N. 47 - 2019 | SETTEMBRE Gienneci Studios Editoriale. www.giroinfoto.com
N.47 - 2019 Settembre
www.giroinfoto.com
ALL AMERICAN REPORT 2019 THE DEATH VALLEY
PALIO D'ASTI 2019 DOPPIO PALIO Band of Giroinfoto
BUSSANA VECCHIA BORGO FANTASMA Di Barbara Tonin
MAROCCO ARTIGIANI DI FES Di Monica Gotta Photo cover by Giancarlo Nitti
WEL COME
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la redazione | Giroinfoto Magazine
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Giroinfoto magazine
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Novembre 2015,
da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’out-door, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle belelzze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Uno largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti
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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente
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ANNO V n. 47
giroinfoto magazine
20 Settembre 2019 DIRETTORE RESPONSABILE ART DIRECTOR Giancarlo Nitti
LAYOUT E GRAFICHE Gienneci Studios
SEGRETERIA DI REDAZIONE E RELAZIONI Margherita Sciolti
PER LA PUBBLICITÀ: Gienneci Studios, Via G.Borgomaneri, 135 Milano - 20086 Motta Visconti. hello@giroinfoto.com
CAPI SERVIZIO Giancarlo Nitti Monica Gotta Sergio Agrò Adriana Oberto
DISTRIBUZIONE: Gratuita, su pubblicazione web on-line di Giroinfoto.com e link collegati.
REDATTORI Giancarlo Nitti Redazione Sergio Agrò Redazione Barbara Tonin Reporter Monica Gotta Redazione Sara Morgia Reporter
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CONTATTI email: redazione@giroinfoto.com Informazioni su Giroinfoto.com: www.giroinfoto.com hello@giroinfoto.com Questa pubblicazione è ideata e realizzata da Gienneci Studios Editoriale. Tutte le fotografie, informazioni, concetti, testi e le grafiche sono di proprietà intellettuale della Gienneci Studios © o di chi ne è fornitore diretto(info su www. gienneci.it) e sono tutelati dalla legge in tema di copyright. Di tutti i contenuti è fatto divieto riprodurli o modificarli anche solo in parte se non da espressa e comprovata autorizzazione del titolare dei diritti.
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C O N T E N T S
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THE DEATH VALLEY
All American Report 2019
Band of Giroinfoto
R E P O R TA G E
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BUSSANA VECCHIA Il borgo medievale fantasma Di Barbara Tonin
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CASTELLO DEL DROSSO Urbex A cura di Urbex Team Old Italy
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RIVISITARE TORINO Intervista a Francesco Portelli Band of Giroinfoto
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FES Arti e mestieri Di Monica Gotta
FES
I N T E R V I S TA
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RIVISITARE TORINO
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THE DEATH VALLEY
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REUNION Il palco del porto antico Di Sara Morgia
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IL PALIO D'ASTI Doppio Palio 2019 Band of Giroinfoto
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FOTO EMOZIONI Questo mese con: Sergio Agrò Enrico Raimondo Giuseppe Calogero Andrea Giannuzzi Gianni D'Orio
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BUSSANA VECCHIA
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PALIO D'ASTI 2019
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DEATH VALLEY - ALL AMERICAN REPORT
DEATH VALLEY
Giancarlo Nitti Photography
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Dal progetto di location scouting ALL AMERICAN REPORT, iniziato nel 2010, le avventure continuano con il road trip estivo in agosto di quest'anno di Band of Giroinfoto che si è recata in uno dei posti più caldi del mondo: La Death Valley californiana con i suoi 61° C.
CAPO SERVIZIO Giancarlo Nitti FOTOGRAFI Chiara Borio Fabrizio Rizzo Barbara Tonin Fabrizio Rossi Cinzia carchedi Mariangela Boni Silvia Petralia
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DEATH VALLEY - ALL AMERICAN REPORT
La valle della morte Per capire le origini di questo nome non proprio così accogliente e rassicurante, ritorniamo ai tempi della corsa all'oro. Nell’inverno tra il 1849 ed il 1850 alcune famiglie di cercatori di pepite provarono ad attraversarla per raggiungere la California dal Nevada trovando la morte nella disperata ricerca di cibo e soprattutto di acqua. Così racconta in un' autobiografia , William Lewis Manly intitolata Death Valley in '49. Nonostante i rischi mortali, la valle continuò ad attirare l’attenzione di molti cercatori che tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, durante la corsa all'Ovest, meglio conosciuto come Far West, riuscirono a scoprire diverse miniere d’oro e d’argento dando così inizio ad una serie di attività di estrazione in miniera. Nel febbraio del 1933, l’allora Presidente degli Stati Uniti d’America, dichiarò la Death Valley monumento nazionale. In quello stesso anno per far fronte alle difficoltà economiche della Grande Depressione, Franklin Delano Roosvelt fondò il Civilian Conservation Corps, un programma ad hoc con l’obiettivo di fornire lavoro ai disoccupati.
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Alcuni di essi furono inviati appositamente nella Valle della morte per costruire strade, pozzi, campeggi e linee telefoniche.
metri
sotto il livello del mare. Questa è la depressione della Death Valley che la rende uno dei luoghi più caldi della terra.
Nel 1994 la Death Valley viene nominata Parco Nazionale raggiungendo una maggiore popolarità come meta turistica.
Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 47
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Fabrizio Rizzo Photography
ANTICAMENTE C'ERA IL MARE Le prime rocce si formavano circa 1,8 miliardi di anni fa subendo moltissimi cambiamenti, tali da non permettere la loro lettura morfologica. La maggior parte sono fatte di arenaria con un'alta concentrazione calcarea, questo a dimostrazione che il luogo era un mare dalle temperature calde e poco profondo, trovandosi sull'Equatore, durante la maggior parte dell'era paleozoica (570-250 milioni di anni fa). Nelle ere passate, il mare ha cominciato a retrocedere lentamente verso Ovest mentre la terra veniva spinta verso l'alto e verso Nord grazie ai fenomeni di subduzione, quelli del magma o sotto la superficie terrestre. La Valle della Morte si trova in una zona adiacente alla giuntura di due zolle tettoniche che nei movimenti millenari le forze di compressione hanno piegato
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gradualmente, deformandole e fratturando la sottile crosta. Sorgevano così, le montagne, durante la maggior parte dell'era mesozoica (250-70 milioni di anni fa) con periodi attivi del sollevamento della montagna che si alternavano con periodi in cui le forze di erosione lavoravano per asportare quello che le montagne avevano eretto. La fase di sviluppo della Valle è stata soprattutto influenzata dall'attività vulcanica che si è svolta in gran parte del Periodo Terziario (70-3 milioni di anni fa). Poiché l'elevazione della montagna aumentava la superficie terrestre, la crosta è diventava fragile, permettendo al magma di eruttare nei punti più deboli. I getti vulcanici sono comparsi in un
primo tempo a Nord-Est, nel Nevada , ricoprendo velocemente la regione della Valle della Morte con numerosi e ripetuti strati di cenere e lapilli. Col tempo, il centro di attività vulcanica si è mosso progressivamente verso Ovest, fino a produrre una catena di vulcani che corrono dalla zona di Furnace Creek verso Shoshone, oggi rappresentati dalle Black Mountains. Le eruzioni di lapilli e cenere hanno donato i vividi colori dell'Artist's Palette con oggi una strada panoramica lunga 14,5 km con vista su tutte le sfumature di colore delle colline di rocce sedimentarie dell’Amargosa Range. Il momento migliore per la visita è il tardo pomeriggio, quando i colori della tavolozza si accendono di rosa, malva, oro, verde e lavanda.
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ARTIST'S PALETTE Cinzia Carchedi Photography Giroinfoto Magazine nr. 47
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ARTIST'S DRIVE Fabrizio Rossi Photography Giroinfoto Magazine nr. 47
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ARTIST'S DRIVE
Chiara Borio Photography
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Circa tre milioni di anni fa, il movimento della crosta terrestre cambiava e la Valle della Morte ha cominciato a formarsi prendendo forma ed ancora oggi le forze di estensione continuano ad agire allargando l'area desertica. Infatti il bacino di Badwater, il bacino di sale della Valle della Morte e la catena montuosa del Panamint contengono una massa strutturale, che sta ruotando verso Est, facendo slittare il "pavimento" della valle costantemente verso il basso, scivolando lungo la linea che si trova alla base delle Black Mountains. Questa caduta sta continuando ancora oggi, come si nota nelle scarpate esposte vicino al bacino stesso di Badwater. Questo punto estremamente panoramico, rappresenta uno dei più battuti dal turismo della Death Valley per essere il luogo più basso (86 mt sotto il livello del mare) e per la sua conformazione "a nido d'ape". Il lago visibile è costituito da una modesta pozza alimentata da una sorgente in prossimità della strada, l'acquifero che origina la sorgente è a sua volta alimentato dal fiume Amargosa. Il contenuto in sali minerali è talmente elevato da rendere l'acqua non potabile e meritargli l'aggettivo di "cattiva" (bad), da cui il nome. Vicino alla pozza, dove l'acqua non è sempre presente in superficie, cicli ripetuti di congelamento-disgelo ed evaporazione hanno portato la sottile crosta di sale a formare celle esagonali, appunto a nido d'ape.
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Silvia Petralia Photography
BADWATER Cinzia Carchedi Photography
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ZABRISKIE POINT Mariangela Boni Photography
Ritornando dal bacino di Badwater, verso Nord allo svincolo di Fournace Creek troviamo uno dei punti più primordiali di tutta la vallata. Zabriskie Point, una parte del Death Valley National Park nota per la bellezza del paesaggio di origine sedimentaria, vulcanica ed in seguito erosiva. La topografia del luogo è tale che essa rientra nella cosiddetta formazione di Furnace Creek, chiamata popolarmente badlands perché in questa terra cattiva, a causa della siccità e del sale, non riesce a crescere alcuna pianta. l nome Zabriskie proviene da Christian Brevoort Zabriskie, che nei primi anni del XX secolo fu vicepresidente e general manager della Pacific Coast Borax
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Company, famosa per l'estrazione e il trasporto di borace dalle miniere della Death Valley tramite i twenty mule teams, pariglie composte da diciotto muli e due cavalli. Milioni di anni prima dell'esistenza del lago Manly e dell'attuale abbassamento ed allargamento della Valle della Morte, questa era coperta da un altro lago dell'area che circonda Zabriskie Point. Nei successivi milioni di anni nel fondo del lago si sono formati sedimenti di fango salino, ghiaia proveniente dalle montagne circostanti e ceneri della zona vulcanica formando l'attuale Furnace Creek Formation emersa e sottoposta alla meteorizzazione ed alterazione da parte delle acque termali
che sono responsabili della varietà di colori osservabile oggi presso Zabriskie Point. Il successivo allargamento ed abbassamento della Valle della Morte, combinato al sollevamento tettonico della catena collinare delle Black Mountains, cambiò l'aspetto della regione, rendendo possibile l'erosione che produsse i calanchi oggi visibili. Il materiale scuro che copre le creste dei calanchi è lava proveniente da eruzioni avvenute 3-5 milioni di anni fa.
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ZABRISKIE POINT Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 47
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Proseguendo verso Est da Zabriskie Point, si sale fino a 1.669 metri, dalla parte Nord del Coffin Peack (Picco della Bara), in cresta alle Black Mountains, approssimativamente a 40 chilometri dal Visitor Center di Furnace Creek. È così che si arriva ad un terrazzamento che sporge in un panorama completo della valle. Da Dante's View si gode una panoramica generale del bacino meridionale della Valle della Morte ammirando verso Sud le Owlshead Mountains poste a 30 chilometri di distanza e verso Nord le Funeral Mountains poste a 50 chilometri, dietro a Furnace Creek. Di fronte a Dante's View, verso Ovest la catena montuosa del Panamint Range e verso Est le Greenwater Ranges. Nelle giornate più terse si possono vedere contempo-
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raneamente il punto più alto Whitney, alto 4.418 metri e il più basso Badwater Basin -86 metri. Da Dante's View si possono apprezzare tutti i particolari del bacino che formava il Lago di Manly e di quel che ne rimane a Badwater che si trova direttamente di fronte. Il nome Dante è l'abbreviazione di Durante, derivato dal latino durans che significa durevole ed è il famoso nome di Dante Alighieri. La terrazza Dante's View, a metà fra terra e cielo è come una terrazza del Purgatorio, dunque il Devil's Golf Corse rappresenta il fondo dei gironi dell'Inferno e Telescope Peak è la settima e ultima terrazza del Purgatorio prima delle sfere del Paradiso.
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DANTE'S VIEW
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DANTE'S VIEW Giancarlo Nitti Photography
COME VISITARLA Molti visitatori sottovalutano quanto possa essere calda e arida la Death Valley, indipendentemente dal periodo o dai percorsi più o meno brevi. All'interno del parco vi sono escursioni brevi e di bassa difficoltà come le dune di Mesquite Flat o il Mosaic Canyon, ma anche queste possono risultare fatali con una temperatura che supera i 40 °C e spesso nei periodi estivi, arriva anche a toccare i 60 gradi. Il primo accorgimento necessario è portare con sè una quantità d’acqua adeguata, oltre ad evitare qualsiasi attività nelle ore più calde del giorno. Occorre verificare che il veicolo sia in condizioni di manutenzione ottimali e con il serbatoio pieno, anche se nei pressi del Visitor Center è presente un distributore con il costo della benzina a 5 $ al gallone, ne servirà molta per girare all'interno della valle e uscire dall'area desertica non essendoci altri distributori sulle strade. All’interno del parco è possibile fare rifornimento di carburante anche al Panamint Springs Resort e Stovepipe Wells Village. È Importante sapere che la copertura per i telefoni cellulari nella zona è minima o addirittura assente, per cui diventerà difficoltoso affidarsi al cellulare per chiedere eventuali soccorsi. L’area del parco si estende su 1,34 milioni di ettari e le strade sono veramente poche, spesso ripercorse a ritroso per raggiungere i diversi punti di interesse. Il consiglio è di separare in due giornate la visita all'intero parco, suddividendo la zona ovest, dove si trova Racetrack Playa e l'area est, quella descritta in questo articolo.
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Chiara Borio Photography
La Death Valley è attraversata da est-ovest dalla strada principale US 190, permettendo l'ingresso al parco ad Est e Nord-Est per chi proviene dal Nevada con i collegamenti a Beatty, Lathrop Wellso Death Valley Junction. Per chi arriva da San Francisco il tragitto migliore è
attraverso Ridgecrest per poi dirigersi in direzione Panamint Springs sulla 178. L'ingresso costa 35$ per le auto, 15 a persona o 25$ per le moto, l'Annual pass dei parchi, che consigliamo, è accettato.
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BUSSANA VECCHIA A cura di Barbara Tonin
A pochi minuti da Sanremo, arroccata su una collina rocciosa ma ricca di castagneti e pini marittimi, si erge un piccolo borgo medievale fantasma. O meglio, quasi fantasma. Bussana sembra essere stata fondata in età romanica, ma le prime evidenze come borgo con presenze stabili sembrano risalire al VII° secolo.
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A seguito di frequenti invasioni saracene, nel X° secolo vengono edificate le prime strutture difensive. Il primo castello fu costruito nel secolo successivo, quando Bussana cadde sotto il dominio dei Conti di Ventimiglia, ma già a partire dal 1200 il piccolo paese viene acquistato dalla Repubblica di Genova e il castello viene utilizzato come residenza. Il maggior sviluppo sia demografico sia edilizio di Bussana si verifica tra il 1400 e il 1600. Le nuove abitazioni vengono costruite con le pietre stondate provenienti dalle vicine spiagge rocciose, perdendo quindi a poco a poco lo stile romano. Sulle rovine di una precedente chiesa, viene edificata quella nuova dedicata a Sant'Egidio, mentre il castello ormai ridotto in rudere viene dimenticato. Il borgo prende sempre più la forma di quello attuale con struttura "a pigna", tipica dei villaggi edificati su terreni molto scoscesi. La vita religiosa assume un ruolo sempre maggiore. La chiesa viene costantemente modificata, ampliata e decorata, perdendo lo stile romanico e acquisendo quello barocco. Impegnata nell’agricoltura, nella coltivazione di olivi e agrumeti e nell’allevamento, la popolazione conduce una vita tranquilla nei secoli successivi, finché una forte scossa di terremoto, con epicentro nella vicina Diano Marina, cambia per sempre il destino del piccolo borgo.
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“Era il primo giorno di quaresima, alle ore sei e venticinque. Il parroco di qui aveva imposto le sacre Ceneri all’ ultimo giunto…quando parve che la mite brezza di poco prima si fosse d’un subito cambiata in un vento furioso, il quale aumentava in un crescendo spaventoso.
salvatevi! - La gente, quasi per istinto, si rifugiò nelle cappelle laterali ed egli sotto l’arco della porticina della sacrestia.
La terra si scuote, traballa, a lungo ondeggia, poi si aggira vorticosa; si direbbe il finimondo: si odono rumori diversi di muri caduti, di legname che si spezza, di ferro che si torce, ma ad un tratto i diversi frastuoni, le grida disperate sono vinte da un sordo e cupo rimbombo, che vince tutti gli altri. Era la volta che cadeva.
Passando tra i frantumi e rottami giunse alla balaustra, alzò gli occhi al cielo e vide le stelle. Il solo arco sovrastante al presbiterio e gli archi delle cappelle erano in piedi".
Fin dal primo sussulto il parroco capì il pericolo imminente e dall’altare gridò: -Terremoto, terremoto,
Il fitto polverio prodotto dalla caduta della volta immerse la chiesa nella più grande oscurità.
Alle 6.26 del 23 febbraio del 1887 di Bussana non rimanevano che ruderi. Solo il campanile si salvò, il simbolo del paese.
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BUSSANA VECCHIA - BORGO FANTASMA
La popolazione superstite in parte rimane a Bussana ancora per pochi anni in sistemazioni di fortuna, mentre altri preferiscono portarsi nella parte bassa del paese, nella speranza nel frattempo di poter ripristinare le abitazioni parzialmente agibili. Il Comune di Sanremo, però, dopo alcune perizie sul posto, dà ordine definitivo di evacuazione e blocca gli ingressi al paese. Contro il volere dei bussanesi, Sanremo dispone di fondare la nuova Bussana nella zona sottostante alla collina, nota come Capo Marine. Nel 1889 viene posta la prima pietra del municipio e nel 1894 i bussanesi abbandonano definitivamente il borgo originario, celebrando l'ultima messa la domenica delle Palme. Bussana Vecchia ormai è definitivamente morta. Abbandonata e dimenticata per decenni, la bellezza del vecchio borgo non passa però inosservata ad alcuni artisti. Pittore, scultore, ceramista torinese, Mario Giani conosciuto anche come Clizia trasferisce nel 1958 il suo studio e la sua dimora presso i ruderi di Bussana Vecchia, forte fonte d’ispirazione per le sue opere. Qualche tempo dopo nel 1965 lo raggiunge anche il pittore siciliano Vanni Giuffrè. La passione per l’arte e il desiderio di divulgarla, li spingono a fondare la Comunità Internazionale degli Artisti, attirando negli anni pittori, scultori e scrittori dall’Italia e dall’Europa. Gli artisti donano nuova vita a Bussana Vecchia.
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Non sono in molti e non tutti hanno residenza fissa a Bussana, ma nasce comunque l’esigenza di stabilire alcune regole. La “Costituzione” chiariva che chi si insediava a Bussana, lo doveva fare solo per lo svolgimento di attività artistiche. La ristrutturazione delle abitazioni e delle aree di esposizione e lavoro doveva essere fatta solo utilizzando materiali già presenti sul luogo (tegole, pietre e mattoni recuperati dalle macerie) e se l’artista se ne andava non ne avrebbe mai potuto rivendicare la proprietà. Nel tempo lo statuto ha subito modifiche, ma è sempre rimasto fermo il principio che Bussana dovesse mantenere la sua struttura urbanistica medievale. Tra gli anni ’70 e ’80 vengono ripristinati l’acquedotto, l’impianto fognario e la rete elettrica. Con migliori condizioni di vita e di lavoro, un numero sempre maggiore di artisti si stabilisce a Bussana Vecchia, che perde in parte, grazie ai nuovi restauri, il suo aspetto di totale abbandono. Nei decenni successivi Bussana attira a sé dapprima soltanto turismo d’élite, attratto da opere di particolare valore artistico.
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Successivamente, molti artisti residenti, per assicurarsi maggiori proventi dalla propria attività artistica, cercano di aumentare il turismo di massa. Nascono pertanto svariate botteghe di artigianato, anche di basso livello e diverse dimore vengono vendute ai turisti. La “Costituzione” e Bussana a poco a poco perdono il loro spirito originario e gli ideali iniziali della Comunità degli Artisti purtroppo vengono meno. Fino a qualche anno fa a Bussana Vecchia si svolgevano manifestazioni teatrali, esposizioni d'arte, eventi di vario genere e musica dal vivo. Ora lotta di nuovo per la sua sopravvivenza. Vendite illegali, abusi edilizi e la mancanza di sicurezza stanno facendo cadere di nuovo nell’oblio questo piccolo gioiello ligure, che rischia seriamente di tornare ad essere un borgo fantasma.
Barbara Tonin
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IL CASTELLO DIMENTICATO In Italia, paese di un inestimabile patrimonio storico-artistico-culturale, sorgono oltre 20 mila castelli. Solo a Torino e dintorni, se ne annoverano alcuni di rara bellezza e fama; alcuni esempi eclatanti sono quelli che conosciamo tutti come Palazzo Reale e Palazzo Madama nella centralissima Piazza Castello, il Castello del Borgo Medievale (che non è altro che una ricostruzione per l’Esposizione universale del 1884), il castello del Valentino (ora facoltà di architettura), il castello di Mirafiori, il castello di Saffarone, il castello di Racconigi, quello di Stupinigi, quello di Rivoli, di Pralormo e ne potremmo citare ancora tanti… In mezzo a queste notevoli testimonianze del passato, parti integranti della storia d’Italia, purtroppo, alcuni edifici sono stati emarginati dalla valorizzazione museale e sono stati lasciati nel più completo abbandono cadendo irrimediabilmente in rovina.
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Questo è il caso della nostra ultima scoperta, una costruzione che, in origine, era una splendida villa romana, trasformatasi nel tempo in grangia cistercense (circa nel XII secolo). L’edificio era di proprietà dei Conti di Savoia, che vi misero alcuni monaci anche per sorvegliare il territorio. I monaci divennero proprietari della grangia solo nel 1233, assieme alle terre circostanti. Dopo un secolo, fino al 1334, il castello dovette essere ceduto per dodicimila fiorini d’oro a Corrado di Gorzano, già castellano piemontese; da lì, la proprietà passò ai conti Vagnone, che ne fecero una fortezza molto simile a quella che oggi ancora si può osservare: già nel 1361 la grangia veniva nominata come “castello”. I Vagnone, una delle più antiche casate piemontesi, non badarono a spese: il castello fu, grazie a loro, un luogo di primo piano del panorama dell’agro
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piemontese, dove nel XV fondarono anche un ricetto, una segheria, un mulino e molti altri edifici. Ancora oggi attorno al castello vi sono due cascine, la Torta-Gromis e la Robilant-Perino. Fu però nei secoli successivi e in particolare nel Cinquecento (quando ormai i Vagnone non erano più proprietari del castello) che attorno ad esso presero forma edifici rurali che assomiglia a quella attuale. Nel 1539 il castello passò ai Gromis di Trana, venendo infine frazionato nel 1560 e divenendo la dimora di campagna di alcune nobili famiglie. Nei secoli proseguì il lento declino. L’ultima pagina della storia del feudo venne scritta durante l'occupazione nazista, quando il castello fu costretto ad ospitare un comando dell'esercito tedesco.
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La presenza militare ha lasciato traccia di sé nella ripartizione dell'intero piano secondo e in numerosi disegni e monogrammi sparsi per le stanze del castello, oltre che a graffiti, tramezzi e impianti idraulici ed elettrici. Agli ultimi decenni risalgono invece gli interventi sulle coperture e sul terrapieno del giardino, che hanno permesso la conservazione del manufatto nonostante il perdurare dell'abbandono: attualmente, sebbene il degrado appare molto avanzato in quasi tutte le superfici del castello, esso coinvolge marginalmente l'aspetto statico e strutturale delle murature. A conferma di questo giudizio è lo stato di perfetta conservazione di gran parte delle volte interne, che ancora oggi conservano integralmente le pitture e i decori sette-ottocenteschi: ad essere danneggiate sono soprattutto le pareti, maggiormente esposte agli atti vandalici ed all'asportazione delle suppellettili.
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A distanza di anni, le stanze sono state occupate da disperati, saccheggiate e completamente “spogliate” dai ladri. Tutto questo, in un clima di grande indifferenza e totale silenzio. Sorprende rilevare il quasi totale oblio in cui questo patrimonio riversa: ad oggi infatti non esiste pubblicazione che descriva il monumento e i brevi accenni sparsi tra libri e siti web sono spesso incompleti o eccessivamente sintetici. Non solo, ma pare quasi che la percezione stessa di questo complesso da parte dei cittadini torinesi sia stata come annullata, cancellata insieme alla sua memoria; si può in parte spiegare questa misconoscenza nei confronti di un monumento che pure ha un suo forte impatto visivo con l'isolamento fisico che oggi caratterizza l'intera area di pertinenza del castello.
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Negli ultimi anni, il castello è stato al centro di un vasto progetto di riqualificazione che da tempo si prometteva di ridare dignità alla struttura: un piano regolatore che prevedeva l'acquisto da parte del comune delle cascine circostanti ed il loro recupero per l'inserimento di residenze e di un ecomuseo. La proposta della Circoscrizione, che ha già avviato i primi lavori sulle cascine, è stata ritenuta perfettamente aderente al progetto di valorizzazione; Il castello invece, legato ai proprietari da un vincolo testamentario è quindi stato escluso dai restauri. Oggi il castello è in vendita tramite la famosissima casa d’aste Sotheby’s; ci sarebbero state, in un passato recente, importanti personalità interessate. La Soprintendenza lo ha inserito nell’elenco infinito degli edifici tutelati. Forse un po’ tardi…
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È LEGALE L’URBEX? CHIARIAMOLO IN 10 PUNTI
Tratto da www.ascosilasciti.com
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Lo Stato in cui si trova l’immobile. Inteso come la nazione in cui si trova. Ognuna con le sue lingue, le sue culture e soprattutto… le sue regole! Esiste un’enorme differenza di conseguenze legali se la stessa azione viene svolta in Lituania o in Italia. Aldilà delle leggi che possono tutelare e condannare, ricordiamo bene che in alcuni Stati, prima di uscire vincitori da una causa legale e le pubbliche scuse dell’accusa, si rischia di passare da un bel “servizio educativo” della polizia locale. Non sempre negli Stati più monarchici avrete la detenzione assicurata e in quelli più democratici, la certezza di farla franca. Non avendo tempo nè risorse sufficienti per affrontare la questione di ogni singola Nazione, ci concentreremo a sviscerare il, già complesso, codice del nostro Bel Paese.
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Accessi aperti. Mancanza di recinzione, porte spalancate o inesistenti, grosse aperture nei muri perimetrali, insomma tutti i varchi aperti sono “amici dell’urbex”. Tutto cambia se per accedere a un luogo abbandonato, proverete ad aprire porte chiuse o scavalcare muri (la questione cambierebbe anche per ogni metro di altezza dei perimetri…), il che costituisce violazione di domicilio privato. Crearsi entrate con forza o manomettendo recinzioni, è sufficiente invece perchè l’accusa diventi una frizzantissima “effrazione con scasso”. Giroinfoto Magazine nr. 47
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Lo stato in cui versa l’immobile, ma questa volta intesa come condizione. Finestre rotte, muri crepati, tetti squarciati, muffa e vegetazione incontrollata, porte spalancate, sono tutti segni di chiaro abbandono che potrebbero tutelare l’esploratore. L’attenuante di “immobile in chiaro stato di abbandono” non è da sottovalutare, per quanto non vi sia nulla di codificato. In un’alta percentuale dei casi può però assolvere l’esploratore da accuse di violazione di domicilio.
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Cartelli e avvertimenti. Controllare l’eventuale presenza di cartelli di monito non sarebbe troppo sbagliato (proprietà privata o divieto di accesso). La loro assenza o illeggibilità (magari pioggia e vento hanno fatto arrugginire il ferro dell’affisso o marcire il legno del manifesto) potrebbero comportare buoni sgravi di responsabilità. Insomma, un’ulteriore attenuante, che male non fa’…
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Non toccare nulla. Per chi non lo conoscesse, il comandamento dell’Urbex “prendi solo foto, lascia solo impronte” è un promemoria anche di tutela legale. I souvenir, fosse anche un sasso del muro di un manicomio abbandonato, non sono contemplati come legali.
Strumenti che portate con voi. Conosciamo tutti, o almeno immaginiamo, il rischio di entrare in un edificio abbandonato, potenzialmente abitato da malviventi. Purtroppo no…non basta questo pretesto per portarsi un machete, nemmeno con l’altruistico fine di accettare l’incolto prato della magione. Ma attenzione, anche con un bastone da trekking, o altri strumenti apparentemente innocui, potrebbero scattare l’aggravante di “arma bianca”. Nessuna arma da difesa, all’infuori del cavalletto o di un ramo trovato sul posto, si può….accettare!
Avvisi e permessi. Torniamo al tema clou. Anche a costo di passare come noiosi genitori apprensivi, sconsigliamo sempre di esplorare questi posti. Se proprio doveste sentirne l’irrefrenabile impulso, avvisate le autorità competenti, nel caso di edifici comunali/statali, o i proprietari/ guardiani per ottenere il permesso ad entrare. Anche a costo di creare allarmismi. Oppure rivolgetevi ad alcune associazioni che operano tramite quest’ultimi. Diffidate dalle organizzazioni che si disinteressano della questione legale e vi fanno clandestinamente introdurre in pericolosi edifici abbandonati.
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Anzi, sarebbe meglio prendere solo foto (nel senso di scattarle, ovviamente, non di rubare gli album di famiglia sul comò impolverato) e non lasciare alcuna impronta. Come mai? Udite-udite, per creare il giusto setting alle proprie foto, basta solo spostare gli oggetti e gli arredi, ed essere colti sul fatto, per una bella “accusa di tentato furto”.
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Non scappare e collaborare sempre con le autorità. Se avete seguito i consigli sopra citati, potete sentirvi tranquilli. Motivo per cui, mostratevi per quello che siete e avete fatto. E’ sempre buona norma collaborare enunciando le proprie intenzioni. Così facendo sarete fuori dai guai nel 90% dei casi.
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Rispettare tutti gli 8 punti. La somma delle probabilità di non passare guai seri, che viene fuori rispettando gli 8 punti, vi assolve al 99,9%, parlando dal punto di vista penale. Più complessa diviene la questione civile, che dipende maggiormente dalla volontà del proprietario di volervi eventualmente punire, denunciandovi.
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Incertezza. L’incertezza, purtroppo, rimane l’unica certezza. Tranquilli al 100% non lo sarete mai. Unico modo per sentirvi realmente tutelati è di ascoltare il consiglio enunciato al punto 7. Odiate da molti, poiché danno in pasto alcuni luoghi abbandonati al grande pubblico, queste Associazioni (solo quelle che operano tramite mezzi legali) sono in realtà le uniche a tutelare i luoghi abbandonati in tre modi: si rivolgono ai proprietari ottenendo i permessi di visita; danno visibilità ad alcuni posti altrimenti destinati a marcire nell’indifferenza; scelgono come meta per i loro viaggi solitamente luoghi già devastati dal tempo e dai vandali, per non esporre al turismo di massa gli edifici ancora intatti, accelerandone il declino. Intanto, l’unica certezza è che, come scriveva il romantico François-René de Chateaubriand, tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine. Giroinfoto Magazine nr. 47
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RIVISITARE INTERVISTA A FRANCESCO PORTELLI A CURA DI BARBARA TONIN Torino ha sempre ispirato e attratto non solo innumerevoli visitatori, ma anche illustri storici, artisti e letterati. Nei numeri precedenti abbiamo raccontato la sua storia e la sua arte, i suoi lati oscuri e misteriosi e il suo misticismo, ma anche i luoghi amati da chi la vive e l’ha vissuta. L’abbiamo mostrata nella sua quotidianità, ma con uno sguardo al passato. Abbiamo svelato i suoi dettagli e quei particolari che la familiarità non ci ha mai fatto vedere o ci ha fatto dimenticare. Ma c’è ancora molto da “far vedere”. La nostra città si può rivisitare e reinterpretare con nuovi occhi, con il nostro cuore, in modo nuovo e diverso per ognuno di noi. Abbiamo chiesto a Francesco Portelli di raccontare la sua Torino. Fotografo professionista e “torinese doc”, Francesco Portelli si è avvicinato già da bambino alla fotografia, un interesse che nel tempo si è trasformato in passione, tanto da farne anche una professione.
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Ciao Francesco, la prima cosa che volevamo chiederti è che ti sei specializzato in diversi stili fotografici, ma quello che prediligi è sicuramente la Street Photography. Come ti sei avvicinato a questo stile? Ti sei ispirato ai “grandi maestri” o ti ha spinto la curiosità e il desiderio di immortalare momenti di vita quotidiana?
Nonostante io abbia iniziato il mio percorso fotografico professionale con altri generi, il fotogiornalismo è sempre stata la mia passione più grande. La strada, in particolare, è sempre stata la mia fonte di ispirazione per tutta la mia fotografia. La strada mi permette di stare in mezzo alle persone e di assistere a scene di vita vere. È la realtà, niente di costruito, niente di falso, niente di inventato. Oggi viviamo in un mondo sempre di corsa. Siamo in mezzo alle persone, ma pensiamo alle nostre cose ed il più delle volte non guardiamo neanche il viso di chi è seduto davanti a noi sull’autobus. La fotografia street secondo me è un omaggio alle persone. Ritrarre qualcuno nelle mie foto è come dirgli “io ti ho visto, mi sono accorto di te. Tu per me esisti”. Ho la possibilità di raccontare un istante della vita di qualcuno e di creare così un documento storico del nostro tempo. Io questo lo trovo meraviglioso. In passato ho studiato la fotografia di grandi maestri come Bresson, Frank o Fan Ho, ma ho sempre cercato di non ispirarmi troppo a loro. Volevo dare il mio punto di vista personale e non riproporre idee e contenuti di altri. In questo mi hanno aiutato i miei studi da grafico e la mia passione sfrenata per Caravaggio. Un mix quindi tra geometrie ed uso estremo della luce.
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Le tue foto giocano molto non solo sulle geometrie ma soprattutto sui contrasti di luce. Come è stato influenzato il tuo stile? Nel corso del tempo ho portato la mia fotografia ad essere sempre più minimal, sempre più asciutta. Non è tanto importante ciò che inserisco, ma piuttosto cosa escludo dall’inquadratura. Così come amo i forti contrasti di luce, nella mia fotografia street cerco di mettere sempre in rilievo il contrasto tra gli elementi statici urbani ed il movimento del soggetto umano. Viviamo sempre di corsa, compiendo azioni in ogni istante. Cerco di mostrare come le persone si muovono tra le strutture delle grandi città. Un soggetto che compie un’azione in un determinato luogo. Il modo in cui utilizzo la luce mi aiuta a creare immagini urbane a volte surreali che escono dallo spazio e dal tempo. Luoghi astratti che mostrano la città sotto un’altra chiave di lettura.
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Come “vedi” Torino? Il suo stile architettonico può influenzare il modo di fotografarla? Ad esempio, meglio a colori o in bianco e nero? È maggiormente valorizzata se fotografata con forti contrasti o con toni morbidi? Tutta la mia fotografia street è in bianco e nero. Scelgo di non utilizzare il colore proprio perché nella mia idea di fotografia minimal, il colore sarebbe solo un elemento di disturbo. L’architettura barocca e liberty di Torino la rende perfetta per un racconto fotografico in bianco e nero. I contrasti di luce creati dai portici disegnano geometrie e prospettive uniche. Credo che i contrasti forti delle mie immagini rispecchino perfettamente l’anima di Torino e la sua doppia personalità. Torino infatti è una città fredda ed austera, ma nello stesso tempo accogliente e gentile. È una città grigia e malinconica, ma anche elegante ed affascinante. Adoro girare per le vie di Torino e scattare in ogni stagione dell’anno, perché ogni giorno mi offre spunti diversi ed interessanti. Giroinfoto Magazine nr. 47
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Come ogni città, anche Torino ha zone ed edifici poco “attraenti”. Si può comunque ricavare qualche scatto artistico? Qualsiasi quartiere può essere lo scenario perfetto per ottime fotografie. Bisogna solo sapere cosa guardare e riuscire a mettere nella giusta correlazione le persone con il contesto urbano. Ma la vera chiave per riuscire a realizzare delle fotografie che comunichino è vivere la strada. Camminare, osservare, stare in mezzo alla gente. Che sia in un quartiere del centro o in periferia poco importa.
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Ormai conosci Torino come le tue tasche. Quando decidi di uscire per nuovi scatti, hai già chiaro dove dirigerti e che tipo di risultato ottenere?
Non so mai se e quante foto porterò a casa dopo un’uscita fotografica. In realtà non mi interessa molto questo aspetto. Ci sono giorni che scatto molto ed altri dove torno con poche foto. Ma va bene così. Osservare per me è già fotografare, l’unica differenza è che a volte quelle immagini restano nella mia mente e non nella macchina fotografica. In genere, se la giornata è molto soleggiata cerco zone che mi abbiano grandi contrasti, come ad esempio i portici. Qui riesco ad ottenere bellissime geometrie e prospettive. In inverno, invece, nelle classiche giornate grigie o piovose di Torino, mi concentro più sulle persone che sugli edifici.
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Torino è una città altamente turistica. Nelle foto l’elemento umano a volte è gradito a volte no. Che ruolo hanno le persone nelle tue foto? Come possiamo integrarle alla città in modo artistico? Nei tuoi scatti hanno la stessa importanza dell’ambiente circostante o componi il fotogramma in modo da valorizzarle?
Nelle mie immagini le persone non sempre sono i soggetti delle foto. Spesso diventano anch’essi elementi della scena ed assumono il medesimo valore di altri elementi urbani. Cerco di inserire sempre e solo una persona nelle mie immagini. Difficilmente ritraggo gruppi di persone. Questo perché mi piace creare anche un po’ di malinconia e solitudine nella scena. Questa persona però non è mai messa a caso nella foto. Deve essere posizionata in un punto ben preciso per dare il significato che voglio all’immagine. Questo a volte significa tanta attesa, perché devo aspettare e sperare che qualcuno passi esattamente dove voglio io.
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Come ti poni nei confronti delle persone che vuoi includere nella foto?
In genere nessuno si accorge di essere ritratto da me, anche perchĂŠ difficilmente i miei soggetti umani si vedono in viso. Anzi, spesso sono ripresi da una certa distanza. Quindi non ho mai grossi problemi in questo.
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In alcune tue foto sono rappresentate vie o zone molto conosciute, ma difficilmente riconoscibili a colpo d’occhio. Come riesci a dare una nuova veste a Torino? È il mio obbiettivo. Cercare di mostrare le città da un punto di vista completamente nuovo ed inedito. Ho tante foto realizzate in centro a Torino, ma spesso anche i torinesi fanno fatica a capire dove sono state scattate. In verità, però, a parte alcune foto veramente astratte, ci sono sempre degli elementi nell’immagine che riconducono a luoghi e vie conosciute. Lascio qualche indizio che riconduca ai luoghi in cui le ho scattate.
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Alex Webb nel libro “Street Photography e immagine poetica” afferma: “Per quanto mi riguarda, fare Street Photography non significa necessariamente fotografare per strada. Le strade, infatti, non sempre sono rappresentative di una cultura. La Street Photography suggerisce piuttosto l’atteggiamento o la presa di posizione del fotografo di fronte al mondo. Cosa ne pensi? Cosa e quanto c’è di te nelle tue foto quando fotografi Torino?
Sono d’accordo con Webb. La cosa importante è il racconto che c’è dentro ad un immagine. La fotografia non è altro che il mezzo usato dal fotografo per raccontare un po’ di sé agli altri. Poco importa se sia in strada o in un altro contesto.
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Ad oggi Instagram ha milioni di foto su Torino. Pensi che le location e le occasioni possano ad un certo punto esaurirsi con un “già visto” o Torino avrà sempre qualche scatto interessante da regalare?
Io penso che ci sarà sempre modo di creare immagini originali. L’unico limite è la fantasia e la capacità di esprimersi.
Torino non è da meno, pur mantenendo però quell’eleganza intramontabile che la contraddistingue.
È vero, ci sono milioni di foto di Torino, ma pensiamo ad esempio a New York che è una delle città più fotografate al mondo. Di New York ci saranno decine e decine di milioni di foto in giro. Tutto sembra già visto e rivisto. Ci sono però dei fotografi newyorkesi che con le loro immagini mi fanno sempre emozionare, perché sono in grado di andare oltre, di vedere quello che la massa non vede.
Da pochi mesi sono uscito con il mio primo libro fotografico “Urbanity - The urban umanity”. Un anno e mezzo di street photography racchiuso in 100 pagine. Come primo libro, ho voluto fare un omaggio alla mia città ed ho inserito solo foto scattate qui a Torino.
Cambiano le epoche, le mode e le stesse persone. Già solo questo spostamento storico e sociale è sufficiente per riuscire ad ottenere sempre immagini nuove.
Non è un libro su Torino, ma è la mia visione diversa e fuori dagli schemi della street photography, che però ha come palcoscenico Torino. Contro ogni mia aspettativa ho ricevuto ordinazioni per il libro da tutto il mondo ed è per me un grande onore sapere che tante persone di altri paesi stranieri conosceranno Torino grazie alle mie immagini.
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Il primo vero viaggio della mia vita è stato un tour in macchina lungo la costa francese, parte della Provenza, la Spagna e il Marocco. Partenza dalla mia città di origine, 24 ore di auto fino a Granada facendo turni alla guida, la Costa del Sol attraverso Malaga, Torremolinos e Marbella, fino ad Algeciras per salire su un traghetto ed arrivare a Ceuta in Marocco. Sempre in auto, su strade decisamente sconnesse, le successive tappe sono state Rabat, Casablanca, Agadir, Marrakech, Fès e Meknès con visita di Moulay Driss Zerhoun o Moulay Idriss e Volubilis. Finito il tour del Marocco, sulla strada di ritorno attraverso l’interno della Spagna ci sono state tappe a Siviglia, Cordova, Toledo, Madrid, Saragozza e lo sprint finale nuovamente sulla costa francese.
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| FES | TESSITORI, ARTIGIANI DEL RAME E CONCIATORI DI PELLI Già allora ero rimasta affascinata dalla bellezza di questo paese, dalle sue meraviglie architettoniche, i prodotti artigianali e i paesaggi sconfinati e sempre diversi a seconda se ci trova sul mare oppure nell’interno, se non addirittura nel deserto. Particolarmente interessante è stata la visita alle concerie di pelli che si possono visitare a Marrakech e a Fès delle quali avevo sentire parlare con entusiasmo. A Fès ho scoperto altre categorie di artigianato che meritano di essere esplorate come gli artigiani del rame e i tessitori.
Dopo qualche anno, parlando con un’amica su dove passare una settimana al caldo per sfuggire ad un rigido inverno italiano, decidiamo di tornare in Marocco. Stavolta con un aereo per risparmiare sia tempo che denaro. Ci sono molti voli di compagnie low cost che volano verso il Marocco a prezzi decisamente convenienti. La prima volta il viaggio si è svolto nel mese di Agosto sotto un caldo decisamente torrido, mentre la seconda volta era fine Aprile. La differenza climatica sta in parte nel periodo e in parte a seconda delle zone che si frequentano. A Fès il clima passa dai circa 7°C di minima a Gennaio ai 32°C circa in estate. L’inverno può essere piovoso per via della particolare posizione della città. A volte ci si trova anche a vedere il fenomeno della nebbia che, nel momento in cui ci sono stata, ha
causato un ritardo notevole nella partenza dell’aereo di ritorno in Italia. Durante tutto il viaggio abbiamo pernottato nei riad riyā� - ossia quella che per secoli è stata l’abitazione urbana tradizionale del Marocco. In principio si trovavano solo nelle medine, i centri storici delle città, oggi sono diventati estremamente popolari e sono stati trasformati principalmente in alberghi. In genere sono disposti su più piani perché la cultura maghrebina dà molta importanza allo spazio. Tra le caratteristiche uniche dei riyā� noterete che sono completamente chiusi verso l'esterno e sono strutturati attorno a un cortile o giardino centrale, secondo il modello tipico arabo-andaluso. Fatto sempre culturale è che tutte le stanze si affacciano sul cortile centrale e non all'esterno, consuetudine che deriva dalle regole islamiche riguardanti l'importanza della privacy. Sono decorati in modo raffinato, secondo sistemi tradizionali come ad esempio figure geometriche, arabeschi e mosaici.
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FES ARTI E MESTIERI A parte essere calati nella vita vorticosa della medina stessa, alloggiando in un riad si assapora l’osmosi con la cultura marocchina. Le stanze sono sempre diverse, arredate in modo tradizionale, accoglienti e stranamente silenziose.
rilassante in riva al mare. Con un pullman notturno siamo tornate a Marrakech per continuare fino a Fès che sarà l’ultima tappa del viaggio insieme a Mèknes e Volubilis, come nella prima permanenza in Marocco.
Compreso nel prezzo si trova sempre la colazione alla maniera maghrebina: dolce, calorica, abbondante ma, soprattutto impossibile resisterle. Potrete trovare succhi di frutta, thè caldo servito nei tipici bicchierini di vetro, caffè di vario genere, frittate, a volte un formaggio cremoso, il tutto accompagnato da due preparati simili al pane.
Fès, capoluogo della regione Fès-Meknès, è una città santa in Marocco, si trova in una regione collinosa ed è collocata in una vallata. Si pensa che la sua fondazione ebbe inizio nel 789 d.C. per volere di un discendente del profeta, Idrīs ibn Idrīs che ne fece la sua capitale prendendo il suo nome dal fiume sulle cui rive sorgeva, il Wadi Fās.
Uno è una specie di pancake (msemen) e il secondo è una crèpe (baghrir). Su questi potrete spalmare le marmellate o il miele che troverete sul tavolo della vostra colazione. Continuo a sognare di ripetere una colazione del genere!
Nel mondo islamico è considerata una delle vecchie città più interessanti dal punto di vista dei monumenti, mercati e moschee.
Partendo da Marrakech, dove abbiamo passato qualche giorno, abbiamo preso un pullman per Agadir e vi abbiamo trascorso un paio di giornate
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Fès è la più antica delle quattro Città Imperiali – Fès, Marrakech, Mèknes, Rabat - che devono la loro nomea alle diverse dinastie regnanti che le scelsero come residenze, facendone luoghi di rara bellezza costruendo notevoli opere architettoniche.
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Fès deve anche il suo originario prestigio alla presenza della più antica università presente sul territorio... e non solo per via della sua prevalenza politica. L’università – moschea al-Qarawiyyin è stata improntata sulla cultura e sull’arte della civiltà musulmana nordafricana, pur essendo stata, al principio, basata sull’istruzione religiosa e discussione politica. L’università, nata come moschea, è anche la più antica istituzione educativa al mondo (859 d.C.) e la sua fondazione ad opera di donne islamiche fa di essa un monumento con caratteristiche uniche. Più piccola in origine, è stata ampliata nel 11351144. La moschea di al-Qarawiyyin ospita una biblioteca di antichi testi islamici, una collezione di quattromila libri rari e antichi manoscritti in arabo dei più celebri intellettuali della regione, tra cui una copia del Corano risalente al IX secolo e un volume di giurisprudenza islamica del filosofo Averroè, considerato il più influente filosofo musulmano del Medioevo. La curiosità è che la sua biblioteca è stata restaurata da un’altra donna, un architetto canadese donna di origine marocchina. L’università è ancora una prestigiosa istituzione e oggi si è trasferita in una nuova sede più moderna, ma sia la moschea sia la biblioteca sono rimaste nell’edificio antico, sempre aperte al pubblico per le visite. Altre tradizioni tipiche della città di Fès sono le ceramiche blu, i piatti di rame, la lavorazione del legno di cedro proveniente dalla vicina Foresta di Cedri e i lavori in cuoio con la concia delle pelli.
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Queste lavorazioni sono ancor oggi eseguite con metodi tradizionali piuttosto antichi.
Passeggiando nella medina, il cuore pulsante più antico della città, si possono vedere artigiani che tessono tappeti e tessuti di fibre di aloe o lana con vecchi telai, fabbricano mattoni da essiccare al sole oppure decorano con mosaici. La medina, circondata da maestose mura del IX secolo, è stata oggetto di un’imponente opera di ristrutturazione, come anche altre città marocchine, che l’ha trasformata in un’isola pedonale immensa. Secondo ciò che dicono gli abitanti di Fès, è un dedalo di 10.000 vicoli in cui ci si può “perdere” gustando ogni metro che si percorre nei vicoli del sūq tra i colori più brillanti, profumi inebrianti, spezie, borse e babouches, cuscini, lampade in ferro battuto, la djellaba - la tunica tradizionale spesso ricamata in oro e argento, palazzi adornati da ori e stucchi e piccole curiosità tipiche della cultura maghrebina. Anche fuori dalla medina, varcata la grande porta Bab Boujloud, si trovano migliaia di case storiche, antichi mausolei e preziose moschee. Una delle bellezze di Fès sono gli artigiani del rame e dell’ottone che si trovano principalmente in Place
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Seffarine. Una tappa nella piazza è inevitabile per osservare la lavorazione dei piatti e delle pentole, che vengono martellate dagli artigiani. La conceria Chouara è una tappa imprescindibile e tra le più antiche, risale al XII secolo ed è entrata a far parte del patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco. Qualcuno si avvicina alle vasche con un rametto di menta sotto il naso per mitigare il cattivo odore. Forse in inverno l’odore potrebbe essere sopportabile, mentre nelle stagioni calde diventa un po' più difficile abituarsi a quest’odore penetrante. Comunque, seguendo l’odore, si riesce ad arrivare nei luoghi dove si conciano le pelli. In effetti, essendo nascoste in un dedalo di vicoli, non è così semplice trovarle. Nel labirinto della medina è facile perdersi ma, del resto, cosa c’è di più intrigante di girare in un luogo sconosciuto, senza meta e senza paura di perdersi?
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Per vedere le vasche della concia la cosa migliore da fare è trovare un punto panoramico per affacciarsi sulle vasche per la tintura.
Ai turisti non è permesso accedere alle vasche per evitare il rischio di cadere nelle vasche di colorazione. Ci sono diversi caffè e botteghe da cui si vedono le vasche dall’alto, magari sorseggiando un buon thè caldo alla maniera marocchina. Non serve altro che chiedere ai negozianti di accedere alle terrazze, magari lasciando una piccola mancia oppure acquistando uno dei prodotti artigianali creati proprio con quelle pelli conciate per godere anche di coloriti racconti su queste pratiche antiche. In questo quartiere tutto orbita intorno alla conciatura delle pelli, che siano di cammello, di mucca, di pecora oppure di capra. Le vasche sono in pietra, circolari o quadrate e, dentro ad ognuna di esse, c’è una mistura acqua, sale, calce e urina di mucca. Questo primo passaggio permette di eliminare residui di grasso, carne, peli, etc. Sono le vasche più chiare.
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Come tutti sappiamo le pelli vanno ammorbidite prima di poter essere usate per creare oggetti vari. Per fare ciò i conciatori pestano con i piedi le pelli dentro le vasche per un tempo ben preciso. Sappiate che ciò che rende queste zone della medina maleodoranti è dovuto ai “prodotti” utilizzati per arrivare al prodotto. So che non sarà facile da immaginare ma, oltre all’urina di mucca, vengono usati escrementi di piccione. Questi ultimi sono particolarmente ricercati perché contengono ammoniaca che agisce come agente di ammorbidimento delle pelli. Questo procedimento dona alle pelli malleabilità e ne permette la colorazione in modo più semplice. Pertanto è giusto spendere qualche parola sui raccoglitori di guano, i ragazzini che lo prelevano dalle piccionaie. Usano dei raschietti per raccogliere gli escrementi di piccione che vengono poi venduti sul mercato. Tutto ciò ha un duplice obiettivo: racimolare una paghetta e tenere pulita la medina, lavoro socialmente utile a favore della gestione della medina. Teniamo conto che gli escrementi devono avere le giuste caratteristiche per poter essere utilizzati nella conciatura. Devono essere di buona qualità, solidi al punto giusto e possibilmente privi di impurità. Per i piccoli imprenditori l’obiettivo del futuro e il sogno nel cassetto è rappresentato dal possedere un piccione di proprietà.
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Per la colorazione in passato venivano usati coloranti naturali come avveniva anche in altre parti del mondo.
Potevano essere curcuma, zafferano, papavero, menta, melograno, legno di cedro e altri. L’olio di oliva serve per la lucidatura. Al giorno d’oggi purtroppo sono arrivati i coloranti chimici che sicuramente rovinano un poco la magia di un lavoro così antico e soprattutto non sono igienici per la salute di coloro che si calano nelle vasche, a mollo, fino alle ginocchia. I conciatori immergono le pelli nelle vasche per poi asciugarle all’aria aperta. Le immergono, le girano, le impastano, le strizzano e infine le stendono, su pergolati, appesi come se fossero biancheria, oppure le stendono sui tetti. Finito il processo di conciatura, ammorbidimento e asciugatura queste pelli, variamente colorate, diventano borse, portafogli, babbucce, cinture e cuscini. Visti gli oggetti che ne nascono possiamo affermare che il lavoro dei conciatori è senza dubbio straordinario. Faticoso, insalubre ma senza questi uomini non si potrebbe fabbricare questi pezzi unici di artigianato che hanno reso famoso il Marocco in tutto il mondo.
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FES ARTI E MESTIERI L’odore delle concerie ci segue fino all’arrivo ad un piccolo bar nella medina dove si conclude la giornata, in attesa di trovare un locale tipico per la cena, sempre nella medina. Infatti la cucina tipica marocchina, nella sua filosofia, associa con sapienza ed arte dolce e salato, agrumi, miele, cannella, acqua di fiori d’arancio. Pertanto assaggiare la cucina tipica è una delle cose da fare in questo paese sorprendente. Ricordate che Fès è anche la capitale del benessere. Negli hammam si trovano bagni di vapore, rilassanti e indicati per la cura della pelle. Non limitatevi alla visita di una sola città, anche le altre sono da non perdere!
Monica Gotta
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WORKING GROUP 2019
BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project
ITALIA
ORINO ALL AMERICAN
REPORT
Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 47
STORIES
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COME FUNZIONA Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.
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CHI PUÒ PARTECIPARE
Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.
PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.
SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto, si trova a Torino. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.
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PORTO ANTICO DI GENOVA - REUNION
REUNION AL PORTO ANTICO a cura di Sara Morgia
GENOVA La cornice del Porto Antico di Genova in estate si trasforma in un grande palco affacciato sul mare che ospita artisti provenienti da tutto il mondo ad animare le notti genovesi. Gli eventi culturali sono ormai un appuntamento fisso nell’agenda della Superba le cui date sono visibili sulla pagina facebook del “Palco del Mare”.
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Il Porto Antico di Genova , ha una lunga storia. Un porto naturale, protetto dai venti ed in posizione strategica già dal Medioevo, era un punto di riferimento nei traffici internazionali fino a diventare il fulcro dei commerci marittimi con tutto il mediterraneo nel ‘500 nel periodo conosciuto come “il Secolo dei genovesi”. Con la scoperta dell’America i traffici vennero deviati nell’Atlantico, ma tra fine 800 ed inizio del XX secolo con la costruzione del nuovo porto si ebbe un nuovo periodo di espansione marittima. Lentamente i traffici marittimi si sono spostati sempre più a Ponente lasciando quasi abbandonata l’area fino ad arrivare al 1992, anno della ristrutturazione per le celebrazioni colombiane, su progetto di Renzo Piano, le quali hanno donato nuovamente lustro alla zona, ricollegandola con la città e rendendola un punto di aggregazione e di interesse turistico. Martedì 30 Luglio 2019, al Porto Antico di Genova i Reunion hanno presentato “Abbey Road Studio”.
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PORTO ANTICO DI GENOVA - REUNION
Partendo dai Beatles hanno ripercorso i brani dei musicisti che hanno registrato nei famosi Studi londinesi scrivendo la storia della musica internazionale. I Reunion sono la prima Beatles Tribute Band d’Italia e tra le prime di tutta Europa. Nati nel 1982 hanno raccontato la storia dei Beatles attraverso la loro musica, sempre rimanendo fedeli alle esecuzioni dei brani originali e alla loro rigorosa interpretazione. Durante il concerto si sono fatti affiancare da grandi artisti nazionali ed internazionali: le Farfalle Impazzite, una band Doo Wop composta da Silvia De Nadai, Cinzia Bernardi, Roberta Rapetti, Claudia Tirasso, Linda Giovinazzo che hanno conquistato il palco con il loro sound anni ‘50; la bellissima Nkem Favour Nwabisi che con la sua voce calda ha incantato tutta la platea e Roberto Leoncino che ha fatto risuonare il riff e assolo di I wish you were here.
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I Reunion si sono presentati nella seguente formazione
Francesco “Fisher” Sandi – Chitarra e Voce Luciano Ottonello – Chitarra e Voce Luca Dondero – Tastiere e Voce Stefano Cavallo - Basso e Voce Luciano Drumide Ventriglia - Percussioni e Voce Aldo de Scalzi - Tastiere e Voce Genova è da sempre stata patria della buona musica e punto di incontro di grandi artisti, e questa serata né è stata dimostrazione e consacrazione al tempo stesso. Nel ripercorrere i brani musicali il pubblico si è immerso negli anni ‘60 e ‘70 passando dai Beatles, agli Animals, ai Queen e ai Led Zeppelin fino ad arrivare ai giorni d’oggi con gli Oasis. Un periodo storico che dal punto artistico e culturale ha creato un divario con il passato e ci ha portati all’era moderna alla quale tutt’oggi siamo legati.
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PORTO ANTICO DI GENOVA - REUNION
Proprio quest’ atmosfera ha permeato il palco e la platea, da chi ha vissuto in prima persona quegli anni fino ai più giovani, tutti si sono sentiti un po’ capelloni, un po’ Hippy, per risvegliarsi poi a fine concerto nel 2019, ma forse carichi di quella fiducia che è ancora viva in questa musica. Ed è proprio la magia della musica che i Reunion ci hanno trasmesso, quella di non essere mai fuori dal tempo e di poter mantenere vivi quegli ideali che hanno rivoluzionato gli anni ‘60 partendo dalla musica nelle strade, passando nei cuori delle persone fino ad arrivare alla politica. Dopo aver assistito al loro bellissimo concerto riusciamo a fare qualche domanda al Frontman, Francesco Fisher Sandi
In queste canzoni è lampante il senso di speranza, di desiderio di cambiamento e di un ottimismo generale che ha coinvolto ed influenzato quella generazione di ventenni.
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Qual è il Vostro rapporto con Genova, la Vostra città? Siamo cresciuti nel mondo dei cantautori e dei gruppi rock di Genova ed in un certo modo ne facciamo parte perché abbiamo collaborato con diversi di loro e Genova è sempre una città stimolante dal punto di vista creativo Come vedete il nuovo panorama musicale italiano? Com'è cambiato da quando avete iniziato a suonare? Francamente conosco poco il panorama attuale. So che c’è gente che scrive e che canta in maniera abbastanza tradizionale non però a livello di quelli che scrivevano e cantavano in maniera tradizionale, poi ci sono delle realtà diverse che francamente non comprendo in quanto realtà musicali.
Quindi vale per tutto e vale anche per la musica. Chiaramente ci si fa promozione tramite i Social e se si tratta di roba virtuosa viva i Social, in caso contrario abbasso i Social. Il tema del Vostro concerto è stato Abbey road. Cosa rappresenta per voi? Cosa avete provato registrando in quegli studi? Per un creativo come me essere negli studi dove lavoravano e componevano (perché non vi registravano solo) i Beatles è stata probabilmente una delle emozioni più grosse della mia vita artistica. Quali sono i Vostri progetti futuri? Dove vi vedremo prossimamente?
Cosa pensate dei Social come strumento di pubblicità e condivisione nel mondo della musica?
Francamente non lo so, forse dovremmo rivisitare tutto dal punto di vista acustico perché nell’esibizione acustica c’è tutta l’essenza della musica, per cui reinventeremo tutto un discorso in chiave acustica, senza strumenti elettrici e basandoci sulle voci e sulle sfumature che si possono ottenere. Per quanto riguarda lo scrivere è un po’ difficile oggi farlo in quanto a livello valido non sta scrivendo quasi più nessuno quindi stiamo attraversando un periodo un po’ più tranquillo rispetto ad altri.
I Social hanno una funzione buona quando diffondono il bene ed una funzione cattiva quando diffondono il male.
Aspettiamo quindi alla finestra per poter ascoltare i brani rivisitati in chiave acustica e nell’attesa di nuove date per i loro prossimi concerti.
Per cui se leviamo la realtà musicale e mettiamo la realtà comunicativa posso dire che non fa parte del mio mondo ma la posso anche comprendere. Dal punto di vista musicale faccio proprio fatica, per me non esiste proprio. Parlo del Rap prima e del Trap dopo.
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REU NION Giroinfoto Magazine nr. 47
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ASTI 2019 - DOPPIO PALIO
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IL PALIO DI ASTI Il più antico d'Italia con origini medievali, rende omaggio alla celebrazione del Santo Patrono San Secondo. Le prime testimonianze del cronista Guglielmo Ventura, risalgono alla metà del XIII secolo, ma pare che fin dal XII secolo la manifestazione si tenga nella città di Asti, ininterrottamente fino ad oggi. La gara dei fantini che corrono a "pelo" sui cavalli delle contrade, un tempo si teneva durante le feste patronali nel mese di maggio e si galoppava in una strada "alla lunga" attraverso la contrada Maestra (oggi l'attuale corso Afieri). Dal 1967, il Consiglio del Palio modificò il percorso rendendolo "a giro", come tutt'oggi si disputa.
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sicut fieri solet Ast, in festo Beati Secundi "come risulta essere solito ad Asti, durante la festa del Beato Secondo". 1 Settembre 2019 La Storia del Palio di Asti si ripete dall'anno 1275, con un evento affascinante e importantissimo per la CittĂ , che quest'anno mette in scena un'edizione straordinaria che prevede due vincitori: uno per il Palio di Asti dei Rioni ed un altro per il Palio dei Comuni. UN DOPPIO PALIO Per celebrare i 1900 anni dal martirio del Santo Patrono della CittĂ : San Secondo.
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Ma il palio non è solo il giorno della corsa. Le iniziative della manifestazione cominciano già giovedì 29 agosto, con Asti che si anima di sbandieratori, spettacoli e moltissime attività come i mercati locali. Il giorno prima della gara, sabato 30 agosto, si tengono le prove ufficiali del Palio, dopo la grande sfilata dei bambini dei Rioni e dei Comuni per le vie del paese, da Piazza Cattedrale fino all'anello del Palio di Piazza Alfieri, con la partecipazione del 4° Reggimento a Cavallo dell'Arma dei Carabinieri, mentre la sera si svolgeranno le cene propiziatrici delle squadre e dei suoi sostenitori. Quest'anno si sono presentate davanti al canapo, presieduto dal giudice Renato Bircolotti, tre batterie di 21 delegazioni, secondo il sorteggio avvenuto il giovedì precedente.
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IL CANAPO è la corda in canapa che serve a delimitare l'area della "mossa", ovvero della partenza della gara ippica del palio. Un termine molto antico già presente nelle citazioni di Ferdinando Gabotto del 1406, come spese sostenute per il palio di Asti. Questa corda di generose dimensioni viene tesa da un argano meccanico posto all'esterno dello steccato e rilasciato dalla parte dell'interno al comando del "mossiere" per la partenza della batteria. Il canapo viene bagnato per aumentare il peso e fare in modo che al comando cada a terra piÚ velocemente.
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Terminate le prove generali della vigilia del palio, il giorno successivo la giornata prende vita fin dal mattino con la Messa solenne in ogni parrocchia della città e dei comuni partecipanti con la benedizione del cavallo e del fantino di delegazione in un momento in cui sacro e profano si uniscono nell’invocazione religiosa diretta al Santo titolare per la vittoria del Palio. Dopo la chiusura della benedizione con le tradizionali parole “Andate e tornate vincitori” i riti della Festa continuano trasferendosi nelle vie del centro per assistere al corteo storico con la sbandierata dell'ASTA, il gruppo ufficiale degli Sbandieratori di Tradizione Artigiana. Il corteo storico, con in testa il vincitore dell'anno precedente, si muove fino in piazza della Cattedrale raggiungendo la Piazza Alfieri dove alle 16:00, prende il via il Palio vero e proprio.
Oggi si corre il Palio! È con queste parole ripetute fino all'infinito, che lo speaker della gara annuncia l'autorizzazione delle autorità a correre il Palio di Asti. Il momento del grande evento Astigiano è arrivato in un'esplosione appassionata degli abitanti e di chi si trova a godere il loro clima di festa.
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Il Palio dei Rioni
Le prime due batterie dei Rioni formate dalle 14 delegazioni si presentano al canapo dispuntando la finale. Ăˆ l'ora di scoprire il vincitore del palio di Asti 2019. Dopo un via nervoso dopo tre false partenze, il Rione Cattedrale si lancia in testa, seguito da Santa Caterina e Don Bosco. San Pietro rimane al canopo eTorretta ritira il cavallo prima della gara. Viatosio, Tanaro e San Lazzaro inseguono la scia per i tre giri senza recuperare posizioni. Cattedrale, mantiene la posizione per tutta la corsa con il fantino Dino Pes, sopranominato velluto, con il suo cavallo mezzosangue Ribelle da Clodia.
Rione Cattedrale vincitore del Palio 2019 Giroinfoto Magazine nr. 47
ORDINE DI ARRIVO 1. Rione Cattedrale (Vincitore) 2. Santa Caterina 3. Don Bosco 4. San Lazzaro 5. Tanaro Torrazzo Trincere, 6. Viatosto 7. San Pietro 8. Torretta (Ritirato)
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DINO PES E RIBELLE DA CLODIA Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 47
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BALDICHIERI Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 47
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Il Palio dei Comuni L’assegnazione del Primo Palio dei Comuni del 2019, va al Comune di Baldichieri d’Asti, con il fantino Mattia Chiavassa, con un cavallo debuttante francese: Farfadet du Pecos.
Dopo la corsa in testa del fantino di Castell’Alfero quasi per tutti i tre giri, viene superato dal Cavallo scosso (il cavallo senza fantino) di Baldichieri. Mattia Chiavassa perde le staffe alla prima curva della gara, ma ci pensa il suo cavallo ad onorare i colori del Comune di Baldichieri.
ORDINE DI ARRIVO 1. Baldichieri (Vincitore) 2. Castell’Alfero 3. San Damiano d’Asti 4. Montechiaro d’Asti 5. Nizza Monferrato 6. Canelli 7. Moncalvo
Baldichieri vincitore del Palio dei Comuni 2019 Giroinfoto Magazine nr. 47
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Alba al lago Misurina Autore: Sergio Agrò Luogo: Lago Misurina - Dolomiti
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Autore: Enrico Raimondo Luogo: Bacoli - Napoli
Casina Vanvitelliana , posizionata sul lago del Fusaro presso Bacoli -Napoli- ; fu costruita , per volere di re Ferdinando IV di Borbone , da Carlo Vanvitelli nel 1782 . Giroinfoto Magazine nr. 47
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Interstellar
Autore: Andrea Giannuzzi Luogo: Vinca - Massa carrara (Alpi Apuane) Giroinfoto Magazine nr. 47
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Interstellar
Autore: Giuseppe Calogero Luogo: Venosa in Basilicata
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Energia allo stato puro Autore: Gianni D'Orio Luogo: Serracapriola (FG)
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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 15 Ottobre 2019
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Conoscere il mondo attraverso un obbiettivo è un privilegio che solo Giroinfoto ti può dare veramente.
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