Rivista maggio

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2017

Rivista tecnica di pesca - nautica - subacquea

la rivista on-line della pesca in mare ARGOMENTI CATCH O RELEASE?

DRIFTING RITORNO ALLE ARMI TECNICA CALAMARI NEL TUBO

TRAINA ATTACCO E FUGA

www.globalfishing.it

Traina - Vertical - Jigging - Bolentino - Pesca da Terra - Spinning - Subacquea - Itinerari - Vetrina Attrezzature - Nautica - Inchieste

Anno VIII - Numero 5



IN QUESTO NUMERO..

GlobalFishing magazine Anno VII Numero 5 Direttore Editoriale: Umberto Simonelli e-mail: u.simonelli@globalfishing.it Vice direttore: Domenico Craveli e-mail: d.craveli@globalfishing.it Direzione e Redazione Via dei Giuochi Istmici 28 - 00194 Roma Telefono 346.3585302 – fax 06.36302279 e-mail: info@globalfishing.it Hanno collaborato a questo numero: Domenico Craveli, Umberto Simonelli, Michele Prezioso, Dario Limone, Aldo Benucci. Testi, foto e video degli autori Progetto grafico e video impaginazione: Claudia Glisbergh GlobalFishing magazine è una pubblicazione on–line di UDP Production s.r.l. Reg. Tribunale di Roma n° 288/2010 UDP Production srl Via dei Giuochi Istmici 28 00184 Roma Telefono 3463585302 – fax 0636302279 www.globalfishing.it Concessionaria di pubblicità: Media Nova di Alberto Andreoli Tel. 051.6850239 – Mobile 336.554711 info@medianovaweb.it Stampa: ETESI srl Distribuzione : web

5

Editoriale

6

Global@mail

di U. Simonelli

La posta dei lettori

16

TECNICA Calamari nel tubo

20

TRAINA Attacco e fuga

22

PESCA DA TERRA Sotto la spinta del vento di M. Prezioso

26

DRIFTING Ritorno alle armi

30

ARGOMENTI Catch o release?

34

TRAINA A scuola di artificiali

40

SPECIALE SURF

54

Copertina parlante

di U. Simonelli

di D. Craveli

di A. Benucci

di U. Simonelli

di M. Prezioso



Editoriale

I

l mese di maggio è per molti pescatori il mese del risveglio alieutico. La buona stagione mette in moto la voglia di andare, le barche rivano in acqua e finalmente si ricomincia. Ma la primavera è anche il risveglio di molte specie che si apprestano alla fase riproduttiva, dentici, ricciole, piccoli pelagici fino ai tonni, a seconda delle temperature e delle zone saranno ben presto prossimi alle fatiche nuziali. Da sempre la pesca ha sfruttato questi momenti, proprio in virtù dei grandi spostamenti o dell’avvicinarsi alla costa, per effettuare le catture delle specie più pregiate. Una per tutte quella del tonno che, fino a qualche decina di anni fa, veniva effettuata esclusivamente con le tonnare, dislocate sulle rotte delle grandi migrazioni o tramite pesca con la lenza a mano o con parangali decisamente meno evoluti di quelli di oggi. Una pressione di prelievo decisamente sostenibile grazie alla imperfezione degli strumenti di pesca incapaci di prelievi massivi. Oggi al contrario, complice una tecnologia strabiliante ed una ricerca del profitto sempre più ossessiva, la pesca ha perso ogni sostenibilità. Malgrado il fatto che il mare offra sempre meno le pretese degli operatori della pesca sono sempre più insistenti. Maggiore è il disagio economico della categoria e maggiori sono gli incentivi e le facilitazioni richiesti. Ma non vogliamo entrare in merito ad un discorso politico ed economico e ritorniamo quindi nel merito del prelievo. Siamo tutti d’accordo quindi sul fatto che se preleviamo i pesci prima o durante la loro fase riproduttiva è inevitabile che la popolazione si assottiglierà sempre di più, fino ad estinguersi. Chi ci lavora, con il pesce, dovrebbe essere attento a questi argomenti, perché è proprio preservando la fertilità del mare che se ne potranno riscuotere i frutti. Difficile riscuotere interessi se si dilapida il capitale. Il controllo del prelievo, pare che con i tonni abbia funzionato, sebbene qualcosa, soprattutto osservando le taglie medie dei pesci pescati, proprio non sembra quadrare. Perché i giganti sono scomparsi e le taglie medie drasticamente ridotte. Mentre è fortissima la presenza di tonni allo stato giovanile, di taglia non superiore ai 30-40 kg che, stando alle regole, non dovrebbero essere in grado di riprodursi, ma che poi, malgrado ciò, scompaiono inspiegabilmente per tutto il tempo della frega. Anche i dentici sembrano essersi ridotti di taglia, almeno lungo le coste della penisola, dove evidentemente il prelievo, anche professionale e non solo ricreativo è più importante. Per non parlare delle orate e delle ricciole, dove quell’altra piaga dell’umanità, che è la pesca con i ciancioli, ne preleva a tonnellate in un sol colpo, sorprendendole proprio durante i grandi raduni nel momento riproduttivo. Segnali che dovrebbero farci capire che forse l’unica soluzione possibile è la più ovvia. Pescare meno e soprattutto meglio. Ovvero lasciando il tempo ai pesci di riprodursi impegnando le risorse anche per studiare meglio e più a fondo il mondo dei pesci per capirne di più la loro vita segreta. La pesca trova molta assonanza con l’agricoltura. Una volta il contadino lavorava la terra con sapienza, amore e attenzione per massimizzarne la produttività e ricavarne prodotti di eccellenza; oggi invece è dedito alla coltura intensiva, barattando la qualità con la quantità. In mare succede la stessa cosa, solo che il frutto della quantità sarà la desertificazione … Invertire la tendenza non sarebbe solo sensibilità ambientalista ma una logica ed inevitabile manovra di management imprenditoriale. Ma misteriosamente ciò non avviene e il baratro si avvicina. Invece per i non professionisti della pesca, noi ricreativi, come ci chiamiamo adesso, di sensibilità si dovrebbe trattare, visto il fatto che noi con il pescato non dobbiamo viverci o fare impresa. Qualche tempo fa, sui gruppi di pesca del social per eccellenza, qualcuno ha lanciato la proposta di autodisciplinare la pesca al dentice, non pescandolo durante il “montone” che è in atto o che lo sarà a breve, momento durante il quale questi pesci sono più facilmente catturabili. Questa sensata proposta sarebbe da estendere anche alle orate che amano riunirsi anche loro in gruppi enormi. Il successo della proposta non è stato strabiliante, anzi le polemiche si sono inasprite. Segno che in qualche modo la testa dei pescatori è sintonizzata sulla mono frequenza del prelievo a prescindere. Al contrario è ora di cambiare mentalità ed iniziare a maturare. In questo numero parliamo anche di catch & release, andando un po’ oltre il fatto squisitamente tecnico e cercando di analizzare il principio. Perché non basta essere capaci a prendere pesci per essere ottimi pescatori. Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL ALLETTERATI Per la prossima stagione mi vorrei porre l’obbiettivo di insidiare gli alletterati. Ne ho pescato casualmente uno lo scorso anno e mi sono confrontato con un pesce davvero eccezionale. Pesava una decina di kg e mi ha fatto divertire davvero. Vorrei sapere quali sono le tecniche più idonee per pescarli. Davvy

Gli alletterati sono pesci che appartengono alla famiglia degli sgombri. Sono pelagici e si avvicinano alla costa nei mesi estivi ed autunnali e possono arrivare a pesare anche 15 kg.: un’esplosione di potenza che può dare filo da torcere se non si è preparati. I pesci di taglia medio piccola possono essere insidiati con successo a traina, usando esche di superficie o piccoli minnow a galla o affondati. Difficilmente intercetteremo con questa tecnica quelli di grandi dimensioni, che saranno maggiormente retaggio del drifting. Anche lo spinning può essere una tecnica vincente lanciando nelle mangianze. Ma, al di là della tecnica, più che altro per farne una pesca mirata bisogna individuare le zone in cui i pesci si concentrano e la densità di questi pesci varia lungo le nostre coste. In genere si muovono su batimetriche medio alte all’inseguimento delle mangianze di pesce azzurro. Per insidiarli in drifting i posti migliori sono le secche isolate che degradano rapidamente e che in genere richiamano il foraggio. Capita anche che risalgano la pastura in drifting al tonno rosso

Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL ScELTA dIffIcILE Carissimi amici di GlobaFishing, sono un giovanissimo pescatore, da poco dedito anche al drifting e, tra poco, anche sotto maturità …. Siccome per regalo ho deciso di farmi comprare la mia prima canna da drifting, vi chiedo un consiglio sincero oltre che tecnico. Sono indeciso se orientarmi su un sistema da armare con del multifibra o andare sul classico con una canna standard e passanti a rullo. Sono anche molto intrigato dalle nuove tendenze della pesca in top shot e delle canne montate acid. Siccome è un regalo costoso che mi faranno i miei, vorrei fare una scelta consapevole senza dubbi e ripensamenti. Grazie dell’aiuto. Claudio “fisher98” Decidere l’acquisto di una canna è scelta molto Nel

soggettiva. futuro

delle

attrezzature per la pesca al tonno le canne del tipo “acid” saranno sempre più presenti, con

mulinelli

piccole ma molto

allestite di

dimensioni

con

frizioni

potenti

e

imbobinati con del multifibre. Se, da come leggo, quella che ti accingi a farti regalare sarà la tua prima canna, non ho dubbi nel consigliarti l’acquisto di una di queste canne. Per loro natura, questa tipologia di attrezzi di nuova generazione hanno come prerogativa la leggerezza, grazie ad un fusto più sottile dei modelli usuali a rulli. Il montaggio degli anelli, che segue un andamento spiralato, consente proprio di annullare le torsioni che si possono generare su un fusto più esile, sotto forti sollecitazioni. Vedrai che, con queste canne, un pesce in canna sarà un divertimento assoluto

Aldo Benucci


GLOBAL@MAIL RokET SI.. RokET no Vorrei avere dai vostri esperti un consiglio sull’uso del Roket, nella pesca in drifting al tonno. Sono in fase di allestimento della nuova imbarcazione e quindi sto cercando anche di ottimizzare quantità e posizione dei porta canne. Vorrei capire se l’uso del Roket può davvero semplificare la messa in pesca delle attrezzature, se è un’alternativa per chi ha pochi punti di sistemazione delle canne o se è un sistema rivoluzionario. Considerando i costi di acquisto, vorrei capire meglio i vantaggi ed anche su che tipologia, nel caso, orientarmi. Luigi G.

Il Rocket è un attrezzo davvero molto utile per il drifting pesante. Nasce come sistema per poter mettere più canne in pesca su barche in cui l’azione non può essere effettuata su tutta la lunghezza della barca. Ad esempio su di un semicabinato, in cui le murate sono poco fruibili, è possibile, dal pozzetto, disporre tutta la batteria di canne senza che le lenze si possano mai accavallare anche quando lo scafo si sposta per l’azione del vento. Normalmente, invece, quando la barca cambia orientamento, bisogna far scalare le canne da una murata all’altra per far sì che lavorino correttamente. Oltretutto, e questo è molto importante, dopo lo strike la capacità di ruotare, fa sì che la canna sia sempre perfettamente in linea con il pesce. Grazie a queste prerogative il Roket è diventato un accessorio standard per molti pescatori. Un consiglio che ti posso dare è quello di montarlo a giardinetto, cioè all’angolo tra la murata e la poppa, così da poter utilizzare anche gli altri porta canne presenti in barca.

Aldo Benucci


GLOBAL@MAIL IncoLLATI o no? Un saluto a tutto lo staff della rivista. Vi disturbo perché vorrei porvi un quesito tecnico per me molto importante, in merito al quale vorrei una risposta che fugasse ogni dubbio. Parliamo di bolognese e di pasturazione. Vorrei capire bene la logica con la quale si deve decidere di incollare i bigattini per pasturare o di lasciarli liberi e lanciarli sfusi. Vorrei capire anche quanto debbono essere incollati, ovvero quanto durevole deve essere la coesione del collante. Spero che al quesito possa rispondere Michele Prezioso Cosimo P.

L’incollaggio dei bigattini va eseguito solo quando, pescando in bolognese o a feeder, li si debba far restare più tempo possibile in prossimità del fondo, in modo che la colla, man mano che si scioglie a contatto con l’acqua, liberi le larve in corrente poche alla volta. In questo modo i pesci risalgono la scia di pastura fino a trovare il nostro amo innescato. L’incollaggio dovrà essere graduato in funzione di profondità e corrente, ed essere tanto più forte quanto maggiore sarà la velocità della corrente. Oltretutto, per raggiungere meglio il fondo è possibile addizionare i bigattini con della ghiaia per appesantire il tutto. Anche aggiungere della pastura può incrementare la funzionalità del brumeggio, giocando sull’aspetto olfattivo che si diffonde in acqua più velocemente. Al contrario, se la pesca è sospesa nelle prime fasce d’acqua, si pasturerà con bigattini liberi sul filo della corrente.

Michele Prezioso


GLOBAL@MAIL ALLA RIcERcA dEL cAnALonE Caro Dario Limone, pesco da tantissimi anni, ma ancora mi manca il salto di qualità. Pesco in spiagge profonde, che frequento durante le mareggiate, ma non riesco a capire se le mie esche sono correttamente nel canalone giusto. Ho provato a fare ricerche sul web, e davanti al monitor tutto sembra semplice, ma poi in spiaggia vengo colto dalla confusione. Help me? Francesco

Caro Francesco, proprio tre mesi fa, nel primo numero dello “Speciale surf” di Globalfishing, abbiamo trattato il canalone. Se non lo hai visto… ti meriti una affettuosa tirata di orecchie. Se osservi bene le onde durante una mareggiata, e guardi poco oltre il gradino di risacca se la spiaggia è profonda, o poco più a largo se in zona c’è un fondale basso, noterai una zona senza rifrangenza: questa situazione sta ad indicare che in quella zona c’è una maggiore profondità. Per tale motivo l’onda non vi si “scresta” ed esaurisce la sua corsa, esplodendo tutta la sua energia sulla riva. Lanciare le esche lì significa pescare nel canalone, che possiamo descrivere come un’autostrada ricca di cibo, esposto e a buon mercato, che consente ai pesci l’avvicinamento a riva per nutrirsi e a noi di rimanere in pesca in maniera più efficace, perché c’è una minore turbolenza, dovuta appunto alla maggiore profondità. Questo fenomeno si traduce sulla riva, con la descrizione di una profonda ansa sui litorali a bassa profondità, mentre crea uno scalino di sabbia sui litorali profondi. Prima di impiantare la nostra postazione di pesca è opportuno guardare il profilo della riva, meglio se lo facciamo dall’alto, laddove è possibile.

dario Limone


GLOBAL@MAIL VIVo o MoRTo Salve, mi chiamo Roberto, e la mia pesca preferita è quella dedicata al pesce serra. Queste prime giornate di caldo, con un maggio afoso, hanno portato in caccia i primi pesci, ma spesso non attaccano convinti. Non potendo dedicare tanto tempo, vorrei capire se è meglio il vivo o il trancio come in inverno. Anche perché, in base alle vostre indicazioni, vorrei impostare la battuta in modo più specifico e meno a casaccio. Grazie anticipatamente. Roberto

Caro Roberto, il serra è un mix tra mania e passione. O lo si ama o lo si odia. Questo pesce può pesare anche 12 Kg e più ed ha potenza da vendere, ma anche vista infallibile e innata diffidenza. Non teme l’avvicinamento, fin sulla riva, ma non è sempre scontato farlo attaccare. Gli esemplari XXXL preferiscono l’esca viva (è cosa indiscussa) ma deve essere proporzionata alla propria mole: insomma cefalone, non cefaletto. Gli esemplari più piccoli, invece, che si muovono più in branco rispetto ai grossi, vanno in frenesia con maggiore facilità, e spesso, in acque dove il vivo abbonda, un bel trancione rappresenta un richiamo olfattivo che si distingue dalla massa… specialmente in acque particolarmente torbide. E poi… perché non piazzare due canne, una con il vivo e l’altra con il trancione che puoi prepararti a casa e congelare per usare alla bisogna con tutto il terminale metallico montato? A casaccio no… ma perché non tattica mista? Specie in foce!

dario Limone


GLOBAL@MAIL IMBoBInAndo Sono un pescatore alle prime armi. Ho sedici anni e solo da poco mi sono appassionato alla traina. Ho ricevuto in regalo da uno zio dei vecchi mulinelli rotanti e, dovendo mettere del nuovo filo, pensavo di caricarli con dello 0,30. Amici più esperti mi dicevano che per imbobinare i mulinelli c’è una tecnica precisa, per evitare che il filo fuoriesca viziato e con delle spire pericolose. E’ vero? E come si deve fare? Angelo

Imbobinare i mulinelli non è complicato, ma bisogna fare attenzione ad usare alcune precauzioni. Ti consiglio di montare i mulinelli su una canna, magari inserendola in un porta canna per meglio destreggiarsi nelle operazioni, altrimenti dovrai arrangiarti tenendo la canna in mano. Sarà bene avvolgere il filo sul mulo facendolo fuoriuscire dalla bobina, in modo che nella rotazione non si generino torsioni sulle spire. Avremo bisogno dell’aiuto di un amico che terrà in mano il rocchetto per tutta l’operazione mentre noi agiremo sul mulinello o potremo avvalerci di uno di quei supporti specifici dotati di ventosa. L’importante è esercitare un po’ di resistenza allo srotolamento della bobina di filo, per meglio accostare le spire sul mulo, in maniera ordinata e contigua su tutta la capacità di bobina, in modo da creare una base compatta per lo strato di filo successivo. Questo è importante per evitare che durante un recupero sotto sforzo o la fuga di un pesce, qualche spira si serri su quelle precedenti, fino ad infilarvisi in mezzo, rischiando così la rottura del filo stesso.

Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL SoLUzIonI PER IL SERRA Sono arrivati i grandi serra, che riesco ad intercettare al mattino presto o la sera trainando con il vivo, ma è veramente difficile riuscire a portarli a bordo. Se pesco con il nylon o il fluorcarbon nove su dieci rompono, se pesco con l’acciaio gli attacchi diventano molto sporadici anche con trecce molto sottili e di qualità come la Sevenstrand. Che consigli potete darmi? Grazie, Genny

Il primo consiglio che mi sento di darti è di procurarti delle esche in ottimo stato: debbono essere ben guizzanti per stimolare la predazione e far perdere al serra la sua proverbiale diffidenza. E, poi, il loro nuoto non deve essere penalizzato da una montatura pesante. I pesci imparano rapidamente a distinguere i pesci innescati da quelli in libertà e, quindi, è necessario industriarsi sempre in modo nuovo. Esiste una soluzione rappresentata da un filo in titanio, leggero, sottilissimo e flessibilissimo che davvero sembra non appesantire il nuoto dei pesci esca. Basterà orientarsi su un filo da 30 lb per assicurarsi la massima affidabilità e vedrai che i risultati saranno evidenti. Non esageriamo neanche con la misura degli ami, che io ti consiglio della grandezza tra i 2/0 e il 3/0, per contenere al massimo il peso del terminale. Un ultimo consiglio è quello di fare attenzione anche alla velocità di traina, perché anche questa è importante per dare credibilità all’inganno. Quindi, se userai aguglie ti consiglio di procedere intorno ai 2,5 nodi, mentre con i sugheri 1,8 andranno benissimo.

Michele Prezioso


GLOBAL@MAIL ETERno dILEMMA… Un quesito per Domenico Craveli. Proprio in questo ultimo periodo stavo seguendo sui social alcune discussioni riguardanti l’uso del nylon o, in alternativa, del fluorcarbon, riguardo ai calamenti di traina con il vivo. Non ho chiari i punti fondamentali delle discriminanti di scelta, e il leggere pareri molto discordanti mi ha confuso. Mi piacerebbe avere una vs autorevole risposta. Cordialmente, Domenico

Sull’uso o meno del Fluorcarbon, sono stati spesi fiumi di inchiostro e spesso si ricade in considerazioni soggettive anziché oggettive, dove ognuno, ragionando con la propria testa e sulla propria esperienza, adotta una soluzione anziché un’altra. Personalmente, per semplificarmi la vita, ho adottato delle scelte di base, che però sono anche condizionate dall’uso o meno di un preciso tipo di terminali da traina. Quando, infatti, innesco pesci-esca, dalla boga al tombarello, passando per tutte le situazioni intermedie, sono solito, armando il mio terminale con un amo circle, pescare con il nylon che, a parità di diametro rispetto a qualunque fluorcarbon, ha una maggiore tenuta al nodo, una maggiore elasticità e, soprattutto, una maggiore morbidezza. Quando, invece, innesco cefalopodi, dove l’aggressione è feroce e il terminale classico a 2 ami finisce 8 volte su 10 in bocca al pesce, preferisco il fluorcarbon per maggiore resistenza all’abrasione. E l’invisibilità? Come vedi non ne ho parlato in nessuno dei due casi: infatti è un fattore che ritengo relativo in questa tecnica. A meno che il nylon non sia una corda, nei diametri usati per la traina la differenza tra i due non è così discriminante, anche perché sono le caratteristiche congiunte ad orientarci verso una scelta e non solo una singola peculiarità che potrebbe non bastare a risolvere i nostri problemi di pesca.

domenico craveli


GLOBAL@MAIL JIggIng TIME Avrei una domanda relativa agli orari migliori per la pesca a jigging. Chiedo quindi al vostro Domenico Craveli quali sono i momenti migliori per praticare il vertical. Mi sono trovato spesso a fare ragionamenti in merito, ma la mia esperienza limitata non mi permette di fare statistica attendibile. Poi nella pesca, si sa, nulla è scontato, ma avere qualche riferimento da quello che ritengo uno dei pionieri di questa tecnica mi farebbe enormemente piacere e… forse comodo per portare in barca qualche pesce in più! Saluti, Gianluca

Gianluca Ogni tecnica ha delle variabili giornaliere/stagionali che è complicato schematizzare. Questo perché i comportamentali dei pesci sono legati ad un preciso luogo e ad un preciso momento. Iniziamo a dire che il Vj non è una tecnica “magica”, che non basta muovere ovunque ed a casaccio un jig per avere successo. I pesci aggrediscono questo tipo di artificiale soprattutto in un loro preciso stato di stasi, dove per stasi intendiamo una qualunque attività, di moto o di riposo, durante la quale non c’è predazione alimentare. Questo ci permette di delineare uno scenario abbastanza verosimile: infatti, i momenti in cui il jig funziona meglio è quando appunto i predatori non sono in cerca di carne fresca. Le ricciole, per esempio, nei mesi invernali amano cacciare con il sole alto, e tendono a stare imbrancati dal crepuscolo fino all’alba, ed ecco che quindi, per questo carangide, in questo preciso periodo, la prima mattina ed il tardo pomeriggio sono i momenti in cui le probabilità di strike aumentano. I dentici, invece, diminuiscono la loro attività predatoria alimentare con l’avvicinarsi del culmine di bassa marea, situazione che li rende vulnerabili al disturbo del “ferro”. Spero che questi esempi, di due dei principali predatori che cerchiamo a vertical, ti abbiano chiarito un po’ le idee. Saluti

domenico craveli


TECNICA

Calamari nel tubo Testo di Umberto simonelli Foto: stefano vinci – Umberto simonelli

I

l calamaro è una delle migliori esche in assoluto da usarsi con la traina con il vivo: un primato indiscusso in termini di gradimento da par te dei predatori. Il nostro amato cefalopode, però, ha anche altri primati, meno graditi ai pescatori;

la dif ficoltà di reperimento e, soprat tut to, le dif ficoltà ad essere mantenuto vivo e in buona salute da un giorno all’altro per l’impiego in pesca. Ma, come al solito, l’ingegno dei pescatori spesso risolve un sacco di problemi e.. la soluzione del “ tubo” è dav vero geniale. Ad ognuno il suo.. modo di at taccare ProblEmI dI soPrAvvIvENzA Tenere in vivo dei calamari non è facile con i sistemi tradizionali. Infat ti, la vasca del vivo dell’imbarcazione non sempre gode dei dovuti ricambi di acqua per assicurare ai cefalopodi un equilibrio termico e di ossigenazione adeguato. Oltretut to, va tenuta accesa per tut to il tempo, cosa che, se non c’è una adeguata predisposizione elet trica, diventa complicato. Nella stagione calda, poi, le problematiche aumentano per il riscaldamento super ficiale dell’acqua; e poiché le prese a mare delle barche quasi sempre pescano nella sua prossimità, il problema è dif ficilmente risolvibile. Rimane anche un altro fat to: i calamari sono sensibili alla qualità dell’acqua e non


tut ti i por ti permet tono un prelievo adat to a questa necessità, sia per pulizia e presenza di idrocarburi che per salinità. Come se non bastasse, i nostri simpatici amici gommosi hanno un brut to carat tere e in cat tività si uccidono tra loro, e a volte diventano anche cannibali. E questo in breve tempo può vanificare una faticosissima pescata ed una uscita a traina.idrocarburi che per salinità. Come se non bastasse, i nostri simpatici amici gommosi hanno un brut to carat tere e in cat tività si uccidono tra loro, e a volte diventano anche cannibali. E questo in breve tempo può vanificare una faticosissima pescata ed una uscita a traina. lA solUzIoNE Il calamaro è veramente “prelibato”.. e anche i dentici e le ricciole lo sanno!

Tra le tante strade sperimentate per risolvere il problema del mantenimento di queste esche, una soluzione assai valida si è dimostrata quella di

“conser varle” in un ambito molto simile a dove sono state pescate. E questa è stata la geniale trovata di qualcuno prima di noi che ha adot tato la “soluzione del tubo”. Vale a dire che i calamari vengono alloggiati uno ad uno all’interno di uno spezzone di tubo in pvc, corredato di tappi forati che permet tono il ricambio d’acqua e che vengono poi lasciati sul fondo. Le condizioni di e

ossigenazione

la soluzione di mantenerli nei “tubi” è una buonissima idea. Questa è una

temperatura

delle possibili versioni, realizzabili con tubi in pvc, per uso idraulico. Possono

ideali

variare lunghezze e sezioni a seconda delle inventive personali

di

rimangono

e

il

cefalopode nello spazio cilindrico non si muove scompostamente e non rischia di uccidersi come pur troppo accade nelle vasche. ComE FArE Nel

video

si

vede

perfettamente come fare; sebbene suscettibile

il

sistema di

sia

ulteriori

perfezionamenti che ognuno può apportare, ci piaceva condividere una soluzione che nella stagione calda sicuramente ci risolverà non poche difficoltà. I tubi andranno assicurati tra loro, con il metodo che si


ritiene più opportuno, a patto che in acqua siano orizzontali. Una zavorra ci aiuterà nell’affondamento

TECNICA

e non sarà necessario raggiungere il fondo; anzi, è da evitare per non correre il rischio che nei tubi entri materiale di deposito, oltre al fatto che nei porti, ad esempio, gli inquinanti si depositano proprio sul fondo. E’ di vitale importanza introdurre i calamari nei tubi dopo averli riempiti d’acqua, per evitare loro traumi meccanici e metterli poi rapidamente in acqua; ovvio che è necessario riporli infilandoli dalla punta e non dai tentacoli.

Importante assicurare un buon ricircolo di acqua e allo stesso tempo impedire l’ingresso di predatori come ad esempio i gronchi che aggredirebbero i calamari, usando della retina molto fitta e robusta

QUANTo vIvoNo Questi

cefalopodi

non

tollerano la cattività e, quindi, tenerli in vita a lungo in spazi ristretti è molto difficile. Il loro metabolismo è delicatissimo e lo stress della cattura è già di per sé pregiudizievole. In genere, se pescati e slamati con cura, senza traumi e con operazioni di trasbordo soft, la nottata è assicurata per Nel video le operazione di travaso dei cefalopodi nella vasca

il 90% dei soggetti. Molto

del vivo. E’ importante che questa cosa avvenga con i tubi il più

dipende anche dall’acqua del

possibile pieni di acqua, per limitare traumi alle preziose esche

punto in cui li immergiamo.


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TRAINA

ATTACCO E FUGA

Di Domenico Craveli

l

o spietato gioco dei ruoli tra predatore e preda, valicato il confine della forza pura, si basa sul piano della tattica e dell’astuzia. Gli istinti portano quindi alla luce molte di queste doti, ma evidenziano un limite che fatalmente stravolge le posizioni: l’abitudinarietà. E’ proprio questo che

rende vulnerabile e preda anche il più spietato cacciatore. Vediamo insieme come si comportano le prede simbolo della traina con il vivo, ossia dentici e ricciole, e quali sono le nostre azioni e reazioni per favorire l’attacco ed evitare… la fuga! PesCi 2.0 Anche se la situazione non è rosea come qualche decennio fa, nel nostro mare, c’è ancora la possibilità di realizzare dei colpacci a spese dei pesi massimi che scorrazzano indisturbati anche sottocosta. Ricciole XXL, dentici di peso notevole, e tante altre specie, possono gratificarci degli sforzi compiuti. I migliori risultati però, si raggiungono nella sapiente valutazione dei particolari, specialmente adeguando attrezzature ed azioni di pesca alle prede che maggiormente potrebbero capitare in quel determinato momento e in quel determinato luogo, comportandoci di conseguenza, specialmente negli inneschi e negli attimi successivi l’attacco. sPariDi ComPliCati Il mese scorso, abbiamo affrontato in un articolo di Michele Prezioso, il particolare approccio che i dentici hanno nei confronti dei piccoli pesci esca. Bene, questa situazione ci accompagnerà fino alle porte della


stagione fredda. Il dentice attacca l’esca aggredendola nei pressi della testa e sul dorso, con reiterati morsi prima di afferrarla e, in fuga, cercare di ingoiarla. Durante questi istanti, spesso si rende conto dell’inganno e tende immediatamente a sputare l’insidia; in questo caso esca e ami di dimensioni contenute potrebbero essere la soluzione. Questo suo modo di aggredire si trasmette sulla canna con colpi secchi che ne fanno sussultare il cimino; non conviene mai ferrare in questi istanti, ma attendere a bobina libera la filata del pesce con l’esca saldamente tra le fauci. Solo allora va posizionata la leva sullo strike e va effettuata una decisa ma non irruenta ferrata, sperando che nel frattempo la bontà del terminale abbia fatto il resto. Altre volte il dentice, segue da lontano la preda, per poi scomparire dalla sua visuale, e arrivare come un dardo su di essa con un attacco fulmineo e decisivo. Questa particolare ricorrenza, è stata osservata più volte in immersione, sia con i dentici stessi, che con i loro più vicini cugini del mar rosso. riCCiole Del nuovo millennio Sua maestà ricciola invece, una volta convinta ad attaccare, e non è davvero facile, non va per il sottile, spalanca le fauci e, dalla testa, afferra con le possenti mascelle la preda trattenendola con forza. La canna si inarcherà paurosamente e una tempestiva e potente ferrata è indispensabile per far penetrare gli ami nel duro apparato boccale del carangide.

un grossa ricciola perfettamente allamata da un amo circle

Quello che segue, se l’inganno è stato convincente e i grossi ami hanno fatto buona presa, è una bella storia… sicuramente da raccontare… Se la signora non cadrà nell’inganno quel che ci tornerà sarà un’esca triste, malconcia e spesso completamente scartavetrata Sulle ricciole c’è comunque da dire che le migliori performance si hanno utilizzando un grosso amo circle. Serve tanta tecnica e pazienza quando la ricciola attacca, ma avere un’esca molto più vitale e dinamica può fare la differenza. Alcuni non rinunciano più a questo innesco, altri invece lo trovano dannoso o semplicemente non si fidano della sua affidabilità. La ricciola segue spesso le esche smusandole e colpendole senza però affondare, per testare l’esca e le sue reazioni. E un innesco che non ne penalizzi le reazioni, a volte, è l’unica alternativa. un grosso sgombro innescato all’imbrunire può regalare soddisfazioni anche nella stagione calda, quando tutto sembra fermo


PESCA DA TERRA

Sotto la spinta del vento

N

Di Michele Prezioso

el periodo primaverile la presenza del vento è spesso una costante: sventolate improvvise di intensità fortemente variabile che mettono in difficoltà i pescatori che si dedicano alla pesca con la bolognese con fili esili e piombature leggere … Vediamo come porci rispetto alle diverse

situazioni di vento con cui potremo confrontarci. Certamente non potremo trasformare, malgrado tutte le migliori soluzioni e le migliori astuzie, una situazione complicata in una pescata perfetta, ma di certo potremo contribuire a “raddrizzare” la situazione senza perdere la giornata. RivAluTiAMo il vENTo Il vento spesso lo percepiamo come nemico, ma è bene invece apprezzarne l’utilità; è importante per l’ambiente e per il mare, soprattutto in questo periodo. Perché contribuisce al rimescolamento delle acque superficiali con gli strati più profondi, partecipando al cambio di temperatura della prima fascia di acqua, oltre a trasportare in basso i nutrienti superficiali e a ossigenare il mare. vENTo iN fACCiA Quando siamo in pesca in bolognese e il vento soffia dritto davanti alla nostra postazione, diventa difficile sia stendere la lenza che tenerla in pesca, nel punto voluto e nel modo dovuto. Oltre alle raffiche ci si metterà anche il mare che, per effetto del vento, avrà la superficie più o meno mossa o increspata. Il risultato sarà quello di interpretare con molta difficoltà i segnali del galleggiante, rendendo a volte


impercepibili le tocche. Certo che prendendoci la mano e abituando l’occhio non ci faremo sfuggire attacchi netti e decisi come quelli di un sarago o di un’occhiata. Sarà bene, comunque, ottimizzare l’attrezzatura, e mai come in questi casi ricorrere ad una “inglesona” bella lunga, anche 5 metri, sarà una scelta azzeccata, o meglio ancora ad una bella bolognese lunga anche 7 e più metri, che ci consentirà di lavorare all’asciutto e mettere l’esca nel posto voluto. Dovremo abituarci al vento che ci complicherà il lancio, ma la canna lunga ci aiuterà a poggiare l’esca là dove serve.

Perché rinunciare ad una pescata che malgrado tutto potrebbe essere divertente, solo per un po’ di vento?

vENTo lATERAlE In caso di vento abbiamo capito che le canne lunghe saranno una costante ma, quando il vento arriverà al traverso, dovremo prendere delle precauzioni molto particolari. La prima sarà quella, dopo aver effettuato il lancio, di appoggiare la lenza sull’acqua per un metro almeno, facendo in modo che lavori sul pelo dell’acqua: meglio ancora usare questa tecnica con il filo di tipo affondante che, quindi, lavorerà sotto la superficie, eliminando gli effetti fastidiosi di vento e increspature.


PESCA DA TERRA

il vENTo AllE SPAllE Tra tutte è la situazione più gestibile perché,

paradossalmente,

il

vento

diventa un alleato del lancio e non penalizza più di tanto la tenuta in pesca della lenza. Piuttosto dovremo gestire il lancio per evitare che le distanze aumentino senza controllo effettuando la giusta trattenuta al momento giusto. Il vento potrebbe combinare altri guai come, ad esempio a causa dell’attrito sul filo, quello di sbobinarne un po’, fatto Trovare una postazione comoda e ridossata, comunque è importante se le condizioni meteo non sono ideali

che ci porterebbe, se non percepito, ad un ritardo nel controllo della ferrata o del recupero, causa un bando inaspettato. Quindi, è necessario non abbassare mai

la guardia. Per ciò che concerne le canne, il vento alle spalle ci concede di accorciare le attrezzature. uN fATTo Di PESo In situazioni in cui il vento e il mare rendono la pescata complessa, la piombatura ha non poca importanza. Nella maggior parte dei casi i galleggianti dovranno essere di tre o quattro grammi e verranno tarati con la metà della piombatura effettivamente necessaria. Così, malgrado il moto ondoso, il vento e la risacca, il nostro “tappo” rimarrà ben visibile, affondando solo in caso di mangiata. Il sarago, l’occhiata e la spigola, in situazioni meteo avverse, amano attaccare in modo deciso e le “affondate” saranno al cardiopalma. Le forme consigliate sono soprattutto quella sferica e a pera rovesciata dai tre ai quattro grammi.

i saraghi sono più attivi in alcune condizioni di vento



DRIFTING

Ritorno alle armi..

L

Di Aldo Benucci a stagione del tonno è alle porte e per molti è tempo di ricominciare a rispolverare le attrezzature e procedere con una revisione mirata.

Ma quali sono le cose da fare ed i punti da esaminare per avere un’attrezzatura, accessori compresi, sempre al top? quali sono i punti nevralgici, gli elementi chiave da tenere sempre sotto controllo? Vediamo insieme le cose importanti. INIZIAMO

DALLE

CANNE Se

le

canne

equipaggiate passanti

sono con

roller

è

basilare controllare con assoluto scrupolo che la rotazione delle micro carrucole

interne

sia

Controllare roller e passanti deve essere una abitudine frequente: gli attriti perfetta. Se l’ossido e la compromettono irrimediabilmente le lenze con inevitabili rotture.. salsedine rendono difficile


la rotazione o, peggio, la bloccano in fase di combattimento, sotto stress, il rischio di rottura è altissimo. Se abbiamo canne con passanti in pietra, la verifica della loro integrità sarà fatta a vista, controllando che non ci siano scheggiature e che gli anelli siano ben fissi nelle loro sedi. FILI IN BOBINA

Ami e fili .. Sono purtroppo materiali di consumo e vanno sostituiti regolarmente

Il filo in bobina è sempre un punto critico e la sua durata ha un tempo definito. Un filato di ottima qualità è affidabile, se ben tenuto e con un uso medio, per un anno; naturalmente è importante sostituirlo più spesso se in una stagione con quel filo vengono effettuate diverse catture, dopo di che sarà necessario sostituirlo. Se il filo è recente, un controllo a vista della sua integrità, sebbene sia un fatto noioso, vale la pena di farlo. Un’intaccatura, per una spira mal sovrapposta e sottoposta ad un combattimento serio, può compromettere il nylon. Quindi è bene verificarne l’integrità per il tratto mediamente più usato, assicurandoci poi che il riavvolgimento sia ben ordinato. Se abbiamo canne armate con multifibra, una passata al filo non fa male e dopo un paio di stagioni è caldamente consigliabile svuotare la bobina e avvolgere il trecciato al contrario. Un occhio al baking, neanche a dirlo, viene da sé. TERMINALI Nel concetto di sicurezza dell’attrezzatura pescante non si deve intendere solo quella di portare il pesce in barca, ma anche quello di non mandare pesci a spasso con spezzoni di lenza al seguito. In genere, un pesce con uno “svolazzo” di svariati metri di lenza non sopravvive a lungo, perché il


DRIFTING

rischio è che si leghi sulla coda provocandone un lento incaprettamento e un inutile triste epilogo. Per cui la terminalistica è bene sia sempre al top. I fluorcarbon in genere vanno sostituiti a prescindere, perché perdono la loro caratteristiche peculiari, rispetto a trasparenza e visibilità, con la permanenza in acqua. Per chi usa il nylon, visto il costo relativamente contenuto dei fili, il consiglio è quello di non esitare a sostituirli.

LE GIUNZIONI Anche e soprattutto le connessioni wind-on è bene che vengano sostituite con frequenza, così come i nodi che, se hanno già sopportato qualche strike, è proprio il caso vengano rifatti di nuovo: la sostituzione delle connessioni, nodi piuttosto che sleevers, dovrebbe essere una pratica frequente anche dopo ogni strike e dopo qualche pescata. GLI AMI Gli ami, con l’uso o semplicemente per

l’atmosfera

salina

che

inevitabilmente attacca anche quelli di scorta che abbiamo nella bag o, peggio, in barca, hanno vita breve, soprattutto, come sarebbe auspicabile, adoperando quelli degradabili. Quindi è bene Quando tutto il sistema è in forte tensione ogni elemento sopporta sollecitazioni molto importanti e tutto deve essere perfetto

provvedere a costanti sostituzioni e a riporre gli ami di ricambio sempre

nelle

loro

confezioni

e nelle scatolette provviste di guarnizione. Saremo, così, sicuri che gli agenti atmosferici risulteranno meno aggressivi nei confronti del metallo. La prova della funzionalità di un amo non è l’aspetto lucido, ma il fatto che conservi una punta affilatissima, senza la quale la penetrazione non solo è difficile ma a volte impossibile. DULCIS IN FUNDO In

ultimo,

ma

non

per

importanza,

ci

occuperemo del mulinello. Sarebbe bene riporlo pulito e lubrificato, ben sapendo che non sempre è così. Ma se con frequenza smontiamo Un amo ben affilato, penetrando perfettamente non sollecita inutilmente nodi e lenza, perché si posiziona nel modo più opportuno facendo lavorare il tutto al meglio


i ponticelli di blocco sulla canna, pulendoli dall’ossido, e li rimontiamo applicando il grasso giusto, che resista all’acqua, lubrifichiamo con lo spray tutte le parti rotanti e lo sciacquiamo spesso con acqua dolce (magari tiepida) non sarà importante quando si fa, ma che lo si faccia. Un controllo alla frizione, al preset e alla relative funzionalità è prassi scontata, con la raccomandazione, se si riscontrano problemi, di non smanettare sulla meccanica se non si ha una buona dimestichezza: è meglio rivolgersi all’assistenza autorizzata, per essere sicuri di avere di ritorno un prodotto pari al nuovo. IL MANICO Se non si smonta mai il pedone della canna dal fusto, le parti in alluminio con l’ossido diventano molto difficili da disassemblare. L’ossido, per poco che se ne possa creare, impasta le filettature delle ghiere e, nei casi peggiori, si genera anche all’interno dell’innesto, bloccando seriamente, nei casi peggiori, i due pezzi.

La manutenzione e la lubrificazione sono importanti. E’ bene prevenire formazioni di ossido che alla lunga rendono impossibile lo smontaggio dei vari componenti, fino a renderli inutilizzabili


ARGOMENTI

Catch..o.. release ?

Di Umberto simonelli

p

escare un pesce e rilasciarlo è un fatto che sta diventando sempre più comune tra i pescatori: un atteggiamento molto responsabile che rappresenta sicuramente la presa di una nuova e più evoluta coscienza etica ed ambientale.

Il fatto ha una connotazione fortemente positiva, soprattutto perché rappresenta una virtuosa novità per i pescatori in mare. Rilasciare un pesce, però, è un operazione che inizia con la cattura. Rilasciare un pesce non è una opzione da scegliere sottobordo, è un fatto a cui è bene essere preparati. LA pEscA pERché.. La pesca che noi pratichiamo è molto più che una passione; è un qualcosa di ancestrale che viene da molto lontano e che fa parte del DNA del genere umano. La pesca, insieme alla caccia, sono state le attività che hanno consentito all’uomo di sostentarsi, integrando la dieta alimentare con proteine nobili. Pescare ha da sempre significato sfamare. E, senza andare tanto indietro nel tempo fino alla preistoria, possiamo dire che la pesca, ad esempio, ha rappresentato in Italia il sostentamento di molte famiglie durante i tempi grami del secondo conflitto mondiale. La pesca in mare, come quella in acque interne, ha rappresentato la

sopravvivenza

per

molte

popolazioni. Da atto alimentare

La tecnica del catch&release è diventata una tappa obbligata se si vuole insidiare il tonno al di fuori del periodo di pesca; ma non sempre la tecnica viene applicata in modo corretto. L’ossigenazione e un combattimento rapido sono indispensabili


a tradizione radicata, ad attività ricreativa ed anche sportiva il passo è stato breve. La pesca amatoriale, oltretutto, è una passione trasversale che unisce e accomuna tutte le culture e le etnie del mondo. pRELIEvO ETIcO E sOsTENIbILE Sicuramente, e senza ricorrere a dati statistici che, fra l’altro, in Italia scarseggiano, il prelievo amatoriale è pienamente in linea con i criteri di sostenibilità che il mare ci permette, inclusi anche i prelievi, non proprio etici e corretti, di chi della pesca ha fatto un secondo lavoro (e questo non deve suonare minimamente come una giustificazione alla categoria degli illegali ndr). Sta di fatto, però, che il prelievo ricreativo, secondo il nostro parere, non può ritenersi sostenibile solo perché effettuato nel rispetto dei fatidici 5 kg/die pro capite. Ma deve essere svolto anche secondo criteri etici, concetto che per molti pescatori sembra essere il principio di negazione del divertimento. Perché per troppi ancora la soddisfazione alieutica passa per quantità e dimensioni, mentre dovrebbe stare non solo nel prelievo, ma nella capacità tecnica di insidiare le prede sempre e non solo quando capita: finestra temporale durante la quale, per alcuni, bisogna riscattare “il bianco” delle precedenti uscite o ripagarsi, almeno in pesci, del tempo e dei soldi impiegati. Va ribadito che la pesca ricreativa deve trovare la sua massima giustificazione nel fatto di prendere un pesce da mangiare ma non deve trasformarsi in inutile predazione e, men che meno, in commercio illegale. RILAscIAMO? Fatte

le

dovute

e,

speriamo, non troppo noiose premesse, entriamo

nel

merito

della

logica

del

rilascio, che si presenta

con

più aspetti. Il primo è quello che

vede

protagonisti

i

Le prede di piccola taglia, come questa giovane ricciola, vanno rilasciate per il rispetto di valori etici e biologici

pesci sottomisura ed i pesci il cui valore, per quel pescatore specifico, è rappresentato dall’azione di pesca e non dal possesso del pesce. Questo pescatore, in genere, è evoluto e preparato alle operazioni di rilascio perché sa come maneggiare il pesce e come restituirlo in ottima salute al mare.


Poi abbiamo il rilascio delle prede sottomisura che è un fatto dettato dall’obbligo normativo e che

ARGOMENTI

non sempre è condiviso da tutti e che viene praticato perché deve essere fatto, punto e basta. La medesima cosa dicasi per le catture di pesci il cui prelievo è vietato: tanto per fare un esempio il tonno.

I pelagici, come la ricciola o la leccia sembra soffrano meno la cattura e che reagiscano positivamente al rilascio. Importante la rapidità dell’azione, il non estrarli dall’acqua e una ossigenazione efficace

Salvo la prima categoria, per la quale il ragionamento è più usuale: rilasciare e rilasciare bene per far sì che quel pesce rimanga patrimonio e, quindi, investimento per il futuro è un modo di pensare che ancora non è entrato nei costumi consueti. Perché rilasciare un pesce malconcio o un pesce traumatizzato dai salti batimetrici pensando di non aver creato danni è una idiozia. Presto ingrasserà altri pesci. RILAscIO cORRETTO Il release non è la pillola del giorno dopo,

non

è

la

soluzione alla pesca a ciclo continuo … perché i pesci sono esseri viventi con un equilibrio biologico molto

ma

molto

delicato. Lo stress è una componente molto

seria

Un dentice di poco più di un kg, non può essere trattenuto. Il rilascio è complesso per l’inevitabile trauma dato dallo sbalzo di pressione che danneggia gli organi interni

che,

è risaputo, nuoce gravemente alla salute di tutta la fauna selvatica. Già di per sé la cattura è uno stress non indifferente al quale aggiungere anche l’estrazione dall’acqua, la slamatura, l’inevitabile ipossia e lo shock meccanico della manipolazione: tutto questo non può che contribuire negativamente allo stato L’uso dei circle è una buona abitudine

se

si

prevede

di

rilasciare le prede, perché è un amo che non danneggia la vitalità della preda

generale del pinnuto.


IN pRATIcA Una norma generale è quella di slamare i pesci in acqua, piccoli o grandi che siano, considerando, malgrado ciò che si dice, che un pesce demersale, ovvero che vive in stretto contatto col fondo, soffre sempre il barotrauma. Non sappiamo se un recupero lentissimo ne consenta la “decompressione” ma sicuramente potrebbe essere un tentativo. Quindi un sarago di fondale o un dentice che non si vogliono trattenere, andrebbero recuperati in “very very slow motion”. La profondità è un limite forte per i rilasci; rigettare in acqua un occhione troppo piccolo, “stappato” da 300 mt con un mulo elettrico, non serve, fisica docet. Tanto varrebbe darlo al gatto; la soluzione migliore è essere più selettivi e limitare il prelievo. Va da sé che in alcuni casi il rilascio è un punto interrogativo. Per i pelagici sembra, ma le evidenze scientifiche non sono poi così “evidenti”, che il rilascio sia perseguibile con maggior successo. Ma le attenzioni debbono essere quelli di recuperi più brevi possibili, slamature rapide in acqua e riossigenamento della preda ben fatto. Vietata la foto Le prede demersali, come questa cernia di

ricordo con il pesce in braccio, i combattimenti in ultra

fondale, come i dentici , le cernie brune ed altri,

light e “palpeggiamenti” vari, le nostre mani sono almeno

soffrono di embolie traumatiche; l’espansione dei

10°C più calde della loro pelle e questa è estremamente

volumi addominali, causata dalla decompressione dovuta al recupero, genera l’estroflessione dello stomaco e sicuramente il trauma che ne deriva compromette la vita del pesce . Molti praticano delle manovre di ricompressione, ma non ci sono evidenze scientifiche certe sulla riuscita dell’operazione

delicata.


TRAINA

A scuola d


di artificiali

Di Michele Prezioso


TRAINA

l

a traina più praticata in assoluto è quella con gli artificiali. E’ una pratica antica, che vanta radici lontane ma di una attualità sorprendente: non c’è pesce, o quasi, che non sia possibile insidiare con un’esca artificiale che ne imiti una naturale, sapientemente adoperata.

Esistono decine di tipologie di esche artificiali, per foggia, materiali e nuoto, ognuna con una sua specificità d’uso. Oggi parleremo di quella più comune in assoluto e più usata per la traina costiera. Parleremo dei minnow, ovvero le imitazioni dei pesci, capaci di nuotare e di imitare un pesce vero. SeMbra facile Premettiamo che la pesca con gli artificiali è una materia vastissima e solo apparentemente semplice, perché ingannare un pesce con un artificiale, anche se potrebbe sembrarlo, non è mai un fatto occasionale. Diciamo che, sebbene sia un fenomeno che accade spesso, quell’artificiale messo in pesca per caso, vuoi perché ci piace o perché se ne parla bene, la cattura è stato il punto di incontro di una serie di situazioni che hanno fatto la differenza e che magari non si realizzeranno di nuovo. Infatti, oltre alle caratteristiche fisiche del pesciolino contano le condizioni in cui lo si fa lavorare, da quelle del mare a quelle metereologiche a quelle del pesce foraggio presente, fino alla profondità.

Gli artificiali snodati nuotano in modo molto sinuoso e catturante, ideali per le spigole

Un Mare Di artificiali La proposta di minnow in commercio è così varia e ampia da superare anche la fantasia. Esistono un mare di modelli in una progressione esponenziale di combinazioni tra tipo, dimensione e colore. Ogni marca è caratterizzata da una tipologia di nuoto. Gli snodati, ad esempio, ovvero quelli costruiti con più pezzi incernierati, da trainare più lentamente, sono ideali per spigole e serra. I minnow con paletta a forma di “S” hanno un nuoto molto sinuoso e grande affondamento e sono ideali per insidiare i predatori di fondo. I palettoni sono capaci di scendere tantissimo, fino a quelli con le palette intercambiabili per avere due modalità di nuoto e affondamento. Nella scelta conterà la tipologia di pesce che vorremo catturare, considerando che per la traina costiera il taglio va da pochi centimetri a non oltre i 15, massimo 18 cm.

Più artificiali si possiedono e migliori sono le opportunità di trovare quello adatto alle condizioni del momento


a PriMa viSta Valutare un artificiale a prima vista è difficile, ma ci sono elementi che ce ne possono far misurare la qualità. A prescindere dalle colorazioni, che possono essere catturanti a seconda delle situazioni, quello che dobbiamo verificare è la lavorazione, la verniciatura, le palette, le ancorette e poi la stabilità in traina a velocità sostenute ed il nuoto che deve essere regolare, senza uscire dall’acqua. il nUoto Ogni pesce nuota secondo le geometrie di costruzione ed esprime meglio le sua capacità ad una ben precisa velocità. Non tutti gli artificiali funzionano. Molti sono imitazioni e per capire a vista le qualità di un artificiale bisogna avere un po’ di malizia ed esperienza. La prova del nove la si fa in barca a tre nodi, lo si fila montato su un nylon del 35, tre quattro metri dietro la barca, si poggia la cima della canna a pelo d’acqua e si vede a vista il comportamento dell’artificiale con una rotta rettilinea; poi, se dopo un paio di curve da 20-25 gradi sosterrà bene il nuoto senza bruschi cambi di direzione Una variante di casa Halco del famoso “testa rossa”

o guizzi fuori dall’acqua, potrà far parte delle nostre amate esche.

l’affonDaMento I minnow si dividono in due grandi famiglie, i galleggianti, detti floating, e gli affondanti detti sinking. I galleggianti hanno lo stesso potere attirante degli affondanti ed hanno un uso più frequente quando si pesca in bassissimo fondo. Se si vuole portare l’insidia più in profondità è il caso di usare i sinking, che affondano grazie all’effetto della portanza negativa che esercita la paletta, in plastica od in metallo, che hanno posizionata in prossimità del capo. L’affondamento dipende dalla grandezza e dalla forma, oltre che dalla velocità di traina. Esistono valori dichiarati di affondamento, che però la pratica non sempre conferma.

Una palamita di buona taglia non ha saputo resistere alla attrazione fatale di un bel palettone da 15 cm

QUanto affonDa? Capire quanto può affondare e che profondità abbia raggiunto un artificiale non è cosa facile. Ma ci sono procedimenti empirici che ci consentono di farlo, che prevedono però una serie di prove e di annotazioni che ci serviranno per creare uno schema da adoperare durante la pesca pratica. Il modo più semplice è quello di togliere le ancorette e trainare in zone sabbiose; man mano che fileremo l’artificiale, ogni 10


TRAINA

metri di lenza in acqua, applicheremo un segnalino e appena il minnow toccherà il fondo, annoteremo velocità, profondità e quantità di lenza. Ripetendo queste operazioni e variando le velocità potremo redigere uno schema molto preciso. Teniamo presente che anche la sezione del nylon avrà la sua importanza: minore la sezione, minore l’attrito e, quindi, maggiore l’affondamento. Lo stesso protocollo verrà applicato quando useremo i piombi a sgancio rapido, con l’accortezza di applicarli sempre ad almeno 30 mt dall’esca artificiale e distanti 20 mt l’uno dall’altro. Il lavoro sarà metodico, tanto da compilare una tabella di affondamento che tenga conto dei vari artificiali, delle velocità e delle zavorre.

I Rapala con paletta in metallo, da 7 cm.. un must della traina costiera!

DiStanze Dalla barca La distanza dalla barca è un valore che varia a seconda delle tipologie di pesce insidiato. Per grandi linee, possiamo dire che per pesci di branco come alletterati, palamite, cavalle, sugheri e lecce stella, una distanza variabile dai trenta ai cinquanta metri da poppa van più che bene. Per pesci sospettosi come le spigole, i dentici, le ricciole di branco e le occhiate allungheremo la lenza anche dai 50 ai 90 metri dalla barca.

I Pins non possono mancare nella bag di un appassionato di traina costiera, piccole esche per grandi catture



SURFCASTING

SURF

lo speciale

• Granchio… boccone corazzato • Il serra… famelico nella kalura • Circle… anche a surf si può


Editoriale S

iamo a 4… con questo numero abbiamo fatto il poker di appuntamenti, entrando nel periodo più complesso per il surf casting, quello del caldo, della calma piatta, quello dello scenario condiviso con chi fa beach ledgering, feeder, o semplicemente pesca fondo, in acronimo

“PAF”. I puristi della disciplina storceranno il naso, ma la passione va oltre certi limiti. Quindi, per chi avrà voglia di pescare anche senza le onde, non resta altro che adeguarsi alla stagione. Orate, mormore e serra saranno le prede più ambite, ricordandoci sempre, che maggio-giugno, sono i mesi in cui possono uscire le big dell’aureo sparide. Proprio per questo, inizieremo ad usare esche specifiche per queste bocche. Crostacei di grosse dimensioni per le orate e tranci di pesci per il serra. Sarà un alternarsi di scelte ponderate. Spesso non avremo frangenti o canaloni a darci indicazioni, ma ci aiuterà solo la memoria della conoscenza dei nostri spot. Occhio comunque ai divieti sulle spiagge frequentate dai bagnanti, in alcune remote la pesca diurna è comunque tollerata, ma siamo noi ad essere di troppo sugli arenili. Per chi non può fare la nottata in pesca, vi è comunque la possibilità di giocarsi tutto a cavallo dell’alba. Quattro ore, a cavallo del sorgere del sole, sono quanto di meglio per tentare l’orata della vita. Insomma… ce la possiamo fare. Ps: con il caldo… spesso in spiaggia birra fresca e gelati ci faranno compagnia, però … lasciamo pulito! Continuiamo il nostro viaggio!


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GRANCHIO… BOCCONE CORAZZATO

L’apparato boccale degli sparidi la dice lunga sul loro gradimento “alimentare”. Di Domenico Molari ed Craveli incisivi non temono bocconi corazzati che al loro interno custodiscono polpa succulenta… e, per questo, il granchio nero di scoglio e quello bianco di sabbia, sono crostacei molto graditi a orate e saraghi. Il loro utilizzo a surf ha quindi i suoi perché in particolare, quando tentiamo la regina gigante o il padellone maggiore.

Le orate giganti sono spesso vittima di inneschi fatte con i granchi


Vermi e anellidi hanno oramai monopolizzato il “paniere” delle esche del pescatore evoluto, ma ci

SURFCASTING

sono situazioni dove il ricorso ad esche autoctone come il granchio nero di scoglio o di sabbia, può rappresentare una soluzione vincente nei confronti di prede di gran valore come orate, saraghi e addirittura grosse mormore e, quindi, il suo utilizzo è tutt’altro che un malinconico ripiego. Su fondali particolarmente ricchi di minutaglia, gli inneschi classici vengono letteralmente divorati dai piccoli pesci, risultando inefficaci già dopo pochissimi minuti. Neppure un grosso bibi riesce a rimanere intatto per le attese lunghe che sono una costante per le grandi prede. Ed allora cosa fare? CACCIA AL GRANChIo

Un granchio di scoglio appollaiato su un sasso ma in allerta.

Con un po’ di pratica non sarà difficile procurarsi un buon numero di crostacei per affrontare tranquillamente qualche ora di pesca. Avremo diverse opzioni per catturarlo in relazione alla specie. Per quelli di scoglio, la caccia diventa un siparietto che è meglio rimanga nel privato di ognuno. I più dinamici potranno tentarlo direttamente a mani nude sollevando i ciottoli delle scogliere basse nei pressi dell’acqua, avendo accortezza di bloccare bene le chele sotto il corpo del granchio appena lo si afferrerà. Altro metodo è quello di disporre delle esche (ad esempio le sardine) all’interno di un retino o di un secchio inclinato, in modo che i granchi abbiano la possibilità di entrare e non di uscire. Ma i granchi neri possono anche essere “pescati”: infatti, calando tra gli anfratti della scogliera uno spezzone di lenza lungo circa un metro e mezzo recante un amo innescato con qualunque cosa (verme, gamberetto, patella, ecc.), questi crostacei non tarderanno ad agguantare il boccone con le chele, tanto avidamente da lasciarsi “sollevare”, per poi magari mollare la presa quando oramai è troppo tardi. Questi granchi vivono tranquillamente per qualche giorno in una bacinella con pochissima acqua


e

qualche

straccetto

all’interno.

Per i granchietti di sabbia la cosa è più complessa. Non si trovano ovunque e, dove la loro presenza è certa, di solito, la battigia è arata da tutti i pescatori che li cercano. Per catturarli, basta munirsi di un piccolo rastrello e lavorare superficialmente la sabbia nei pressi della battigia, dove l’acqua arriva appena. I granchi amano stare proprio li. Appena “scoperti”, nel doppio senso del termine, saranno afferrati a mano. Operazione

che

richiede

grande

vista e rapidità. Diversamente, si può disporre delle esche negli stessi punti, come una sardina infilzata con un legno, ed attendere che escano

Granchi neri in trappola

allo

scoperto.

Questa

soluzione

funziona però dove la popolazione di granchi è massiccia. Meno altrove. IN peSCA Uno dei limiti del granchio è, probabilmente, la scarsa tenuta al lancio. Fare ricorso a qualche giro di filo elastico può aiutare a forzare un po’ la stoccata. Considerando che è un’esca che viene masticata, specialmente

dalle

orate,

è

consigliabile lasciare le canne nei picchetti con qualche metro di bando, in modo che la preda possa saggiare il crostaceo, spostarsi di qualche metro, magari risputarlo e infine ingoiarlo. Una trazione anomala potrebbe in questo caso allarmare

Un granchio innescato con due piccoli ami, soluzione che garantisce

un grosso esemplare di orata e farlo

anche grande vitalità all’esca. per forzare i lanci è necessario legare

desistere dall’affondo finale.

l’amo insieme ad una o due zampe in modo solidale con del filo elastico

Per lo stesso motivo di cui sopra, anche la scelta dell’amo è di fondamentale importanza: deve essere robusto e soprattutto leggero, per resistere alle placche ossee degli sparidi, ma allo stesso tempo lasciando quasi neutro il peso del boccone. Ottimi sono i beack, ricurvi e con ardiglione pronunciato, misura n° 2 per orate e grossi


saraghi, n°4 per saraghi e mormore, abbinati a lenze di diametro compreso tra lo 0.25 e lo 0.35 in

SURFCASTING

base alle “ambizioni”. Se tutto sarà ok, una ferrata poderosa farà da preludio ad un recupero al cardiopalma, spesso spinto al limite perché su fondali ostici non si può concedere nulla alla preda… ma questa è un’altra affascinante storia. UNA mARCIA IN pIù

Anche se può variare da zona a zona, tra la primavera e l’estate i granchi mutano la propria “corazza”. Durante questa fase il loro carapace è molto molle, e quindi il crostaceo diventa estremamente appetibile dagli sparidi. Ma non solo: le sostanze che vengono secrete per la ricrescita del carapace stesso sono molto odorose e riescono ad attirare in modo esponenziale le potenziali prede. Non a caso, il granchio diventa in questi periodi estremamente efficace, e non teme confronti con qualunque altra esca.


IL SERRA… FAMELICO NELLA KALURA

Il pesce serra è una specie assai comune lungo le nostre coste. Maggio è il periodo in cui questi pesci riprendono a frequentare gli arenili in modo assiduo. Nel surf casting moderno, rappresenta una preda di gran valore sportivo. E’ un pesce eurialino; infatti penetra nelle foci dei fiumi per cacciare i cefali. La sua alimentazione è varia, mangia tutto quello che è presente nel suo territorio. Può superare il metro di lunghezza e pesare più di 10Kg. Il serra… ha proprio un brutto carattere e questa sua particolare indole così aggressiva, dovrà essere sfruttata dal pescatore per arrivare alla sua cattura con continuità. Conoscere le

Canna in azione nei pressi di una foce. Da notare il tipico colore

sue abitudini, significa sapere con certezza

marrone dell’acqua torbida ricca di muggini… e quindi di serra!”

matematica le aree dove è presente, e quindi, concentrare le nostre mire in settori e momenti ben precisi, adeguando tecnica e strategia. SpoT Le zone sabbiose miste in prossimità dei porti, la foce dei fiumi e dei laghi salmastri sono i suoi luoghi di caccia per eccellenza. A volte stazionano sulla stessa spiaggia per molto tempo, e se le condizioni sono proprio favorevoli, ci ritorneranno di anno in anno. La batimetrica è un optional, visto che sferra i suoi attacchi fin sulla battigia, facendo spiaggiare i pesci in fuga.


SURFCASTING Il buio manda i serra in frenesia. Non è raro imbattersi in serate dove gli strike si registrano a decine. molti pesci non si ferrano. In ogni caso, autoregolamentarsi con le catture, anche se si tratta di un pesce infestante, è una buona cosa

A Che oRA mANGIA. Generalmente dal cala sole a notte inoltrata è il momento migliore; come per tutti i predatori la variazione di luce ed il buio favoriscono l’agguato. Presso la foce dei fiumi la caccia può avvenire anche in diurna, ovviamente il tutto è condizionato dalla presenza dei branchi di pesce foraggio. Come mANGIA La gregarietà della specie porta ad elaborare delle vere strategie di caccia con la circuizione del branco di pesci foraggio. Gli attacchi sono fulminei e cruenti; il serra spesso uccide la sua preda senza cibarsene. Questo comportamento è oggetto a tutt’oggi di discussione, senza nessuna risposta certa. A differenza di altri predatori il serra attacca la preda da dietro e non dalla testa. Quest’azione porta spesso alla cattura di prede ancora vive, ma mutilate. Le carni dilaniate riportano perfettamente lo stampo della

Negli ultimi tempi, l’innesco del filetto, tra i surfcaster, ha superato l’uso del vivo, senza precludere il risultato


bocca del serra. Possiamo usare sia dei filetti di pesce, che pesci vivi. Tra i filetti sono da preferire il cefalo e la spigola d’allevamento; entrambi validi per il discreto contenuto di grasso delle carni. Il filetto deve essere lungo tra i 10-12 cm, meglio con un flotter di polistirolo, per renderlo più appetibile. Possiamo usare da 1 a 3 ami, tipo beak dal 3/0 in poi. La soluzione che preferiamo è ad un amo, con la punta ben in mostra; in tal modo ci garantiamo la penetrazione nel duro palato. L’attacco al trave si preferisce alto, tipo short rovesciato, se c’è corrente od un fondo sporco ( sassi, alghe, etc.); basso, a 10 cm dal piombo, se la condizione del fondo è pulita senza corrente. Per il vivo usiamo 2-3 ami in tandem sul cavetto; il tutto è legato alla grandezza dell’esca. Alcuni pesci come il cefalo resistono a lanci accompagnati, altri devono essere filati in mare con la tecnica della teleferica.

L’ATTACCo Dopo aver messo in pesca l’esca, se il serra è in zona, passeranno solo pochi minuti dall’attacco. Un primo segno è la vibrazione laterale del cimino

della

canna,

dovuta al tentativo di fuga del pesce esca che annuncia

l’imminenza

dell’attacco. Il serra si produce in fughe laterali con spettacolari salti, specie

in

prossimità

della riva. L’emozione che

ne

veramente Attenti

a

deriva

è

intensa. slamare

il

pesce, la sua dentatura non perdona. Il valore della

sua

cattura

è

legato al fatto che è un indomito combattente.


SURFCASTING


CIRCLE.. anche a surf si può

Ami circle e surfcasting, un connubio che sembrava impossibile, quasi come un frutto illegittimo, che invece può rappresentare una soluzione alternativa quando si cercano grandi pesci con fili sottili. Gli ami circle, nascono per la pesca dalla barca ed erano inizialmente disponibili solo in misure xxl, destinati ai grandi predatori oceanici. Man mano il loro utilizzo si è diffuso anche in tecniche più light, come la traina con il vivo, il drifting leggero, e il bolentino. Proprio quest’ultima tecnica, ci ha dato lo spunto per una esportazione d’uso nella pesca dalla spiaggia. IL peRChé DI UNA SCeLTA Pesci sempre più sospettosi, impongono un progressivo alleggerimento di lenze e terminali, che mal si coniugano con apparati boccali armati di denti, placche ossee, ed affini. Ed allora perché non usare un amo che nella quasi totalità delle volte trova appiglio ai margini esterni della bocca, solitamente tra mandibola e mascella e che impedisce alla preda di slamarsi rendendo i recuperi meno incerti. Soprattutto nelle ultime fasi di combattimento quando la preda cambia continuamente assetto nel cavo dell’onda o a ridosso del gradino di risacca.


SURFCASTING

Il circle mette al riparo il terminale dalle fauci del predatore. e se anche un serra si può allamare con questi ami… quindi!!!

GLI INNeSChI Considerando che nella pesca dalla barca si è soliti legare l’amo con un asola, in modo che sia libero di ruotare quando è nella bocca del pesce, e non vincolato da un nodo serrato sul suo occhiello, abbiamo all’inizio ritenuto fondamentale replicare anche a surf questo tipo di montaggio. In realtà, con numerose prove, ci siamo resi conto che l’amo compie il suo egregio lavoro anche con legatura classica e che espleta le sue peculiari caratteristiche di infissione nell’apparato boccale del pesce, anche se ben assicurato all’interno di un salsicciotto da serra, oppure in una striscia di cefalopode per spigole ed orate. Anche su grossi vermi ed anellidi va bene, a patto di innescare con ago passante dal lato del capo libero del filo che poi andrà alla girella del trave. Una piccola noia che ci limita in velocità d’azione, ma che ci permette di stare tranquilli in caso di cattura importante.

Una spigolotta è rimasta vittima di un circle celato in un salsicciotto di cefalopode. Il serranide è stato rilasciato in ottima salute cosa che ci ha confermato la bontà della soluzione adottata. Da notare il punto di infissione dell’amo, nonostante la sua evidente sproporzione con la mole della preda


AUTo-FeRRANTe.. SI FA peR DIRe l circle, conosciuto anche come auto-ferrante, in realtà tanto auto-ferrante non è, infatti per lo strike, è necessaria una certa forza contraria per permettere all’amo stesso di penetrare in un punto comunque complicato della bocca del pesce. Per rendere efficacie il tutto infatti, è necessario che la canna sia ad azione ripartita e che la frizione abbastanza serrata, diversamente, meglio optare per ami classici, poiché si rischierebbero numerosi “lisci”. Anche il filo in bobina non dovrà essere troppo sottile, uno 0.25/0.26 non eccessivamente elastico, fa la sua parte. Infatti, pensare che un circle possa inffiggersi, con uno 0.20/0.22 a 70/80 metri da noi è pura utopia. Quindi tale soluzione per essere funzionale ha bisogno dell’equilibrio di tutto il complesso pescante, diversamente, si avranno più dolori che gioie. Il circle è un amo che o si ama o si odia, non rappresenta la chiave di volta per tutte le situazioni, ma ha un campo di applicazione vasto e, soprattutto con le grandi prede, secondo il parere di chi lo usa da anni, non ha rivali.


Copertina parlante Angler: Dario Magi Preda: Dentice (Dentex Dentex) Peso: 8,5 kg Periodo di pesca: maggio Ora della cattura : 16,00 LocalitĂ : Santa Teresa di Gallura Tecnica: Traina con esca viva Esca: Calamaro Fondale: Roccia e misto ProfonditĂ : 58 mt

FOTO: Fotocamera: Nikon Esposizione: Auto Tempo di scatto: Auto Modo di misurazione: Multi-zona




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