IL FUTURISMO LA SPEZIA
LA DONNA E
“Studio per Portovenere� G. Dottori Disegno a matita su carta, 1933
I L E
FUTURISMO STORIA L A
S U A
IL MOVIMENTO Il futurismo è stato un movimento artistico e culturale italiano del XX secolo. Ebbe influenza su movimenti artistici che si svilupparono in altri Paesi, in particolare in Russia, Francia, Stati Uniti e Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione, dalla pittura alla scultura, alla letteratura (poesia e teatro), la musica, l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La denominazione ufficiale del movimento si deve al poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti:
« Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere Aggressivo può essere un capolavoro. » (Dal Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti)
Una foto di Marinetti Scattata a La Spezia
LE ORIGINI Il Futurismo nasce in un periodo - l'inizio del Novecento - di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell'arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologiche e di comunicazione come il telegrafo senza fili, la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, "avvicinando" fra loro i continenti. Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento che portava, all'interno dell'essere umano, una nuova realtà: la velocità. I futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le biblioteche" in modo da non avere più rapporti con il passato e concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luce artificiale, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro e velocità sia nel tempo di produzione sia che nei trasporti, così come nei nuovi spazi che potevano essere percorsi (come il cielo ad esempio), sia nelle nuove possibilità di comunicazione. Questo movimento nacque inizialmente in Italia e successivamente si diffuse in tutta Europa.
“Velocità d’automobile” Giacomo Balla Olio su tela 1913
IL PRIMO FUTURISMO « Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell’umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro.» (Dal Manifesto dei pittori futuristi, febbraio 1910)
Nel Manifesto Futurista (1909), pubblicato inizialmente in vari giornali italiani quali la Tavola Rotonda di Napoli, la Gazzetta dell'Emilia di Bologna, la Gazzetta di Mantova, L'Arena di Verona e poi sul quotidiano francese Le Figaro il 20 febbraio 1909, Filippo Tommaso Marinetti espose i principi-base del movimento. Poco tempo dopo a Milano nel febbraio 1910 i pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo firmarono il Manifesto dei pittori futuristi e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto tecnico della pittura futurista. Nei manifesti si esaltava la tecnica e si dichiarava una fiducia illimitata nel progresso, si decretava la fine delle vecchie ideologie (bollate con l'etichetta di "passatismo", tra cui figura anche il Parsifal di Wagner, che a partire dal 1914 cominciò a essere rappresentato nei teatri d'Europa). Si esaltavano inoltre il dinamismo, la velocità, l'industria e la guerra, che veniva intesa come "igiene dei popoli”. La prima importante esposizione futurista si tenne a Parigi presso la galleria Bernheim-Jeune dal 5 al 24 febbraio 1912. All'inaugurazione della mostra erano presenti Marinetti, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo. L'accoglienza iniziale fu fredda, ma nelle settimane successive il movimento suscitò un certo interesse divenendo presto oggetto di attenzioni internazionali tanto da favorire la riproposizione della mostra anche in altre città europee come Berlino. La riconciliazione con i futuristi avvenne in seguito, grazie alla mediazione dell'amico Aldo Palazzeschi. Nel 1913 infatti, Soffici e Papini uscendo da La Voce decisero di fondare la rivista Lacerba appoggiando così il movimento futurista.
Alla morte di Umberto Boccioni nel 1916, Carrà e Severini si ritrovarono in una fase di evoluzione verso la pittura cubista, di conseguenza il gruppo milanese si sciolse spostando la sede del movimento da Milano a Roma, con la conseguente nascita del "secondo Futurismo”.
IL SECONDO FUTURISMO Il secondo futurismo fu sostanzialmente diviso in due fasi. La prima andava dal 1918, due anni dopo la morte di Umberto Boccioni, al 1928 e fu caratterizzata da un forte legame con la cultura post-cubista e costruttivista, la seconda invece, dal 1929 al 1938, fu molto più legata alle idee del surrealismo. Di questa corrente - che si concluse attraverso il cosiddetto "terzo Futurismo", portando anche all'epilogo del Futurismo stesso - fecero parte molti pittori fra cui Fillia (Luigi Colombo), Enrico Prampolini, Nicolay Diulgheroff ma anche Mario Sironi, Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Carlo Vittorio Testi e la moglie Fides Stagni. Se la prima fase del Futurismo fu caratterizzata da un'ideologia guerrafondaia e fanatica (in pieno contrasto con altre avanguardie) ma spesso anche anarchica, la seconda stagione ebbe un effettivo legame con il regime fascista, nel senso che abbracciò gli stilemi della comunicazione governativa dell'epoca e si valse di speciali favori. I futuristi di sinistra, generalmente meno noti nel panorama culturale italiano dell'epoca, comunque, costituirono quella parte del futurismo collocata politicamente su posizioni vicine all'anarchismo e al bolscevismo anche quando il movimento con i suoi fondatori e personaggi ritenuti principali fu fagocitato dal fascismo. Anche se la gerarchia fascista riservò ai futuristi coevi una sottovalutazione talvolta sprezzante, l'osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del Futurismo furono quasi sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che alcuni di questi non abbracciarono altri movimenti e presero le distanze dall'ideologia fascista (Carlo Carrà, ad esempio, abbracciò la metafisica).
“Le città della rivoluzione” Gerardo Dottori, 1933
ARCHITETTURA « Il problema dell'architettura moderna non è un problema di rimaneggiamento lineare. Non si tratta di dover trovare nuove sagome, nuove marginature di finestre e di porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole con cariatidi, mosconi, rane (…): ma di creare di sana pianta la casa nuova, costruita tesoreggiando ogni risorsa della scienza e della tecnica… » (Antonio Sant'Elia, dal Messaggio posto a prefazione della mostra del gruppo Nuove Tendenze del 1914)
Sant’Elia Tavola di “La Città Nuova” 1914
Nel 1912 Antonio Sant'Elia, che divenne l'architetto più rappresentativo del movimento, era ancora distante dai futuristi ed era piuttosto legato nel movimento del cosiddetto Stile floreale. All'inizio del 1914 Sant'Elia pubblicò il Manifesto dell'Architettura futurista, dove esponeva i principi di questa corrente. Al centro dell'attenzione c'è la città del futuro, vista come simbolo della dinamicità e della modernità: in contrapposizione all'architettura tradizionale, le città idealizzate dagli architetti futuristi hanno come caratteristica fondamentale il movimento, i trasporti e le grandi strutture. I futuristi, infatti, compresero immediatamente il ruolo centrale che i trasporti avrebbero assunto successivamente nella vita cittadina. L'utopia futurista è una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte, un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è impregnata di dinamicità. Anche l'utilizzo di linee ellittiche e oblique simboleggia questo rifiuto della staticità per una maggior dinamicità dei progetti futuristi, privi di una simmetria classicamente intesa. Le teorie futuriste sull'architettura erano principalmente ideologiche ed erano espressione di un atteggiamento intellettualistico ma senza riferimenti a metodi formali e tecnici, tuttavia anticiparono i grandi temi e le visioni dell'architettura
e della città che saranno proprie del Movimento Moderno. A causa della guerra e dopo la morte di Boccioni e Sant'Elia il movimento futurista in Italia perse il suo slancio. Dopo il 1919 l'originaria proposta futurista dei primi tempi fu raccolta piuttosto dai costruttivisti russi. Il movimento razionalista italiano cercherà di proporre gli scenari della Città Nuova delle utopie futuriste ma il regime fascista smorzerà questi tentativi privilegiando un monumentalismo legato alla tradizione classicista. Lo stesso avvenne in Unione Sovietica con il sopravvento del regime totalitario. Al Secondo Futurismo appartengono le architetture di Angiolo Mazzoni, autore di notevoli edifici postali e ferroviari, ancora oggi validamente in funzione in diverse città italiane.
PITTURA Nel 1910 a Milano i giovani artisti d'Italia avevano pubblicato i manifesti sulla pittura futurista. Boccioni si occupò principalmente del dinamismo plastico e sintetico e del superamento del cubismo, mentre Balla passò dallo studio delle vibrazioni luminose (divisionismo) ed alla rappresentazione sintetica del moto. Nel 1912 Boccioni, Carrà e Russolo esposero a Milano le prime opere futuriste alla "Mostra d'arte libera" nella fabbrica Ricordi.
“La città che sale” Umberto Boccioni Olio su tela, 1910/1911
“Dinamismo di un cane al guinzaglio” Giacomo Balla Olio su tela, 1912
Il Futurismo diede il meglio di sé nelle espressioni artistiche legate alla pittura, al mosaico e alla scultura, mentre le opere letterarie e teatrali, ma anche architettoniche, non ebbero la stessa immediata capacità espressiva. Dal punto di vista stilistico il futurismo - in particolare quello boccioniano - si basa sui concetti del divisionismo che però riesce ad adattare per esprimere al meglio gli amati concetti di velocità e di simultaneità, come si vede ad esempio nel celebre dipinto “La città che sale”. Dal punto di vista concettuale, il futurismo naturalmente non ignora i principi cubisti di scomposizione della forma secondo piani visivi e rappresentazione di essi sulla tela. Cubista è senz'altro la tecnica che prevede di suddividere la superficie pittorica in tanti piani che registrino ognuno una diversa prospettiva spaziale. Tuttavia, mentre per il cubismo la scomposizione rende possibile una visione del soggetto fermo lungo una quarta dimensione esclusivamente spaziale (il pittore ruota intorno al soggetto fermo cogliendone ogni aspetto), il futurismo utilizza la scomposizione per rendere la dimensione temporale, il movimento. La ricerca futurista aveva come scopo la rappresentazione sulla tela non di un istante di movimento ma il movimento stesso, nel suo svolgersi
“Bambina che corre al balcone” Giacomo Balla Olio su tela, 1912
nello spazio e nel suo impatto emozionale. Come conseguenza dell'estetica della velocità, nelle opere futuriste a prevalere è l'elemento dinamico: il movimento coinvolge infatti l'oggetto e lo spazio in cui esso si muove. Il dinamismo dei treni, degli aeroplani (Aero-pittura), delle masse multicolori e polifoniche e delle azioni quotidiane (del cane che scodinzola andando a spasso con la padrona, della bimba che corre sul terrazzo, delle ballerine) è sottolineato da colori e pennellate che mettano in evidenza le spinte propulsive delle forme. La costruzione può essere composta da linee spezzate, spigolose e veloci, ma anche da pennellate lineari, intense e fluide se il moto è più armonioso. Le tecniche pittoriche futuriste sono state riassunte nei due manifesti sulla pittura dei primi mesi del 1912. Due tra i principali esponenti del movimento pittorico, Umberto Boccioni e Giacomo Balla, furono presenti anche nella scultura. La pittura di Boccioni è stata definita "simbolica": il dipinto La città che sale (1910), per esempio, è una chiara metafora del progresso, dettato dal titolo e dalle scene di cantiere edile sullo sfondo, esemplificate nella loro vorticosa crescita dalla potenza del cavallo imbizzarrito, un vortice di materia che si scompone per piani. Se Boccioni è simbolico, Balla è fotografico e analitico: ancora legato a principi cubisti, non è raro che realizzi sequenze fotogrammetriche di una scena, per rendere il movimento, piuttosto che affidarsi a impetuosi vortici di pittura: è il caso del dipinto Bambina che corre al balcone (1912).
“Golfo della Spezia” G. Dottori Tescnica mista su faesite, 1912
RICOSTRUZIONE DELL’UNIVERSO F U T U R I S TA
LA SPEZIA, IL GOLFO: ”SINTESI DELLE FORZE E DELLE GENTILEZZE D’ITALIA” MARINETTI, AERO POEMA.
I PRIMI CONTATTI
GIOVANNI GOVERNATO E LA RIVISTA VERTICE
Il 1909 è l’anno di nascita del movimento futurista. I primi contatti con La Spezia risalgono invece al 1910, data in cui Marinetti parla al teatro Politeama della città ricevendo svariate critiche dal pubblico, esterrefatto dai toni con i quali il poeta si pronunciava. Negli anni 20, poi, un giovane pittore, Giovanni Governato, già appartenente al gruppo dell’Eroica, si era convertito al verbo futurista : Marinetti lo considerava già molto più che una promessa, nonché responsabile de la prima espressione dell’arte futurista avvenuta alla Spezia. Egli infatti, dando credito alle aspettative di Marinetti, organizzò la prima serata proto-futurista (finita anche questa nel caos) e fu condirettore della rivista Vertice, fondata da Fillia pochi anni prima. Il periodo di massima vitalità nella Provincia si può datare partendo dal 1930, fino al 1935, anno in cui inizia il movimento d’aero-vita, o secondo futurismo con esempi d’aero-pittura e aero-poesia, movimenti pittorici e letterari che avranno come protagonista la simbiotica relazione uomo-macchina e più nello specifico, uomo-aero, simultaneità.
I FATTORI FAVOREVOLI
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La presenza di due aeroporti-idro, (Uno al Muggivano e uno a Cadimare). Il cui sviluppo, stimolò tanto gli aero-pittori quanto gli aero-poeti.
L’aero-poesia è un genere poetico inventato e promosso e ideato dallo stesso Marinetti a partire dagli anni venti, (il manifesto, però è del 31) che prevede l'abolizione della punteggiatura e, parzialmente, della sintassi, un uso parossistico dell'analogia e dei neologismi. Saltuariamente compaiono alcuni brevi brani di parole in libertà. Aero-pittura è invece il termine col quale gli artisti aderenti al futurismo indicavano una concezione e una tecnica pittorica (e talvolta anche l’opera dipinta con tale tecnica) volta a rappresentare la realtà vista da grandi altezze, e con scomposizione dell’immagine per suggerire il movimento.
Il Manifesto dell’aero pittura futurista fu redatto nel 1929 da Marinetti, Balla, Fortunato Depero, Prampolini, Dottori, Benedetta Cappa, Fillia, Tato e Somenzi e pubblicato sulla "Gazzetta del popolo" del 22 settembre 1929 nell'articolo dal titolo Prospettive di volo. Marinetti aveva tratto ispirazione per il manifesto dell’aero-pittura dopo un lungo volo in idrovolante sul Golfo della Spezia.
“In volo sul villaggio coloniale” Renato Righetti Olio su tela, 1938
“Mistero aero di Fillia” Luigi Colombo (Fillia) Olio su tela, 1930
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Il sodalizio fra l’aero-pittore spezzino Renato Righetti e l’aero-pittore Fillia, che giunse per la prima volta a Spezia nel 31 per via della sua amicizia con Righetti, iniziata grazie alla collaborazione di entrambi al periodico futurista romano “Sant’Elia”.
Questo rapporto, fu, infatti, uno dei primi contatti importanti per La Spezia che le permise di divenire un punto di riferimento per il movimento. Dopo un rapido scambio di lettere, infatti, (l’iniziativa era partita da Fillia) l’aero-pittore arrivò alla Spezia quella che avrebbe dato un innesco ad una collaborazione preziosa. Nel 32 nasce alla Spezia la rassegna aero - pittura - arte sacra futurista, destinata ad entrare nella storia del futurismo anche per gli echi che suscitò a livello nazionale, particolarmente a causa del tema, abbastanza inusitato per il noto anticlericalismo marinettiano: il Sacro interpretato dagli aero-pittori futuristi che si annettevano così “l’unicità di poter far cantare sulla tela la veloce vita aerea degli angeli e l’apparizione dei santi.”
ARTE SACRA FUTURISTA RASSEGNA AERO - PITTURA - LA CASA D’ARTE
L’organizzazione affidata alla Casa d’arte di Via Fossati (restaurata nel 32 da Manlio Costa ) diretta da Pietro Salmojraghi, ebbe in Fillia il realizzatore e in Cleta Salmojraghi la prima giornalista futurista spezzina, che assieme agli altri componenti del gruppo, gestì il giornale. Pittori partecipanti: Gaudenzi, Alfieri, Vottero, Mino Rosso….
I partecipanti costituivano “una sorprendente varietà di temperamenti artistici diversi e opposti, solidarizzati dalla doppia religione dell’originalità potente e dell’Italia divina” come scrisse Marinetti nel catalogo della mostra, realizzato e curato dalla Casa d’arte e contenente il Manifesto dell’aero-pittura in seconda edizione (la prima era uscita nel 29 sulla “gazzetta del popolo di Torino “ e quello dell’arte sacra futurista, siglato da Marinetti e Fillia. Marinetti tenne due conferenze alla Spezia durante i giorni dell’esposizione . La Casa D’arte è una struttura totale, che, costruita in linea con i dettati Marinettiani, costituisce un unicum futurista, infatti, sia per lo stile, sia per il disegno, sia per i materiali adoperati, interno e esterno non appaiono difformi. È un cubo regolare, interrotto però da ampie finestre e da una pensilina che, interrompe le linee generale e al contempo ne definisce nuove.
IL PREMIO DEL GOLFO LA TERRA DEI VIVI
Nel ‘33 esce la rivista quindicinale di turismo, arte e architettura, intitolata “La terra dei vivi” diretta da Fillia, con la collaborazione di firme non soltanto italiane. (Le Courbusier, Marinetti, Prampolini, Terragni, Max Osborn e altri ) Sempre nel ‘33 viene organizzato il celebre premio nazionale di Pittura “Golfo della Spezia” aperto non soltanto ai futuristi. 154 opere. La giuria era presieduta da Marinetti e composta da personaggi come Prampolini, Casorati, Fillia e altri. Elemento ispiratore principe: l’idrovolante. L’attenzione degli artisti finì però per concentrarsi sugli aspetti eroico guerrieri del golfo, sottolineando l’apporto della Marina Militare nella morfologia dei luoghi e dell’Idrovolo. Il primo premio fu vinto da Gerardo Dottori con il trittico “il Golfo Armato” per aver meglio di ogni altro rispettato - così recitava la giuria - il tema e glorificato le bellezze naturali e le forze meccaniche del golfo fissando nei tre quadri della Spezia, Lerici e Portovenere (con felice sintesi pittorica) l’atmosfera, le caratteristiche e le potenze che soltanto una sensibilità moderna e tecnicamente matura poteva interpretare. Tra i premiati poi, figurarono anche due donne Marisa Mori con Sintesi romantica del golfo della Spezia e Tina Menniey con Lerici.
SERATE FUTURISTE AL TEATRO CIVICO
La stessa giuria poi, nominò 14 scrittori per due serate futuriste svoltesi al Teatro Civico (ristrutturato appena da un anno in occasione del decennale della rivoluzione fascista da Franco Oliva), che sebbene fossero incentrate sul tema classico della poesia, rinnovarono per il loro carattere dirompente la tradizione teatrale della città, tant’è che Marinetti, alla seconda serata dichiarò, contrariamente ad ogni aspettativa del pubblico, che non avrebbe recitato il proprio testo : “Non butterò certo nelle vostra mani la collana di perle delle mie immagini, né godrete più tardi lo splendore futurista “. Poi mentre nuovamente scoppiava il pandemonio, uscì serenamente dal teatro “in un finimondo di schiaffi, bastonate nella folla impazzita che voleva bruciare impresario poeti passatisti e futuristi.” La serata infatti sembra si sia conclusa con lanci
di ortaggi e urla generali tra pubblico e attori. Qualche giorno dopo, in un comunicato apparso sui giornali, la giuria oltre a proclamare “vincitore assoluto Marinetti con il poema di un migliaio di parole “Meriggio nel golfo dei poeti” parte centrale di un più grande poema parolibero “il golfo della Spezia” dichiara tra i meritevoli di particolari attenzioni Righetti, Farfa, Steiner e Govoni . Si chiudeva così, con il gran finale della serata del Teatro Civico, il fuoco d’artificio dell’aerovita spezzina. L’anno dopo, nel 33 sarà inaugurato il palazzo delle poste progettato e realizzato da Angiolo Mazzoni con il mosaico “le comunicazioni” di Prampolini e Fillia.
L’AEROPOEMA DEL GOLFO DELLA SPEZIA PRECEDENTI E SIGNIFICATI
Nel 1909 Marinetti esalta la velocità .una velocità che, come appunto la descrive il poeta, contrassegnerà sempre di più ogni giorno del ventesimo secolo . Con essa come fulcro tutte le strade della cultura e della vita vennero rilette e reinterpretati in modo del tutto inedito e, in questo senso la visione dall’alto sembra una naturale evoluzione dell’estetica futurista. Il precedente più diretto dell’aero-poema spezzino fu senz’altro “Le monoplane du Pepe” di Marinetti, interamente giocato sulla dialettica, bellezze naturali-città-idrovolo, l’aero-poema del Golfo si prefiggeva dunque di cantare i caratteri dell’aviazione. Uno dei caratteri più evidenziati, era quello della “simultaneità”, che nel caso della poesia non si riferisce solo alla modalità di lettura, ma anche al contenuto, alla natura stessa della visione e al tentativo di proporre una visione d’insieme.
“Trittico del Golfo” G. Dottori Tempera su faesite, 1933
“Trittico del Golfo� G. Dottori Tempera su faesite, 1933
ARCHITETTURA A LA SPEZIA F U T U R I S T A
MANILIO COSTA Il futurismo ha avuto alla Spezia un ruolo importante nell’espansione urbanistica e edilizia cittadina tra la fine figli anni 20 e il 40 Gli architetti Angiolo Mazzoni Manilio Costa e marginalmente Franco Oliva dotarono la città, capoluogo di provincia dal 23 e sede episcopale dal 29, di una serie di edifici e di un assetto urbanistico, tali da Determinare, ancora oggi, il carattere di città moderna nel senso storico del termine.
Le fonti sul futurismo alla Spezia concordano nell’assegnare a Manilio Costa un posto di spicco sia come architetto in ambito locale, sia in ambito locale, sia come figura di collegamento, insieme a Renato Righetti tra La Spezia e il gruppo futurista torinese, che ne pubblicò i progetti assieme a quelli di personalità di livello internazionale come Gropius, Le Corbusier ed altri. Nato alla Spezia nel 1901, Costa frequentò il Liceo Artistico a Carrara, quindi alcuni corsi presso l’accademia di belle arti di Bologna, dove stabilì i primi contatti con l’architetto bolognese Mazzoni, autore del palazzo delle Poste . Anche Sant’Elia, caposcuola dell’architettura futurista, insegnò disegno all’accademia bolognese fra il 1912 e il 1936 ed è in questo clima che Costa formò la propria personalità artistica. Costa non si limitò alla progettazione, ma grazie ai contatti col gruppo torinese, firmò il marchio delle Edizioni della Casa d’Arte: il progetto, dalla tipologia razionalista italiana, è tracciato con gusto grafico tedesco, scegliendo un’aberrazione prospettica tipicamente futurista. Costa fu anche redattore della rivista spezzina “La Terra dei Vivi” nel 33, “La Città Nuova “(Torino) del 34 e di “Stile futurista” nel 34- 35 al seguito di Fillia. Nell’attività progettuale di Costa si possono individuare due tipologie diverse:
un linguaggio di tipo Decò purista con elementi classici che si traduce in edifici (quasi sempre bianchi, con contrasti a color pastello negli ornamenti), a pianta regolare ed angoli retti e soluzioni futuriste tradotte in piante irregolari, con almeno un angolo acuto, volte ad aumentare l’effetto dinamico delle diagonali e l’effetto di abbassamento del punto di vista causato dalla loro presenza, secondo quanto indicato da Sant’Elia nel ‘13. In taluni edifici, poi, (case Ceretti, Peragalloo, Bertagna e Pagani ) è probabile che la volontà di accentuazione dell’effetto prospettico sia legata a necessità percettive tipicamente futuriste: chi passa a gran velocità e in curva a bordo di un auto, percepisce globalmente le linee di fuga di un edificio, che appariranno più diagonali di quanto non siano nella realtà.
LE COMMISSIONI CASA PERAGALLO 1931-32
É la prima di una serie di commissioni da parte di importanti famiglie spezzine :appare costituita da due corpi di fabbrica diversi tra i quali quello verso la scalinata San Giorgio, si presenta più alto e con caratteri più vicini al futurismo (il marcadavanzale, il raggruppamento delle finestre in un’unica specchiata e soprattutto il gioco dei poggioli convessi nello spigolo concavo dell’edificio) mentre, quello più basso le specchiature e le finestre rimandano a scelte di tipo neoclassico. L’edificio si potrebbe dunque leggere come un tentativo di far coesistere due tendenze e, al tempo stesso, di differenziare i due corpi in base alla loro pianta irregolare con un angolo acuto nel primo e, quindi futurista, più vicina a un parallelepipedo nel secondo e, quindi, classicheggiante.
CASA CERRETTI 1934
Casa Ceretti, attigua a casa Peragallo che la precede si tre anni, mostra in quale misura il contatto con l’ambiente futurista abbia influito sulla sintassi progettuale di Costa. Originariamente previsto con una facciata curva, questo edificio dalla pianta irregolare vede l’eliminazione di qualsiasi elemento decorativo neoclassico per far posto a modanature lineari che raggruppano le finestre a tre a tre, di ringhiere metalliche a elementi orizzontali e di poggioli curvi nello spigolo acuto verso la curva.
CASA D’ARTE 1932
La Casa d’Arte è, nella carriera di Costa, il primo edificio veramente futurista, commissionato da Pietro Salmojraghi, che la diresse. La Casa d’Arte di La Spezia rappresenta uno spazio volto a creare delle possibilità d’esposizione i cui spazi, appunto, sono appositamente progettati. La prima mostra che coincise probabilmente con l’inaugurazione della struttura, fu Aeropittura arte sacra futuriste del 32 e da quel momento l’intesa tra Costa e il gruppo dei futuristi torinese divenne totale. Marinetti stesso in occasione della mostra del 33 a Roma commentò l’edificio affermando: è il primo esempio in questa città di un edificio lirico-funzionale altrettanto geniale quanto piacevole. La dinamica in cemento e cristallo della facciata ove rifulge il piano prominente D’alluminio fra gli sgargianti colori tipicamente italiani del “Terranova”, è adatta a preparare lo sguardo alla indubbiamente modernissima mostra…
La Casa d’Arte è, nella carriera di Costa, il primo edificio veramente futurista, commissionato da Pietro Salmojraghi, che la diresse. La Casa d’Arte di La Spezia rappresenta uno spazio volto a creare delle possibilità d’esposizione i cui spazi, appunto, sono appositamente progettati. La prima mostra che coincise probabilmente con l’inaugurazione della struttura, fu Aeropittura arte sacra futuriste del 32 e da quel momento l’intesa tra Costa e il gruppo dei futuristi torinese divenne totale. Marinetti stesso in occasione della mostra del 33 a Roma commentò l’edificio affermando: è il primo esempio in questa città di un edificio lirico-funzionale altrettanto geniale quanto piacevole. La dinamica in cemento e cristallo della facciata ove rifulge il piano prominente d’alluminio fra gli sgargianti colori tipicamente italiani del “Terranova”, è adatta a preparare lo sguardo alla indubbiamente modernissima mostra… Il volume cubico intersecato dalla pensilina con la rientranza angolare suggerisce piani prolungabili all’infinito, in una direzione razionalizzata piuttosto olandese e neoplastica che non tedesca, la posizione dell’edificio, su di un terreno in forte pendenza, accentua l’effetto di fuga prospettica con gusto e esiti futuristi. I materiali (alluminio, terranova, masonite ) e il loro uso (ad esempio, la vistosa scritta esterna, di sapore pubblicitario) denotano un aspetto fondamentale di quello che viene chiamato secondo futurismo: nell’edificio, sempre più concepito come macchina per abitare, alla maniera di Sant’Elia e di Le Corbusier, si usano innovazioni provenienti dal mondo aeronautico e automobilistico, in un’ottica di intersezione tra arte e industria che vede Fillia come teorico di questa forma di progressismo: si deve considerare la costruzione di ogni singola casa come un fatto industriale, … tutta l’architettura è perciò industria. Oggi l’edificio, divenuto sede della Chiesa Cristiana Avventista, mantiene solo il volume approssimativo dell’originale Casa d’Arte.
CASA BERTAGNA 1933
L’edificio è uno dei pochi, tra quelli progettati da Manilio Costa, perfettamente conservato e dotato di un forte carattere futurista : il corpo principale, con un accesso a passerella anche da via XX Settembre, segue l’andamento in leggera curva di Via del Torretto, mentre il corpo verso il Palazzo delle Poste viene percepito da Piazza Verdi come una torre, visto da via XX Settembre, il tutto appare invece come un parallelepipedo. Da via del Torretto, l’effetto di elevazione dell’insieme risulta accentuato dal fatto che lo spigolo della torre è ad angolo acuto: tale scelta potrebbe essere dettata non dalla necessità di sfruttare appieno l’area ma da un tentativo futurista di aumentare l’effetto di figura prospettica nell’insieme e, di conseguenza, l’effetto soggettivo di altezza percepita. Nei muri della pensilina da via XX settembre si aprono due ovuli circolari soluzione frequente nell’opera di Costa, mentre su via del Torretto è ribadito il tema del poggiolo circolare che, sottolineato da vistose ringhiere metalliche e curvato a seguire l’andamento della facciata è l’unica decorazione di gusto meccanico e perciò futurista dell’edificio.
ANGIOLO MAZZONI PALAZZO DELLE POSTE
Non poteva mancare una riflessione sul palazzo postale di Angelo Mazzoni, la cui costruzione cade negli anni cruciali della presenza del movimento in città, tra il 1930 e il 33. Contrarsi solo sul mosaico ceramico al suo interno equivarrebbe a sottovalutare la stessa comprensione dell’opera di Fillia e Prampolini che, infatti, passa attraverso il legame strutturale con l’edificio. I pannelli pertanto, non sono concepiti come una decorazione, ma come una parte integrante della superficie muraria che, sarebbe stata così liricizzata. L’iconografia stessa dei mosaici sottolinea e enfatizza la funzione dell’edificio.
FOTO D’EPOCA
È interessante vedere come la sua opera è stata accolta da Fillia, che in città rappresentava la voce ufficiale della corrente. “Angelo Mazzoni è arrivato alla più significativa modernità superando i suoi primi progetti ancora legati a forme e concezioni tradizionali, ha aderito al futurismo comprendendo le ragioni che hanno sempre segnato la loro posizione in rapporto al semplice razionalismo europeo: la volontà di non considerare l’architettura come puro fenomeno utilitario, ma ugualmente adatta alle funzioni del corpo e a quel dello spirito. Abbiamo recentemente domandato all’architetto il suo parere in merito alla polemica tra razionalismo e lirismo, ed è interessante capire la sua ragione a difesa di un assoluto bisogno di lirismo: l’architetto ha bisogno di una libertà interna e di ispirazione che va oltre il concetto matematico della tecnica e della funzione stessa della sua opera. Risultano così certi respiri più intensi nell’edificio, certi aspetti monumentali che non limitano né offendono la funzione, ma la completano con un’adesione allo stato d’animo di chi ne vive a contatto. È pure significativo l’uso dei materiali negli edifici del Mazzoni, che non nega la possibilità d’impiego dei vecchi materiali, ma sa liberarli da certi obblighi decorativi del passato.”
Siamo di fronte a una presenza architettonica fortemente “individualizzata” che non solo si distingue dal contesto per l’articolazione dei volumi e per l’originale uso combinato dei materiali, ma che non ha perso col tempo la sua funzionalità, nonostante le pesanti trasformazioni dell’amministrazione postale. Tuttavia è soprattutto nel contesto cittadino che il monumento acquista un significato particolare: infatti, esso potrebbe essere assunto come elemento di rottura nel linguaggio architettonico liberty e dèco che aveva improntato l’edilizia della provincia fino agli anni venti.
Il palazzo delle poste era compreso tra gli edifici che Mussolini nel luglio del ’30 aveva proposto di realizzare per far fronte alla disoccupazione edile. L’inaugurazione del palazzo avvenne il 13 novembre 1933 alla presenza di Costanzo Ciano allora Ministro delle Comunicazioni. Come gli altri palazzi postali, anche quello spezzino è un organismo molto complesso che affrontava alla sua nascita, le coeve esigenze dei servizi postelegrafonici oggi in gran parte cambiate, con una netta distinzione tra gli spazi riservati all’utenza e quelli invece ad esclusivo uso degli uffici tecnici, amministrativi e delle sale apparecchi. Ancora oggi chi accede ai servizi postali centrali non ha modo di rendersi conto della macchina organizzativa che ad essi presiede e, ciò che è più interessante, anche a livello urbano l’edificio comunica principalmente la sua funzione pubblica, con un effetto paragonabile ad un allestimento teatrale che nasconde i meccanismi di palcoscenico. I cortili interni e i grandi spazi necessari alla movimentazione dei servizi postali, ad esempio, sono stati praticamente celati all’esterno mediante un prolungamento delle ali laterali.
L’organizzazione dell’edificio rimase funzionante secondo questi criteri fino all’inizio degli anni 50, quando cominciarono le radicali trasformazioni degli interni. Uno sguardo dall’alto, il palazzo delle poste è l’unico che si inserisce nel tessuto edilizio senza la tipica compattezza volumetrica di stampo ottocentesco, ma sfrutta i terrazzamenti della collina retrostante con interessanti soluzioni spaziali. Purtroppo i vani interni hanno subito radicali trasformazioni: gli ambienti per gli uffici sono stati moltiplicati con arredi fissi, sostituiti i pavimenti in legno del piano del telegrafo e della direzione. Anche l’impianto locale riservato al pubblico è stato modificato con l’avanzamento del balcone centrale, un tempo allineato ai pilastri e chiuso da una compatta cortina marmorea.
È ancora, però, possibile apprezzare la scelta attenta dei materiali, con una grande varietà di marmi policromi abbinati alla semplicità dei mattoni pieni a vista, con ricercato effetto di contrasto che richiama il parametro esterno tutto giocato sull’accostamento tra vetrino laterizio. Anche dalla capacità di reggere l’urto delle modificazioni che gli ha consentito di adattarsi alle esigenze tecnologiche dei servizi postali in rapidissima evoluzione. Per ironia della sorte, il palazzo ha vissuto un riuso spontaneo delle giovani generazioni che lo hanno eletto a sede dei loro incontri, luogo di relazione per eccellenza. La connotazione metaforica della qualità-piazza da parte dei giovani non sarebbe stata possibile senza una disponibilità intrinseca adatta ad essere così significata. La capacità di aggregazione deriva dalla struttura dell’edificio, che rompe la monotonia dello schema monoblocco dell’architettura e della piazza. Inconsapevolmente i ragazzi a partire dagli anni ottanta hanno riscattato la personalità del ragazzo sottraendogli l’aura metafisica e il senso di severa ufficialità, voluto dall’ideologia di cui era il prodotto, per assegnargli invece una relazione di rapporto sociale.
IL MOSAICO DI FILLIA E PRAMPOLINI
I mosaici del palazzo delle poste (inaugurato nel 33) sono, come detto, la tangibile attuazione della volontà futurista di liricizzare la troppo fredda funzionalità costruttiva dell’architettura razionalista attraverso l’immissione in essa di un complesso polimaterico pittorico e plastico, volontà che percorre gli scritti di Fillia almeno dal 1930: “ Certi edifici pubblici - scrive Fillia su (La terra dei vivi) - richiedono qualcosa di più del semplice mobile. E qui entra in campo quanto sostenevo prima: l’importanza del soggetto”. Soggetto che conduce a quel senso di “armonia superiore, individualità e senso poetico plastico” che è per Fillia il lirismo senza il quale “non sarà mai possibile uscire dall’architettura razionale, che è conclusiva nel tipizzare le possibilità costruttive. Le nostre plastiche murali entrano nell’architettura per liberarla dalla fredda nudità delle superfici in quanto crediamo che la nuova architettura avrà la sua grandezza e il suo stile quando sommerà alla bellezza costruttiva la bellezza dei simboli e delle immagini classiche ispirate al nostro tempo”. Prampolini e Fillia collaborarono, su richiesta dell’architetto Angelo Mazzoni, alla realizzazione di quattro pannelli sul tema “le vie del mare e del cielo”. Il primo aveva trattato il tema delle comunicazioni telegrafiche, telefoniche e aeree ed il secondo, quelle terrestri e marittime.
Nei due grandi pannelli a mosaico trovano fra l’altro una felice sintesi le ricerche di Fillia intorno alla dinamica del volo e alla sua proiezione cosmica con la nuova dimensione paesistica determinata dal fascino esercitato sul pittore dalle bellezze del Golfo. Nonostante i supporti teorici, i mosaici ceramici, esaltano pienamente altri importanti canoni della ricerca futurista: l’idea di continuità di movimento e quella di immergere lo spettatore nell’opera per renderlo partecipe di una specie di vibrazione universale. Quando si entra nella torre del palazzo, non si riesce ad averne una visione globale, ma una serie di sequenze continuate e mutevoli, a seconda dell’angolazione da cui si guardano, obbligata dal movimento di salire e scendere le scale. Bisogna ruotare su sé stessi per leggere progressivamente i percorsi di terra, mare, cielo inventati. E così, per dirla con Boccioni, l’immagine va e viene, rimbalza in una sintesi ottico-mnemonica di punti di vista e di momenti differenziati.
IL PALAZZO OGGI
L’IDROPORTO
Quando il 30 maggio 1911, il pilota francese Roland Garros sorvolò per la prima volta, a bordo del suo monoplano Bleriot, il golfo della Spezia tra lo stupore e l’incredulità della gente, nessuno avrebbe immaginato che nel giro di pochi anni lo stesso golfo sarebbe diventato la sede di sperimentazioni, prima, e importanti base, poi, di idrovolanti. Pochi mesi dopo il passaggio di Garros e degli altri partecipanti al raid aero Parigi-Roma, La Spezia fu teatro di una delle prime manifestazioni aeree in Italia. In occasione dei festeggiamenti, infatti, indetti ad agosto per il varo della nave Cavour, l’amministrazione comunale organizzò una riunione aviatoria dove si esibirono Detoye, Manissero e Maffeis, tre assi dell’aviazione del tempo. Nel 1912, dopo una serie di voli sperimentali sul golfo della Spezia, sostenuti dal Capitano del Genio Marina, Alessandro Guidoni, e dal Tenente di Vascello Mario Calderara, fu avviata una fase di organizzazione dell’attività di Idrovolo addestrando un certo numero di ufficiali di marina, creando un centro di piloti e aprendo una sezione di idrovolanti a Venezia dove vennero inviati Guidoni e Calderara. Dopo la costruzione dell’idroscalo di Venezia, il Ministero della Marina pensò di utilizzare i mezzi, i materiali e le competenze che erano rimaste nell’Arsenale militare della Spezia, sede delle officine e degli hangar durante la fase sperimentale dei primi voli.
Fu così che nel 1913 fu realizzata nel Golfo una stazione di idrovolanti, quale centro di manutenzione per gli aerei che nel frattempo erano stati imbarcati sulle navi con funzione di ricognizione. Dopo un periodo di stasi, in concomitanza con la Prima guerra mondiale, la stazione degli idrovolanti, a partire dal 1918, venne potenziata con l’assegnazione alla base di una squadriglia di ricognizione. L’attività di volo, inizialmente gestita dalla Marina Militare, dal 1923, divenne di pertinenza della neo-costituita Aeronautica Militare, che vagliò la possibilità di costruire un secondo idroscalo. A tale scopo fu utilizzata un’area nell’insenatura di Cadimare, dove la società Ansaldo aveva dei capannoni per l’assemblaggio e il collaudo degli idrovolanti costruiti per la Marina. L’idroscalo di Cadimare, intestato al Maggiore Luigi Conti, divenne sede nel 1929 di un reparto organico, il Novantunesimo Gruppo Autonomo da bombardamento. Il gruppo aveva in dotazione gli aerei Savoia-Marchetti S55, che si resero protagonisti, fino al 1933, di memorabili trasvolate e crociere di massa. L’idroscalo divenne conosciuto in tutto il mondo e nel giro di pochi anni divenne meta di visite da parte di delegazioni e autorità straniere. Nel 1932 l’idroscalo venne completato con la costruzione di una serie di infrastrutture logistiche che permisero un uso più confortevole.
Benedetta Cappa Marinetti “Forme femminili: Spirale di dolcezza + Serpe di fascino�
DONNE LA SPEZIA
E
, FUTURISMO
MANIFESTO DELLA DONNA FUTURISTA VALENTINE DE SAINT-POINT
“Vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore degli anarchici, le belle Idee che uccidono e il disprezzo della donna”. (Primo Manifesto del Futurismo)
L’Umanità è mediocre. La maggioranza delle donne non è né superiore né inferiore alla maggioranza degli uomini. Sono uguali. Meritano entrambe lo stesso disprezzo. Nel suo insieme, l’umanità non è mai stata altro che il terreno di coltura donde sono scaturiti i geni e gli eroi dei due sessi. Ma vi sono nell’umanità, come nella natura, momenti più propizi a questa fioritura. Nelle estati dell’umanità, quando la terra è bruciata dal sole, i geni e gli eroi abbondano. Siamo all’inizio di una primavera: quel che manca è una profusione di sole, cioè un copioso spargimento di sangue. Le donne, come gli uomini, non sono responsabili della palude in cui sono costretti a languire gli esseri veramente giovani, ricchi di linfa e di sangue. E’ assurdo dividere l’umanità in donne e uomini. Essa è composta solo di femminilità e di mascolinità. Ogni superuomo, ogni eroe, per quanto epico, ogni genio, per quanto potente, è prodigiosa espressione della sua razza e della sua epoca solo perché è composto ad un tempo di elementi femminili e di elementi maschili, di femminilità e di mascolinità: ossia perché è un essere completo. Un individuo esclusivamente virile non è che un bruto; un individuo esclusivamente femminile non è che una femmina. Per le collettività, e per i diversi momenti della storia umana, vale ciò che vale per gli individui. I periodi fecondi in cui, dal brodo di coltura in ebollizione, scaturiscono più eroi e più geni, sono periodi ricchi di mascolinità e femminilità. I periodi che videro solo guerre scarsamente feconde di eroi rappresentativi, perché livellate dal turbine epico, furono periodi esclusivamente vi-
rili; quelli che rinnegarono l’istinto eroico e, volti verso il passato, si annichilirono in sogni di pace, furono periodi in cui dominò la femminilità. Noi viviamo alla fine di uno di questi periodi. Ciò che più manca alle donne, come agli uomini, è la virilità. Ecco perché il futurismo, pur con tutte le sue esagerazioni, ha ragione. Per restituire una qualche virilità alle nostre razze infiacchite nella femminilità, bisogna educarle ad una virilità spinta fino alla brutalità. Ma bisogna imporre a tutti, uomini e donne, ugualmente deboli, un nuovo dogma di energia, per giungere ad un’era di superiore umanità. Ogni donna deve possedere non solo virtù femminili, ma qualità virili, senza le quali non è una femmina. L’uomo che possiede solo la forza maschia, senza l’intuizione, è un bruto. Ma nella fase di femminilità in cui viviamo, soltanto l’eccesso contrario è salutare: è il bruto che va proposto a modello. Basta le donne di cui i soldati devono temere “le braccia come fiori intrecciati sulle ginocchia la mattina della partenza”; basta con le donne-infermiere che prolungano all’infinito la debolezza e la vecchiezza, che addomesticano gli uomini per i loro piaceri personali o i loro bisogni materiali!… Basta con la donna piovra del focolare, i cui tentacoli dissanguano gli uomini e anemizzano i bambini; basta con le donne bestialmente innamorate, che svuotano il Desiderio fin della forza di rinnovarsi!
Le donne sono le Erinni, le Amazzoni; le Semiramidi, le Giovanne d’Arco, le Jeanne Hachette; le Giuditte e le Calotte Corday; le Cleopatre e le Messaline; le guerriere che combattono con più ferocia dei maschi, le amanti che incitano, le distruttrici che, spezzando i più deboli, agevolano la selezione attraverso l’orgoglio e la disperazione, “la disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento”.Che le prossime guerre suscitino eroine come la magnifica Caterina Sforza, che durante l’assedio della sua città, vedendo dall’alto delle mura il nemico che minacciava la vita di suo figlio per costringerla ad arrendersi, mostrando eroicamente il proprio sesso gridò: “Uccidetelo, ho ancora lo stampo per farne altri!”E’ vero, “il mondo è marcio di saggezza”, ma per istinto la donna non è saggia, non è pacifista, non è buona. Mancando totalmente di senso della misura, essa diviene fatalmente, durante i periodi sonnolenti dell’umanità, troppo saggia, troppo pacifista, troppo buona. Il suo intuito e la sua immaginazione sono allo stesso tempo la sua forza e la sua debolezza.Essa incarna l’individualità della folla: fa da corteo agli eroi, o, in mancanza di meglio, sprona gli imbecilli. Secondo l’apostolo pungolatore dello spirito, la donna pungola la carne, immola o cura, fa scorrere il sangue o lo stagna, è guerriera o infermiera. E’ la stessa donna che, nella medesima epoca, a seconda delle idee prevalenti circa i fatti del giorno, si stende sui binari per impedire ai soldati di partire in guerra, oppure si getta al collo del campione vittorioso. Ecco perché nessuna rivoluzione deve escluderla. Ecco perché, invece di disprezzarla, bisogna rivolgersi a lei. E’ lei la conquista più feconda che si possa fare, la più entusiasta, quella che, a sua volta, moltiplicherà gli adepti. Ma niente Femminismo. Il Femminismo è un errore politico. Il Femminismo è un errore cerebrale della donna, un errore che il suo istinto riconoscerà. Non bisogna dare alla donna nessuno dei diritti reclamati dalle femministe. Accordarglieli non porterebbe a nessuno dei disordini auspicati dai Futuristi, ma anzi ad un eccesso di ordine. Dare alla donna dei doveri significa farle perdere tutta la sua feconda potenza. I ragionamenti e le deduzioni femministe non distruggeranno la sua fatalità primordiale: possono solo falsarla e co-
stringerla a manifestarsi per vie traverse che conducono ai più gravi errori. Da secoli si contrasta l’istinto della donna, se ne apprezzano solo il fascino e la tenerezza. L’uomo anemico, avaro del suo sangue, le chiede solo di fargli da infermiera. E lei si è lasciata domare. Ma gridatele una parola nuova, lanciatele un grido di guerra, e con gioia, cavalcando nuovamente il suo istinto, lei vi precederà sulla via di conquiste impensate. Quando vi serviranno le armi, sarà lei ad affilarle. Tornerà ad aiutare la selezione. Infatti, pur tarda nel discernere il genio, che tende a confondere con la fama passeggera, lei ha sempre saputo ricompensare il più forte, il vincitore, colui che trionfa coi muscoli e col coraggio. Davanti a questa superiorità, che s’impone brutalmente, lei non può sbagliarsi.Che la donna ritrovi quella crudeltà e quella violenza che la portano ad accanirsi sui vinti, proprio perché sono dei vinti, fino a mutilarli.Smettiamo di predicarle la giustizia spirituale, verso cui si è sforzato invano. Donne, tornate ad essere sublimi ed ingiuste, come tutte le forze della natura!Sciolte da ogni controllo, con il vostro ritrovato istinto, voi riprenderete posto fra gli Elementi, opponendo la fatalità alla volontà cosciente dell’uomo. Siate la madre egoista e feroce, che sorveglia gelosamente i suoi piccoli, e ha su di loro tutti i diritti e tutti i doveri, finché essi hanno fisicamente bisogno della sua protezione.Che l’uomo, svincolato dalla famiglia, viva la sua vita d’audacia e di conquista fin da quando ne ha la forza fisica, benché sia figlio e benché sia padre. L’uomo che semina non si ferma al primo solco da lui fecondato.Nelle mie Poesie d’orgoglio e ne La sete e i miraggi io ho rinnegato la Sentimentalità come spregevole debolezza, perché imbriglia le forze e le immobilizza. La lussuria è una forza, perché distrugge i deboli ed eccita i forti a spendere le energie, e quindi a rinnovarle. Ogni popolo eroico è sensuale. La donna è per lui la più esaltante dei trofei. La donna deve essere o madre, o amante. Le vere madri saranno sempre amanti mediocri, e le amanti, madri inadeguate per eccesso. Uguali di fronte alla vita, questi due tipi di donna si completano. La madre che accoglie un bimbo, con il passato fabbrica il futuro; l’amante dispensa il desiderio, che trascina verso il futuro.
CONCLUDIAMO: La Donna che con le sue lacrime e con lo sfoggio dei sentimenti trattiene l’uomo ai suoi piedi è inferiore alla ragazza che, per vantarsene, spinge il suo uomo a mantenere, pistola in pugno, il suo arrogante dominio sui bassifondi della città; quest’ultima, per lo meno, coltiva un’energia che potrà anche servire a cause migliori. Donne, troppo a lungo sviate dai moralismi e dai pregiudizi, ritornate al vostro sublime istinto, alla violenza, alla crudeltà. Per la fatale decima del sangue, mentre gli uomini si battono nelle guerre e nelle lotte, fate figli, e di essi, in eroico sacrificio, date al Destino la parte che gli spetta. Non allevateli per voi, cioè per sminuirli, ma nella più vasta libertà, perché il loro rigoglio sia completo. Invece di ridurre l’uomo alla schiavitù degli squallidi bisogni sentimentali, spingete i vostri figli e i vostri uomini a superare sé stessi. Voi li avete fatti. Voi potete tutto su di loro. All’umanità dovete degli eroi. Dateglieli. Le donne sono le Erinni, le Amazzoni; le Semiramidi, le Giovanne d’Arco, le Jeanne Hachette; le Giuditte e le Calotte Corday; le Cleopatre e le Messaline; le guerriere che combattono con più ferocia dei maschi, le amanti che incitano, le distruttrici che, spezzando i più deboli, agevolano la selezione attraverso l’orgoglio e la disperazione, “la disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento”.Che le prossime guerre suscitino eroine come la magnifica Caterina Sforza, che durante l’assedio della sua città, vedendo dall’alto delle mura il nemico che minacciava la vita di suo figlio per costringerla ad arrendersi, mostrando eroicamente il proprio sesso gridò: “Uccidetelo, ho ancora lo stampo per farne altri!”E’ vero, “il mondo è marcio di saggezza”, ma per istinto la donna non è saggia, non è pacifista, non è buona. Mancando totalmente di senso della misura, essa diviene fatalmente, durante i periodi sonnolenti dell’umanità, troppo saggia, troppo pacifista, troppo buona. Il suo intuito e la sua immaginazione sono allo stesso tempo la sua forza e la sua debolezza.Essa incarna l’individualità della folla: fa da corteo agli eroi, o, in mancanza di meglio, sprona gli imbecilli.
Secondo l’apostolo pungolatore dello spirito, la donna pungola la carne, immola o cura, fa scorrere il sangue o lo stagna, è guerriera o infermiera. E’ la stessa donna che, nella medesima epoca, a seconda delle idee prevalenti circa i fatti del giorno, si stende sui binari per impedire ai soldati di partire in guerra, oppure si getta al collo del campione vittorioso. Ecco perché nessuna rivoluzione deve escluderla. Ecco perché, invece di disprezzarla, bisogna rivolgersi a lei. E’ lei la conquista più feconda che si possa fare, la più entusiasta, quella che, a sua volta, moltiplicherà gli adepti. Ma niente Femminismo. Il Femminismo è un errore politico. Il Femminismo è un errore cerebrale della donna, un errore che il suo istinto riconoscerà. Non bisogna dare alla donna nessuno dei diritti reclamati dalle femministe. Accordarglieli non porterebbe a nessuno dei disordini auspicati dai Futuristi, ma anzi ad un eccesso di ordine. Dare alla donna dei doveri significa farle perdere tutta la sua feconda potenza. I ragionamenti e le deduzioni femministe non distruggeranno la sua fatalità primordiale: possono solo falsarla e costringerla a manifestarsi per vie traverse che conducono ai più gravi errori. Da secoli si contrasta l’istinto della donna, se ne apprezzano solo il fascino e la tenerezza. L’uomo anemico, avaro del suo sangue, le chiede solo di fargli da infermiera. E lei si è lasciata domare. Ma gridatele una parola nuova, lanciatele un grido di guerra, e con gioia, cavalcando nuovamente il suo istinto, lei vi precederà sulla via di conquiste impensate. Quando vi serviranno le armi, sarà lei ad affilarle. Tornerà ad aiutare la selezione. Infatti, pur tarda nel discernere il genio, che tende a confondere con la fama passeggera, lei ha sempre saputo ricompensare il più forte, il vincitore, colui che trionfa coi muscoli e col coraggio. Davanti a questa superiorità, che s’impone brutalmente, lei non può sbagliarsi.Che la donna ritrovi quella crudeltà e quella violenza che la portano ad accanirsi sui vinti, proprio perché sono dei vinti, fino a mutilarli.Smettiamo di predicarle la giustizia spirituale, verso cui si è sforzato invano. Donne, tornate ad essere sublimi ed ingiuste, come tutte le forze della natura!Sciolte da ogni controllo, con il vostro ritrovato istinto, voi riprenderete posto fra gli Elementi, opponendo la fatalità alla volontà cosciente dell’uomo. Siate la madre egoista
VALENTINE DE SAINT-POINT LA PREMIERE DAME
Quando nel 1912 Valentine de Saint-Point ( Lione, 16 febbraio 1875 - Cairo, 28 marzo 1953 ) scrisse il Manifesto della donna futurista le sue parole dovevano risuonare taglienti e dotate di quella ‘ferocia’ che ha fatto di lei una delle figure femminili più discusse della prima metà del Novecento. Proprio quella carica sferzante, capace di superare le convenzioni di un linguaggio misurato, tipica di tutti i manifesti futuristi, ha oltrepassato i limiti di un’invettiva sterile e auto-compiaciuta per diventare l’espressione della proposta di una nuova identità femminile. Lontano da ogni ‘femminismo’ di facile interpretazione, il manifesto della de Saint-Point ha messo in discussione la figura di donna languida e garbata, accogliente e madre, per proporre quella di una creatura complessa e, per tale ragione, anche dotata di una componente eversiva. Pronipote del poeta e politico Alphonse Lamartine e calata tutta nel fervore dell’avanguardia artistica parigina, Valentine de Saint-Point si dedicò alla pittura con Alphonse Mucha, fu modella e amante dello scultore Auguste Rodin, amica di Gabriele D’Annunzio e scrisse versi, opere teatrali, saggi e alcuni romanzi. Le tesi contenute nel Manifesto della donna futurista e nel successivo Manifesto futurista della lussuria suonavano provocatorie fino all’eccesso, a cominciare dalla convinzione della mediocrità di un’umanità che si percepiva divisa in donne e uomini quando invece doveva essere considerata composta di femminilità e mascolinità, le caratteristiche che rendono completo un essere umano: "Un individuo esclusivamente virile non è altro che un bruto; un individuo esclusivamente femminile non è altro che una femmina", scrive la de SaintPoint. Forte della potenza del proprio intuito e della propria immaginazione, la donna per istinto non è saggia, pacifista e buona ma una guerriera alla quale nessuna rivoluzione deve rimanere estranea. Questa è la sua conquista più feconda che non nasce all’interno del Femminismo, per il quale la de Saint-Point
ha parole molto dure vedendolo come un errore politico, anzi ‘cerebrale’, un errore che l’istinto femminile riconoscerà come insufficiente a produrre uno stravolgimento dell’ordine. È necessario invece preservare la potenza creatrice insita nella donna in difesa di quella forza naturale e violenta che può liberarla da ogni controllo: “Donne, ridiventate sublimamente ingiuste, come tutte le forze della natura!(…)Ritornate al vostro istinto sublime: alla violenza e alla crudeltà”. Uno dei motori di questa forza rigenerante è la lussuria perché, come lo spirito, anche la carne crea al di là di ogni pregiudizio morale e, soprattutto, di ogni sentimentalismo. Il Manifesto futurista della lussuria è lo scritto in cui la de Saint-Point mette da parte qualsiasi reticenza per esaltare il desiderio come elemento vitale e virtù incitatrice ma anche espressione di un essere proiettato al di là di se stesso: “Non è la lussuria, che disgrega e dissolve ed annichila; sono piuttosto le ipnotizzanti complicazioni della sentimentalità, le gelosie artificiali, le parole che inebriano e ingannano, il patetico delle separazioni e delle fedeltà eterne, le nostalgie letterarie: tutto l’istrionismo dell’amore”.
Le tesi contenute nel Manifesto della donna futurista e nel successivo Manifesto futurista della lussuria suonavano provocatorie fino all’eccesso, a cominciare dalla convinzione della mediocrità di un’umanità che si percepiva divisa in donne e uomini quando invece doveva essere considerata composta di femminilità e mascolinità, le caratteristiche che rendono completo un essere umano: "Un individuo esclusivamente virile non è altro che un bruto; un individuo esclusivamente femminile non è altro che una femmina", scrive la de SaintPoint. Forte della potenza del proprio intuito e della propria immaginazione, la donna per istinto non è saggia, pacifista e buona ma una guerriera alla quale nessuna rivoluzione deve rimanere estranea. Questa è la sua conquista più feconda che non nasce all’interno del Femminismo, per il quale la de Saint-Point ha parole molto dure vedendolo come un errore politico, anzi ‘cerebrale’, un errore che l’istinto femminile riconoscerà come insufficiente a produrre uno stravolgimento dell’ordine. È necessario invece preservare la potenza creatrice insita nella donna in difesa di quella forza naturale e violenta che può liberarla da ogni controllo: “Donne, ridiventate sublimamente ingiuste, come tutte le forze della natura!(…)Ritornate al vostro istinto sublime: alla violenza e alla crudeltà”. Uno dei motori di questa forza rigenerante è la lussuria perché, come lo spirito, anche la carne crea al di là di ogni pregiudizio morale e, soprattutto, di ogni sentimentalismo. Il Manifesto futurista della lussuria è lo scritto in cui la de Saint-Point mette da parte qualsiasi reticenza per esaltare il desiderio come elemento vitale e virtù incitatrice ma anche espressione di un essere proiettato al di là di se stesso: “Non è la lussuria, che disgrega e dissolve ed annichila; sono piuttosto le ipnotizzanti complicazioni della sentimentalità, le gelosie artificiali, le parole che inebriano e ingannano, il patetico delle separazioni e delle fedeltà eterne, le nostalgie letterarie: tutto l’istrionismo dell’amore”. Personaggio audace e provocatore, Valentine de Saint-Point ha attirato su di sé critiche e apprezzamenti. Alcuni l’hanno considerata misogina, sessista e antifemminista; altri l’espressione di idee libertarie e altri ancora una figura importante per l’emancipazione femminile. Il suo contributo è rilevante soprattutto per l’arditezza dei suoi progetti che la portarono a sognare negli anni Venti la fondazione in Corsica di un centro per gli intellettuali di tutto il mondo e a partecipare in Egitto alle attività della Lega orientale fondata per unire i popoli colonizzati. Sempre in Egitto tentò di spingere le donne musulmane verso una consapevolezza di sé che rispettasse la loro tradizione, suscitando la reazione delle femministe egiziane più interessate al totale superamento delle restrizioni sociali e culturali. Donna controversa fino alla fine della sua vita, morì al Cairo nel 1953 lasciandoci in eredità il suo pensiero che, sebbene sia da considerare all’interno di un preciso contesto storico e artistico, potrebbe prestarsi oggi ad una nuova e coraggiosa rilettura.
Valentine de Saint Point danza in costume greco per il Poeme D’amour
GUERRIERE FUTURISTE Malgrado il conclamato disprezzo marinettiano per la donna, il cui manifesto pubblicato su le Figarò nel 1909 ne inneggiava al “disprezzo”, la misoginia presente nel comma 9 fu soltanto iniziale. La misogenia Marinettiana, venne difatti sconfessata da Marinetti stesso nel 1910, in cui, quasi smentendo il famigerato comma 9 dichiarò di essere stato frainteso e che le sue intenzioni fossero invece quelle di rinnegare lo stereotipo passatista di donna romantica, totalmente contrario all’esaltazione del lato oscuro e lunare quale appare in talune icone femminili tardoromantiche crepuscolari. La conseguenza fu di revisione e nuova costituzione di una figura femminile dinamica, rivoluzionaria, moderna, strutturata, come attacco ad uno dei caposaldi del “passatismo”. La presenza femminile all’interno del Movimento fu sensibile fin dal primo futurismo, concretizzandosi in ruoli attivi, lontani da quelli fin allora sostenuti di decadente, mera musa ispiratrice, e venne apprezzato attraverso una nuova ottica ed una rivalutazione svolta su quelle coordinate futuristico-rivoluzionarie considerate dai “benpensanti e passatisti” addirittura scardinanti ogni ordine precostituito. L’alternativa futurista fu un’apertura paritetica nei confronti dei ruoli svolti dalla donna nella società: la donna futurista era artista, poetessa, aviatrice, politica, danzatrice, attrice, sempre attiva e mai esclusa da nessuno dei settori riservati tipicamente ad un pubblico maschile. L’attacco di Marinetti fu dunque rivolto precipuamente non alla donna in quanto tale ma una immagine femminile da tempo codificata; In realtà si indirizzava a quel tipo di donna che compariva nei romanzi di scuola dannunziana: tutti quei sospiri, quei languori, quelle frasi retoriche… e poi quel sentimentalismo che uccide la volontà, che rende l’uomo un burattino impotente. Marinetti, con la tempra di lottatore che aveva, alle accuse di odiare le donne rispose subito alla sua maniera. Nessun disprezzo per le donne, disse, ma solo per un certo tipo di esse: quelle sottomesse e timorate, oppure vittime del romanticismo da operetta, una cosa che proprio non poteva sopportare.
Egli invece ammirava la femmina guerriera, e non ci mise nulla a plasmare un ideale in linea col suo programma di battaglia: la femminilità metallica. L’intento futurista fu peraltro quello di liberare il mondo perspicuamente il cosmo femminile, dalla tirannia dell'amore. A sospingere Marinetti sulla via della regole della rivalutazione della donna, vera rivoluzione copernicana nei confronti del primitivo disprezzo, fino a portarlo oltre la già ricordata ritrattazione 1910, fu la poetessa francese Valentine de Saint-Point del primo manifesto della donna futurista uscito il 25 marzo 1912. In tale contesto la 25 marzo 1912 riportava il mito dell’androgino su falsariga alchemico simbolista arrivando a delineare un’immagine femminile tipo amazzone, una donna guerriera; in termini moderni la donna autosufficiente indipendente sentimentalmente libera combattiva competitiva teorizzata posteriormente da Julius Evola in Metafisica del sesso, in contrapposizione all’immagine di metrica della madre, completamente annullata nella sua funzione, quella afrodisiaca donna amante, entrambi archetipi diffusi.
Dalle intuizioni di Balla e Thayaht nasce il vestito monopezzo, la Tuta, oggi capo ormai classico della moda sportiva.
Coerentemente, la donna futurista fu aviatrice artista esploratrice donna politica. Fu presente, insomma, in tutti i settori sino quel momento considerati di assoluta pertinenza maschile, divenendo così la protagonista della vita moderna. L'importanza di questa presa di posizione all'inizio considerata una delle tante stravaganze futuriste o addirittura sentita come una blasfema deviazione, venne invece favorevolmente recepita da molte donne che si sentirono rivalutate, accolte senza pregiudizi ed inserite in un contesto nuovo, avveniristico moderno. Fu dunque un importante salto qualitativo, in una solare iniziazione del femminile, finalmente sottratta alle atmosfere di passività lunare e passatista. Anche nei confronti del femminile si impose quell’atteggiamento, tipico dei futuristi, di dover svolgere un compito pedagogico, un processo di rieducazione per arrivare alla costruzione di nuova immagine muliebre in un modo che, suscitando nuove aspettative di rinnovamento, attraverso l’iconoclastia ragionata dell’immagine corrente della donna, si potesse dare origine ad una nuova sensibilità in cui anche la femminilità si ristrutturasse in maniera consona ai nuovi miti della modernità così come la percepivano i futuristi.
Nella ricostruzione futurista dell'universo, era dunque inevitabilmente compresa anche la palingenesi dell'immagine della donna, che si poteva ottenere soltanto attraverso un netto distacco dallo stereotipo comune. Tutte queste donne avevano in mente un Futurismo come macchina motrice di una rivoluzione non solo dei costumi o della morale corrente, ma anche politica, legando il loro “sessismo” a una concezione combattiva e dinamica della donna. E quando fu il momento, queste donne intelligenti e spregiudicate seppero anche passare dalla letteratura al realismo politico: come ricorda Rogari, grazie alle futuriste la donna «aveva rotto il ghiaccio» e sotto il Fascismo poté accedere per la prima volta a «un suo ruolo politico» e a una «partecipazione diretta alle istituzioni del regime… per il coinvolgimento come soggetto sociale nelle sue politiche».
Quelle tra le donne futuriste, recarono al suo interno la loro collaudata vena polemica, contribuendo a svellere i cascami conservatori che resistevano negli ambienti catto-fascisti e partecipando a quella rivoluzione sociale del ruolo della donna che il regime alla fine bene o male realizzò. Dato che, nel mentre per compiacere la sua ala conservatrice parlava di donna “madre e sposa esemplare”, di fatto il Fascismo emancipò la donna, la fece uscire di casa, la mandò a frequentare corsi di formazione professionale, l’inserì nel lavoro, alla fine dando in mano alle amazzoni della RSI anche le armi.
" Le donne sono quello che sono cioè la parte migliore dell'umanità più elastica, più malleabile, più spiritosa, più sensibile, meno programmatica, più improvvisa attrice" Marinetti da " come si seducono le donne "-1916
" Riconosco perfettamente le qualità morali della donna. Di solo donne stupefacenti di ingegno, di lealtà, generosità, di abnegazione, di affetto acquisito, di slancio eroico… Puntini… " Marinetti " come seducono le donne "-1916
REGINA PRASSEDE CASSOLO BRACCHI
Nel contesto della ripresa futurista legata al trionfo dell’ala italiana nel mondo, con le crociere intercontinentali di massa degli idrovolanti, sul versante culturale segnano la nascita dell’aeropittura e aeropoesia. La macchina volante, dunque, non poteva non affascinare gli appartenenti ad un'avanguardia dell'ideologia esaltatrice del dinamismo, dell'energia, della spavalda volontà del diventare e strutturarsi quasi come elemento catalizzatore di quella che potrebbe definirsi una necessità fisica di vittoria. In questo contesto furono particolarmente interessanti i contributi di Regina Prassede Cassolo Bracchi. Personaggio estroso, tutto proiettato verso la modernità, di cui sperimenta le direzioni più nuove e dirompenti, dopo il diploma conseguito all’Accademia di Belle Arti di Brera. A contatto con il gruppo dei futuristi milanesi, crea sottili sculture, vere e proprie silhouettes, in lamina, latta, alluminio, stagno, celluloide, zinco, muovendosi, più che nell’ambito classico del secondo futurismo, nell’area di un pressante e generalizzato avanguardismo. Invitata a partecipare al movimento futurista da Fillia, nel 1933 è presente nella mostra Omaggio futurista a Umberto Boccioni alla Galleria Pesaro e nel 1934 sottoscrive il Manifesto dei futuristi venticinquenni e il Manifesto dell’aeroplastica futurista. Nel frattempo si interessa al teatro e al cinema creando costumi per il teatro d’avanguardia Arcimboldi e bozzetti e maschere in alluminio e ferro Nel 1938 manifesta interessi neocostruttivisti ed è ancora con i futuristi nella mostra di aeropittura alla Galleria del Milione di Milano. Negli anni Sessanta, quelli della sua terza sperimentazione, crea tra l’altro opere sul tema del Suono delle campane e del Linguaggio dei canarini. In collaborazione con Acquaviva e Carlo Belloli, nel 1969, in un clima di rivalutazione critica e riproposta del futurismo, partecipa alla mostra del sessantesimo anniversario del movimento, organizzata dal Comune di Milano, e nel 1970 alla mostra di Aeropittura futurista alla Galleria Blu; nel 1972, due anni prima della morte, è ancora presente nell’esposizione L’esperienza dell’aerospazio nella pittura contemporanea.
BARBARA (OLGA BIGLIERI)
Altra artista stimata da Marinetti fu Barbara pseudonimo di Olga Biglieri. Sin dall’età di undici anni studia disegno, ma la sua vera passione è il volo a vela, per cui si iscrive, di nascosto dal padre, al primo corso dell’Aeroclub di Càmeri (Novara), dove consegue il brevetto di pilota a sedici anni e a diciotto ottiene anche il brevetto per il volo a motore. Nel frattempo frequenta l’Accademia di Brera a Milano. Nel 1935 partecipa a una movimentata serata futurista al Teatro Coccia di Novara ed entra in rapporto con il gruppo futurista veronese. La pratica del volo le suggerisce le visioni, la resa delle sensazioni e lo stile della sua pittura. Nel 1936 comincia a usare il nome d’arte “Barbara” e partecipa a varie mostre, sindacali e non. Sposa lo scrittore Ignazio Scurto. Marinetti la conosce per caso, vedendone un quadro esposto nella vetrina di un corniciaio milanese, destinato alla sua prima personale al Broletto di Novara, e la invita alla XXI Biennale di Venezia del 1938 (L’aeroporto abbranca l’aeroplano): un’autentica aviatrice-aeropittrice che non può sfuggire al movimento. In seguito partecipa alla XXII e alla XXIII Biennale di Venezia, alla III Quadriennale romana e alla Mostra d’oltremare di Napoli nel 1939. Nel ’41 espone alla III Mostra sindacale di Milano e nel ’42 ancora alla Biennale di Venezia. Si dissocia poi dal futurismo perché ritenuto movimento troppo “maschilista e dittato-
riale”, anche se nel ’43 espone ancora come futurista alla Quadriennale romana. Nel 1964 riprende l’attività pittorica. Negli anni Settanta ricomincia a usare l’acquarello e partecipa a varie esposizioni, dando vita a performances con la creazione di murales e di pittura di strada insieme con nuclei di giovani, perché nel frattempo si è dedicata allo studio delle teorie sulla creatività infantile. Nel 1995 parla sulle donne futuriste durante le celebrazioni in onore di Marinetti e nel 1998 partecipa al seminario sulle aeropittrici futuriste. Dalla sua fede nella pace nasce l’Albero della pace, donato il 15 agosto 1986 al Museo Commemorativo di Hiroshima. Nel 2000 è candidata al Premio Nobel per la pace.
Barbara Biglieri AeropitturaÂť, Olio su tela 1938
Regina Bracchi Danzatrice Alluminio 1930
ADELE GLORIA
Nella rosa delle artiste care a Marinetti non può mancare la citazione di Adele Gloria poetessa e pittrice siciliana, suscita il vivo interesse di Marinetti. Dal punto di vista pittorico, partecipò soprattutto partire dal ’34, a numerose mostre collettive futuriste, organizzate sul territorio isolano dal sindacato degli artisti. Nel ’35 la troviamo alla grande quadriennale di Roma con una con un quadro decisamente aeropittorico Saint-Georges, dall’alto. La partecipazione alla quadriennale romana codificò definitivamente la sua adesione al futurismo. Durante la seconda guerra mondiale fu volontaria della Croce Rossa ed alla fine del conflitto si trasferì a Roma, lavorando come disegnatrice di moda. In tali anni si dedicò completamente alla scrittura, tralasciando l'attività pittorica, che riprese soltanto nel periodo della maturità, ma in direttiva decisamente figurativa.
FULVIA GIULIANI Fulvia Giuliani divenne una futurista a sedici anni, poetessa e narratrice, collaboratrice de L’Ardito e La Testa di Ferro, due testate certo non da dame di carità… negli anni Venti fu direttrice del famoso e ancor oggi studiato Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia; poi fu articolista del Lavoro Fascista e direttrice della Scuola di recitazione della GIL: un’avanguardista culturale e politica come l’Italia non ne ha più avute. O Maria Goretti, laureata in filosofia morale a Firenze, rappresentante della seconda generazione futurista, animatrice culturale negli anni Trenta, autrice di romanzi, saggi filosofici e nel 1941 di un libro su Valentine de SaintPoint e Benedetta Cappa (la moglie di Marinetti e anch’essa futurista di vaglia) e del Manifesto della poesia eroica femminile nel Futurismo.
FANNY DINI
Fanny Dini scrisse nel 1917 un elogio del libro di Marinetti “Come si seducono le donne” dove afferma che il capo futurista era «riuscito a vedere le donne come sono: le creature più felinamente e più voluttuosamente animali che esistano». La Fanny, che collaborava a L’Italia Futurista e al Nuovo Giornale di Firenze, prese parte alle lotte politiche degli anni Venti, scese in piazza in camicia nera e fu una delle squadriste di punta: nel 1922 partecipò alla Marcia su Roma, poi, collaboratrice del giornale Il Balilla, fu sempre accanto al regime scrivendo sui quotidiani e vincendo premi letterari.
MARIA SARA GORETTI Maria Sara Goretti, laureatasi in Filosofia nel 1929 e in Giurisprudenza nel 1937 presso la Regia Università di Firenze, vinse nel 1934 il concorso per le cattedre di filosofia, pedagogia ed economia politica. Partecipò attivamente al movimento futurista più estremo come Futurismo_oggi "autrice di contributi comparsi sulla rivista Futurismo oggi e in qualità di animatrice di gruppi di attivisti quali il «Gruppo Futurista Bolognese G. Marconi» e «Savaré» di Monselice. Ricca fu la sua produzione saggistica e di successo le sue prove poetiche: le aeropoesie Crocerossa Allarme aero, Fiamme nere e l'aeropoema Preghiera delle macchine aeree le valsero infatti premi e riconoscimenti pubblici da parte, fra gli altri, di Filippo Tommaso Marinetti. Fra i saggi di teoria e filosofia del futurismo, di rilievo sono La donna e il futurismo (Verona, La Scaligera, 1941) e Poesia della macchina (Roma, Edizioni futuriste di poesia, 1940).
ENIF ANGIOLINI ROBERT
Enif Angiolini Robert, nasce a Prato e sposa l’attore Alfredo Robert. La Robert scrisse un libro sul libero amore e si permise, in pieno 1929, l’anno della Conciliazione con la Chiesa, di polemizzare su L’Impero di Mario Carli contro la “procreazione obbligatoria” in nome del libero decisionismo femminile… roba inaudita per quei tempi. Enif scrive di se "Non sono pazza. Ho i nervi di una donna non comune, nervi che pensano, vogliono si avviticchiano e si staccano, si arrampicano sull'impossibile, e che l'amore non può soddisfare.”
MARIA GINANNI Ricordiamo una delle donne che aderirono al primo futurismo e che ebbe la prima considerazione e stima di Marinetti, Maria Ginananni nata a Napoli 1891 morta a Firenze nel 1953, direttrice responsabile dal 1917 delle edizioni di “Italia futurista” la cui direzione artistica era affidata a Bruno Corra scrittore marito della Ginanni ed Emilio Settimelli.
Valentine de Saint Point danza in costume greco per il Poeme D’amour
LE PROTO FUTURISTE RINA MARIA STAGI E BIANCA D'APUA E’ doveroso soffermarsi su due futuriste prima maniera che operarono a La Spezia: Rina Maria Stagi e Bianca D’Apua. Anche nel Golfo della Spezia si diffuse il movimento marinettiano, e fu introdotto inizialmente da un gruppo anarchico-futurista, animato dal pittore Giovanni Goverato, di cui fece parte anche la spericolata Rina Maria Stagi, unica donna del gruppo, nonché una delle fondatrici nel 1920 della rivista “Vertice”, un mensile d’arte e di bellezza, ma inequivocabilmente anche rivista anarchica di arte e di pensiero, che suscitò clamori e indignazioni da parte dei benpensanti, e che diede all’infervorato gruppo spezzino non pochi problemi giudiziari. Negli anni 20, così densi di rivolgimenti politici, anche la scena culturale spezzina subì inevitabilmente forti contraccolpi venendo prepotentemente movimentata da gruppi di giovani legati a movimenti d'avanguardia di varia ispirazione ideologica ma concordi nella lotta al conformismo e al passatismo. Si trattava di giovani artisti geniali ribelli folli e temerari come li definì l'inquietante e misteriosa Brunetta incendiaria (Rina Maria Stagi), in due articoli altrettanto da combattimento. La Stagi scrisse: Letture Per La Gioventù, Sacerdote editore, La Spezia 1924 - fu autrice di altri quattro titoli: il libro del mare, a beneficio degli orfani dei marinai edizioni sacerdoti La Spezia Milano 127; volume dedicato alle donne donna: profili e novelle; e il libro diversi: pellegrinaggio alla mostra della rivoluzione fascista, edizioni misti rischi, Pisa 1934. Interessante è la raccolta di novelle data alle stampe, presso le Edizioni Sacerdote nel 1931: donna: profili e novelle, in cui la scrittrice affronta il problema dell'universo donna seppure con modalità ancora legate all'ottica intimistico-partecipativa tipica della scrittura al femminile di quegli anni, in un coinvolgimento emotivo simile a quello che la portò a scrivere Novelle le solitarie. Contemporanea di Rina Maria Stagi, ma indub-
biamente meno rivoluzionaria, fu un'altra poetessa futurista, Bianca D'Apua, al secolo Bianca Ferrari, nata a Castelnuovo magra 1998 deceduta nel ’92 quindi non propriamente spezzina. Esordiva nel 24 con Operina Scherzosa ancora firmata col suo nome intero, ed intitolata dibattito poetico fra professor Luigi masso e Bianca Ferrari. Successivamente adottò lo pseudonimo e si dedicò intensamente, almeno negli intenti programmati, se non nei risultati, al futurismo. L'espressione di un femminismo gentile da ancora connesso con i valori tradizionali che, teoricamente, si vorrebbe distruggere permane il suo profondo morale. Testimonianza di questa contraddizione si trova infatti in numerose liriche della D’Adua, i cui titoli stessi sono rivelatore dell'autentico sentire: “Sonetti Virgiliani, ” “Raccontino Campestre”, “Purissime Colpe”, “l’ideale" eccetera. Autrice fertile, pubblicò dal 1924 sicuramente sino agli anni ’40, quando dette alle stampe “Visioni di Spagna”, narrazione delle esperienze di crocerossine vissute durante la guerra di Spagna sulla nave ospedale Gradisca, la D'Apua, al suo attivo numerose raccolte di versi, quali “Natale” 1938. Da ricordare anche la canzone ai castelli di Lunigiana 1939 opera in 51 terzine dantesche che costituisce dunque una devianza non soltanto contenutistica ma anche formale delle scelte paroliberiste futuriste. Fu dunque federalista nell'anima nel carattere: attiva, intrepida, intraprendente ed infaticabile si dedicò, soprattutto dopo l'esperienza spagnola, ad un'intensa attività di propagandismo culturale, finalizzata all’organizzazione di incontri di poesia e conferenze tematiche in numerose città come Firenze, Pisa, Pistoia, Sarzana, La Spezia, Genova, volta a diffondere la cultura, stimolare nella popolazione il gusto ed il piacere della conoscenza.
LA CASA D’ARTE E LA TERRA DEI VIVI
MARIA LUISA AGUGGIARI E CLETA SALMOJRAGHI
Negli anni 30, in quello che venne definito da Enrico Chris Politi come secondo futurismo, fu uno dei momenti più felice della vita futurista spezzina, grazie ad una serie di manifestazioni rimaste memorabili, nate sia sull'onda dell'amicizia tra lo spezzino Renato Righetti e l'aeropittore Fillia, sia come retaggio di un'antica simpatia di Marinetti per La Spezia da lui definita sintesi delle forze della gentilezza italiana e dove, a partire dai primi anni novecento, venne in visita più volte sia in veste ufficiale sia in forma strettamente privata. Marinetti, Fillia e Culminati con l’organizzazione del premio di pittura “Golfo della Spezia” e con la celebre sfida di Marinetti ai poeti d’Italia furono “la casa d’arte” Di Piero Salmojraghi ed il prestigioso quindicinale “la terra dei vivi” entrambi rispettivamente diretti due donne Maria Luisa Aguggiari e Cleta Salmojraghi che legarono così il loro nome all’esaltante esperienza degli anni d’oro, brevi ma intensi dell’avanguardia Spezzina. La gentile signorina Maria Luisa Aguggiari, come più volte la definì il garbatissimo Marinetti, infatti Bellanti direttrici della casa d’arte, di cui era anche comproprietaria con Piero Salmoiraghi, suo cognato, delle cui capacità professionali ed organizzative venne più volte dato atto non soltanto sulla Terra Dei Vivi.
Cleta Salmoiraghi, figlia del proprietario della casa d'arte, giovane donna intraprendente in puro stile futurista, non sembra però pagarsi di questo ruolo ma nutre ambizioni giornalistiche. Infatti fu direttrice responsabile della succitata terra del vino, giornale riassuntivo e veloce come lo definì il fondatore e direttore artistico Fillia. Vero vivaio di talenti di firme prestigiose, il quindicinale annoverò un prezioso staff di collaboratori: Marinetti, Prampolini, del Rico Gerardo, Dottori Berto, ricci Pippo Oriani Vittorio grazie gli architetti Guido fiorini Sartori Le Corbusier Zollinger tre quali si inserirono, più che dignitosamente, gli spezzini Pino Formentini, prova Maria Failla, Cleta Salmoiraghi, e Renato Righetti quest'ultimo in duplice ruolo di articolista e coordinatore di editoriale. La direzione de “la terra dei vivi” fu la sua grande occasione: vi si dedicò sia come autrice sia quale direttrice responsabile collaborando attivamente con Renato Righetti, sul quale pesava quasi per in-
tero la realizzazione del quindicennale stesso, data la scarsa presenza di Fillia sempre in movimento da una città all'altra coinvolto 1000 attività. Con la chiusura del giornale, avvenuta nel ’33, sembra concludersi anche la vicenda giornalistica di Cleta. Se ne perdono totalmente le tracce soprattutto dopo la chiusura della casa d'arte conclusi gli esaltanti eventi. La casa d'arte ebbe ancora un paio d'anni di vita come negozio d'antiquariato, poi chiuse i battenti e Salmoiraghi ritorno alla sua Milano.
MARISA MORI
LA MOSTRA AEROPITTURA-ARTE SACRA FUTURISTA Figura avvolta da un'aura mitica, quella di Marisa Mori, nata a Firenze nel 1900 ma formatasi artisticamente nella Torino di Felice Casorati. Il mito di Marisa Mori si è nutrito nel tempo grazie alla sua esistenza avvolta nell'ombra e nel silenzio, dopo una coraggiosa carriera artistica (collocabile negli anni tra il 1925 e il 1940) trascorsa seguendo due delle correnti artistiche più importanti presenti in Italia tra le due guerre mondiali, diverse per linguaggio pittorico e filosofia di vita: la visione classica, misurata e silenziosa, di Casorati e della sua "bottega", e il secondo caotico e vulcanico momento della pittura futurista, rappresentata a Torino da Fillia, Diulgheroff, Rosso, Tato, Oriani, Costa e Farfa. Marisa Mori ha saputo coniugare due mondi profondamente distanti prendendo da ognuno le caratteristiche fondamentali: dal primo, lo sguardo incantato e malinconico, accentuato dall'uso fortemente tonale del colore, dal secondo la libertà assoluta di creare mondi interiori suggestionati dalla realtà esterna meccanizzata. La pittrice entrava grazie alle frequentazioni con Fillia ad ali spiegate, è il caso di dirlo nell’aerovita futurista esordendo assieme al gruppo dei futuristi liguri-piemontesi nella storica mostra “aeropittura arte sacra futurista” organizzata alla Spezia dalla casa d'arte Salmoiraghi nel periodo novembre-dicembre 1932. Alla mostra, patrocinata dalla confederazione dei professionisti ed artisti spezzini, aderirono 20 dei 100 pittori migliori del movimento futurista, come scrisse Marinetti, nel manifesto dell'arte sacra futurista controfirmato anche da Fillia, Pubblicato sul catalogo della mostra unitamente al manifesto dell'aeropittura. Prospettive aeree architetture degli spessori da atmosfere. Simultaneità e compenetrazione di tempo e spazio, lontano vicino ricordato, sognato, eterno, sottolineando così sia l'importanza dell'operato della casa d'arte, sia quello dell’evento a cui partecipò una sola donna: Marisa mori. L'ispirazione principe della Mori fu il volo che praticò come coraggiosa ed intraprendente aviatrice, e a tale intrigante tematica furono dedicate le sei opere rappresentate nella mostra spezzina.
Fillia recensendo la mostra sulla rivista “Futurismo” scriveva in riferimento all'amore: " Marisa mori, passata dalla scuola di Casorati al futurismo a una sua individualità artistica inconfondibile ", lodandone calore l'entusiasmo la granita questa tecnica nonché " la inconfondibile potenza non comune di una modernissima sensibilità." In seguito, nel 1933, la Mori partecipò alla prima edizione del Premio di Pittura “Golfo della Spezia”, conquistando un terzo premio di 2000 lire, con il trittico “Sintesi romantica, militare e gioiosa del golfo della Spezia”, opera che, mediante delicatissime tonalità cromatiche, celebra con una visione aeropittorica i diversi aspetti della città e del golfo. La Mori partecipò in seguito alla Biennale di Venezia del ‘33 e ‘34, e alla Quadriennale di Roma nel ‘35; arrivò ad esporre addirittura a Parigi nel ‘37 e al Metropolitan Museum di New York nel ‘39. Al Premio di Pittura del “Golfo della Spezia” la Mori conobbe Maria Questa, un’artista spezzina che si accostò al movimento futurista proprio in occasione della grande competizione organizzata dalla Casa d’ Arte Salmojraghi nel 1933, partecipando con le sue due opere “Rustico” e “S. Terenzo”. La Questa si distinse anche in occasioni meno ufficiali, come per esempio la serata danzante. “travolgentemente futurista” svoltasi nell’agosto del ‘33 sul lungomare di Lerici: “notte futurista riuscita in una fantasmagoria di luci e colori in un ambiente originalissimo creato dalla fantasia dei pittori” ed impreziosito, a quanto sostiene la cronaca del tempo, da un’esibizione di Aerodanza simultanea eseguita in perfetto stile futurista. In questa occasione erano presenti numerosi artisti futuristi, compresa Marisa Mori, nonché Fillia, Prampolini e lo stesso Marinetti, accompagnato dall’amica Eva Quajotto, pittrice mantovana, specializzata soprattutto nel settore della ritrattistica, e famosa per la capacità di penetrazione psicologica.
Marisa Mori “Autoritratto in azzurro” Olio su tela 1920
Marisa Mori “Volo” Olio su tela 1922
BENEDETTA (CAPPA MARINETTI)
L’incontro con Beny (come lei stessa amava firmarsi) fu per Marinetti, oltre ad un amore a prima vista, una vera e propria conversione. Quando la conobbe nello studio del pittore Balla, Marinetti fu folgorato dalla sua bellezza ed in seguito il loro fu un grande amore. Lei lo cambiò molto. “Ammiro il genio di Benedetta, mia uguale non discepola” furono le parole del poeta per sottolineare la differenza con la donna che sposò nel 1923. Nata a Roma il 14 agosto 1897 da famiglia piemontese e fin da giovanissima con una spiccata vocazione alla pittura e alla letteratura, Benedetta fu allieva di Balla, nel cui atelier conobbe il futuro marito. Fu autrice, fra l’altro di tre romanzi : Le forze umane-Viaggio di Gararà- Astra e il sottomarino. Come altre donne futuriste (Regina Bracchi, Marisa Mori, Adriana Bisi Fabbri, Enif Robert, Marietta Angelini, Nenè Centonze ed altre) sapeva bene che essere “moglie di” non era davvero importante. Anche se la storia che viene dopo sembra averlo dimenticato. Considerata fautrice del Futurismo, in cui svolse un ruolo centrale, Beny partecipò a cinque edizioni della Biennale di Venezia (1926, 1930, 1932, 1934, 1936) e fu invitata a tre edizioni della Quadriennale di Roma (1931, 1935 e 1939). Nel 1930, fu la prima donna-artista ad avere una opera pubblicata nel catalogo della Biennale. Accompagnò spesso il marito nei suoi viaggi, anche se preferiva rimanere a Roma, specialmente dopo la nascita delle loro tre figlie, Vittoria, Ala e Luce, tre nomi simbolo della battaglia. Tra il 1919 ed il1944, in linea con lo spirito poliedrico del Futurismo, condusse un’interessante ricerca stilistica e comunicativa nell’arte, prodigandosi nella pittura, nella letteratura, attraverso diverse sperimentazioni (famose le sue tavole parolibere), nella scenografia, nella produzione grafica e nell’illustrazione per testi poetici. Pur vantando la sua autonomia da proto-femminista, Beny riuscì a conciliare del tutto il suo ruolo di moglie, di madre, di artista e di manager del gruppo. La donna futurista sapeva coniugare vita privata e pubblica con grandi doti organizzative. Sensibile, colta e allo stesso tempo femminile, Beny era riuscita nel non facile compito di affiancare un personaggio come Marinetti pur mantenendo la sua fortissima personalità tanto forte che non poteva rimanere nell’ombra.
Mentre in Italia, nell’immediato dopoguerra, il futurismo subiva un ostracismo per cause politiche (Marinetti fu compagno di Mussolini al momento della fondazione dei Fasci di combattimento il 23 marzo 1919 a Milano e aderì al regime fascista nel 1923), Benedetta si comportò come una modernissima manager ed ebbe meriti soprattutto nel suo ruolo di “alfabetizzazione” internazionale del movimento. Nel 1931 Benedetta firmò insieme ad altri Futuristi, il Manifesto dell’aeropittura. Marinetti aveva avuto l’ispirazione per il manifesto dopo un lungo volo in idrovolante sul Golfo della Spezia. L’Aeropittura fu una declinazione pittorica del Futurismo, e, come espressione del mito della macchina e della modernità, manifestò l’entusiasmo per il volo, il dinamismo e la velocità dell’aeroplano, argomenti che hanno affascinato ed ispirato da sempre Benedetta. Fu lei a far conoscere il Futurismo all’estero. Dopo la morte di Marinetti, avvenuta nel ‘44, Beny si dedicò a valorizzare il movimento riunendo le opere, i manoscritti e promuovendo mostre internazionali. Non scriveva testi critici ma forniva il materiale ed elargiva testimonianze. Negli anni ’50 fu sempre lei a chiudere ufficialmente il movimento militante futurista. Morirà, dopo una lunga malattia a Venezia, il 15 maggio del 1977. Il Futurismo ebbe sempre in lei una sorta di coscienza femminile parallela.
“Cime arse di solitudine” Benedetta Marinetti Olio su tela, 1936
“Ritratto di Benedetta Marinetti” Giacomo Balla Olio su tavola, 1951