Giroinfoto magazine 49

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N. 49 - 2019 | NOVEMBRE Gienneci Studios Editoriale. www.giroinfoto.com

N.49 - 2019 NOVEMBRE

www.giroinfoto.com

ANNI

FUGA DA ALCATRAZ

GIROINFOTO MAGAZINE

ALL AMERICAN REPORT 2019

A cura di Mariangela Boni

A cura di Mariangela Boni

TRAPANINPHOTO IX EDIZIONE Band of Giroinfoto

DE CHIRICO NOTTE METAFISICA Di Sergio Agrò

MANAROLA 5 TERRE LIGURI Band of Giroinfoto Photo cover by Giancarlo Nitti


WEL COME

49 www.giroinfoto.com NOVEMBRE 2019


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la redazione | Giroinfoto Magazine

Benvenuti nel mondo di

Giroinfoto magazine

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Novembre 2015,

da un lungo e vasto background professionale del fondatore, nasce l’idea di un progetto editoriale aggregativo, dove chiunque appassionato di fotografia e viaggi può esprimersi, condividendo le proprie esperienze con un pubblico interessato all’out-door, alla cultura e alle curiosità che svelano le infinite locations del nostro pianeta. È così, che Giroinfoto magazine©, diventa una finestra sul mondo da un punto di vista privilegiato, quello fotografico, con cui ammirare e lasciarsi coinvolgere dalle belelzze del mondo e dalle esperienze offerte dai nostri Reporters professionisti e amatori del photo-reportage. Una lettura attuale ed innovativa, che svela i luoghi più interessanti e curiosi, gli itinerari più originali, le recensioni più vere e i viaggi più autentici, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento per la promozione della cultura fotografica in viaggio e la valorizzazione del territorio. Uno strumento per diffondere e divulgare linguaggi, contrasti e visioni in chiave professionale o amatoriale, in una rassegna che guarda il mondo con occhi artistici e creativi, attraversando una varietà di soggetti, luoghi e situazioni, andando oltre a quella “fotografia” a cui ormai tutti ci siamo fossilizzati. Uno largo spazio di sfogo, per chi ama fotografare e viaggiare, dove è possibile pubblicare le proprie esperienze di viaggio raccontate da fotografie e informazioni utili. Una raccolta di molteplici idee, uscite fotografiche e progetti di viaggio a cui partecipare con il puro spirito di aggregazione e condivisione, alimentando ancora quella che è oggi la più grande community di fotonauti. Director of Giroinfoto.com Giancarlo Nitti

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LA RIVISTA DEI FOTONAUTI Progetto editoriale indipendente

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ANNO V n. 49

giroinfoto magazine

20 Novembre 2019 DIRETTORE RESPONSABILE ART DIRECTOR Giancarlo Nitti SEGRETERIA E RELAZIONI Margherita Sciolti Mariangela Boni CAPI SERVIZIO Giancarlo Nitti Monica Gotta Sergio Agrò Adriana Oberto REDATTORI Giancarlo Nitti Redazione Mariangela Boni Redazione Sergio Agrò Reporter Barbara Tonin Reporter Monica Gotta Reporter Remo Turello Reporter

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I N D E X

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C O N T E N T S

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DE CHIRICO

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CARNEVALE CARAIBICO

URBEX

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LA CASA DEL DENTISTA

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CASTELLO DI MALGRÀ

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FUGA DA ALCATRAZ

Band of Giroinfoto

Di Mariangela Boni

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NOTTE METAFISICA Giorgio De Chirico Di Sergio Agrò

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LA CASA DEL DENTISTA Urbex Urbex Team Old Italy

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IL CARNEVALE CARAIBICO Notting Hill - Londra Di Barbara Tonin

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IL CASTELLO DI MALGRÀ Band of Giroinfoto Di Remo Turello


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FUGA DA ALCATRAZ

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TRAPANINPHOTO 2019 Di Monica Gotta

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FUNGO-COUPÈ Giaveno Band of Giroinfoto

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MANAROLA Band of Giroinfoto Di Monica Gotta

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TRAPANINPHOTO 2019

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FUNGO - COUPÈ

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I NOSTRI

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FUGA DA ALCATRAZ

A cura di Mariangela Boni

FOTOGRAFIE DI

Chiara Borio Mariangela Boni Giancarlo Nitti

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FUGA DA ALCATRAZ

11 giugno 1962 Sembrava una notte come tante altre nella prigione federale di Alcatraz. L’Isla de los Alcatraces, dei pellicani, come l’avevano battezzata gli esploratori spagnoli, attorniata dalle gelide acque della Baia di San Francisco, agitate da correnti violente, faceva credere che fosse impossibile fuggire…fino a quella notte. I protagonisti della rocambolesca fuga furono quattro ex detenuti del carcere di Atlanta mandati lì proprio perché avevano tentato di evadere:

Frank Morris, Allen West, i fratelli John e Clarence Anglin. Ad Alcatraz c’erano stati altri quattordici tentativi di fuga prima del loro ma i reclusi o morirono sotto il fuoco dei “mastini”, così erano chiamate le cento guardie che vigilavano sui detenuti giorno e notte, o assiderati nelle acque della baia.

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FUGA DA ALCATRAZ

Chiara Borio Photography

AZ1335

Il primo ad essere inviato ad Alcatraz fu Allen West, conosciuto all’interno di “The Rock” come il detenuto AZ1335. Fu incarcerato la prima volta per furto d’auto nel 1955. Una volta fuori pensò bene di dirottare un aereo e per questo fu arrestato, condannato e trasferito ad Atlanta.

AZ1441

Frank Morris iniziò la sua carriera criminale da adolescente come ladro poi al furto si aggiunsero altri capi d’accusa: possesso di narcotici, rapine a mano armata ed evasione. Frank era un uomo di eccezionale intelligenza tant’è che era riuscito ad evadere da ben 7 prigioni: il 20 gennaio 1960, dopo l’ultimo tentativo dal carcere di Atlanta, fu incarcerato ad Alcatraz e divenne il prigioniero AZ1441.

AZ1476 - AZ1485

I fratelli Clarence iniziarono a delinquere con piccoli furti e, in età adulta, divennero celebri rapinatori di banche e nel 1956 furono incarcerati. Il primo ad arrivare ad Alcatraz fu John, il 21 ottobre 1960 detenuto AZ1476, mentre suo fratello arrivò più tardi, il 10 gennaio 1961, come detenuto n. AZ1485.

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Mariangela Boni Photography

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FUGA DA ALCATRAZ

Giancarlo Nitti Photography

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FUGA DA ALCATRAZ

Il piano di Frank Probabilmente ritrovare tutti i suoi compagni di fuga fece scattare in Morris il desiderio di riprovarci di nuovo. Ideò un piano che consisteva nello scavare un tunnel lungo il condotto di aereazione, sbucare verso la spiaggia e attraversare la baia con delle zattere. Sembrava piuttosto semplice ma come realizzarlo? Per ingannare le guardie avrebbero sostituito la griglia che copriva il condotto con una finta di carta e nei letti avrebbero lasciato dei fantocci con delle teste create con un impasto di carta igienica e sapone con dei capelli incollati. Per scavare il tunnel avrebbero utilizzato il manico di un cucchiaio mentre Clarence avrebbe suonato la fisarmonica per coprire i rumori degli scavi. E le zattere? Le avrebbero costruite utilizzando degli impermeabili che si sarebbero fatti portare da amici e parenti.

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Chiara Borio Photography

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FUGA DA ALCATRAZ

Mariangela Boni Photography

In un qualsiasi altro carcere probabilmente quel consumo eccessivo di sapone e carta igienica, tutti quegli impermeabili e il suono della fisarmonica nel cuore della notte avrebbero destato dei sospetti. Ma non ad Alcatraz, “The Rock”, dove persino il famigerato Al Capone aveva dichiarato di essere stato “domato”. Eppure, quel piano piuttosto semplice funzionò, tranne per Allen West. Quest’ultimo aveva scavato un foro troppo grande e rischiava di mandare all’aria il piano. Per non essere scoperti lo tapparono parzialmente con del cemento ma a quanto pare esagerarono e Allen non riuscì più a passare. E così, l’indomani mattina quando i “mastini” si resero conto della fuga ebbe inizio un’incredibile caccia all’uomo e sulle loro tracce si misero 300 uomini dell’FBI, 200 militari, la guardia costiera, gli sceriffi della zona e persino un elicottero. Il 31 dicembre 1979, dopo 17 anni di indagini, l’FBI dichiarò il caso chiuso. La versione ufficiale fu che i fuggitivi fossero morti nelle gelide acque del Pacifico, nonostante i loro corpi non fossero mai stati rinvenuti.

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Mariangela Boni Photography

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FUGA DA ALCATRAZ

A mettere ulteriormente in dubbio la versione dei federali è stata una lettera ricevuta dalla Polizia di San Francisco nel 2013, firmata John Anglin.

L’uomo dichiarò che dopo la fuga la nonna ricevette per anni delle rose proprio da John e Clarence (o per lo meno questo dicevano i biglietti che le accompagnavano).

Nella missiva svela che i tre sono scampati per un pelo quella famigerata notte e che da allora abbiano vissuto sempre insieme. Annuncia che i suoi compagni sono deceduti: Morris nel 2005 e Clarence nel 2008. John dichiara di aver un tumore e che, in cambio dell’assistenza sanitaria, avrebbe accettato di scontare un anno di galera.

Quest’incredibile fuga ha ispirato il film di Don Siegel “Fuga da Alcatraz” con Clint Eastwood nei panni di Frank Morris.

La polizia di San Francisco voleva mantenere segreta questa lettera ma ci fu una fuga di notizie e un’emittente televisiva locale, Kpix5, informò l’opinione pubblica. La notizia suscitò l’interesse della CBS che intervistò il nipote dei fratelli Anglin, David Widner.

Giancarlo Nitti Photography

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Dal 1963 Alcatraz è stata chiusa per gli alti costi di gestione ed oggi è una gettonata attrazione turistica. Dal 1981 si disputa la “Escape From Alcatraz Triathlon” e dal 1993 consiste nel percorrere 1,5 miglia a nuoto, 18 miglia in bicicletta e 8 miglia di corsa. Ma non crediate, ancora oggi fuggire da Alcatraz non è una passeggiata e per accedere a questa competizione bisogna essere estremamente preparati.


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Mariangela Boni Photography

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Mariangela Boni Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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DE CHIRICO - MILANO

A cura di Sergio Agrò

In collaborazione con:

"Era una notte buia e tempestosa…" questo articolo potrebbe iniziare così, proprio come iniziano tutti i racconti misteriosi. In effetti le premesse c'erano tutte: a Milano quella sera pioveva ed io mi stavo recando a vedere una mostra a Palazzo Reale di Giorgio De Chirico, il maggior esponente della corrente "metafisica".

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Sergio Agrò Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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DE CHIRICO - MILANO

L'ultima volta che Milano dedicò una mostra al pittore fu nel 1970, sempre a Palazzo Reale. Quella di oggi è una mostra completa che permette a chiunque, anche ai non esperti d’arte come me, di cogliere tutte le sfumature della vita e di comprendere la visione metafisica dell'artista.

Sergio Agrò Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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Sergio Agrò Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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DE CHIRICO - MILANO

AUTORITRATTO Sergio Agrò Photography

Chi è Giorgio De Chirico? Nacque nel 1888 in Grecia da genitori italiani. È stato il maggior esponente della corrente "metafisica" che voleva rappresentare la realtà al di là di ciò che percepiscono i nostri sensi. Nella sua vita viaggiò molto: dall’Italia alla Germania, dagli Stati Uniti alla Francia dove, nel suo soggiorno tra il 1911 e 1915, utilizzò per la prima volta la parola "metafisica". Adriana Oberto Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

Si trovava a New York quando, nel 1937, ricevette la notizia della morte della madre. Rientrò in Italia dove si stabilì definitivamente nel 1944. Giorgio De Chirico morì a Roma nel 1978, all'età di novant'anni. Il pittore sperimentò diversi stili pittorici, come ben illustrato nella mostra.


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Infatti appena inizio la visita mi trovo di fronte ad un De Chirico che non mi aspetto. Si coglie l’influenza del classicismo greco quando si osserva il "Centauro morente" un'opera del 1909 dove sono rappresentati con estrema crudezza gli ultimi istanti di vita della figura mitologica.

Sergio Agrò Photography Qui De Chirico sembra quasi voler rappresentare la figura del padre morto in Grecia nel 1906. In questa prima sala troviamo altre opere interessanti tra cui mi ha colpito molto un suo "Autoritratto" di profilo su sfondo blu. In questo quadro De Chirico non dipinge le pupille, quasi a rendere ancora più enigmatico il suo sguardo. A completare la sala troviamo le prime opere in stile "metafisico": "Les plaisirs du poète" e "L'enigma di una giornata". Qui possiamo notare come l'artista rappresenta paesaggi urbani lasciando lo spettatore nel mistero, le forme e gli elementi giocano tra di loro in un contrasto di luci ed ombre. Giroinfoto Magazine nr. 49

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DE CHIRICO - MILANO

Durante il periodo francese De Chirico esprime la sua metafisicità non solo attraverso gli elementi pittorici ma anche utilizzando forme e dimensioni dei quadri non ordinari, come nel caso dell’opera "La sorpresa". L'opera "Ariadne" colpisce non solo per gli elementi classici ma soprattutto per i particolari, ad esempio le dita del piede destro della statua rappresentata. Ne "L'incertezza del poeta" sembra quasi un collegamento artistico con il quadro precedente.

Cinzia Carchedi Photography

Il periodo ferrarese del pittore viene magistralmente rappresentato in una sala con delle opere che mi colpiscono subito per la loro bellezza, come "Il trovatore". Qui De Chirico rappresenta un manichino con forme e cromie incredibili: i colori accesi e le forme astratte del soggetto lasciano i visitatori davvero incantati. Siamo di fronte alla massima espressione del pensiero metafisico dell'artista. Ci meraviglia la sensazione di attualità e modernità dell'opera, sapendo essere stata dipinta nel 1917, più di cent'anni fa. Questa sensazione l'abbiamo anche quando si osserva "Il pomeriggio soave" dove i biscotti rappresentati hanno un non so che di familiare e recente.

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IL TROVATORE Sergio Agrò Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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IL FIGLIOL PRODIGO Sergio Agrò Photography

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Continuando il percorso tra le opere di De Chirico ci si innamora di un'opera intitolata "Il figliol prodigo". Come nell'opera "Il trovatore" siamo di fronte ad un quadro che a fatica accettiamo essere dipinto nel 1922. In quest'opera De Chirico rappresenta un padre-statua ed un figlio-manichino mentre si abbracciano. Mentre si osserva il quadro si leggono messaggi molto moderni in quest’opera, è facile immaginare il quadro come un abbraccio tra un umanoide ed un robot, se si pensa poi che il quadro è stato dipinto quando il famoso Isaac Asimov era appena nato, allora si intuisce la genialità di De Chirico. È davvero molto difficile non poter descrivere le emozioni provate in tutte le opere della mostra, in "Ettore ed Andromaca" il pittore rappresenta, come in un teatro, una scena epica che oggi richiama ad un fumetto moderno. Nell'opera "Le rive della Tessaglia", oltre agli elementi classici, De Chirico rappresenta un abbraccio inedito tra un cavallo ed una statua. Quello che colpisce è che sia il cavallo che la statua, scesa dal piedistallo, non hanno occhi per vedere (lo si nota bene nel particolare), quasi un messaggio di legame tra la natura e l'uomo, un messaggio moderno ed attuale.

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LE MUSE Sergio Agrò Photography

La visita alla mostra giunge quasi al termine, ma credetemi le emozioni più forti non sono finite. Nelle opere intitolate "Le muse inquietanti" Giorgio De Chirico con gli elementi dipinti, le forme, i colori e le ombre regala la sua massima espressione della metafisica. Ho parlato di opere perché qui il pittore ha replicato le opere, ne troviamo appunto tre. Arriviamo così alla fine della mostra con un quadro del 1970, "Orfeo trovatore stanco", che esso stesso è il riassunto della corrente metafisica. Qui De Chirico percorre tutti gli elementi della sua creatività ritornando sino alle sue origini artistiche dove, per citare lo stesso Giorgio De Chirico: "…la luce e le ombre, le linee, gli angoli, tutti i misteri del volume cominciano a parlare".

Sergio Agrò

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La luce e le ombre, le linee e gli angoli, un viaggio tra gli enigmi e i misteri racchiusi nelle opere del pittore più celebrato e contraddittorio del XX secolo, in una vera e propria Notte Metafisica con le community Instagram di :

@ig_milano_

@ig_lombardia_

in collaborazione con:

organizzazione di Isabella Meloncelli. A distanza di quasi cinquant’anni dalla personale del 1970, le sale di Palazzo Reale a Milano tornano a ospitare l’opera di Giorgio de Chirico (Volos, 1888 – Roma, 1978) con una straordinaria retrospettiva curata da Luca Massimo Barbero che attraverso più di cento capolavori, ricostruisce l’irripetibile maestria del Pictor Optimus.

"[…] siamo esploratori pronti per altre partenze" (Giorgio de Chirico)

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URBEX -LA CASA DEL DENTISTA

A C U R A D I U R B E X T E A M O L D I T A LY

La villa che vi presentiamo oggi è a dir poco sorprendente. E’ situata nel bel mezzo del centro abitato di un paesino, in mezzo alle colline dell’Italia settentrionale; trovarla è abbastanza complicato in quanto annidata tra altre abitazioni regolarmente abitate; Tuttavia si spinge la porta e... come per incanto ci si ritrova nel secolo scorso! La casa è intatta, ogni cosa è al suo posto, foto e ricordi sono ovunque, c’è la sensazione che da un momento all’altro possa affacciarsi uno degli inquilini; ci si addentra quindi con molto rispetto e circospezione, in un limbo in cui il tempo si è fermato.

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Una montagna di libri, sparsi per terra, sulle scrivanie, negli scaffali, ovunque… I libri caratterizzano molto questa casa. Si respira un’aria intellettuale. I libri sono di varie entità: ci sono testi in francese, racconti di guerra, raccolte di poesie, trattati religiosi e tanti manuali legati al mondo della medicina.

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URBEX - LA CASA DEL DENTISTA

di ferro, un armadietto, una scrivania, un séparé con il camice bianco appeso, tutti i prodotti dentistici ancora esposti in una vetrina, un’altra scrivania… Adiacente si trova uno stanzino che poteva servire da anticamera per lavarsi le mani e tenere altri tipi di prodotti necessari al lavoro del dentista.

Proseguendo, sulla destra si può già intravedere con certezza che ci si trovi nella dimora di un medico; infatti, si distingue chiaramente quello che una volta era uno studio medico, anzi, più precisamente uno studio dentistico. La prima stanza è composta da un lettino, una biblioteca e una scrivania con ancora le cartelle dei pazienti sparse sopra. Nella stanza accanto (autentico gioiello della casa), vi è rimasto lo studio vero e proprio, con la tipica sedia

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Attraverso i documenti ancora presenti ovunque, si riesce a capire un po’ di più sull’identità dei suoi ex inquilini.

paese dicono che prima che arrivasse la famiglia F, questo stabile fosse un ricovero per malati (testimone una foto appesa al muro nel salone principale).

Si trattava di una certa famiglia F. La moglie N.M., il marito (il dentista) E.F. e le figlie A.M.F e I.F. Le ultime bollette sembrano riportare la data del 1987 quindi si presuppone che sia disabitata da allora.

Andando avanti con l’esplorazione, si entra in quella che era la casa vera e propria.

Non ci sono grandi informazioni sulla famiglia in sé. Sembra solo che questa casa sia stata ereditata negli anni 35/40 da E.F. alla morte dei suoi genitori e che, visto che esercitava già la professione di dentista e che la casa era grande per lui e la sua famiglia, si sia potuto ricavare uno studio al piano terra. Dai cartelli ancora appesi, si può anche intuire che conservava un altro studio in cui riceveva tre giorni alla settimana… In casa invece, riceveva solo il giovedì. Gli anziani del

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Il salone principale probabilmente fungeva anche da sala di attesa per i pazienti. Questa spettacolare sala presenta ornamenti molto ricchi e particolari, per essere in un paesino sperduto in mezzo alle colline: un’imponente statua di leone presiede la scala principale all’ingresso del salone, una piccola statua di guerriero è ancora sul suo piedistallo accanto alla porta del soggiorno (quasi a dissimulare una guardia fuori dal tempo) i soffitti sono tutti dipinti di azzurro con rifiniture ornamentali raffinate; inoltre, su tutti i muri sono affrescate delle scritte in aulico italiano.


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Dal salone principale si passa al soggiorno. Stanza meravigliosa con una biblioteca fornitissima e soprattutto un bellissimo pianoforte sul quale è ancora presente un animale imbalsamato. Nella stanza ci sono anche un divano, un lungo tavolo e un caminetto con sopra foto di famiglia e anche una scimmia impagliata! Questo luogo è decisamente una delle stanze più affascinanti di tutte quelle esplorate fino ad oggi. Una lunga scala, anch’essa affrescata, ci porta al piano superiore, dove si trovano diverse stanze da letto (almeno quattro).

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URBEX - LA CASA DEL DENTISTA

Si può evincere da lì che i genitori di E.F. avevano altri figli (fratelli/sorelle di E.F.). I letti sono ancora fatti, i vestiti ancora appesi, foto di famiglia e rosario ancora sui comodini. Addirittura in una stanza troviamo adagiato sul letto, un abito da sposa con il velo e le scarpe accanto. Stranamente, al piano di sopra, si trovano anche un salottino e una cucina. Questa è ancora piena di stoviglie, pentole, scatole di cibo. Appoggiate alla credenza troviamo anche delle vecchie bollette della luce intestate alla moglie del dentista.

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L’intera casa è circondata da un verde giardino, ormai invadente e in crescente espansione. Dall’esterno la villa è quasi tutta ricoperta dalla natura. Un lato esterno è completamente avvolto dall’edera. Anche all’interno, alcune finestre sono state invase dalle piante. La domanda che sorge spontanea uscendo da un tale luogo è: perché le figlie del dentista hanno lasciato la casa di famiglia in questo stato di abbandono? Come mai sembra che non ci abbiano mai messo piede dopo la morte dei genitori? Hanno lasciato dentro tutto il significato di una vita, un accumulo di ricordi e oggetti di inestimabile valore più che altro sentimentale, ma anche storico… Un vero tesoro di cui si sa poco ma si intuisce molto. Lasciamo la villa pieni di interrogativi e ci auguriamo che un giorno la famiglia si faccia carico del recupero di una parte della loro storia.

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È LEGALE L’URBEX? CHIARIAMOLO IN 10 PUNTI

Tratto da www.ascosilasciti.com

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Lo Stato in cui si trova l’immobile. Inteso come la nazione in cui si trova. Ognuna con le sue lingue, le sue culture e soprattutto… le sue regole! Esiste un’enorme differenza di conseguenze legali se la stessa azione viene svolta in Lituania o in Italia. Aldilà delle leggi che possono tutelare e condannare, ricordiamo bene che in alcuni Stati, prima di uscire vincitori da una causa legale e le pubbliche scuse dell’accusa, si rischia di passare da un bel “servizio educativo” della polizia locale. Non sempre negli Stati più monarchici avrete la detenzione assicurata e in quelli più democratici, la certezza di farla franca. Non avendo tempo nè risorse sufficienti per affrontare la questione di ogni singola Nazione, ci concentreremo a sviscerare il, già complesso, codice del nostro Bel Paese.

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Accessi aperti. Mancanza di recinzione, porte spalancate o inesistenti, grosse aperture nei muri perimetrali, insomma tutti i varchi aperti sono “amici dell’urbex”. Tutto cambia se per accedere a un luogo abbandonato, proverete ad aprire porte chiuse o scavalcare muri (la questione cambierebbe anche per ogni metro di altezza dei perimetri…), il che costituisce violazione di domicilio privato. Crearsi entrate con forza o manomettendo recinzioni, è sufficiente invece perchè l’accusa diventi una frizzantissima “effrazione con scasso”. Giroinfoto Magazine nr. 49

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Lo stato in cui versa l’immobile, ma questa volta intesa come condizione. Finestre rotte, muri crepati, tetti squarciati, muffa e vegetazione incontrollata, porte spalancate, sono tutti segni di chiaro abbandono che potrebbero tutelare l’esploratore. L’attenuante di “immobile in chiaro stato di abbandono” non è da sottovalutare, per quanto non vi sia nulla di codificato. In un’alta percentuale dei casi può però assolvere l’esploratore da accuse di violazione di domicilio.

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Cartelli e avvertimenti. Controllare l’eventuale presenza di cartelli di monito non sarebbe troppo sbagliato (proprietà privata o divieto di accesso). La loro assenza o illeggibilità (magari pioggia e vento hanno fatto arrugginire il ferro dell’affisso o marcire il legno del manifesto) potrebbero comportare buoni sgravi di responsabilità. Insomma, un’ulteriore attenuante, che male non fa’…


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Non toccare nulla. Per chi non lo conoscesse, il comandamento dell’Urbex “prendi solo foto, lascia solo impronte” è un promemoria anche di tutela legale. I souvenir, fosse anche un sasso del muro di un manicomio abbandonato, non sono contemplati come legali.

Strumenti che portate con voi. Conosciamo tutti, o almeno immaginiamo, il rischio di entrare in un edificio abbandonato, potenzialmente abitato da malviventi. Purtroppo no…non basta questo pretesto per portarsi un machete, nemmeno con l’altruistico fine di accettare l’incolto prato della magione. Ma attenzione, anche con un bastone da trekking, o altri strumenti apparentemente innocui, potrebbero scattare l’aggravante di “arma bianca”. Nessuna arma da difesa, all’infuori del cavalletto o di un ramo trovato sul posto, si può….accettare!

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Avvisi e permessi. Torniamo al tema clou. Anche a costo di passare come noiosi genitori apprensivi, sconsigliamo sempre di esplorare questi posti. Se proprio doveste sentirne l’irrefrenabile impulso, avvisate le autorità competenti, nel caso di edifici comunali/statali, o i proprietari/ guardiani per ottenere il permesso ad entrare. Anche a costo di creare allarmismi. Oppure rivolgetevi ad alcune associazioni che operano tramite quest’ultimi. Diffidate dalle organizzazioni che si disinteressano della questione legale e vi fanno clandestinamente introdurre in pericolosi edifici abbandonati.

Anzi, sarebbe meglio prendere solo foto (nel senso di scattarle, ovviamente, non di rubare gli album di famiglia sul comò impolverato) e non lasciare alcuna impronta. Come mai? Udite-udite, per creare il giusto setting alle proprie foto, basta solo spostare gli oggetti e gli arredi, ed essere colti sul fatto, per una bella “accusa di tentato furto”.

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Non scappare e collaborare sempre con le autorità. Se avete seguito i consigli sopra citati, potete sentirvi tranquilli. Motivo per cui, mostratevi per quello che siete e avete fatto. E’ sempre buona norma collaborare enunciando le proprie intenzioni. Così facendo sarete fuori dai guai nel 90% dei casi.

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Rispettare tutti gli 8 punti. La somma delle probabilità di non passare guai seri, che viene fuori rispettando gli 8 punti, vi assolve al 99,9%, parlando dal punto di vista penale. Più complessa diviene la questione civile, che dipende maggiormente dalla volontà del proprietario di volervi eventualmente punire, denunciandovi.

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Incertezza. L’incertezza, purtroppo, rimane l’unica certezza. Tranquilli al 100% non lo sarete mai. Unico modo per sentirvi realmente tutelati è di ascoltare il consiglio enunciato al punto 7. Odiate da molti, poiché danno in pasto alcuni luoghi abbandonati al grande pubblico, queste Associazioni (solo quelle che operano tramite mezzi legali) sono in realtà le uniche a tutelare i luoghi abbandonati in tre modi: si rivolgono ai proprietari ottenendo i permessi di visita; danno visibilità ad alcuni posti altrimenti destinati a marcire nell’indifferenza; scelgono come meta per i loro viaggi solitamente luoghi già devastati dal tempo e dai vandali, per non esporre al turismo di massa gli edifici ancora intatti, accelerandone il declino. Intanto, l’unica certezza è che, come scriveva il romantico François-René de Chateaubriand, tutti gli uomini hanno una segreta attrazione per le rovine. Giroinfoto Magazine nr. 49


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CARNEVALE CARAIBICO

A cura di Barbara Tonin

LONDRA Ancora non c’era tra le mie tappe, decidiamo pertanto di sfruttare i pochi giorni a disposizione per visitare i siti di maggior interesse. Fortunatamente il tempo è bello, ma fa anche molto caldo. Usciti dalla metropolitana però constatiamo che il Big Ben e buona parte del Palazzo di Westminster sono in restauro. Ci spostiamo amareggiati allora verso la vicina Abbazia e dopo qualche scatto alla straordinaria architettura gotica, ci dirigiamo verso il Tamigi. Le strade brulicano di turisti. Credo di non aver mai visto una città così densa di persone. Scattare una foto decente è praticamente impossibile. Certo muoversi in agosto non è la scelta migliore… ma forse stavolta non è così.

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CARNEVALE CARAIBICO

Barbara Tonin Photography

Giunti alla riva del Tamigi un gruppo di donne di età diversa attira la nostra attenzione. I “vestiti” sono molto succinti e variopinti e sono adornati di piume, lustrini e frange svolazzanti. Si dice che a Londra ti puoi vestire come vuoi e nessuno ti dirà nulla, ma questa bizzarria un sorriso me l’ha strappato. Mentre ci chiedevamo il perché di tanta “ribellione” ai costumi tradizionali locali, una reminiscenza è emersa all’improvviso. Vuoi vedere che siamo arrivati proprio nel week-end del Carnevale Caraibico?

Ecco spiegata la moltitudine di persone. Probabilmente non lo sanno in molti, ma il Carnevale Caraibico di Londra è per dimensioni uno dei più grandi al mondo. Forse non è il più bello, ma le sue origini si fondano su motivazioni profonde. Ci dimentichiamo allora di torri, ponti e palazzi reali: la prossima meta sarà il Carnevale.

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CARNEVALE CARAIBICO

Il giorno successivo imbocchiamo la “tube” in direzione Notting Hill. Notting Hill… già non ci si aspetta un carnevale caraibico a Londra, ma che sia si svolga proprio nel quartiere più ordinato ed elegante della città è ancora più curioso. Iniziamo il nostro tour da Portobello Road. La gran parte dei negozi e dei pub sono chiusi e hanno delle paratie di legno che proteggono le facciate. Il quartiere è controllato da decine e decine di agenti. Sono circa le dieci del mattino, ma già i chioschi e primi “carri” hanno la musica a palla, quasi assordante. C’è già abbastanza gente e i venditori sono pronti con i banchetti coloratissimi di fischietti, trombette e bandiere con le tinte panafricane. Anche il jerked chicken sulla griglia è quasi pronto e gli alcolici scorrono a fiumi. A poco a poco le strade si affollano. È domenica e questa giornata è dedicata ai bambini, ma a questa grande festa partecipano persone di tutte le età. Nel pomeriggio le vie sono gremite e vicino al percorso dei “carri” quasi non si riesce a passare. Finalmente riesco a infilarmi e a mettermi davanti, ma rimango un po’ delusa. Sfilano dei tir e sopra le calypso, soca, steel-pan e masquerade (mas) bands pompano le consolle di brutto, ma niente piume, niente lustrini, niente costumi colorati di “Rio”. Solo alcuni “più tranquilli” fanno sfilare i bambini mascherati.

Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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CARNEVALE CARAIBICO

Centinaia di persone seguono i tir e ballano al ritmo di calypso, samba, reggae, hip-hop, jazz, swing, blues e drum n’ bass.

le piume e i lustrini, ma tutto inserito in un contesto caotico e disordinato, spesso intriso di cattivo gusto e di eccessi.

Si balla anche al suono di una musica più tradizionale, quella degli antichi canti popolari, con la rievocazione di tipiche danze tribali africane. I Dj lanciano sulla gente polvere colorata e bombe d’inchiostro.

Ma allora perché attira ogni anno fiumi di persone da tutto il mondo?

Spesso viene utilizzato il nero, il colore della loro pelle. L’atmosfera è calda in tutte le sue sfumature, anche la temperatura è quella caraibica. Nonostante la delusione, non riesco a non farmi coinvolgere e anche se non sono particolarmente appassionata di musica caraibica, comincio anch’io (fotocamera in mano) a saltellare seguendo il ritmo e a farmi contagiare dall’allegria. In fin dei conti, è una festa! La sfilata delle Spice Girls è il giorno successivo. Decido allora di ritornarci. La situazione che si presenta non è molto diversa da quella del giorno precedente. Non c’è una sfilata alla “Rio de Janeiro”, non ci sono decine di donne dal corpo scultoreo né carri allegorici. Di nuovo i tir, qualcuno addobbato, e di nuovo fiumi di persone che li seguono ballando. Alcune Spice Girls tra la folla che danzano con i costumi sicuramente appariscenti e luccicanti, con Giroinfoto Magazine nr. 49

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CARNEVALE CARAIBICO

Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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CARNEVALE CARAIBICO

Il Carnevale di Notting Hill non è una semplice festa in vista della Quaresima, ma ha radici ben più importanti. È la celebrazione dell’abolizione della schiavitù ed è diventata negli anni un momento di contestazione socioculturale e di affermazione dell’identità della comunità nera e caraibica a Londra. Il 22 Giugno 1948 l’Empire Windrush, una ex-nave militare della marina inglese, sbarcava a Londra con 482 migranti giamaicani. Sono gli anni del dopoguerra e il Governo inglese incoraggiava le popolazioni colonizzate ad emigrare nel Regno Unito, per aiutare il paese nel lungo processo di ricostruzione post-bellica. In cambio della loro manodopera, sarebbero stati riconosciuti come cittadini inglesi a tutti gli effetti. Seguirono negli anni numerosi altri sbarchi. Nella realtà però i nuovi concittadini non furono mai veramente accettati. Dieci anni dopo in agosto, alcuni pesanti attacchi razzisti a Nottingham scatenarono una serie di rivolte, che diedero il via a conflitti diffusosi soprattutto nella zona ovest di Londra, ovvero a Notting Hill, dove i giovani bianchi andavano regolarmente a “caccia di negri”. Da una situazione di discriminazione, quell’anno il razzismo divenne un fenomeno di massa che andava oltre i limiti. Il 1958 stava per terminare, la tensione era alta e la comunità nera era molto scoraggiata. Il fondatore e redattore del West Indian Gazette a Brixton, Claudia Jones, sentiva che bisognava far qualcosa: “Abbiamo bisogno di qualcosa per toglierci dalla bocca il sapore di Notting Hill”. Qualcuno suggerì un carnevale e la proposta provocò ilarità. Ma questa idea ebbe un seguito. Il primo carnevale caraibico di Londra si tenne all’interno del municipio di St. Pancras nello stesso periodo in cui si svolgeva quello a Trinidad e fu trasmesso dalla BBC all’interno del programma musicale precursore di Hot Of The Pops. La dichiarazione introduttiva all’inizio della trasmissione fu “L’arte di un popolo è la genesi della sua libertà”. Claudia Jones aveva compreso il potere della cultura come strumento di resistenza politica. Era il loro modo per dire ai londinesi che erano lì, che c’erano anche loro e per rendere visibile il loro vero manto culturale, spogliandosi di quello urbano londinese. Giroinfoto Magazine nr. 49

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Il Carnevale venne replicato anche negli successivi in Halls sempre più grandi fino al 1963, l’anno seguente Jones morì. Un’altra donna però nel 1965 ebbe la stessa idea e ne parlò con la polizia. Rhaune Laslett viveva nei quartieri poveri di Notting Hill. Non sapeva dei carnevali organizzati da Jones, ma era spinta dalla medesima motivazione: “dimostrare che dal nostro ghetto c’era una ricchezza di cultura in attesa di esprimersi, che non eravamo spazzatura”. Venne a sapere dei carnevali di Jones, ma decise che voleva preparare un evento più trascinante. Organizzò un carnevale stavolta all’aperto. Invitò i vari gruppi etnici di Notting Hill: caraibici, africani, portoghesi, spagnoli, ucraini e irlandesi e per coinvolgere anche gli inglesi, stabilì che si doveva svolgere in concomitanza con una festività, il Summer Bank Holiday, ovvero l’ultimo lunedì di agosto.

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Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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CARNEVALE CARAIBICO

Fu chiamato lo stesso musicista che suonò al primo carnevale al St. Pancras, Russ Henderson, il quale raccontò che, in un momento in cui la festa si stava appiattendo, decise di portare la sua band per le strade del quartiere, facendo marciare con loro tutta la gente: “Con la musica, le persone hanno lasciato tutto e sono venute per seguire la parata”. Era aperto a tutti e senza costi di iscrizione. Anno dopo anno il carnevale divenne sempre più grande e frequentato da numerosi gruppi etnici. “Le antiche linee di demarcazione tra le classi furono cancellate” disse nel 1881 l’ex-capo della polizia di Trinidad. “Il carnevale era diventato un simbolo di libertà per la gran parte della popolazione e non solo un evento di frivolo divertimento… Aveva un significato rituale, radicato nell’esperienza della schiavitù e nella celebrazione della libertà dalla schiavitù. Le persone non sarebbero state intimidite; avrebbero partecipato al carnevale nel modo che ritenevano più appropriato” (Errol Hill). Negli anni ‘70, però, la nuova generazione usò il carnevale per protestare con il MET (Metropolitan Police Service). Era un mezzo per affermare la loro pretesa sull’unica “casa” che avevano, una pretesa sempre più minacciata dalla cultura skinhead. La loro musica però, tramite il raegge, lo ska e assieme a Rock against Racism, giocava un ruolo determinante nel modellare la cultura giovanile britannica. Il carnevale quindi da “storia di cultura” si trasformò a “storia su crimine e razza”. Tutt’ora si trascina la fama di essere un evento pericoloso, in cui la comunità etnica si scontra con la polizia. Ma non è questo il clima che ho vissuto in quei due giorni. Seppur osservando i loro doveri, la polizia condivide il clima allegro della festa, scherzando e facendosi addirittura selfies o mantenendo l'aplomb mentre subiscono provocanti twerking. Certo non mancano momenti di fermo per chi va oltre le righe, ma non ho avvertito situazioni di pericolo per schermaglie. La gente ti parla amichevolmente, come se ti conoscesse. Scherza con te e ti coinvolge. Non importa chi sei, da dove vieni, di che colore sei, che età hai, se sei brutto, grasso o basso. I loro vestiti sono strappati, sono sporchi di nero e sembrano consunti, a ricordare gli oneri e le difficoltà del passato. Ma tra la gente c’è solo voglia di divertirsi, di stare assieme e sballarsi e di mostrare con la potenza della loro musica, che ogni popolo ha la sua identità, la sua cultura e le sue ricchezze al pari degli altri.

Barbara Tonin Giroinfoto Magazine nr. 49


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Barbara Tonin Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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CASTELLO DI MALGRÀ

| IL CASTELLO DI MALGRÀ | R I V A R O L O A CURA DI REMO TURELLO

Percorrendo la statale che da Torino ci porta nel Canavese si giunge a Rivarolo, uno dei principali centri canavesani e alle porte della cittadina sorge l’antico maniero di Malgrà, oggi dimora signorile con un bel parco alle sue spalle. PHOTOREPORTERS Angelo Bianchi, Barbara Lamboley, Barbara Tonin, Domenico Gervasi, Elisabetta Cabiddu, Giancarlo Nitti, Giuliano Guerrisi, Fabrizio Rossi, Monica Pastore, Mariangela Boni, Remo Turello.

Barbara Tonin Photography

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CASTELLO DI MALGRÀ

| IL CASTELLO DI MALGRÀ |

IL CASTELLO Il castello di Malgrà venne edificato tra il 1333-36 ad opera del feudatario conte Martino dei “San Martino”, esponente della nobile famiglia che spartiva la propria influenza sui territori della zona con i Valperga, già presenti in Rivarolo con un castello del 1146 di cui oggi rimane visibile solo una torre nel centro storico. I San Martino discendevano da un ramo cadetto dei Valperga, ciò nonostante, i rapporti tra le 2 casate erano astiosi, e il nome di Malgrà sembra proprio prendere origine dal fatto che il castello sia stato costruito “malgrado” l’opposizione dei Valperga. Il castello nasce su tre nuclei completamente separati tra di loro e su un terreno con una forte pendenza verso il torrente Orco. Al centro viene innalzato un torrione a pianta circolare a cui si accedeva da una porta posta a 13 m di altezza attraverso una scala a pioli appoggiata alle mura dall’esterno. Una volta dentro, la scala veniva ritratta affinché, in caso di attacchi, non fosse facilmente accessibile. L’interno era costituito da più piani attraverso i quali si accedeva con una scala a chiocciola.

Monica Pastore Photography

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CASTELLO DI MALGRÀ

MALGRÀ Un secondo nucleo viene costruito verso nord, su due piani fuori terra, mentre nella parte a sud si costruisce un terzo edificio su un solo piano che, ad oggi, a seguito dei rimaneggiamenti operati nei secoli successivi, è anteposto ad un bel portico a tre arcate che dà su un cortiletto interno. Dal cortile è ben visibile la struttura del vecchio torrione, inizialmente isolato, che ora è inglobato, per gran parte della base, tra le mura interne del castello. Si nota l’evidente merlatura a coda di rondine, stile architettonico che si rifà ai Ghibellini, nonostante il feudo dei Malgrà fosse di appartenenza Guelfa. Questa distinzione evidentemente nella zona del canavese e della Valle d’Aosta non era così marcata come invece nel resto d’Italia. Elisabetta Cabiddu Photography

Barbara Lamboley Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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CASTELLO DI MALGRÀ

Angelo Bianchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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CASTELLO DI MALGRÀ

MALGRÀ Nel 1400 i San Martino ampliano il loro castello con la realizzazione del piano superiore del nucleo posto sul lato sud e la costruzione di un portico inizialmente a due arcate. Sotto il portico spicca la porta di accesso all’interno del castello: è la più antica, risale al XIV secolo ed è originale! Sui lati vi sono alcuni affreschi e tra questi non passa inosservato al visitatore lo stemma dei Savoia che ebbero un ruolo importante per le sorti dei San Martino che, perso il castello a vantaggio dei Valperga, se lo videro restituito solo grazie all’intervento dei duchi sabaudi. Altro affresco che suscita interesse in quanto testimonianza della vita dell’epoca è la figura di un traghettatore sul fiume Orco che permette l’attraversamento del torrente con una barca. L’imbarcazione segue una corda legata sulle due sponde dove sono fissati dei pali.

Remo Turello Photography

Giroinfoto Magazine nr. 49

Per attraversare il torrente si doveva pagare un dazio ma, curiosamente, alla chiesa di San Michele nonostante i terreni attorno all’Orco fossero di proprietà dei Malgrà; questa condizione si protrarrà fino al 1800 quando verrà costruito un ponte per l’attraversamento del torrente.


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Giuliano Guerrisi Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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CASTELLO DI MALGRÀ

Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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CASTELLO DI MALGRÀ

Per vedere la struttura del castello, così come ci appare oggi agli obiettivi delle nostre macchine fotografiche, dobbiamo arrivare al XIX secolo quando un sostanziale intervento stilistico viene eseguito dall’architetto portoghese Alfredo D’Andrade, all’epoca molto attivo in Piemonte. D’Andrade, a cui si deve la realizzazione del Borgo Medievale di Torino e nonchè promotore di interventi imponenti alla Sacra di San Michele, al Malgrà fa costruire due torrette, rimuovere vecchi intonaci e parti meno stabili per riportare il castello alle forme medievali. Sulle mura esterne vengono inserite delle formelle di terracotta fatta realizzare dalla vicina Castellamonte, da dove anche anticamente giungevano già formelle decorate che ancora oggi sono visibili attorno al torrione.

Giancarlo Nitti Photography

Mariangela Boni Photography Barbara Lamboley Photography

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CASTELLO DI MALGRÀ

IL CASTELLO DI MALGRÀ All’interno del castello si accede attraverso una prima sala “non arredata”, detta dei “banchetti”, sulle cui pareti sono presenti delle raffigurazioni di caccia. Il soffitto è a cassettoni, originale del XIV sec., mentre le pitture all’interno dei cassettoni sono di epoca successiva. Il cane che insegue le pernici è l’esempio più antico di affresco che si conserva al Malgrà. La sala si completa con un bel camino l’unico funzionale di tutto il castello. Nel cuore del castello un ambiente piccolo e stretto è chiamato “la sala dei lumi”. Definita così dal D’Andrade, non per la luce che è quasi totalmente assente, ma per l’intelletto, percepibile attraverso le varie epoche che si inseguono sulle murature oggi interne ieri esterne del castello. Si ripercorrono le fasi costruttive di epoche che vanno dal 1300, al 1600, al 1800 in cui viene eretto

il grande scalone che permette l’accesso al piano superiore facendosi spazio con un taglio della muratura esterna dell’antico torrione. Su questo piano un grande salone ospita la biblioteca “gotica”, così chiamata per il mobilio in stile gotico che era presente nella sala. Sul fondo è presente un grande caminetto sul quale risalta una piastrella bianca, donata da Galeazzo Maria Sforza, a ricordo della sua visita a Malgrà a fine ‘800. Il pavimento in legno è montato ad incastro: partendo da una stella centrale è stato assemblato tutto intorno tessera dopo tessera. Nella sala ora sono presenti dei cartoni restaurati tra cui spicca un crocifisso detto “del Velázquez” per la somiglianza con quello del grande pittore spagnolo.

Giuliano Guerrisi Photography

Fabrizio Rossi Photography

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| CASTELLO R E P O R T ARGEEP O| R TBALMA A G E BOVES - BORGATA DI MALGRÀ MUSEO

Lo stemma della casata dei San Martino è un fregio a 5 frecce, a cui si affiancano più tardi altri stemmi; la discendenza dei Malgrà veniva trasmessa attraverso i figli maschi, ma ben presto non avendo più maschi la successione passa alle figlie. In questo modo i “San Martino” perdono il titolo di conti, ma la discendenza manterrà il titolo nobiliare attraverso i cognomi dei mariti che le discendenti portano a nozze. Proprio tra questi, in una sala dedicata alla fotografia, si ricorda il conte Ugo Francesetti che all’età di 12 anni venne mandato in marina dal padre. Giovane capitano fece carriera fino a diventare il primo console italiano di Corea, ma morì a 25 anni per una malattia tropicale ad inizio ‘900. L’ultima discendente di questa famiglia nobiliare visse al castello fino agli anni ’70 servendosi solo di poche stanze e mantenendo chiuso tutto il resto della dimora. Era una donna molto ospitale anche se, essendo amante dei serpenti, molti spaventati declinavano l’invito. Negli anni ’80 il comune di Rivarolo acquista il castello di Malgrà, oggi tenuto aperto e curato dall’Associazione Amici del Castello di Malgrà che ci ha accompagnato in questa piacevole visita.

Fabrizio Rossi Photography

Angelo Bianchi Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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WORKING GROUP 2019

BAND OF GIROINFOTO La community dei fotonauti Giroinfoto.com project

ITALIA

ORINO ALL AMERICAN

REPORT

Progetto editoriale indipendente che si fonda sul concetto di aggregazione e di sviluppo dell’attività foto-giornalistica. Giroinfoto Magazine nr. 49

STORIES

GIROINFOTO MAGAZINE


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COME FUNZIONA Il magazine promuove l’identità territoriale delle locations trattate, attraverso un progetto finalizzato a coinvolgere chi è appassionato di fotografia con particolare attenzione all’aspetto caratteristico-territoriale, alla storia e al messaggio sociale. Da un’analisi delle aree geografiche, si individueranno i punti di forza e di unicità del patrimonio territoriale su cui si andranno a concentrare le numerose attività di location scouting, con riprese fotografiche in ogni stile e l’acquisizione delle informazioni necessarie per descrivere i luoghi. Ogni attività avrà infine uno sviluppo editoriale, con la raccolta del materiale acquisito editandolo in articoli per la successiva pubblicazione sulla rivista. Oltre alla valorizzazione del territorio e la conseguente promozione editoriale, il progetto “Band of giroinfoto” offre una funzione importantissima, cioè quella aggregante, costituendo gruppi uniti dalla passione fotografica e creando nuove conoscenze con le quali si potranno condividere esperienze professionali e sociali. Il progetto, inoltre, verrà gestito con un’ottica orientata al concetto di fotografia professionale come strumento utile a chi desidera imparare od evolversi nelle tecniche fotografiche, prevedendo la presenza di fotografi professionisti nel settore della scout location.

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CHI PUÒ PARTECIPARE

Davvero Tutti. Chiunque abbia la voglia di mettersi in gioco in un progetto di interesse culturale e condividere esperienze. I partecipanti non hanno età, può aderire anche chi non possiede attrezzatura professionale o semi-professionale. Partecipare è semplice: Invia a events@giroinfoto.com una mail con una fototessera, i dati anagrafici, il numero di telefono mobile e il grado di preparazione in fotografia. L’organizzazione sarà felice di accoglierti.

PIANIFICAZIONE DEGLI INCONTRI PUBBLICAZIONE ARTICOLI Con il tuo numero di telefono parteciperai ad uno dei gruppi Watsapp, Ad ogni incontro si affronterà una tematica diversa utilizzando diverse dove gli incontri verranno comunicati con minimo dieci giorni di anticipo, tecniche di ripresa. tranne ovviamente le spedizioni complesse in Italia e all’estero. Tutto il materiale acquisito dai partecipanti, comprese le informazioni sui Gli incontri ufficiali avranno cadenza di circa uno al mese. luoghi e i testi redatti, comporranno uno o più articoli che verranno pubbliGli appuntamenti potranno variare di tematica secondo le esigenze cati sulla rivista menzionando gli autori nel rispetto del copyright. editoriali aderendo alle linee guida dei diversi progetti in corso come per esempio Street and Food, dove si andranno ad affrontare le tradizioni La pubblicazione avverrà anche mediante i canali web e socialnetwork gastronomiche nei contesti territoriali o Torino Stories, dove racconteremolegati al brand Giroinfoto magazine. le location di torino e provincia sotto un’ottica fotografia e culturale.

SEDE OPERATIVA La sede delle attività dei working group di Band of Giroinfoto, si trova a Torino. Per questo motivo la stragrande maggioranza degli incontri avranno origine nella città e nel circondario. Fatta eccezione delle spedizioni all’estero e altre attività su tutto il territorio italiano, ove sarà possibile organizzare e coordinare le partecipazioni da ogni posizione geografica, sarà preferibile accettare nei gruppi, persone che risiedono in provincia di Torino. Nel gruppo sono già presenti membri che appartengono ad altre regioni e che partecipano regolarmente alle attività di gruppo, per questo non negheremo la possibilità a coloro che sono fermamente interessati al progetto di partecipare, alla condizione di avere almeno una presenza ogni 6 mesi.

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TRAPANINPHOTO 2019

18-27 Ottobre 2019

TRAPANINPHOTO IXa EDIZIONE IN MUSICA

A cura di Monica Gotta

BAND OF GIROINFOTO

Giroinfoto Magazine nr. 49

Ospiti:

Roberto Mutti - giornalista e docente di fotografia Pino Ninfa – fotografo Silvana Turzio - docente universitaria, curatrice e saggista Pippo Pappalardo - redattore di Fotoit, organo e rivista ufficiale FIAF Charley Fazio – fotografo Roberto Strano – fotografo Davide Barbera – fotografo Vincenzo Fugaldi - giornalista

Mostre di:

Pino Ninfa, Vico Chamla, Andrea Rotili, Charley Fazio, Arturo Safina, collettiva a cura dell’AFIJ Associazione Fotografi Italiana Jazz Collettiva a cura dei soci ICDV Gruppo Scatto Collettiva degli studenti IIF - Istituto superiore di Fotografia di Milano

Lettori dei portfolio:

Pino Ninfa, Pippo Pappalardo, Roberto Mutti, Silvana Turzio, Charley Fazio

Ringraziamenti

Istituto Professionale Servizi per l'Enogastronomia e l'Ospitalità Alberghiera "Ignazio e Vincenzo Florio" di Erice Trapani - per la realizzazione del buffet presentato all'inaugurazione.

In collaborazione con


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TRAPANINPHOTO 2019

L’anno scorso abbiamo parlato di TrapanInPhoto e abbiamo “conversato di fotografia”. Quest’anno vi riporto con me a Trapani per parlare di fotografia e di musica. "Racconterò" questo evento facendone una nuova "fotografia" data la mia presenza a questa manifestazione per il terzo anno consecutivo. Come nelle precedenti edizioni sono state presenti molte persone del mondo della fotografia, dagli organizzatori a professionisti dotati di grande esperienza e sensibilità. Ad anticipare l'inaugurazione di TrapanInPhoto esordisce Gocce, un evento nell'evento. Gocce si presenta con l’esposizione di immagini di fotoamatori di diversi generi fotografici. Gocce ha coinvolto diversi spazi espositivi sparsi per il centro storico della città di Trapani, messi a disposizione dai commercianti e negozianti della città. Gli scatti sono stati esposti in wine bars e pub, bar e pizzerie, gioiellerie, negozi di abbigliamento, agenzie di viaggio e laboratori d'arte. L’invito è quello di passeggiare ed ammirare queste fotografie, iniziare a calarsi nell'atmosfera dell'evento e osservare queste opere magari con un calice di vino siciliano. Dopo il successo delle precedenti edizioni di TrapanInPhoto, il 18 Ottobre 2019 si celebra l'inizio della nona edizione della manifestazione organizzata dall'Associazione

"I Colori della Vita"

www.icoloridellavitatp.it con l'inaugurazione presso l'Auditorium della Chiesa di Sant'Agostino - Piazzetta Saturno a Trapani. Monica Gotta Photography Giroinfoto Magazine nr. 49

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La manifestazione, riconosciuta dalla Federazione Italiana Associazioni Fotografiche (FIAF), nasce per promuovere una serie di eventi culturali legati al mondo della fotografia. Il tema di quest’anno è Musica. Arturo Safina, Direttore Artistico dell'Associazione "I Colori della Vita", ci fornisce alcune informazioni sulla scelta del tema dell'evento. ... "TrapanInPhoto parla di MUSICA: un’arte che regala cultura e, soprattutto, emozione. Il musicista ha il dono di intrappolare l’animo dello spettatore con il suono dei suoi strumenti. La realtà musicale della nostra città nasce intorno al ‘700 dalla famiglia Scarlatti… Abbiamo programmato mostre di importanti fotografi grazie anche alla collaborazione di Luglio musicale Trapanese, dell’AFJI Associazione Fotografi Italiana Jazz e dei fotografi dell’Accademia del Teatro della Scala di Milano"...

Arturo Safina continua enunciando che il tema del 2019 è legato alla musica ma nelle sue forme più varie. … “il musicista o l’artista, gli strumenti, le foto di scena, immagini che <hanno> un suono oppure esprimono un <ritmo>”… Ma come si rapportano la fotografia e la musica? Lo scopriremo insieme assistendo ai vari eventi di TrapanInPhoto. Il programma offerto ai visitatori prevede un fitto calendario di appuntamenti tra mostre, incontri, presentazioni editoriali e un’occasione imperdibile per gli amanti della fotografia (fotoamatori e non), che desiderano sottoporre i propri lavori a noti critici fotografici, giornalisti, photo editor tra i massimi esperti nazionali: una giornata dedicata alla lettura portfolio, al termine della quale saranno premiati i lavori migliori.

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La serata inaugurale si apre alla Biblioteca Fardelliana con la presentazione del libro Jazz Notes di Giuseppe Cardoni, a cura di Pino Ninfa e con l’intervento di Vincenzo Fulgadi. La Biblioteca Fardelliana fu fondata nel 1830 ed è dotata di una prestigiosa raccolta personale di libri e manoscritti di proprietà di Giambattista Fardella. L’edificio era in origine una chiesa costruita nel XIII secolo e contiene circa 170.000 volumi di pregio dagli argomenti eterogenei (filosofia, religione, matematica, letteratura). Quale luogo migliore per presentare un libro? Pino Ninfa introduce l’autore del libro e il libro stesso avendo accompagnato alcune delle immagini di Cardoni con suoi testi. Si parla di jazz e fotografia. Si dice che il jazz sia improvvisazione. Se siete mai stati ad un concerto jazz sono certa che vi sarete resi conto che molti musicisti inseriscono nei loro spettacoli qualche modifica creativa mentre suonano dal vivo. Questo dettaglio è il motore trainante per i fotografi che amano e si dedicano a questo genere di scatti. Giuseppe Cardoni ha raccolto in questo volume una serie di immagini dedicate alla musica e ai musicisti jazz. Monica Gotta Photography

La sua è un’indagine a 360° rivolta al personaggio ma non solo. Nel backstage si trovano spunti di interesse, si vedono tensione ed emozione nella preparazione degli strumenti e del concerto. E’ il palco ad essere la vera casa dei protagonisti, dove si fotografano personaggi veri ed emozioni vere, il teatro delle emozioni della vita. Cardoni racconta di quanto sia impegnativo eseguire questo tipo di scatti. I vincoli da rispettare sono molti, come essere silenziosi nel backstage e non avere sufficiente luce per eseguire gli scatti. Questo è un modo di affrontare la musica, documentarla con le immagini nelle situazioni più diverse. Incontrare delle storie significa crescere conoscendo le persone. Nel libro sono raccolte 76 fotografie di molti musicisti famosi. Queste 104 pagine raccontano un viaggio nel mondo della musica durato 15 anni in compagnia della sua fotocamera.

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La serata entra nel vivo con l'apertura delle mostre presso l’Auditorium della Chiesa di Sant’Agostino dove sarà disponibile un ricco buffet inaugurale sapientemente preparato dall' Istituto Professionale Servizi per l'Enogastronomia e l'Ospitalità Alberghiera "Ignazio e Vincenzo Florio" e l’evento musicale degli allievi del conservatorio “A. Scontrino” di Trapani.

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Le mostre di Pino Ninfa, Vico Chamla, Andrea Rotili, Charley Fazio, Arturo Safina, la collettiva a cura dell’AFIJ Associazione Fotografi Italiana Jazz e la mostra collettiva dei soci ICDV Gruppo Scatto indagano il tema della musica in modi diversi, sempre attraverso l'uso del linguaggio fotografico utilizzando tuttavia strumenti ed argomenti differenti, soprattutto sono prodotti delle diverse sensibilità dei fotografi e del loro modo di indagare e vedere la musica attraverso la fotografia. Una curiosità da non perdere è il progetto N-ICE Cello di cui Pino Ninfa è stato il fotografo ufficiale. Un violoncello fatto di ghiaccio ha viaggiato dal Nord al Sud dell’Italia nei concerti tenuti da Giovanni Sollima. Questo progetto ha voluto essere una riflessione sulla fragilità delle risorse d’acqua, il cambiamento climatico e la sua incidenza sul nostro pianeta. Alla fine dei concerti, il violoncello di ghiaccio è stato calato in mare per concludere il suo viaggio e simboleggiare il surriscaldamento globale sciogliendosi in acqua come succede a numerosi ghiacciai del nostro pianeta. Le immagini di Vico Chamla - “Classicamente” raccontano eventi di musica classica raccolti in più di trent’anni. Andrea Rotili, amante della musica jazz e della fotografia ha portato le immagini della rassegna Jazz a Carthage, un festival che unisce molti generi e presenta artisti affermati e nuovi talenti.

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Dice Andrea Rotili in un’intervista … “La fotografia è anche un sistema per far conoscere la musica che, oltre alle note, è fatta di emozioni trasmesse da immagini”. La raccolta di immagini di Charley Fazio – “Transiti 2008” rispecchia l’evoluzione del suo stile e della sua ricerca e sono la testimonianza della sua transizione. Le immagini della mostra di Arturo Safina – “Prospettiva Jazz” - trasmettono un grande amore per la fotografia e per la musica. I suoi scatti, frutto di tanti anni di osservazione, coniugano i tratti comuni della fotografia e della musica, il loro carattere impulsivo e vibrante. La mostra collettiva dei soci ICDV Gruppo Scatto “Emozioni in note” – ha raccolto immagini scattate durante la stagione lirica dell’Ente Luglio Musicale Trapanese. La passione dei fotografi del Gruppo Scatto ha dato vita ad un lavoro di pura passione dove la fotografia e la musica diventano e sono spettacolo, si fondono per essere un unico strumento espressivo. Infine al Museo Civico della Torre di Ligny sono state esposte le immagini di “Obiettivo Musica” dei fotografi di scena dell’Accademia del Teatro della Scala di Milano, immagini di musica caratterizzate da un forte contenuto emozionale e realizzate con una sensibilità magistrale.


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La giornata di Sabato 19 Ottobre 2019 si apre con la lectio magistralis “Analisi e prospettive della fotografia contemporanea” con Roberto Mutti al Liceo Artistico Michelangelo Buonarroti. Critico, storico e docente di fotografia, Roberto Mutti insegna all’Accademia del Teatro della Scala e all’Istituto Italiano di Fotografica di Milano. Nella sua lunga carriera ha realizzato mostre di giovani talenti, è organizzatore e curatore, collabora con gallerie private ed istituzioni pubbliche nonché con diverse testate giornalistiche. In questa mattinata, davanti ai ragazzi del liceo ed a molti amanti della fotografia, presenta la sua analisi della fotografia contemporanea. Un argomento che colpisce in questa presentazione dedicata alla fotografia nel suo complesso, dalla pellicola al digitale, è l’interfotogramma. Si scatta, ma ciò che vi sarebbe stato tra il primo e il secondo scatto rimane inespresso. Possiamo dire che l’interfotogramma è ciò che non si è potuto riprendere consciamente, un’inespressione fotografica. In qualche modo qualcosa rimane registrato e, a volte, è possibile riappropriarsene. Scattare, rimontare la pellicola e scattare nuovamente: la parte che divide uno scatto dall’altro diventa l’interconnessione tra le due foto. Durante la sua presentazione nomina e presenta molti fotografi che hanno esplorato la fotografia in modi diversi e in settori diversi proiettando le immagini per descrivere le loro peculiarità, il loro lavoro e la loro visione. Fotografi di paesaggio, di architettura, di moda, di reportage per arrivare alla presentazione di alcuni nuovi talenti. Tra i professionisti nominati durante la presentazione c’è anche Maurizio Galimberti che sarà ospite di TrapanInPhoto 2019.

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Nel pomeriggio torniamo alla Biblioteca Fardelliana per la presentazione del libro “Fotoromanzo”. L’autrice, Silvana Turzio ha insegnato all’Università di Milano e Bergamo, è saggista e curatrice, ha lavorato e collaborato con programmi televisivi e periodici culturali italiani e stranieri. In quest'occasione le è stato consegnato il Premio per la Cultura Fotografica 2019 “Salvatore Margagliotti”. La motivazione per l’assegnazione del premio è stata la capacità di Silvana di ampliare la sua visione culturale, aiutata dal lavoro universitario, dalla ricerca visiva e letteraria. Così l’autrice arriva alla rivelazione del fenomeno fotoromanzo, a lungo sottovalutato. Quando si apre un libro si attiva un mondo immaginario perché un libro può essere inattivo, un oggetto senza vita, finché non vi entra il lettore e crea una connessione con il libro. E’ una connessione con la mente e con l’immaginario. Più leggi più entri nel mondo del libro, del fotoromanzo. Roberto Mutti inizia la presentazione del libro congiuntamente all’autrice, Silvana Turzio. Alcuni di noi ricorderanno sicuramente questo genere di pubblicazione e l’avranno considerato come un semplice prodotto per l’intrattenimento. Quanto è stato detto durante questa serata ha rivelato un mondo del tutto sconosciuto che si cela dietro alla facciata del semplicismo con il quale è stato trattato e definito il fotoromanzo. Silvana apre il sipario sul significato intellettuale del fotoromanzo nella cultura italiana e sul motivo per

cui ha ottenuto questo successo dilagante negli anni Cinquanta. Il sottotitolo del libro “metamorfosi delle storie lacrimevoli” già induce il lettore ad un atteggiamento d’indagine. Nell’immaginario comune si tratta di storie rosa, racconti d’amore a lieto fine. In verità i fotoromanzi furono anche un genere politico e di controinformazione. Possiamo definirli racconti in posa, nati da un’idea stravagante per l’epoca: sostituire i disegni dei fumetti con fotografie. In Italia ricorderete le pubblicazioni di Grand Hotel, Sogno e Bolero. I fotoromanzi avevano una costruzione piuttosto complessa, sembravano fotografie facili e testi semplici, ma le immagini erano fatte apposta per dare spazio alle didascalie. In origine erano uno strumento di intrattenimento, storie lacrimose, storie che affrontavano i problemi delle donne e delle famiglie, storie che dovevano creare emozioni e suspense e parlare di sentimenti, passioni e costume. I partiti politici presto capirono che potevano rappresentare un mezzo di diffusione dell’informazione e di alfabetizzazione determinando pertanto un’evoluzione della società. I fotoromanzi politici poggiano su forme ed illustrazioni popolari. Una storia e un mondo tutto da scoprire che invoglia il lettore ad indagare in profondità questo genere di pubblicazione.

da sx, Roberto Mutti, Rosanna Margagliotti, Arturo Safina, Silvana Turzio, Marilena Galia Giroinfoto Magazine nr. 49


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vincitore come nel raccomandare una menzione speciale, non prevista, per un altro portfolio. Domenica 20 ottobre 2019, si apre il Concorso Portfolio 2019 presso il complesso monumentale di San Domenico, una location storica di Trapani, di cui parleremo più avanti. L’Associazione I Colori della Vita ha invitato noti critici, fotografi e docenti universitari che si sono alternati nella visione delle singole opere fotografiche e hanno fornito un parere critico, consigli, suggerimenti di carattere tecnico, artistico, editoriale. Hanno presenziato alla lettura: Roberto Mutti (giornalista e docente di storia della fotografia), Pino Ninfa (fotografo), Pippo Pappalardo (critico fotografico e storico della fotografia), Silvana Turzio (docente universitaria, curatrice e saggista) e Charley Fazio (fotografo). Sono stati presentati 8 portfolio fotografici di 8 autori. La giuria, composta dai lettori citati in precedenza, ha stabilito i criteri di giudizio attraverso i quali valutare i portfolio presentati. La giuria si è trovata in sintonia nella scelta del

Il vincitore del Concorso Portfolio 2019, Salvo Titoni, è un fotografo siciliano di Trapani del Gruppo Scatto. Titolo dell’opera è Xènos chi?! che nasce dall’idea del ritratto, ritratti che hanno il compito di raccontare una storia e le sensazioni di ciascuno di noi quando ci si confronta con una persona straniera, apparentemente diversa da noi. Realizzando gli scatto l’autore del portfolio vincente ha utilizzato due riferimenti simbolici, una connessione operata con il colore ed un richiamo di gesto. Il colore arancione ci ricorda i salvagenti e il dramma degli sbarchi dei migranti nel sud della nostra penisola. Il gesto, lo stesso in tutte le fotografie, sembra trasmettere un duplice messaggio: io straniero nascondo la mia diversità, ma lascio aperto il mio sguardo verso chi mi sta osservando sperando in un contatto, in un’apertura che possa congiungere due culture diverse, un incontro di sguardi, di persone, di culture diverse.

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Il secondo premio va all’opera Don Chisciotte di Antonella Messina, fotografa di Trapani. Il portfolio nasce per raccontare la figura del cavaliere spagnolo, prode combattente che aspira ad essere paladino della giustizia emulando gli eroi dei romanzi cavallereschi in cui egli crede fermamente. Protagonista del romanzo di Cervantes, la sua figura viene utilizzata dalla fotografa siciliana per approfondire la condizione umana confrontandola con l’avventura dell’eroe spagnolo e per quanto di simbolico è anche racchiuso nelle sue gesta raccontante nel romanzo. Volendo considerare una delle interpretazioni della figura di Don Chisciotte, possiamo dire che è il simbolo dell’uomo moderno che combatte un mondo che non lascia spazio all’immaginazione, lo combatte essendo un sognatore capace di guardare oltre la realtà. Le immagini di questo portfolio ci inducono ad osservare Don Chisciotte da un altro punto di vista e ci invitano a guardare al di là di ciò che la realtà ci permette di vedere con uno sguardo razionale. L’osservazione da un punto di vista artistico e/o fotografico rivela l’attitudine dell’autrice a “pensare per immagini”.

Alessandra Lombardo è la terza classificata con il portfolio Riace. Questa serie di immagini è stata studiata con taglio reportagistico per testimoniare fenomeni sociali e politici. Anche qui i protagonisti sono persone straniere alle quali l’autrice intende restituire visibilità e dignità, nonché permettere ai soggetti delle sue immagini di conservare la loro identità etnica attraverso i valori della famiglia e del lavoro.

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Una menzione speciale è stata assegnata all’opera Lentezza di Daniela Basiricò per aver presentato un lavoro originale e raffinato. L’autrice dimostra di possedere una visione del linguaggio fotografico totalmente personale e di una elevata delicatezza.

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Nelle giornate successive seguono molti eventi di grande rilievo. Lunedì 21 Ottobre 2019 l’incontro con Pino Ninfa ci porta a conoscere progetti nei quali la fotografia ha un ruolo diverso dal solito. Dalla Musica al Sociale ci fa capire quanto lo strumento immagine possa avere funzioni diverse per ciascuno di noi. Il 25 Ottobre 2019 Arturo Safina presenta, congiuntamente all’autore Roberto Strano, il libro “Fotografi Siciliani sparsi per il mondo”. Roberto Strano vive e lavora a Caltagirone, pur spostandosi spesso in Italia e all’estero. Ha iniziato ad usare la macchina fotografica da quando aveva 10 anni facendone un’estensione della sua sensibilità artistica. Si è dedicato alla fotografia di reportage ponendo particolare attenzione alla fotografia sociale. Dagli anni ’90 svolge un’attività di ricerca che gli ha fatto ottenere diversi riconoscimenti e diverse mostre. Il libro può essere interpretato come un viaggio dentro la passione della fotografia. Un viaggio costellato di incontri, un racconto, le storia delle persone viste attraverso le fotografie. “I reportage di Strano – scrive Pietro Collini – rientrano sicuramente nella categoria dei grandi reportage sociali e denotano sempre una grande attenzione dell’autore per il rispetto e la profonda considerazione verso i suoi soggetti”. I lavori di Roberto Strano denotano una grande preparazione, lo studio della realtà trasmessa all’osservatore in modo magistrale, frutto di anni di analisi e riflessioni sulla gente e i suoi gesti. Sabato 26 Ottobre 2019 l’incontro con Davide Barbera ci porta “Dentro il Reportage”. Davide è nato a Trapani ma toscano di adozione dove si forma alla Libera Accademia di Belle Arti. Inizia il suo percorso con la fotografia di scena e il reportage. Amante della scrittura ora è redattore del primo mensile online di fotogiornalismo italiano. Il

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fotogiornalismo è fare informazione utilizzando come mezzo espressivo la fotografia. L’evoluzione tecnologica e la duttilità degli strumenti hanno fatto sì che la fotografia assumesse sempre più importanza nel mondo dell’informazione. Pertanto i fotografi iniziarono a guardare con occhio più attento e critico ciò che accade nella realtà per far conoscere i fatti. Le immagini permettono quindi di percorrere un viaggio, dal passato al presente, testimoniando grandi e piccoli eventi che hanno contribuito a fare la storia del nostro secolo. La giornata di sabato si chiude con la Lectio Magistralis in compagnia di Maurizio Galimberti. Fotografo di successo vive e lavora a Milano. Lo conosciamo per il suo lavoro di rivisitazione della tecnica del mosaico fotografico con la Polaroid. Inizia con ritratti eseguiti in ambito cinematografico che lo portano al Festival del Cinema di Venezia. La sperimentazione poi continua con i paesaggi, le città e l’architettura. In un’intervista Maurizio Galimberti racconta la sua esperienza con la Polaroid come … “un mezzo che non determina la mia libertà creativa, ma la agevola. La passione per la Polaroid nasce in realtà dall’impazienza di non voler aspettare i tempi della camera oscura. Un mezzo che di per sé reinterpreta il reale. Ed era proprio la Polaroid che mi ha consentito di giocare al meglio con le avanguardie storiche che da sempre mi appassionano”. Guardare le sue opere ha un ché di emozionante, per la composizione e per la ricerca che si nota sta dietro a ciascun mosaico. TrapanInPhoto si chiude il 27 Ottobre 2019 con il tanto atteso concerto di Francesco Buzzurro. Risulta difficile scrivere di questo evento perché avreste dovuto ascoltarlo e godere di queste note!


Fotografia e musica:

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il rapporto tra arti che fanno culto

Fotografia significa letteralmente "dipingere con la luce". E' un concetto da esprimere con il giusto linguaggio, è diventata arte, movimento e forma espressiva. Infatti ognuno di noi, attraverso la sua esperienza, il suo sentire e il suo modo di "vedere il mondo" percepisce qualcosa di diverso nella realtà che nessun'altro avrebbe potuto immaginare o trovare, perché nasce dalla profondità dell'anima di ciascuno di noi. Pertanto mi pongo la domanda su quali siano le analogie con la musica. Come la fotografia anche la musica è un linguaggio, espresso con i suoni invece che con le immagini. Entrambi i linguaggi sono mezzo di espressione personale di ciascun artista, fotografo o musicista che sia. Il fatto che un insieme di suoni possa essere definito “musica” è correlato alla soddisfazione che ne trae chi percepisce i suoni. Per alcuni è un linguaggio universale che ognuno di noi può comprendere. Quindi anche un’immagine, una fotografia è un linguaggio universale perché chiunque veda una fotografia è in grado di coglierne il significato oppure di attribuirle un significato elaborato consciamente e/o inconsciamente in base alla propria esperienza di vita e culturale. Ora, associamo questi due linguaggi espressivi, artistici. Pensate alle immagini di un film con la musica che le accompagna. Attraverso le sonorità le immagini acquistano un valore diverso, lo spettatore viene indotto a provare delle sensazioni particolari come la felicità, la tensione, il romanticismo o la tristezza. Insomma un certo genere di musica associato ad un’immagine la rende più incisiva e altera lo stato mentale e percettivo dello spettatore. Scindere questi due linguaggi tuttavia lo trovo difficile e forse non appropriato. Siamo in un unico territorio espressivo che nasce dalla fantasia dell’essere umano e racconta una storia. Se queste due arti vengono associate in modo corretto ne può nascere una vera e propria forma d’arte del tutto nuova. Probabilmente uno dei connubi meglio riusciti tra fotografia e musica sono state le copertine degli album in vinile nati da semplici fotografie. Ancor oggi questo matrimonio perdura con strumenti più sofisticati ma le copertine continuano ad essere il simbolo e la rappresentazione della musica. Molti artisti contemporanei ormai utilizzano questi due linguaggi in modo contestuale proprio per dare maggiore enfasi al proprio lavoro e alla propria arte. Immagini e musica creano ritmo, a volte avvolgente, a volte sorprendente, a volte incalzante. Ecco ciò che le rende interconnesse e perfette: le emozioni che suscitano in tutti gli esseri umani. Giroinfoto Magazine nr. 49

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La manifestazione, l'obiettivo sociale e la valorizzazione del territorio. TrapanInPhoto, oltre alla diffusione dell'arte della fotografia, si propone di promuovere e valorizzare il territorio. In questo reportage vorremmo attirare la vostra attenzione sulla parte culturale e storica di questa zona della Sicilia. Per questo facciamo riferimento a Le Vie dei Tesori che si svolgono in varie città dell’isola tra Settembre e fine Ottobre con date prestabilite. Saranno accessibili al pubblico palazzi nobiliari, terrazze segrete, monasteri, chiese e cripte, giardini, musei scientifici, luoghi in gran parte di solito chiusi o non raccontati. Nel 2019 sono stati quindici i capoluoghi e le città d’arte aderenti al festival. Per questo inseriamo qualche fotografia di luoghi storici e culturali della città di Trapani invitandovi a conoscere questa parte della Sicilia che offre moltissime mete turistiche, culturali, storiche e paesaggistiche di grandissimo interesse e bellezza. La promozione dell'arte della fotografia ha fatto sì che si generasse un forte contatto tra persone, enti ed associazioni. Un ringraziamento va a tutti coloro che hanno reso possibile l'organizzazione di TrapanInPhoto a partire dall'Associazione "I colori della vita" e quanti citati di seguito come patrocinio, partner della manifestazione, Media Partner ed ospiti. TrapanInPhoto vi invita alla decima edizione nel mese di Ottobre 2020 per scoprire altri e nuovi segreti della fotografia!

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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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Giaveno Domenica 13 Ottobre 2019, in occasione della 38a edizione della rinomata Sagra del Fungo Porcino di Giaveno, in provincia di Torino, si è svolto il raduno del Club Italiano del Coupè Fiat, organizzato dai responsabili di Club Giorgio Basso e Andrea Zanatta. Nell'atmosfera autunnale montana, tra bancarelle di funghi e profumi gastronomici locali, nella Piazza Maritano di Giaveno, fin dalla mattina iniziano a giungere esemplari di Fiat Coupè dei più svariati colori, ordinate ed allineate formano un gradevole scenario composto da 47 auto con relativi equipaggi a bordo. Arrivano da ovunque, persino dalla Toscana, il Club si riunisce per l'ennesima volta a celebrare la loro passione per il Fiat Coupè.

Da sx, Andrea Zanatta, Giorgio Basso e il Sindaco di Giaveno Carlo Giacone Giroinfoto Magazine nr. 49

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Cinzia Carchedi Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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A metà mattinata, un coro di auto rombanti si muove per dirigersi in una famosa officina del luogo:

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Il garage è maniacalmente ordinato e pulito, quasi come una sala operatoria e adornato in occasione del ricevimento del gruppo delle Fiat Coupè, che una volta parcheggiate nell'ampio cortile dell'officina con il solito teatrino rombante, invadono i locali per godere del piccolo rinfresco preparato dai titolari.

Storicamente legata alla Fiat, i titolari dell'officina, Paolo e Andrea Regen, insieme ai figli, ci accolgono mostrandoci il primo prototipo del tappo di design della Fiat Coupè o progetto 175 come era nota in fase di progettazione dai disegni di Chris Bangle.

Domenico Gervasi Photography

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Giancarlo Nitti Photography

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Elisabetta Cabiddu Photography

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Giancarlo Nitti Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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Il Tour Concluso l'aperitivo presso l'Officina Rosso Italia, i 47 equipaggi si dirigono alla Casa degli Alpini, ospiti di un pranzo ovviamente tutto a base di funghi porcini. Dopo l'abbondante banchetto, un po' appesantiti la sfilata delle Fiat Coupè ha inizio partendo da Giaveno dirigendosi sulle strade inerpicate della Sacra di San Michele, simbolo monumentale del Piemonte. La fila è interminabile e le auto colorano l'asfalto con le loro sfavillanti cromie, lente ed orgogliose fino ad arrivare in alto al Colle Braida per una sosta.

Elisabetta Cabiddu Photography Giroinfoto Magazine nr. 49


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anni di Fiat Coupè

Fari carenati e “sciabolate” sulla carrozzeria rendono riconoscibile la Fiat Coupé rispetto alle tante auto a 2 porte degli anni '90. Sono prima di tutto questi due dettagli che conferiscono una personalità unica. Ispirato alla stessa epoca è lo stile dell’interno, progettato da Pininfarina con la strumentazione circolare e la fascia al centro della plancia nello stesso colore della carrozzeria. Non è dello stesso tempo il tappo benzina, ispirato sicuramente agli anni sessanta. Uno stile che ha dato il risultato di oltre 70.000 esemplari venduti fra il 1994, anno della sua uscita sul mercato e il 2000. Si ringrazia il Club del Coupè Fiat Piemonte e Fiat Coupè Torino per l'ospitalità.

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A cura di Monica Gotta


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Uno dei cinque paesi delle Cinque Terre in Liguria, un tratto di costa che si snoda su soli 17 km “Se allora mi avessero domandato che forma ha il mondo avrei detto che è in pendenza, con dislivelli irregolari, con sporgenze e rientranze, per cui mi trovo sempre in qualche modo come su un balcone, affacciato a una balaustra, e vedo ciò che il mondo contiene disporsi alla destra e alla sinistra a diverse distanze, su altri balconi o palchi di teatro soprastanti o sottostanti, d’un teatro il cui proscenio s’apre sul vuoto, sulla striscia di mare alta contro il cielo attraversato dai venti e dalle nuvole”. (Italo Calvino)

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Stefano Zec Photography

LE CINQUE TERRE la coltivazione in sé stessa, sono lo scheletro portante di questo territorio.

Dal 1997 le Cinque Terre sono Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, mentre nel 1999 è stato creato l’omonimo Parco Nazionale delle Cinque Terre.

S

iamo qui per testimoniare il raccolto dell’uva e la vendemmia 2019, particolarmente ricca quest’anno, argomento che approfondiremo in un successivo articolo. Ma non si può parlare di vendemmia e vino a prescindere dal territorio.

parte della costa ligure di Levante – con particolare rilievo la zona delle Cinque Terre - è caratterizzata dai muretti a secco che si stima, ad oggi, siano circa 6.700 km in tutto il territorio.

In questo caso un territorio singolare, si potrebbe dire unico nel suo genere, sia per collocazione geografica che per le sue caratteristiche intrinseche.

Se non fosse per quest’antica tradizione che, ancor oggi, viene tenuta in vita dagli abitanti della zona, probabilmente le colline scivolerebbero in mare a causa delle forti piogge che hanno contraddistinto il cambiamento climatico degli ultimi anni.

La zona collinare di Manarola, ma non solo di Manarola bensì gran

I terrazzamenti, coltivati a vite ed olivo, oltre ad essere necessari per

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Fatto sta che i secolari muretti a secco hanno bisogno di una costante manutenzione e questo pone la popolazione e l’amministrazione davanti al problema della loro manutenzione e degli investimenti necessari a mantenerli in salute e operativi. Oggi, come in passato, l’uva viene raccolta con gli antichi metodi e con le monorotaia che abbiamo utilizzato per raggiungere i terrazzamenti e testimoniare la raccolta delle uve durante la vendemmia del 2019. È chiamata “agricoltura eroica” in quanto avviene in un territorio scosceso con conseguenti difficoltà intrinseche per l’usufrutto e la raccolta dei prodotti agricoli.


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’uva e il vino delle Cinque Terre sono rinomati a livello mondiale, in particolare lo Sciacchetrà, vino passito pregiato ottenuto attraverso una lavorazione delle uve del tutto singolare. Il suo nome deriva dalla parola sciac che significa schiacciare e da etrà ossia estrarre le vinacce dalla fermentazione. Le uve vengono lasciate appassire nel periodo autunnale, dopodiché lavorate ad hoc per ottenere questo vino ambrato e corposo, dai riflessi dorati e dal gusto delicato ed inimitabile. Comunque decidiate di arrivare a Manarola, frazione di Riomaggiore, sarete sorpresi nel vedere questo piccolo gioiello ligure. Si dice fondata nel XII secolo e pare, secondo la tradizione popolare, che il nome Manarola derivi da una ruota di un mulino ad acqua presente in paese, la “magna roea”. Una seconda ipotesi sull’etimologia del nome di Manarola nasce dalla storia di antiche popolazioni - probabilmente etrusche - provenienti dalla Val di Vara che, spostandosi dall’insediamento romano di Volastra, sono scese verso il mare per sfruttare le risorse del territorio. Si presume pertanto che il nome derivi da Manium arula, piccolo tempio dedicato a Mani (ossia alle anime degli antenati / defunti).

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anarola è anche stata protagonista della storia della Liguria attraverso le vicende occorse alla famiglia Fieschi, la resistenza ai pirati saraceni e il suo successivo fiorire commerciale grazie alla Repubblica di Genova. Per raggiungere Manarola in macchina si deve uscire al casello autostradale di La Spezia – Santo Stefano Magra e, immettendosi sulla strada provinciale 370 chiamata anche Litoranea delle Cinque Terre, si arriva a Manarola in circa 20 o 30 minuti a seconda del periodo e del traffico. Scendendo verso l’abitato si trovano due piccoli parcheggi a pagamento. Andando oltre si trova una sbarra che vieta l’accesso all’ultimo parcheggio, riservato ai residenti. Per raggiungere l’abitato è attivo il servizio di bus elettrici gestito dal Parco Nazionale delle Cinque Terre che opera dalla sbarra suddetta al paese stesso. Lo stesso servizio vi porta anche a Groppo e Volastra, immediatamente sopra a Manarola.

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Altro modo per arrivare alle Cinque Terre è il servizio Trenitalia da una qualsiasi città ligure. Negli ultimi anni è stato istituito un servizio particolare proprio raggiungere i paesi delle Cinque Terre.

attraverso due sentieri. Il primo è il sentiero di crinale N. 1, meglio conosciuto come Alta Via delle Cinque Terre. Parte da Portovenere e termina a Levanto, è un’antica mulattiera peraltro diramazione dell’Alta Via dei Monti Liguri.

Si chiama Cinque Terre Express, treni regionali che fermano in tutti i paesi. Nel 2019, dal 16 Marzo al 3 Novembre, è possibile usufruire di questo servizio con la tariffa denominata “Cinque Terre” e il trasporto delle biciclette è gratuito.

L’altro sentiero è il Sentiero Azzurro che attraversa tutte le Cinque Terre, da Monterosso a Riomaggiore. Nel tratto tra Manarola e Riomaggiore il Sentiero Azzurro assume il nome di Via dell’Amore, denominazione più conosciuta dai turisti.

Per chi ama il mare e non soffre la navigazione ci sono diversi traghetti che partono da La Spezia e Genova e naturalmente, da località intermedie. In questo caso si possono ammirare i cinque paesi dal mare, prospettiva del tutto differente da quella di cui si gode passando dall’alto.

Questo sentiero era nato come via di accesso e di servizio durante la costruzione della ferrovia e, negli anni ’90, è stata riaperta a scopo turistico. Sappiate che questo sentiero è soggetto al pagamento di un biglietto d’ingresso imposto dal Parco Nazionale delle Cinque Terre. In alternativa, per coloro che desiderano trascorrere più tempo nelle Cinque Terre, è possibile acquistare la Cinque Terre Card, di cui esistono 2 versioni che danno accesso ad altre facilities usufruibili nella zona.

Per coloro che si ritengono o che, effettivamente, sono sportivi ed amanti delle passeggiate in natura, Manarola si può raggiungere

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rrivando dai parcheggi si scende lungo la strada fino ad arrivare all’inizio dell’abitato che si snoda sinuoso tra vicoli e vicoletti verso il mare, fino ad arrivare alla marina. Nella discesa si trovano anche due belle terrazze dalle quali ammirare il paese verso monte e verso mare. Ciò che colpisce l’occhio sono i colori luminosi e brillanti delle case, tipici della Liguria. Ciascuna delle case, o meglio le case-torri, ha un colore diverso, verde, giallo, rosa, arancio, mattone ed anche elementi distintivi diversi, dalle ringhiere, ai numeri civici, le persiane e così via.

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Senza contare i gozzi “parcheggiati” lungo la strada principale che scende verso la marina, oggetto di particolare attenzione da parte dei gatti del paese che li usano come culla per il riposino pomeridiano. Percorrendo la strada principale, ricavata dalla copertura di un corso d’acqua, il Groppo, si incontra la piazza della chiesa dedicata a San Lorenzo, patrono della cittadina che viene festeggiato il 10 Agosto. La costruzione della chiesa si fa risalire al 1138 ad opera degli abitanti di Manarola e Volastra. È il monumento principale del paese, con una pianta a tre navate.

Costruita in stile gotico ligure, presenta un rosone a dodici colonnine in marmo di Carrara. All’interno della chiesa, in stile barocco, si trova una misura in marmo che reca, ancor oggi, lo stemma della Repubblica di Genova. La curiosità di quest’opera architettonica è il campanile. A pianta quadrangolare, è separato dalla chiesa, posto di fronte ad essa. Probabilmente è stato ricavato da un’antica torre di avvistamento per le incursioni dei Saraceni.


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il cimitero di Manarola, Punta Bonfiglio. Sorge spontaneo chiedersi il perché di una posizione così esclusiva. Ebbene, per i manarolesi, è imprescindibile il fatto di portare il massimo rispetto ai propri avi. Pertanto è stata scelta una location privilegiata in modo che gli antenati possano godere della meraviglia di questo territorio. Guardando dove sono i cimiteri si può capire cosa vuol dire nascere, vivere e morire nelle Cinque Terre. Sono nei posti più belli dei cinque paesi perché, dopo la peste del 1300 quando divenne obbligatorio costruire i cimiteri, la gente del posto capì che era segno di rispetto tenere i defunti nei posti più belli.

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aradiso di vitigni ed ulivi, con produttori particolarmente attenti alle antiche tradizioni, oltre che vino ed olio troviamo i prodotti della pesca, la cucina e artigianato tradizionale.

Continuando la discesa verso il mare incontriamo piccoli negozi, artigianato della zona, gelaterie, ristoranti, bistrot, locali da aperitivo. La cucina è semplice, a base di pesce, insaporita principalmente da erbe aromatiche quali timo, origano e maggiorana, condita con olio d’oliva della zona e bagnata dai vini bianchi locali. Non manca la cucina a base vegetale che utilizza le verdure tipiche della regione con ricette speciali della tradizione ligure, tra cui fiori di zucchino ripieni e/o fritti, la torta Pasqualina, il minestrone di verdure, le verdure ripiene, la focaccia e la farinata, senza dimenticare la panissa! Arrivati sopra la marina, alla nostra destra, scorgiamo l’altura dove si trova

Anche i cimiteri di Corniglia e Riomaggiore sono situati in alto, su speroni di roccia e non ci sono abitazioni intorno. È una prerogativa di questa zona. A detta degli abitanti delle Cinque Terre, questo è il valore che ha vivere e morire nelle Cinque Terre. Alla nostra sinistra invece si vede ciò che resta del castello di Manarola. Fu costruito vicino al mare per motivi strategici, poi fu utilizzato come fortificazione e difesa del borgo contro le incursioni dei pirati saraceni. Ancor oggi è visibile il torrione sullo scoglio, ma è diventato abitazione privata. Tuttavia è facilmente riconoscibile per via della sua forma arrotondata, in primo piano sulla scogliera, privo dei colori distintivi delle case di Manarola, conservato al suo stato originale. Giroinfoto Magazine nr. 49


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uardandola dal mare, Manarola sembra in procinto di scivolare nelle acque turchesi del Mar Ligure tanto è arroccata sulle scogliere. Alzando lo sguardo verso l’alto non si può far a meno di ammirare le altrettanto ripide colline dove si coltivano i vitigni che andremo a visitare nella prossima giornata di permanenza alle Cinque Terre. Manarola, però, non vale solo una visita nel periodo estivo. Infatti nel periodo natalizio, ormai dal 1961, viene allestito un presepe luminoso, in occasione

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dell’inizio delle feste natalizie ossia dal 8 Dicembre. Posizionato sulla collina che domina il borgo marinaro, questo presepe è opera di un maestro di tale arte che realizza artigianalmente i personaggi dell’installazione. Questi vengono creati con materiali di riciclo - contenitori di plastica, vecchie tapparelle, tondini di ferro e legno - creando così delle sagome che, ornate di migliaia di luci, costituiscono una rappresentazione unica al mondo, il presepe luminoso più grande al mondo. Il risultato finale, illuminato

da circa 15.000 lampadine, è uno spettacolo di luci e colori che associa magistralmente arte e tradizione. La magia di queste sagome a grandezza naturale nasce dalla fatica della realizzazione su una collina scoscesa, raggiungibile solo a piedi, e dalla povertà dei materiali utilizzati per l’installazione che trasmette ben altri insegnamenti. E grazie a Lorenzo, manarolese di nascita e attualmente imprenditore della zona, abbiamo avuto il piacere di vedere Manarola, Riomaggiore e Corniglia dal mare.


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Fondazione Manarola Cinque Terre

www.fondazionemanarola.org

… “Abbiamo creato una Fondazione per tutelare il paesaggio, la cultura contadina, le produzioni agricole tradizionali” …

Associazione 5 Terre Sotto il Mare facebook.com/5terresottoilmare

… “L’associazione nasce al fine di perseguire gli scopi scientifici e culturali relativi all’ambiente marino delle Cinque Terre ed elabora progetti in assoluta adesione alle finalità dell’Area Marina Protetta. Uno dei primi progetti, che ha una valenza sociale di rilievo, è il recupero del percorso subacqueo per diversamente abili, un sentiero sottomarino sostenuto e realizzato da sinergie con biologi, operatori subacquei professionisti, istruttori e guide HSA ed esperti nel settore delle disabilità” …

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a non è stato solo il giro in barca ad essere affascinante ed entusiasmante. Ciò che ha portato valore aggiunto alla nostra escursione è stato il racconto di Lorenzo su Manarola, sulle sue peculiarità, la sua storia, il vino e le criticità della zona. Lorenzo, biologo marino, è tornato al suo paese di origine per motivi personali e ha deciso di restare per promuovere e far conoscere alle persone questi piccoli paesi incastonati tra le scogliere di questo tratto di costa ancora indomito. Consigliere Comunale e socio fondatore dell’Associazione 5 Terre Sotto il Mare, Lorenzo si impegna in modo tenace nella promozione del territorio e nel trasmettere la conoscenza profonda di questi luoghi. Partiamo da Manarola per dirigerci verso Riomaggiore.

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Lorenzo inizia a raccontarci la storia di questo territorio prezioso. Per meglio capire cosa si sta facendo per salvaguardare questa zona, Lorenzo ci spiega che, nel 2014, è stata riconosciuta dalla Regione Liguria la Fondazione Manarola Cinque Terre (www. fondazionemanarola.org), a seguito degli eventi catastrofici dell’alluvione di Monterosso e altre zone limitrofe. Durante questo evento climatico avverso sono franate vaste aree, sono stati interrotti transiti ferroviari e la Strada Statale 1, l’Aurelia, anch’essa interessata da diverse frane. Dopo questa calamità naturale gli abitanti delle Cinque Terre hanno deciso di intervenire e di creare qualcosa che potesse dare il via ad una vera salvaguardia del territorio e dell’ambiente. Infatti lo scopo della Fondazione Manarola Cinque Terre è …

“Solidarietà sociale nel settore della tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente, interventi mirati al recupero, alla salvaguardia, al mantenimento in sicurezza del territorio nonché attraverso la valorizzazione delle qualità ambientali della zona e delle modalità tradizionali di coltivazione e produzione enologica specifiche della comunità Manarolese” ... La Fondazione si occupa di prendere in carico i terreni che vengono donati dai proprietari alla Fondazione stessa. Fatto ciò quest’istituzione si impegna a ricostruire i muretti a secco, a ripulire i terrazzamenti e dare in gestione gli appezzamenti ai produttori di vino. Altro obiettivo di questo intervento è dare nuovo impulso all’occupazione.


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La Fondazione Manarola Cinque Terre con il Parco Nazionale delle Cinque Terre si è anche vista assegnare un progetto europeo per la riqualificazione di diversi ettari di terreno. Il progetto denominato “Stonewallsforlife” ha ottenuto un finanziamento nell’ambito del Programma LIFE – “Climate Change Adaptation” (sul sito della Fondazione troverete le specifiche del progetto suddetto). Quest’idea, con ampia adattabilità ad aree limitrofe come Monterosso, avrà una durata stimata di 5 anni e comprenderà anche un progetto di formazione di manodopera specializzata nel mantenimento dei muretti a secco. Questo progetto nel progetto ha anche una marcata valenza sociale che permetterà di tramandare quest’antica conoscenza.

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Vi invitamo a leggere le storie di alcuni lavoratori che sono stati inseriti in questo programma e che trovate sul sito della Fondazione Manarola Cinque Terre.

Dal mare si vedono con chiarezza i terreni che sono già stati bonificati dalla Fondazione. Manarola si colloca nella parte bassa di un anfiteatro, l’Anfiteatro dei Giganti, mentre la parte alta è contornata da vigneti in produzione e da altre parti, dove non c’è vegetazione, che sono pronte ad essere date in gestione ai viticoltori. Sono diversi gli ettari di terreno ad essere interessati ed è un modo per salvaguardare Manarola e il territorio circostante dal dissesto idrogeologico della zona. Pertanto il ripristino dei muretti è un obiettivo primario per la salvaguardia del borgo. Quando questo lavoro di ripristino sarà terminato l’anfiteatro di Manarola sarà nuovamente come si presentava 100 anni fa.

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ontinuando la navigazione verso Riomaggiore passiamo davanti alla costa dove si snoda la Via dell’Amore, attualmente chiusa. Sono stati costruiti dei ponti sospesi per permettere il passaggio in alcuni punti, ma questa soluzione non ha avuto il successo sperato specie dopo il crollo di uno di questi ponti a causa di un’ennesima frana. La chiusura della Via dell’Amore incide negativamente sul territorio. Manarola fa parte del Comune di Riomaggiore, dove si trovano molti servizi. Ciò costringe gli abitanti ad usare treni ed auto per spostarsi, mentre il sentiero

li poterebbe a destinazione in pochissimo tempo e senza dispendio. Gli stessi effetti negativi li sta producendo anche sul turismo in quanto arteria primaria in questa parte di territorio. Costruita nel 1920 dagli abitanti del posto, usufruendo del materiale del raddoppio della linea ferroviaria, è ora in attesa di tornare al suo passato splendore. Ad Ottobre 2019 ci sarà una visita delle autorità liguri per la presentazione del progetto definitivo per il ripristino della strada, chiusa dal 2012 per via alcune frane.

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rivolta al turismo, ha come obiettivo trasmettere la conoscenza del territorio e del paesaggio a coloro che usufruiscono del suo servizio. Racconta dei vigneti, delle radici storiche per rendere i turisti consapevoli di dove si trovano osservando la curiosità e lo stupore delle persone che accompagna. La domanda che ci si pone è … “Perché la gente in passato ha iniziato a costruire terrazzamenti a 350 metri di altezza per arrivare fino alla linea di battigia con un declivio medio del 70%?”

Lorenzo, con la sua attività

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e ragioni esistono e continuano ad esistere.

Questi 17 km di costa sono, a detta degli scienziati, i 17 km più idonei alla coltivazione della vite nel mondo. In questo territorio sono presenti tutti i fattori necessari per una buona crescita della vite. Il fattore geologico, geochimico e minerale è il primo in quanto il terreno è composto da strati sedimentari di roccia arenaria emersi dal mare. È un ambiente climatico temperato, anche un microclima desertico, in quanto la pioggia passa attraverso gli strati rocciosi e non si accumula nel terreno ma si raccoglie in bacini sotterranei. Le viti crescono su questi strati rocciosi e, alcune di esse centenarie, arrivano ad avere radici lunghe anche 30 metri per assorbire i minerali e i nutrienti dal terreno. Complici, infine, per la

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realizzazione di questo habitat unico sono l’irraggiamento solare di circa 8 mesi all’anno, la salsedine che arriva dal mare e il vento.

diversi. A questo punto si può capire il motivo per il quale il vino DOC delle Cinque Terre presenta caratteristiche così uniche.

Quindi le viti, in questo territorio, si può dire che crescano in un ambiente desertico, poca acqua concentrata in determinati periodo dell’anno.

A parte il clima e i diversi microclimi delle colline non è costituito da un unico tipo di vitigno, ma da tre specie diverse: albarola, bosco e vermentino. Il bosco è un vitigno endemico e si trova solamente in questa zona, mentre vermentino ed albarola sono più comuni.

Testimoni ne sono le altre specie vegetali che caratterizzano questa zona che sono perlopiù piante con poco bisogno di acqua (cactus, agavi, fichi d’india, palme e flora adatta al clima mediterraneo come lentisco e pino). Anche la ripidità della collina è favorevole alla crescita della vite. A seconda dell’altezza si differenziano i diversi microclimi. Detto ciò è facile immaginare come le viti si comportino in modo diverso a seconda della posizione in cui si trovano, dando pertanto vita ad uve caratterizzate da aromi e gusti

Ci sono anche altre uve, bianche e nere, e si sta sperimentando la reintegrazione di altre specie che erano presenti in tempi passati, precedenti all’infestazione della fillossera del 1920 che ha distrutto gran parte dei vitigni. Infatti alcune cantine, ormai conosciute nei circuiti internazionali, stanno sperimentando altri tipi di vino al di fuori del DOC.


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detta di un esperto di vini, il vino delle Cinque Terre fonde in sé due anime, una maschile e una femminile. Il tratto maschile è dato dall’acidità del bosco, il tratto femminile è dato dal vermentino con i suoi profumi fruttati e gentili della macchia mediterranea, amalgamati dall’albarola che conferisce la sapidità, un’uva molto dolce che estrae dal terreno la maggior quantità di sale che viene trasferita al gusto. Questa è la descrizione poetica del vino delle Cinque Terre. Tornando alla sperimentazione delle cantine, avendo a disposizione tre uve diverse, provenienti da appezzamenti diversi e a seconda di come si miscelano le uve, se ne traggono vini diversi con profumi e sapori sempre nuovi. Questo è un altro punto d’orgoglio della produzione vinicola di questo territorio che sta sperimentando la creazione di nuovi gusti da far assaporare agli amanti del vino. Al momento pare che il territorio sia coltivato a vitigno per circa il 15%.

Le previsioni sono di incrementare il più possibile le coltivazioni, interagendo in modo particolare con il crescente afflusso turistico. Infatti durante la nostra permanenza a Manarola abbiamo notato che il borgo era frequentato da turisti tedeschi, francesi, spagnoli oltre che italiani. Una frequentazione cosmopolita e frizzante degna delle migliori località turistiche. Passiamo davanti alla falesia di Corniglia e Lorenzo dice … “sembrano le pagine di un libro”. Un paragone azzeccato vista la geomorfologia di questa roccia ben visibile dal mare. Famosi pittori come Antonio Discovolo e Giuseppe Arigliano, il pittore delle trasparenze marine, hanno visitato e immortalato le Cinque Terre nelle loro opere, senza contare poeti e scrittori che hanno fatto altrettanto lasciando le loro testimonianze in questi luoghi e nei loro scritti. Alle Cinque Terre il lavoro del viticoltore e la cura delle viti viene

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chiamata “agricoltura eroica” perché chiede un impegno pari a 365 giorni l’anno. È necessario levare l’erba, fare le fosse, tagliare e legare i vitigni per proteggerli dal vento e dal sole a seconda dell’inclinazione della fascia di terra che si coltiva. I muretti a secco arrivano quasi fino in mare e, passando lunga costa vicino a Corniglia nei pressi dell’insenatura di Guvano, si vede chiaramente fin dove arrivavano le coltivazioni. Ciò significa che, dove si vedono i muretti a secco, fino a 150 anni fa c’erano coltivazioni di vite. Infatti, in alcuni punti, si procedeva alla vendemmia con le barche o calandosi con le corde. Le coltivazioni sono partite dall’alto e scendendo gradualmente, le popolazioni hanno occupato il territorio fino ad arrivare al mare, processo che si è svolto nell’arco di circa 200 anni.

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Prima di essere destinata alla produzione del vino, l’uva delle Cinque Terre veniva venduta al mercato di Genova come primizia. Per trasportarla venivano composte delle cassette con paglia e coperchio che venivano poi traportate via ferrovia fino a Genova. Infatti ogni stazione aveva un binario morto che veniva utilizzato per caricare le cassette sui vagoni adibiti al trasporto delle uve senza inficiare il traffico ferroviario tradizionale. Il nuovo Piano Regolatore che si sta scrivendo in questo periodo, sarà applicato a tutti i 5 paesi e saranno previste delle aree apposite per l’artigianato dove prevedere la costruzione di cantine nell’ottica di una ripresa più diffusa ed incisiva dell’attività vinicola. Questo per agevolare la

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produzione senza dover trasportare e spostare le uve per troppi chilometri. In questo momento storico gli abitanti delle Cinque Terre stanno riconquistando spazi per la coltivazione ma, al tempo stesso, rispettando gli equilibri della natura. Si nota infatti una forte interazione dell’uomo con la natura, allo scopo di recuperare il territorio, uno stile di vita ed una tradizione millenaria. Questo concetto, calato nel contesto socio-economico della zona, sta giocando un ruolo di forte impatto sulla società del territorio delle Cinque Terre. L’obiettivo finale è quello di realizzare un’armoniosa convivenza tra uomo, natura e territorio e di portare questo innovativo stile di vita a conoscenza di un più vasto pubblico.

Nel prossimo reportage andremo a testimoniare la vendemmia vera e propria. Abbiamo potuto vedere di persona ed in loco, sui terrazzamenti, il duro lavoro degli operatori agricoli occupati nella raccolta di queste preziose uve. Raggiungendo i siti di raccolta con i trenini a cremagliera, parlando con le persone al lavoro nelle vigne e con il Presidente della Cooperativa Agricoltura delle Cinque Terre, Matteo Bonanini, abbiamo potuto immedesimarci consapevolmente in questa realtà così peculiare ed inconsueta. Se siete curiosi di sapere tutto sulla vendemmia e sul vino delle Cinque Terre, tornate per leggere il numero di Dicembre 2019. Restate a portata di click!


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Si ringrazia

Lorenzo Rollandi

Imprenditore e Consigliere Comunale e Socio Fondatore dell’Associazione 5 Terre Sotto il Mare www.5terrepelagosboat.com www.5terrepelagos.com

Matteo Bonanini

Presidente della SocietĂ Agricola Cooperativa www.cantinacinqueterre.com

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Quattro anni di foto e storie incredibili Buon compleanno Giroinfoto

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ARRIVEDERCI AL PROSSIMO NUMERO in uscita il 20 Dicembre 2019

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Conoscere il mondo attraverso un obbiettivo è un privilegio che solo Giroinfoto ti può dare veramente.

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