Globalfishing n 9 2013

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PESCA DA TERRA

RISACCA

TRAINA

PESCI DI STAGIONE

TECNICA

OBIETTIVO

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5 Editoriale 6 Il nostro staff 8 Global@mail Pesci di stagione 16 20 Carangidi nel torbido 24 La signora della foce 28 Equinozio da sparidi 32 Risacca 36 Come ti innesco 40 Obiettivo seppie 44 Trasduttori di poppa di U. Simonelli

La posta dei lettori

di M. Prezioso

di D. Craveli

di U. Simonelli

di D. Limone di D. Craveli

di A. Iacovizzi

di U. Simonelli di U. Simonelli



Editoriale

E

vento recentemente trascorso, il Salone Nautico di Genova, alla sua cinquantatreesima edizione, non ha lasciato molto seguito; non se ne è parlato granchè e ogni eco si è dissolto rapidamente una volta spenti i riflettori (pochi peraltro) sulla scena. Sono finiti i tempi, i bei tempi di una volta, in cui la nautica faceva notizia; oggi fa paura: fa paura comprare una barca perché il portafogli è sottovuoto spinto, perché avere una barca è certamente indice di una ricchezza non dichiarata “a prescindere” e che, come tale, deve essere perseguita. Fanno paura i costi e i servizi. Comunque, al salone anche quest’anno ci siamo andati lo stesso, per curiosità e dovere professionale. Memori dello squallore profondo e irrimediabile dello scorso anno, le aspettative erano molto modeste. Per chi non è andato, sebbene l’impatto sia stato meno deludente e la situazione migliore delle attese, l’immagine non era davvero quella così edulcorata dei telegiornali o di quella offerta dalla cronaca di Linea Blu. I fatti erano comunque diversi: un mini salone, presidiato da un manipolo di imprenditori di razza, lo zoccolo duro di settore, che credono nel futuro e che, nonostante tutto, hanno proposto nuovi prodotti, nuovi motori e nuove barche. Dobbiamo dire anche che l’afflusso del pubblico non ci è sembrato poi pochissimo, malgrado i detrattori più convinti attribuissero questa sensazione all’effetto degli spazi più ristretti. Un timido segnale di inversione di tendenza? Forse si e ce lo auguriamo. Un segnale positivo è arrivato anche dal governo, che in questa kermesse, oltre alle ultime modifiche normative che hanno ridotto gli oneri delle tasse di stazionamento, nelle persone di Befera e del ministro Lupi, hanno promesso una politica fiscale meno pressante e più amica del comparto. Speriamo che, data l’occasione, non siano promesse da marinaio. Perché quel che ci interessa è, anche e soprattutto, la nautica minore, quella che si muove e che rappresenta il mondo della pesca. Interessante infatti la proposta di molte aziende, più attenta sulle piccole e medie motorizzazioni fuoribordo, nuovi senza patente sempre più performanti e una ricerca proiettata su motori fuoribordo della fascia alta di gamma verso propulsori più parchi nei consumi e più generosi nelle prestazioni. Insomma, nonostante tutto, il mercato avrebbe tutte le carte in regola per una ripresa seppur graduale. Ma, oltre che di un fisco meno presente, tutto il settore avrebbe bisogno di una iniezione di fiducia, come del resto tutta la nazione. Ma la nautica avrebbe anche bisogno di una bella legge quadro che promuovesse la realizzazione delle infrastrutture e delle portualità necessarie, dai porti tradizionali ai più semplici ed importanti porti a secco. E visto che stiamo nel mondo dei sogni più sfrenati, allora una bella diminuzione dei costi dei carburanti potrebbe farci ripartire alla grande.

Umberto Simonelli


Il nostro staff Paolo Castelnuovo La sua passione è la traina con esche vive ed è un veterano di questa tecnica, che pratica con successo da sempre. Vive e lavora a Roma come dirigente di una importante azienda

Domenico Craveli Uno dei pescatori più accreditato, tra i primi in Italia a ratificare le regole del Jigging mediterraneo ma anche esperto di molte tecniche, dalla traina al surf casting. Vive e lavora in Calabria dove svolge la professione di agente di commercio.

Umberto Simonelli Esperto di nautica non solo per passione, ama dedicarsi alla traina, al drifting e al bolentino di profondità. Vive e lavora a Roma come titolare d’azienda.

Dario Limone Eccelle nel surf, ma tutte le altre tecniche gli sono congeniali, perché la pesca è una passione che gli viene dal profondo. Vive e lavora a Napoli dove esercita la professione di medico esperto in rianimazione neonatale; dalla sua inventiva e dalle sue mani nascono gli accessori “Sorpasso”

Michele Prezioso La pesca e la passione per il mare sono nel suo DNA, al centro della sua vita privata e professionale. Pluricampione in molte discipline è un vero esperto di pesca; non ci sono tecniche di cui non conosca ogni segreto e che non pratichi con eccellenti risultati. Vive e lavora a Napoli come agente di commercio per la soc. Tubertini


Andrea Iacovizzi Traina, jigging e subacquea sono i suoi cavalli di battaglia, espressione di un amore sfrenato per il mare. La sua esperienza di pescatore a tutto tondo nasce nelle acque della Sicilia per consolidarsi in quelle della Puglia, dove attualmente vive e lavora come titolare di un importante azienda di informatica.

Stefano Vinci E’ il più giovane dello staff e la sua passione per il mare e per la pesca ne fanno un pescatore navigato e completo, ma lo spinning è la sua vera specialità. E’ un ottimo fotografo ed un eccellente cameraman, vive a Roma, dove frequenta con successo la facoltà di Scienze Naturali.

Laura Curtarelli La passione per il mare, per la pesca e per il piacere della cucina, soprattutto di pesce, la ha portata ad elaborare gustose ricette all’insegna della tradizione ma soprattutto della semplicità. Vive e lavora a Roma come titolare d’azienda.

Ilaria Castelnuovo Figlia d’arte ama il mare e la pesca, passione che ha ereditato dal padre che in estate accompagna a pesca. Laureata in architettura è l’artefice dell’originale progetto grafico di questa rivista di cui cura amorevolmente ogni uscita. Vive e lavora a Roma.

Raffaele Romeo Pescatore e amante del mare collabora, con passione e pazienza, in redazione alla realizzazione di questa rivista. Vive e lavora tra Roma e Tropea.

COLLABORA CON NOI. Inviaci un tuo racconto con foto e video. Lo pubblicheremo!

info@globalfishing.it


GLOBAL@MAIL Una fissa per lo scorrevole Da appassionato della pesca a fondo, volevo porvi una domanda sul perché le soluzioni che prevedono l’uso di terminali con piombo scorrevoli, così efficaci quasi in ogni condizione, siano diventati una seconda scelta (almeno per quello che si legge in giro). E poi… Come si fa un ottimo scorrevole per evitare grovigli? Io ero un amante del piombo passante, che sebben con qualche limita era pratico e praticamente esente da garbugli. Giovanni da Pozzuoli

Carissimo Giovanni, Il concetto di scorrevole usando un piombo a foro passante, attraverso cui passa la lenza madre, con salva-nodo girellina, a cui si collega il terminale, è oramai superato da diversi anni. E’ stato dimostrato, che i granellini di sabbia sul fondo marino, occludono parzialmente il foro in cui scorre la lenza, vanificando il prinncipio di funzionamento. La scorrevolezza è importante, ma si devono usare degli accessori specifici. Oggi lo scorrevole è diventato una seconda scelta per gli agonisti, perché usano calamenti a tre snodi per effettuare catture multiple. Chi invece cerca il pesce di taglia, lo usa ancora con successo: economico, veloce… efficace! Fare un calamento a 3 ami ha il suo impegno ed i suoi costi, considerando le colle, le girelline in titanio,etc… rispetto ad uno scorrevole, che ha praticamente costo quasi zero. Lo scorrevole ha una facile gestione nel lancio e nel recupero e generalmente ha un solo amo. Personalmente, in gara, più che usare 3 ami a bandiera, preferisco pescare con lo scorrevole a cui collego una linea longa a 3 ami. Lo scorrevole è indispensabile, quando abbiamo una mangianza diffidente e svogliata; infatti se mettiamo la lenza in bando pescando con lo scorrevole, non tarderanno le prime catture, per l’assenza di resistenza, che troveranno i pesci. Un ottimo piombo per lo scorrevole deve avere dei fori passanti molto larghi, in tal modo si impedisce alla sabbia di comprimersi all’interno o in alternativa usare degli accessori in commercio, che hanno contemporaneamente la funzione di divergente e di scorrevole.

Dario Limone


GLOBAL@MAIL NYLON O FLUORCARBON? Sono un appassionato pescatore, che si sta avvicinando al drifting con risultati più o meno soddisfacenti. L’anno scorso durante una fiera di settore, mi sono imbattuto in una discussione tra due esperti, circa l’uso o meno del fluorcarbon. Personalmente ho sempre scelto la seconda ipotesi non badando a spese, ma davvero è tanto determinante la scelta di questo monofilo? Michele, Napoli Carissimo Michele, incappare in discussioni tecniche, in pareri che si confrontano o semplicemente nel consiglio di qualche amico che si ritiene il più esperto, quando si è alle prime armi, spesso confonde solo le idee. Così che, la mancanza di catture, che è il fatto statisticamente più ovvio, lo assocerai a qualche consiglio non ascoltato, piuttosto che a questa o quella soluzione non adottata. Io ti posso dire la mia .Preferisco usare il fluorcarbon come terminale, perché in acque limpide come quelle del mio salento e a profondità che non superano i 50 mt la bassa rifrazione della luce ritengo sia importante. Infatti, il vantaggio di questo monofilo, come ben saprai, è quello di avere un indice di rifrazione prossimo a quello dell’acqua, cosa che limita l’effetto specchio che potrebbero tenere lontani i pesci dall’esca. Il rovescio della medaglia è però la rigidità del filo stesso e la scarsa durata nel tempo. Il fluorcarbon infatti va cambiato spesso, soprattutto quando inizia a perdere trasparenza. Il vantaggio invece della pesca con il nylon è la maggiore elasticità , la sua longevità e la maggiore flessibilità. Nel caso di lenze profonde, la scelta di questo monofilo può rivelarsi un’ottima alternativa, anche dal punto di vista economico. Esiste una ulteriore soluzione, rappresentata da nylon dicroici, ovvero con caratteristiche di rifrazione particolari, quindi considerati una alternativa al fluorcarbon; eccellenti anche per la caratteristiche meccaniche. Ottimo quello della Yokuro, distribuito da Yamashita. Concludo però col dirti che soluzioni ideali e verità assolute nella pesca, non esistono. Ascolta tutto e metabolizzalo e vaglialo alla luce dei tuoi ragionamenti. Dimenticavo di dirti che in questa tecnica a prescindere dal tipo dei materiali quel che è essenziale è la qualità.

Andrea Iacovizzi


GLOBAL@MAIL a caccia di alalonghe Ciao Michele, mi chiamo Aldo e vivo in Puglia in provincia di Lecce. Dalle mie parti in concomitanza con la fine dell’estate e l’autunno è forte la presenza delle alalonghe. Non sono un esperto e vorrei avere qualche suggerimento per iniziare questa pesca. Mio padre ha acquistato da poco un center console con doppia motorizzazione attrezzato anche con i divergenti. Un pò di attrezzatura ce la abbiamo, canne tra le 10 e le 30 lb con mulinelli di relativa potenza. Abbiamo però qualche dubbio sulle esche . Mi dai qualche indicazione? Grazie Aldo V.

Sulla scelta delle esche per l’altura ,caro Aldo, non basterebbe un libro per esaurire tutte le possibilità e opportunità. Comunque nel poco spazio che mi è concesso cercherò di condensare un po’ di dritte, di quelle giuste. Partendo dalle esche sinking, ovvero affondanti, i minnow, per intenderci, la scelta è ampia; elenco qui di seguito quelli che per me sono i migliori. Ho avuto ottimi risultati navigando tra i 5 e i 7 nodi, con gli XRap della Rapala nei seguenti colori: lampuga , sgombro, fluo e azzurro, filati a 15 metri dalla poppa. Ottimi anche i Sorcerer della Halco, da 15 cm , nei colori, azzurro specchiato,rosa fluo, arancio oro, arancio perlato, filati a 40 metri da poppa, tra i 4 e i 6 nodi Per continuare , sono validissimi i CG sempre della Rapala. Le colorazioni da preferire sono le classiche come lo sgombro o meno imitative come il verde e giallo fluo, l’azzurro arancio, il testa rossa, il perlato a strisce arancio ed il testa rosa. Di questo modello raccomando le dimensioni da 11 e 14 cm, mentre quelli da 18, sono perfetti da mettere in pesca nella schiuma a 10 metri dalla barca. Passando alle esche di superficie, gli octopus, in tutte le versioni, sono quelle di elezione, della misura dai 12 ai 18 cm. con colorazioni dall’arancio al rosa, dal giallo verde al bianco e blu e alle cromie più varie. Il nuoto di queste esche, la schiuma e le bolle che formano, sono molto attrattive, ma, per migliorare ulteriormente è possibile inserire all’interno del gonnellino un raglout di generose dimensioni. Il posizionamento ideale sarà dai 40 ai 100 metri e, oltre che per le alalonghe, risulteranno adatte anche per i rostrati. Potrai mettere in pesca fino a 7 canne, ma la conduzione della barca, con questo assetto, richiede molta esperienza per non ritrovarsi con un enorme groviglio. Per iniziare mi limiterei a 2 per murata ed una al centro nella scia. Buon divertimento!

Michele Prezioso


GLOBAL@MAIL Mormore a… “stelle e strisce” o “napoletane”? Carissimi amici, mi sto avvicinando alla pesca dalla spiaggia, e volevo trovare un’alternativa all’arenicola (chiamato da noi anche napoletano) che mi crea qualche piccolo problema di conservazione. Mi trovo bene invece con l’americano, che reperisco facilmente perché ne è fornito un grosso store di attrezzature sportive che ha un punto vendita nella mia zona, ed inoltre, le tengo in frigo agevolmente per qualche giorno. Volevo sapere se ci sono accorgimenti particolari per far rendere al meglio questi due anellidi per la pesca alle mormore. Grazie Andrea da Gioia Tauro

Andrea, superato il periodo caldo, la conservazione dell’arenicola non dovrebbe essere un grosso problema. Certo, ci deve essere la pazienza di cambiare quel poco di acqua almeno una volta al giorno, e soprattutto la perizia di non lasciare pezzetti di verme , all’interno della confezione, togliendo gli esemplari che stanno per morire. Detto questo, l’arenicola per la pesca alle mormore è l’esca per eccellenza, inarrivabile da nessun altro tipo. E’ comunque vero che spesso i pesci più belli e grossi si pescano con l’americano, ma se è il numero di catture che ti interessa, non puoi esimerti dall’uso del verme di rena. Con l’americano, puoi però puntare alle belle orate e ai saraghi che so per certo che nella tua zona non mancano, a patto di realizzare inneschi voluminosi. Quindi, più che trovare alternative tampone, proverei a risolvere il tuo “problema di conservazione”, usando ogni boccone per la situazione più opportuna. Ripeto, in inverno, tenere le esche in ottimo stato per qualche giorno non è un problema. In questo modo potrai pescare in maniera più consona a quelle che sono le esigenze dei pinnuti, perché forzare una nostra esigenza, non aiuta alla realizzazione dei carnieri d sogno in cui tutti auspichiamo. Un salutone.

Dario Limone


GLOBAL@MAIL dimensione leader Con il timore di perdere i pesce, sono solito pescare con leader dallo 0.50 in su, anche in sessioni di pesca di light jigging. Volevo sapere da Domenico Craveli, quali sono le sue preferenze in merito, e soprattutto l’abbinamento dei diversi tipi di diametro a specifici pesci, perché adesso sto iniziando ad andare in confusione bombardato da una serie di informazioni che sono andato a cercare sul web, dove trovo tutto ed il contrario di tutto. Grazie anticipatamente. Diego da Roma

Carissimo Diego, il leader è un elemento importantissimo nelle tecniche di japan style, dal vj all’inchiku, passando per kabura e tenya… insomma, non se ne può fare a meno. Più che per il pesce,a light jigging, la sezione del leader va scelta in funzione del fondale e si va da uno 0.40, ad uno 0.50 massimo. L’unico caso in cui è il pinnuto a imporci soluzione fuori media, è quando si pesca a sciabola. In quel caso, al leader dello 0.50, va aggiunto uno spezzone di 60 cm dello 0.80 almeno per evitare che ci venga scippata l’esca con eccessiva facilità. Tornando al discorso leader, è chiaro che a jig, il diametro non incide eccessivamente sulle catture, ma se eccediamo come sezione, abbiamo problemi nel passaggio del nodo di giunzione negli anelli, nel mulinello, e soprattutto, ha un fastidioso effetto sull’artificiale in discesa, che essendo particolarmente leggero, non riesce a stenderlo bene per via della memoria della spire. Ecco perché addirittura si evita il fluor carbon. Un leader morbido, rende fluido il complesso pescante. Direi di usare uno 0.40 con esche fino ai 100gr e fondali non troppo impervi, e 0.50 in tutte le altre occasioni. Se si ha la necessità di salire per dimensione delle prede o altro… stiamo pescando a Vj e non più a Lj.

Domenico Craveli


GLOBAL@MAIL Un fatto di spinta Ho dei seri problemi con il mio ausiliario; un quindici cavalli, che comando dalla console, che adopero per trainare oltre che come motore di scorta. Nonostante abbia una potenza ragguardevole non riesco a modulare la spinta soprattutto quando le condizioni di vento e mare non sono ideali. Se navigo contro corrente o contro vento spesso vado troppo piano e se accelero vado troppo forte; insomma se il mare è calmo tutto va bene altrimenti è un ossessione. Cosa debbo fare ? devo cambiare motore? Giuliano Nulla di nuovo sotto al sole caro Giuliano; il fenomeno che lamenti infatti, è molto comune e le sue cause sono da ricercare in più aspetti. Intanto posso suggerirti di far registrare correttamente tutti i cavi di comando per scongiurare qualsiasi gioco che non consenta un buon controllo del gas. Ricorda comunque che la regolazione del gas non è lineare , soprattutto ai regimi più bassi, causa l’elasticità dovuta alla lunghezza dei cavi e alla normale tolleranza della farfalla. Ma la vera soluzione potrai trovarla cambiando l’elica, montandone una a passo più corto capace di generare una buona spinta anche a basso regime di giri. In sostanza sarà come aver messo una marcia bassa per affrontare le salite con meno difficoltà. La velocità massima diminuirà ma l’andatura soffrirà meno vento e onde, rimanendo molto più costante e non serviranno brusche accelerazioni per rimettere in rotta la barca.

Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL Ossessione cernie bianche Sono un appassionato di traina con il vivo, e nonostante sia sicuro della presenza di cernie bianche di buona taglia non riesco a catturarle. Cosa cambia rispetto alla traina al dentice? Perché se passo con un bel calamarone spesso non ottengo risultati negli stesso posti dove con i palamiti invece catturano con disarmante costanza? Grazie mille per l’eventuale risposta. Massimo da Lecce

Massimo, le cernie bianche sono dei formidabili predatori, che hanno abitudini ben precise. La prima cosa da fare è di cercarle sul fango/sabbia nei pressi delle secche o delle zone detritiche, vagando nel vuoto anche per centinaia di metri e poi soprattutto insistere alle prime luci del giorno. Le cenrie bianche intensificano la loro attività proprio in quei momenti. I palamiti infatti vengono calati al buio e salpati in mattinata, quindi pescano bene nel picco di attività di questi pesci. I grandi calamari sono ottimi per esca, ma anche un bel totano da chilo morto, ma fresco, potrebbe garantirti successo. Io credo che sei vicino alla risoluzione del rebus, ma ti manca qualcosina. Importante è pescare con mediani lunghi. Meglio se con l’affondatore. Diversi anni fa notai questa cosa, in un zona piena di pescatori, noi catturavamo con regolarità le cernie bianche, trainando con palla di cannone e totano a 50 metri da essa, e su 53 metri di fondo calavamo tutto a 47… era una botta a giro! Prova…

Domenico Craveli


GLOBAL@MAIL Lanci nella pastura Volevo raccontarvi un episodio che mi è capitato questa estate durante una battuta di drifiting ed al tempo stesso chiedervi un parere. Stavamo pasturando da più di due ore senza nessun risultato apparente, senza vedere una bollata, un segnale sull’eco, un giro d’acqua. Insomma una di quelle situazioni in cui la noia rischia di prendere il sopravvento, complici il caldo e la calma piatta. Ad un certo punto , un po’ per gioco, ed un po’ per rompere la monotonia, abbiamo tirato fuori la canna da spinning e lanciato in mezzo alla pastura un jig color sardina. Il tempo di concedere filo e far cadere l’esca nel blu, ecco che uno stike fulminante ci ha paralizzati. Il mulinello girava all’impazzata, il filo usciva e il diametro della bobina si assottigliava paurosamente; ma è bastato prendere la canna in mano e accennare un leggero recupero che la rottura ha messo fine all’avventura. Punto di break il nodo tra dynema e nylon. Volevo chiedervi, quindi, se un’azione di pesca mista, pasturando e lanciando nel mezzo della scia, con gli artificiali è corretta e può funzionare o è stato solo un caso. Mauro, Civitavecchia

Caro Mauro, analizzando quel che ti è successo posso pensare che indubbiamente i pesci, anche se non avvistati, erano in pastura e a tiro delle tue esche. Il fatto di averne allamato uno, se pur rappresenta un successo, a mio avviso, non può trasformare questo evento in un tecnica a se stante. Oltretutto se fosse capitato di non allamare nulla o di allamare qualche malcapitato pesciolino avreste vanificato, in presenza di tonni, tutta l’azione de brumeggio. Lo spinning dalla barca è indicato per pescare sulle mangianze attive, soprattutto dove i pesci sono visibili così da stimarne la taglia e adeguare l’attrezzatura al meglio, per evitare inutili rischi. Lanciare alla cieca in mezzo alla pastura, può regalarti si l’emozione dello strike o il nulla assoluto, ma può anche metterti di fronte a pesci di mole, difficilmente gestibili con un’attrezzatura inadeguata, che poi se ne andranno con un inutile piercing o peggio con metri di filo al traino.

Andrea Iacovizzi


TRAINA

Pesci di s

N

di Michele Prezioso

on c’è che dire, l’autunno è proprio una gran bella stagione per pescare. Forse quella che preferisco, perché proprio in questo periodo le condizioni climatiche sono ancora buone e il mare si popola di pelagici e per chi è appassionato di traina, come me, incomincia il vero

divertimento.

Tra i tanti pesci che si possono insidiare in questa stagione uno che mi piace particolarmente è la lampuga: un pesce davvero cosmopolita presente in tutti i mari del mondo, bello da vedere, buono da mangiare e straordinario da pescare. Aggressività totale Se c’è un pesce aggressivo questo è la lampuga. Attacca qualsiasi cosa gli capiti a tiro; non di rado me la sono trovata attaccata ad un sabiki o lì a maciullarmi il calamaro appena calato in mare, faticosamente pescato. Ed è proprio questa aggressività che la rende spesso facile preda. Ma la baldoria dura poco perché, dopo i primi strike, il naturale meccanismo di autodifesa di questa specie si attiva e, pur seguendo gli inganni, se ne tiene prudentemente alla larga. E’ vero che se gli esemplari sono di taglia, un paio di pesci a bordo già possono essere sufficienti ma, essendo un predatore che caccia a galla, praticando un rapido catch&release ci si può divertire a lungo.


stagione Un pesce estremamente sportivo, divertente da insidiare anche a spinning, ma apprezzata molto anche dai moschisti

Dove insidiarle Ultimamente, l’incontro con la Coryphaena Hippurus (questo è il suo nome scientifico) in alcune zone d’Italia si è rarefatto; frutto certo della pesca professionale, capace di metodi di pesca sempre più devastanti. La circuizione anche su questa specie è molto praticata ed è una tecnica a cui nessun pesce o quasi riesce a sottrarsi. Torniamo però agli spot più indicati. Sebbene sia un pesce insidiabile tanto in altura che nel sottoscosta, non c’è un punto, un tipo di fondale dove la sua presenza possa dirsi certa; ci sono zone dove è solo più alta la probabilità. E’ un pelagico, capace di muoversi per miglia e miglia, e la sua presenza è strettamente legata al pesce foraggio. Quindi, la troveremo là dove più alta è la densità o la probabilità di procurarsi cibo. Gli esemplari più grandi, maturi sessualmente, di rado accostano e si tengono sulle batimetriche elevate. Ovvio incontrarli, però, lungo le coste i cui fondali precipitano nel blu. Ma gli esemplari più piccoli, che devono crescere per affrontare la stagione fredda, cacciano più a ridosso delle coste, incrociando su secche, imboccatura dei porti e anche bassofondi ricchi di posidonia. Non è difficile subirne gli attacchi quando si traina a ricciole sui cappelli delle secche. Lo strike non vuol dire mai pesce in barca, perché la reattività, le evoluzioni ed i salti di cui è capace la lampuga, oltre ad essere spettacolari, mettono sempre in dubbio la conclusione

Una strana abitudine Il disegno mostra la biodiversità che si viene a creare sotto questi particolarissimi ed artigianali FAD: straordinaria zona di caccia per le lampughe!


Una prerogativa delle lampughe è quella di cacciare all’agguato; sfruttano qualsiasi relitto che galleggi

TRAINA

alla deriva, per celarsi nella sua ombra e poi scattare, non viste, verso l’ignara preda di passaggio. I pescatori sfruttano questa caratteristica, realizzando, con foglie di palma e canne, i cosiddetti cannizzi o pagliarelle; isole nel mare, appena sotto il pelo dell’acqua, che richiamano appunto le lampughe, che poi pescavano a traina. Ora, invece, lo fanno con reti a circuizione ed il gioco dura assai poco. Però val bene le pena passare con le lenze intorno a oggetti galleggianti o ai cannizzi qualora se ne conoscano le coordinate. Ma anche boe e correntometri, ad esempio, sono ottimi punti di traina. Oltre alla presenza della boa, la lunga catena di ancoraggio con le sue incrostazioni crea un indotto alimentare fortissimo, ideale territorio di caccia. A pesca Le esche di superficie sono le più usate e le colorazioni più catturanti sono il rosa, il giallo/ verde e l’arancio, ma mai fossilizzarsi…

Non c’è che l’imbarazzo della scelta: le tecniche per insidiarle sono molteplici, dalla traina con esche vive alla traina con gli artificiali, al light drifting, fino allo spinning o alla pesca a mosca. Se parliamo di traina di superficie, piume con testina piombata, raglout, piccoli rapala, warm di generose dimensioni, bubble jet e sotft head sono l’ideale. La velocità consigliata è tra i 5 e i 7 nodi. Dimenticavo di dirvi che anche il metodo di guida è importante: gli stop&go o le rapide variazioni di rotta sono molto attrattivi per il dorado; infatti gli scarti, gli scatti e le bollicine sono un richiamo importante. Piccoli trucchi Una soluzione che concentra su di sè tutte le capacità attrattive di due tipologie di esca, fortemente imitativo di un pesce in fuga

Vi accorgerete, una volta intercettato il branco e avuti un paio di strike, che le lampughe non crederanno più alle esche; è ora di cambiare strategia e sostituirle, nel tipo e nel colore, oltre a cambiare passo di traina. Sfoderate tutte le armi tradizionali, potrà essere risolutivo qualche piccolo escamotage o, meglio, delle astuzie un po’ particolari. Si tratta di guarnire la piuma, o l’octopus con testina morbida o in metallo, con una striscia di calamaro battuto. L’effetto scodinzolante come solo il naturale può dare, amplificato dalla sapidità degli umori rilasciati, rinnoverà l’aggressività delle nostre lampughe. In alternativa, può anche andar bene montare un raglout di dimensioni adeguate alla misura dell’artificiale. Lo scodinzolare frenetico del siliconico vi ripagherà delle fatiche delle costruzioni.


Col vivo Le esche vive sono irresistibili per la lampuga e farne una pesca mirata può essere molto tecnico ed interessante

Tecnica più complessa, che prevede una competenza specifica, è la traina con le esche vive. Sebbene le montature saranno obbligatoriamente più leggere della pesca ai grandi pelagici come la ricciola, gli areali saranno gli stessi come le esche. Quindi attenzione, perché le lampughe corrono dietro ai piccoli pesci e le ricciole corrono appresso alle lampughe. Comunque, anche a costo di perdere un po’ di divertimento, non andrei a pesca di lampughe col vivo senza la mia fidata 12lb e con degli ottimi ami del 3/0-5/0. Non si sa mai. Esche? Vanno bene sugheri o sgombri, aguglie o calamari (di cui, tra l’altro, vanno assai ghiotte). L’unica accortezza sarà quella di pescare a galla o appena affondati, lasciando la frizione al limite dello slittamento. Sperando che non abbocchi una ricciola… o no?

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JIGGING

Carangidi n

I

l Vertical Jigging ci pone spesso di fronte a situazioni inusitate, mai affrontate prima con nessuna altra tecnica, scenari particolari, dove spesso il bagaglio tecnico-storico non basta per risolvere a nostro favore la situazione, ma serve inventiva e capacità di adattamento… oggi

parliamo di carangidi nel torbido, perché, anche in fondo al mare, l’acqua spesso è densa e cupa, anche se la superficie ci racconta un’altra storia!

di Domenico Craveli

Un pesce di taglia catturato in una mattinata con mare di scirocco. Il giorno prima, alcuni sub di un diving locale avevano sospeso l’immersione su quella secca per mancanza di visibilità dovuta al torbido


nel Torbido Il jig che scende sfarfallando verso il fondo, una jerkata potente come primo stacco, il cadenzato ritmo

di jerking che porta verso la superficie l’esca… poi, improvvisamente, percepiamo una “sbandata” sulla canna, come se qualcosa fosse passato furiosamente accanto al nostro artificioso pesciolino alterandone il nuoto. Neppure il tempo di razionalizzare che il multi “si blocca” come un inaspettato incaglio: tre, forse quattro secondi, e la frizione sibila per una poderosa fuga verso il fondo. E’ strike, un big strike, un’esperienza che probabilmente porterà turbamento ai nostri sonni/sogni, per molte notti! Ma questo è solo un fotogramma, un suggestivo ritaglio del VJ alle ricciole, dove esiste un prologo per trovarle nei vari momenti stagionali, ma anche un epilogo, per indurle all’attacco e concludere a nostro favore il combattimento. Cercheremo le Signore Dumerili in stasi, in ambienti e spot prima impensabili, scoprendo una realtà parallela di cui fino ad oggi ignoravamo l’esistenza. Anomalie di cambio stagione Con l’avanzare dei mesi, tra l’autunno e l’inverno, quando alle fredde giornate battute da venti settentrionali si alternano momenti di sole e di caldo per via dello scirocco, il mare diventa un tumultuoso ed irrequieto “ring” dove correnti diverse si scontrano, generando condizioni anomale in termini di temperatura dell’acqua e di visibilità. Parlando con dei sub professionisti, è emerso che proprio in questo particolare momento stagionale, nel Tirreno, a profondità tra i 40 e i 50 metri, si hanno spesso condizioni di acque velatissime, dove le ricciole amano stare, ma si comportano in modo diverso dal solito, ossia meno curioso e sprovveduto: infatti, pare si allontanino dagli intrusi anziché andare loro incontro come spesso fanno. Un salto batimetrico importante genera spesso rimescolamento di correnti sul fondo che causano il torbido dove amano stare i branchi di ricciole. Le acque cupe le rendono invisibili dall’alto per via del loro colore del dorso e quindi possono predare meglio


JIGGING

Ottobre, novembre e dicembre sono solitamente i mesi in cui si imbrancano in promiscuità di taglia, e non è raro trovarle su batimetriche anche relativamente basse intorno ai 25/30 metri, in condizioni di crollo barometrico, come su alto fondale anche oltre i 100 metri con bassa pressione stabile o in risalita. In questi particolari momenti, il loro accanimento nei confronti dell’esca metallica raggiunge l’apice: infatti, individuato il branco, il problema non è registrare numerose catture, ma tentare di selezionare la taglia, perché sotto il “tappeto” di piccole in frenesia… solitamente ci sono le grosse. Può sembrare un’utopia, ma una azione di short jerk, correttamente eseguita in ultra fast con gli short jig (i migliori in queste situazioni) ed impostata nei pressi del fondo senza risalire troppo, può portare sui nostri assist le big del branco. Jig da lola

Jig sfarfallanti, con ampie porzioni di livrea argento-specchio riflettenti, sono quanto di meglio proporre alle ricciole in questo particolare periodo

Le ricciole, a seconda della situazione, gradiscono esche diverse. Naturalmente ogni jig può essere attaccato, ma esiste già una casistica per avere qualche riferimento. Con acque velate o leggermente torbide hanno funzionato anche i Tamentai da 200/250 gr, nei colori verde/bianco e azzurro/bianco. Con predatori imbrancati sono gli short jig a farla da padroni: i soliti Searock, i Butterfly, Yamashita Seaflower, Shout Stay, quelli più quotati.


Il Tamentai, un brutto jig a forma di cassa da morto ma dall’efficacia straordinaria

Naturalmente

non

è

necessario averli tutti, ne bastano alcuni per tipo, visto che ciascuno ha delle caratteristiche proprie,

idonee

per

determinate situazioni. Un corredo di esche esagerato rischia solo di appesantirci inutilmente, generando imbarazzo nelle scelte. Un suggerimento utile è evitare doppioni: 3 o 4 modelli, di diversa grammatura, sono più che sufficienti.

DENTEx

gROuPER

AmbERJAck

I NOSTRI PARTNERS Via Jesi, 38 61122 Pesaro Italy Tel +39 333 3969091 marco@sunrise-italia.com info@pescamarket.com www.sunrise-italia.com

Lunghezza 2.00 mt Fusto: Carbonio Alto modulo HD Anelli: fusji LOW RIDER Porta mulinello Alps Gimbal Alps

È una canna con fusto e manico smontabili appositamente studiata per la pesca con l’esca viva, l’uso di affondatore o con piombo guardiano. Canna leggera, potente e performante per la pesca ai dentici, cernie e ricciole. Azione canna up 10 kg da cui prende il nome: DEVIL X. La sorella maggiore, sempre della famiglia Devil ma con la fama della “più cattiva” è la DEVIL XX che differisce dalla sorella, per il dragh di pesca; infatti la DEVIL XX possiede un up di 20 kg. Lo stimolo che ha spinto il reparto tecnico SUNRISE, nel concepire una famiglia di canne per la pesca con l’esca viva, è stata la necessità di trovare un “attrezzo” potente, reattivo ma con un peso estremamente ridotto, adatto specialmente negli spot del sud Italia dove la traina con il vivo spopola e dove il pescatore è impegnato per molte ore nell’azione di pesca. Il binomio vincente? DEVIL XX e AVET SX per avere il massimo della tecnologia futura!


TRAINA

La signora di Umberto Simonelli

I

n alcuni periodi dell’anno è lei la star, la più desiderata, la protagonista indiscussa delle foci, terrore di cefali, sugheri e aguglie ma anche estremamente elusiva e difficile da insidiare.

Parliamo della Lichia Amia, l’altro grande carangide che, insieme alla ricciola, popola le nostre acque.

Può raggiungere i quaranta kg e più e i due metri di lunghezza, sebbene gli esemplari più comuni siano di taglia compresa tra gli otto e i 25 kg.: un pesce entusiasmante da pescare, sia per il suo valore tecnico che per l’estrema combattività. Schiavi d’amore Anche per la leccia, l’abitudine di frequentare la costa, soprattutto in prossimità delle foci, nasce dagli obblighi riproduttivi. Infatti l’accoppiamento, che avviene in concomitanza dell’aumento del fotoperiodo (e quindi all’inizio della primavera) che si conclude con la deposizione di uova pelagiche, le sfinisce provocando un forte deperimento organico. Le lecce arrivano in massa, affamate, spinte da una necessità biologica… ed è facile in questi momenti effettuare catture multiple; dopo esserci confrontati con questi strenui combattenti coroniamo la cattura con un rilascio. Un’azione etica e responsabile!


a della foce Ciò le costringe a ricercare un regime alimentare molto calorico che ripristini le energie perse. Infatti il resto dell’anno lo trascorreranno in alto mare a profondità elevate e basse temperature, periodo al quale si dovranno presentare in perfetta forma. Quali zone migliori degli ambiti portuali e degli estuari di fiumi e corsi d’acqua per nutrirsi abbondantemente? La ricchezza di questi habitat sono quindi un richiamo irresistibile per le lecce, che hanno la peculiarità di trovarsi a proprio agio in bassi fondali ed anche in acque a bassissima salinità. A pesca con l’orologio Gli orari di pesca sono importantissimi, quindi occhio alle tabelle di marea!

La presenza di questo pesce è costante per tutto il periodo in cui stazionano nel sottocosta, ma l’attività alimentare è discontinua e dettata da molte variabili. Quindi, aggrediscono le esche in momenti ben definiti della giornata e, essendo una specie molto gregaria, la competitività alimentare che si scatena nei momenti di frenesia fa sì che possano verificarsi strike multipli. Le ultime catture, nostre e di altri pescatori, hanno fatto registrare attività più intensa, con metodicità, in orari precisi della giornata e comunque direttamente legati all’andamento di marea. Pertanto le prime ore della mattina, quelle centrali e anche quelle della sera sono i punti di riferimento, considerando sempre l’interferenza della marea e della presenza di pesce foraggio.

Proposte alimentari

Il cefalo è la più classica delle esche oltre ad essere una delle prede preferite del nostro carangide.


Le esche da proporre alle amia sono molte ma alcune più di altre sembrano funzionare meglio. Ai

TRAINA

primi posti poniamo il cefalo e successivamente gli sgombri, le cavalle o lanzardi, i sugheri, le lecce stella e le aguglie. L’importante è che siano tutti di buone dimensioni. Non pensiate che una leccia si fermi davanti ad un cefalo di un chilo e più; addirittura troverà una maggiore giustificazione ai suoi sforzi predatori. Anche lo sgombro è un’esca micidiale: oltre ad una mobilità non comune, ad un valore alimentare elevatissimo. Non è una preda comune dell’immediato sotto costa e quindi, essendo meno inflazionata, ha una marcia in più. Soffre però la bassa salinità ed in foce va trainata sul fondo dove l’acqua è più salata.

Oltretutto, i pesci grandi soffrono meno gli attacchi dei serra che spesso condividono gli stessi areali. Al mattino abbiamo visto che gli assalti sono più frequenti affondando le esche di uno o due metri con piombi leggeri, mentre, man mano che il sole è più alto, è più redditizio tenerle a galla ma distanti dalla barca. A volte paga far lavorare l’esca molto lontano in modo autonomo, appena affondata sotto il pelo dell’acqua, sorretta da un palloncino o da una bottiglietta da mezzo litro. La distanza e un innesco che faccia lavorare l’esca in modo libero faranno il resto. Gli inneschi La bocca della leccia è molto particolare e, proprio per la sua conformazione, lo strike è spesso difficile; quindi… ami affilati, sottili ma robusti e molta tecnica!

Molte le scuole di pensiero rispetto alle modalità di innesco. Il più usato in assoluto rimane quello scorrevole a due ami, con molte varianti riguardo alle modalità di infissione dei due ami. C’è chi innesca il traente solo nel labbro e il pescante dietro la pinna anale, chi sul fianco o sulla groppa. Ognuno ha il suo credo e le proprie convinzioni. La nostra esperienza ci ha fatto maturare l’opinione che in primo luogo gli ami devono essere super affilati e di filo sottile per evitare ogni difficoltà di infissione. Successivamente, ci siamo convinti che la mobilità dell’esca sia da privilegiare, evitando così doppiature e ami scorrevoli a favore di un solo amo circle infisso direttamente nel naso o con una briglia passata con un ago da innesco, soluzione però da valutare con le aguglie che subiscono un’aggressione diversa.


Ciak! Si pesca! L’azione è in corso: canna bassa e concedere filo per consentire all’esca reazioni naturali e soprattutto per non far insospettire il pesce, pronti per la ferrata al momento giusto..

Ed eccoci in pesca; le canne non serve che siano mostruose, animali anche potenti si controllano bene con libbraggi modesti dalle 8 alle 12 lb. a tutto vantaggio del divertimento. L’assetto sarà classico con preterminali di 10, 15 mt. e un terminale, di 2,50, in fluoro carbon che andrà dallo 0,45 allo 0,60 a seconda della taglia presente in zona . Ricordando che la mobilità dell’esca fa la differenza, soprattutto se questa non sarà grandissima, i fili sottili le daranno una marcia in più. Pescando in poco fondo, senza necessità di affondare, sarà possibile per una volta pescare con il nylon, mettendo da parte il multifibra. In questo caso sarà consigliabile usare canne più potenti per compensare in fase di ferrata e contrasto l’elasticità del nylon, che si rivelerà utile nelle fasi di ingaggio col pesce per insospettirlo meno. Frizione al limite dello slittamento e sguardo attento … pronti a cogliere ogni piccolo segnale; l’attacco si manifesta con un vortice intorno all’esca e anche con qualche scodata, preceduto da forti vibrazioni del cimino. Ecco l’attacco, la leccia è molto diffidente e studia l’esca prima di aggredirla...

La leccia ha puntato l’esca, questa si agita tentando la fuga; noi dovremo favorire la sua fuga cedendo filo con le mani. Questo farà scattare l’aggressione che si svolgerà con forti musate per stordirla (che potranno anche farla saltare fuori dall’acqua), seguite dal tentativo di inghiottire l’esca.

La leccia è in canna , ma mai farsi trovare impreparati alle sue manovre a sorpresa!

E’ il momento in cui l’azione sbagliata comprometterebbe

ogni

cosa;

la

leccia per ingoiare dovrà girare il pesce e ingurgitarlo dalla testa e lo farà andandosene lentamente; solo quando riprenderà un nuoto veloce serreremo

progressivamente

frizione e inizieranno le danze!

la


SURFCASTING

EQUINOZIO

L’

di Dario Limone autunno è il momento in cui riprende il surfcasting, dopo la parziale pausa estiva, dedicata per lo più alla meno spinta pesca a fondo. Nonostante un inizio di autunno caldo, le prime mareggiate colpiscono la costa e noi finalmente saremo lì ad aspettare la “magica

scaduta” per insidiare gli sparidi di pregio che amano grufolare nella turbolenza. Onnipresenti mormore

Mormore nella tempesta… un connubio possibile a patto di scegliere esche in grado di reggere all’azione abrasiva della sabbia spinta dalla turbolenza

Se

nella

abbiamo

placide catturato

serate

estive

mormore

in

quantità ma dalla taglia modesta, questo è il periodo delle over size della specie.


O DA SPARIDI Pesci belli, “mattonelle” in grado di entusiasmare anche il più infreddolito degli appassionati. Per insidiarle è indispensabile modificare qualcosina, specialmente in termini di esche da proporre. Pur rimanendo l’arenicola il boccone principale, vanno introdotte leccornie a maggior contenuto proteico, come il cannolicchio ed il bibi. Il cannolicchio privato del guscio, viene inserito sull’ago per innesco ed arrotolato come un salamino con del filo elastico, per evitare di perderlo, durante il lancio. Il bibi è un anellide tenace all’amo; se di grosse dimensioni possiamo dividerlo a metà, usando delle legature a monte ed a valle col filo elastico e quindi lo taglieremo in mezzo. Questo provvedimento si rende necessario, per evitare di disperdere i suoi liquidi attrattivi. ORATA L’orata è un pesce che oramai è possibile catturare tutto l’anno. Importante è determinare la distanza di pascolo ed abbinare l’esca più gradita in quel preciso momento

L’orata è oramai stanziale ed è presente tutto l’anno. In autunno sicuramente, non faremo i grandi carnieri di orate da 500 gr, ma è possibile intercettare quella XXXL (foto ricordo!). Molto spesso, durante la mareggiata sostano dietro la prima onda che si forma ed è sempre una sorpresa spiaggiarla, perché associamo l’orata, soprattutto, al mare calmo o poco mosso. Non dimentichiamo, che il rimescolamento del fondo marino, espone a buon mercato, cibo per tutti i commensali presenti. L’orata ha la bocca buona e si alimenta di tutto ciò, che è organico. Nella dieta rientrano bivalvi, crostacei, cefalopodi, sardine, anellidi come l’americano, e vermi come bibi e rimini. SARAGO E’ il “ RE “ della schiuma. La cattura di questo pesce è sinonimo di mare mosso con tanta schiuma, a ridosso della battigia. Durante le mareggiate è possibile effettuare coppiole di esemplari anche di taglia over 500 gr, come è anche possibile prendere l’esemplare da 2 Kg. Da bravo grufolatore si ciba di tutto quello, che è nascosto al di sotto del fondo marino, ma non disdegna un filettino di sardina, presentato ad arte, oppure un buon anellide od una striscetta di calamaro fresco. La sua audacia è tale, che a volte potremmo pescarlo con una canna fissa dalla spiaggia. Durante la mareggiata si può provare a calare le insidie anche a soli 5-10 mt dalla riva !! I vecchi surfcaster associano al sarago, ad un calamento storico denominato, “ pater noster “; classicamente è un doppio snodo con braccioli di lunghezza di 20 cm. Il primo è a 5 cm sopra il piombo, il secondo è a 30 cm dal primo.


SURFCASTING

Terminali in sintesi MORMORA – ORATA:

a

mare calmo o poco mosso, il terminale da usare, è un very long arm dai 2 mt ai 5 mt. Si può collegare o ad un minitrave in acciaio, oppure ad un comune snodo, fissato a 15 cm al di sopra del piombo. L’amo deve essere un “beak“ di misura n° 6-8. SARAGO: a mare mosso il calamento è il “pater noster“ nelle sue varianti.

Mare Nostrum Le

improvvise

tempeste

sono

sempre più frequenti. E‘

fondamentale

coglierle nel

modo opportuno per trarre il massimo

vantaggio

in

termini

di pesca, ma è indispensabile la massima prudenza specialmente con

forte

vento

e

fenomeni

elettrici diffusi.

Per il tipo di clima mediterraneo e con l’innalzamento delle temperature marine; quello che una volta era una divisione netta tra le 4 stagioni, oggi non c’è più. Per tale motivo è difficile fare delle previsioni sul tipo di cattura, che effettueremo. Il pescatore moderno deve essere pronto a tutte le evenienze ed oggi grazie alla tecnologia è possibile. Gli sparidi sono pesci la cui biologia è particolarmente mutevole al variare delle condizioni del momento, e spesso, l’evoluzione di uno stato di mare è così repentino, che per concretizzare catture è necessario adeguare tecnica e terminali al rapido evolversi degli eventi… non c’è spazio per i pigri.



PESCA DA TERRA

RISACCA di Domenico Craveli

D

ifficile, difficilissimo… far lavorare correttamente le esche tra la schiuma delle onde impone una notevole padronanza della tecnica, dove ogni elemento ci metterà a dura prova, ma anche dove l’attività dei pesci è quasi sempre elevata.

La pesca da terra nei settori di turbolenza generati dal frangersi delle onde riveste un fascino particolare, dove tecnica, convinzione, e conoscenza dei moti dell’acqua, rivestono un ruolo fondamentale per giungere alla cattura di pesci, spesso anche di grossa taglia, utilizzando sistemi di superficie semplici ma funzionali


ACQUA IN MOVIMENTO Le onde, anche se a guardarle si potrebbe ipotizzare il contrario, sono un movimento ritmico, legato a leggi della fisica che ne determinano una regolarità che si trasforma in acqua in correnti ben definite, che trasportano sedimenti e materiale organico, al cui seguito si spostano i grufolatori in pascolo… e i predatori a seguito di questi ultimi.

Il sarago è il signore indiscusso della schiuma, ma anche spigole ed orate condividono lo stesso ambiente

nelle

medesime

condizioni di forte moto ondoso

Il moto ondoso, solitamente viene generato dal vento distante soffiando

dalla

costa,

sulla

che

superficie

impone alle particelle di acqua di abbassarsi le une sulle altre, questo movimento genera in maniera consequenziale l’innalzamento di quelle adiacenti, generando così un moto ondulatorio verticale che si propaga ma che non genera trasporto di fluido.


Questa oscillazione tende a perdere d’effetto con l’aumentare della profondità, ma nei pressi della

PESCA DA TERRA

costa, dove il fondale si alza e la distanza dalla superficie incomincia ad essere minore della distanza fra due creste d’onda, queste particelle “compresse” urtando contro il fondo tendono a scaricare la loro energia spostandosi. A questo punto si genera un movimento di acqua orizzontale in direzione della costa, con le particelle a contatto con il fondo che vengono frenate dall’attrito rispetto a quelle in superficie che tenderanno quindi a rovesciarsi in avanti, precipitando sotto forma di frangente e che, abbattendosi sulla battigia, creeranno un riflusso che con il suo prezioso “carico” piace tanto a molti pesci. PIATTO RICCO

Le orate catturate nelle onde sono prede che non è facile portare in secca, serve pazienza e sangue freddo

Le

prede

che

abitualmente

frequentano questi luoghi sono soprattutto i saraghi e le spigole, ma anche le orate, solitamente più placide e amanti di settori più soft, si sono dimostrati con nostro stupore abili nuotatori nella corrente del sottoriva rendendo ancora più affascinante la pesca nella schiuma sulla corta distanza ed in superficie. I saraghi prediligono la zona subito a ridosso del gradino di risacca, spesso lasciandosi cullare dal flusso, attendendo il reflusso discendente per afferrare in velocità qualche boccone; pascolano in piena turbolenza, risalendo la corrente parallelamente alla costa. Le spigole invece fanno di necessità virtù, ossia alternano comportamenti tipici da grufolatore a quelli di predatore, ingoiando qualunque cosa sia commestibile. La zona preferita è il cavo dell’onda, dove con la possente coda riesce a muoversi con disinvoltura cacciando piccoli pesci in difficoltà o afferrando qualche boccone in sospensione. Questa sua caratteristica di muoversi al limite, le è spesso fatale: non sono rari i casi che nella frenesia alimentare

si

lasci

inesorabilmente

travolgere e spiaggiare proprio dalle onde che le sono state alleate per la vita. Le orate si muovono dove il reflusso perde energia, mangiando quello che di buono che la corrente primaria ha portato alla scoperto. Queste note abitudini ci portano con buona approssimazione a pescare indirizzando la nostra tecnica adeguandola a misura della preda che in quel momento tentiamo.


LA TECNICA Un sarago… e il galleggiante scorrevole a sfera piombato usato per praticare questa tecnica

Dinamicità, adattamento, poliedricità, sono solo alcune delle caratteristiche che la nostra azione di pesca deve avere. Le linee guida spesso sono plasmabili a discrezione personale, sfruttando il bagaglio tecnico di ognuno di noi per creare azioni soggettive, che più che alle tendenze, si adattino alle abitudini dei pinnuti anche in maniera a volte impropria. Una canna strong da scogliera, sia essa inglese o bolognese sarà quanto di meglio si possa disporre

La pesca avverrà prevalentemente una canna del tipo inglese o bolognese, armata di un mulinello classe 1000/2000 inbobinato con dell’ottimo 0.20/0.22.

la

lenza è molto semplice ma funzionale. Un galleggiante scorrevole sferico, con foro passante, sarà montato direttamente sulla lenza madre e fermato dalla parte superiore con uno stop in gomma, e sotto con pallino spaccato, immediatamente a ridosso di un salva-nodo che proteggerà la legatura sulla girella. Su quest’ultima sarà legato il bracciolo lungo dai due ai tre metri dello 0.14/0.18, armato con un amo del 12/10, e bilanciato con una piombatura secca di mezzo grammo a un metro dall’amo stesso. Questa lenza “essenziale” permette di stare in pesca nella turbolenza senza eccessivi problemi, ed in caso di incaglio o rottura sarà facilmente ripristinabile. Praticamente si lancia immediatamente oltre la risacca, e si fa derivare il galleggiante sfruttando le correnti, che lo porteranno proprio nelle zone dove stanno i pinnuti. Noi dovremo solo essere bravi a sfruttare questo effetto vela lavorando di canne e di mulinelli per cedere filo quando lo riterremo necessario ed effettuando di tanto in tanto delle trattenute per sollevare il boccone. Pasturazione ed esche Le esche aromatiche prevalgono di molto su tutte le altre. Il gambero fresco rimane tra le migliori in assoluto

Nelle onde il richiamo olfattivo è indispensabile. Si pasturerà con sfarinati a base di sarda, agglomerati a sabbia, lanciando delle “bocce” proprio nel cavo dell’onda. Come esca ottimo è il pezzo di gambero, o il gamberetto intero, il tocchetto di sardina, o la polpa di tonno. I più pigri forzeranno l’uso del bigattino, ma le esche sopracitate hanno una marcia in più. Questa pesca è emozionantissima, e permette di realizzare carnieri notevoli, a patto di saper sfidare con metodo il vento in faccia e gli spruzzi. Buon divertimento!


DRIFTING

COME TI

E’

di Andrea Iacovizzi scontato che il successo di una sessione di drifting sia affidato all’attenta sistemazione dell’attrezzatura, alla qualità dei terminali, all’allestimento della barca e, non ultima, alla scelta della giornata in base a vento e corrente. Ma, nel complesso di tutti particolari a

cui fare attenzione, c’è un altro elemento di importanza basilare: gli inneschi. Oltre ad esche di qualità, che garantiscano una buona tenuta all’amo, è importante la loro geometria. La forma, l’aspetto ed il movimento del complesso amo-sarda, in acqua, rappresentano il fulcro della credibilità dell’innesco. Clienti difficili Quando i tonni sono in frenesia alimentare e la competitività si scatena, soprattutto se parliamo di esemplari giovani, capita spesso che non vadano molto per il sottile e, pur di accaparrarsi ognuno la propria parte, perdono la naturale sospettosità. Quando i tonni sono in solitario o il branco è di pochi esemplari e la pastura appagante, la sospettosità ritorna. Per le esperienze fatte possiamo dire che il tonno è in grado di fare in tempi brevissimi la valutazione delle esche, come se analizzasse un codice a barre.


INNESCO Una valutazione che parametra non l’aspetto, ma naturalità e movimento comparandola immediatamente all’andamento della pastura. Una va in modo naturale, l’altra (l’innesco) ha un movimento diverso e quindi poco credibile: meglio non fidarsi! La qualità degli inneschi è fondamentale; il fresco appena pescato non ha rivali ma anche un buon congelato va bene, a patto che sia ben conservato. Attenzione perché lo scongelamento brusco compromette la compattezza delle carni

Inganni ragionati Date le premesse precedenti, va da sé che variare gli inneschi è indubbiamente un’ottima soluzione per superare l’innata sospettosità dei commensali; ma sia chiaro che un innesco non vale l’altro… Per esempio, sardine in ottimo stato, magari anche fresche o appositamente conservate, sono l’eccellenza per inneschi singoli; mentre, qualora si decidesse di innescare a ciuffo, alternare sarde intere ad altre in parte rovinate può aiutare a confondere l’esca nel mezzo del brumeggio. Le sarde sode ed intere e quelle in condizioni meno belle hanno un diverso comportamento in acqua, come se avessero pesi specifici diversi. L’integrazione tra le due può essere di giovamento alla credibilità complessiva. Una sardina intera in perfetto stato ed una sfaldata, l’ideale per camuffare l’innesco in mezzo ad una nuvola di pastura

La pratica Il corretto modo di innescare la sardina singola. Pancia verso l’alto e amo che passa da una parte all’altra della spina. Se eseguito correttamente, con un pesce ben conservato, e irrobustito da due giri di filo elastico, l’esca rimane in pesca a lungo

Parlando di inneschi, partiamo dall’innesco classico, quello che prevede una sola sardina a coprire interamente l’amo. Questa è la soluzione ideale quando si pastura semplicemente tagliando a metà le sarde e soprattutto pescando all’ancora. Attenzione che l’esca rimanga con la pancia verso l’alto: in questo modo imiterà alla perfezione le sarde in caduta nel mezzo della scia.


La classica T, molto visibile, assomma due delle posizioni

DRIFTING

che le sarde assumono naturalmente quando vengono lanciate in acqua

L’innesco a T rappresenta un altro classico; consente un’alta visibilità dell’esca e copre interamente l’amo, anche se di grosse dimensioni. Attenzione però perchè la superficie esposta sarà maggiore e perciò soffrirà l’azione della corrente soprattutto pescando a scarroccio. Per nostra esperienza l’uso di ami con girella, ad esempio, attenua in modo apprezzabile questo problema, grazie alla possibilità di ruotare. Ecco un innesco che al momento sta funzionando benissimo: trancio di sarda senza testa

Oltre il classico Capita che, nonostante gli sforzi e le strategie, le esche non vengano degnate di attenzione, malgrado i tonni continuino a girarci sotto la barca. Variare forma e dimensioni del boccone potrà essere un ulteriore tentativo. Ad esempio, diminuendo dimensione degli ami abbiamo avuto ottimi risultati adoperando bocconi della stessa misura di quelli lanciati in pastura, innescando quindi il trancio o la parte caudale, privando la sarda della testa. Questi inneschi, oltre ad offrire pochissimo attrito e quindi essere ottimi in corrente, ben si confondono nel flusso di pastura e rilasciano anche una scia di sapore ed odore propria. Una ulteriore possibilità di variazione sul tema è quella di differenziare proprio la tipologia di pesce esca; ad esempio, se su banco del pesce reperite dei grossi sgombri, non esitate ad acquistarli. Innescati a tranci o nella parte caudale, oltre ad essere molto tenaci sono molto graditi ai tonni. Qualche volta paga usare inneschi della stessa taglia della pastura

A mali estremi Non è raro che i tonni entrino in mangianza su branchi di pesce foraggio attirati proprio dal brumeggio. Dimenticate che aggrediscano le vostre esche: la percentuale che ciò succeda è molto bassa e le soluzioni di emergenza da adottare sono poche e da attuare alla velocità della luce. Se si riesce a catturare qualche alice o sardina viva, innescarla e lanciarla è la soluzione con maggior probabilità di successo, mentre, contro ogni consuetudine, innescare una sardina dalla schiena e farla scendere nella mischia, come fosse viva ci da qualche chance in più.


To be alive L’amo va applicato sulla groppa del pesce, facendo attenzione a non provocare lesioni, in modo da consentire un nuoto il più orizzontale e naturale possibile

Un’altra opportunità di innesco è quella del vivo. E calare esche vive

nel

mezzo

di

inneschi

tradizionali ci sta, ed anche bene. E’ naturale che un brumeggio sia attrattivo per tutta la catena alimentare e che al banchetto partecipino quelle che in realtà rappresentano la mangianza naturale dei red tunas… Se siete fortunati e riuscite a procurarvi delle alacce di taglia siete già a cavallo. Andranno comunque bene i sugheri e gli sgombri ma, se per caso vi capitasse una lampuga, un tombarello o un alletterato, le probabilità di strike diventerebbero altissime: inneschi rigorosamente con i circle e meglio se usati in deriva.


TECNICA

SQUID CATCH

OBIETTIV di Andrea Iacovizzi

C

i siamo, la stagione delle seppie è alle porte; in alcune zone sono già arrivate ed in altre si affacciano timidamente i primi esemplari. Una pesca tradizionale che oggi vede a confronto tecniche antiche e soluzioni di ultima generazione provenienti dalla terra del sol levante,

dove i cefalopodi oltre ad essere prede per una pesca divertente, sono una vera e propria leccornia.

Una tecnica praticata fondamentalmente dalla barca nell’immediato sottocosta e che conta migliaia di appassionati. Vediamo insieme di fare il punto sull’evoluzione di questa pesca alla luce delle ultime tecnologie e non solo.


VO SEPPIE Tempo di seppie

La pesca alle seppie è una delle attività autunnali più divertenti e di grande soddisfazione a tavola.

Anche l’accostata delle seppie è dovuta alla riproduzione. I rituali nuziali quindi le costringono a portarsi in basso fondale per deporre poi le uova che, simili ad acini d’uva, vengono letteralmente attaccate a piante acquatiche, manufatti e a volte anche alle nasse in cui vengono catturate e o mantenute vive. Una seppia vive in media non più di 3 anni e le femmine una volta arrivate alla maturità riproduttiva dopo la deposizione muoiono; questa caratteristica attribuisce alla loro specie il nome scientifico di “ specie selelpara”. Per le danze d’amore la seppia preferisce i fondali a lenta ascensione batimetrica, di natura sabbiosa meglio se con zone di posidonia e/o macciotto , dove è maggiormente possibile cacciare piccoli pesci, gamberi, crostacei vari, anellidi ed anche piccoli esemplari della stessa specie, perché il cannibalismo è comune tra questi animali. La tradizione La pesca a mano con gli artificiali è la più praticata e ha sostituito sistemi molto più arcaici...

Molta acqua è passata sotto le nostre barche, da quando le seppie venivano pescate con tecniche veramente arcaiche. Pensiamo alla pesca a “rufianare” o con la “seppiarola” …. La prima consistente nel trainare una seppia femmina per catturare i maschi che, nel tentativo di fecondarla, avvinghiandola venivano catturati ; la seconda invece si avvaleva di un simulacro di seppia, in legno ( poi in plastica), trainato, armato di ami in coda, a volte reso più accattivante da un pesce morto o dall’applicazione di specchietti. Lo stimolo ad assalire l’artificiale era scatenato dal suo aspetto imitativo e amplificato una volta dalla volontà di sottrarre la preda all’avversario o dall’aggressività per territorialità od istinto sessuale scatenato dal fatto di vedere la propria immagine riflessa.


TECNICA

Pesca a vista

La colorazione degli artificiali è importante perché, sebbene non si possa sapere che percezione ne abbiano le seppie, alcuni colori sono più catturanti di altri: scuri con luce piena e più chiari al mattino e alla sera.

Le seppie basano la loro tecnica di caccia sulla grande capacità visiva di percepire colori e movimento, infatti i loro occhi hanno caratteristiche simili a quelli dei vertebrati e la capacità di vedere molto bene di notte, momento in cui la loro attività trofica si intensifica. Ecco quindi la scelta di usare artificiali, simili a grandi gamberi, dai colori sgargianti, non sempre imitativi, ma capaci di nuotare con guizzi moto stimolanti. Il classico La pesca può essere praticata dai bassi fondi della riva ( molti infatti le insidiano anche da terra) fino ai 20, 30 mt.; normalmente si usano sempre i rinomati gamberoni, del tipo corredato di deriva in piombo per far assumere all’artificiale la classica posizione con la coda alta oltre che per stabilizzarli.

La montatura classica, valida a mano e con la canna, anche con piombo fisso

La montatura classica prevede un piombo scorrevole, sferico o ad oliva montato con salva nodo, su una girella da cui si deriva un terminale da 0,25-0,30 al quale viene connesso l’artificiale. Si può pescare a mano o con la canna, a patto che questa sia adatta a percepire l’aggressione del cefalopode. L’artificiale va animato, a mano con colpi ampi a ritmo variato e con la canna con jerkate che facciano disegnare al gambero un andamento a dente di sega. Gli attacchi si manifesteranno sul rilascio e quando il gambero si poserà a terra.

A traina Sarà il piombo a giocare il ruolo fondamentale; avvicinato alla testa del gambero e di peso maggiore, radendo il fondo e generando una scia di polvere imprimerà all’artificiale un moto saltellante molto attirante. Si potrà praticare la traina anche in fondali oltre i 10, 15 metri a patto di adoperare trecciati molto sottili, dell’ordine delle 10 lb al massimo, controllando la velocità e contribuendo anche con movimenti delle canne. Specialmente ad inizio stagione percorrere maggior strada in profondità può fare la differenza.


Le canne per questa pesca devono essere in grado di segnalare l’attacco ma allo stesso tempo sufficientemente reattive per permettere l’infissione della corona di spilli.

L’innovazione Ingegnarsi è l’anima della pesca e quindi

approntare

espedienti

per

migliorare il rendimento e soprattutto stimolare questo

l’attività cefalopode

predatoria che

di

sebbene

estremamente aggressivo, a volte sembra essere indifferente alle nostre insidie. Ecco una bella coppiola realizzata su un gamberone e su una tataki, segno evidente che movimento e colore sono importanti.

E allora è possibile contaminare le tecnica con quella della pesca ai calamari, realizzando un calamento misto,

composto

da

tre

tataki

montate con nodi dropper loop su uno spezzone di fluor carbon di 80cm, dello 0,25/0,30 a sua volta connesso ad una girella alla quale segue un ultimo bracciolo, della stessa sezione, che porterà il gamberone classico con deriva da 3,5 grammi.

La montatura mista risulta in alcuni casi più catturante perché simula una filosa sui generis, scatenando l’indole predatoria della seppia.

Affonderemo il tutto con piombi a pera applicati con una brevissima connessione facendo attenzione ad adoperare quelli colorati con particolare preferenza per il bianco.


NAUTICA

Trasduttor D ire che lo scandaglio oggi è lo strumento di cui nessuno fa a meno è sicuramente una

osservazione tanto scontata da essere quanto meno banale. Ma tra tutti gli utenti, quanti hanno un’apparecchiatura funzionante in modo perfetto? Sicuramente pochi e molti non

hanno la consapevolezza che le prestazioni potrebbero essere ottimizzate solo curando al meglio l’installazione del trasduttore.

di Umberto Simonelli

Dedicheremo quindi questo articolo ai trasduttori di poppa, quelli più comunemente usati perché in dotazione alla maggior parte di strumenti di fascia media. Apparentemente fin troppo facili da installare, vengono “avvitati” e… via. Senza sapere che cosa succede. A caccia di pesci Lo scandaglio, attualmente, sta cambiando ruolo o, meglio, sta ampliando il suo range di utilizzo. Da semplice misuratore di profondità si è trasformato in uno strumento capace di mostrarci forma e natura del fondo, fino a visualizzare anche i pesci. Premesso il fatto che, come abbiamo detto più volte, vedere i pesci è la parte davvero meno importante rispetto ad una buona lettura del fondo, dobbiamo ammettere che la possibilità di inquadrare i nostri bersagli è utile oltre che fortemente motivante.


ri di poppa Vedere i calamari (dopo averli imparati a riconoscere), ad esempio, motiva molto di più l’azione di pesca concretizzandone i risultati; la presenza dei tonni in pastura che si muovono nel cono di emissione del trasduttore aiuta nel centrare la profondità delle esche. Ma tutto ciò non è sempre automatico ed è ottenibile solo se il trasduttore sarà ben montato. Il corretto montaggio del trasduttore è l’aspetto fondamentale per ottenere ecogrammi il più possibile reali, privi di distorsioni ed esenti da disturbi: ecco qui un bel branco di ricciole di media taglia

In corsa Anche la capacità di scandagliare a velocità elevate dipende quasi esclusivamente dalle caratteristiche del trasduttore e soprattutto nel modo in cui lavora. Le coordinate di collocazione sullo specchio di poppa saranno determinanti per i risultati, soprattutto in un trasduttore esterno che deve letteralmente scivolare nell’acqua senza creare turbolenze, anche quando la velocità è quella di planata, o non essere influenzato dalle turbolenze dello scafo stesso.

Ottimo posizionamento: è il posto giusto, ma è evidente che il trasduttore non è perpendicolare alla linea di galleggiamento

Come funziona Per chiarire l’aspetto pratico che andremo a curare più avanti, è bene riepilogare molto brevemente la logica di funzionamento dell’eco e delle funzioni del trasduttore. Il suo compito, infatti, è quello di trasferire in acqua un impulso acustico a frequenza ultrasonica ed ascoltarne l’eco. Esattamente come avviene in montagna.


La misurazione del tempo che il segnale impiega a ritornare consente il calcolo della profondità;

NAUTICA

un sofisticato sistema elettronico, valutando i ritardi delle varie eco che si generano, riesce poi a tradurre il tutto in una immagine fedele del fondo. Per essere ancor più chiari, diciamo che il trasduttore assomma le funzioni di altoparlante e microfono. Quindi, le condizioni imprescindibili saranno che trasduttore ed acqua non vadano in conflitto tra loro, ovvero che il movimento della barca nel suo complesso (scafo/motore, ecc.) non generi turbolenze, schiuma, bolle d’aria e quant’altro. Inoltre dovrà essere perfettamente parallelo alla superficie stessa dell’acqua perché il segnale deve propagarsi in verticale; diversamente non solo avremmo letture infedeli (ovvero più profonde, tanto maggiori quanto maggiore sarà la profondità), ma anche la forma di ciò che vedremo apparirà distorta; un pesce, ad esempio, avrebbe connotazioni assolutamente irriconoscibili e uno scoglio sarebbe molto diverso dalla realtà. La parte pratica

Il disegno dissipa ogni dubbio su quelli che sono i giusti posizionamenti, che andranno perfezionati rispetto alla geometria dello specchio di poppa e alla sua inclinazione

Qui più delle parole ci possono aiutare le figure e le relative didascalie. Comunque, possiamo asserire che il primo passo per un montaggio a regola d’arte è quello di leggere sempre le istruzioni, anche se si è degli installatori navigati, e solo successivamente porre mano al trapano, facendo molta attenzione agli allineamenti. Tanto per incominciare il trasduttore andrà applicato sullo specchio di poppa che, per sua natura, ha un’inclinazione, verso l’esterno, funzionale alle linee d’acqua della barca. Ritornando alla altezza di fissaggio, ricordiamo che sul bordo di uscita di poppa, l’acqua, precedentemente

compressa,

espandendosi

sale di livello ( linea rossa ), attenzione quindi a non scendere troppo in basso


Sarà indispensabile, pertanto, correggere questo angolo tarando accuratamente l’inclinazione della staffa mobile di cui ogni trasduttore dispone; ma anche la perpendicolarità andrà accuratamente verificata. Bisogna anche tener conto dell’assetto della barca, che in dislocamento avrà un’inclinazione ed un’altra in planata; ovvio quindi che si dovrà raggiungere un giusto compromesso, dando la preferenza alle condizioni di bassa velocità.

E’ bene posizionare il trasduttore ad una distanza minima di 30 cm almeno, per evitare che venga interessato dal flusso d’acqua turbolento richiamato dall’elica

Anche l’altezza di montaggio è un altro parametro di cui tener conto:

perché

immergendo

troppo

il

trasduttore

farà

un’enorme

resistenza

in

acqua navigando veloci e sarà soggetto a turbolenze.

C’è tipo e tipo Prodotto da Airmar ecco un trasduttore,

montabile

a

poppa, da ben 1 kw; se ben montato le sue prestazioni non hanno nulla da invidiare ai modelli passanti

Il trasduttore di poppa è utilizzabile

solo

su

scafi

che non superino gli 8 metri: è inadatto a doppie propulsioni in

linea

soprattutto d’asse,

direttamente

perché

interessato

dal flusso delle eliche. Ha anche un limite rispetto alla velocità, proprio per il punto di montaggio, oltre a quello di essere soggetto ad urti con oggetti in sospensione, che possono danneggiarlo. Generalmente non è associato a potenze elevate sebbene ne esistono modelli di potenze anche di 1 KW.



Copertina parlante Angler : Domenico Craveli Preda : Pesce Balestra Periodo di pesca : Novembre Ora della cattura : 11:00 Località : Tropea (Vibo Valentia) Tecnica: Light Drifting Esca : striscia di seppia Trecciato : 10 lb Terminale: tandem di ami del n° 2 su treccia da 30lbs con bracciolo 0.35 di cm 50 Profondità di cattura :26 mt Fondale : Fango adiacente ad un relitto

FOTO: Fotocamera : Nikon D70 Esposizione : Manuale Tempo di scatto : 1/125 sec Diaframma : F/9 Modo di misurazione: Multi-zona Matrix



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