alla sua particolare conformazione costituita da un'area terrazzata che circonda il Mincio che sbocca sulle colline moreniche, fino a Mantova, la zona è nota nella letteratura geologica come “terrazzo di Marmirolo”. Essi hanno una singolarità morfologica, all’interno della quale i prati stabili si sono formati per un processo naturale a partire dall’era postglaciale.
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Nel periodo compreso tra 10.000 e 12.000 anni fa, al termine dell’era glaciale, le basse temperature e la grande quantità d’acqua disponibile a causa della fusione dei ghiacciai, impediva la formazione di grandi distese arboree, favorendo l’insediamento delle praterie, adatte ai suoli poco sviluppati, poveri di materiali fini e sostanze organiche. Si sono così selezionate naturalmente le specie erbacee particolarmente adatte a prosperare in condizioni estreme. Con l'aumento delle temperature, si è ingrossata la superficie boschiva, salvo che nelle aree come il “terrazzo di Marmirolo”, dove la presenza di risorgive ha favorito il mantenimento delle condizioni idonee per i prati stabili. Con l’avvento dell’agricoltura intensiva, la grande disponibilità di acqua derivata dal lago di Garda ha consentito lo sviluppo dei prati stabili anche al di fuori della loro “sede naturale”. Il prato stabile, oggi, costituisce un elemento fondamentale nell’economia agricola legata alla produzione di latte ed ha quindi seguito le dinamiche economiche ad esso legate.
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PRATI STABILI
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@ I G _ m a n t o v a La pubblicazione sui canali social è diventato un potente strumento per la promozione del territorio permettendo la divulgazione a milioni di persone la conoscenza ambientale e i contenuti culturali delle locations.
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PRATI STABILI
I prati stabili, in quest'area sono considerati i "custodi" della biodiversitĂ e non solo hanno un valore produttivo per il foraggio per le vacche da latte, ma altrettanto importanti come tipologia di habitat tra i piĂš prestigiosi d'Italia e d'Europa. Protetti dalla direttiva comunitaria "Habitat", le grandi distese verdi ospitano e nutrono numerose specie di avifauna come le cicogne, gli aironi guardabuoi e garzette.
PARCO DELLE BERTONE Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 44
LE CICOGNE Sono proprio loro le protagoniste del complesso del parco dele Bertone, centro visite del Parco del Mincio, inserito e circondato dai prati stabili, dove il biologo Cesare Martignoni ha presentato e raccontato le "signore dei cieli" che hanno costruito i loro nidi sulle cime degli alberi secolari del parco.
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Il Parco delle Bertone, nel Comune di Goito (MN), grazie a un progetto di reintroduzione promosso dal Parco del Mincio, diventa la casa delle Signore dei Cieli, cicogne bianche che hanno scelto di rimanere in quest'area anziché migrare nei paesi caldi. Il complesso funziona oggi come centro di reintroduzione della cicogna, monitorato e studiato dal biologo Cesare Martignoni, responsabile scientifico incaricato del progetto, che ormai da moltissimi anni, indaga sulle abitudini e rituali di questi splendidi animali. È così, che nell'atmosfera di una cornice maestosa formata da alberi secolari ottocentesci e di vegetazione autoctona mescolata a specie esotiche, il biologo ci accompagna in un percorso alla scoperta dei nidi delle Cicogne bianche sulle cime degli alberi più alti e quelle ospitate nell'annesso Centro di Reintroduzione della specie. Ma le Cicogne non sono solamente la forza di questo luogo che trabocca di storia. Infatti, durante la visita, viene raccontato ciò che era e cosa è oggi il Parco delle Bertone. Era la residenza estiva della famiglia d'Arco, sorta in un lembo di foresta padana estesa su un'area di 7 ettari. L'origine si perde nella notte dei tempi, ma fu a partire dall'800 che, grazie agli interventi del Conte Luigi d'Arco, fu trasformato in un gioiello di natura. Denominato così "giardino romantico", circonda la villa padronale del 1870, con le scuderie e i fabbricati annessi, riproducendo un disegno di giardino cittadino di Palazzo d'Arco, svelandone un unico ideatore. Oggi è gestito dal Parco del Mincio che, dopo numerosi interventi di riqualificazione e valorizzazione, ha trasformato le Bertone in un affascinante Centro Visite aperto al pubblico.
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La radura davanti alla dimora, i vialetti che si addentrano nel bosco dove la vegetazione ha riconquistato lo spazio, i maestosi esemplari di bagolari, noce nero e ginkgo biloba, creano suggestivi scorci in uno scenario unico, da scoprire con una piacevole passeggiata. All'interno del parco, dopo una rilassante passeggiata immersi nella natura, il relax continua, godendosi gustose merende a Km zero nel Gingko Garden Bio Bar, gestito dall’associazione Amici di Palazzo Te, antistante alla villa padronale dei conti d’Arco in compagnia del via vai delle cicogne sui tetti e sugli alberi.
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A PROPOSITO DI
Grana Padano DOP dei prati stabili
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La tutela del prato stabile è rafforzata dalla costante collaborazione degli agricoltori, da cui ne traggono beneficio. Sono stati infatti istituiti dei consorzi volontari che si “fregiano” della tutela del prato stabile e che valorizzino tutti i prodotti ad esso collegati, primo fra tutti, come ormai noto il consorzio di Grana Padano.
Il Grana Padano è un prodotto caseario che si distingue dagli altri anche grazie a territori di produzione come quello dei Prati Stabili, che rappresentano la base per un latte ricchissimo di componenti organiche volatili che conferiscono al formaggio tutti i suoi sapori e profumi unici. Il Consorzio ha sempre sposato la logica di tutela dell’ambiente rientrando fra quei valori che hanno permesso al Grana Padano di diventare il prodotto DOP più consumato al mondo, con una considerevole espansione fra le preferenze delle famiglie con 5 milioni di forme prodotte all'anno. LA STORIA Le origini risalgono a più di un millennio fa, in un'epoca dove la civiltà è ancora del tutto condizionata dal clima e dall'ambiente che detta i ritmi naturali e le leggi biologiche. Significava quindi sottostare alle condizioni stagionali per quanto riguardava l'agricoltura e l'allevamento, con tecniche di conservazione ancora agli albori e limitate come l'essiccatura al sole o la salatura. Il latte, per quanto disponibile doveva essere consumato entro il giorno di mungitura e i formaggi non durano molto di più. E' il 1135 e i monaci cistercensi dell'abbazia di Chiaravalle trovano nella bonifica delle terre della pianura del Po una grande opportunità per favorire l'espandersi dell'agricoltura e degli allevamenti aumentandoe così la produzione ma rimanendo con il dilemma di non sprecare quello in eccesso conservandolo a lungo. Probabilmente a seguito di un po' di esperimenti, matura l'idea di cuocere a lungo il latte, aggiungervi il caglio e in seguito sottoporlo a salatura. Nasce così un formaggio a pasta dura, che sembra acquistare sempre più sapore via via che passa il tempo e la cui stagionatura permette di conservare inalterati i principi nutritivi della sua preziosa materia prima, il latte. I monasteri diventano così i primi veri e propri caseifici della storia, cominciando a diffondersi alcune figure professionali nuove, i casari, esperti appunto nell'arte della produzione del formaggio. In virtù della sua lunga stagionatura i monaci chiamano questo nuovo formaggio "caseus vetus" ovvero "formaggio vecchio" Giroinfoto Magazine nr. 44
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Siamo alla Latteria Agricola di Marmirolo che produce Grana Padano dei prati stabili. Nel magazzino di stagionatura delle forme assistiamo a una prova di qualitĂ e marchiatura eseguita da Roberto Fochi, certificatore del Consorzio Grana Padano.
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Nella società rurale di povera gente che non aveva dimestichezza con il latino, preferì quindi associare il nome "grana" in virtù della sua pasta compatta punteggiata di granelli bianchi, ovvero piccoli cristalli di calcio residui del latte trasformato. A seconda delle aree geografiche in cui veniva prodotto gli si accosta il termine che indica la provenienza. Tra i più citati si trovano il lodesano, considerato da molti il più antico, il milanese, il piacentino e il mantovano. La fama del "grana" prodotto nella zona padana si consolida nel tempo diventando protagonista dei banchetti rinascimentali di principi e duchi. Tra le testimonianze documentate, se ne trova riferimento in una missiva del 1504 di Isabella d'Este, consorte di Francesco II Gonzaga e marchesa di Mantova, che invia il rinomato formaggio in regalo ai suoi familiari, signori del ducato di Ferrara. Il "Grana Padano" diventa così espressione di un'intera cultura sociale ed economica, trasversale alle sue classi, apprezzato sia dai ricchi che dai poveri. Da allora, il metodo produttivo del "grana" si tramanda nei secoli, fedele a un processo che non muta nel tempo e che, ancora oggi, assicura a questo formaggio quelle caratteristiche organolettiche e quell’aspetto che lo hanno reso celebre in tutto il mondo.
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AVELIGNESI DEL MONTE BISBINO
Avelignesi Cavalli del Monte Bisbino A cura di Cinzia Marchi
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Monte Bisbino Il monte Bisbino è una località montana che svetta fino a 1.325 m s.l.m. appartenente all'area delle Prealpi Luganesi e alla sottosezione delle Prealpi Comasche, posta al confine tra la provincia di Como e il canton Ticino in Svizzera.
Ma in questo articolo non parleremo della location, ma di fantastici esemplari di cavalli Avelignesi che ne sono ospitati i quali hanno una lunga e affascinante storia da raccontare.
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I Cavalli del Monte Bisbino Quando nel 2002 muore il proprietario, un anziano agricoltore, il branco era suddiviso in due gruppi di cavalli che lui lasciava liberi a pascolare in montagna, accudendoli solamente durante il periodo invernale con un po di fieno che portava in quota. Essendo animali abituati a vivere in piena libertà , capaci di cavarsela da soli , alla morte del proprietario hanno continuato la loro vita senza difficoltà, procacciandosi il cibo da soli e comportandosi come animali selvatici. Nell'inverno del 2008-2009 ci furono abbondanti nevicate con temperature particolarmente rigide, fu
così che un gruppo di cavalli scese a Sagno in Svizzera e l'altro invece scese a Rovenna, sopra Cernobbio, in Italia. I cavalli ovviamente erano affamati e scesero solamente per procacciarsi il cibo visto che la montagna era ricoperta da più di un metro di neve.
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A Rovenna, il gruppo guidato da una mula, entrò persino nel cimitero e mangiò tutti i fiori sulle tombe , mentre a Sagno il gruppo capeggiato da una cavalla chiamata “ La Bionda “ attraversò il paese di notte entrando nei giardini delle case. Le autorità, dopo questi eventi, ritenendoli pericolosi, avrebbero voluto catturarli , dividerli e mandarli anche al macello. Fortunatamente molte persone ed associazioni sia Svizzere che Italiane si sono mobilitate per salvare e difendere la liberta' di questi cavalli. Attraverso varie peripezie, incontri con le autorità del posto, con la Provincia ed il prefetto di Como naque l'Associazione dei Cavalli del Bisbino Onlus. Essa diventò responsabile e titolare a tutti gli effetti dei cavalli che popolavano quell'area. Ma purtroppo, a causa dell'opposizione dei contadini, che pur di allontanarli ricorrevano anche con tentativi brutali per eliminarli, la loro permanenza sul Monte Bisbino, non fu più possibile.
Finalmente, nel 2010 trovarono la soluzione , i cavalli vennero spostati con una lunga transumanza sui pascoli del Monte Generoso, dove tutt'ora vivono completamente in libertà nel periodo estivo ( da maggio a novembre), mentre in inverno, vengono foraggiati ed accuditi dai volontari in un ampio recinto messo a disposizione dal Comune di Lanzo d'Intelvi, ora Alta Valle e comune dove io vivo. Questo compromesso è stato raggiunto proprio per evitare il ripetersi della precedente situazione a causa di inverni rigidi. Il 4 maggio 2019 ho assistito alla transumanza, quale consisteva all'accompagnamento dei cavalli da Lanzo fino a Orimento e qui lasciati liberi.
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Al rilascio, i cavalli rimangono tranquilli e iniziano a mangiare, poi realizzando di essere liberi e di ritornare ai loro pascoli, esplodono in un rituale di corse e salti, festeggiando la ritrovata libertà. Iniziano a correre ed impennarsi, tutti insieme. 25 magnifici avelignesi che mostrano una vitlità fuori dal comune, tanto da sentire vibrare il terreno. Ammirarli in questa loro manifestazione è emozionante, soprattutto se si nota il loro sguardo profondo e luminoso, percependo a pieno il loro senso di libertà e di appartenenza al branco.
e lasciando che siano loro a studiarci fidandosi di noi accettando l'approccio. La cosa stupefacente è la tranquillità che si percepisce immergendosi nel loro branco, realizzando la loro grandezza e possenza, proprio come lo sono i più comuni cavalli da tiro , eppure delicati e riguardosi quando ti si avvicinano.
Uniti e ordinati, correndo, imboccano il sentiero che li porterà in quota nei loro amati pascoli allontanandosi sempre di più per poi sparire nella fitta vegetazione Avere il contatto con questi cavalli è una magnifica e toccante esperienza, rispettando le dovute distanze,
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AVELIGNESI DEL MONTE BISBINO
L'Avelignese , Haflinger o pony Avelignese ,deve il proprio nome al Paese di Avelengo o Hafling in tedesco, situato in provincia di Bolzano vicino a Merano. Razza antica ma riconosciuta nel 1874 con le caratteristiche attuali ottenute dall'accoppiamento di una cavalla indigena e lo stallone El Bedavi ( si ipotizza fosse di origine berbera). All'inizio veniva usato come cavallo da soma e per lavori agricoli, poi negli anni sessanta e settanta venne allevato anche per la produzione di carne equina ma fu anche introdotto nelle scuole di equitazione, quindi impiegato in molte discipline sportive e anche come cavallo da sella. Il colore del mantello è un sauro dorato con criniera e coda dai crini sottili e abbondanti di colore chiaro, la sua mole è medio piccola, con un'altezza al garrese dei
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maschi di circa 137cm., mentre le femmine di 134cm. L'Associazione dei Cavalli del Bisbino Onlus “ ha sviluppato un incredibile rapporto con questo branco, rispettando la loro indipendenza e individualità e proteggendo tutto questo senza essere invasivi, lasciando immutato il loro stile di vita e quello che è più importante mantenendo inalterata l'essenza di questi cavalli. La loro filosofia la si trova scritta all'entrata del recinto e quando la si legge ci si rende conto di come queste persone si dedichino completamente alla salvaguardia di questo branco.
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Riporto questo pensiero scritto da loro e che ho personalmente messo in pratica entrando in contatto con il branco: “ Osservando i Cavalli del Bisbino abbandonate ogni preconcetto. Solo così potrete tornare a casa arricchiti da esperienze cognitive e potrete mettere in discussione voi stessi e il mondo che vi circonda. In questo modo, forse, potrete vedere realizzato il potenziale di ognuno, umano e non umano, senza filtri creati di preconcetti e aspettative”. Essendo un'associazione Onlus riesce a sostenere le spese grazie all'aiuto dei soci e di chiunque voglia mandare un contributo. In inverno il recinto è tenuto completamente pulito dai volontari dell'Associazione che danno la loro
disponibilità e amorevolezza a questi animali. L'associazione accoglie chiunque sia sensibile alla moralità del progetto, diventando socio per sostenere questa specie, anche nelle spese dovute al mantenimento delle aree di accoglienza invernali. E' possibile durante la stagione invernale, previo appuntamento, visitare il branco ed entrare a contatto con il loro mondo fatto di semplicità e rispetto, un'esperienza che consiglio vivamente. http://cavallidelbisbino.com
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Un evento musicale unico con una serie di piccoli concerti ricercati e sorprendenti come lo scenario magico che li ospiterà . LÏ sul pontile, dove l’acqua incontra il legno, le note prenderanno vita nella perfetta colonna sonora del sorgere della luna.
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URBEX - IL GIOIELLO ABBANDONATO
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Sparse nel territorio torinese e in tutto il Piemonte, esistono decine di gemme decadenti, lasciate al più completo abbandono, ma custodi di grandi storie e soprattutto meraviglie architettoniche. Uno dei più ammalianti e significativi è situato a due passi dal centro di Torino, una dimora storica nobiliare, con più di 400 anni. Questa villa venne costruita durante il periodo della grande peste che colpì la città (8.000 morti sui 25.000 totali di popolazione). Non ci sono informazioni molto precise, si sa che nel 1630 Ludovico San Martino d'Agliè (letterario e politico), acquistò un terreno in quella zona di Torino, e vi fece costruire la residenza. Ludovico morì proprio in questa dimora nel 1646, che passò di proprietà al nipote Filippo
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san Martino d'Agliè (anche lui letterato, politico e musicista), dove visse fino al giorno della sua morte, 1667 (fu sepolto al monte dei Cappuccini). Da allora fino ai giorni nostri non ci sono molte notizie a riguardo è passata di proprietà in proprietà nel corso degli anni. Si presume che siano state apportate molte modifiche alla pianta originale, per via dei vari stili architettonici presenti nella villa. Non ci sono informazioni sulla proprietà attuale, c’è chi pensa sia proprietà del comune, altri sostengono sia ancora proprietà privata, una cosa è certa: questo gioiello nascosto nel precollina di Torino è annoverato nei registri dei beni culturali di Torino.
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URBEX - IL GIOIELLO ABBANDONATO
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Riguardo agli stili si può ammirare tra gli altri, (come alcuni documenti dimostrano), la mano di Pietro Fenoglio, architetto del liberty Piemontese di inizio secolo. Sono proprio di quest'ultimo le modifiche più recenti apportate al palazzo intorno al 1905. Sue, sono anche le opere di Villa Scott in corso Lanza (Location del famoso film di Dario Argento Profondo Rosso), e Casa Le Fleur (Palazzo dei Draghi), in Corso Francia a Torino, conosciuta come la più bella dimora liberty italiana, costruita come sua dimora personale, ma mai realmente utilizzata. Dario Argento, da sempre amante di Torino e della sua magia, scelse proprio questa villa disabitata per girare le scene finali del film La Terza Madre, dove si può vedere Asia Argento ( 1:18 del film) che entra in questa villa spettrale, splendida e suggestiva senza nessun ritocco scenografico.
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Scoprire l’ubicazione della villa è praticamente impossibile, a meno che non si conosca la posizione esatta. E’ immersa in una fitta boscaglia, dopo un, non poco, tortuoso passaggio. Già nel bel mezzo del bosco si ha la sensazione di essere vicini alla meta, in quanto si attraversano ponti in pietra, fontane e statue appartenenti al vecchio parco nobiliare, piccoli assaggi che ti immergono in un’atmosfera da film thriller. Dopodiché si arriva di fronte al palazzo e non si può fare a meno di essere sopraffatti dallo stupore.
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Quello che salta subito all'occhio è la maestosa entrata fatta di colonne e archi, insieme anche ad un camino con lo stemma nobiliare. Dall'entrata si alza un bellissimo scalone con soffitti e pareti decorati, il quale introduce nella stanza centrale (la più bella del palazzo). In questa stanza sono ancora presenti le statue ornamentali della porta d'entrata, i decori del camino e uno specchio enorme sul muro opposto. Tutta la stanza è finemente affrescata e si sviluppa in altezza; sul soffitto è presente anche un bellissimo lucernario che rende l'atmosfera ancora più magica. Al terzo e ultimo piano vi erano probabilmente le stanze da letto della servitù, qui l'abbandono è più marcato, muffa sui muri, odore acre e travi abbastanza pericolanti. Non è di certo presente lo sfarzo delle sale sottostanti. Una zona molto suggestiva si può trovare scendendo nei sotterranei.
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Qua l'atmosfera diventa davvero molto inquietante. La zona è molto ampia e prende tutta la pianta della villa. Tutto il pavimento è ricoperto da fango, e dal soffitto cadono gocce d'acqua dalle infiltrazioni. In queste stanze sono presenti le vecchie cucine, i ripostigli e le cantine ( dove si possono ancora trovare delle vecchie bottiglie di fine 800). Nella stanza più buia di questo sotterraneo, visibile solo con delle torce, ci si imbatte nell'entrata di una piccola grotta (che Argento usò come "finte" catacombe, allungandole con effetti di ripresa di una decina di metri). Come tutte le ville nobiliari dell'epoca anche questa possiede una cappella privata. Quest'ultima è l'edificio più danneggiato. Sono presenti grosse crepe sui muri d'entrata e sulla cupola (probabilmente non resisterà ancora a lungo).
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Per quanto ci riguarda, a livello architettonico e culturale, è una delle più belle ville abbandonate d'Italia se non d'Europa. Una struttura del genere meriterebbe una fine migliore di quella odierna, all'interno del parco della villa sono presenti due dependance, probabilmente predisposte ai custodi, ma anch'esse sono disabitate. Ci siamo stati più volte e nel tempo abbiamo notato che non viene più tagliata l'erba che circonda la casa. Per avvicinarsi infatti bisogna farsi strada attraverso una selva di ortiche alte quasi come una persona. Purtroppo più passa il tempo e più, questo piccolo gioiello torinese, sarà meno accessibile e visitabile.
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È LEGALE L’URBEX? CHIARIAMOLO IN 10 PUNTI
Tratto da www.ascosilasciti.com
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Lo Stato in cui si trova l’immobile. Inteso come la nazione in cui si trova. Ognuna con le sue lingue, le sue culture e soprattutto… le sue regole! Esiste un’enorme differenza di conseguenze legali se la stessa azione viene svolta in Lituania o in Italia. Aldilà delle leggi che possono tutelare e condannare, ricordiamo bene che in alcuni Stati, prima di uscire vincitori da una causa legale e le pubbliche scuse dell’accusa, si rischia di passare da un bel “servizio educativo” della polizia locale. Non sempre negli Stati più monarchici avrete la detenzione assicurata e in quelli più democratici, la certezza di farla franca. Non avendo tempo nè risorse sufficienti per affrontare la questione di ogni singola Nazione, ci concentreremo a sviscerare il, già complesso, codice del nostro Bel Paese.
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Accessi aperti. Mancanza di recinzione, porte spalancate o inesistenti, grosse aperture nei muri perimetrali, insomma tutti i varchi aperti sono “amici dell’urbex”. Tutto cambia se per accedere a un luogo abbandonato, proverete ad aprire porte chiuse o scavalcare muri (la questione cambierebbe anche per ogni metro di altezza dei perimetri…), il che costituisce violazione di domicilio privato. Crearsi entrate con forza o manomettendo recinzioni, è sufficiente invece perchè l’accusa diventi una frizzantissima “effrazione con scasso”. Giroinfoto Magazine nr. 44
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Lo stato in cui versa l’immobile, ma questa volta intesa come condizione. Finestre rotte, muri crepati, tetti squarciati, muffa e vegetazione incontrollata, porte spalancate, sono tutti segni di chiaro abbandono che potrebbero tutelare l’esploratore. L’attenuante di “immobile in chiaro stato di abbandono” non è da sottovalutare, per quanto non vi sia nulla di codificato. In un’alta percentuale dei casi può però assolvere l’esploratore da accuse di violazione di domicilio.
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Cartelli e avvertimenti. Controllare l’eventuale presenza di cartelli di monito non sarebbe troppo sbagliato (proprietà privata o divieto di accesso). La loro assenza o illeggibilità (magari pioggia e vento hanno fatto arrugginire il ferro dell’affisso o marcire il legno del manifesto) potrebbero comportare buoni sgravi di responsabilità. Insomma, un’ulteriore attenuante, che male non fa’…
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Non toccare nulla. Per chi non lo conoscesse, il comandamento dell’Urbex “prendi solo foto, lascia solo impronte” è un promemoria anche di tutela legale. I souvenir, fosse anche un sasso del muro di un manicomio abbandonato, non sono contemplati come legali.
Strumenti che portate con voi. Conosciamo tutti, o almeno immaginiamo, il rischio di entrare in un edificio abbandonato, potenzialmente abitato da malviventi. Purtroppo no…non basta questo pretesto per portarsi un machete, nemmeno con l’altruistico fine di accettare l’incolto prato della magione. Ma attenzione, anche con un bastone da trekking, o altri strumenti apparentemente innocui, potrebbero scattare l’aggravante di “arma bianca”. Nessuna arma da difesa, all’infuori del cavalletto o di un ramo trovato sul posto, si può….accettare!
Avvisi e permessi. Torniamo al tema clou. Anche a costo di passare come noiosi genitori apprensivi, sconsigliamo sempre di esplorare questi posti. Se proprio doveste sentirne l’irrefrenabile impulso, avvisate le autorità competenti, nel caso di edifici comunali/statali, o i proprietari/ guardiani per ottenere il permesso ad entrare. Anche a costo di creare allarmismi. Oppure rivolgetevi ad alcune associazioni che operano tramite quest’ultimi. Diffidate dalle organizzazioni che si disinteressano della questione legale e vi fanno clandestinamente introdurre in pericolosi edifici abbandonati.
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Anzi, sarebbe meglio prendere solo foto (nel senso di scattarle, ovviamente, non di rubare gli album di famiglia sul comò impolverato) e non lasciare alcuna impronta. Come mai? Udite-udite, per creare il giusto setting alle proprie foto, basta solo spostare gli oggetti e gli arredi, ed essere colti sul fatto, per una bella “accusa di tentato furto”.
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Non scappare e collaborare sempre con le autorità. Se avete seguito i consigli sopra citati, potete sentirvi tranquilli. Motivo per cui, mostratevi per quello che siete e avete fatto. E’ sempre buona norma collaborare enunciando le proprie intenzioni. Così facendo sarete fuori dai guai nel 90% dei casi.
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Rispettare tutti gli 8 punti. La somma delle probabilità di non passare guai seri, che viene fuori rispettando gli 8 punti, vi assolve al 99,9%, parlando dal punto di vista penale. Più complessa diviene la questione civile, che dipende maggiormente dalla volontà del proprietario di volervi eventualmente punire, denunciandovi.
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Incertezza. L’incertezza, purtroppo, rimane l’unica certezza. Tranquilli al 100% non lo sarete mai. Unico modo per sentirvi realmente tutelati è di ascoltare il consiglio enunciato al punto 7. Odiate da molti, poiché danno in pasto alcuni luoghi abbandonati al grande pubblico, queste Associazioni (solo quelle che operano tramite mezzi legali) sono in realtà le uniche a tutelare i luoghi abbandonati in tre modi: si rivolgono ai proprietari ottenendo i permessi di visita; danno visibilità ad alcuni posti altrimenti destinati a marcire nell’indifferenza; scelgono come meta per i loro viaggi solitamente luoghi già devastati dal tempo e dai vandali, per non esporre al turismo di massa gli edifici ancora intatti, accelerandone il declino. Intanto, l’unica certezza è che, come scriveva il romantico François-René de Chateaubriand, tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine. Giroinfoto Magazine nr. 44
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A CURA DI MADDALENA BITELLI
Sono andata a Fuerteventura a inizio gennaio nel 2016, con la mia famiglia. Premetto che avevamo già visitato le isole di Tenerife e Lanzarote, quindi sapevo cosa aspettarmi; ma ogni isola è diversa e fin dal primo istante sono rimasta ammaliata dai meravigliosi paesaggi che si susseguivano nel viaggio dall’aeroporto al residence, nel comune di La Oliva, a Nord dell’isola. Giroinfoto Magazine nr. 44
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Maddalena Bitelli Photography Giroinfoto Magazine nr. 44
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Fuerteventura fa parte delle Isole Canarie in Spagna e si trova nell’Oceano Atlantico a 100 km della costa settentrionale africana. Seconda tra le Canarie per grandezza, dopo Tenerife, è nota per il clima temperato, anche in inverno e per i suoi splendidi paesaggi: dalle dune del deserto di Corralejo al paesaggio montuoso della Montagna di Tindaya, dalle spiagge di sabbia bianca alle scogliere. È apprezzata dai turisti per i numerosi sport acquatici, come il windsurf, il surf e lo sci d’acqua.
Parque Natural de Corralejo
Una volta disfatte le valigie, verso il tramonto, abbiamo preso la macchina e ci siamo recati a Corralejo. Immaginatevi una distesa di sabbia di circa 10 km, dune bianche a due passi dall’Oceano, un deserto in riva al mare insomma, al tramonto. Il Parque Natural de Corralejo è una delle principali mete dell’isola. Avventurarsi a piedi nudi sulle dune di sabbia fresca e umida è un’esperienza bellissima; il mio consiglio è di andarci al tramonto perché, oltre a regalare una vista mozzafiato, gli unici luoghi per ripararsi dal sole e dal vento sono delle piccole fortezze di pietra costruite in cima alle colline sabbiose. Ma il paesaggio è incredibile, caratterizzato da migliaia di sfumature di colori quali il bianco della sabbia, il giallo, l’ocra e il rosso.
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El Cotillo
A pochi chilometri da Corralejo, si trova El Cotillo, un antico villaggio di pescatori che ha conservato la sua atmosfera marinara. È frequentato soprattutto da amanti del kitesurf in inverno, in quanto le condizioni ambientali (vento e alte onde) sono ottimali per questa disciplina. Anche in questa zona si trovano spiagge di sabbia bianca, ma anche piccole baie di acqua cristallina
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circondate da scogli e ricoperte di ciottoli, raggiungibili percorrendo sentieri sterrati che vanno dalla strada al mare. Avendo mantenuto il suo aspetto “tradizionale”, il paesaggio intorno a El Cotillo appare più selvaggio.
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Montaña Sagrada de Tindaya
Poco distante da La Oliva vi è il monte più famoso di Fuerteventura, Tindaya, che spicca nel paesaggio arido e pianeggiante. Conosciuto anche come “Montagna Sacra” e alto solamente 400 metri, era considerato sacro dagli abitanti pre-ispanici dell’isola, che gli attribuivano poteri magici. Sono state infatti trovate, ai piedi della montagna verso Ovest, 300 incisioni rupestri a forma di piede di origine aborigena (ritrovate alle Canarie solamente a Lanzarote e Fuerteventura), di cui non si conosce l’esatto significato. Tuttavia, sottolineano l’importanza religiosa delle montagne per i popoli aborigeni, che le utilizzavano probabilmente come osservatori naturali. Nei pressi del monte Tindaya si trova il Malpais de la Arena, risultato dell’ultima eruzione avvenuta sull’Isola circa 10.000 anni fa. Per godere della vista di tutta la vallata consiglio di recarsi al mirador di Vallebron. Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 44
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Playa de Sotavento
Un altro luogo che mi rimarrà impresso del viaggio a Fuerteventura è la Playa de Sotavento. Si trova nella parte Sud dell’isola, nei pressi di Costa Calma ed è un’immensa spiaggia di sabbia bianca circondata da un mare turchese e cristallino. La spiaggia è una delle più famose dell’isola e, come dice il suo nome, è sempre battuta dal vento; è infatti meta privilegiata per chi pratica windsurf. Anche qua siamo arrivati al tramonto, dopo un temporale. L’arcobaleno tra terra e mare, la sabbia, il mare e i windsurf di mille colori creavano un’atmosfera magica.
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Isla de Lobos
Infine, abbiamo visitato l’Isla de Lobos (alcuni sostengono che prenda il nome dai leoni marini, lobos marinos, che ci vivevano; secondo altri, invece, i lobos sono montagnole rocciose che viste da lontano possono sembrare foche sdraiate sulla sabbia), distante 2 km da Fuerteventura e 8 km da Lanzarote. Dal 1982 è stata proclamata parco naturale, è disabitata e le uniche costruzioni presenti, molto semplici e prive di elettricità, appartengono agli abitanti di Fuerteventura che le costruirono prima di tale data. È un’isola vulcanica, la cui superficie è di circa 6 km2 e il suo paesaggio è arido e roccioso; in una giornata è possibile fare il giro di tutta l’isola e salire sul vulcano Lobos da cui godere di una vista privilegiata su Fuerteventura e Lanzarote. Nel parco naturale di Lobos sono protette circa 130 specie di piante ed animali, pertanto a febbraio 2019, il governo locale ha deciso di limitare gli accessi giornalieri e il tempo di permanenza sull’isola, per cui è necessario essere in possesso di un permesso.
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Consiglio un viaggio a Fuerteventura, denominata l’Isola Tranquilla delle Canarie, a chi ama la pace e la calma, a chi ama la natura ed è in cerca di meravigliosi panorami, a chi ama il mare incondizionatamente, non importa che sia estate o inverno. Consiglio di affittare un’auto, per poter raggiungere tutti i luoghi più belli. Per quanto riguarda il cibo, non può mancare una paella in riva all’oceano, o fatta con pesce appena pescato nell’unico ristorante sull’Isla de Lobos.
Maddalena Bitelli
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WORKING GROUP 2019
BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project
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ORINO ALL AMERICAN
REPORT
Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 44
STORIES
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COME FUNZIONA Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.
Impara Condividi Divertiti Pubblica
CHI PUÒ PARTECIPARE
Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.
PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.
SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto, si trova a Torino. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.
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E BASTA Il valore di una tradizione poplare e musicale INTERVISTA A Sergio Berardo, leader dei Lou Dalfin.
A cura di Carlo Berenguez
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OCCITANIA - E BASTA
Sergio Berardo Sergio Berardo fa parte di quella schiera di artisti che hanno avuto il pregio, la qualità, la sensibilità e soprattutto la forza e la tenacia, di sviluppare prima e sdoganare poi, quell’enorme patrimonio folclorico e popolare, arcaico, della propria terra e della propria tradizione. Fa parte di quella schiera di musicisti che sono rimasti fedeli ai moduli espressivi della loro tradizione, contribuendo alla loro evoluzione nel corso degli anni, arricchendoli di elementi di attualità, senza mai alterarne l’essenza intima e l’intrinseca autenticità. Quei musicisti, figli ed espressione della loro terra, in grado di creare una scuola, come Luiz Gonzaga, tanto per citarne uno, figlio del Pernambuco, innamorato della Sanfona (la fisarmonica) e che divenne padre assoluto del Baião, rimanendo sempre fedele alla musica della sua terra e contribuendo alla sua affermazione anche fuori dai confini del nord est brasiliano, fino a diventare un classico della musica popolare brasiliana, riproposto poi anche da altri musicisti nei decenni successivi. Potremmo dire che Sergio Berardo sta all’Occitania come Luiz Gonzaga sta al Pernambuco, poiché oggi non sarebbe pensabile parlare della musica popolare
occitana, senza parlare di lui, del suo lavoro e della sua scuola, capace di creare un punto di non ritorno per le generazioni future e per gli amanti di questo genere musicale. Un contributo che non si limita ad una produzione musicale originalissima e di assoluto valore, ma un contributo anche sociale, poiché la sua musica, rinnovata nella forma ma non nell’essenza è arrivata a parlare al cuore della gente, contribuendo ad innestare nel tessuto delle vallate occitane una nuova linfa per il rafforzamento della coscienza popolare, per la vivacità della tradizione, affinché questa non sia relegata ad una semplice e formale superstizione, ma che sia effettivamente l’essenza di quel patrimonio collettivo necessario per formare la coscienza di un popolo propriamente detto. D’altra parte, anche etimologicamente, il termine ‘tradizione’ implica l’idea di ‘consegna’ e ‘trasmissione’: quando una tradizione smette di consegnare i propri frutti ai posteri e di trasmettere la propria essenza, può definirsi morta, o ancor peggio trasformarsi in superstizione, capace di creare grotteschi simulacri, infelice destino di molte tradizioni nel mondo moderno, negli ambiti più svariati.
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Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 44
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Decenni fa, erano pressoché scomparsi i giovani delle vallate occitane che avevano il desiderio di imparare a suonare la Viulo (la ghironda) o l’organetto diatonico (una fisarmonica più piccola rispetto al più diffuso accordeon), la cornamusa, il violino ed ogni genere di pifferi e flauti. Scomparsi perché l’affievolimento di una tradizione comporta necessariamente una scomparsa dei suoi simboli, dei supporti con la quale si esprime, compresi gli strumenti musicali.
Oggi, grazie alla scuola di Sergio, centinaia di ragazzi e ragazze hanno ripreso in mano questi strumenti, si sono creati gruppi nelle varie vallate e nelle città; i primi suoi allievi sono nel frattempo cresciuti e a loro volta insegnano, aggregano, creando quel fermento necessario al mantenimento di questa realtà, mentre i suoni arcaici dei loro strumenti hanno ripreso a raccontare, ‘consegnare’ e ‘trasmettere’. Sergio ha compreso benissimo che per consegnare e trasmettere, occorre attualizzare, parlare cioè un linguaggio comprensibile e diretto. La scommessa è vinta: Rigoudon, Curenta e Bourée in cui alle vibrazioni nervose della ghironda si affiancano chitarre elettriche, fiati, basso e batteria. Eppure, l’impianto delle coreutiche tradizionali sul rock, sul funky, sul reggae, sul rap, e più recentemente anche sul techno-dub, rimane integro e riconoscibilissimo, senza mai esserne intaccato, anzi, la presenza di questi elementi più attuali, gli conferiscono un rinnovato vigore, effervescente, potente e contagioso: il rinnovamento è compiuto. E il popolo, danza. E chi non danza, si gode l’ascolto. Ma alla fine di ogni concerto, il momento di raccolta. Un richiamo sacro, quando la gente si abbraccia, unita, per cantare Se Chanta, l’inno della ‘nazione’ occitana, un abbraccio trasversale che accoglie persone di diverse generazioni ed appartenenti alle più svariate estrazioni sociali. Vedi e vivi l’emozione, la fede, la consapevolezza, ma anche la bellezza e l’allegria che caratterizza questi momenti. Vedi la bandiera occitana, rossa con la croce di Tolosa gialla, appesa con orgoglio alle finestre, o il medesimo simbolo su magliette, giubbotti, cappellini che identificano appartenenza e condivisione di un’idea. Ma che cos’è l’Occitania? Semplicemente è l’area in cui vivono le popolazioni di lingua d’Oc, l’antica lingua medioevale dei trovatori, così definita da Dante, inclusa nella Divina Commedia (Purg.XXVI, 140-147) facendola pronunciare dal poeta trovatore Arnaut Daniel. Dante la definisce così per distinguerla dalla lingua d’Oil, quella più diffusa nel nord della Francia, dalla quale è derivato il francese di oggi. Oggi il territorio occitano copre quasi interamente il centro-sud della Francia, la Val d’Aran in Catalogna, e le Valadas occidentali del Piemonte delle province di Cuneo e Torino.
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L'INTERVISTA A SERGIO BERARDO di Carlo Berenguez
Ho avuto l’onore di essere ricevuto da Sergio a Caraglio, nel suo studio, dove vive, lavora e insegna. Persona di grande empatia, umiltà, sensibilità e cultura. Una di quelle persone che ti sembra di conoscere da sempre, un amico, uno zio… un artista vero col piglio di un capopopolo di sconfinata generosità, un leader dal cuore grande. E non poteva essere altrimenti, visto il risultato del suo lavoro. Mi fa sedere e mi regala il libro “Lou Dalfin, Vita e Miracoli dei Contrabbandieri di Musica Occitana” di Paolo Ferrari. “Se ti servono notizie, trovi tutto qui! - esordì, soffermandosi ad illustrarmi le fotografie contenute nel libro – di cosa vuoi parlare?”
Carlo “Vorrei mi raccontassi l’evoluzione estetica del tuo lavoro” Sergio Facciamo un salto indietro. Quando mi sono reso conto di vivere all’interno della tradizione occitana ho capito di vivere in una dimensione e in un luogo, in cui si respira ancora straordinariamente la presenza di questa nostra lingua, ancora parlata nelle medie e alte valli, una lingua che non era un idioma così oscuro presente soltanto da queste parti, ma che è la lingua d’Oc, quella che ha dato origine alla prima letteratura, e veicolo della cultura europea del medioevo. Poi ho realizzato che in queste terre esisteva anche una musica popolare, quasi sconosciuta al di fuori di questi luoghi, ma così piena di quella ricchezza,
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di quella qualità tale da non renderla una semplice espressione folklorica minore e senescente di un lontano passato. E’ stato come aver scoperto una una conchiglia chiusa in una roccia. Questa musica tradizionale accoglie una ricchezza straordinaria, fatta di strumenti musicali dai suoni arcaici, canzoni, atmosfere uniche. Erano gli anni del boom economico, dell’abbandono della cultura contadina e rurale, dello spopolamento dei piccoli paesi, e pur essendo giovane ho compreso che quegli strumenti, quelle canzoni e quelle atmosfere avevano un’enorme potenzialità per diventare un vero e proprio veicolo espressivo della nostra tradizione; ho compreso che la musica, questa musica, poteva diventare un mezzo
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L'INTERVISTA A SERGIO BERARDO
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di Carlo Berenguez
per ribadire la necessità di una terra propria, delle proprie radici in un mondo sempre più fagocitato dall’omologazione culturale e dall’uniformità delle tendenze globalizzate. Questa miniera di suoni, di cultura, di lingua, di storia che ogni dettaglio poteva esprimere, per citare Paolo Conte, “come l’ho vista, ho detto questa è la mia..” ed ho trascorso un lungo periodo della mia vita in totale immersione in questa sorta di Giordano, in questi suoni che non mi annoierò mai di studiare e conoscere. Il fatto di di esplorare questi suoni, di conoscere profondamente ogni strumento, di ascoltarli, di suonarli e di farli conoscere, mi ha consentito di ripiantare questa pianta nel corpo delle mie vallate. In quegli anni facevo del Folk Revival fuori dalla mia terra, senza mai destare un autentico interesse, e compresi che il Folk, affinché non muoia o naufraghi miseramente come purtroppo è avvenuto in Italia negli anni ‘70 e ‘80, doveva per prima cosa rinascere ed affermarsi nella propria terra d’origine, nel substrato che lo aveva prodotto, e attualizzarsi, assorbendo anche le tendenze più attuali senza perdere la sua natura. A partire dagli inizi degli anni ‘90, coinvolgo in questo
lavoro una serie di musicisti che ho avuto la fortuna di incontrare. Un improbabile tastierista della Valle Grana, Fabrizio Simondi che desiderava scrivere in lingua paterna, un batterista, Riccardo Serra, bravissimo musicista che possiede il background che lo lega alla sua zona, un giovane fisarmonicista della Val Chisone, Dino Tron, che si era formato nei locali gruppi di Curenta (ballo tradizionale allegro e dal ritmo cadenzato, n.d.r.) Il progetto Lou Dalfin subì una vera e propria rifondazione: la sua non è più l’espressione di un mondo arcadico, non più il Folk Revival evocativo di notti agresti e bucoliche, ma si pone il preciso obiettivo di diventare la musica popolare che parla alla propria gente, senza mai snaturare la propria matrice tradizionale. Voglio raccontarti un aneddoto. Mi trovavo a suonare a un incontro di musicisti in un piccolo centro vicino ad Albi, capoluogo del dipartimento del Tarn, nella regione dell'Occitania francese. Mi allontano un attimo da quel grande salone delle feste, pieno di musicisti, per andare a comprarmi le sigarette nell’unico bar tabacchi di quella minuscola frazione di quel piccolo paesino in cui si svolgeva
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L'INTERVISTA A SERGIO BERARDO di Carlo Berenguez
questa manifestazione. In quel bar incontrai la gente del del paese, e chiacchierando con loro scoprii che nessuno era a conoscenza di quella festa, solo qualcuno parlò di un ‘raduno di appassionati di musica’. Ecco il punto. La musica popolare è un’altra cosa, deve vivere e pulsare nei propri territori, deve essere veicolo di socializzazione e non solo la ‘colonna sonora’ per gli incontri di ristretti gruppi di appassionati. Questo mi fece capire che se volevo vivere la musica popolare del mio territorio dovevo essere sincero, essere vero, non potevo far finta di rappresentare un’altra cosa, di rinnegare la musica che ho amato di più in gioventù, io che ascoltavo gli Who e Lou Reed… avrei dovuto impregnare certi schemi con un gusto più attuale e viverli in un modo che tenesse conto di quella che è stata la storia musicale della mia generazione… e poi vada come vada, succeda quello che succeda... E’ come buttarsi in un fiume, e poi vedi dove ti porta la corrente, così concerto dopo concerto, ballo dopo ballo, da questa fase passiamo a quella successiva in cui si crea un vero e proprio genere musicale nel rispetto degli stili coreutici della musica tradizionale occitana, in cui anche il più semplice brano soddisfa la
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necessità del ballerino, ma in cui tu racconti emozioni storie sensazioni… ed ecco “Lo Rigodon chanta ta dança e bala ta chanson” (Canta la tua danza e balla la tua canzone). La mia musica comporta queste implicazioni, non è più la riproduzione semplice di brani della tradizione, ma si è creato proprio un mondo, uno stile che ha attratto generazioni di persone sia nella pratica musicale sia nella danza. Per questo parlo di Danza-Canzone. Quando ho iniziato io, erano pochissime le persone della zona interessate a tutto ciò. La musica è servita a promuovere nel sentimento popolare un certo orgoglio per le proprie radici e per la propria identità. E l’identità è qualcosa di estremamente importante, significa amore per una terra martoriata, spopolata, amore per una terra che dai potenti aveva sempre soltanto subito ogni sorta di vessazione… E questa visione del mondo, che è quella della cultura popolare antagonista è diventata musica. Ma voglio raccontarti un altro episodio significativo di certe implicazioni socio culturali, perché gli episodi tratti dalla vita reale e quotidiana sono quelli che descrivono meglio alcuni aspetti.
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L'INTERVISTA A SERGIO BERARDO
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OCCITANIA - E BASTA
di Carlo Berenguez
Un giorno a Cuneo, parlo con una signora che mi dice: “Quando ero giovane ogni volta che venivo a Cuneo e parlavo occitano, percepivo l’estraneità della gente, mi davano della ‘montanara’, mentre oggi lo apprezzano e mi rispettano. E per questo devo ringraziarti. E’ stata per me una soddisfazione maggiore di un Premio Tenco, proprio per ciò che per me rappresentava quella affermazione”. Queste cose mi danno un’energia incredibile, il mondo cambia continuamente, siamo passati attraverso gli anni di fuoco, agli anni del riflusso, alla fase creativa, alla musica indipendente degli anni ‘90, all’uso della tecnologia, e tu ti ritrovi ancora alle prese con quella conchiglia di cui parlavo prima, consapevole del grande significato di quello che stai facendo, senza velleità salvifiche o messianiche, ma semplicemente con la consapevolezza che stai continuando a vivere qualcosa di antico e di trasmetterlo alle generazioni future affinché continui a vivere. Sai quante volte mi hanno chiesto “perché non canti in italiano? Conseguiresti un successo e una notorietà maggiore”. Ho la fortuna di avere questa lingua, l’occitano, l’antica lingua dei trovatori, una lingua antica e nobile, ho la fortuna di cantarla, e sento il dovere di mantenerla
fossi anche l’ultimo giapponese nella giungla! non mi interessa essere l’ultimo irriducibile che vive solo di rievocazioni, preferisco la scommessa, difficilissima e rischiosa, di viverle nel presente evitando ristrette etichette ‘culturali’. Detesto quando qualcuno usa l’aggettivo ‘culturale’ per definire la mia musica e qui ti faccio la citazione del grande Papet Jali del Massiglia Sound System, un rapper marsigliese col quale ho collaborato: “O fai musica commerciale per i soldi, o fai musica culturale per i matti, ma forse c’è un altra strada”. Carlo Quella strada in cui si incontrano quegli artisti come Sergio Berardo, i marsigliesi Papet Jali, Manu Théron e il cantautore guascone pirenaico Jan de Nadau, artisti che seppur diversissimi tra loro hanno qualcosa da dirsi, e da trasmettere. Naturalmente in occitano. Grazie Sergio
carlos @berenguez igworldclub community manager Piemonte, Valle d'aosta e Liguria
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PAVONE CANAVESE - FERIE MEDIEVALI
Squillino le chiarine,
rullino i tamburi e Festa sia! Con questo motto si aprono le Ferie Medievali a Pavone Canavese, in provincia di Torino, che con entusiasmo e passione propongono giorni conviviali e di allegria ripercorrendo la storia e le tradizioni locali.
TORINO
Adriana Oberto Barbara Tonin Chiara Borio Fabrizio Rossi Floriana Speranza Giancarlo Nitti Maddalena Bitelli Mariangela Boni Nadia Laboroi Silvia Petralia Testi di Giancarlo Nitti Giroinfoto Magazine nr. 44
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AVONE CANAVESE
Fu un insediamento attestato sin dall’età del Bronzo e documentato in epoca romana. In quell'area transitava la strada che da Eporedia (Ivrea) portava ad Augusta Taurinorum (Torino). A causa delle invasioni ungare e saracene a Pavone, fu costruita una cinta muraria, alta circa 5 metri, intorno alla Chiesa romanica di San Pietro (X–XI secolo), costituendo così un primo nucleo del ricetto con all'interno alcuni edifici come rifugio per gli abitanti, per i raccolti e per le attività commerciali. Nell'anno 1000, esattamente il 9 luglio, l’imperatore Ottone III di Sassonia concesse al vescovo d’Ivrea la giurisdizione sul territorio compresa Pavone. Le autorità ecclesiastiche, nello stesso secolo, fecero costruire fuori le mura un mastio (una grande torre) e nel progredire dei secoli, effettuarono numerose opere di ampliamento e fortificazione dell’insediamento. Nel XII secolo aggiunsero alla torre un edificio usato come stalla al piano inferiore e come residenza al primo piano. La costruzione venne poi abbellita nel secolo successivo e tra il 1326 e 1346 fu edificata anche una nuova ala a nord, caratterizzata da finestre ad arco acuto e da una torre con la funzione d’ingresso. Alla fine del XIV secolo ci furono ancora nuovi interventi architettonici sui torrioni a pianta circolare inseriti nella cinta esterna. Nel XV secolo venne costruito un muro merlato a divisione tra il cortile del Vescovo e la parte rustica dove si trova la chiesa, allora di proprietà della popolazione locale. Nel 1688 il duca Vittorio Amedeo II tenne accampamento militare tra Pavone e Romano e soggiornò nel castello di Pavone. Successivamente, nel corso del 1700, il castello fu abbandonato al degrado.
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Nel 1870 il castello venne espropriato dallo Stato italiano per poi, nel 1885 essere acquistato dall'architetto portoghese Alfredo d’Andrade al prezzo di 7000 lire.
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a riedificazione dell'architetto d'Andrade durò trent’anni, ricostruendolo rispettando le linee architettoniche degli edifici medievali piemontesi. Grazie a lui, oggi il castello risplende nelle sue alte torri e mura merlate, un arioso cortile con il pozzo e un magnifico parco dove vi è la chiesetta romanica di San Pietro. Stanze e saloni furono affrescati e decorati secondo le indicazioni del d’Andrade. I lavori d’innalzamento della torre terminarono nel 1915, anno della morte di Alfredo d’Andrade, al quale successe il figlio Ruy che terminò i vari lavori di restauro nel 1924 facendo costruire due tombe nella chiesa di san Pietro con le salme di Alfredo d’Andrade e della moglie Costanza Brocchi. Dal 1992 il castello di Pavone fu nuovamente ristrutturato e trasformato in un hotel, ristorante e centro congressi.
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ome ormai succede da venticinque anni, da tradizione, anche quest'anno, Pavone Canavese si esprime nel suo consueto evento, da venerdì 31 maggio a domenica 2 giugno. La manifestazione delle Ferie Medievali sono tra le più conosciute nel contesto regionale, con la rievocazione storica del Giuramento di fedeltà del 7 giugno 1327 del Console pavonese Nicolinus de Bonjhoanne e dei 208 uomini rappresentanti le famiglie del Borgo pavonese al Vescovo e Conte di Ivrea. Nell'atto ufficiale di quell'epoca, riporta la Comunità di Pavone in una giornata storica, secondo quanto tramandatoci dal notaio vercellese Guale de Flore, il
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Console e gli uomini di Pavone giurarono fedeltà al Vescovo signore di quelle terre, Palaynus de Advocatis, in occasione della concessione degli Statuti. La formula di rito, che venne ripetuta dai 208 Uomini delle famiglie del Borgo, ogni anno viene riproposta dal Gruppo Storico Ij Ruset in occasione delle Ferie Medievali la prima domenica di giugno: "Gli Uomini di Pavone non possono fare lavori nei giorni di festa stabiliti dalla Chiesa, pena un'ammenda di 5 soldi" L’ Associazione Storico Culturale “Ij Ruset”, nella versione dialettale della parola italiana “ricetti” è nata nel 1992 rivolgendosi alla ricerca e alla divulgazione delle tradizioni storiche di Pavone Canavese e dal 1994 organizza e mette in scena la rievocazione pavonese.
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ono diverse centinaia i figuranti che Pavone ospita durante le sue Ferie Medievali ed ogni anno crescono sempre di più, quasi in una competizione per originalità e studio degli usi e costumi del tempo. Ma i personaggi ufficiali messi a disposizione dalla compagnia storica sono circa 50, tra cui i protagonisti del giuramento come i già nominati Console Nicolinus de Bonojhoanne Bonojhoanne, che rappresenta la più alta carica del Borgo, governa e difende il feudo e ne cura gli interessi economici, il Notaio Guale de Flore Flore, sapiente uomo di legge, il Vescovo Palaynus de Advocatis signore delle terre d'Ivrea, i Nobili, le Dame, le Governanti e i Popolani, con particolare rilievo delle figure del mugnaio, del fabbro, del fornaio e del calzolaio. Degni di nota sono “le Chiarine ed i Tamburi”, allegri ed esuberanti, che suonano instancabili la colonna sonora delle “Ferie Medievali” per il paese.
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a manifestazione, nella mattinata dell'ultimo giorno di festa, dopo la messa e i riti rievocativi del giuramento di fedeltĂ , continua nella Piazza del Municipio con il coinvolgimento del pubblico in espressioni di intrattenimento di ogni tipo con giocolieri, saltimbanchi, fachiri e musici, tutti rigorosamente con fascino medievale. Tra stupore e divertimento in compagnia degli intrattenitori, finalmente si aprono le taverne. Ecco che la folla affamata del borgo si reca nei punti di ristoro, anche quelli categoricamente in stile medievale e soprattutto con sapori medievali. Le taverne sfoggiano menĂš caratteristici di cucina trecentesca "o quasi", per sfamare le bocche dei visitatori ed ospitarli in diversi punti nel centro del paese allestiti con tavolate da banchetto. Silvia Petralia Photography Floriana Speranza Photography
Il fachiro Thomas Nadia Laboroi Photography
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opo il banchetto conviviale, la festa continua e le Ferie Medievali esplodono in nuovi cortei per le vie del centro paese con le chiarine e tamburi che li accompagnano in un emozionante sottofondo. Sfilano con loro anche magnifici e fieri levrieri al passo dei conduttori in abiti caratteristici. Quando si annuncia l'ora dei duelli, la folla si riunisce attorno alla piccola arena di paglia nella Piazza del Municipio. Ecco che iniziano i tornei di duello storico con armature pesanti, giĂ iniziati nei giorni precedenti. Una vera e propria disciplina, coltivata da rare "compagnie d'arme" con i suoi valorosi e pesanti guerrieri che si sfidano fino all'ultimo colpo.
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a manifestazione prosegue ancora con lo spettacolo dei falconieri con rapaci di diverse specie come la poiana, il gufo, la civetta e l'allocco che per l'elevata temperatura della giornata hanno una comprensibile fiacca. Per le vie del paese è possibile inoltre osservare gli antichi mestieri dei tempi come la filatrice, il fabbro e curiosare anche in antichi giochi di società e per bambini. La festa è non stop, fino a tarda serata con la riapertura delle taverne per cena e uno spettacolo conclusivo delle Ferie Medievali di Pavone Canavese.
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Tra antico e moderno
Autore: Bruno Caccamo Luogo: quartiere collinare Righi di Genova Giroinfoto Magazine nr. 44
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Autore: Enrico Raimondo Luogo: Bacoli - Golfo di Pozzuoli
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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 15 Luglio 2019
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