Febbraio 2016

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2016

Rivista tecnica di pesca - nautica - subacquea

TRAINA OCCHIO ALLA CANNA

TRAINA COME MI SGANCIO TRAINA GEOMETRIE DI COSTRUZIONE: LA MONTATURA SCORREVOLE

BOLENTINO ESCHE A TUTTI I COSTI

www.globalfishing.it

Traina - Vertical - Jigging - Bolentino - Pesca da Terra - Spinning - Subacquea - Itinerari - Vetrina Attrezzature - Nautica - Inchieste

Anno VII - Numero 2



5 Editoriale 6 Global@mail 14 Come mi sgancio 18 La montatura scorrevole 24 Pregiati nel profondo 28 Scegli.. amo 32 Occhio alla canna 38 Esche a tutti i costi 44 L’esca filosofale 48 La batteria 52 Le interviste di Global Fishing Fantastorie: L’Urlo 58 di U. Simonelli

La posta dei lettori

di U. Simonelli

di M. Prezioso di D. Craveli

di A. Addotta

di D. Craveli

di M. Prezioso di D. Limone

di U. Simonelli

di U. Simonelli di D. Craveli



Editoriale

U

n piccolo terremoto sta scuotendo il mondo della pesca professionale. Secondo attendibili studi della Comunità Europea, è emerso che il bacino del Mediterraneo è sottoposto ad uno sforzo di pesca pari a tre volte quello sostenibile e che, quindi, gli stock ittici siano a rischio di un degrado potenzialmente irreversibile. Ma le brutte notizie non finiscono qui. Sembra anche che ulteriori indagini abbiano rivelato che per tutto il periodo che va dal 1950 al 2010 il prelievo sia stato esattamente il doppio di quello dichiarato. E, addirittura, l’Italia si è distinta per un primato davvero vergognoso: abbiamo pescato per ben 2,6 volte di più rispetto al dichiarato. Per completare il quadro, è emerso anche che la flotta peschereccia nazionale è quella maggiormente motorizzata. Ovvero, i nostri prof hanno imbarcazioni con motori più potenti della media europea, in grado, quindi, di capacità di prelievo maggiori. Una situazione che la dice lunga sulla pesca professionale italiana e che si commenta da sola. Comunque, Italia a parte, la presa coscienza di questa realtà da parte della UE rimane una situazione piuttosto complessa ma soprattutto grave, che impone soluzioni pesanti. Infatti, la proposta shock è stata quella del blocco della pesca, soprattutto per quelle specie che, sempre i soliti studi, hanno individuato come veramente a rischio. Decisioni che verranno prese nella Conferenza che si terrà a Catania il 9 ed il 10 febbraio, data in cui la nostra rivista sarà in via di pubblicazione. E’ ovvio che un fermo seppur parziale della pesca comporterebbe gravi conseguenze economiche in termini di impiego. Lungi da me sottovalutare un problema grave come quello del sostentamento delle famiglie. Ma, concedetemi un bel “ve lo avevo detto”. Perché da sempre, sotto gli occhi di tutti, si è data mano libera ad un criminale sovra-sfruttamento, ma non solo di alcune specie … di tutto ciò che vive nel mare. E noi pescatori “per divertimento”, accusati di levare il pane di bocca a chi “col pesce ci vive”, lo abbiamo sempre gridato, inascoltati, ai quattro venti. Ora, forse, qualcuno ci dovrà credere per forza. Ma la rabbia, con questo, non svanirà davvero. Perché ci hanno messo 60 anni per capire cosa stava succedendo, quando biologi, ambientalisti fuori dal coro e noi ricreativi lo dicevamo da anni? Evidentemente, come al solito, connivenze, complicità e interesse hanno governato. Più di una volta ho paragonato gli sfruttatori del mare a coloro che a cavallo di un ramo lo segano, non accorgendosi però che il loro sguardo è rivolto verso il tronco e che, con l’ultimo colpo di sega, cadranno nel vuoto anche loro. Ecco, questo sta accadendo ora. Ma fare qualcosa si può e si deve, e non bisogna trovare chissà quale idea geniale. Non basterà dire di ridurre lo sforzo di pesca, lasciando le cose come sono. Basta guardarsi intorno: la pesca professionale va trasformata e l’economia del mare deve cambiare. La pesca deve essere sostenibile, non può essere “industriale” e deve essere regolata dall’orologio biologico del mare e non davvero dal solo profitto. Non possono più esistere cianciole capaci di prelevare tonnellate di orate, ricciole e dentici senza limite o strascicanti capaci di violare il mare a centinaia di metri di profondità, per non parlare di tutta la pesca di frodo che si nasconde tra quella legale. La riconversione deve portare anche ad una inversione di tendenza alimentare, che rivaluti il pesce a ciclo biologico rapido, retaggio della piccola pesca. Non è più possibile stuprare quotidianamente sempre gli stessi tratti di mare, uccidendo tonnellate di minutaglia. Di esempi ne abbiamo molti, vicini e lontani. Nella stessa Europa, ad esempio alle Canarie, di strascichi e cianciole non se ne parla più; e se vogliamo fare uno sforzo e guardare oltre oceano, possiamo guardare la Florida, stato americano la cui economia si sostiene con l’agricoltura e con la pesca.. ma quella ricreativa, che rappresenta un indotto economico straordinario per quel paese. Alle Canarie e a Miami, professionisti e ricreativi pescano solo con le canne.. . Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL Ricciole da combattimento Cari amici, Volevo chiedere a Domenico Craveli che seguo sulla rivista e sui social, come fa a chiudere il combattimento con le grandi ricciole in tempi mediamente molto più brevi di quanto si vede e si sente in giro. Ho letto che per un pesce di 25/30kg riesce a stare sotto i 10 minuti, anche con attrezzature non troppo potenti. Grazie per la risposta. Luca

Carissimo Luca, La ricciola è un pesce che ha una strategia difensiva ben precisa , scritta nel suo istinto primordiale di animale superiore. Con attrezzatura 12/20, treccia da 45lbs, è un pre terminale del 55/57, un pesce da circa 25kg lo si può portare sottobordo, in modo agevole, in poche manciate di minuti . Ma non deve essere un tiro alla fune , bensì un gioco di ostruzione e sbilanciamento della preda negli istanti che precedono la fuga. Giusto per fare un esempio, si usa lo stesso atteggiamento che adotterebbe un pescatore da canna fissa, con un grosso pesce attaccato dall’altra parte. L’abuso della frizione infatti può triplicare i tempi di recupero, mortificandoci in un combattimento passivo ed accondiscendente, ed aumentando le possibilità di perdere la Lola. Naturalmente serve tanta esperienza per fare questo . Ma un mio carissimo amico dice.. . Se non lo puoi tirare.. Che gusto c’è?

domenico craveli


GLOBAL@MAIL VeRtical abissale Sono appassionato di jigging, ma catturare un pesce di nota nel nostro sovra sfruttato sotto costa sta diventando utopico . Vorrei provare profondo, e mi piacerebbe avere qualche dritta per non partire da sprovveduto. Ossia sapere fino a che profondità mi posso spingere e soprattutto come adeguare l’attrezzatura . Grazie mille. Mirco

Mirco, La pesca a vertical profonda è una mia grande passione. Uno strike abissale porta tanta adrenalina, perché lì, può capitare di tutto. La prima cosa da fare è alleggerire il complesso pescante , meglio affrontare le alte profondità con jig leggeri e trecciato sottile. Con artificiali da 120/150 gr, multi da 30lbs, e leader del 57, sei pronto alla sfida . Dentici, San Pietro, paraghi, corazzieri, cernie canine, sciabola, tunnidi.. . Tutti pesci possibili senza eccessivi problemi. Considera comunque la possibilità di un rinforzo dello stesso leader con uno spezzone dello 0.70/0.80 lungo 1mt, se iniziano a scipparti gli artificiali. Lì sotto è una guerra, e i serpentoni d’argento e altri commensali dai denti aguzzi, potrebbero portarti via preziosi jig. Per il resto, spazio alla tua pazzia, non ci sono limiti per le quote abissali da raggiungere. Con la bonaccia io sono arrivato a pescare anche a 170 metri, ma ci vuole tanta.. tanta fede!

domenico craveli


GLOBAL@MAIL l’uso del bait RunneR Vorrei avere delle indicazioni in merito alle prerogative di un mulinello a doppia frizione, un bait runner come viene chiamato. Me lo ha regalato un amico, che non lo usava più. Ho pensato potesse essere valido nella pesca in drifting: ma vorrei che un esperto me ne spiegasse tutti gli usi e le caratteristiche. Giulio

Questo mulinello nasce appositamente per il light drifting e per la pesca dei rostrati con canne ultralight e mulinelli potentissimi. La particolarità dei bait runner è quella di avere due frizioni che agiscono sulla bobina, in alternativa tra loro, tramite il posizionamento di una leva. Una ha un range di taratura più basso e si usa nella fase di ricerca del pesce, in modo da non insospettirlo con una resistenza elevata, quando approccia all’esca. La seconda viene tarata decisamente più dura, ovviamente in proporzione al carico di rottura del filo, ed entra in funzione al primo giro di manovella e quindi in fase di recupero / combattimento. Dicevamo essere un mulinello ideale per il light drifting e per la traina ai rostrati, proprio per questa peculiarità di lasciare l’esca libera di “correre” e quindi ideale con pesci sospettosi e con un approccio all’esca molto diffidente. Ma può essere ideale anche per altre tecniche, laddove si voglia dare all’esca la possibilità di essere ingoiata dal pesce senza che si accorga dell’inganno.

michele Prezioso


GLOBAL@MAIL l’innesco miglioRe Sono un giovane appassionato di pesca e, da quando sono arrivato in Italia, mi sto dedicando alla pesca in mare ed al bolentino in particolare. Pesco principalmente con il saltarello coreano, che è un verme economico e gradito un po’ a tutti i pesci, pagelli compresi. Vorrei avere un consiglio sul corretto modo di innescare questo anellide, e sugli ami più idonei allo scopo. Jonut

Ciao Jonut, dalla mail intuisco che tu sia di origini romene e immagino anche che le tue esperienze siano state prevalentemente in acqua dolce. Ma, tutto sommato, posso dirti che in mare le regole generali non cambiano. Anche qui non esiste l’innesco assoluto, ideale per tutti i pesci e che peschi più di un altro. L’innesco vincente è quello che incontra il gradimento dei pesci in quello specifico momento, secondo una quantità di variabili non determinabili. A volte è gradito l’innesco singolo, altre a grappolo ed altre volte ancora vermi infilati a coprire l’amo. Bisogna provare e sondare l’umore dei pesci … Importante è scegliere sempre vermi freschi e vitali. Infatti, il movimento frenetico del saltarello è una delle sue più importanti prerogative. Venendo agli ami, i migliori, a mio avviso, per l’innesco degli anellidi sono quelli a filo sottile, ancora meglio se con micro ardiglioni sul gambo, che servono a fermare l’esca in calata o fase di lancio, del tipo a gambo lungo.

michele Prezioso


GLOBAL@MAIL acqua a Volontà Vorrei sapere quale soluzione adottare per avere acqua di mare in barca. Quale pompa installare e quale sistema usare per prendere acqua. Grazie. Walter

Ciao Walter, ho sintetizzato al massimo la tua richiesta , per condividere con i lettori, una risposta il più esaustiva possibile, per un argomento forse degno di un vero e proprio articolo. Ma entriamo subito nel vivo del problema. Partiamo dalla presa a mare. Considerando che

il

funzionamento

dovrà

essere

garantito anche in navigazioni e a andature sostenute, è inevitabile il montaggio di una presa a mare specifica. Una di quelle in bronzo, provviste di una gabbia che impedisca di aspirare corpi estranei di grandi dimensioni. Il montaggio andrà fatto in carena, orientando la parte aspirante verso la poppa della barca ed in un punto che rimanga sempre ben immerso, anche in planata. Il verso di montaggio è basilare, perché orientandolo al contrario, in navigazione, l’acqua tende ad entrare di forza nell’impianto, insistendo sulla pompa con effetti dannosi. Non scordiamo di applicare una saracinesca sulla presa a mare, per chiuderla in caso di emergenza. Nella posa della presa a mare è importante assicurarsi che non passi acqua attraverso il passaggio in carena, cosa che si previene praticando un foro appena più grande, che dovrà essere sigillato con del mastice poliuretanico tipo Sikaflex, applicandolo sulle superfici ben pulite. La pompa che consiglio è una tipo autoclave, prevista per il funzionamento con acqua salata. Consiglio l’autoclave perché è possibile applicare all’impianto una manichetta e tenerlo sempre attivo. Infatti le autoclavi dispongono di un interruttore a pressione che le spegne quando non c’è erogazione. Oltretutto sono generalmente autoadescanti e quindi possono essere installate sopra la linea di galleggiamento, sono silenziose, possono lavorare anche a secco senza guastarsi e consumano poco. E’ bene montare sempre il filtro a rete in dotazione, per prevenire l’aspirazione di sabbia e detriti. Un’altra raccomandazione è di montarle a parete con il motore posto in alto; una piccola attenzione per evitare che umidità e piccoli trafili d’acqua entrino nel motore elettrico. Ideali quelle con almeno 10 lt/min di portata e 3 bar di pressione. L’uscita potrai montarla a parete con una presa rapida che consenta la facile applicazione e rimozione di un tubo con pistola. E’ bene fare una connessione elettrica provvista di fusibile e interruttore per comandare a distanza l’attivazione e proteggere l’impianto da guasti.

umberto simonelli


GLOBAL@MAIL elicHe e tRasduttoRi Debbo installare il trasduttore per il mio nuovo scandaglio: un DragonFly, con tecnologia Chirp. Lo installo in aggiunta ad un altro sistema che usufruisce già di un trasduttore passante, posto a centro barca. La mia imbarcazione è dotata di due motori controrotanti e a dritta c’è l’ausiliario. Il mio problema è quello di capire da che parte dello specchio di poppa è bene installare il trasduttore esterno. Giovanni M.

Caro Giovanni, il manuale del DragonFly riporta delle chiarissime spiegazioni in merito, segnalando con puntualità le modalità di installazione, indicazioni che, peraltro, sono assolutamente affidabili e concrete. Per riepilogare, soprattutto per chi ci legge, possiamo dire che in caso di installazioni fuoribordo, con un monomotore, se il senso di rotazione dell’elica è destrorso il trasduttore va montato sul lato destro e a sinistra se l’elica gira in senso antiorario. Se, come nel tuo caso, ci troviamo con due motori il posizionamento ideale è al centro. Però, posso aggiungere una raccomandazione che riguarda il trasduttore dell’altro apparato. Se, come hai detto, è posto al centro ed è sporgente dalla carena, c’è l’ipotesi che possa generare una scia turbolenta che, in navigazione, disturbi la lettura del nuovo trasduttore. Purtroppo non c’è modo di prevedere una tale evenienza e solo provando se ne può venire a capo, sperimentando il funzionamento alle varie velocità. Qualora le turbolenze impedissero il funzionamento corretto dovrai effettuare delle ulteriori prove spostando il trasduttore.

umberto simonelli


GLOBAL@MAIL imPaRaRe il lancio tecnico Carissimo Dario Limone, sono un appassionato di pesca a fondo dalla scogliera, e vorrei avvicinarmi a quella dalla spiaggia. Sono cosciente che dovrò stravolgere prima di tutto il mio modo di lanciare, e vorrei qualche info sui lanci tecnici che cerco di imparare nei video, ma una volta in spiaggia m’incarto con la posizione di piedi e mani. Puoi spiegarmi da dove devo partire? Matteo

Caro Matteo, la scogliera e la spiaggia sono due mondi diametralmente opposti, sebbene a volte condividano lo stesso tipo di prede. Sicuramente, tra i sassi, pratichi la pesca a fondo, quindi con canne telescopiche e lanci sospesi, senza quasi mai cercare la distanza, ma piuttosto la precisione. Dagli arenili, specie se a fondale basso, è tutta un’altra storia, e la capacità di eseguire dei lanci prestanti diventa imprescindibile. Sicuramente, la tua attrezzatura dovrà essere sostituita con canne adatte alla distanza, 3 pezzi oppure meglio ancora 2. Opta per modelli non troppo rigidi, diciamo 150gr di casting, che sono ottime per chi vuole iniziare. I lanci che dovrai imparare saranno principalmente due. Above e Side, quest’ultimo anche in versione angolata. Serve solo un po’ di pazienza, e i tutorial presenti sul web sono di grande aiuto. Meglio ancora se vai in spiaggia con qualche amico che li conosce, perché essere affiancato da un esperto, anche per una sola sessione di pesca, aiuta a bruciare le tappe.

dario limone


GLOBAL@MAIL ottime PResentazioni Ho bisogno di un parere per derimere una questione venuta fuori l’altra sera al negozio di pesca dove ci ritroviamo a chiacchierare della nostra passione. Gli animi si sono accesi sulle esche e sulla loro presentazione. C’era chi sosteneva che quando il pesce vede un boccone succulento lo aggredisce senza pensarci due volte e chi, invece, che la presentazione fosse determinante in modo assoluto. Qual è il vostro parere? Giovanni

Gentile Giovanni, la pesca non è una scienza esatta e non ci sono soluzioni assolute . Perché se è vero che un momento di frenesia dei pinnuti può portarci a vederli come animali sprovveduti, e anche vero che l’apatia totale verso gli inneschi potrebbe invece mettere in discussione anni e anni di conoscenze. Un mio amico, maestro dello spinning, in una simpatica conversazione mattutina, davanti ad un caffè fumante mi ha detto “ i pesci attaccano, se presentate bene, tutte le esche, che hanno una testa ed una coda, glielo impone il loro codice genetico “. Queste parole, mi hanno riportato alla mente alcune esperienze vissute in pesca; infatti pescavo col coreano a pezzi senza avere tocche, ma nel momento in cui l’ho infilato, non trafiggendo la testa e la coda, che era libera di muoversi, ho iniziato a catturare. Un succulento bivalve sgusciato, contenuto sull’amo con giri di filo elastico, non ha destato nessun interesse, ma la stesso privato di una sola parte del guscio, con l’altra ben legata col filo elastico è stato vincente, perché più naturale. Il modo di alimentarsi dei pinnuti, varia anche in base alle condizioni meteo-marine. Il mare calmo o poco mosso da tutto il tempo ai pesci di valutare l’inganno, che gli presentiamo. A volte i pesci fanno delle valutazioni complesse ed in una frazione di secondo, decidono se attaccare o meno.

dario limone


TRAINA

Come mi sgancio.. Di Umberto Simonelli

L

a tecnica del piombo guardiano è oramai il metodo di affondamento “UNIVERSALE”. Usato da tutti, rappresenta il modo più semplice ed efficiente in assoluto per affondare le esche.

Deve essere applicato al complesso pescante in un punto ben preciso, con un metodo di aggancio che consenta sicurezza, praticità e soprattutto velocità di rimozione, perché quando il pesce è in canna ed il terminale è a vista non ci possono essere esitazioni. Se poi siamo in solitario il problema si complica..


PUNto DI APPLIcAzIoNE Il piombo guardiano, composto da una zavorra specifica o da un semplice forma a pera o a sfera, è sospeso da uno spezzone in nylon, agganciato nel punto in cui la lenza madre viene congiunta con il preterminale in nylon. In questo punto si possono realizzare vari punti di attacco possibili. Ad esempio, un’asola ricavata direttamente dal nodo di giunzione o un ponticello realizzato con uno spezzone di multi legato sul braided. Le immagini che seguono chiariscono meglio di quanto si possa fare a parole le varie possibilità che fino ad ora l’ingegno dei pescatori ha ideato.


TRAINA Un’evoluta soluzione di sgancio artigianale, realizzata con del piano wire, acciaio armonico usato per la pesca estrema, un manicotto a crimpare e molto ingegno

ALL’INIzIo Una volta stabilito il punto di aggancio, ecco presentarsi un altro problema.. il come! Partiamo dal sistema primordiale del falso nodo, ovvero di una sorta di fiocchetto, simile al nodo dei lacci delle scarpe, che si blocca sulla madre e che ha come controindicazione la lentezza di esecuzione e la necessità di porre molta attenzione nell’operazione per non trovarsi immediatamente con un piombo di meno. Al contrario, questo sistema ha come vantaggio quello di un’azione di sgancio rapidissima, perché basta tirare il capo libero per sciogliere il tutto. C’è da dire che all’alba dell’introduzione del piombo guardiano, c’era anche chi non disdegnava l’idea di legare proprio il filo alla lenza madre con un bel nodo. Ovviamente la soluzione di sgancio era un taglio ben assestato. Ma solo l’idea di avvicinare una lama al terminale teso ci fa rabbrividire.. tRA tRADIzIoNE ED EVoLUzIoNE La soluzione più diffusa e pratica è da sempre quella del moschettone aperto, o chiuso per i più prudenti e che non vogliono rischiare di farlo uscire dall’appiglio. Il moschettone con girella anche aperto offre un’affidabilità davvero impensabile e non occorre acquistare accessori di chissà quale qualità. E c’è anche da stare sereni sulla resistenza, in caso di incaglio. Non si rompono e non si aprono ed in genere cede sempre il filo del guardiano. Anche pescando da soli, lo sgancio è abbastanza semplice; molto meno se lo usiamo chiuso. Poi esistono ancora molte soluzioni, più tecnologiche, frutto di idee veramente innovative e che facilitano la vita. Anche qui le foto sono sicuramente più esaurienti di ogni descrizione.


SgANcIo E NoN SoLo

Il classico dei classici: il moschettone con girella. Pratico e soprattutto molto economico. Difficilmente si stacca da solo e resiste anche a forti trazioni.

Questa soluzione affida al piombo guardiano un’opportunità in più. La possibilità di scorrere lungo il trecciato è ideale quando si deve fare in modo, appoggiando il piombo sul fondo, di far mangiare il pesce cedendo filo senza fargli sentire il peso del guardiano. Il pesce sarà libero di mangiare, trascinando il boccone senza accorgersi di nulla prima che la ferrata giunga inesorabile. Sarà necessario, però, applicare alcune modifiche al normale montaggio, aggiungendo una perlina che funga da salva-nodo per ammortizzare l’azione del piccolo aggancio.

L’evoluzione di uno sgancio, veramente rapido, creato da PierPaolo Beninato, studiato appositamente per l’uso con una sola mano. A sinistra la prima versione e a destra l’ultima; soluzioni veramente efficaci e funzionali.

con questa soluzione, il guardiano diventa scorrevole. Ideale quando si ha a che fare con pesci sospettosi che mordicchiano l’esca.. basta dare filo, il piombo poggia sul fondo ed il pesce è libero di appropriarsi dell’esca


TRAINA

Geometrie di costruzione:

La montatura scorrevole

Di Michele Prezioso

N

Il terminale scorrevole è stata una delle vere rivoluzioni nella tecnica della traina con esche vive. Una soluzione geniale, in grado di soddisfare tutte le esigenze di ogni esca, per grandezza e tipo.

Valida per i cefalopodi ed i pesci, dall’aguglia allo sgombro, questa tipologia di montatura per mantenere la sua efficacia deve essere realizzata con ben precise precise geometrie di costruzione.


All’INIzIo Le prime montature per le esche vive, anzi per l’esca viva , ovvero l’aguglia , unico pesce usato, la cattura del pesce era affidata ad un unico amo, quello in prossimità della coda del pesce, mentre il trainante era piccolo e applicato alla montatura con un bracciolo derivato. Ovviamente il trainante in questa situazione non avrebbe mai potuto partecipare all’azione: troppo piccolo e troppo delicato. lA PrIMA eVolUzIoNe Successivamente la paratura fu fissa, ovvero con amo traente e pescante legati sullo stesso filo e ad esso solidali. Una soluzione studiata per avere ragione di quelle prede come le ricciole che ingoiano le prede dalla testa, sfuggendo così agli ami in coda. L’amo trainante robusto come il pescante ma soprattutto fisso sulla lenza, poteva così infiggersi nell’apparato boccale della preda in tutta sicurezza. L’unico neo la necessità di realizzare il terminale su misura per ogni esca. Una rottura di scatole non da poco.


TRAINA Terminale fisso. Il traente è solidale con il filo del terminale. Sicuro ed affidabile, va però realizzato su misura

l’eVolUzIoNe

Un classico delle esche vive: l’aguglia. Mai come per questo pesce la montatura scorrevole è veramente indispensabile

Quindi l’idea di rendere scorrevole l’amo trainante risolveva il problema, non da poco, di poter preparare in anticipo più parature diverse per robustezza, tipo di amo e dimensione. L’importante però per realizzare una montatura efficace è quello di eseguire delle legature dell’amo scorrevole adeguate; robuste quel tanto che consenta di sopportare lo stress meccanico di uno strike e allo stesso tempo di scorrere, ma non troppo per scagionare il rischio che il traente non si infigga in una bocca extra hard. NoDI scorreVolI La soluzione ideale per realizzare un ottimo scorrevole è quella di adoperare il nodo dell’amo a paletta, realizzato però con un maggiore numero di spire. Possiamo usare del nylon dello 0,35-0,45 o del multifibre, dello 0,16-0,20. L ‘importante è che nel serrare il nodo, le spire siano state posizionate l’una dietro l’altra,


senza accavallarsi; così, al completo assuccaggio del nodo, si formerà un compatto tubicino di spire che terrà ben fermo il nostro amo scorrevole.

Ecco la fase finale di chiusura della legatura..è veramente indispensabile

UN Po’ DI elAstIcItà Si

può

realizzare

la

legatura anche con l’elastico; l’ideale è quello pieno delle roubaisienne. Ne viene fuori un buon nodo, di ottima resistenza, con la prerogativa di essere meno abrasivo sul filo, rispetto anche alle altre due soluzioni precedenti.

la legatura dovrà essere tassativamente eseguita con dei mezzi colli, perché così si garantisce la tenuta autonoma di ogni singola spira. oltretutto il caucciù garantisce una scorrevolezza controllata priva di abrasione. In questo montaggio è stato usato un amo ad occhiello dritto e saldato.

Il diametro ottimale per la realizzazione del serraggio è il due millimetri, magari di colore rosso perché è il primo colore a scomparire in acqua. Anche in questo caso il posizionamento delle spire deve essere perfetto e la chiusura sarà effettuata con una decina di mezzi colli.

UNA qUestIoNe DI AMI La funzionalità del terminale è affidata anche alla qualità degli ami e alla loro tipologia di costruzione. La nostra scelta cade sempre su ami eccellenti, cosa che offrendoci ottime garanzie di penetrazione e tenuta, cosa che sollecita meno nodi e fili oltre che facilitare le operazioni di innesco, ledendo meno la vitalità delle esche stesse. L’amo deve avere delle qualità precise, una buona punta, un’ottima elasticità ed un filo di sezione media, realizzato con una ampia curva e un ardiglione ben pronunciato. Anche


la leggerezza conterà molto, perché un amo pesante pregiudica nuoto e assetto. L’amo trainante sarà

TRAINA

bene sia con anello disassato, sia aperto che saldato.

Un buon assortimento di ami da vivo; a sinistra con anello saldato e a destra con anello aperto

L’amo traente, con il cuscinetto e la legatura scorrevole realizzata con multi fibra


le MoDIfIche Se usiamo scorrevoli con l’anello saldato il montaggio non dovrà tenere conto di nulla. Al contrario, quando si usa l’anello aperto, oltre a scegliere ami dove la chiusura sia più stretta possibile, è bene realizzare una importante modifica. Nel caso di ferrata sul traente, questo scorrerà violentemente lungo la montatura; per evitare il rischio che il filo possa abradersi e rompersi infilandosi nel punto di chiusura dell’anello, si può fare un cuscinetto di spire serrate, realizzate con dei mezzi colli e del multi fibra.

ecco la sequenza di preparazione del cuscinetto di spire; dopo aver eseguito l’impiombatura è consigliabile bloccare il tutto con una passata di vernice per legature o smalto da unghie. I colli a destra e sinistra servono per offrire “grip” ai giri di filo. Nell’ultima foto la montatura finita. Per chiarezza dimostrativa gli ami e i nylon usati sono di grandi dimensioni


VERTICAL

Pregiati nel profondo

Di Domenico Craveli

l

a cattura ad inchiku di pagelli e paraghi , rappresenta per molti appassionati di tecniche verticali una vera e propria mania, poiché il fascino e il pregio di questi pesci rossi, gratifica il nostro ego piscatorio.

I rossi sparidi di fondale, catalizzano gli interessi degli appassionati di inchiku, perché riescono a regalare momenti di divertimento e, soprattutto, sono delle prede di grande pregio gastronomico. Pescarli non è semplice, anche perché dimostrano interesse verso gli artificiali ,quando stazionano su fondali profondi. In questi ambienti l’azione è resa difficile dalla variabile combinata scarroccio/ corrente, che può rendere complicata la gestione dell’esca nei pressi del fondo. Ritmo Rallentato Le batimetriche migliori , dove questi pesci

aggrediscono

con

normale

continuità gli inchiku, sono comprese tra i 70 ed i 130 metri. Settori di mare fangosi o detritici, dove i salti di quota

Un bel praio catturato a grande profondità. La fine dell’inverno e l’inizio della primavera rappresentano il momento stagionale migliore


sono una costante e dove l’attività trofica, specie in questo momento stagionale è molto rallentata . Questo va tenuto presente, poiché quando i pesci sono poco propensi a scatti e risalite verticali , è fondamentale tenere l’inchiku incollato al fondo, come una danza lenta, facendolo strusciare sul substrato per lunghe sessioni di scarroccio. Alta marea e cambi di luce i momenti migliori. Di solito pagelli e prai condividono ambienti adiacenti. Ma mentre i primi amano grufolare, i secondi alternano ai comportamenti placidi, atteggiamenti aggressivi, molto simili ai cugini dentici. In ogni caso, si tratta sempre di pesci grintosi,

che

allamati

una

volta

combatteranno

fin sopra la superficie. Le testate

continue,

opportunamente

se

non

gestite,

potrebbero aprire il punto di infissione dell’amo, con la conseguente

perdita

della

preda.

Attrezzatura ultra leggera, ed un rotante sono quanto di meglio si possa disporre per animare gli inchiku in modo soft, come una danza aliena in fondo al mare

Rosso si speRa Considerando che ogni cromia di esca può andare bene, prove reiterate negli anni ci hanno portato comunque a sostenere che artificiali con parte metallica dorata, ed octopus bruno arancio, sono quanto di meglio si possa usare . È fondamentale che gli assist siano in ottimo stato per garantire ferrate sicure, ed evitare slamate che potrebbero allarmare tutto il branco. Se

correttamente

interpretata

questa

pesca può davvero essere una alternativa sfiziosa , quando prede più importanti come dentici e cernie latitano.

Ogni artificiale può andare bene, ma alcuni colori “caldi” pare abbiano una marcia in più con questi pesci


VERTICAL

Una delle regole principali nella pesca a questi pesci è di utilizzare esche leggere in relazione alle condizioni. Ossia, se corrente e scarroccio lo permettono, l’uso di un artificiale da 80 grammi è più produttivo dello stesso modello, ma di peso superiore. Poi, ogni mare potrebbe avere delle chiavi di lettura diverse, lo sanno bene i bolentinari che su questi pesci hanno forgiato l’arte del bolentino, e che mai si sarebbero sognati di vedere i loro bramati “rossi”, sedotti da un pezzo di ferro arlecchinato con della gomma!


ACCESSORI PER GLI AMANTI DELLA PESCA


SURFCASTING

Scegli.. amo

di Antonio Addotta

I

n un momento stagionale complicato, quando il surf, quello vero, diventa motivo di confronto con pesci importanti in condizioni spesso avverse, la scelta dell’amo giusto è fondamentale. Bilanciare la sua dimensione, con il tipo di esca e con la potenziale preda, rappresenta la

chiave di volta per arrivare a risultati eccellenti e ridurre al minimo le possibilità di slamate o attacchi a vuoto. SpIGolA,

STRISCIA

dI

ed

SeppIA..

Amo

ImpoRTANTe: CoNNUbIo vINCeNTe Inverno

e

mare

mosso,

condizione che apre scenari inimmaginabili

nella

pesca

dalla spiaggia. Infatti in queste condizioni spesso estreme, si può passare in pochi istanti da un incombente cappotto, all’incontro con il pesce della vita. Essere pronti a questo,


significa curare ogni dettaglio,

ma

una

canna prestante, un mulinello a tre cifre, non

basteranno

a

spiaggiare il nostro sogno se l’amo risulta inadatto.

la scelta dell’amo rappresenta il momento in cui il piÚ delle volte si determina il successo o la disfatta di un eventuale incontro con un pesce importante


SURFCASTING

A mISURA dI TUTToe, cela Parlare di ami in senso assoluto è un errore che molti pescatori compiono. In realtà la scelta va ponderata tenendo presente alcuni fattori fondamentali, che riguardano prede ed esche. Si ragiona prendendo in esame due macro scenari. Da una parte considereremo la ricerca di grandi spigole, serra e grosse orate, come target, e dall’altra saraghi ed orate di medie e piccole dimensioni. Questo ci permetterà di ottimizzare la soluzione, e quindi di corredare i nostri terminali dell’amo più adatto, senza sbagliare fatalmente. GRANde o pICColo

Una bella orata è rimasta vittima di un amo adeguatamente dimensionato

Nel caso si cerchino grandi pesci, utilizzando soprattutto strisce di cefalopodi, granchi, o bibi di dimensioni xxl, è indispensabile che l’amo sia molto grande, anche a costo di lasciarlo visibile. Questo perché una grande spigola, o una big orata, potrebbero aggredire il nostro boccone gigante, ed eludere l’amo stesso se di misura ridotta. Fino a qualche anno fa, le tendenze erano praticamente opposte, ma oggi, pare si stia tornando all’antico, quando esca grossa, ed amo importante erano una regola assoluta. Quindi, non si abbia paura di usare hook del 2/0 o similari, perché durante le mareggiate più importanti, può succedere davvero di tutto. Diverso invece il discorso se si insidiano saraghi ed oratelle nella risacca utilizzando terminali a due ami tipo pater-noster. Con pesci dall’apparato boccale piccolo, abituati mangiare in modo rapido e furtivo nella forte corrente, un amo del 2 o del 4 risulta l’ideale.


CoSA oFFRe Il meRCATo Oggi l’offerta di mercato è vastissima, ed a volte la scelta è dettata più da gusti personali che dall’effettivo valore del prodotto. C’è da considerare che i diversi brand usano catalogare gli ami con numerazioni spesso differenti per scala dimensionale, quindi, è opportuno nella scelta, non considerare il size numerico, ma basarsi su un confronto visivo, se non si conosce già il modello. Tra i migliori prodotti per lo scenario di pesca appena descritto, possiamo ricordare: Maruto 9644 / 9876, Bad Bass 327, Nuclear MR21, Hayabusa H.ISE147, TRACK LINE M50, Tubertini 5180, Gamakatsu 7535N.Il prezzo al dettaglio è compreso tra euro 4.00 e 5,00 con una media di 10/15 pezzi a bustina in base alle dimensioni. Adesso non resta altro che abbinare il filo giusto, e lanciare oltre.. l’onda!


TRAINA

Occhio canna Q

uando si parla di canne da traina, si dice sempre che devono rappresentare il prolungamento del braccio del pescatore, e che devono trasmettere nelle mani quello che succede dall’altra parte del filo. Il rapporto con l’angler però, passa anche tramite i maliziosi sguardi verso di essa, che permettono di capire con largo

anticipo cosa sta per accadere. Una sorta di senso preventivo che può fare la differenza. In pesca come in combattimento, guardare costantemente la canna permette di alzare l’asticella riguardo alle nostre performance di pesca, perché i segnali visivi che arrivano


alla Di Domenico Craveli

dall’attrezzo possono anticiparci ciò che sta per accadere di lì a pochi istanti, agevolandoci nella scelta delle contromisure atte magari a favorire un’allamata, o a farci cambiare atteggiamento durante un recupero complicato. Naturalmente, la nostra capacità di cogliere questi segnali, è direttamente proporzionale all’esperienza acquisita, e non la si può apprendere se non si è disposti a sacrificare ore e ore di mare solo per il gusto di scoprire e di capire.


TRAINA

Una canna in pesca: se ben progettata riesce a trasmettere con estremo tempismo e precisione tutto ciò che avviene dall’altra parte del filo. Il piombo che tocca il fondo, un’esca che viene attaccata da piccoli pesci, o il nervosismo dell’esca stessa per l’avvicinarsi di un grande predone.

CaNNe IN attesa Appena la nostra esca sarà filata in mare, e il piombo calato alla profondità

voluta,

inizierà la trepidante attesa che si spera verrà interrotta da una violenta flessione . Nel frattempo però, mentre il nostro vitale boccone sonderà tratti di mare più o meno ampi, potranno capitare tante cose, che se erroneamente interpretate rappresenteranno la sottile linea di confine tra una cattura o un cappotto. I predoni infatti, non sempre aggrediscono con foga appena vedono una potenziale preda, ma spesso la seguono inesorabilmente senza affondare. Il calamaro o il pesce che sia, raramente, in natura, subiscono passivamente tale tallonamento, e iniziano ad agitarsi ed a muoversi in modo irrequieto. Tutto questo si trasmette sulla vetta, con delle impercettibili vibrazioni o oscillamenti che solo un occhio esperto può captare.

Pesci stanziali e canne tip action, un connubio che ha tanti perché da interpretare. La sottile e nervosa vetta permette di leggere bene il fondo

Di solito, colpetti modesti e brevi cariche, ci possono dire che la nostra esca è disturbata da piccoli predatori,

e

consigliabile

quindi

è

sollevarla

dal fondo o accelerare un pochino.

Diversamente,

se la canna per qualche


attimo allenta la sua piega, cambiando assetto, come se si fosse alleggerita, vorrà dire che un pesce importante ha spinto l’esca in fuga verso avanti, e la nostra contromisura sarà quella di mettere in folle, ed attendere agevolando l’eventuale attacco. Continuare imperterriti nel nostro sordo trainare, senza azioni correttive, in questi casi può portare ad avere un’esca maciullata dai piccoli pesci, oppure a far sì che un pesce importante desista.

Nei combattimenti più spinti, guardare la curva della propria canna aiuta a non spingerla oltre il punto di rottura , e tirando fuori il massimo dall’attrezzo

CUrve perICoLose Durante i combattimenti più impegnativi, gli angler più bravi di solito aggallano il pesce senza quasi mai guardare l’acqua, ma stando con gli occhi puntati sulla propria canna. Questo permette di capire con estrema precisione quando e come forzare, e soprattutto, quanta forza stiamo mettendo in trazione. Il nostro cervello metabolizza le informazioni che arrivano dalle braccia e dagli occhi, e questo fa si che il recupero diventi fluido, sentito, e nella maggior parte dei casi più breve e sicuro. Memorizzare la curvatura della canna alla sua massima trazione, capirne il limite di sicurezza reale, permette di fare cose impensabili, come ad esempio portare sottobordo una grande ricciola di circa 30kg in sei/sette minuti, anziché in trenta, godendosi tutta la forza bruta del predone. Vedo sempre più spesso recuperi fatti con pompate brevi e rapide, canna bassa e pedalare insomma, sistema efficace, ma che non è coordinato con quello che fa la preda dall’altra parte. Alzare la canna senza pensare al goniometro, farla piegare e capire con istanti di anticipo la fuga e il cambio di direzione della preda, esaltano il combattimento, che in fondo è quello che cerchiamo.


TRAINA

CaNNa e CaNNa Naturalmente tutto quello di cui sopra ha un senso se il nostro attrezzo possiede un’anima, ossia se il suo fusto è pensato in ogni centimetro della sua lunghezza, e se ogni incremento di curva è valutato in fase di progetto. Una canna da traina è uno strumento che deve amplificare tutto quello che accade dall’altra parte, facendoci dimenticare che in fisica è catalogata come una leva sfavorevole. Ognuno avrà poi le proprie preferenze in funzione della sua prestanza fisica, della dimensione della barca e del sistema di affondamento utilizzato. Non esiste l’attrezzo che può mettere d’accordo chi pesca dal kayak e chi dal grande fisherman. Ma esistono canne mute e sorde, ed attrezzi che esaltano ogni istante dell’azione di pesca… perché ricordatevi, a tirare un pesce, ci riusciamo tranquillamente anche a mani nude!


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BOLENTINO

ESCHE a tutti i costi

Di Michele Prezioso

N

on sempre si dispone delle esche e non sempre si è disposti a rinunciare ad una battuta di pesca. Perché, lo sappiamo bene, quando il mare chiama non si può resistere.. ed avere qualche esca pronta, tenuta viva o preparata e conservata, per ogni esigenza, può essere la soluzione ideale per risolvere le emergenze e non privarsi della opportunità di un’occasione da cogliere al volo. L’inverno è un periodo dell’anno metereologicamente complicato, e mai come in questi ultimi tempi il tempo evolve con una velocità incredibile. Questo complica ancora di più la naturale instabilità stagionale e rende difficile la possibilità di programmare delle battute. Quindi anche l’approvvigionamento di esche soffre di questo problema. Ma con un po’ di sapienza e di ingegno è possibile crearsi una scorta di esche conservate che,


con qualche piccola astuzia, potranno funzionare bene quasi come quelle fresche.. EvEr rEaDy Partendo dal fatto che procurasi l‘esca e poterla tenere a disposizione vuoi in freezer o sotto la barca in nassa, sia fondamentale per un’uscita al volo e però importante conoscere metodi e sistemi per conservarla al meglio. Parlando principalmente di esche per il bolentino o per la traina sale e freddo saranno gli strumenti principali.


BOLENTINO Pulite, lavate e asciugate e poi salate. Il freddo farà il resto conservando la polpa in maniera eccellente, soda e “profumata”

LE sarDE Esche universali , val bene comprarle al mercato quando le troviamo fresche e ben sode. Anche le alici è bene conservare; indispensabili quando si vuole insidiare sgombri in drifting o i pesci storcono il naso con le sarde. Andranno private della testa e delle interiora e asciugate per bene e riposte in contenitori di alluminio; ogni fila va salata con una manciata di sale e successivamente sovrapposta da altre. Riempito il contenitore si può chiuderlo con il tappo in dotazione, chiudere il tutto in una busta da frezeer e mettere nel congelatore. Il sale ed il freddo ci garantiranno un prodotto perfettamente utilizzabile, che basterà decongelare lentamente e far rinvenire con poca acqua di mare. Volendo è possibile salare anche i pezzi già tagliati da innescare, ad esempio

Un sarago ed un’orata, frutto di una pescata estemporanea, che non hanno resistito ad una cozza congelata molto tempo prima. se non fossimo stati previdenti conservando l’esca, avremmo perso questa bella pescata questa bella pescata


per il bolentino profondo, eliminare l’acqua che si crea e poi congelarli velocemente appoggiandoli su un foglio di alluminio. Questo procedimento ci consentirà una volta congelati di riporli in una busta senza che si attacchino tra loro. Ne prenderemo quelli che ci servono e saranno subito pronti, belli sodi. LE PastUrE Quando le sarde sono a buon mercato, perché non proprio più freschissime è consigliabile farne incetta, perché se ne può ricavare una pastura straordinaria, semplicemente tritandole e poi congelando l’impasto ottenuto a porzioni. Lo adopereremo secondo necessità e sarà l’asso nella manica per realizzare una pastura con pane avanzato e raffermo e una manciata di sabbia, se serve affondare. E’ garantito che la “fragranza” di quel che viene fuori sarà irresistibile per molti pinnuti.

cozze in barattolo, un’idea geniale, congelate nella propria acqua. si mantengono sode e profumate come fresche.

INNEschI IrrEsIstIbILI Per il bolentino cosa meglio di una bella cozza? Nel periodo in cui le troviamo belle

piene

e

corpose

potremo

sgusciarne

bel

conservandone

po’

un

l’acqua interna. Riporremo i vari bocconi in barattoli di vetro in cui metteremo anche un po di acqua; messe nel congelatore dureranno a lungo senza perdere la consistenza. Alla stessa stregua potremo trattare i cannolicchi e i fasolari, i gamberi e le seppie, quelle piccolissime che sono ideali anche nel surf per insidiare spigole e orate. sEPPIE E PoLPI Se li trovate al mercato ben freschi e ad un prezzo abbordabile non bisogna farseli sfuggire. L’operazione di congelamento, se per i polpi è semplice, per le seppie è un po’ più delicata. Perché le seppie perdono la loro morbidezza a prescindere, una volta congelate, quindi è importante che il trattamento avvenga il più rapidamente possibile, preservando le carni dal contatto diretto con le superfici fredde. Bene quindi

anche i cannolicchi si prestano ad essere conservati a basse temperature. La conservazione è tanto migliore quanto più rapido è il congelamento


BOLENTINO

incartarle con carta oleata, ma anche la carta forno va bene, separandole tra loro. Lo scongelamento dovrà essere lento e delicato. Manterranno l’assetto in acqua, la livrea sarà accettabile e state sicuri che funzioneranno

Questa è una seppia congelata; quando non c’è altro ci si adatta.. un decongelamento lentissimo non ne ha rovinato più di tanto la livrea

tUtto vIvo Una nassa ben chiusa posta sotto la barca, al sicuro da occhi indiscreti, potrà contenere per giorni e giorni, granchi e paguri ai quali basterà dare qualche pesce da mangiare ogni tanto. Ma potranno sopravvivere bene anche le cozze e i gamberi. Se vogliamo provare a tenere vive seppie e polpi la nassa deve essere robusta e ben chiusa con una maglia sottile che non consenta le incredibili incursioni che i piccoli gronghi riescono a fare ai danni di questi cefalopodi durante la notte. E’ consigliabile, in questi casi, avvalersi di un contenitore rigido come un bidone, opportunamente forato con molti piccolissimi fori e dotato di un’ottima chiusura. Granchi vivi, piccoli pesci e sarde fresche saranno la sussistenza dei nostri ospiti per molti giorni.



SURFCASTING

L’ ESCA FI

C

di Dario Limone osa proporre ai pesci quando scendiamo in spiaggia è il cruccio di ogni surf caster. Mille domande, mille interrogativi ci assalgono ogni qual volta un nostro boccone vola verso l’orizzonte. Ma esiste l’esca filosofale? Esiste quella che davvero fa la differenza? Perché

funzionano bocconi non presenti in quel tratto di mare ed invece un’esca indigena viene ignorata? Domande alle quali forse, potremo solo azzardare di dare delle risposte.. Quando un pesce pascola, e decide di aggredire un boccone vincolato ad un amo e a una lenza, probabilmente il suo istinto in un istante farà una scientifica parametrazione riguardo la sua credibilità, paragonandolo a quelli presenti in natura; così deciderà se è buono da mangiare o meno, anche se spinto dalle necessità di alimentarsi. In questi attimi c’è il confine tra una potenziale preda e una sonora disfatta. Ecco che quindi, tralasciando i momenti di frenesia che non fanno testo, il pescatore evoluto ha l’obbligo di proporre le esche nel migliore dei modi se vuole ambire alla preda da ricordare, bilanciando il terminale in modo tale che l’insidia risulti parte integrante dell’ecosistema in cui ci si confronta. Un


ILOSOFALE ecosistema sempre in movimento, cullato dal respiro del mare.

ESCHE ALIENE I pesci sono esseri progettati per la ricerca del cibo. Attaccano, anche delle esche non tipiche del luogo, probabilmente per gli effluvi attiranti, che emanano, come ad esempio il sangue di alcuni anellidi (americano), oppure per le loro vibrazioni , come il movimento convulso del coreano. Ma è davvero così? Perché quello che però accade lì sotto ci riempie spesso di interrogativi. Capita infatti di

il verme di rimini non è un boccone comune che i pesci trovano ovunque. Eppure funziona benissimo, ed in alcuni spot solo di notte. Sarà la sua iridescenza? Sarà il “liquido” altamente aromatico al suo interno?

avere esche diverse in mare, magari tutte alloctone, e in un preciso momento della pescata, i pesci ne gradiscano una in particolare. Mentre poche ore dopo, la situazione si inverte. Decade così il concetto dell’aroma/sapore, e i dubbi crescono. Soluzioni? Non porsi paletti, ed armare più canne con bocconi assortiti, e soprattutto essere sempre equipaggiati per adeguarsi appena si ha la sensazione che un’esca possa prevalere sull’altra. ESCHE INDIgENE

Preda onnivora per eccellenza l’orata potenzialmente mangia qualunque cosa. In realtà reagisce a stimoli visivi olfattivi che possono mutare anche durante la stessa sessione di pesca


SURFCASTING

Il fasolare è un’esca insuperabile nelle spiagge in cui è presente, ma spesso viene attaccata solo in precise condizioni meteo-ambientali

Quando si conosce bene lo spot invece, l’uso di esche indigene è spesso risolutivo, soprattutto se ciò che proponiamo è relazionato alle condizioni ambientali che favoriscono l’uno o l’altro boccone. Ad esempio, ci sono spiagge, che battute da mareggiate con venti provenienti dai quadranti settentrionali, quindi freddi, regalano grandi prede utilizzando strisce di cefalopodi, ben visibili e sode. Mentre, negli stessi arenili, magari battuti da venti da sud, con correnti più calde, si cattura di più utilizzando crostacei e bivalvi, perché magari il substrato si anima maggiormente per via di una temperatura più mite dell’acqua che lambisce il fondo. Con le esche indigene però, meno generiche, si rischiano clamorose disfatte, ma non è raro imbattersi anche in giornate memorabili per catture impensabili.. . Non resta altro che ragionare su esperienze passate, e iniziare a pensare ai pesci come animali onnivori, ma altamente selettivi, in base a quel preciso momento di pesca.



NAUTICA

La batteria

S

Di umberto Simonelli embra quasi una cosa scontata.. infiliamo la chiave nel cruscotto, una lieve rotazione in senso orario ed il motore si avvia. L’accumulatore di energia elettrica, che noi chiamiamo semplicemente batteria, ha fatto il suo dovere.. .

Ma quando ciò non accade e al movimento della chiave di avviamento segue un debole singhiozzo del motore che compie qualche giro con molta fatica, c’è da mettersi le mani nei capelli. L’uscita è sicuramente andata a farsi benedire. Ma se questo accade dopo una sessione di pesca, quando è ora di tornare a casa, mettersi le mani nei capelli non basta. Come funziona Per capire bene quanto andremo a dettagliare di seguito è importante sapere, almeno a grandi linee, come funziona un accumulatore. Lo chiamiamo impropriamente batteria, perché in effetti è composto da una “batteria” di elementi, ognuno dei quali accumula e trattiene energia elettrica. In particolare, in quelli a 12 volt ce ne sono 6 ed in quelli a 24 ce ne sono 12. Ognuno eroga 2 volt ed i conti sono presto fatti. Possiamo paragonare la nostra batteria-avviamento, ovvero il tipo specifico da messa


ecco come è costruito un accumulatore. una serie di “elementi” cablati in serie tra loro

in moto, come un esplosivo peso massimo capace di menare pugni potentissimi, in grado quindi di erogare tutta insieme una enorme energia, che fa girare il motorino di avviamento superando la forza dei cilindri ed alimentando tutto l’apparato elettrico di accensione: centralina, bobine e pompa di iniezione se parliamo di 4 tempi. Per fare un altro paragone semplice (e non me ne vogliano i tecnici), l’accumulatore è come la molla di un orologio, quando viene caricata mantiene dentro di se l’energia che gli è stata data, pronta per cederla quando ce n’è necessità. Il metodo di stoccaggio dell’energia è elettrochimico, ed un po’ complesso per i non addetti: ci basti pensare che se si fornisce elettricità all’accumulatore avviene un processo di trasformazione chimica, che rimane tale fin che non si attinge energia; allora il processo chimico

si

“restituendo”

inverte l’elettricità

immagazzinata. un elemento traSCurato Normalmente, la nostra batteria è collocata in posti a volte nascosti, non sempre di ispezione semplice ed immediata, Gli accumulatori in genere sono riposti in gavoni poco areati, dove l’umidità può essere elvata; è bene quindi effettuare cicli di manutenzione accurati


magari anche poco areati, dove anche la semplice umidità, dovuta alle variazioni di temperatura,

NAUTICA

ristagna. Ciò fa sì che, con l’aggiunta del salmastro (che al mare non manca), l’atmosfera che si crea sia davvero poco congeniale ad un accumulatore. L’umidità salina genera una sorta di collegamento tra polo positivo e polo negativo attraverso il quale scorre una debolissima corrente che, nel lungo periodo, porta ad una diminuzione della capacità e anche della vita della batteria. Infatti, è bene, quando si ferma la barca, almeno staccare entrambi i morsetti, se non sbarcarla e portarla in luogo asciutto, e provvedere a pulirla oltre che ad una leggerissima carica. Anche il freddo nuoce e se la temperatura scende sotto zero la “forza”

della

batteria

diminuisce; addirittura, nei

climi

veramente

estremi a temperature bassissime, le batterie possono esplodere se sottoposte a scariche forti. Prevenire.. meGlio Che Curare

un voltmetro che misuri costantemente la tensione può essere un utile strumento per “capire” le nostre batterie

Quindi, visto che alle batterie è affidata la nostra sicurezza, è consigliabile effettuare sempre una manutenzione preventiva che garantisca l’efficienza del sistema. Ciò vuol dire che i morsetti siano ben serrati ed in buono stato, privi di ossido o ruggine e le connessioni in buono stato. Soprattutto, bisogna evitare di lasciare gli accumulatori inusati per lungo tempo, pretendendo poi che tutto funzioni regolarmente. E, in ultima analisi, c’è da rassegnarsi al fatto che le batterie avviamento delle barche hanno una durata ridotta rispetto, ad esempio, a quella di un’auto il cui uso è quotidiano. La vita media infatti, a patto che la qualità del prodotto sia alta e le condizioni di esercizio ideali, può considerarsi elevata quando si superano i tre anni Come CaPire Una volta, quando le batterie avevano i tappi dai quali si aggiungeva la famosa acqua distillata, effettuare un test dello stato era semplice, grazie all’uso del densimetro. Oggi, con le batterie sigillate, rendersi conto da soli dello stato di efficienza della nostra batteria non è difficile, ma non è neanche semplicissimo; infatti, bisognerebbe avere un po’ di dimestichezza con un tester, ovvero un buon tester digitale, con una lettura precisa è lo strumento alla portata di tutti per capire lo stato d’uso delle batterie


quello strumento in grado di misurare anche la tensione. Già misurare la tensione a vuoto, ovvero senza alcun carico connesso, dopo un breve periodo di navigazione e confrontare i valori rilevati dopo aver acceso luci, pompe ed altro per qualche minuto, può essere indicativo; esistono anche degli strumenti installabili, con relativa poca spesa, che possono dare attendibili indicazioni. La tabella riportata qui di seguito già può dare una informazione attendibile con semplici misurazioni della tensione.

ecco dei valori di riferimento molto attendibili

CariCare o non CariCare? Viene spontaneo immaginare che per tenere in perfetto stato la batteria-avviamento basta applicarla ad un caricabatterie, magari di quelli automatici, risolvendo così ogni problema. Per quanto i caricabatterie abbiano raggiunto notevoli gradi di evoluzione, rimane il fatto che gli accumulatori specifici per l’avviamento di motori non sopportino cicli di carica ripetitivi e protratti nel tempo.

Se proprio vogliamo installare un caricabatterie a bordo, è bene acquistare prodotti eccellenti e farne un uso moderatissimo, se usiamo batterie avviamento. Se si imbarcano accumulatori con tecnologia aGm, adatte anche ai servizi, la ricarica costante è tollerata meglio

Possono essere ricaricati, è ovvio, quando effettivamente, per difetti al sistema di ricarica del motore, qualcosa non ha funzionato, ma non possono essere attaccati ad un caricabatteria che, anche se ciclicamente, li sottoponga a carica. Le batterie devono rimanere allenate, quindi cedere energia e venire ricaricate. E adoperarle ed averne cura è la migliore soluzione.


LE INTERVISTE DI GLOBALFISHING

Di Umberto Simonelli

N

ell’immaginario di ogni pescatore, i sogni più reconditi sono le grandi avventure di pesca nei mari lontani, popolati di Marlin, SailFish e altre spettacolari creature. Perché, in fondo, in ognuno di noi c’è un pezzettino del DNA

dell’icona di tutti i pescatori, dell’uomo che incarnò la grande pesca oceanica. E parliamo dell’indimenticabile Hemingway, che tanto ci fa ancora sognare. Un viaggio di pesca per vivere quelle avventure è un sogno che tutti, una volta nella vita, vorrebbero realizzare. Tra i nostri amici c’è chi questo sogno non solo l’ha realizzato, ma è entrato a farne parte, diventando un professionista con il titolo vero di capitano al comando di una di quelle straordinarie barche che vediamo impegnate nelle grandi battute di pesca nei mari tropicali. Parliamo del Cpt. Marco Canu, di natali genovesi, oggi trasferitosi a Capo Verde, a Mindelo, comandante di My Victoria. Lo abbiamo raggiunto, purtroppo solo al telefono, e abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui.

Marco, raccontaci brevemente come si decide di diventare comandante di un charter.

La passione per il mare e, neanche a parlarne, quella enorme per la pesca che ho fin da bambino, sicuramente sono stati il motivo principale. La voglia di stare in mare il più possibile, il non potersi permettere una barca sono state le cause della mia decisione.. E, da quando ho incominciato a lavorare, ho iniziato a viaggiare e pian piano sono arrivato dove sono ora. Diventare comandante è un impegno serio ed è un lavoro che non ci si può inventare, semplicemente perché ci si è comprati una barca e si è approdati in un luogo di pesca! Facciamo il punto sui charter: come si fa a capire quanto si cerca di prenotare un viaggio se ci siamo rivolti ad una organizzazione che offre delle garanzie serie?


Nella pesca la garanzia della cattura non esiste, ma possiamo assicurarci delle qualità del servizio offerto e della garanzia che, se dall’altra parte della lenza ci sarà il pesce della vita, il Capt e il Crew sappiano cosa fare per farcelo prender.. e questo si chiama esperienza e professionalità. Consiglio sempre di decidere prima il target delle nostre aspettative: in due parole quali pesci si voglia pescare e in funzione di questo decidere la location migliore in base al periodo disponibile e al budget prefissato. Grazie al web è facile entrare in contatto direttamente con i capitani/armatori; consiglio caldamente di chiedere sempre un report delle catture delle passate stagioni e cosa sia o non sia compreso nel charter, oltre al tipo d’attrezzatura usata e disponibile a bordo (non è


LE INTERVISTE DI GLOBALFISHING

bello finire su una barca che pesca tutto con le 130lb). E’ vitale avere foto dettagliate della barca, perché non è raro prenotarne una e trovarsene una molto diversa. Anche sapere se sono disponibili convenzioni con hotel in loco può essere un elemento di valutazione dell’organizzazione della struttura. Solo dopo aver visionato attentamente le foto e dopo esservi levati tutti i dubbi si può procedere con la prenotazione che, nella norma, avviene con un deposito che va dal 30 al 50% del costo della barca. Dimenticavo.. è molto importante sia prevista una polizza cancellazioni, che vi rimborsi qualora siate costretti a disdire il viaggio.

Raccontaci brevemente le emozioni che si vivono in un’avventura del genere.. e per voi le emozioni ci sono o è solo routine?

Per chi “va in canna”, descrivere l’emozione che si prova non è facile, vale per tutti i tipi di pesca e per tutti i pesci..Sicuramente, avere dall’altra parte un pesce che può superare tranquillamente i 300kg che salta è emozionante, sebbene credo che ogni uno se la viva a modo suo.. però sono convinto che ogni pesce lasci un’emozione irripetibile e, se è veramente grosso, e tutto il contesto, inteso come barca ed equipaggio, è “all’altezza” lo strike è per tutta la vita. Per noi che stiamo alle manette, essendo questo un lavoro che si fa esclusivamente per passione, avendo la fortuna di avere un “ufficio” come il mare, non c’è routine; ogni giorno là fuori è diverso dal precedente e ogni pesce (soprattutto se parliamo di rostrati) è una nuova avventura, una storia a se.



LE INTERVISTE DI GLOBALFISHING

Quali sono le caratteristiche che identificano un vero capitano?

Come dice chi lo fa da molto più tempo di me, “un buon capitano prima deve essere un ottimo marinaio.” Molti credono che il capitano debba essere soprattutto un buon angler, debba saper navigare, avere feeling col mare, saperlo leggere, capire le correnti e via dicendo; è vero, sono cose fondamentali e si acquisiscono solo passando tante ore in mare. Ma ci sono anche altre competenze, meno romantiche ma decisamente importanti, come il saper riparare un motore, un impianto elettrico, e saper mettere le mani un po’ dappertutto, oltre ad avere una buona carica empatica e doti di prudenza non comuni. Molti non se ne rendono conto ma, quando siamo in mare, abbiamo la responsabilità della vita degli ospiti e, come tu ben sai, in mare tutto può succedere e noi dobbiamo essere preparati.. Quando siamo a pesca su poste lontane, può capitare di essere l’unica barca nel raggio di centinaia di miglia e non c’è da scherzare. Io penso di essere ancora lontano dall’essere un “vero capitano” e forse, se lo diventerò, sarà quando smetterò di navigare, solo allora avrò fatto abbastanza ore di mare.. . In Italia e nel Mediterraneo, sebbene le potenzialità di pesca siano completamente diverse rispetto a quelle oceaniche, secondo te sarebbe possibile creare organizzazioni all’altezza? Cosa manca in Italia in tal senso?

All’Italia non manca proprio niente, né in termini di specie insidiabili né in termini di location. Anzi, al potenziale alieutico si somma un potenziale turistico, culinario e culturale incredibile ed introvabile in altre parti del mondo, che potrebbero incrementare il valore di un viaggio di pesca intorno alla penisola. In alcune località ci sono charter che effettuano uscite di pesca con successo da molti anni; da condizioni di nicchia, oggi, grazie alla diffusione web, queste attività stanno prendendo maggior piede. Sono convinto che, se ben organizzate, sono situazioni che, soprattutto in alcune località, potrebbero essere una risorsa da non sottovalutare. Logicamente, sarebbero necessarie norme specifiche che in Italia sono un po’ vaghe e si dovrebbe fare molta chiarezza anche per quanto riguarda la questione del prelievo.. oltre che per le figure professionali


Lo spazio è tiranno: ora è arrivato il momento di far sognare i nostri lettori e di raccontarci cosa si pesca sulla tua barca e qual è il pesce più grande che tu abbia mai preso..

Sao Vicente, dove operiamo con la nostra organizzazione, è considerato lo spot migliore a livello mondiale per il Blu Marlin; quindi, da fine marzo a tutto luglio, il 95% dei pesci pescati sono Blue Marlin.. da agosto a dicembre le nostre prede sono le ricciole, i tonni, ed i wahoo. Come comandante, il pesce più grosso che abbia mai portato alla pesa è un Blue Marlin di 948 lb. Marco, ti salutiamo a nome di tutti i lettori e speriamo di essere tuoi ospiti a bordo molto presto!

Posto a bordo c’è! Un saluto a tutti, vi aspetto!

Foto di Marco Canu


FANTASTIORIE DI PESCA

L’URLO C

Di Domenico Craveli

ome nel quadro di Munch, come una storia che si ripete, l’urlo strozzato in gola al pescatore inerme; la canna che si inarca, che vola dal picchetto, e poi tutto finisce nel tonfo sordo delle onde che si portano via un sogno. Ma il destino è strano, e nel modo più inaspettato, arriva l’epilogo dell’epilogo. Mattina come tante altre, in quel lato del Capo che guarda ad ovest, dove Lui fuma verso nord e pare dare monito e cornice in quel mare di Calabria dato in dono dagli Dei. Un pezzetto di verme su un amo vola verso la montagna di fuoco, pare raggiungerla, poi cade in acqua, alla mercé dei piccoli pinnuti in una calda giornata di settembre. Silenzio! Poi.. una due tocche secche sulla vetta.. e il pescatore infastidito pensa a quell’esile pesce che ha invalidato esca e lancio. Lo pensa quasi con disprezzo, lo lascia lì, sperando che si liberi da solo. Ma poi, Nettuno inizia a scrivere la sua storia, mentre il pittore dipinge il volto, gli occhi spalancati e poi la bocca aperta.. l’urlo insomma. Quell’urlo strozzato in gola, la canna piegata in due, la frizione che sibila, il picchetto piegato. Pescatore immobile, come parte di quell’inquietante quadro, finché


in pochi secondi il sogno va via. Sogno impossibile, perché quello, non era e non poteva essere il suo pesce. Un pesce che è volato, ma i pesci non volano.. o forse sì. Da lì a qualche ora la storia gira di bocca in bocca, anzi, di post in post, e in faccia-libro fa subito il giro del piccolo mondo che ognuno di noi si costruisce sui mi piace. Ma se il pittore aveva finito il suo quadro, Nettuno non aveva ancora finito la sua storia. E fu così, che in quello stesso mare, in quello stesso punto, poche leghe più a fondo, poche ore dopo, un altro pescatore viveva la sua avventura. L’urlo questa volta non rimase strozzato, ed una splendida ricciola finì a bordo. Una ricciola bella, maestosa, ma che portava con sé qualcosa di strano. Un esile amo, un esile terminale, facevano capolino della sue grandi fauci, insieme ad un incauto pesciolino che da predatore era diventato preda. Faccia libro mise insieme le due storie dei due pescatori in pochi istanti, due urli opposti, una sola regia.. forse una sola storia, e quindi.. un solo urlo.. .

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Copertina parlante Angler : Fabio Italiano Preda : Cernia Alessandrina Periodo di pesca : Febbraio Ora della cattura : 09:00 LocalitĂ : Briatico (VV) Tecnica: Traina con il vivo Esca : Calamaro Terminale: FC Momoy 0.52 Fondale : Misto

FOTO: Nikon D70 Dimensione immagine: 3000 x 4000 Addizionale ottico: Nessuno Lunghezza Focale: 8mm Modo di Esposizione: Auto Modo di misurazione: Matrix Esposizione :1/125 sec - F/2.8 Comp. Esposizione: 0 EV



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