IN QUESTO NUMERO..
5 Editoriale
di U. Simonelli
GlobalFishing magazine Anno VIII Numero 8 Direttore Editoriale: Umberto Simonelli e-mail: u.simonelli@globalfishing.it Vice direttore: Domenico Craveli e-mail: d.craveli@globalfishing.it Direzione e Redazione Via dei Giuochi Istmici 28 - 00194 Roma Tel.+39 373 790 6375 – Fax +39 0636302279 e-mail: info@globalfishing.it Hanno collaborato a questo numero: Domenico Craveli, Umberto Simonelli, Michele Prezioso, Dario Limone, Aldo Benucci, Simone Sposito, Marco Canu. Testi, foto e video degli autori Progetto grafico: Claudia Glisbergh Video impaginazione: Sara Beato GlobalFishing magazine è una pubblicazione on–line di UDP Production s.r.l. Reg. Tribunale di Roma n° 288/2010 UDP Production srl Via dei Giuochi Istmici 28 00184 Roma Tel.+39 373 790 6375 – Fax +39 0636302279 www.globalfishing.it
6 Global@mail
La posta dei lettori
18 TRAINA: Non solo esche di U. Simonelli
Profondo... nella 23 VERTICAL: stagione di mezzo
di D. Craveli
27
SURFCASTING: Finalmente surf
31
TRAINA: Calamari vs Seppie
38
TECNICA: Kayak Fishing
41
PESCA DA TERRA: Settori eterogenei
45
di D. Limone e D. Craveli
di M. Prezioso
di S. Sposito
di D. Limone e D. Craveli
TRAINA: Migrazioni Verticali di D. Craveli
49 ARGOMENTI: Sulle ali di un sogno di F. Salvucci
info@globalfishing.it
53
Stampa: ETESI srl Distribuzione : web
58
FISH’ N COOK: Spaghetti al Lanzardo fresco di L. Curtarelli VIAGGI
di M. Canu
M
i piace considerare l’editoriale come una chiacchierata tra amici. Un modo per commentare e condividere un argomento od un accadimento che ha attirato la mia attenzione e che ritengo sia interessante esaminare e approfondire. Traggo lo spunto, questo mese, dalle vicende di un gruppo, nato su Facebook, nell’ambito di quelli relativi alla pesca ricreativa in mare, con lo scopo di “denunciare” tutto ciò che non và…. o, per essere più precisi, tutti gli abusi. Tanto quelli della pesca professionale (non proprio una novità), quanto quelli commessi proprio dai pescatori, “sportivo-ricreativi”. Dire che il gruppo, abbia riscosso un successo straordinario è a dir poco riduttivo e i numeri degli iscritti ha subito raggiunto cifre a tre zeri, segno di un consenso ampio e diffuso. Così come sono fioccati immediatamente post di denuncia di ogni genere e tipo. Uno dei temi principali, oltre alle solite reti calate ovunque dai pescatori di tramaglio, ai pesci sotto misura sui banchi delle pescherie, è stata ovviamente la denuncia delle pescate, discutibili, di piccoli pelagici, mostrate qua e là dai vari autori, fieri delle loro capacità e prodezze alieutiche. La bagarre che ne è scaturita, un po’ alla tutti contro tutti è stata così importante e così rumorosa da indurre gli amministratori del gruppo a rivedere regole, gestione e nome stesso del gruppo in un più azzeccato “Uniamoci per difendere il mare”. Mossa non solo condivisibile ma soprattutto motivata dal buon senso e dalla giusta sensibilità. Al di là del fatto specifico della vicenda, della mia incondizionata approvazione per aver creato un gruppo di sensibilizzazione, è emerso, da una analisi più approfondita, un quadro della categoria pescatori ricreativi e sportivi, molto inquietante. Diciamo che di base la conoscenza delle norme specifiche, che regolano la pesca dilettantistica, non solo è scarsa o addirittura nulla, ma il più delle volte è fraintesa e addirittura interpretata, secondo situazioni e punti di vista, con riletture a dir poco grottesche. Per alcuni la moderazione, la cultura del rilascio, l’etica che vorrebbe atteggiamenti che vadano anche oltre le regole, sono concetti sconosciuti e spesso derisi. Ho letto discussioni in cui si difendeva, contro ogni buon senso, la posizione di una pescata costituita da un quantitativo enorme di piccoli pelagici, solo perché oltre la misura minima di legge che è di 6 o 7 cm; pesci che a stento raggiungevano la così detta “porzione”. In queste situazioni, molto più diffuse di quanto si pensi, si evidenzia un fatto grave; che non è solo la mancanza di emancipazione ma l’estrinsecazione di una sotto cultura di difficile eradicazione. Che porta in sè anche lo scarso o nullo rispetto verso i pesci, che sono considerati da tutti, animali di serie B e verso i quali non corra l’obbligo di dare il rispetto dovuto. Sicuramente ci sono degli errori di base. Le norme sulla pesca non sono chiare, non sono accessibili facilmente, non sono conosciute da tutti e sono facilmente disattese. Segno inequivocabile che il sistema non funziona e se vogliamo attualizzarci e fare le cose come è opportuno ed urgente fare, bisogna cambiare le regole. In mare, visto il fatto che i controlli sono rarefatti e a volte discutibili, tutti si sentono autorizzati a far tutto. E se si è convinti che se si spende molto per il carburante, sia lecito rifarsi con il pescato, ignorando i limiti perché “si è andati fin la giù” vuol dire che non ci siamo. Potrebbe voler dire anche che le regole andrebbero cambiate, ma vuol dire anche che fin che ci sono vanno rispettate e che bisogna adoprarsi per attualizzarle. Perché e voglio lanciare una provocazione, quando si compra una canna da pesca, si dovrebbe essere obbligati ad impararle queste regole…. In una delle tante discussioni, del gruppo di cui sopra, ho tentato io stesso di affrontare l’argomento dell’immagine che la nostra categoria da di sè presentandosi con trionfanti foto di carnieri esagerati. In un momento in cui la nostra pesca è tutt’altro che ben vista nelle sedi governative, proprio perché la categoria dei professionisti, in difficoltà per la diminuzione del pescato e dei fatturati, vede anche nella pesca dilettantistica una minaccia che sottrae loro risorse. Sebbene il nostro pescato rappresenti una parte infinitesimale del prelievo professionale se continueremo così, contribuiremo ad autorizzare che ci osserva, ed è ben rappresentato in sede politica, a fare di tutta un’erba un fascio e a chiedere vincoli ancora maggiori alla nostra attività. Mi domando e mi piacerebbe avere una risposta, di quanto sia difficile capire tutto ciò.
GLOBAL@MAIL Flap & antivegetativa Possiedo uno scafo fuoribordo al quale ho applicato di recente una coppia di flap. Quando ho fatto la carena, il cantiere ha eseguito anche una speciale preparazione per applicare l’antivegetativa sui flap, cosa che ha fatto lievitare non poco il costo dell’operazione. Con mia somma meraviglia, dopo pochissimo (qualche mese) le piastre dei flap si sono riempite di una floridissima vegetazione e di denti di cane sulla parte inferiore. Ho fatto le mie rimostranze a chi aveva eseguito i lavori, ma mi sono sentito rispondere che purtroppo l’antivegetativa sui flap funziona poco. E’ vero e come si può risolvere il problema? Ugo Santini
Purtroppo ti devo dare una delusione, perché in effetti quanto ti è stato detto è in parte vero. Le piastre dei flap, specialmente in uno scafo come il tuo, sono prossime alla superficie e quindi la luce e la temperatura dell’acqua, soprattutto nel periodo estivo, fanno proliferare la formazione delle alghe. La formazione di denti di cane sulla parte inferiore, invece, è dovuta al fatto che il forte attrito che si genera in navigazione con l’acqua, tende a portare letteralmente via l’antivegetativa in poco tempo. Quindi la soluzione migliore è quella di porre la massima cura nell’applicare la vernice, rispettando con scrupolo la procedura di posa, rimuovendo perfettamente quella vecchia e usando un ottimo primer specifico. Per le parti metalliche devi usare tassativamente prodotti dedicati, come quelli per i piedi poppieri e per le eliche, studiati appositamente per le superfici metalliche sottoposte al forte attrito dell’acqua. Il consiglio che ti posso dare in aggiunta è quello di tenere pulite le parti immerse con interventi manuali cadenzati. Meno bio-fouling attecchisce e meno ne attecchirà. Umberto Simonelli
GLOBAL@MAIL uno due motori Sono in procinto di acquistare una imbarcazione, di circa 25 piedi, che vorrei attrezzare per la pesca e per le vacanze con la famiglia. Il concessionario che ho consultato mi ha proposto due soluzioni rispetto alla motorizzazione: mono o bimotore. A parte la differenza di costi, che per me non è particolarmente rilevante vorrei un consiglio tanto per ciò che concerne l’uso in pesca che per la soluzione tecnica più conveniente e vantaggiosa per prestazione e consumi. Grazie Marco Caro Marco, La tua domanda va splittata in due punti distinti tra loro. Parliamo prima della motorizzazione. Certamente per uno scafo come il tuo una coppia di motori ne magnifica le prestazioni, in termini di assetto che sarà più stabile e in termini di affidabilità, perché due motori sono una soluzione più sicura. Per ciò che concerne i costi di esercizio la doppia coppia di propulsori, a parità di velocità e carico, consumerà di più, se non altro per la presenza di un doppio attrito in acqua rappresentato dai due piedi. Anche la manutenzione sarà più costosa perché i costi fissi raddoppiano e, altro aspetto negativo, l’autonomia diminuisce.
Personalmente
però
opterei comunque per due propulsori soprattutto se l’aspetto economico non è vincolante. Ma la scelta ovviamente deve essere la tua. Trattandosi di uno scafo con carena molto pronunciata e piuttosto pesante una coppia di 175 cv sarebbe indicata. Una soluzione mono ti obbligherebbe ad usare un 300 o meglio un 350. Parlando di pesca, se la tua tecnica è la traina con il vivo, l’uso di un motore di grossa cilindrata non è indicato, anche se usando uno solo della coppia, magari equipaggiato di trolling elettronico, si potrebbero ottenere le velocità estremamente basse necessarie. Però a fronte delle numerose ore di moto al minimo (sia che si traini con l’artificiale che, a maggior ragione, con il vivo) si corrono dei rischi. Paradossalmente, andando per molte ore al minimo, il motore funzione troppo freddo, viene quindi arricchita la miscela e la benzina non combusta può succedere vada a finire nella coppa dell’olio diluendo quest’ultimo. Quindi dovrai valutare inevitabilmente anche l’installazione di un ausiliario. E a questo punto le scelte dovranno essere fatte anche in funzione dello spazio utile sullo specchio di poppa. U. Simonelli
GLOBAL@MAIL senza essere disturbati Ciao Michele, Lleggo con molto interesse i tuoi articoli su GlobalFishing fin dai primi numeri e ti volevo ringraziare dei preziosi consigli che ci dai. Ma volevo chiedertene uno tutto per me. Amo il bolentino, tecnica che mi rilassa moltissimo e che mi permette, sebbene non sempre, di mettere in padella qualche bel pesce. Mi capita spesso però, specie in questo periodo dell’anno, che la presenza di pesci di piccola taglia (io li chiamo “i piranha“) aggrediscano le mie esche prima di quelli più grandi, rendendole inutili. Pesco soprattutto con anellidi (coreano), tranci di sarda e tranci di calamaro e, più raramente, con i cappellotti. Cosa e come posso fare per limitare i danni? Adriano
Ciao Adriano, in effetti i piccoli pesci, i piranha come li chiami tu, sono spesso un problema per chi pesca a bolentino con esche di piccole dimensioni, facili da aggredire. Oltretutto, questi pesci vi si avventano in branco riducendole in breve a mal partito. Purtroppo non c’è molto da fare; migliori risultati li potrai ottenere scartando gli anellidi e orientandoti sui bocconi più sodi e consistenti. In alcuni casi potrai avvalerti di qualche giro di filo elastico o addirittura, potrai innescare bivalvi come cozze e cannolicchi, con tutto il guscio. Si, hai capito bene, questa soluzione è validissima per saraghi e orate: io le chiamo esche corazzate e sono un espediente assai efficace. Presto tratteremo questa particolare tecnica in modo molto approfondito. Ah, dimenticavo….prova
anche
ad
aumentare le dimensioni degli inneschi: esca grande, pesce grande! Michele Prezioso
GLOBAL@MAIL ORATE E GRANCHI Salve, sono un vostro appassionato lettore. Avrei una domanda da porvi. Quando vado a pesca da una scogliera innesco sempre il granchio con due piccoli ami fatti passare per le cavità rimaste dopo aver levato le zampette posteriori. Gli lascio le chele invece, per dar modo al granchio di difendersi e indurre l’orata ad attaccare da dietro dove ci sono gli ami. Spesso mi trovo il granchio morto e ben ripulito senza avvertire una tocca. Paradossalmente con il coreano rosso le abboccate sono più frequenti e decise. Il terminale che adopero è lungo non meno di 2 mt con montatura scorrevole, equipaggiato con piombo dai 15 ai 30 gr. Potete darmi qualche consiglio? Dalla frequenza delle catture mi sembra che, per le orate, sia meglio la bassa marea che non l’alta; direi proprio subito dopo il picco di bassa. Voi che ne pensate? Grazie in anticipo Giuseppe
Ciao Giuseppe, Diciamo che il granchio è in assoluto l’esca più selettiva e mirata per l’orata, specie per gli esemplari più grandi. Le orate più piccole sono invece maggiormente attratte dalla “vermaglia” varia. Il coreano rosso, l’ho provato anche io ultimamente, ed è un’esca eccellente, ma il granchio rimane il granchio. Quando lo trovi sull’amo, è perché magari è morto, e le pulci di mare o i granchi stessi, lo disintegrano in poco tempo; ma ripeto, rimane il boccone per eccellenza, sia se si tratta di quello nero di scoglio, che di quello bianco di sabbia. Io le chele le tolgo, e assicuro gli ami con del filo elastico, ma ti ripeto, cambia poco. Per la marea, le mie sensazioni sono opposte e secondo la mia esperienza paga molto il culmine dell’alta.
Domenico Craveli
GLOBAL@MAIL Mormore nella risacca Amici di Globalfishing, volevo chiedere al vs Dario Limone, quale è il miglior modo per insidiare le mormore, quando queste stazionano nel sotto-riva. E’ una situazione diffusa nel tirreno meridionale per tutto il periodo autunnale, quando l’acqua si mantiene ancora calda. Lanciando una semplice esca lì a pochi passi, poco succede, e spesso, qualunque tipo di innesco, viene disintegrato in pochi istanti da piccole/piccolissime mormore di pochi centimetri. Eppure la presenza delle grosse è certa… come fare per avere ragione di questi pesci complicati? Matteo
Caro Matteo, la situazione del basso tirreno, impone spesso soluzioni tecniche particolari, dove l’inventiva si coniuga con la capacità di valutare la situazione del momento. Mormore di taglia che scorrazzano nel profondo gradino di risacca sono tutt’altro che semplici da catturare con i metodi “classici”, anche perché la minutaglia fa presto a distruggere le esche. Quindi tralasciamo la pesca da attesa e passiamo ad una azione più dinamica. Muniti di una canna da ledgering, armata con piombo scorrevole e un unico bracciolo lungo un metro sotto, lanceremo lontano ma in modo obliquo, lontano dalla nostra postazione, ma non verso il largo. A questo punto, dopo aver atteso qualche minuto al massimo, inizieremo a fare la classica “trainetta”, fermandoci ogni 4/5 metri per circa 20/30 secondi. Le grosse mormore sono molto sensibili a questo tipo di “azione” e molto frequentemente, così facendo si riesce parzialmente ad eludere l’attività dei piccoli pesci, anche perché avremo immediatamente la percezione di quello che sta succedendo. Come esca meglio il coreano dell’arenicola, oppure l’americano, maggiormente resistente agli attacchi indesiderati. Dario Limone
GLOBAL@MAIL Il Gambero Sono appassionatissimo di surf casting ed anche alle prime armi e sono pieno di mille curiosità Una fra tutte è quella sull’uso del gambero nella pesca dalla spiaggia. In Sardegna, per esempio, so che lo usano tantissimo, mentre nel tirreno non ne ho quasi mai sentito parlare. Il vs Dario Limone, ne parlò alla fiera di Roma durante uno stage, ma arrivai tardi e mi persi parte dell’intervento. Gradirei avere un suo contributo per dare risposta alla mia domanda. Grazie Domenico
Ciao Domenico, il gambero è un’ottima esca. Molti lo usano ma badano bene a non dirlo, perché i pescatori tutti, o quasi, sono gelosi dei loro pseudo segreti. Con mare mosso è graditissimo a saraghi, orate e spigole. Lo si innesca intero, trapassato con l’ago, privato magari della testa ed assicurato con del filo elastico, ma senza esagerare. Va bene fresco, ma nella schiuma abbiamo usato di tutto, anche quelli argentini, di grandi dimensioni, addirittura congelati. Naturalmente il prodotto di pescheria, non trattato, non ha paragoni in termini di risultati. Dario Limone
GLOBAL@MAIL avvolgiamolo bene Sono un pescatore alle prime armi. Ho sedici anni e solo da poco mi sono appassionato alla traina. Ho ricevuto in regalo da uno zio dei vecchi mulinelli, un Tyrnos 20 ed uno Shimano a bobina fissa, taglia 8000. Devo mettere del nuovo filo e pensavo di caricarli con dello 0,30. Amici più esperti mi dicevano che per imbobinare i mulinelli c’è una tecnica precisa, sia per i rotanti che per i fissi, per evitare che il filo fuoriesca viziato e facendo delle spire pericolose. E’ vero? E come si deve fare? Ciro Imbobinare i mulinelli è facile, ma come giustamente ti suggeriscono i tuoi amici devono essere rispettate alcune semplici accortezze. La bobina di filo andrà svolta sempre facendola ruotare intorno al suo asse e mai sbobinando il filo di lato, perché è fondamentale, soprattutto nel nylon, che non memorizzi torsioni. Avremo bisogno dell’aiuto di un amico che terrà in mano il rocchetto per tutta l’operazione mentre noi agiremo sul mulinello. Quindi basterà procurarsi un giravite con punta lunga, o una barra di metallo e infilarci la bobina facendo si che il filo esca dal retro, cioè dal lato di chi tiene in mano la bobina. In questo modo sarà possibile controllare bene il lavoro e effettuare la giusta frenatura del rocchetto per un avvolgimento più serrato. Per ciò che concerne il rotante, monteremo il mulinello da imbobinare, sul pedone di
una
canna
e
incominceremo
l’avvolgimento tenendo il filo con l’altra mano, imprimendo sempre la stessa pressione dal primo all’ ultimo giro, accostando in maniera ordinata e contigua le spire su tutta la capacità di bobina, in modo da creare una base compatta per lo strato di filo successivo. Questo è importante per evitare che durante un recupero sotto sforzo o la fuga di un pesce, qualche spira si serri su quelle precedenti rischiando la rottura del filo stesso. Per quel che riguarda il fisso basta eseguire correttamente la stessa operazione salvo che la distribuzione del filo sarà effettuata dal mulinello in modo automatico. Michele Prezioso
GLOBAL@MAIL dove la metto? Pratico la traina col vivo da poco tempo e, malgrado tutto, devo dire che i pesci non mancano e anche la mia esperienza cresce con il passare del tempo. Nonostante ciò, qualche dubbio ancora ce l’ho e mi piacerebbe conoscere il vostro parere su uno in particolare. Il mio quesito è questo: durante la traina è corretto pescare tenendo la canna in mano o nel porta canna? Pesco spesso in solitario e guidare la barca e stare con la canna in mano è faticoso, ma mettendola nel porta canne ho paura di perdere le toccate più diffidenti. Grazie Carlo
Caro Carlo, con il tuo quesito mi hai riportato indietro alle prime esperienze di traina, quando la passione e l’ansia di perdere i pesci mi facevano stare sempre con la canna in mano tutto il giorno. Effettivamente, soprattutto se si pesca con il piombo guardiano e alla ricerca dei dentici, la canna in mano consente di sondare il fondo in modo più preciso e puntuale, tenendo la ”situazione” sempre sotto controllo. Ma è altrettanto vero che è possibile svolgere una corretta e fruttuosa azione di pesca anche con la canna nel porta canna, a patto che sia a portata di mano con l’occhio ”sempre” sul cimino, per percepire ogni piccolo segnale. Se, poi, l’andamento del fondo è regolare, a maggior ragione si potrà riporre la canna nel porta canna, così come sarà la scelta più logica quando sarai in cerca di ricciole con l’esca a mezz’acqua. Comunque, a prescindere da come tu tenga la canna è regola generale che se avrai l’esca sul fondo dovrai tenere la frizione serrata, per non concedere al pesce fughe che gli permettano di rompere la lenza tra gli scogli; mentre, se la terrai in quota, una frizione “più morbida” farà sì che anche la più sospettosa delle ricciole possa tranquillamente ingoiare l’esca senza avvertire trazione, cosa invece che potrebbe indurla a risputare l’esca. Umberto Simonelli
GLOBAL@MAIL CIRCLE HOOK Amici di Globalfishing, seguendovi anche sui social, ho letto più volte dei commenti di Simonelli e di Craveli, sull’uso del circle, ed in particolare di come va gestita la mangiata e il relativo settaggio della frizione. Vi riscrivo direttamente, perché sui social, i post spesso vengono inquinati con polemiche che hanno poco a che fare con la discussione principale, quindi volevo un vs commento diciamo… istituzionale. Saluti, Tommaso
Sul circle, specie in questi ultimi periodi, si stanno spendendo fiumi di parole. Molto spesso si parla per sentito dire, più che per esperienza diretta. Il circle rimane un amo che risolve alcune specifiche situazioni di traina con il vivo, specie quando si pescano le ricciole con grossi pesci vivi. Una delle cose più importanti quando si pesca con il circle, è quella di agevolare la mangiata, ossia lasciare il tempo al pesce di ingoiare la preda, senza fare manovre scomposte tipo ferrate fuori tempo. La resistenza che incontrerà sulla partenza, permetterà una corretta penetrazione. Ecco perché con la frizione bisogna mantenere carichi intorno ai 3, 3.5kg; lasciare tutto aperto potrebbe farci perdere la preda. Pochi concetti, ma essenziali. Domenico Craveli
TRAINA
NON SOLO ESCHE
Q
Di Umberto Simonelli
uando si è in traina, con esche vive o comunque naturali, il successo della pescata viene normalmente attribuito soprattutto allo spot, alla presenza dei pesci e, ovviamente, al tipo di esca. Spesso, però, si trascura un fatto importantissimo che è la sua presentazione, cioè quel complesso
di aspetti che comprendono la velocità, il nuoto e l’assetto: in pratica tutto ciò che contribuisce a rendere la sua andatura quanto più simile all’atteggiamento che quell’animale avrebbe in acqua in condizioni naturali. E in tutto ciò gioca un ruolo determinante la guida della barca. Si è sempre detto che nella
traina la barca è lo strumento più importante. E se questa affermazione potrebbe sembrare banale, in realtà nasconde una verità su cui è bene riflettere. Pescare con il vivo non è semplicemente accendere il motore e girovagare tra gli scogli con un’esca al guinzaglio, seguendo le indicazioni del gps e dello scandaglio nell’attesa di incontrare qualche pesce che si decida ad abboccare. Una succulenta esca viva o freschissima spesso non basta a scatenare l’attività predatoria del pesce, e allora è necessario dare a quell’inganno una bella marcia in più. E’ una cosa più facile a farsi che a dirsi, perché riportare in poco spazio e per iscritto concetti frutto di un’analisi attenta di alcuni eventi capitati più volte può diventare molto riduttivo.
alla ricerca dei pesci Le rotte che si tracciano alla ricerca dei pesci sono quelle che intersecano i tratti più interessanti del fondo dove si presume che i predatori siano presenti, intenti nella loro attività di caccia: salti di roccia piuttosto che scogli isolati o fondali ricchi di interesse per i noti predoni. E, se si pesca in un contesto in cui la presenza di pesci è elevata e per di più poco smaliziati, la cattura è a portata di mano. In più, quando questi si imbrancano, la competizione alimentare tra i vari esemplari fa sì che questi perdano ogni diffidenza pur di appropriarsi di quel che passa, anche se si tratta di un’esca malconcia e poco credibile. Quando la presenza dei pesci, invece, è sporadica e quei pochi esemplari sono sottoposti a una pressione di pesca elevata o semplicemente sono in stasi, ritrovarsi un pesce in canna non è poi così scontato. Le rotte che si tracciano alla ricerca dei pesci sono quelle che intersecano i tratti più interessanti del fondo dove si presume che i predatori siano presenti, intenti nella loro attività di caccia: salti di roccia piuttosto che scogli isolati o fondali ricchi di interesse per i noti predoni. E, se si pesca in un contesto in cui la presenza di pesci è elevata e per di più poco smaliziati, la cattura è a portata di mano. In più, quando questi si imbrancano, la competizione alimentare tra i vari esemplari fa sì che questi perdano ogni diffidenza pur di appropriarsi di quel che passa, anche se si tratta di un’esca malconcia e poco credibile. Quando la presenza dei pesci, invece, è sporadica e quei pochi esemplari sono sottoposti a una pressione di pesca elevata o semplicemente sono in stasi, ritrovarsi un pesce in canna non è poi così scontato.
Quando la presenza di pesci è importante e si scatena l’attività predatoria non è difficile trovarsi un pesce in canna. E’ quando le condizioni sono meno propizie che bisogna mettere in campo tutte le strategie possibili.
TRAINA
La pesca vista da sotto Sarà capitato di ritrovarsi con uno strike inaspettato, dopo un leggero incaglio sul fondo o dopo aver virato. Queste evenienze molti le interpretano come una strana abitudine dei pesci: è di fatto, una falsa intuizione perché i pesci quando aggrediscono un’esca lo fanno in quanto in quel preciso momento il suo “atteggiamento” ne scatena l’indole predatoria, così come accade che lecce amia e ricciole seguano le esche per molti metri a stretto contatto, a volte smusandole, analizzandole a lungo in modo diffidente. Poi basta un’onda di poppa che accelera l’andamento della barca o un breve recupero ed è strike. Altre volte capita che pescando in drifting o a bolentino, allamata una discreta preda, in fase di recupero veloce ci ritroviamo in canna una ricciola indemoniata che aveva deciso di banchettare a spese del malcapitato animale. Tutto ciò, se debitamente analizzato, può dare indicazioni decisive nell’azione di pesca.
Ecco un branco di ricciole che tiene “sotto assedio” uno sgombro …
Causa ed effetto Vediamo cosa accade a un’esca quando naviga: finché la velocità di traina è costante, la quota a cui nuota non varia ma, quando avviene qualche brusca variazione, l’esca tende ad alzarsi o ad affondare secondo la resistenza che l’acqua genera; analogamente, se si vira, l’esca tenderà a scendere, fino ad adagiarsi sul fondo, per poi riprendere velocità con una rapida variazione di quota, come se scappasse via. La stessa cosa accade con un incaglio di breve durata: l’esca sai ferma e poi riparte improvvisamente. Tutto ciò scatena l’aggressività dei pesci che, interpretando la rapida accelerazione come un tentativo di fuga, si lanciano in un attacco senza appello. Tra i fenomeni scatenanti c’è anche la velocità di traina, che spesso si rivela l’asso nella manica, perché il rapido sfilare dell’esca davanti al muso del pesce senza dargli tempo di capire, lo convince a un attacco senza troppe remore.
I dentici sono i pesci più sensibili alle “provocazioni” delle esche con scatti e accelerazioni.
Dalle parole ai fatti Come trasformare, allora, queste osservazioni in precise strategie di pesca? Molto più semplice di quanto si pensi. La manetta dell’acceleratore sarà la nostra migliore alleata perché, insieme alla perfetta conoscenza dei fondali che batteremo, ci permetterà di far navigare l’esca con una vitalità del tutto particolare, con variazioni di quota e stop & go che risulteranno irresistibili, soprattutto per le prede di fondo. Affrontare una scaduta preceduta da un fondo uniforme sarà possibile in un nuovo modo: eseguita la passata veloce sul fondale omogeneo e tenendo conto di quanta lenza abbiamo in acqua, rallentando la velocità, l’esca, trascinata dal guardiano, scorrerà tutto il profilo del crinale fino al fondo, transitando proprio nei punti in cui i predatori si muovono o sostano. Al contrario, quando saremo in prossimità di una rapida risalita, basterà accelerare per salire di quota e lambire le pareti, magari aiutati da un rapido giro di manovella.
TRAINA Non sempre basta solo un’esca particolarmente appetibile ad avere ragione dei predatori, ma è il metodo con cui la si presenta che fa la differenza
Ed anche su fondali omogenei o con lenze a mezz’acqua, un andamento con rapide accelerate e brevi rallentamenti può dare i loro frutti. Sulle virate, il naturale affondamento dell’esca può essere controllato invece che lasciato al caso, e sfruttato a proprio vantaggio. In concreto, la modulazione della velocità provoca due situazioni importanti: la variazione di quota e l’effetto fuga, oltre a quello di seguire il profilo del fondo in un modo molto più naturale di quanto sia possibile fare solo controllando il piombo guardiano.
VERTICAL
PROFONDO… NELLA STAGIONE DI MEZZO
L
Di Domenico Craveli
a differenza tra calamaro e seppia, è visibile già in vasca. Tenere vivi i calamari quando l’acqua del
mare è ancora calda è un’impresa quasi impossibile; i calamari sono molto delicati e nei mesi caldi vivono perennemente sotto il termoclino, quindi a temperature anche inferiori ai 20C°, soffrono maledettamente il cambio di temperatura e nella maggior parte dei casi, muoiono in vasca. La seppia invece, molto più rustica, vive anche in un palmo d’acqua senza grandi problemi e vende cara la sua pelle.
ALLA RICERCA DELLO SPOT PERDUTO
Una porzione di mare a carattere misto tra i 100 e i 110 metri rappresenta il nostro hot spot
Analizzando approfonditamente una carta nautica in dettaglio (mi raccomando…cartacea) della zona interessata in scala 1:250.000 o 1:100.000, cercheremo tutte quelle porzioni di mare che presentino profondità oscillanti tra i 100 e i 200 metri, dove le curve di livello siano molto ravvicinate, segno inequivocabile di un brusco salto batimetrico. Considerando che anche le vaste aree fangose o sabbiose non sono da scartare, tenteremo comunque di rintracciare quei settori eterogenei che rappresentano un vero catalizzatore di pinnuti. Oltre ovviamente alla roccia e ai relitti, in ogni caso difficilmente vergini se presenti sulle mappe, dovremo tentare anche in tutte quelle estensioni “sporche”, caratterizzate da substrati calcarei, identificati solitamente con i simboli “CN” o “C”, che rispettivamente denominano sulla cartografia i fondali di “conchiglia” o corallini. Solo dopo aver effettuato questa meticolosa analisi, riporteremo le mire su un “GPS Chart plotter” per riuscire a giungere sul posto interessato con buona approssimazione limitando al minimo i possibili margini di errore. Un buon ecoscandaglio, indispensabile nella fase successiva, ci permetterà di effettuare un indagine ancora più approfondita una volta nei pressi del sito prescelto, per determinare dove calare opportunamente le esche. Per una lettura corretta del fondo, la velocità di “esplorazione” sarà di circa 4/5 nodi.
INCOGNITE DELL’IGNOTO
Grossi dentici bazzicano a queste quote e spesso sono pesci molto aggressivi
A questa profondità, che segna quasi l’inizio della zona batipelagica, la luce, seppur di debolissima intensità, riesce ancora ad influenzare la vita degli essere viventi, prima dell’oscuro salto nell’ignoto lungo la scarpata continentale. Molti pesci, amano scorrazzare e nutrirsi proprio in coincidenza di questa zona, dove è ancora possibile trovare alghe e molluschi, che sono tra i primi anelli della catena alimentare. Per un attimo, tralasciando le prede classiche dell’abisso rappresentate da occhioni e grandi cernie di fondale, spesso inarrivabili per molti pescatori a causa delle difficoltà tecniche e “logistiche” che la loro cattura comporta, tenteremo invece di insidiare prede altrettanto impegnative e grintose: tra le principali specie che potranno cadere vittima dei nostri artificiali avremo i san pietro, le gallinelle, i pesci sciabola, prai e pagelloni, ma anche gronghi, sugheri di dimensioni spropositate, e poi… come se ciò non bastasse, in alcune fortunate poste sarà addirittura possibile imbattersi in grossi dentici, cernie bianche, cernie brune, scorfani e qualche grosso nasello in pattugliamento sulle scarpate che sprofondano ancora più giù.
VERTICAL Una gallinella di ottima taglia, preda di gran valore culinario
Naturalmente, individuare le zone buone non sarà semplice, ed un periodo di naturale rodaggio dovrà essere messo in conto incondizionatamente. Sarà importantissimo investire del tempo per sondare ed identificare gli spot più promettenti, cercando contestualmente di acquisire dimestichezza con la tecnica stessa, per non farci trovare impreparati nel momento in cui incontrassimo delle aree con buona attività predatoria e, considerando le quote operative, non sarà una passeggiata gestire strike e combattimento…
IL CUORE DELL’ATTREZZATURE
A queste profondità dovremo per forza di cosa utilizzare canne decisamente potenti, in grado di farci gestire agevolmente inchiku che possono arrivare anche a 160gr, e mulinelli adeguati con grande fluidità e potenza, fattori comuni solo a rotanti di fascia alta (il mulinello fisso è improponibile). Naturalmente gli investimenti economici per l’acquisto saranno abbastanza importanti, ma una scelta oculata iniziale permetterà di equipaggiarsi con prodotti che si riveleranno dei validi compagni di pesca per lungo tempo, garantendo quell’affidabilità necessaria per praticare l’inchiku su medio fondale. In bobina avremo un ottimo trecciato da 20lbs (il 30lbs è troppo grosso e non ha grandi differenze di tenuta). Il leader sarà dello 0,50, lungo circa 6 metri, con un rinforzo di 50cm dello 0.70 se in zona sono massicciamente presenti pesci sciabola che reciderebbero con facilità il nylon di diametro più sottile. Se poi, questi serpentoni sono infestanti, ma ci diverte comunque il prenderli è necessario intervenire pure sugli assist degli artificiali, rinforzandoli con del kevlar più grosso di quello di serie.
RUMORE IDRODINAMICO
Su alte batimetriche, i ritmi trofici, seppur intensi, sono caratterizzati da approcci soft sulle esche, con attacchi quasi rallentati. Questo implica azioni di jerking molto lente, insistendo ripetutamente nel far sbattere l’artificiale sul fondo, rimanendo nelle fasce d’aqua prossime al substrato. Se lo scarroccio è eccessivo, dovremo per forza di cosa aiutarci con i motori per far rimanere l’esca il più possibile sulla verticale; se non ci si riesce, conviene cambiare area ed attendere le condizioni ideali. Profondi… si pesca solo quando è possibile… forzare la mano, significa intraprendere azioni improduttive e frustranti. La capacità di valutare le condizioni sotto la nostra chiglia, 100 e passa metri più giù, e fondamentale ai fini del successo.
SURFCASTING
FINALMENTE SURF
Di Dario Limone e Domenico Craveli
C
L’autunno è il momento in cui riprende il surfcasting, dopo la parziale pausa estiva, dedicata maggiormente alla pesca di fondo. Nonostante un inizio di autunno molto caldo, le prime mareggiate iniziano a colpire la costa e noi finalmente saremo lì ad aspettare la “ magica scaduta “ per insidiare
gli sparidi di pregio che amano grufolare nella turbolenza oppure i predoni dell’onda.
LA REGINA CHE MANGIA TUTTO
Le grosse orate sono un pesce molto ricercato in questa stagione di transizione
L’orata è oramai stanziale ed è presente tutto l’anno. In autunno sicuramente, non faremo i grandi carnieri di orate di taglia importante, ma sarà possibile intercettare quella XXL. Molto spesso, durante la mareggiata sostano dietro la prima onda che si forma ed sarà sempre una sorpresa spiaggiarla, perché in genere associamo l’orata al mare calmo o poco mosso. Non dimentichiamo, che il rimescolamento del fondo marino espone, a buon mercato, cibo per tutti i commensali presenti. L’orata è di “bocca buona” e si alimenta di tutto ciò che è organico. Nella dieta rientrano bivalvi, crostacei, cefalopodi, sardine, anellidi come l’americano e vermi come bibi e rimini.
IL MAGGIORE TRA I SARAGHI
Un bel sarago maggiore pescato in una leggera risacca
E’ il “ Re “ della schiuma. La cattura di questo pesce è sinonimo di mare mosso con tanta schiuma, ma con l’acqua ancora calda e basta un po’ di risacca per trovarlo a ridosso della battigia. Durante le mareggiate autunnali è possibile effettuare coppiole di esemplari anche di taglia over 500 gr, come è anche possibile prendere l’esemplare da 2 Kg. Da bravo grufolatore, si ciba di tutto quello che è nascosto al di sotto del fondo marino, ma non disdegna un leggero e vibrante filetto di sardina, presentato ad arte, oppure un buon anellide od una striscetta di calamaro fresco. Micidiale anche il gambero innescato per intero. I vecchi surfcaster usavano per la pesca al sarago, un calamento oramai storico, denominato “pater noster“, che altro non è che un doppio snodo con braccioli di lunghezza di 20 cm. Il primo posto a 5 cm sopra il piombo, il secondo a 30 cm dal primo.
SURFCASTING
SERRA E LECCE
Autunno, significa anche tanta mangianza, poiché il novellame si concentra in pochi metri di acqua. A suo seguito non possono mancare quindi i grandi predoni insidiabili a surf, ossia serra e lecce. Ogni tratto di mare è un potenziale settore dove insidiare questi famelici animali… basta che ci sia foraggio. Oramai non esistono spiagge immuni alla loro presenza, lo sanno bene cefali, mormore e le piccole orate, che vivono un’esistenza da fuggitivi. Sembra un paradosso, ma solitamente le zone da serra e da lecce, sono popolate da orate di grandi dimensioni, che pascolano con maggiore tranquillità perché la loro ragguardevole taglia è garanzia di non essere mangiati; quindi, tutti quegli arenili che garantiscono auree prede XXL e pochissimo pesce di misura piccola, sono aree anche da grandi predatori. Per il serra va bene qualunque pesce vivo o un bel trancio, montato sul cavetto d’acciaio, mentre per la leccia, meglio un innesco vivo big per non passare inosservato. E vedrete che le sorprese non mancheranno.
Un bel boccone pronto a prendere il mare
TROPICO DEL MEDITERRANEO Il clima del bacino del Mediterraneo sta cambiando con una tendenza al rialzo delle temperature molto evidente e così di conseguenza anche l’acqua del mare si sta riscaldando; quindi quella che una volta era una divisione netta tra le 4 stagioni, oggi non c’è più. Così è difficile fare delle previsioni sul tipo di cattura che effettueremo. Il pescatore moderno deve essere pronto a tutte le evenienze ed oggi, grazie alla tecnologia è possibile. Gli sparidi sono pesci la cui biologia è particolarmente mutevole al variare delle condizioni del momento e spesso, l’evoluzione di un tratto di mare è così repentina, che per concretizzare catture è necessario adeguare tecnica e terminali al rapido evolversi degli eventi. Non c’è più spazio per i pigri...
TRAINA
CALAMARI VS SEPPIE Di Michele Prezioso
S
ettembre apre le porte alla stagione più proficua per tutte le tipologie di pesca. Ma, per la traina
con il vivo, rappresenta l’inizio del periodo più cool dell’anno. Anche perché si possono pescare nuovamente i nostri amati cefalopodi. Abbandonati i sugheri, le aguglie e gli sgombri, le esche regine per la traina col vivo, nei mesi più freddi, sono proprio i calamari e le seppie. Croce e delizia dei trainisti, queste due esche presentano pregi e difetti. Qui di seguito faremo il punto proprio sulle differenze sotto tutti i punti di vista.
VITA DIFFICILE La differenza tra calamaro e seppia, è visibile già in vasca. Tenere vivi i calamari quando l’acqua del mare è ancora calda è un’impresa quasi impossibile; i calamari sono molto delicati e nei mesi caldi vivono perennemente sotto il termoclino, quindi a temperature anche inferiori ai 20C°, soffrono maledettamente il cambio di temperatura e, nella maggior parte dei casi, muoiono in vasca. La seppia invece, molto più rustica, vive anche in un palmo d acqua senza grandi problemi, e vende cara la sua pelle.
I calamari sono molto delicati ed il mantenimento in vasca quasi mai facile. L’indole aggressiva e la necessità di molti ricambi d’acqua, mai troppo calda, rendono sempre incerta la sopravvivenza di questi cefalopodi
Chi pesca di più? Molti dicono che il calamaro sia molto più catturante della seppia e che, addirittura, in alcuni spot la seppia non venga presa in considerazione dai pesci. Tutto è possibile, ma la nostra esperienza non conferma questa teoria, perchè abbiamo sempre pescato con successo con entrambi. Ma non tutti si rendono conto che sebbene cefalopodi, seppia e calamaro sono animali ben diversi tra loro per aspetto, abitudini, nuoto, atteggiamenti e reazioni e quindi è necessario differenziare
l’azione
di
pesca
e
complesso
pescante, a seconda che si sia innescato una seppia o un calamaro.
Questo dentice è stato pescato in Sardegna, a più di 60 mt di fondo, con una seppia pescata poco prima, smentendo chi asserisce che questa esca nell’isola non funziona
TRAINA
Differenziando Nella pesca, soprattutto con le esche vive, il segreto, se tale lo si può considerare, è quello di proporre inganni che si comportino il più possibile come se fossero in libertà e questo si ottiene adeguando l’azione di pesca, che non può essere uguale per tutti. La prima considerazione da fare sta nel fatto che la seppia, a differenza del calamaro, ha una grande capacità di mimetismo, quindi cambia colore a seconda del fondo che la circonda, rendendosi meno visibile del calamaro. Questa azione viene compiuta in continuazione durante la traina. Anche se innescata, è molto reattiva e vitale e mette in pratica azioni dissuasive molto efficaci, gonfiandosi per mostrarsi più grande e assumendo un atteggiamento minaccioso. Se trainata con terminali lunghi, a differenza del calamaro che ha una condotta molto lineare, perché si lascia trascinare passivamente, la seppia tende ad alzarsi molto dal fondo, grazie alla porosità del suo cosiddetto “osso”, che funziona da vescica natatoria: una strategia di difesa che la nostra seppia attua proprio per evitare brutti incontri sul fondo. Va da sè che pescando con le seppie come se fossero calamari, l’azione di pesca è meno incisiva perché si corre il rischio che si perda il controllo dell’esca, che si muove con troppa autonomia. Quindi è bene accorciare i terminali, per non farla salire di quota e procedere appena più spediti, anche fino ad 1,5 nodi, più staccati dal fondo.
Le seppie sopravvivono giorni in cattività, senza alcun tipo di problema
Il calamaro Il calamaro, al contrario della seppia che è rigida grazie al suo osso, è di natura molle e tende a deformarsi: è bene venga innescato con cura oltre che trainato più lentamente, anche con terminali più lunghi, perché è meno “birichino”… Nella pesca ai dentici la mangiata, con il calamaro, è molto più rapida perché il morso affonda più facilmente e l’attenzione da parte nostra dovrà essere massima, per calcolare il giusto timing della ferrata. Con le seppie, invece, bisogna essere meno veloci e lasciar mangiare il pesce causa la durezza dello scheletro interno.
La seppia ha, a differenza del calamaro, un assetto galleggiante per natura; questa in particolre è morta e essendo molto fresca, è irriconoscibile da una viva
TRAINA
Da morti Una riflessione va fatta anche per l’uso dei cefalopodi morti che mantengono intatto il loro “fascino” a patto che si prendano le dovute precauzioni. La seppia ha un assetto stabile e positivo in acqua il che la rende quasi flottante da morta e grazie alla sua idrodinamicità, viaggia come da viva. Con il calamaro il concetto si complica e c’è necessità di stabilizzarli, perché tendono a ruotare e ad affondare. C’è chi li stabilizza con un piombino, ma noi preferiamo usare del polistirolo inserito nel sacco, o meglio ancora, dei frammenti di osso di seppia. Non serve andare più veloce con l’idea che la velocità non faccia capire al pesce che l’esca è morta. Anzi, la bassa velocità mantiene buono l’assetto e le sorprese, se i pesci sono in attività, non mancheranno.
L’innesco deve essere funzionale ma allo stesso realizzato in modo da non rovinare l’esca e non comprometterne l’assetto
L’innesco Riteniamo che sia opportuno realizzare dei terminali specifici per i due animali; per la seppia consigliamo ami con una curva ampia e gambo corto, per garantirci un innesco in cui il trainante passi attraverso l’osso con la punta dell’amo che rimanga all’esterno e con un ferrante che allo stesso tempo cucia bene la parte del sifone. Per calamari di misura media, gli SSW vanno benissimo. Per il trainante ottimi i 5111 ad anello disassato e come ferrante i 5180 non hanno rivali.
TECNICA
KAYAK FISHING
Q
Di Simone Sposito
uando ero bambino mio padre cominciò a portarmi a pescare con una piccola barca a motore.
Ho dei ricordi davvero belli di quelle prime esperienze che mi accompagnarono fino all’adolescenza. La passione per la pesca è entrata nelle mie vene ed oggi, che anche io sono papà, sto cercando di trasmetterla ai miei figli. Però a loro ho riservato un percorso diverso che sicuramente consente di vivere il mare e la pesca in un modo più intenso e profondo: il kayak fishing.
Che cos’è Come avrete già capito, si tratta di un modo diverso di affrontare una battuta di pesca che prevede l’utilizzo di un kayak. Per noi “kayaker” non è assolutamente un’alternativa riduttiva alla pesca tradizionale dalla barca o con altre tecniche. Per noi appassionati rappresenta una filosofia di vita oltre che una vera e propria tecnica, perché, come vedremo in seguito, pescare dal kayak massimizza qualsiasi azione. Magari si comincia per gioco, per curiosità o perché stanchi delle solite restrizioni e dei limiti che i metodi diciamo così “tradizionali” purtroppo ci impongono. Poi, una volta “saliti a bordo” di questa nuova esperienza, non è difficile ritrovarsi in un contesto che crea dipendenza.
Un kayak da pesca è una vera fishing machine, attrezzata di tutto punto consente azioni di pesca anche impegnative a pesci di taglia, favorito dalla incredibile silenziosità che unisce alla tecnica la forza dell’agguato
Perché sceglierlo I motivi sono tanti. Vi elenco i più importanti. Ho iniziato nel 2010, dopo una vita passata a bucare pesci con le più svariate tecniche praticabili da terra e da natante e vi assicuro che prendere un pesce in “sella” ad un kayak significa elevare all’ennesima potenza ogni emozione. Sentire la forza della preda tra le mani, capace anche di spostare lo scafo, dopo aver incannato anche un esemplare di peso medio, è una sensazione unica. Vi lascio immaginare quindi il livello di adrenalina che si può raggiungere quando a tirare sono grossi pelagici. Un tonno riesce a farti fare anche cinque nodi.
Il kayah Fishing, annovera una quantità di appassionati incredibile in continua crescita
TECNICA Il kayak è uno strumento di pesca “micidiale” adatto ad ogni tecnica di pesca
Tecniche praticabili Non esiste pescatore che abbia la possibilità di sbizzarrirsi nella scelta della tecnica, più di quanto lo possa fare un kayaker. Possiamo cimentarci in quasi tutte le tecniche destinate a chi usa il natante e allo stesso tempo anche a quasi tutte quelle previste per chi ama stare con “i piedi per terra”. Quindi si possono praticare traina con il vivo, con gli artificiali, drifting, jigging, eging, spinning, bolentino, bolognese, scarroccio e tanto altro ancora. All’appello manca solo l’altura…
Chi lo può fare Tutti possono diventare pescatori del kayak, bambini compresi, purché non ci siano impedimenti di natura fisica. Basti pensare che i miei figli (9 e 11 anni) che porto a pescare spesso, alternativamente, sul mio kayak a due posti, si sono tolti già delle belle soddisfazioni. Anche l’impegno economico è alla portata di tutti, se ci si orienta su scafi del segmento medio. Ovviamente i prezzi aumentano a seconda delle caratteristiche prestazionali e degli allestimenti, ma già con mezzi basic si può pescare di tutto con molta soddisfazione. Il mondo dell’usato poi può offrire ottime opportunità a chi si vuole avvicinare allo Per i giovani è un modo sano e divertente per approcciare al mare e alla pesca
straordinario mondo del kayak fishing.
PESCA DA TERRA
SETTORI ETEROGENEI
Di Dario Limone e Domenico Craveli
C
on l’avanzare della stagione invernale, specialmente con moto ondoso di bassa entità, gli arenili tendono a divenire sterili, ed allora dove concentrare i nostri sforzi? Sicuramente, i fondali a carattere misto, ossia le aree dove roccia, sabbia e posidonia si alternano senza continuità, permettono
l’incontro con pesci importanti anche in condizioni non proprio ideali. Ma attenzione, questi settori sono un banco di prova durissimo per terminali ed attrezzature.
Le cale incastonate tra i promontori sono tra i migliori hot spot a carattere misto
OPERAZIONI PRELIMINARI Prima di piantare i picchetti è necessario sfruttare le ore di luce, per individuare dai chiaro-scuri percepibili dalla superficie, le chiazze di posidonia e i canaloni sabbiosi, che sono i punti dove far lavorare in sicurezza le nostre esche. Un bel paio di occhiali polarizzati ci aiuterà non poco nell’operazione. E’ necessario piazzare la nostra postazione con perizia maniacale, così potremo agevolmente stabilire dove posizionare le nostre esche, evitando gli incagli sul fondo, specialmente nelle ore di buio.
Sabbia, scoglio ed alga, è sempre sinonimo di un habitat ricco di prede
Una volta centrata la zona utile, si metterà un segno sulla lenza madre, così da capire di essere in pesca sempre alla stessa distanza. I segnalatori di distanza sulla lenza madre possono essere costruiti o con del comune filo di cotone legato con un nodo uni o con un pennarello marcatore della lenza, molto in uso nella pesca in acque interne.
GLI INCONTRI In questo habitat misto, specialmente a ridosso degli scogli vivono anellidi, crostacei, molluschi ed altri organismi, che stanno ai primi livelli della catena alimentare e che quindi richiamano i pesci che cerchiamo di insidiare. La parte del leone, in questi settori, la fanno gli sparidi come l’orata, il sarago e le grosse mormore.gato con un nodo uni o con un pennarello marcatore della lenza, molto in uso nella pesca in acque interne.
PESCA DA TERRA Altre specie interessanti, ma di minor pregio, possono essere le salpe ed i cefali, le boghe, che amano ripulire gli scogli da quella irresistibile alghetta presente su di essi. In mancanza di altro, sono in grado di regalare momenti di spassosa attività . Il misto poi, offre anche la possibilità di tane per molte specie come i ghiozzi, le bavose, le donzelle, le castagnole, le triglie, le murene, ed i gronghi‌ insomma ce ne sono davvero tanti di potenziali commensali. Naturalmente, non mancano nemmeno predatori di livello come le spigole ed i serra.
LE ATTREZZATURE
Una spartana telescopica di vecchia generazione, ma di ottima fattura, è quanto di meglio si possa usare in questi ambienti dove l’estetica vale il giusto, e dove spesso non si va certo per il sottile
Le canne da usare in un contesto del genere devono avere un’azione di punta con buona riserva di potenza nel manico ed essere lunghe tra i 4,50 mt ed i 5 mt. La ferrata deve essere veloce ed il recupero della preda rapido con canna alta per staccare subito la preda dal fondo; pena la perdita del pesce per probabile incaglio tra gli scogli. Il mulinello taglia 5000 deve avere un buon compromesso sul rapporto di recupero e un 5,2:1 è una buona soluzione. Il diametro della lenza madre sarà tra lo 0,22 e lo 0,25 con filo diretto senza shock leader per distanze intorno ai 50 metri; per distanze maggiori useremo uno shock leader dello 0,40. Il piombo tra i 30 gr ed i 50 gr; se la corrente od il moto ondoso ci portano verso gli scogli possiamo arrivare anche ai 100 gr. Il terminale deve essere lungo non oltre i 50 cm per ridurre al massimo le possibilità di incaglio con snodo basso a 5 cm dal piombo. Se peschiamo nella posidonia bisogna usare uno snodo alto a circa un metro dal piombo e flotterare il terminale per rendere visibile l’esca al di sopra della prateria. Gli ami devono essere affilati, robusti ed a becco d’aquila e proporzionati all’esca. Le esche da usare sono i sempre validi anellidi, i bivalvi, i gamberi e perché no un succulento e generico filetto di sardina rovesciato e trattenuto sull’amo con del filo elastico… minutaglia permettendo. Pescare sul misto difficilmente ci darà la delusione di non fare catture ed è un’ottima palestra per migliorare la nostra precisione nei lanci e per sviluppare valide strategie di pesca.
TRAINA
MIGRAZIONI VERTICALI Di Domenico Craveli
L
a ricciola, un pesce che fino a pochi anni fa si riteneva fosse migratorio, e quando per la prima volta si argomentò sul fatto, (ne parlai in alcuni articoli nel 2001), che questi carangidi al variare della temperatura si spostavano di batimetrica ma non di luogo, si pensò ad una eresia!
Ed invece… … invece le ricciole sono proprio così, degli animali contestuali ed abitudinari, che al ripetersi delle condizioni termiche stagionali dell’acqua, frequentano i medesimi spot. Nel periodo caldo le troviamo anche a bassissime profondità o in acqua libera al seguito dei banchi di pesce azzurro che predano nel termoclino o poco al di sopra di esso; in autunno, anche inoltrato, sono solite frequentare le poste classiche della traina con il vivo su spot di profondità comprese tra i trenta e i cinquanta metri, mentre in inverno pieno, si spostano a notevoli profondità dove non è facile insidiarle. Possiamo finalmente dire che la stagione della traina con il vivo a queste carangidi… non chiude per freddo!
HOT SPOT
Una zona da ricciole… rimane tale negli anni, qualunque sia la pressione di pesca esercitata lì sopra. Magari possiamo trovare dei pesci impossibili da catturare, ma li troveremo sempre lì, nelle medesime condizioni, nella medesima parte di stagione.
Gli “scogli da ricciola” sono atavici. Settori di mare dove le generazioni vecchie e nuove di ricciole ci ritornano con disarmante regolarità; lo sanno bene i professionisti della circuizione che con i ciancioli ne azzerano interi banchi in tutto il mediterraneo sfruttando proprio questa abitudine. Questo ci deve portare ad intensificare i nostri tentativi proprio in questi settori di mare dove la loro presenza è pressoché accertata, senza tentare di inventarsi nulla. Ottimizzare i tempi di traina è fondamentale per tentare i grandi pesci, poiché spesso utilizzeremo bocconi che non durano moltissimo in vita. La capacità di affrontare correttamente uno spot, ossia sfruttando bene le correnti dominanti per far navigare al meglio l’esca e farla passare nei “corridoi” più promettenti sta alla base del successo. Calare un pesce esca e girare a casaccio ha poco senso, specialmente se nella stessa sessione miriamo anche al dentice per salvarci da un possibile cappotto. Infatti si corre il rischio di impostare un’azione poco incisiva si per il dentice che per un grande carangide. Le ricciole giganti, fanno vita pelagica, e spesso si uniscono a branchi di ricciole più piccole. Quando colonizzano una secca, gli animali più imponenti però, sono quasi sempre defilati dalla massa, spesso ferme a mezz’acqua, nel taglio termico. Quindi, quando cerchiamo la big, allontanarsi dalla frenesia delle piccole (5/10kg) non sarebbe male. Ma chi lo farebbe?... Questione di coraggio!
TRAINA
Dieta ipercalorica
Una immagine da “stomaco forte”, ma rende l’idea delle migrazioni verticali che le ricciole compiono. Un nasello e degli sciabola nello stomaco di un pesce di 25 kg circa, giunto sulla secca dove è stato catturato in quel preciso momento, in quella precisa condizione che seguo da anni. Questa è la più bella conferma di tante ipotesi e supposizioni.
Le ricciole con l’avanzare delle temperature rigide, mutano completamente abitudini di stasi e di caccia. Sembra infatti che ci sia un indice termico che segna in maniera netta questo cambiamento, almeno per quel che riguarda il tirreno. Quando l’acqua superficiale raggiunge i 15 gradi, questi pesci, dall’oggi al domani iniziano ad imbrancarsi in banchi di numerosi individui, in promiscuità di taglia. Colonizzano aree ben definite, dove gli esemplari più piccoli stazionano verso il centro della secca o della scogliera, e quelli di taglia maggiore invece pattugliano o stanno in stasi ai margini di essa, spesso poggiate sul fondo con un comportamento simile a quello delle cernie bianche. Le profondità ideali per questo genere di assembramenti sono solitamente comprese tra i 70 e i 150 metri. Se adiacenti a queste aree, poi, c’è qualche secca mena profonda, al coincidere di determinate condizioni, il branco si sposta momentaneamente a quote meno proibitive. Capire quali sono i fattori termici che regolano questi spostamenti sta alla base del successo. Detto in esplicito, condizioni di mare con vento dai quadranti nord e nord orientali, potrebbero portarle a stare in profondità in tirreno (lo Jonio di solito è foriero di prede con vento da nord), mentre condizioni più miti da sud, sud est, rappresentano l’ottimo per pescate memorabili con esemplari da sogno. L’attività predatoria viene quasi sempre concentrata in particolari momenti della giornata, solitamente a cavallo del culmine dell’alta marea, meglio se questa coincide con le ore centrali e con il sole alto. Queste informazioni hanno una valenza fondamentale, in quanto ci permettono di pianificare la nostra sessione.
Calamaro? Meglio altro
Una grossa palamita, innescata su un amo del 9/0 e calata in testa ai predoni. In questo caso si è preferito un amo nel palato, anziché la soluzione a catalina
Sebbene il calamaro rappresenti per molti l’ottimo per la ricerca delle ricciole, in questo particolare scenario sono altre le esche da valorizzare per un motivo fondamentale. La pesca alle ricciole è di attesa e di strategia e un cefalopode, portato a spasso a 70/80/90 metri durerà davvero poco, perché sarà attaccato da tanute, pagelli, prai e altri
commensali simili. In inverno, sembra un paradosso,
si torna ai grossi sugheri, ai lanzardi, o anche alle palamite… Esche corpose, anche in tandem. Bisogna osare per arrivare ai risultati più importanti.
ARGOMENTI
SULLE ALI DI UN SOGNO
I
Di Fabio Salvucci
l drifting al tonno è indubbiamente una delle specialità più entusiasmanti nel mondo della pesca ed aver la
possibilità di poter disputare un campionato italiano credo sia il sogno di qualsiasi appassionato di questa tecnica. E’ un sogno che si avvera quello dei ragazzi del Pelagic Team che gareggiano per la SS Lazio Pesca Sportiva e che parteciperanno ai Campionati Italiani Assoluti di Mola di Bari del 19 – 20 Ottobre 2017.
Il Pelagic Team Un gruppo storico di pescatori romani composto da Fabio Salvucci, Stefano Rizzoli e Maurizio Tirocchi che negli anni si son pian piano fatti conoscere nel panorama del drifting e delle gare di pesca dalla barca. Campioni provinciali Roma 2016 drifting, campioni provinciali Roma traina d’altura 2015, tanti titoli vinti in competizioni come traina costiera (tre titoli di campioni provinciali e due campionati italiani svolti) light drifting (dove spesso sono arrivati sui gradini del podio) sino ad arrivare alla canna da natante (tre titoli campioni provinciali Roma), risultati che hanno permesso al team di accedere di diritto ai campionati italiani; al gruppo si sono aggiunti successivamente Paolo Sciascia (rod builder romano) e Andrea Riccobello completando la squadra e portandola alla formazione attuale che , nel 2017, è entrata a far parte della SS Lazio Pesca Sportiva.
I ragazzi del Pelagic Team alla premiazione del Big Game di Anzio-Nettuno di maggio 2017
La SS Lazio Pesca Sportiva La SS Lazio Pesca Sportiva (www.sslaziopesca.it) fa parte della polisportiva più grande d’Europa e nel 2017, con il nuovo direttivo, inizia a far sul serio raccogliendo risultati e consensi in tutte le sezioni che spaziano dalla pesca in mare a quella in acque interne.
Il secondo posto al Big Game di Anzio-Nettuno è l’ultimo risultato raggiunto dai ragazzi del Pelagic Team che, prima dei Campionati Italiani Assoluti di Ottobre, saranno impegnati nelle due gare di selezione del provinciale di drifting di Roma inframezzate dalla partecipazione al Tuna Cap di Anzio.
I ragazzi del Pelagic Team hanno sposato il progetto della SS Lazio Pesca con entusiasmo e determinazione con l’obiettivo di riportare la Sez. FIPSAS di Roma ai vertici del panorama alieutico sportivo nazionale, per questo motivo con la SS Lazio Pesca hanno intrapreso una campagna di informazione per far avvicinare soprattutto i ragazzi al mondo della pesca sportiva creando dei gruppi forti e coesi non solo per la pesca in barca ma anche per il Surfcasting e in acque interne, per il Carpfishing ed il Trout Area dai quali sono continuati ad arrivare titoli e soddisfazioni.
ARGOMENTI Il Comandante Fabio Salvucci in allenamento.
Le Iniziative Non solo pesca per i ragazzi della SS Lazio Pesca, molte sono infatti le iniziative, i momenti conviviali e le commemorazioni che hanno visto partecipare a vario titolo i ragazzi dell’associazione; con “Facciamo rifiorire la speranza” ad Amatrice l’impegno è stato quello di far sbocciare un sorriso sul viso dei bambini vittime del terremoto, traguardo raggiunto con una splendida gara di pesca. Molteplici anche le attività educative, giornate informative sulle tecniche di pesca, sull’utilizzo delle varie esche e sulla costruzione delle canne da pesca e giornate di pesca organizzate con le scuole per avvicinare i ragazzi al mondo alieutico spiegando non solo la tecnica ma anche come maneggiare e rispettare i nostri amici pesci.
La Gara di Mola di Bari Finalmente le selezioni nazionali, è già un’enorme soddisfazione per gli atleti del Pelagic Team poter rappresentare i colori della SS Lazio Pesca ai Campionati Assoluti di drifting, un traguardo ambito ma non un punto di arrivo; i ragazzi del Pelagic Team sono abituati a mettersi sempre in gioco e a non precludersi alcun risultato, pienamente coscienti che andranno a scontrarsi con i migliori angler italiani e pur con il massimo rispetto nei loro confronti andranno a svolgere la gara onorandola come dovuto nella speranza di riuscire a portare a casa un buon piazzamento e, perché no, visto che si tratta di un sogno è lecito sognare in grande.
FISH’ N COOK Il Comandante Fabio Salvucci in allenamento.
Spaghetti al Lanzardo fresco
Di Laura Curtarelli
I
l lanzardo è un pesce azzurro, parente strettissimo dello sgombro, protagonista della pesca estiva, troppo
spesso sottovalutato in cucina. Di certo rientra a pieno titolo a quella tipologia di pescato che va di moda chiamare “pesce povero” perché relegato a pesce di bassa categoria, quindi venduto a poco prezzo e di conseguenza, poco apprezzato. Invece, questo combattivo pesciolino, capace di arrivare a pesare poco meno di un kilo, ha carni veramente saporite e nutrienti, ricchissime di quelli che sono gli elementi nutrizionali più importanti, prerogativa del pesce azzurro. Oltretutto, essendo un pesce a rapido accrescimento, è povero di metalli pesanti ed altri agenti contaminanti da cui sono afflitti pesci assai più pregiati, come il tonno ed il pesce spada. Lo chiamano Lanzardo, Cavalla, Lacerto e Sgombro, ma è sempre lui, un terribile predatore potente e combattivo che accosta in prossimità dei nostri litorali durante l’estate inoltrata e fino al primo autunno per l’accoppiamento; lo insidiamo a traina od in drifting, con lenze leggere e, se si usano le giuste metodologie, si possono fare facili catture multiple: tanto facili che molti ne abusano, prelevandone inutilmente quantità davvero importanti. Le nostre catture si limitano a qualche esemplare di taglia da conservare sott’olio o a quelli da usare come esche vive per insidiare la ricciola.
E spesso, anche questi ultimi, se non sono necessari e se sono in buona salute, a fine pescata vengono restituiti al mare. Quelli che non hanno resistito alla cattività o ad un attacco dei predatori vengono assolutamente consumati. Come è giusto che sia. L’ultima esperienza che ci ha soddisfatto davvero è stata quella della realizzazione di un gustoso e semplicissimo sugo, realizzato con i filetti. Ed ecco come abbiamo fatto.
Prima di sfilettare i pesci è bene pulirli e privarli di testa, coda, pinne e squame, che sono piccolissime e si infilano ovunque
Gli ingredienti per 4 persone
FISH’ N COOK
4 lanzardi Una manciata di capperi sotto sale Una manciata di olive di Gaeta senza nocciolo Uno spicchio d’aglio Peperoncino fresco a piacere Olio E.V.O. Mezzo bicchiere di vino bianco secco Pomodorini ciliegino Foglie di basilico fresco Pasta di grano duro, consigliate le mezze maniche
Ecco il riepilogo degli ingredienti, pochi, semplici e ..mediterranei
COME SI FA’ E’ importante che i lanzardi non prendano caldo nel trasporto, perché la carne è delicatissima e può deperire rapidamente. Sarà bene pulirli in mare, asportando visceri, branchie e testa. Una volta in cucina, sfiletteremo quindi i pesci, ricavandone della polpa priva di spine che ridurremo in cubetti o comunque in piccoli pezzi grossolani. In una padella antiaderente capiente faremo andare abbondante olio ed un spicchio d’aglio, da imbiondire senza scurirsi troppo. Aggiungeremo poi anche il peperoncino nella quantità desiderata. Leveremo lo spicchio d’aglio e aggiungeremo il pesce che sfumeremo con un po’ di vino bianco; subito dopo aggiungeremo i pomodori tagliati in piccoli pezzi, i capperi, le olive di Gaeta e fermeremo la cottura.
Il condimento è quasi pronto, basta una cottura brevissima
In
abbondante
acqua
salata
cuoceremo
la
pasta che scoleremo al dente e che trasferiremo nella padella con il condimento, completando la cottura con aggiunta di un poco di acqua della pasta, mescolando continuamente. Questa operazione, grazie all’amido stesso della pasta, renderà il condimento cremoso e avvolgente, senza per questo modificare la freschezza degli ingredienti che termineranno la loro cottura a bassa temperatura. La pasta deve essere di ottima qualità, di quelle che resistono perfettamente alla mantecatura
E’ possibile completare la preparazione aggiungendo del basilico fresco e poi non resta che impiattare ed andare a tavola. Buon appetito!
Pescati e mangiati!
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VIAGGI
Viaggi di pesca: Cabo Verde Di Marco Canu
N
on c’è pescatore al mondo, che non abbia mai sognato di vivere almeno una volta le mitiche
avventure di pesca ai grandi pesci caraibici, sull’onda (è il caso di dirlo) dell’epopea dei racconti di Emingway. Un sogno che può facilmente diventare realtà con poche ore di aeroplano. Un sogno che si chiama Cabo Verde… L’ arcipelago di Cabo Verde è costituito da dieci isole di origine vulcanica, situato a circa 500 km dalle coste senegalesi nell’oceano Atlantico settentrionale, al largo dell’Africa occidentale. Solo nove sono abitate, una è completamente disabitata e in più si aggiungono un paio di scogli. In Italia se ne cominciò a parlare solo verso i primi anni 2000, come meta alternativa per turisti avventurosi, alla ricerca di mete poco frequentate, piuttosto che come spot di pesca. Con l’intensificarsi delle presenze sono state create molte strutture turistiche, facendo si che anche la pesca prendesse piede; sono nati così i primi fishing charter di Sal e Boavista. Ma il futuro alieutico di questo arcipelago era segnato e, forse non a caso, il medesimo parallelo, dall’altra parte dell’oceano lo unisce idealmente con le grandi Antille e il favoloso mar dei Caraibi.
Come ci si arriva
Raggiungere Cabo Verde è più facile a farsi che a dirsi. Con TAP, aerolinee portoghesi, si parte da Milano e in poco più di sei ore, un costo moderato, dopo uno scalo a Lisbona, si sbarca direttamente a Sao Vincente dove si trova la marina più attrezzata dell’arcipelago e dove fanno base buona parte dei charter. A Cabo Verde si parla ufficialmente il portoghese, perché le isole sono una ex colonia del portogallo, ma la vera lingua è il creolo capoverdiano. Un dialetto frutto della fusione tra il portoghese e la lingua delle varie etnie presenti e che addirittura varia da località in località. Ma viene compreso anche il francese perché molto diffuso e studiato. Ad ogni buon conto, la grande ospitalità dei locali spiana e semplifica ogni problema di comunicazione.
Una straordinaria immagine di un Marlin dopo lo strike: potenza e straordinaria bellezza!
la pesca
VIAGGI
La pesca di queste acque è prevalentemente la traina d’altura ai grandi predatori oceanici. Il Marlin ovviamente è il pesce icona, ma non mancano grandi e combattivi Wahoo, tonni di taglia e le onnipresenti mega Ricciole. Da Sao Vincente partono i migliori fishing charter di tutto l’arcipelago con barche perfettamente attrezzate per ogni tecnica. Da qui ci si sposta, seguendo le rotte dei Marlin, verso le poste più pescose, quindi chi viene per pescare sul serio, deve essere pronto ad una vacanza dinamica, all’inseguimento dei pesci, con possibili spostamenti presso le altre isole, con pernottamenti sempre organizzati dalle società di charter.
i periodi La stagione dei Marlin blu inizia da fine marzo per protrarsi a tutto luglio, quando la loro presenza scema per riprendere con ritmo più ridotto da settembre a novembre, con esemplari comunque importanti difficilmente più piccoli delle 500lb. Nei periodi di assenza dei blu le emozioni non mancano comunque dedicandosi ad insidiare i Big Tuna, i Wahoo e le Ricciole. Queste ultime sono il chiodo fisso degli amanti del Vertical, che in questi mari si potranno confrontare anche con pesi massimi di 40 e più kg.
Agguerritissimi fisherman pronti per indimenticabili battute di pesca
quanto costa Andare e tornare dall’Italia costa intorno ai 600€ e si vola per Sao Vincente, due volte a settimana, il martedì ed il venerdi, con partenza da Milano Malpensa. Per una giornata di pesca si possono spendere dai 700 ai 1300 euro, per 10 ore di mare. Costi accettabili soprattutto se si affrontano le uscite in più persone e soprattutto decisamente interessanti se si considera la elevata professionalità e competenza delle o rganizzazioni locali. Nella nuova marina di Sao Vincente stazionano ben 23 fisherman dai 27 ai 45 ft perfettamente attrezzati per tutte le tecniche. Questa isola in particolare, oltre ad un porto ben attrezzato vanta una importante caratteristica; quella di essere baricentrica rispetto a tutto l’arcipelago e quindi di essere vicina a tutti i migliori spot. Ma non scordiamo che queste acque sono tutte eccezionalmente pescose e non sono per nulla rare catture da record e un “Big Mama” un Marlin di 1000 libre è sempre dietro l’angolo.
Uno scorcio della baia che accoglie la Marina di Sao Vincente che è la più attrezzata dell’Arcipelago
clima & salute Il clima è generalmente secco con temperature costanti tutto l’anno che non scendono mai sotto i 25°C e le piogge, moderate, sono più frequenti tra agosto e ottobre. Ma generalmente si tratta di eventi poco importanti che non compromettono la possibilità di uscire a pesca. Quello che non manca è il vento, inevitabile a queste latitudini, ma che è anche il responsabile della grande ossigenazione di queste acque e quindi anche della loro pescosità.
Quando un Marlin abbocca, lo strike entra nelle vene e può creare dipendenza!
Cabo Verde è un posto veramente tranquillo e fuori dalle vicende gravi di altre parti del mondo; è stabile politicamente e il governo è molto filo europeo. Pur essendo di fatto Africa, non ci sono malattie tropicali e nemmeno animali pericolosi o velenosi. Ad esclusione dei grandi Marlin che possono diventare una vera malattia...
UNA NOVITÀ RIVOLUZIONARIA Hook-Eye è una telecamera subacquea creata specificamente per la pesca sportiva e per girare video in alta definizione perfino in condizioni estreme, come la pesca al marlin. La caratteristica peculiare di Hook-Eye è quella di essere montata direttamente sulla lenza senza dover tagliare il filo, dove opera libera di scorrere senza mai interferire con il movimento dell’esca, e quindi senza disturbare l’azione. Durante la traina d’altura, per esempio, la Hook-Eye nuota come un teaser e risulta addirittura attrattiva per i pesci. Il suo sistema brevettato di attacco senza tagliare il filo e senza legarla ad esso, inoltre, permette all’utente di collocarla sulla lenza anche dopo che il pesce ha abboccato, per riprendere la lotta, il recupero e quant’altro accada sott’acqua. Grazie al suo design fluidodinamico brevettato e ad una deriva regolabile provvista di pesi in tungsteno di varie misure, la HookEye può essere trainata fino a 10 nodi di velocità rimanendo stabile nella ripresa, senza assorbire le vibrazioni del filo, ed è riuscita a riprendere il black marlin, considerato uno dei pesci più veloci al mondo e capace di sfrecciare via a 130 chilometri orari. Anche nella traina col vivo Hook-Eye ha restituito immagini inedite così come nel live kab. La sua estrema robustezza, l’assenza di pulsanti esterni e la chiusura ermetica con doppio o-ring le permettono di sopportare la pressione dell’acqua e operare fino ad oltre 180 metri di profondità, dove grazie al suo sistema integrato di luci LED ha registrato immagini mai viste come l’abboccata di pregiatissime pezzogne e ricciole. Infatti il sistema di luci LED può essere settato in modo da accendersi e spengersi automaticamente in base alle condizioni di luce. La batteria dura circa tre ore e venti ed è intercambiabile. Insomma, dal bolentino di profondità alla traina d’altura e col vivo, dal drifting al live kab, Hook-Eye ha dimostrato di essere esattamente ciò che i suoi creatori intendevano realizzare: un sistema estremamente versatile per la pesca e la registrazione di immagini subacquee che può essere utilizzato e personalizzato dagli utenti secondo le loro esigenze e aspettative.
Traina d’altura
Traina con il vivo
Live kab
Bolentino di profondità
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