Globalfishing 09

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i sà che i pescatori sono un po’ monotematici e parlano sempre della stessa cosa. E forse anche io nei miei editoriali sarò certamente ripetitivo, come in questo caso in cui vi parlerò nuovamente di cianciole, partendo da un fatto accaduto nelle mie zone di pesca.

Nella notte di pochi giorni fà ha fatto il giro, tra i pescatori di Ostia e dintorni, la foto dello scarico di una sessantina di ricciole, tra i 10 e i 35 kg pescate con la rete a circuizione; riferiscono voci ben informate essere il frutto di una o più cale fatte a Torvaianica, dove casualità vuole, esista una area marina protetta i cui fondali sono ricchissimi di biodiversità e quindi anche di molte varietà di pesci tra stanziali e pelagici. Ed ultimamente era apprezzabile anche la presenza della Seriola Dumerili. Per noi che conosciamo meglio di chiunque altro le abitudini delle nostre prede, con cui abbiamo quel contrastato rapporto, incomprensibile per molti, di amore e prelievo, non possiamo credere che il “saccheggio” sia avvenuto in zone limitrofe a quelle della AMP perché, quei pesci ed in quella quantità, non si sarebbero mai spostati altrove, visto che quella zona è l’unica dove sussistono le condizioni ideali per la loro attività alimentare. Altra dimostrazione del fatto è stata quella che la mattina seguente la rarefazione delle presenze, che siamo usi controllare scandagliando, a detta di molti, era cosa assodata. Come se non bastasse abbiamo registrato la presenza di due ciancioli, per buona parte del giorno, intenti a pattugliare le zone perimetrali esternamente all’area. Sicuramente i pesci sono andati… finiti ad arricchire il bilancio della pesca professionale, impoverendo sempre di più il mare, per altro in una zona che dovrebbe rappresentare un polmone, un’oasi sicura. Questo il fatterello, niente di nuovo sotto il sole, normale amministrazione per cosi dire, fatti che chissà quante volte si ripeteranno ancora nei nostri mari. Ma da questa storia che per vicinanza, mi ha colpito maggiormente, nascono delle riflessioni o meglio delle domande. Come è possibile che pescherecci provvisti di sistemi di individuazione obbligatori, possano agire senza che nessuno se ne accorga? E cosa li ha indotti a mettere in moto l’azione, costosa, di pesca? Chi li ha informati della quantità di pesce? La risposta è semplice e viene fuori da una vecchia storia. Il vantarsi delle catture da parte di qualche ricreativo a caccia di una manciata di like e soprattutto l’immancabile vendita ILLEGALE di un pesce al pescivendolo di zona fa scattare l’allarme… Ma le domande continuano. Se si sono messe in atto manovre di protezione per pesci a rischio, come è possibile che non sia prevista una norma che vieti le cianciole che sono vere e proprie armi di distruzione di massa, per specie dalla biologia delicata come le ricciole, i dentici e le orate? Un quesito al quale nessuno ha saputo darci risposta. Ultimamente abbiamo assistito, spesso, a vere e proprie azioni di disturbo da parte di ambientalisti d’assalto, ai pescatori e ai cacciatori. Incontri, o meglio scontri, che qualche volta sono andati ben oltre le parole, con evidenti azioni di prevaricazione verso chi esercitava, la caccia o la pesca nel pieno diritto e rispetto delle regole. Ma perché gli ambientalisti non si agitano anche quando in un sol colpo muoiono migliaia di orate cariche di uova o vengono pescati quintali di pesci che mai si sono riprodotti e che, o vengono venduti illegalmente o ributtati in mare, a fronte di una norma che chiamare discutibile è poco? Vogliamo dire, ancora una volta, visto che noi pescatori parliamo sempre delle stesse cose, che forse c’è qualcosa che non va? La risposta è affermativa, non ci sono dubbi. Ma la prossima domanda è: quanto vogliamo ancora aspettare a farci sentire? Quanto si dovrà ancora impoverire il mare prima che la legalità e la logica possano essere ripristinate?


GLOBAL@MAIL gel coat Ho subito dei danni alla fiancata della mia barca a causa di una collisione con un’altra barca in manovra, mentre la mia era ormeggiata regolarmente. La fiancata è abrasa e sono evidenti i danni perché la verniciatura esterna è segnata profondamente. Mi dicono che per ripararla dovrò rifare tutta la murata esterna e i costi che mi hanno preventivato sono da capogiro. Quando l’assicurazione della parte responsabile mi propone importi decisamente diversi. Sono perplesso e vorrei un consiglio. Mario Ciao Mario, detta così, mi offri poche opportunità di valutazione. Anche le foto che mi hai inviato sono poco esplicative. Posso darti una risposta generica, sulla scorta di una esperienza simile capitatami lo scorso inverno. Escludendo i danni strutturali che sono valutabili solo dopo una accurata perizia, consigliabile se i danni sono veramente gravi, dove per gravi si intende la presenza di lesioni della vetroresina, il resto è principalmente estetico. Sebbene l’asportazione del gel coat, ovvero la parte che riveste la vetroresina e che tu chiami verniciatura, scopre la vetroresina rendendola permeabile all’acqua. Cosa assolutamente dannosa. Infatti lo strato superficiale, oltre che una finitura estetica, è paragonabile alla pelle; protegge e isola la struttura interna a cui è delegato l’aspetto strutturale. Tornando al tuo problema, posso dirti per esperienza personale che se il danno è esteso e vuoi riportare la fiancata alla condizione ottimale non c’è che abrasivarla e riverniciarla con il gel coat e poi, dopo alcuni cicli di spianatura con carte abrasive molto leggere, passare alla lucidatura: soluzione lunga e costosa. L’alternativa è trovare un ottimo artigiano che effettui ritocchi sempre in gel coat, a colore, e poi cerchi con molta pazienza di portare a livello le stuccature e poi lucidare a fondo tutta la barca. Una alternativa originale può essere quella di ripristinare i danni e poi procedere con il wrapping, un metodo molto in voga in America, consistente nell’applicazione di una speciale pellicola che può coprire tutto lo scafo o semplicemente disegnarvi decorazioni molto interessanti, cambiando l’aspetto della barca e rinnovandone l’aspetto. Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL calamari al fresco Sono già arrivati i calamari ma l’acqua è ancora calda e mantenerli in vita a lungo nella vasca del vivo è ancora complicato. Ho letto in rete di molte soluzioni, da alcune a dir poco stravaganti (con ghiaccio e dissipatori) ad altre più probabili, condite da infinite discussioni su portate d’acqua e ossigenazione. Morale: se prima avevo le idee confuse adesso diciamo che non so proprio cosa fare. Ho letto della soluzione dei tubi, proposta sulla vostra rivista, ma vorrei trovare una strada meno laboriosa che mi consenta di non trafficare più di tanto e conservare i cefalopodi almeno per una notte … Francesco

Carissimo Francesco, eccoci qua di nuovo ad esplorare uno degli argomenti più complessi. Premettiamo una cosa. I calamari vivono in profondità, in acqua più fredda; infatti, nella stagione estiva ed autunnale li peschiamo a fondo, mentre l’acqua di cui disponiamo è quella superficiale, più calda anche di 10°C. Questo pregiudica la vita dei cefalopodi già durante il recupero; perché lo shock termico vale anche al contrario, dal freddo al caldo. Poi ci sono alcuni soggetti più resistenti ed altri meno. Inoltre, la promiscuità è un altro elemento che mal tollerano. Quindi sarebbe necessario avere una vasca refrigerata; ma disporre di acqua fredda richiederebbe un frigorifero specifico che fosse in grado di abbattere svariati gradi. A meno che tu non abbia tanti soldi da investire in tecnologia, gruppi frigo e molto altro, l’idea è da abbandonare. Refrigerare l’acqua con del ghiaccio e improbabili sistemi di scambio è un traffico mica da ridere, che oltretutto dura poco. Tanto vale usare le piastre eutettiche dei frigo portatili che hanno una inerzia maggiore del ghiaccio e buttate nella vasca, con un moderato ricambio d’acqua e qualche prova, forse, possono aiutare. Rimangono due soluzioni in attesa dell’inverno. Una è la nassa lunga e capiente da lasciare sotto la barca, stesa da poppa a prua, affondata il più possibile, ma non a contatto del fondo. Per ultimo puoi tentare di pescare acqua sul fondo, realizzando una presa a mare remota con un tubo e un peso, affondandola il più possibile. Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL INCHIKU’S REEL Gentilissimo Domenico Craveli, ho iniziato a fare inchiku con attrezzature di “fortuna” riciclate dal bolentino, ma adesso ho la necessità di dotarmi di un corredo pescante adeguato. Il mio dubbio più grande è quello relativo alla scelta del mulinello rotante: sono mancino e, francamente, non mi so regolare più di tanto. Potresti aiutarmi in questa scelta un po’ complicata? Alberto A.

Gentile Alberto, nelle tecniche verticali, il mulinello è l’investimento più importante da fare: l’usura da stress in queste tecniche è notevole e un” giocattolo” rischierebbe di diventare inutilizzabile nel giro di poco tempo. All’inizio anche io ho utilizzato prodotti nati per altri usi… ma i primi pesci seri mi hanno obbligato ad aprire il portafogli. Personalmente ho un Abu Revo Toro Winch, ed ho avuto un Daiwa Ryoga by Jigging. Potrai trovare comunque modelli validi tra i piccoli Okuma, o gli Avet, o gli Shimano Scorpion Ocea Jigger. E’ solo una questione di budget, e dipende pure da quanto spesso vai a pesca. Se le tue uscite sono occasionali, rimani sulla fascia bassa, mentre, per usi intensivi non lesinare ed investi in un prodotto top. Magari spenderai tra le 300 e le 500 euro, ma ti ritroverai tra le mani uno mulinello vero, che ti accompagnerà per molte uscite e non avrà problemi a confrontarsi anche con prede big che possono capitare.

Domenico Craveli


GLOBAL@MAIL PRELIEVO INTENSIVO Carissimo Domenico Craveli, ti seguo da sempre e leggo avidamente tutti i tuoi articoli, compresi i tuoi interventi su facebook che apprezzo moltissimo. Devo anche aggiungere che l’aspetto didattico è stato determinante nella mia crescita di pescatore, appassionato come te di surf, traina e tecniche verticali. La mia domanda è tra il tecnico e la sottile polemica. Vedo sempre di più pubblicazioni di catture multiple e se da una parte mi provoca indignazione, perché mi sembra del tutto inutile prelevare tanto pesce, dall’altra la capacità di rimanere sulle prede e ottenere questi risultati mi incuriosisce; ma soprattutto dal punto di vista tecnico. Vorrei un tuo parere, non solo sull’aspetto etico... Gianni M.

Carissimo Gianni, la pesca non è uno sport, o almeno io non lo ritengo tale. E’ un modo per rivivere un istinto che abbiamo dentro, che deve trovare appagamento nel percorso che porta alla cattura, non nella cattura in sé. In 30 anni di mare, ricordo poche pescate, durante le quali siamo andati oltre il secondo pesce. Non serve prelevare senza freni sfruttando un momento di intensa attività, perché la valenza tecnica, in quelle circostanze è nulla. Quando i pesci perdono l’inibizione, sono loro a “pescarci” e non viceversa. Negli anni, più che il prelievo in sé, mi ha sempre affascinato capire quello che succede di sotto ed oggi la tecnologia ha permesso di dare risposte a domande che mi sono posto agli albori dell’approccio alla pesca. Ecoscandagli evoluti, telecamere, devono essere mezzo di risposta, più che mezzo di ulteriore cattura. La capacità di rimanere sulle prede è nulla, al cospetto della capacità di trovare uno ed un solo pesce, al variare delle condizioni, in diverse sessioni di pesca. Spero di essere riuscito a trasmettere il mio pensiero. Un saluto Domenico Craveli


GLOBAL@MAIL tonni con il vivo Ho sempre pensato di provare a pescare i tonni con le esche vive. Però non saprei proprio come impostare la pescata. In particolare non saprei quale esca scegliere, come strutturare la pescata e non saprei neanche se poi è così facile e soprattutto fruttuoso insidiare i tonni in questo modo. Mi piacerebbe che Aldo Benucci mi desse un suo parere ed un suo consiglio. Vincenzo B.

Ciao Vincenzo, intanto ti ringrazio per aver chiesto un mio parere. Io non uso con consuetudine il vivo per insidiare il tonno e quindi non ho una casistica estesa per poter dare dei consigli generalisti. Essendo appassionato di drifting puro sono

uso

adoperare

quasi

esclusivamente alacce e sardoni. A volte, quando sono di facile reperibilità e siamo a conoscenza del fatto che i tonni non siano in attività alimentare molto elevata, mi procuro dei sugheri o degli sgombri, meglio se di taglia, che tengo nella vasca del vivo. Ricorro all’esca viva quando lo scandaglio segnala presenza di tonni solitari che non attaccano le esche ed allora li sollecito con pesci che potrebbero essere quelli di cui si cibano in quel momento. Spesso la strategia funziona ma, ripeto, non è una pratica usuale e diciamo che mi gioco il “jolly” per stuzzicare la curiosità del tonno con la vivacità dell’esca viva. Aldo Benucci


GLOBAL@MAIL un bel regalo Presto sarà il mio compleanno (compirò “i miei primi quarant’anni”) e il regalo che mia moglie ha deciso di farmi sarà un bel mulinello per il drifting. Sono però molto indeciso su cosa scegliere; il budget di mia moglie è sufficiente, ma vorrei cercare, anche integrando la cifra, di prendere uno strumento che duri per la vita e che, soprattutto, non diventi presto obsoleto. Quindi vorrei capire quali sono le caratteristiche essenziali che individuano un prodotto al top e quali quelle inutili. Pescherò in modo classico con il nylon e non so, ad esempio, se la doppia velocità può essere importante, così come la misura della bobina. Mi date un aiuto? Luciano Ciao Luciano, sei proprio fortunato ad avere una moglie così generosa … e sei fortunato anche perché il mercato oggi offre una gamma vastissima di mulinelli adatti alla pesca al tonno. Comincio con il dire che è meglio spendere un po’ di più e acquistare un prodotto di qualità, piuttosto che uno più modesto magari con la scusa che non capitano tonni

importanti

e

che

non saremo così assidui nell’andare a pesca. Un buon prodotto non si rompe e mantiene il suo valore nel tempo, a tutto vantaggio della rivendibilità. Io pesco solo con Alutecnos, che ritengo uno dei prodotti migliori in assoluto, concepito per durare e realizzato con tecnologie in uso per la costruzione di pezzi aereonautici. Addirittura preferisco quelli a doppia velocità, anche se, con i tonni di media e piccola taglia che ci sono negli ultimi anni, l’uso della ridotta è molto raro. Però sono molto validi anche i Gladiator, i Penn International e gli Everol. Ti consiglio di pescare con un nylon 50 lbs, per cui scegli un mulo che abbia la capienza di almeno 500/600 metri di lenza. Cerca, inoltre, di orientare la scelta su un prodotto made in Italy. Sono tutti attrezzi di ottima qualità ed in più non avrai mai problemi se avrai bisogno di ricambi o assistenza. Aldo Benucci


GLOBAL@MAIL BRILLATURA Cari amici di Globalfishing, da appassionato di surf, volevo delle info in merito alla realizzazione delle brillatura, capace di risolvere una serie di problematiche relativamente ai terminali dalla spiaggia. Mi interessa perché è una soluzione che ho visto usare a molti garisti e il fatto mi intriga, vedendo che quelle lenze erano praticamente esente da grovigli. Colgo l’occasione per farvi i complimenti per la rivista. Antonello T.

Caro Antonello, come hai giustamente scritto, la brillatura risolve molti problemi nella costruzione dei terminali. Nelle lenze ultra leggere, permette di realizzare dei travi senza girelle e nelle situazioni normali, invece, limita di molto i grovigli del bracciolo. Esistono molti modi per realizzarla e la mia preferenza rimane per un procedimento un po’ laborioso, ma dal risultato eccellente. Potrai trovare la video-descrizione sul nostro sito, nella apposita sezione video. Di seguito il link di riferimento. http://www.globalfishing.it/video/video/latest/tecniche-di-costruzione-la-brillatura.html

Dario Limone


GLOBAL@MAIL SOTTO SHOK Gentile Dario Limone, sono un appassionato di pesca dalla spiaggia, e sono passato da una attrezzatura “vintage”, ossia canna parabolica e lenza diretta in bobina, ad una più performante, nello specifico 3 pezzi con potenza 150gr in side, e mulinello shimano 14000. Ho in bobina uno 0.23, e devo collegarlo al parastrappi. Cosa mi consigli? Ho seguito a Roma un tuo seminario che è stato illuminante. Grazie ancora. Un caloroso saluto. Fabio F.

Caro Fabio, i due nodi principali per legare la lenza madre allo shock leader sono l’allbright special ed il competition. Il primo nodo ha un profilo conico con la punta rivolta verso l’anello apicale per favorirne l’uscita durante il lancio e conserva, se ben eseguito, fino all’85 % del carico di rottura del filo. Il secondo è il meno ingombrante ed è soprattutto usato nelle competizioni di long casting, ovverosia di lancio tecnico; si esegue avvolgendo con un nodo uni lo shock leader, sulla cui estremità, con l’aiuto di un accendino, sia realizzerà una pallina sulla quale, dopo aver assuccato il nodo uni, lo si porta a battuta.

Dario Limone




TRAINA

MOMENTUM

L

Di Domenico Craveli

a traina con il vivo è fatta di strategia dinamica per un corretto approccio allo spot. Portare a spasso un vitale boccone non sempre basta per arrivare alla preda, specialmente in quelle condizioni in cui i predoni sono poco attivi ed assumono una precisa posizione di attesa rispetto alla secca, allo scoglio isolato o alla scogliera sommersa. Ma come si fa a capire se è il momento giusto di attività? Come si fa a capire come stanno i pesci in quel preciso spot e in quel preciso momento?

Timing comportamentale

Le ricciole hanno un atteggiamento che varia durante l’arco della giornata in funzione della corrente. Ferme con il muso contro il flusso anche sul fango, oppure in pattugliamento su vaste aree, tra formazioni rocciose e zone apparentemente prive di riferimenti. Le loro strategia di caccia non prevedono agguati, ma aggressioni alle prede in difficoltà.


Quando approcciamo una specifica preda o, meglio, ad un range di potenziali pesci che frequentano la stessa area, entriamo in una sorta di circolo vizioso di variabili, che possono rendere la pesca miracolosa, nel caso di frenesia promiscua, oppure trasformare la giornata in una dolorosa disfatta. E’ indubbio che i pesci alternano momenti di attività predatoria ad altri di stasi, ma non basta a capire cosa può succedere in un arco temporale definito. In alcuni casi, l’effetto sorpresa, ad esempio, può regalare uno strike insperato, di solito si arriva su un punto da soli e il pesce mangia appena caliamo e poi, nulla più per ore ed ore. Oppure, i pesci ci sono, ma un numero importante di barche in traina li disturba e non mangiano; perché sono distratti da tutto quello che gli passa davanti. Di solito, in questo specifico caso, se non si raggiunge il punto d’acqua, e non inizia la frenesia alimentare, non c’è nulla da fare.

Tra azione e reazione

Il dentice è un predatore che insidia le sue vittime giocando d’astuzia e tendendo agguati fulminei alle prede ignare

Ogni pesce ha delle caratteristiche comportamentali di attacco assolutamente tipiche della razza e che determinano l’atteggiamento quando è in “modalità caccia”. Capendo questo, è possibile adeguare le nostre mosse… ops… le nostre traiettorie. Cerchiamo quindi di standardizzare, in “pillole di traina”, le metodiche con cui impostare la pescata, in presenza delle prede simbolo della traina con il vivo, i dentici e le ricciole.


TRAINA

Ricciole

Il “manuale” classico della traina, prevede che lo spot di interesse venga approcciato con dei passaggi che idealmente disegnino un “8”. Questa, sebbene più semplice, però è la strada meno “precisa”, perché se invece riuscissimo ad individuare la direzione della corrente in profondità, con quasi matematica certezza troveremmo le ricciole dal lato della secca a favore di essa, con il muso rivolto contro la corrente stessa. Questo perché il carangide non caccia mai effettuando degli agguati, bensì puntando le vittime designate che gli vanno incontro nuotando agevolmente a favore del flusso e che sono palesemente in difficoltà nel tentare una fuga nel verso opposto durante l’attacco delle “Dumerili”, cosa che avviene nei momenti in cui i flussi di marea sono in fase crescente o decrescente. Nei rispettivi culmini, quando le acque si fermano, invece i predatori sono più attivi a livello motorio e sono loro a spostarsi e quindi, rende più facile intercettarli. L’imbarcazione potrebbe rappresentare un fastidio per le ricciole, specie se disturbate, e non sono rari i casi in cui bisogna allontanare da poppa le esche anche oltre i 50 metri. Solitamente è bene arrivare nella “strike” zone con le esche in quota, evitando di intervenire sul mulinello per adeguare continuamente la profondità, per non aggiungere disturbo all’azione.


Dentici

I dentuti sparidi agguati, nascosti opposto rispetto radente, laterale

sono, a volte, un po’ più schivi, e preferiscono cacciare effettuando anche “olfattivamente” sottocorrente alle possibili prede, ossia dal lato a come solitamente stanno le ricciole. In questo caso, un passaggio al punto “X” dello spot, potrebbe portare all’attacco dello sparide.

Arrivare, invece, con le esche trainate dalla parte opposta, magari con un piccolo pesce innescato che risale impropriamente la corrente, significherebbe allarmare i predatori, specialmente se l’area è sottoposta ad una pressione di pesca eccessiva da parte dei pescatori. Preferiscono i momenti di cambio di luce per entrare in attività, oppure le ore a cavallo del culmine dell’alta marea. Frequentano aree circoscritte e, specie in questo periodo, stanno attaccati al fondo non essendoci taglio termico. In taluni casi, i passaggi radenti al “masso” sono indispensabili e, in questa circostanza, accorciare il terminale anche sotto i 10 metri può essere la regola. Ampi momenti di folle, facendoci trascinare dalla corrente stessa, sono molto produttivi, come anche poggiare il guardiano sul fondo… ed attendere… come una sorta di drifting… perché la traina con il vivo è una pesca senza frontiere.


VERTICAL

Jigging…

RITORNO DI FIAMMA

O

Di Domenico Craveli

ttobre 2007… ottobre 2017… un decennio che pare un secolo… 3650 giorni dopo, giorno più o meno, anni bisestili permettendo. Il Vertical Jigging fa il compleanno del decennio in Italia. La tecnica, acquisita da mari e culture lontane, importata per rivoluzionare il concetto di pesca in Mediterraneo è stata una mania entusiasmante ed intensa. L’uso del verbo al passato è un obbligo, considerando l’evidente calo di appeal! Da tecnica demoniaca, in grado di svuotare mari ed oceani, a disciplina caduta nel dimenticatoio. Ma un appassionato che oggi vorrebbe avvicinarsi al Vj cosa dovrebbe fare? Quali sono le chances di successo? Ottobre è probabilmente il mese migliore per iniziare!

Questa immagine mi fu mandata da Nicola Zingarelli, grande amico e tra i massimi esperti al mondo di jigging. Immortala una grande ricciola catturata a Fuerteventura. La foto ha turbato i miei sonni per molte notti. Il vertical ha bisogno di una scossa forte per far partire la scintilla


Si dice che ripartire dagli errori può regalare quasi sempre una seconda opportunità, ed è per questo che siamo fermamente convinti che il Vertical Jigging possa dare ancora tanto al pescatore italico che ha voglia di cimentarsi con questa disciplina che già appare datata e “vintage”, a patto di fare tesoro di alcuni grossolani errori di approccio, eccessi che hanno portato ad interpretare la tecnica in modo sbagliato, portandoci quasi ad “odiarla” dopo un innamoramento estremo e fugace.

Attrezzature calibrate

Per i grossi pesci servono attrezzature prestanti… non pesanti!

Considerando che non dobbiamo togliere il “tappo” al Mediterraneo, potremo tranquillamente orientarci su attrezzature abbastanza leggere, in grado di reggere il confronto con le prede che comunemente possiamo incontrare, con la consapevolezza che anche un eventuale pesce fuori misura potrà essere gestito senza troppi patemi. Quindi, senza andare a cercare stecche da biliardo e pali di ombrellone, con una canna in grado di gestire jig fino a 150 gr. e un buon mulo di classe 8000, siamo praticamente coperti per dentici, cernie e… ricciole. Una treccia da 40lbs, un leader dello 0.60, completeranno il tutto!


VERTICAL

Perché sottile

Un Saltiga di grossa taglia. Macchina da guerra, ma forse un po’ troppo per le nostre prede. Attrezzatura comunque eterna

Pescare leggeri non significa limitare la taglia della specie catturabile; significa, piuttosto, pescare in maniera più fluida, meno stancante e, soprattutto, riusciremo ad arrivare in profondità con “ferri” di peso minore, tutto a vantaggio della nostra tenuta alla fatica, che sarà molto modesta rispetto ad un corredo più pesante. Anche ai tropici, quando è possibile, la tendenza è quella di alleggerire. Un pesce di taglia, con attrezzatura light, diventa meno impegnativo, nonostante erroneamente si pensi il contrario.

Piccoli ma catturanti

Un praio di media taglia catturato con un jig da 250gr. Oggi questo schema non è superato in senso assoluto, ma piuttosto “alleggerito”. Pescando più leggero si guadagna in fatica e stress sulle attrezzature


Se è vero che con metal jig da 250 gr. abbiamo ottenuto risultati eccellenti è anche vero che quel peso era relazionato ad un multifibre da 60/70lbs, e che quindi quelle grammature erano indispensabili per vincere l’attrito della treccia e per far nuotare l’artificiale in modo migliore: non era solo una questione di dimensione dell’esca, ma un “size” relazionato a tutto il resto. Un jig da 120 gr., legato ad un braided da 30lbs, avrà la stessa efficacia di un suo omologo da 200, con il vantaggio che il pescatore dovrà gestire uno sforzo ridotto. Poca fatica significa maggiore concentrazione, maggiore autonomia di jerking senza boccheggiare… e, soprattutto, in caso di strike di pesce modesto, il divertimento sarà assicurato lo stesso.

Tirare si può Abbiamo sempre detto che a vj il pesce lo si tira, non lo si combatte… e questo è vero. Forzare l’animale, godendosi tutta la sua forza, è il massimo. Dopo anni di esperienza, possiamo dire che tutto ciò è possibile anche con attrezzi light, perché comunque, tonni a parte, dentici, ricciole e cernie sono tranquillamente gestibili anche con freni frizione tarati dai 3 ai 5 kg.

Dal vertical allo slowpitch

Ripartire quindi, esplorando la parte light del vertical come un nuovo punto di partenza, ripercorrendo le stesse tappe ma con un ottica nuova, perché se è vero che i pesci si sono abituati al jig è anche vero che noi non siamo forse più disposti a jerkare per cinque ore per arrivare allo strike. Forse il vero motivo degli insuccessi sta proprio lì… pretendere la cattura alla seconda calata non è un pensiero da pescatore evoluto! Non a caso le nuove frontiere del jigging sono sfociate in una disciplina nuova e diversa, chiamata Slow-Pitch che, tradotto letteralmente, significa “pizzico-lento”, con artificiali non molto diversi da quelli del jigging classico, ma con schemi di montaggio esclusivi. Sull’efficacia del movimento lento siamo tutti concordi, lo siamo sempre stati, ed è qui che diventa regola e non variante alternativa. E per fare questo sono necessarie attrezzature che ci permettono jerkate in linea con questa esigenza. La nostra postura di azione sarà in “underarm” (sotto l’ascella), con il gomito magari alto per dare un po’ più di scenografia, che non cambia la sostanza. Alla fine ognuno troverà la posizione più comoda per sessioni di pesca più o meno lunghe, senza pregiudicare il risultato finale: lo è stato per il vj più puro, lo sarà anche per lo slow pitch!


SURF

ESCA BIANCA

Di Domenico Craveli e Dario Limone

I

n un momento stagionale complicato, quando il surf, quello vero, diventa motivo di confronto con pesci importanti in condizioni spesso avverse, la scelta dell’esca giusta è fondamentale. Bocconi “bianchi” e resistenti, realizzati con strisce di seppia o calamaro, e lanciati nella turbolenza, rappresentano la chiave di volta per arrivare a risultati con pesci pregiati e di taglia. Inverno e mare mosso, condizione che apre scenari inimmaginabili nella pesca dalla spiaggia: in queste condizioni spesso estreme si può passare in pochi istanti da un incombente cappotto all’incontro con il pesce della vita. Essere pronti a questo significa curare ogni dettaglio, ma una canna prestante e un mulinello a tre cifre non basteranno per arrivare al nostro sogno… se l’esca non è appetibile ad un big fish.

Il perché di una scelta

Una bella spigola ingannata da una striscia di seppia compattata da filo elastico


Nel Surf Casting, l’uso intensivo di vermi ed anellidi è una consuetudine pratica e collaudata che un po’ ci allontana da quella che è l’essenza primordiale della tecnica, perché spesso i pesci grandi arrivano su bocconi... importanti, realizzati con tranci o strisce di cefalopodi reperiti freschissimi tra i banchi di pescheria. Non ce ne vogliano i negozianti ma, quando il gioco si fa duro, la vermaglia (grossi bibi o rimini a parte) trova poco spazio. Infatti, quando ammiriamo un grande pesce, tipo una bella orata o una maestosa spigola e magari ne guardiamo le fauci, ci rendiamo conto di quanto un’esile arenicola possa essere insignificante al cospetto dei pinnuti di taglia maxi. Perché se è vero che ogni pesce può abboccare su qualunque cosa è anche vero che in molte circostanze proporre insidie proteiche, appariscenti e molto odorose può fare davvero la differenza.

Semplice e funzionale Innescare una striscia di cefalopode è molto semplice. Una volta realizzata la parte da innescare con un coltello affilato o una forbice, la si provvederà a trapassare con un ago da innesco cavo da entrambe le estremità. A quel punto la si compatterà con qualche giro di filo elastico sull’ago stesso e poi si passerà tutto sul finale, arrivando sull’amo dall’alto. L’unica noia è quella che il bracciolo potrà essere legato solo dopo aver realizzato l’innesco. La potenza del trancio di seppia, sta in molteplici fattori. Intanto la visibilità, poi nell’odore e nel sapore che rilascia in acqua e che i pesci captano con gli speciali ricettori e poi l’aspetto nutritivo: un alimento perfetto per sopperire alle necessità caloriche invernali

Le prede


SURF

Sulla striscia di cefalopode, può capitare di tutto, anche se le prede per eccellenza sono spigole, orate e saraghi. Ultimamente, anche i serra pare gradiscano questi bocconi, con le conseguenze che ognuno può immaginare, anche se capita sempre il pesce che si allamerà fuori dalla dentatura.

La seppia o il calamaro possono regalare l’impossibile: un dentice, preda non comune del surf, ma possibile soprattutto nelle cale sabbiose sarde, calabre, sicule e di alcuni litorali toscani.

In funzione della potenziale prede, è bene adottare gli ami adatti. Se avremo possibilità di incocciare grosse orate o saraghi, l’amo dovrà per forza di cose essere un generico beack, ad artiglio d’aquila, ma se la preda più probabile è la spigola, meglio un ampio aberdeen. In quest’ultimo caso, però, se dovesse capitare la regina dorata, avremmo non pochi problemi, poiché l’amo stesso potrebbe cedere. L’aberdeen, infatti, non è un amo adatto a bocche tritatutto.




TECNICA

Giù… fino in fondo

Di Umberto Simonelli

L

’affondamento delle esche vive, come abbiamo detto più volte, è un aspetto

veramente importante della tecnica, anzi aggiungemmo determinante. Non si tratta solo di mandare le esche più vicino alle possibili prede, ma soprattutto, collocarle nello scenario di caccia nel modo più adatto. L’affondare un’esca è quindi, importante quanto tutto il resto del complesso pescante; una canna di scarsa qualità ci renderà l’azione meno agevole e anche più pericolosa, ma una zavorra sbagliata o mal collocata contribuirà sensibilmente ad un probabile cappotto.

Quando i pesci mangiano Quando si scatena la frenesia alimentare tutti diventiamo pescatori perché, un po’ come fare i marinai col mare calmo, siamo tutti bravi e nel caso della pesca, sono i pesci a fare tutto. Ma, fortuna per loro, non è sempre così e il più delle volte, quando sembra che “il mondo di sotto” sia privo di vita, al contrario i pesci osservano le nostre esche con curiosità ma con diffidenza, senza attaccare.


Un frame di una video ripresa subacquea: la frenesia è in atto e le ricciole sono all’attacco dell’esca; in questi momenti tutto è possibile

Questo accade più spesso di quanto si immagini, cosa che abbiamo verificato spesso grazie alle videocamere subacquee oggi in commercio, che ci hanno svelato pesci impensabili e confermato intuizioni che avevamo avuto solo dai segnali del cimino. Affondare è stato sempre problematico perché l’attrito dell’acqua gioca sempre a nostro svantaggio e la tentazione di esagerare col piombo è sempre in agguato. Piombare la lenza nel modo migliore è stato da sempre per noi un pallino fisso …

Metodi di affondamento Nella traina col vivo, diciamo che potremo dividere le metodologie in tre grandi famiglie: il piombo guardiano (sul gradino più alto del podio), la piombatura frazionata, l’affondatore. Queste tre soluzioni trovano ognuna la sua collocazione, con inevitabili pregi e difetti. Ma, di fatto, ognuna meglio si adatta a specifiche situazioni e ne ottimizza la resa. Ovvio che ogni sistema presenta vantaggi e svantaggi... insomma ogni medaglia ha il suo rovescio. Iniziamo una analisi, iniziando dalle posizioni più basse.

L’affondatore

Un affondatore manuale Everol, con il piombo da 5 Kg a disco


TECNICA

Se si vuole trainare mantenendo una buona velocità ed essere sicuri che l’esca navighi ad una quota ben precisa, facendo così molta strada alla ricerca della ricciola, è l’attrezzo giusto. L’uso è un po’ laborioso e la messa in pesca chiede buona pratica, ma per chi pesca su fondali omogenei, o modestamente articolati, tanto da poter stabilizzare una determinata altezza dal fondo, è uno strumento formidabile.

Cannon produce degli affondatori elettrici eccellenti, decisamente comodi ma anche di prezzo proporzionato alla qualità e alla funzionalità

Oltretutto, grazie alla zavorra di qualche chilo, è superfluo pescare con sottili multifibra e si può usare il buon vecchio nylon, con il vantaggio di sfruttare la sua elasticità nello strike e l’assenza di vibrazioni acute, tipiche del trecciato, che allarmano i pesci. L’unica nota di rilievo è il costo che, per un buon attrezzo, è apprezzabile.

La piombatura frazionata Se si vuole pescare con una lenza che si presenti in acqua con un affondamento pulito, lineare, senza angoli vivi e soprattutto silenzioso, grazie alle poche vibrazioni, la piombatura frazionata è fantastica. Poco attrito all’avanzamento grazie a piccoli piombi a sgancio rapido, a sfera piuttosto che a siluro, disposti lungo tutta la lenza e un assetto morbido, fanno affondare l’esca lontano dalla barca, minimizzando così gli effetti negativi del rumore e dell’ombra: un sistema imbattibile quando si deve pescare lontano dalla barca.


I piombi a sgancio rapido sono ideali per realizzare una piombatura frazionata; se ne possono disporre anche tre a 10/15 metri l’uno dall’altro partendo dalla giunzione con il preterminale

Con un po’ di esperienza si arriva, calibrando i piombi a pescare alla profondità voluta. La pratica sarà importante anche per evitare che nelle virate il tutto “precipiti sul fondo” e che in caso di strike, la lunghezza del complesso pescante possa dare troppa libertà al pesce. Il bello di questo metodo è che non penalizza la lettura del cimino della canna.

Il piombo guardiano

Il piombo guardiano deve essere ben calibrato: troppo leggero o troppo pesante compromettono la funzionalità del complesso pescante

Sicuramente è il metodo più usato in assoluto ed anche il più semplice. Forse proprio per questa semplicità, troppo spesso la sua mansione viene però sottovalutata e relegato a mera zavorra. Di fatto, è vero, serve per far affondare l’esca alla quota voluta e segnalare, toccando il fondo, quando ci siamo troppo vicino, in modo da non incagliarvi l’esca. Ma la lunghezza del bracciolo e il peso stesso possono essere decisivi.


TECNICA

Pescare con troppo piombo ci fa perdere sensibilità, perché il piombo limita la possibilità di trasmettere al cimino le vibrazioni dell’esca sotto attacco, oltre a essere avvertito durante lo strike dal pesce che, sentendo resistenza, può abbandonare l’esca. Un piombo non adeguato alla canna, sotto l’effetto del moto ondoso, può entrare in oscillazione generando un movimento che si trasmette lungo la lenza, facendo navigare male l’esca che procede a strattoni mettendo in allarme le prede. Un piombo in corrente, con un bracciolo molto lungo, troppo sottile e molto teso vibra e crea sonorità che è bene evitare.

La ferrata è un momento critico; se non è efficace l’infissione dell’amo nelle bocche più dure può non andare a buon fine. Un piombo troppo pesante ne può essere la causa

Il peso deve essere tale da consentire l’affondamento, contrastando la corrente, senza per questo creare angoli evidenti tra lenza madre e pre-terminale, perché una eventuale abboccata giungerebbe con maggior ritardo sulla canna, oltre al fatto che l’immediatezza della ferrata ne risulterebbe penalizzata. Altresì, un piombo troppo leggero può essere altrettanto pericoloso, perché per affondare si è costretti a cedere molta lenza, creando un sistema molto tangente al fondo e senza controllo dell’esca e quindi con possibilità di incaglio o, addirittura, di dare modo al pesce di attaccare l’esca senza che ce se ne accorga.


KAYAK FISHING

La vasca del vivo

I

Di Simone Sposito

n questi anni abbiamo constatato che la maggior parte dei kayaker hanno preferito dedicarsi alla traina con il vivo, tecnica che si sposa perfettamente alle caratteristiche di un kayak e che, soprattutto, può regalare prede che non si dimenticano facilmente. Praticando questa pesca, la vasca del vivo è a dir poco indispensabile ed è quindi, necessario più che mai ottimizzare gli spazi ridotti che si hanno su un kayak. Le soluzioni possibili sono molte e il più delle volte custom made, per soddisfare esigenze specifiche, personali e del battello. Vi racconteremo quindi la nostra esperienza e le soluzioni sperimentate.

Soluzioni personali In quasi tutte le installazioni lo spazio ideale per collocare la vasca del vivo è dietro la seduta, ove solitamente, nelle customizzazioni classiche è prevista una cassetta dove stivare un po’ di tutto. Questo accessorio è il fulcro della traina con il vivo per cui deve tassativamente funzionare al meglio. Non c’è nulla di più frustrante che ritrovarsi con esche inutilizzabili, dopo aver speso parecchio tempo nel reperimento delle medesime. Quali accorgimenti bisogna prendere allora per evitare questo inconveniente? Serve sicuramente una soluzione studiata nei minimi particolari. Quella che prenderemo in esame è stata realizzata modificando un contenitore in pvc, un secchio nello specifico.


Siccome lo spazio non basta mai, la vasca del vivo può diventare un ottimo supporto per dei porta canne a riposo, di quelli in plastica, facilmente reperibili in commercio. Un altro accorgimento fondamentale è l’ancoraggio, che deve assicurare saldamente il contenitore al kayak; la soluzione che ci ha maggiormente soddisfatto è quella realizzata tramite delle robuste corde elastiche, tesate da un punto fisso dello scafo a delle piccole gallocce: un’idea semplice, sicura, ma soprattutto pratica. L’applicazione La vasca del vivo autocostruita di una robusta maniglia completa la praticità della nostra vasca, che sarà facile da trasportare, anche piena. Ma l’aspetto primario da valutare è l’accesso all’interno e un coperchio incernierato, apribile anche con una sola mano è la soluzione più appropriata. Ogni appiglio, oltretutto, può essere un valido punto di ancoraggio per applicare il supporto della nostra fedele videocamera che immortalerà le nostre gesta.

Un sistema autosufficiente La vasca del vivo, per non diventare la vasca del morto, deve poter garantire un continuo ricambio dell’acqua al suo interno, con la conseguente ossigenazione e il mantenimento della temperatura. Una piccola pompa da 12 volt, applicata alla fine di un tubo flessibile e opportunamente zavorrata, è la scelta più semplice e la più pratica, anche se non mancano le varianti che l’ingegno di molti kayaker ha messo a punto.

La zavorra serve per far rimanere la pompa immersa anche in fase di navigazione


KAYAK FISHING

La pompa è del tipo ad immersione, quindi lavorerà direttamente in acqua e la spingerà nel contenitore tramite il tubo applicato ad un raccordo a gomito. Lungo il tubo fisseremo anche la linea elettrica di alimentazione; la zavorra, invece, terrà sempre la pompa immersa anche durante la navigazione veloce.

Il punto di immissione

L’acqua verrà distribuita nella vasca a pioggia, grazie ad una tubazione a corna di bue ed un raccordo a T. Il tubo sarà forato per la sua lunghezza e chiuso alle estremità. Ne ricaveremo così un getto fatto da tanti zampilli, che avranno anche la prerogativa di ossigenare l’acqua.

La potenza dei getti della doccia ossigenante è indirettamente proporzionale al numero dei fori applicati sul complesso stesso


Siccome lo spazio non basta mai, la vasca del vivo può diventare un ottimo supporto per dei porta canne a riposo, di quelli in plastica, facilmente reperibili in commercio. Un altro accorgimento fondamentale è l’ancoraggio, che deve assicurare saldamente il contenitore al kayak; la soluzione che ci ha maggiormente soddisfatto è quella realizzata tramite delle robuste corde elastiche, tesate da un punto fisso dello scafo a delle piccole gallocce: un’idea semplice, sicura, ma soprattutto pratica. L’applicazione di una robusta maniglia completa la praticità della nostra vasca, che sarà facile da trasportare, anche piena. Ma l’aspetto primario da valutare è l’accesso all’interno e un coperchio incernierato, apribile anche con una sola mano è la soluzione più appropriata. Ogni appiglio, oltretutto, può essere un valido punto di ancoraggio per applicare il supporto della nostra fedele videocamera Il troppo pieno: il livello di acqua presente all’ interno della che immortalerà le nostre gesta. vasca è determinato dall’ altezza di questo importantissimo elemento

Un sistema autosufficiente

La battery bag, con lo spazio sul fondo per il circuito di comando

Per far andare la pompa serve una sorgente di elettricità e la scelta cade su un accumulatore ermetico 12V con una corrente erogabile di 7/Ah: piccola, compatta e potente, di quelle che si usano per gli antifurti e facilmente ricaricabile a casa con un carica batterie da pochi watt. La batteria la collocheremo in un vano esterno, una battery bag protetta dall’acqua, che custodirà anche l’interruttore di comando e un piccolo timer elettronico che farà funzionare la pompa ad intervalli. I pesci non ne soffriranno ma l’autonomia di funzionamento aumenterà notevolmente fino ad assicurarci una intera giornata di pesca.


ARGOMENTI

LE REGOLE DEL GIOCO

L

Di Umberto Simonelli

a pesca amatoriale o, più correttamente, ricreativa, come tutte le attività di prelievo della fauna è subordinata ad un complesso di regole e norme, che ne definiscono i limiti e le modalità di esercizio. Purtroppo, il complesso normativo che riguarda la pesca ricreativa è poco noto, spesso conosciuto in modo piuttosto superficiale o, in alcuni casi, addirittura ignorato, almeno in alcune sue parti meno intese. Oltretutto, quella che ultimamente è cambiata, ed in modo significativo, è la norma, sanzionatoria, le multe per dirla più semplicemente. Uno sbaglio o, peggio, una furbata, può costarci veramente caro. Faremo quindi una ricognizione sulle regole e non solo.

Per incominciare

Cos’è la pesca ricreativa? E’ un’attività, puramente amatoriale, di prelievo di risorse acquatiche viventi (pesci, crostacei, echinodermi, bivalvi e cefalopodi) di cui è vietata, sotto qualsiasi forma, la vendita. La pesca ricreativa differisce sostanzialmente da quella sportiva perché svolta in maniera libera e non sotto l’egida di associazioni sportive affiliate alla FIPSAS.

La nazionale di Big Game, Campione del Mondo 2012: questi sono pescatori sportivi


Diciamo, quindi, che un pescatore ricreativo è colui il quale si compra una canna, una scatola di vermi e va a pescare. Per farlo, però, è necessario conoscere delle regole, rispettarle e soprattutto effettuare degli adempimenti importanti. Parleremo solo di pesca in mare, perché le regole del mare non vengono sottoscritte con l’acquisizione di una licenza, come si fa con le acque interne, e quindi per conoscerle bisogna informarsi. La pesca sportiva, al contrario di quella ricreativa, può godere di deroghe e regolamenti speciali, ma che sono applicabili solo durante le attività agonistiche.

I tipi di pesca Un pescatore ricreativo, potrà essere un apneista (la pesca con le bombole è proibita), un pescatore con la canna, con lenze a mano o con il palamito, da terra o dalla barca, un pescatore con il rezzaglio, piuttosto che con la bilancia, le nasse o i rastrelli, usati a mano, per la raccolta dei bivalvi. Ma è pesca anche la raccolta dei ricci. In tutte le tecniche e per tutte le prede ci sono delle regole, limiti di quantità, dimensioni e periodo di prelievo. La pesca ricreativa o sportiva può essere praticata solo con barche che non siano professionali.

Per informarsi Per informarsi basta semplicemente andare in rete, sul sito delle Capitanerie di Porto piuttosto che sul sito del MIPAAF e con un po’ di pazienza e qualche ricerca ci si possono chiarire le idee. Però qui di seguito abbiamo voluto fare un breve riepilogo delle regole più salienti, per fare un quadro generale della situazione.

Le regole Per diventare pescatori bisogna, prima di tutto, se si hanno più di 16 anni, registrarsi sul sito del Mipaaf, per ottenere il permesso di pesca gratuito https://www.politicheagricole.it/flex/cm/ pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/190 Eseguita questa procedura, si può esercitare qualsiasi tipo di attività di pesca ricreativa o sportiva. Ma è importante,lodicevamoprima,documentarsisulleregole http://www.globalfishing.it/images/ files/normative/pesca/chiarimenti-pescaricreativa.pdf

Un prelievo oltre le regole, si trasforma in automatico in bracconaggio


ARGOMENTI

Quantitativo massimo Sono 5 kg il limite massimo di pescato, delle specie prelevabili, a pescatore o un pesce di peso maggiore (attenzione perché se si pesca di più di 5 kg, per essere in regola, non basterà solo essere più di una persona, ma tutti dovranno avere il permesso rilasciato dal Mipaaf).

Una bella pescata, che supera il limite massimo pro capite; è legale se tutti i pescatori posseggono la licenza di pesca gratuita

Tonno rosso Può essere pescato secondo una regolamentazione specifica, previa un’autorizzazione amministrativa rilasciata dalle CC.PP.

Il tonno è insieme allo spada, la specie maggiormente regolamentata; andare fuori dalle regole è gravissimo


Pesce spada Può essere pescato secondo una regolamentazione specifica, previa un’autorizzazione amministrativa rilasciata dalle CC.PP.

Cernia Vige il divieto di pescarne più di una al giorno, a prescindere dal numero di pescatori presenti in barca e dalla razza.

Le cernie sono una specie fortemente a rischio: è bene contenerne le catture

Gli squali Ne è proibito il prelievo di ogni genere, tipo e dimensioni.

Altri pesci Si debbono rispettare le misure minime che sono riportate al seguente link: http://www.globalfishing.it/images/files/normative/pesca/taglie-dei-pesci.pdf


ARGOMENTI

E’ vietato pescare con più di 5 canne a pescatore E’ vietato pescare con i palamiti le specie altamente migratorie (tonni, pesce spada, alalonghe) E’ vietato pescare con l’apporto di fonti luminose di qualsiasi genere per qualsiasi tecnica; è permessa una lampada, se si pesca con la fiocina, e la torcia subacquea in uso ai pesca sub Numero massimo di ami: per una lenza a bolentino sono tre mentre, per una correntina, la lenza a mano tipo filosa, possono essere sei

Palamito: è permesso con non più di 200 ami, qualsiasi sia il numero dei pescatori Ricci: Il prelievo è limitato a 50 pezzi a pescatore e il diametro non deve essere inferiore ai 7 cm; è vietato il prelievo nei mesi di maggio e giugno

Rezzagli: Non possono avere più di 16 mt di perimetro e non si possono calarne più di due a

imbarcazione

Anche i rezzagli e le nasse hanno regole ben precise

Nasse: non se ne possono usare più di due a imbarcazione, indipendentemente dal numero delle persone

Rastrelli: specifici per la raccolta dei bivalvi che vivono nella sabbia (telline in particolar modo), possono essere usati esclusivamente a mano e non si possono utilizzare nel mese di Aprile

Taglie minime: http://www.globalfishing.it/images/files/normative/pesca/taglie-dei-pesci.pdf


Pesci non voluti Diciamo che ci sono catture inaspettate che vanno oltre la nostra volontà di prelievo, però è anche vero che è bene usare attrezzi selettivi per non mettersi in condizioni di rischio. I pesci che fanno superare il peso, le specie vietate e le prede sotto misura vanno rilasciate. Debbono essere restituiti al mare anche quando arrivano morti o moribondi; sembra un controsenso ma le regole impongono questo.

L’uso di sistemi luminosi è proibito

Dove, come, quando Non si può pescare ovunque e comunque; ci sono regole generali e regole specifiche di ogni luogo emanate dalle autorità locali. Tanto per chi pesca da terra, come dalla barca, nei porti è generalmente vietato, così come lo è nella stagione balneare in prossimità delle zone frequentate dai bagnanti. E’ basilare prendere atto delle regole generali inerenti la tecnica che vogliamo praticare oltre a quelle locali.

Codice etico Ci sono regole, che vanno oltre quelle scritte, che appartengono ad un codice di comportamento che spesso non ha nulla a che vedere con la legge. Il codice è quello etico, che ci impone il buon senso ed il rispetto nel prelievo; un modo di vedere che spesso fa rima con la autolimitazione delle catture e con rilascio. Le misure minime di prelievo legale spesso sono veramente ridicole, tanto che si è nelle regole Il rilascio di un pesce “oggettivamente” sotto se si cattura una piccola ricciola di sette centimetri misura, anche se sopra i minimi di legge è un e anche se ne catturiamo 5 kg. Siamo nelle regole atto dovuto se, scoperto il posto buono, ci incrociamo sopra tutti i giorni catturando fin che ne vengono. La pesca dei nostri tempi è ben altro e dovrebbe andare oltre regole, vecchie e oramai inadeguate.


EVENTI

Tuna Cup Anzio 2017: un successo annunciato

C

onoscendo gli organizzatori del Tuna Cup Anzio, anche questa terza edizione non poteva che essere un successo: un successo in crescendo è bene sottolinearlo, che si apprezza ad ogni edizione, non solo per il consolidarsi del patrocinio degli sponsor di sempre ma anche dall’aumentare dei marchi di settore che vogliono legarsi ad un evento come questo che sta tirando veramente forte. Una edizione che, malgrado una serie di rinvii dovuti al mal tempo, ha comunque segnato il “tutto esaurito” con ben cinquanta agguerritissimi equipaggi, tra partecipanti storici e new entry. Diciamo che in poco tempo, tre edizioni appena, il Tuna Cup Anzio è diventato un incontro di riferimento, nel centro Italia, per gli appassionati di drifting.


Gestire cinquanta equipaggi non è un gioco da ragazzi e ancora una volta c’è da dire che il Team di Massimo Marigliani, Patron della manifestazione e presidente del Fishing Club Anzio ha centrato l’obbiettivo. Oramai è un meccanismo perfettamente lubrificato e calibrato, che ha individuato la formula perfetta per organizzare e gestire un circo così complesso, dove tutto deve essere sapientemente orchestrato. Accoglienza, gestione degli equipaggi, qualità e quantità delle esche, oltre alla cura dell’aspetto conviviale, sono le cose che ne hanno decretato il successo fin dalla prima edizione; facile a dirsi ma difficilissimo a farsi perché sono obbiettivi raggiungibili solo con grande dedizione e passione. Il resto ce lo ha messo il mare di Anzio e Nettuno che in questa edizione non è stato generoso di tonni, come eravamo stati abituati, ma sicuramente ha concesso di pescare a tutti, anche alle imbarcazioni meno strutturate.

Come ci si arriva

La copiosità e ricchezza dei premi è stata di assoluto rilievo grazie alla sponsorizzazione di marchi leader come Quick Silver, Garmin, Mercury ed altri ed è stata la classica ciliegina su una già bellissima torta che ha reso estremamente appetibile la partecipazione a questa gara. Non bisogna dimenticare anche la sensibilità e la disponibilità verso l’evento della Marina di Nettuno, che anche quest’anno è stata determinante per l’aspetto logistico.


EVENTI I Premi della Tuna Cup Anzio 2017

La personale considerazione rispetto a questo tipo di eventi, organizzati nel pieno rispetto delle regole e come obbiettivo principale il divertimento, è che sono manifestazioni di primaria importanza per il mondo della pesca, per il suo indotto e per il territorio. E’ un pensiero che esprimo e ribadisco ogni volta che mi capita di affrontare questi argomenti e che non mi stancherò mai di riproporre. Quindi è doveroso ringraziare l’organizzazione, il Porto, gli sponsors e, soprattutto, i pescatori, con l’augurio che questi dodici mesi che ci separano dal prossimo Tuna Cup passino presto!

Umberto Simonelli


EVENTI

Leccia Cup 2017

E’

stato un forte vento di tramontana e grecale a caratterizzare l’edizione 2017 del Leccia Cup, ma non è bastato a spaventare gli equipaggi: ben 34 barche si sono sfidate nella ricerca della Leccia Amia, il grande carangide mediterraneo che in questo periodo dell’anno accosta lungo il litorale laziale e in particolare, in prossimità della foce del Tevere. E’ una pesca molto tecnica, per insidiare una preda non per tutti, molto sospettosa e difficile da allamare, per la particolare conformazione della bocca, durissima da penetrare oltre che per la sua estrema selettività sulle esche. Ma anche una pesca etica e sostenibile, quella di questa gara, perché esclusivamente in catch & release.


Questo evento, voluto ed ideato da Mario Giorgetti, pescatore per passione e professione, ma soprattutto grande amante del mare, quest’anno è arrivato alla sua quarta edizione con un successo sempre in crescita, successo decretato dalla semplicità e dalla schiettezza, all’insegna del divertimento tra amici e, soprattutto, della accoglienza familiare che rafforza la leggerezza di questa giornata.

I pesci c’erano, ma non si sono concessi a molti, qualche attacco senza risultati e solo due gli strike conclusi con la misurazione della preda ed il suo rilascio. Merito che è valso il primo premio all’equipaggio di Brigantina ed il secondo all’equipaggio di Monica IV. La premiazione è avvenuta presso il Centro Pesca Il Cormorano, dove la proverbiale “salsicciata” ha coronato la divertentissima giornata.

Gli equipaggi durante la premiazione, da sinistra: Brigantina e Monica IV


EVENTI

L’incontro di quest’anno, a dire il vero, ha avuto un protagonista silenzioso, un amico di molti frequentatori del litorale di Ostia e Fiumicino e grande pescatore, Silvano Marioli, maestro di pesca di moltissimi appassionati. Silvano ci ha lasciato pochi giorni prima della manifestazione, ma la sua presenza comunque si è rivelata palpabile negli animi di chi lo ha conosciuto ed anche grazie ai suoi amici che hanno voluto essere presenti con la sua barca, in questa gara che gli organizzatori, Mario Giorgetti e Gianluca Giusti hanno voluto dedicargli. Perché la pesca è anche questo.

Gli equipaggi delle 34 imbarcazioni

Il Leccia Cup è un evento estremamente particolare proprio per la particolarità della preda, la Leccia Amia e della zona, la foce del Tevere, che offre situazioni di pesca irriproducibili altrove e dove la tecnica assume una valenza determinante, cosa che fa di questa iniziativa un evento unico in Italia. Umberto Simonelli






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