Rivista dicembre 2015

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TECNICA

IL POSTO BUONO SURF

QUELL’AMO COSI’ STRANO TRAINA

VIVO INNATURALE



5 Editoriale 6 Global@mail 14 Il posto buono 18 Quell’amo cosÏ strano 22 Leggero ma non troppo 26 Jigging.. questo sconosciuto 30 Vivo innaturale 34 Tipi da spiaggia 40 MOB - man outboard 44 L’altra attrezzatura 48 Un tuna tube per tutti Il fascino del nero 52 di M. Prezioso di U. Simonelli

La posta dei lettori

di U. Simonelli

di D. Craveli

di M. Prezioso di D. Craveli

di D. Craveli

di D. Limone

di U. Simonelli

di D. Limone

di U. Simonelli



Editoriale

A

vrei voluto un editoriale per il mese di dicembre decisamente più leggero, trattando argomenti più adatti al Natale. Purtroppo non è così e non posso fare a meno di commentare un vero e proprio fatto di cronaca nera, un evento delittuoso e di morte, avvenuto nelle acque del Circeo. Parliamo dell’eccidio di decine e decine di quintali di orate di grossa taglia, falcidiate in sole due giornate da ben due cianciole che hanno operato, indisturbate, sotto gli occhi di tutti: un’attività distruttiva che ha ucciso non solo i pesci in fase di deposizione e accoppiamento ma tutto il potenziale di vita di migliaia di esemplari. Un danno biologico incommensurabile. E’ stata un’azione di pesca dissennata, dove trionfano l’ignoranza ed il profitto: poco denaro oggi, in cambio del nulla di domani. Perché un prelievo del genere non può far altro che abbassare il valore sul mercato del pescato, per eccesso di offerta, con l’azzeramento dello stock di pesce. Parlavo di ignoranza perché non posso capacitarmi del fatto che chi viva di pesca non tuteli le proprie risorse, ma in preda ad una bieca e cieca follia possa compiere tali razzie pregiudicando inevitabilmente il proprio futuro e quello dei propri figli. Com’è possibile che tutto ciò accada senza che nessuno muova un dito? Avvenimento che probabilmente si ripete silenziosamente in molte parti del Mediterraneo ai danni di orate, ricciole, dentici e pelagici. Com’è possibile che non si metta un freno, un limite o che non si possa vietare una pesca del genere? Domanda che mi pongo e che pongo a chi, nelle stanze ministeriali, legifera in materia di pesca e protezione dell’ambiente. Inorridisco nel pensare che è a questi signori e alle loro organizzazioni che andranno la parte più grossa dei proventi della prossima “gabella” sulla pesca che noi tutti dovremo pagare. Soprattutto, questi ”signori” che tipi di imprenditori sono? Gente capace solo di razziare ciecamente … Come e cosa fare per difendere il nostro mare, il nostro patrimonio da questo flagello? Ma i piccoli pescatori che subiscono anche loro i danni di questa pesca scellerata cosa fanno? Perché non intervengono a difendere i loro interessi? E soprattutto le associazioni ambientaliste e i paladini “da tastiera” dell’ambiente dove sono? Mi domando ancora chi possa rappresentare noi ricreativi e difendere il nostro diritto ad avere un mare vivo e non in fin di vita per l’interesse di pochi. Ritengo che noi pescatori ricreativi ci si debba svegliare, smettendo di zappare il nostro quadratino di mare e agire insieme, autonomamente. Tanto, non ci sono associazioni o federazioni che tengano. Pensate che in tutto ciò che riguarda la gestione della pesca a livello di commissioni ministeriali la presenza dei ricreativi è inesistente, mentre è ridondante la rappresentanza delle categorie professionali e …., pensate, le basi della leggi della pesca sportiva risalgono se non vado errato ancora a quando l’Italia era una monarchia.. Non è davvero possibile. E’ necessario che qualcosa migliori, in questo nostro sgangherato paese e spero che queste “cattive” notizie smuovano le coscienze. E l’impegno della nostra rivista sarà sicuramente massimo; ci serve sostegno e passione. Concediamoci adesso un momento per farci gli auguri; tra una settimana, giorno più, giorno meno, sarà Natale e in dirittura di arrivo c’è il giro di boa del vecchio anno che lascerà il posto al nuovo che comincia. Quindi non resta che fare gli auguri più caldi ed affettuosi a tutti i nostri quasi ottomila iscritti che ci leggono e che ci sostengono, da parte di tutto il nostro staff, con l’augurio sincero che qualcosa cambi. Buone feste! Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL Un jig particolare Carissimo Domenico Craveli, in uno stage che facesti alla fiera di Roma, dove io ero curioso spettatore, nel parlare di jigging, ti ho sentito sostenere con importanza l’efficacia dell’artificiale della Duel chiamato Tamentai. Sono andato a cercarlo, e nel vederlo così “spigoloso” nel suo profilo, non mi ispira tanta fiducia. Mi sono perso qualcosa per strada? Alessandro

Caro Alessandro, il Tamentai della Duel, insieme al Sea Rock della River2Sea, sono gli artificiali che hanno scritto pagine importanti nella storia del vertical mediterraneo. In realtà il Tamentai, con la sua forma a “cassa da morto” non è il massimo agli occhi del pescatore, ma la sua efficacia è estrema, poiché in acqua tende a roteare ed a spiattellare emettendo riflessi molto visibili, oltre a produrre un forte rumore idrodinamico. Se montato al contrario, ossia con l’occhio verso il basso, diventa utilizzabile anche in condizioni di corrente moderata o forte. Ci sono stati periodi in cui è stata la mia unica esca, ed ho catturato dalle grandi ricciole, alle palamite, passando per dentici e cernie. Le misure di 80/150/200 gr coprono ogni esigenza. Non ti resta che provare!

Domenico craveli


GLOBAL@MAIL Fermi in pesca Spesso capita di essere in pesca, in drifting, ancorati in prossimità delle rotte dei pescherecci: situazione decisamente vantaggiosa perché si intercettano i tonni che seguono le reti per cibarsi dei pesci che sfuggono o del pescato rigettato in mare. Però, molto spesso capita l’inconveniente che i pescherecci ci passino così vicini da intercettare le nostre ancore. Il che significa essere trascinati via, con tutte le conseguenze del caso, o mollare la cima e perdere tutto. Mi domando chi sia nel torto. Sono convinto che la responsabilità sia dei pescherecci che volutamente ci ignorano. Vorrei avere il vostro parere. Giuliano

Caro Giuliano, fatti del genere sono all’ordine del giorno e comprendo perfettamente le arrabbiature che questi eventi generano quando accadono. Però, malgrado il fatto che le strascicanti non deviano la rotta per principio, perché costa loro fatica e soprattutto perché si ritengono spocchiosamente padroni del mare e di quel che c’è dentro, forti, purtroppo, della protezione delle autorità, la responsabilità rimane delle barche all’ancora. Se non si segnala con apposito segnale la condizione in cui siamo, si passa dalla parte del torto, automaticamente. Quindi, è obbligatorio il segnale previsto per le imbarcazioni all’ancora, che in questo caso dovrebbe essere una sfera nera visibile a 360 gradi, forse implementata anche da due coni contrapposti vertice contro vertice che indicano l’attività di pesca. Non sono convinto che l’esposizione dei segnali possa convincere la strascicante ad una accostata, ma almeno, in caso di sinistro, si rimane dalla parte della ragione. Umberto simonelli

il segnale di barca all’ancora regolamentare


GLOBAL@MAIL orate nel FreDDo Carissimo Dario Limone, sono un appassionato di pesca all’orata, in inverno con il mare mosso; poche sere fa, nel negozio presso il quale molto spesso ci incontriamo, stavamo discutendo con altri amici appassionati quale fosse l’esca migliore, sia per il pesce che per le condizioni di mare. Discussione animata, causa le esperienze molto contrastanti di ognuno di noi. C’è chi insiste con il bibi e con l’americano, chi con il granchio, mentre io sono convinto dell’efficacia dei cefalopodi, ossia seppia e calamaro. Cosa hai da consigliarci? Francesco

Francesco, l’orata è onnivora, tanto che la chiamano la regina mangiatutto. Può abboccare su qualsiasi cosa in qualunque momento e sono le esperienze di tutti i noi a dirlo. Ma se c’è un’esca specifica per il mare mosso, e per il freddo, quella è la seppia. La striscia di questo cefalopode, superiore come efficacia anche al calamaro, non ha eguali nei mesi di dicembre-febbraio, specialmente con gli esemplari di grossa taglia. Questo cefalopode infatti, altamente proteico è una di quelle leccornie naturali che fa diventare l’orata uno spietato predatore alla stregua dei cugini dentici. Lo sanno bene i trainisti, che si trovano spesso a confrontarsi con animali xxl. Quindi, senza stare a crucciarti troppo, prova tranquillamente e insisti, anche perché questa esca apre le porte ad un’altra regina d’inverno, la spigola. Non ti resta che provare. Aspetto foto! Dario limone


GLOBAL@MAIL piombi nella tempesta Amici di Globalfishing, amo il surfcasting e vengo dalla vecchia scuola. La mia età non mi permette di gestire gli attrezzi performanti di oggi, sono ancora legato ad attrezzature vintage e forse è troppo tardi per ammodernarmi. Vorrei sapere come riuscire a stare in pesca correttamente con mare molto mosso, considerando che ho provato ad usare le piramidi ma, ogni recupero, anche senza preda, diventa un’ impresa. Quello che non mi spiego è come mai, anni fa, stavo in pesca anche nelle tempeste con piombi a sfera, oggi invece no, come se lì sotto qualcosa fosse cambiato. Mario

Carissimo Mario, ti sembrerà strano.. ma anche il mare mosso non è quello di una volta! Infatti, molto spesso, in questi ultimi anni, ci troviamo a confrontarci con perturbazioni violente, dalla rapida evoluzione, che generano mareggiate forti e proibitive, che si placano in poche ore senza le scadute di una volta che duravano giorni, frutto di eventi importanti, più che violenti. Oggi si passa dalle raffiche violentissime al nulla nel giro di qualche ora, oppure a venti contrari a quelli che sferzavano solo un giorno prima. Tutto questo si traduce in onde magari non altissime, ma con parecchia energia, e stare in pesca in quelle condizioni è impossibile. Le tue sensazioni sono quindi corrette. Inoltre, se hai attrezzature un po’ datate, e magari paraboliche, l’uso della piramide è palesemente sconsigliato, perché fa molto attrito specie se insabbiata. Meglio usare uno spike, il piombo rampinato, o lo Sportenn di Fonderia Roma. Questi modelli uniscono buone capacità di tenuta, e poco attrito nel recupero. Dario limone


GLOBAL@MAIL tanUte D’assalto L’altro giorno, mentre le tanute mi dilaniavano sistematicamente il calamaro, ho avuto la forte tentazione di dedicarmi espressamente a loro. Alla fine ci ho provato con la tecnica della striscetta, ma devo dire che i risultati sono stati deludenti, poiché nonostante le vedevo nell’eco non riuscivo a prenderle, a parte qualche piccolo morso sul mio innesco. Volevo qualche consiglio per migliorare tale tecnica, e se è può essere risolutivo pescarle a bolentino sugli stessi spot della traina. Giorgio

Carissimo Giorgio, le tanute sono sparidi voraci, e quando sono numerose, attaccano con foga qualunque cefalopode trainato senza lasciargli scampo. E’ anche vero che a furia di seguire esche trainate, anche loro sono diventate più sospettose e quindi per catturale con continuità è necessario qualche accorgimento specifico. L’attrezzatura da traina, infatti, deve essere leggerissima, in modo da pescare con 200/300 grammi di piombo e il terminale non oltre lo 0.35. Un tandem di ami del n° 2 completeranno l’opera. E poi è fondamentale che la striscetta sia grande, per attirare gli esemplari più grossi, e creare così l’effetto verme nel pollaio. Poi il bolentino è una grande e divertente opportunità. In quel caso bisogna ancorarsi e pasturare, pescando sia nei pressi del fondo con terminale a bandiera, che a rilascio in corrente. Non rimane che provare. Un caro saluto Domenico craveli


GLOBAL@MAIL la Filosa Sono un pescatore alle prime armi e mi sto appassionando moltissimo alla traina di superficie. Vorrei sapere qualcosa di più sulle filose. Mi piacerebbe capire come funzionano e qual è il modo per costruirle e, soprattutto, per quali pesci sono ideali. Marco

La filosa è una lenza tipica da traina costiera “inventata” in Sicilia tanti anni fa. Le prede che si possono insidiare sono quasi tutti i pelagici, dalle lampughe ai tonnetti, alle palamite, fino alle limoncine, le piccole ricciole di branco. Nella realizzazione classica si usa con una serie di octopus da 5-7-9 cm, a seconda delle prede in zona, montate su piccoli braccioli da 3-5 cm dello 0.40, applicate su un trave da tre metri dello 0.50. Se ne montano da un minimo di 4 fino a 6-7 con ami a gambo lungo del 3/0. Si distanziano dai 70 cm ad 1 metro l’uno dall’altro, e si filano a una quarantina di metri da poppa; la loro considerevole capacità catturante si basa sulla simulazione di un branchetto di pesci in fuga che stimola molto l’indole dei predatori di superficie. Può essere realizzata anche con i raglout e fatta lavorare un po’ affondata, per richiamare i pesci negli strati più bassi. Nelle versioni con artificiali più piccoli è anche chiamata mitraglietta. Anche un sabiki medio può trasformarsi in un’ottima filosa, soprattutto se in coda viene applicato un piccolissimo minnow affondante che simula un predatore all’attacco. Sgombri e sugheri non sapranno resistere. michele prezioso


GLOBAL@MAIL le palamite La mia richiesta è rivolta a Michele Prezioso. Sono andato in fissa con le palamite: non ne avevo mai pescate a traina prima, fino a quando ho avuto un incontro con un bel pesce di oltre 2,5 kg che mi ha fatto letteralmente impazzire. Ed ora sono diventate il mio chiodo fisso, anche perché l’esperienza non si è più ripetuta. Vorrei avere qualche dritta per insidiare questo bellissimo pesce. Ah, dimenticavo, io pesco a S. Marinella, in provincia di Roma.. . Renato

Caro Renato, Lo so bene.. le palamite, soprattutto se di taglia, sono pesci veramente sportivi, divertenti e combattivi. La pesca in superficie, purtroppo, non sempre è fruttuosa, a causa della lunaticità di questi pesci, che alternano scorribande in superficie a predazione in profondità. Io ti consiglio di provare con il monel, la lenza metallica affondante, che ti permetterà di insidiare più tipi di prede, dalle palamite agli alletterati, ai dentici, alle ricciole, fino alle spigole. Ti consiglio l’acquisto di una lenza metallica da 30/40 lb che monterai su un mulinello capiente, tanto da contenere almeno 200 mt di filo più il baking in nylon, che applicherai ad una canna specifica da 12 lb. Per reperire le palamite batterai fondali alla ricerca delle mangianze e del foraggio a mezz’acqua. Su fondali dai 25 ai 30 mt calerai in acqua dai 100 ai 150 mt. di lenza che porterà l’esca tra i 9 e i 14 mt. di profondità. Il compito di sedurre le palamite lo affiderai ad artificiali da 10/11 cm, connessi con un terminale in nylon dello 0.37 lungo una ventina di metri. La velocità da tenere sarà intorno ai 4 nodi. Usando artificiali da spinning, che funzionano a velocità più basse, si potrà procedere anche più lentamente, affondando di più. Certo, la sportività del combattimento con il monel viene un po’ meno, ma le soddisfazioni non mancheranno. Però ti consiglio di mettere in pesca anche un’altra canna a galla con dei kona, capaci di produrre bolle e scia. Le palamite ne sono molto attratte. michele prezioso


GLOBAL@MAIL carico Di rottUra Mi trovo sempre in difficoltà quando devo scegliere il diametro di un filo per i miei terminali da traina. Sono sempre dubbioso se seguire le tendenze light o continuare sulla strada dei fili robusti a prova di tiro alla fune. In realtà non sono sicuro che le sezioni e i relativi carichi di rottura dei fili che usiamo siano proprio indispensabili, però è difficile lasciare la strada vecchia, comoda e rassicurante, per quella nuova, piena, forse, di incertezze. E poi light è davvero tanto più catturante? Insomma che confusione.. aiutatemi! Rolando

Ciao Rolando. Porsi dei dubbi costruttivi è sempre un’ottima cosa. Nella pesca lo è di più. Ti risponderò, per lo spazio che mi è concesso, con più ragionamenti. Sicuramente, per le forze in gioco nelle azioni di pesca standard i dimensionamenti usati sono abbondanti. Un filo da 50 lb sostiene un carico di circa 25kg (facendo conto paro), che mai saremo in grado di sostenere o esercitare canna in mano. Prova a sollevare dall’acqua, con la canna, un pesce di soli 7/8 kg e poi ti renderai conto delle difficoltà. Il maggior dimensionamento è indispensabile per sopportare lo stress prolungato al quale il filo è sottoposto durante una sessione di pesca. Siccome le rotture per stress o superamento del carico sono tutte figlie della deformazione del filo, va da se che un filo più spesso resisterà più a lungo. D’altronde, non possiamo andare a misurare la forza di un pesce col dinamometro … Un dimensionamento maggiore sopporta meglio anche sollecitazioni meccaniche come l’abrasione. Poi ci sono i carichi dinamici, ovvero le testate dei pesci, le fughe, ovvero degli stress dove l’accelerazione è molta e, moltiplicata per la massa del pesce, genera una forza notevole, ed anche in questo caso tenersi abbondanti serve. Ovviamente non bisogna esagerare perché sezioni enormi, nella traina come anche nel bolentino, modificano la credibilità dell’esca. Poi i fili spessi fanno più attrito e affondano meno. Quindi, è bene tenersi sempre nel mezzo. Sicuramente, con il miglioramento delle tecnologie i fili sono cambiati di pari passo, garantendo maggiore affidabilità. Perciò, abbandonerei sicuramente terminali oltre lo 0,60/0,62 equilibrando il tutto intorno alle 40 lb, inteso come valore di riferimento. Tariamo bene le frizioni e, soprattutto, utilizziamo ami eccellenti. Un amo che penetra con difficoltà stressa nodi e fili e lavora male. Dimenticavo un accenno ai nodi; un nodo resistente e che mantiene il carico del filo non è un nodo spaziale, ma prima di tutto un nodo fatto bene. E poi controlla sempre l’integrità di nodi e fili e ricorda che dopo una lunga sessione di pesca è necessario cambiarli. Umberto simonelli


TRAINA

IL POSTO BUONO Q

Di Umberto Simonelli uando si va a pesca, si è sempre alla ricerca del posto ideale; il posto buono in assoluto, un paradiso dei pesci dove le catture siano assicurate. In sostanza un posto dove la pescata abbia un potenziale garantito dal fatto che in quel posto i pesci “si fanno”.

E’ vero: ci sono posti che i pesci gradiscono di più e posti meno. Ma cosa vuol dire un posto buono? E come si fa a capirlo? E, soprattutto, un posto che non rende sarà veramente un posto da cancellare? TANTO PER COMINCIARE Intanto iniziamo col dire che ognuno di noi pesca come può e soprattutto dove può. Perché, purtroppo, la grande differenza non la fanno solo le collocazioni geografiche, bensì lo sfruttamento degli spot, da parte tanto dei professionisti che dei ricreativi. E’ indiscusso che in location dove la pressione alieutica è forte, la presenza di pesce, bene o male, è numericamente inferiore, o quanto meno i pesci ne sanno una più del diavolo e oramai credono poco alle nostre esche trainate. Quindi, viene di conseguenza che la riuscita di una battuta si affiderà sempre meno alla generosità del posto, ma piuttosto alla nostra capacità.


Lo possiamo chiamare macciotto, coralligeno, ma rimane un’altra tipologia di fondale capace di richiamare e ospitare tutta la catena alimentare.

REGOLE GENERALI: LA MORFOLOGIA Altro concetto generale, a valenza universale, è la conformazione morfologica del fondo. Insomma, un posto per essere prolifico deve avere delle caratteristiche determinanti. Intanto la varietà. Un fondale esteso in cui, a prescindere dalla profondità, si alternano roccia, sabbia, posidonia, fango e fondo detritico (o macciotto) rappresenta il non plus ultra: un posto ideale per la catena alimentare, perché habitat capace di dare albergo a tutte le specie, in tutte le forme di sviluppo e rappresentare non solo un areale di caccia ma anche di riproduzione. Non è necessario che nella zona di pesca “ideale” vi si debba trovare concentrate tutte le tipologie di fondo. E’ sufficiente che la varietà sia presente nelle immediate vicinanze e che ci sia una buona alternanza. La posidonia è sicuramente un valore inestimabile; punto di riproduzione, nursery e zona di caccia allo stesso momento. Zone in cui tutti i pesci debbono passare. INDAGINI SUL FONDO

Uno sguardo alla cartografia cartacea, vuoi quella specifica da pesca che dell’istituto idrografico, ci offre una visione di insieme che riesce ad orientarci e ad inquadrare il teatro delle nostre azioni di pesca, cosa che difficilmente riusciremo ad ottenere da qualsiasi plotter.


Ovvio che, se non si possono esplorare i fondali personalmente (c’è pure chi lo fa n.d.r.), il nostro

TRAINA

unico occhio sul fondo sarà rappresentato dallo scandaglio. Sebbene un’occhiatina ad una cartina nautica non è assolutamente “ demodè”, soprattutto se non si conoscono i fondali. Infatti, una carta nautica offre una visone di insieme molto utile a farci capire dove siamo; una panoramica che poi completeremo con l’esplorazione puntuale. Dovremo discriminare le varie tipologie di fondale e mappare molto bene le alternanze tra gli scogli, individuando le spianate di fango o di detritico, che sono delle vere e proprie miniere di pesce, ricordando che dovremo individuare i posti buoni, ovvero tutti quelli che possono accogliere i pinnuti e non solamente i posti dove sono i pesci in quel momento. Tra queste due situazioni corre una profonda differenza. Possiamo fare un esempio: dovendo cercare qualcuno, lo troveremo sicuramente presso una delle sue tappe abituali lungo i suoi percorsi consueti e non solo dove lo abbiamo incontrato una volta.

Il fango, così come si presenta in profondità. Fondo tutt’altro che privo di vita; un habitat straordinario per le basi della catena nutritiva, dagli anellidi ai cefalopodi ai predatori di taglia..

NON SEMPRE È IL MOMENTO BUONO Molto spesso siamo convinti che il pesce non ci sia; evenienza che può capitare più spesso di quanto non si pensi. Ecogrammi privi di forme di vita ed esche intonse possono farci pensare alla totale improduttività di uno spot. Ma, se le condizioni ambientali ci sono, perché non dovrebbero esserci i pesci? Diciamo che meno raramente di quanto si creda i pesci ci sono ma non li vediamo; loro vedono noi e le nostre esche e non le degnano. Le scrutano, le seguono, le annusano ma non le aggrediscono. E non c’è nulla da fare per farli cadere nel tranello. E la storia si protrae per tutto il giorno, fino a quando, anche per pochi minuti, si scatena il finimondo. Il segreto è esserci, perché se la pazienza


e la perseveranza non ci hanno supportato il treno è perso.

Nel cerchio rosso la seppia trainata e seguita per molti minuti dalla ricciola sullo sfondo, senza alcuna azione aggressiva da parte del predatore, che dopo una accurata osservazione ha lasciato il campo. Solo dopo un’ora e più si è concretizzato uno strike proprio sullo stesso punto ; o non sempre i pesci predan..

CI SONO MA NON MI VEDI E’ tendenza comune, attualmente, pescare a vista. Con l’avvento di scandagli con tecnologie avanzate, capaci di incredibili discriminazioni dei bersagli con visione ampie del fondo, si tende a pescare i pesci solo dopo averli visti; e se i pesci non si vedono, si pensa che non ci siano.. . I pesci quasi sempre si vedono se li troviamo e se ci passiamo sopra, ovvero “passano” nel raggio di azione del cono. Ma molto spesso sono lontani e attaccano in velocità o, peggio ancora, il nostro scandaglio non li può vedere perché sono nelle inevitabili zone d’ombra del cono acustico o nascosti semplicemente da uno scoglio.

La culla della vita sottomarina: la posidonia; teatro di ogni evento che riguardi riproduzione e deposizione oltre che accrescimento e predazione. Ecco un punto popolato da castagnole e menole..

SEGNALI VIVENTI A segnalarci la qualità e le potenzialità di uno spot sono molti i segnali, primo tra tutti la presenza di pesci foraggio, di pesci disturbatori, grufolatori e predatori minori. Nei grandi branchi di tanute, ad esempio (e molti non lo sanno), spesso troviamo i dentici; le tanto disprezzate salpe che viaggiano in grandi branchi, quelle grandi macchie rosse che pensiamo siano mangianza ma che invece si spostano velocemente, sono un buon indicatore di presenza di ricciole. Insomma, i pesci, lo ribadiamo ancora una volta, vivono e mangiano secondo schemi precisi, che lentamente e faticosamente dobbiamo cercare di capire.


SURFCASTING

Quell’amo c

A

Di Domenico Craveli mi circle e surfcasting, un connubio che sembrava impossibile, quasi come un frutto illegittimo, invece può rappresentare una soluzione alternativa quando si cercano grandi pesci con fili sottili.

Gli ami circle, nascono per la pesca dalla barca, ed erano inizialmente disponibili solo in misure xxl, destinati ai grandi predatori oceanici. Man mano il loro utilizzo si è diffuso anche in tecniche più light, come la traina con il vivo, il drifting leggero, e il bolentino. Proprio quest’ultima tecnica, ci ha dato lo spunto per una esportazione d’uso nella pesca dalla spiaggia.

IL PERCHÉ DI UNA SCELTA Pesci sempre più sospettosi, impongono un progressivo alleggerimento di lenze e terminali, che mal si coniugano con apparati boccali armati di denti, placche ossee, ed affini. Ed allora perché non usare un


cosi’ strano amo che nella quasi totalità delle

volte trova appiglio ai margini esterni della bocca, solitamente tra mandibola e mascella, e che impedisce alla preda di slamarsi rendendo i recuperi meno incerti, soprattutto nelle ultime fasi di combattimento quando la preda cambia continuamente assetto nel cavo dell’onda o a ridosso del gradino di risacca. Pesci

sempre

impongono alleggerimento

più un

sospettosi, progressivo

di

lenze

e

terminali, che mal si coniugano con apparati boccali armati di denti, placche ossee, ed affini. Ed

Il circle mette al riparo il terminale dalle fauci del predatore. E se anche un serra si può allamare con questi ami.. quindi!!!

allora perché non usare un amo che nella quasi totalità delle volte trova appiglio ai margini esterni della bocca, solitamente tra mandibola e mascella, e che impedisce alla preda di slamarsi rendendo i recuperi meno incerti, soprattutto nelle ultime fasi di combattimento quando la preda cambia continuamente assetto nel cavo dell’onda o a ridosso del gradino di risacca. GLI INNESCHI Considerando che nella pesca dalla barca si è soliti legare l’amo con un asola, in modo che sia libero di ruotare quando è nella bocca del pesce, e non vincolato da un nodo serrato sul suo occhiello, abbiamo all’inizio ritenuto fondamentale replicare anche a surf questo Una spigolotta, che è stata rilasciata prontamente, è rimasta vittima di un salsicciotto di cefalopode, confermandoci comunque la bontà della soluzione adottata. Da notare il punto d’infissione dell’amo, nonostante fosse sproporzionato come dimensione alla mole della preda

tipo di montaggio. In realtà, con numerose prove, ci siamo resi conto che l’amo compie il suo egregio lavoro anche con legatura classica, e che espleta le sue peculiari caratteristiche di infissione nell’apparato


boccale del pesce, anche se ben assicurato all’interno di un

SURFCASTING

salsicciotto da serra, oppure in una striscia di cefalopode per spigole ed orate. Anche su grossi vermi ed anellidi va bene, a patto di innescare con ago passante dal lato del capo libero del filo che poi andrà alla girella del trave. Una piccola noia che ci limita in velocità d’azione, ma che ci permette di stare tranquilli in caso di cattura importante.

AUTo-FERRANTE.. SI FA PER DIRE Il circle, conosciuto anche come auto-ferrante, in realtà tanto auto-ferrante non è, infatti per lo strike, è necessaria una certa forza contraria per permettere all’amo stesso di penetrare in un punto comunque complicato della bocca del pesce. Per rendere efficacie il tutto infatti, è necessario che la canna sia ad azione ripartita, e che la frizione abbastanza serrata, diversamente, meglio optare per ami classici, poiché si rischierebbero numerose lisciate. Anche il filo in bobina non dovrà essere troppo sottile, uno 0.25/0.26 non eccessivamente elastico, fa la sua parte. Infatti, pensare che un circle possa inffiggersi, con uno 0.20/0.22 a 70/80 metri da noi è pura utopia. Quindi tale soluzione per essere funzionale ha bisogno dell’ equilibrio di tutto il complesso pescante, diversamente, si avranno più dolori che gioie. Il circle è un amo che o si ama o si odia, non rappresenta la chiave di volta per tutte le situazioni, ma ha un campo di applicazione vasto, e con le grandi prede, secondo il parere di chi lo usa da anni, non ha rivali.

E’ fondamentale che la taratura della frizione sia abbastanza “tosta”. Serve infatti una buona resistenza contraria per far penetrare bene il circle con canna sul picchetto


ACCESSORI PER GLI AMANTI DELLA PESCA


PESCA DA TERRA

Leggero ma non tr

I

galleggianti sono un elemento fondamentale del complesso pescante.

Al

galleggiante sono affidate funzioni importantissime che non si limitano solo alla sospensione dell’esca o alla segnalazione delle tocche, ma contribuiscono a dare

all’esca stessa l’assetto ideale per entrare in pesca. Al galleggiante inoltre si affida la possibilità di pescare in acque ferme e tranquille ma anche in quelle molto agitate, il tutto semplicemente cambiandone la forma ed il peso . Insomma il “tappo” come molti lo chiamano per la sua attitudine a galleggiare e per essere stato, nel passato, costruito con il sughero è un vero strumento di pesca.


roppo Di Michele Prezioso

Chiariamo, per i meno esperti i concetti di base. L’ANATOMIA Tutti i galleggianti sono realizzati secondo uno schema ben preciso. Tutti, come vediamo in foto, posseggono gli stessi elementi costituitivi. Quel che fa la differenza tra i vari modelli, oltre ai materiali di costruzione sono forma e peso.


PESCA DA TERRA

Il galleggiante ha un fascino tutto suo, che ci ipnotizza aspettando di vederlo scomparire..

Quindi capacità di affondare o sostenere il peso della lenza e di avere assetti in acqua specifici per ogni situazione, di mare vento

e

pesca.

La

sostanziale

differenza nei

sta

materiali

costruzione

di

delle

parti fondamentali come

l’antenna

e la deriva. Materiali diversi, con pesi diversi. Potremo avere antenne in carbonio, in plastica e in misto plasticacarbonio. Così come anche le derive potranno essere in carbonio, metallo e tonchino (una particolare canna lacustre che nasce appunto nel Golfo del Tonchino in Vietnam) Lunghezza dell’antenna e della deriva, con le relative variazioni di peso e attrito in acqua, insieme alla forma conferiscono al galleggiante caratteristiche specifiche.

I galleggianti sono proposti in una miriade di soluzioni : un mondo in cui è facile perdersi..

FORMA E SOSTANZA Potremmo dividere genericamente i galleggianti in tre grandi famiglie. Quelli a forma sottile, meno panciuti, dal profilo sfinato, quelli a goccia e a pera rovesciata. Ogni forma, come dicevamo, si presta ad usi specifici. Quella a profilo sottile sarà il nostro compagno ideale di pesca nei porti, con acque calme, per insidiare le spigole con il bigattino od il gambero con piombature mai superiori al grammo e con lenze con piombature aperte e scalate in un paio di metri, per rendere l’inganno il più light possibile. Il galleggiante a goccia ci servirà per ingannare i cefali e li saraghi dalle scogliere con poca corrente con grammature fino a tre grammi, con piombature secche e chiuse tra i 3 e 5 cm per avere un esca ferma e vicina al fondo. La goccia , un killer per cefali e saraghi


Quando la corrente è pressoché nulla entrano in gioco i galleggianti sottili

Infine quello a pera rovesciata dall’aspetto fortemente conico, sarà indispensabile durante le mareggiate serie per trattenere le nostre esche nelle onde con piombature scalate ma starate; ovvero per un galleggiante da 3 grammi piomberemo la lenza non oltre i 2 grammi di piombo per tenere meglio il galleggiante nelle onde. CRITERI DI SCELTA Se la scelta della forma del galleggiante è principalmente dovuta alla forza della corrente e alla profondità di pesca, un altro criterio di valutazione molto importante è rappresentato dalle esche. Per il bigattino, il gambero ed il coreano useremo quasi sempre galleggianti sensibili e filiformi. Per la pastella, il pane e anellidi importanti, useremo la goccia. Se il mare sarà mosso, invece la scelta, a prescindere dalle esche, cadrà sempre sulla pera rovesciata..

La forma ideale per insidiare silenziosamente le spigole di notte

Quando il gioco si fa duro.. i duri dominano il mare mosso!


JIGGING

JI GG ING. . ques to scono s c iu to Di Domenico Craveli


I

l Vj è una disciplina che ha stravolto il nostro modo di intendere la pesca dalla barca. Una pesca estrema, che ci ha permesso di vedere con occhi diversi i nostri predatori e le loro abitudini, in uno scenario di confronto dove non esistono

limiti o dogmi, ma solo un alternarsi di azioni e reazioni, che si magnificano in uno strike poderoso, improvviso… brutale, che scarica tanta adrenalina da creare dipendenza. Il vertical jigging non va inteso come un metodo miracoloso per arrivare ai predatori mediterranei, ricciole, dentici e cernie in primis, senza l’assillo dell’esca viva, va invece interpretato come un’arte alieutica dove il pescatore si confronta con l’istinto primordiale dei pesci, e dove l’aggressività dei nostri bramati pinnuti viene enfatizzata verso queste esche così particolari ed atipiche rispetto agli schemi classici più consolidati di pesca. Il JIG Questa tecnica viene identificata da uno dei più atipici artificiali che il pescatore abbia mai ideato: il jig. la sua forma e la distribuzione del peso ne rappresentano l’anima, quella che si deve tirare fuori durante le animazioni per renderlo efficace e scatenare


così nei predatori un istinto atavico aggressivo, per arrivare alla famosa “botta”. Lo strike, che arriva

JIGGING

come una mazzata al buio e ci ripaga delle fatiche della disciplina. Ma come si sceglie l’artificiale giusto? La scelta dell’esca infatti parte da un’analisi dello scenario di confronto. Sarà la corrente, la velocità di scarroccio, la profondità, il grado di trasparenza presunto dell’acqua (quello che vediamo in superficie non è la stessa situazione del fondo) a guidarci verso la scelta più opportuna. Guardare un jig.. e sceglierlo perché pensiamo possa discriminare una cattura, seguendo i nostri gusti, potrebbe essere un errore di approccio. Ognuno di noi poi può familiarizzare con precisi modelli, facendoli rendere al massimo. In base alle condizioni quindi useremo esche spiattellanti dal profilo ampio, capaci però di compiere discese in accelerazione con notevoli evoluzioni, in caso di corrente e scarroccio deboli. Gli

artificiali

stretto,

dal

scattanti

profilo in

salita

più e

moderatamente veloci in discesa, si adoperano invece quando i flussi sono moderati. I jig dal profilo altissimamente

idrodinamico,

con peso rigorosamente in coda, troveranno spazio nelle situazioni più estreme.

ogni jig ha caratteristiche di nuoto esclusive, il pescatore deve imparare a manovrarli correttamente per sfruttarne Ogni jig ha caratteristiche di nuoto esclusive, il pescatore deve imparare a manovrarli correttamente per sfruttarne a pieno il potenziale catturantequesto (se non sarà troppo tardi) riusciremo ad inquadrare la tecnica nella sua vera a pieno il potenziale catturante dimensione

MoVIMeNtI Da VertICal Ogni jig, per peso e per forma, è idoneo spesso solo in particolari condizioni, e deve essere animato in long jerk o in short jerk, per come il suo

baricentro

Queste

due

impone.

animazioni

sono gli estremi di un range di movimenti dove il pescatore può sbizzarrirsi

Il Sea Rock, il jig ad osso di cane che va con il suo mosso in short short jerk, jerk,affinchè affichè con movimento testa-coda possa indurre predatori stanziali. stanziali:e’ un all’attacco ii predatori vero mattatore di dentici mattatore di dentici


con le personalizzazioni. La cosa importante è mantenere sempre il contatto con l’esca, e variare intensità di recupero, in modo che il pesce si irriti e affondi l’aggressione. L’esempio che rende l’idea su come muovere correttamente il jig, è quello del gatto con il gomitolo, e come per il domestico felino… azioni monotone e ripetute non portano a nulla. UN po’ DI aCCaDeMIa Uno splendido corazziere posa con la tropic pro 40/60, chiamata in gergo tp30, un attrezzo forse vintage, ma validissimo per le condizioni mediterranee

Una

delle

caratteristiche

della tecnica, è che con un corredo pescante minimale, in qualunque condizione di marea, senza azioni preventive, si può essere in pesca in pochissimo

tempo,

con

la

potenzialità di poter agganciare qualunque

pinnuto

grande

grandissimo

e

piccolo, che

scorrazzi per il mediterraneo. Naturalmente per divertirsi in scioltezza, conviene non usare attrezzature troppo pesanti, ma light, in grado di farci divertire senza rischiare l’epicondilite (gomito del tennista) in poche cale. Un’ attrezzatura di base, che riesce a coprire il 90% delle situazioni, è costituita da una canna con potenza 130/150gr e un drag di 5/7kg, un mulinello specifico classe 8000 con in bobina treccia da 50lbs, un leader di 7 mt dello 0.62, qualche esca assortita, minuteria (split ring, solid ring ecc ecc) e un po’ di assist dimensionati ai jig. Praticamente con poche cose, ben calibrate, il cassetto dei sogni lo si può aprire, perché la tecnica è ancora in grado di regalare prede da trofeo, e momenti di adrenalinico divertimento!

la pinza per aprire gli anelli è un accessorio che non deve mai mancare. Senza di essa le

operazioni

di

sostituzione

risulterebbero impossibili

artificiale


TRAINA

VIVO INNATURALE Di Domenico Craveli

N

ella traina con il vivo, la ricerca dell’innesco perfetto rappresenta il dogma della tecnica. A volte però esperienze controverse mettono in discussione le convinzioni più radicate, soprattutto se non si tratta di casi isolati, ma di situazioni che si ripetono con continuità, in

cui i pesci sembrano preferire pesci innescati male, o che si comportano in modo anomalo, ad altri invece ben guizzanti e agili su lenze invisibili. Eccezioni che confermano la regola? O ci sono scenari sconosciuti su cui studiare? Prendere un pesce.. e pescare, non sono la stessa cosa. Nel primo caso abbiamo un traguardo che si tenta di raggiungere a tutti i costi, con strategie spesso aggressive e studiate per fare “cassa”, nel secondo, ci si gode la strategia e le azioni, che già ci appagano di per se stesse e dove la cattura è la sublimazione di tutto il percorso; in un mix di rispetto, soddisfazione e anche malinconia. Cercando nuove strade da percorrere, ci troviamo a valutare soluzioni nuove, che a volte contrastano con le nozioni consolidate, che però se analizzate a fondo, trovano giustificazione proprio in quelle leggi della natura che fanno dei predatori delle macchine perfette. Capaci di cibarsi di esseri veloci e altrettanto furbi in ogni condizione, ma anche in grado di individuare potenziali prede in difficoltà o morenti. In questo articolo non vogliamo divulgare il sistema per prendere un pesce in più, ma intendiamo ragionare sulla preda impossibile, quella che negli anni ha imparato a schivare lenze e terminali, quella che conosce ogni barca e motore che gli passa sopra, insomma.. cerchiamo il metodo per avere il confronto con un avversario valido, al quale non basta un tentacolo guizzante per farlo cadere in tranello.


Il dentice è tra le prede più lunatiche della traina con il vivo. A volte sembra così sprovveduto da attaccare qualunque cosa si aggiri nel proprio raggio d’azione, in altre situazioni invece ignora completamente le esche. Un pescetto, innescato in modo anomalo può portarlo all’aggressione

PROFESSIONE OSSERVATORE

Sembrerà paradossale, ma la tracina, maneggiata con cautela, e sapientemente innescata (magari privandola degli aculei veleniferi), è tra le migliori esche per dentici e cernie


TRAINA

Anni fa ero in porto a guardare i pescatori professionisti pulire le reti. Ogni tanto, tra i tanti pescetti di poco valore caduti nell’inganno delle maglie, ce ne era qualcuno ancora vivo. Pochi gesti veloci e il pesciolino finiva in mare innescato alla meno peggio, su uno spezzone di lenza tipo bracciolo di palamito, senza nient’altro. Il malcapitato iniziava a capovolgersi, a nuotare concentrico, guizzando ogni tanto in direzioni indefinite, in una agonia a dire la verità non bella da vedere. Agonia a cui la spigola di turno, o il serra mettevano fine senza troppi perché, a pochi centimetri dalla banchina, a pochi palmi dalla chiglia di una barca, tra schiamazzi e grida. Poco più in là appassionati di canna e mulinello, con muggini innescati alla perfezione su terminali invisibili… stentavano nei risultati. Segnali precisi che dovevano essere interpretati ! Ricordo poi un altro episodio, quando ad un sabiki si attaccò una tracina dal dorso, ed una cernia alessandrina, la seguì e tentò l’aggressione quasi in superficie, provenendo da un fondale di ben 35 metri. Queste esperienze, valutate insieme ad altre personali e di amici, ci hanno aperto quindi una nuova frontiera, ossia una carta da giocarsi alla bisogna, una soluzione in grado di cambiare le sorti di una giornata storta in un colpo di coda… nel senso letterale del termine.

INNESCHI FUORI DAL CORO

Innescare un pesce in modo da farlo sembrare morente e inabile, non è stravolgere i concetti generali della traina con il vivo, ma può essere un modo per approcciare magari un piccolo spot, dove i pesci ci sono e sono restii ad abboccare alle strategie classiche. In questi casi quindi, un pesce incaprettato, che sia magari un sughero, una boga, una menola, un pesce pettine, un pesce lucertola … e l’elenco potrebbe continuare , che si muove in modo frenetico e scomposto, potrebbe portare all’attacco anche il più diffidente dei dentici, la cernia più navigata, o la ricciola più astuta. Quindi, non è utopia innescare i pesci esca dal dorso, dalla pancia, dalla coda o da un fianco. Tutto e lecito quando si esce dagli schemi.


Naturalmente una volta sul fondo la nostra insidia andrà trainata in modo lentissimo, sotto gli 0.8 nodi, quasi uno scarroccio, con ampie pause. Forse non è nemmeno traina, ma cambia poco; forse un ibrido del drifting potremo dire. Sono sessioni che comunque durano poco, poiché l’esca sarà funzionale solo per qualche manciata di minuti… ma a volte sono più che sufficienti! Una specie di calcio di rigore da battere a fine pescata, nel tentativo di cercare un’emozione, diversa per aprire nuove prospettive.

Una bella cernia bianca è rimasta ingannata da un pesce lucertola innescato per la coda nei pressi di un piccolo relitto sul basso fondo dove generalmente è difficile concretizzare catture e il posto ritenuto sterile


SURFCASTING

TIPI DA SP

I

l mare, si dice, aiuta a diventare uomini migliori! Ed è per questo che un comportamento rispettoso nei confronti della natura e di altri pescatori contribuisce alla crescita degli stessi pescatori. Troppe volte, infatti, ci si trova di fronte a

situazioni di disagio per colpa del vicino di “turno” troppo invadente, o si rimane allibiti quando l’arenile è sporco per i rifiuti lasciati dai pescatori stessi. La spiaggia, a volte sterminata, a volte piccola, diventa il teatro dove ci esibiamo nella


PIAGGIA

Di Dario Limone

nostra passione, in stretta relazione con l’ambiente che ci circonda. Spesso però, questo spazio che sembra cosĂŹ sterminato, diventa infinitamente piccolo e soggetto a degrado, se i pescatori non seguono delle regole di base; che non stanno scritte da nessuna parte, ma sono dettate dal buon senso e da principi etici fondamentali.


SURFCASTING

In spiaggia oramai si trova di tutto. Noi pescatori dovremmo essere i primi ad evitare sporcizia e scempi, perché aggiungere degrado al degrado non fa altro che peggiorare la situazione di un luogo che può essere magico, per suggestività

PULIRE LA PoSTAzIoNE

La foto non è nitidissima, fatta con poca luce. Ma i resti di una bottiglia di birra sulla sabbia sono quanto di più pericoloso. Alcune scatole di esca nei pressi dei vetri, rappresentavano la firma inequivocabile di chi aveva lasciato quello schifo

Lasciare la postazione sporca a fine battuta di pesca, è quanto di più ignobile un pescatore possa fare. Le scatole di esca, le buste di plastica, sono quanto di più indistruttibili possiamo lasciare in spiaggia. Cose scontate di cui non si dovrebbe neanche parlare, alle soglie del 2016, e che in realtà non lo sono. Altra cosa che bisognerebbe evitare, è quella di gettare a terra o nell’onda, eventuali terminali ingarbugliati con ami annessi e residui di innesco, poiché le onde potrebbero rigettarle sulla battigia. La spiaggia, terreno di conquista notturno dei surfcaster, è meta di gente comune, che passeggia, corre, porta bimbi e animali per qualche ora di aria e relax. Imbattersi in un amo, peggio se arrugginito, non è il massimo. Episodi di gente che è finita al pronto soccorso, per l’idiozia di un pescatore, sono all’ordine del giorno.


DISTANzE DI SICUREzzA Se riteniamo che quello che è di tutti, non è di nessuno, scendiamo in spiaggia come se fossimo i conquistadores. Disponiamo quando più canne possiamo a distanza siderale l’un l’altra, ed inibiamo lo spot a qualunque altro bipede che decida di scendere a pescare in quel posto. Solitamente, specie in spiagge piccole, è buona regola non eccedere come numero di canne in pesca, lasciando la possibilità di godimento a qualche altro appassionato che magari si è sobbarcato decine di chilometri per praticare anch’egli la propria passione. Altra cosa da tenere Il fuoco è piacevole nelle fredde serate invernali, ma è proibito per legge fare falò in spiaggia. In ogni caso, teniamo presente che se il vento gira, l’odore acre del fumo potrebbe investire pescatori adiacenti alla nostra postazione, provocando notevole fastidio


in considerazione, se invece ci si dispone accanto a qualcun altro, è la distanza tra i picchetti, stando

SURFCASTING

attendi se il “vicino” ha canne montate con fisso o con rotante. In quest’ultimo caso la zona di “rispetto” deve aumentare per consentire i lanci laterali, e per evitare di accavallare le lenze poiché è facile svirgolare anche se di poco le traiettorie. Basta poco, affinché si possa stare stretti e arrivare a litigare anche su arenili che sembrano sconfinati. TAGLIE MINIME Il fatto che la pesca da terra sembra la cenerentola in termini di catture, al cospetto delle discipline dalla barca, non siamo autorizzati a trattenere qualunque essere abbocchi ai nostri ami. Fare incetta di oratelle o spigolotte non rende onore né all’ego, né alla tavola, quindi, cerchiamo sempre di rilasciare

Il rilascio di una spigola di ridottissime dimensioni è un investimento nel futuro


le prede sottomisura, e soprattutto, slamando con cura gli esemplari che non tratteniamo, liberandoli delicatamente. Sono cose che un pescatore deve sentire dentro, e trasmettere a chi questa sensibilità non l’ha. Abbiamo provato a sensibilizzare i bimbi verso quest’aspetto, teste libere da pregiudizi, e i risultati sono stati straordinari: i problemi sono con i “papà”, e spesso con le giovani leve avide di risultati, che si sentono padroni di un mondo che in fondo non gli appartiene per niente!

Il rilascio di una oratella da parte di un bimbo, durante una manifestazione organizzata dall’associazione “Io Pesco Così”, proprio per educare i bimbi appassionati al rispetto del mare e dei suoi abitanti


NAUTICA

M.O.B. -Man Outboard-

di Umberto Simonelli

Q

uando si consegue la patente nautica, il recupero dell’uomo in mare è la manovra che spaventa più di ogni altra gli allievi, durante gli esami di abilitazione. In effetti la manovra non solo può essere complessa tecnicamente ma la sua difficoltà aumenta se le situazioni

di pericolo sono serie. Per fortuna la caduta di un uomo in mare è un’ evenienza rara, che anche in una lunga carriera nautica ha una incidenza bassissima se non nulla . Però è bene, almeno a tavolino, valutare cosa succede in questa evenienza, che può risolversi con un bagno freddo o, al contrario, può assumere criticità impensabili. Per chi, come noi, pesca tutto l’anno la sicurezza deve essere in primo piano MANovre dI sICUrezzA Prima entrare nel merito esaminare aspetti più specifici, ricordiamo quelle che sono le manovre da compiere quando accade questo evento.


La prima operazione in caso di caduta è virare dal lato della caduta e dopo aver accostato effettuare il lancio dell’anulare. Che non può raggiungere sempre la persona, ma può accorciare le distanze.

La cosa principale è quella di virare immediatamente dalla parte della caduta. Ciò comporta lo scostamento delle eliche dalla persona in acqua. Successivamente si dovrà provvedere al recupero di quello che in gergo si chiama “il pericolante”.

Con poco vento il pericolante viene soccorso con la brezza alle spalle

Con mare calmo e poco vento l’accostata a lento moto sarà fatta sottovento, risalendo verso la persona in acqua. In caso di presenza di mare e vento l’accostata avverrà sopravvento, in modo che sia il vento a farci scadere verso l’obbiettivo e la barca messa al traverso schermi vento e onde.

Con mare e vento apprezzabili la barca accosterà sopravvento proteggendo il pericolante dalle onde

L’ANULAre Mentre ci si accinge alle manovre di recupero, la norma e la sicurezza prevedono che si lanci l’anulare verso il pericolante. Quindi è ovvio che la ciambella con 30 mt di cima, obbligatoria per legge


L’anulare

oltre

ad

essere

NAUTICA

del tipo omologato , deve essere sempre a portata di mano ma soprattutto con la cima galleggiante

in chiaro.

scogliere un “gomitolo”

vuol

dire perdere momenti preziosi

sia

a

portata

di

mano con la cima ben in chiaro. Va da se che l’anulare deve essere sempre a portata di mano e

ben

in

ordine.

Poi c’è il problema del

lancio;

pensare

di

inutile poter

lanciare a 30 mt, è impossibile. Però la ciambella se ben lanciata, verso l’uomo in mare, non solo può accorciare le distanze, ma può dare anche una indicazione a chi governa della direzione da tenere.

Scivolare durante il combattimento o perdere l’equilibrio dopo un araffiata può capitare a tutti.. e allora prevenire è meglio.


CosA sUCCede dUrANTe UNA CAdUTA La caduta per se stessa, solo per il fatto di coglierci di sorpresa o di essere la conclusione di un incidente, rappresenta un evento che mette in difficoltà chi cade a prescindere; la sorpresa in primo luogo e poi il cambio repentino di temperatura oltre che i possibili traumi possono bloccare in chiunque una reazione razionale. Poco male se siamo in estate, grazie alle temperature elevate e all’abbigliamento leggero . In inverno, invece, le cose si complicano molto; lo shock termico e l’appesantimento dovuto agli abiti bagnati possono essere veramente pericolosi. LA prUdeNzA NoN è MAI TroppA Se si è a pesca con un compagno è bene che entrambi

conoscano le procedure da seguire.

Ovviamente è indispensabile che l’anulare sia a portata di mano così come un mezzo marinaio, magari di quelli estensibili, armato di una robusta gaffa. Una cosa a cui pochi fanno caso è quella di avere un pozzetto e le parti praticabili della barca antisdrucciolo. Ed anche usare calzature dotate di una suola con le medesime caratteristiche. Indossare un salvagente autogonfiabile poi rappresenta una sicurezza in più da non trascurare. IN soLITArIA

Se si è da soli in barca, ovviamente tutto ciò che può accadere aumenta esponenzialmente la sua pericolosità. Cadere in acqua con la barca in movimento di certo è una situazione senza appello, a meno che si usi lo stacco di sicurezza che, soprattutto in pesca è assolutamente scomodo, o non si installi uno di quei sistemi elettronici che in caso di caduta in mare, spengano il motore. Comunque la prudenza resta sempre la migliore prevenzione. IN pesCA Cadere in acqua bardati con la cintura da combattimento allacciata al mulinello e il tonno in canna è una situazione rara, ma non impossibile. E se succede il sangue freddo e la determinazione debbono essere al massimo. Unica possibilità, se non si indossa un salvagente automatico, è quella di aprire la frizione e liberarsi; ottima la soluzione di avere un piccolo coltello, ben affilato, sempre in cintura. Ma il pericolo è sempre in agguato, ed oltre all’equilibrio sempre precario, che si ha in barca, quando il mare è mosso o è al traverso e si stanno facendo operazioni sulla plancetta o sporti dalla murata, un momento di massima attenzione è quello della raffiatura. Mai legarsi il raffio al polso. Un tonno neanche grandissimo, che prenda acqua per bene con la coda, nel tentativo di fuga a tirarci in acqua ci mette un attimo. E liberarsi diventa un problema serio.


SURFCASTING

L’altra attrezzatura

di Dario Limone

P

er una battuta di pesca, oltre alle condizioni meteo-marine, dobbiamo considerare anche come organizzare l’equipaggiamento di pertinenza. Perché per fare del surf serio, e stare diverse ore in pesca in condizioni difficili, è necessario non trascurare la nostra comodità.

La pesca dalla spiaggia, prevede l’uso di un corredo pescante completo, dove ogni elemento concorrerà all’esito finale. Tralasciando canne e mulinelli, sui quali si sono spesi fiumi d’inchiostro, vediamo insieme, come una sorta di chek list, quali sono gli altri elementi che ci faranno compagnia nelle nostre battute di surfcasting

IL CASSONE Premettendo che si può affrontare una battuta di pesca anche con una bobina di filo, qualche amo, e un paio di piombi, tenuti nella tasca del giubbino, è obiettivamente fuori discussione, che avere tutto ciò che occorre, protetto da sabbia e umidità, può fare la differenza durante le sessioni di pesca più impegnative, quando l’evolversi della mareggiata ci costringe a continui adattamenti di lenze e terminali. Il cassone poi, dotato magari di supporti a spalla, è di una comodità estrema per percorrere lunghi tratti in spiaggia senza affaticarsi eccessivamente, ed è una valida protezione per le apparecchiature che ci portiamo dietro, tipo smartphone, macchine fotografiche e telecamere.

Un cassone dotato si supporti a spalla: un compagno d’avventura nelle notti invernali alla ricerca di grandi prede


Un gran numero di travi e di finali ordinatamente posti all’interno dello scomparto di un equipaggiatissimo cassone

LA SERbIDORA Non si sa chi l’abbia inventata, ma sicuramente

qualcuno

che

teneva

all’integrità della propria schiena e delle proprie ginocchia. E’ un accessorio indispensabile per una lunga battuta di pesca. Rappresenta un piano d’appoggio per tutto, ci consente di poter lavorare con postura eretta evitandoci in tal modo continue flessioni al suolo. Sono da preferire quelle larghe con vari scomparti all’interno, dove disporre tutto l’occorrente. SEDUTI è mEGLIO La sedia, se non si è in gara è fondamentale. Spesso non possiamo sederci sulla sabbia, perché è umida. La sue caratteristiche sono la resistenza, la leggerezza e si deve poter piegare per essere contenuta in una sacca, simile a quella porta canne. Sembrerà paradossale per una tecnica che vuole il dinamismo come fattore fondamentale, ma poter stare seduti, aumenta la lucidità e i tempi di reazione.


SURFCASTING

LA TENDA Realizzare un riparo durante le serate più fredde, è stato motivo di ingegno dei primi pionieri del surfcasting, che con un telo e qualche picchetto, costruivano con materiali poveri, quella che oggi sarebbe diventata la “tenda da pesca”. Farne a meno, nelle notti invernali, risulta praticamente impossibile. La si trova oramai anche negli store all’ingrosso di articoli sportivi, leggera e facile da installare, dovrebbe salire sulla nostra macchina prima ancora delle canne.

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TECNICA

Un tuna tube per tutti

Di Umberto Simonelli

N

ella traina mediterranea con le esche vive l’uso dei piccoli tunnidi è sempre più comune: pesci esca graditissimi ai grandi carangidi come la ricciola e la leccia.

Uno dei problemi più seri per poter usare i tunnidi è il mantenimento, perché questi animali non vivono, salvo rarissime eccezioni, nelle vasche del vivo. Soprattutto, le difficoltà aumentano in modo direttamente proporzionale alla dimensione. L’unico sistema è l’uso dei tuna tube, una soluzione efficace che viene da oltre oceano, dove questo tipo di esche è usatissimo da molti anni. Il principio di funzionamento è quello di simulare il metodo di ossigenazione dei tunnidi. Infatti hanno bisogno di una quantità di acqua considerevole per respirare, fatto legato anche al movimento veloce che consente loro un maggiore flusso. Nel tuna tube il pesce non nuota, ma è investito dal flusso di acqua che gli ossigena così, in modo dinamico, l’apparato branchiale.


Reperire dei tuna tube in commercio, salvo non li si voglia acquistare all’estero, non è facilissimo. Una buona soluzione, sia tecnica che economica, è quella di costruirseli. Diciamo che con un po’ di lavoro, ma veramente poco, e circa una cinquantina di euro di materiali ci si riesce a costruire un sistema più che efficiente. CoSA SErvE

Gli alletterati , i tombarelli, piuttosto che le palamite sono esche ottime per la traina alle ricciole, ma difficili da mantenere vivi. Il tuna tube è l’unica soluzione possibile. Si possono realizzare di ogni dimensione per pesci fino a 3 o 4 kg. L’importante è assicurare la giusta portata di acqua

Oltre che alla inevitabile manualità, condizione indispensabile, quel che serve è del tubo da pluviale del 100 o del 125, del tipo arancione, quello pesante ed alcuni pezzi speciali di raccordo ben evidenziati nelle foto.

Pochi elementi, reperibili presso una fornitura idraulica attrezzata, e un po’ di colla.. ed il gioco è fatto

Serviranno anche dei raccordi, questa volta di maggior particolarità, adatti a realizzare la connessione dei due cilindri: dovremo acquistare raccorderia del tipo da piscina, proprio quella prevista per la realizzazione degli impianti delle piscine. Tubi robusti con tenute pensati proprio per lavorare in


modo

disagiato:

esattamente

quello che ci vuole per noi. Tutto

TECNICA

l’assemblaggio verrà effettuato ad incollare con della colla specifica per raccorderie in PVC, il Tangit.

Il tangit è una colla specifica per il pVC; utile anche per riparare i gonfiabili. Si acquista anche dal ferramenta

L’unica difficoltà è quella del taglio a misura del tubo, dove occorrono una buona sega a ferro e un minimo di tecnica. Per un taglio dritto e netto, basterà disegnare la linea con un pennarello lungo il perimetro esterno del tubo ed iniziare a segare lungo il tratto facendolo ruotare. Pian piano la lama intaccherà sempre più

profondamente

lo

spessore fino a dividere il pezzo. Il resto è intuitivo e quasi banale. Un po’ di colla ed il gioco è fatto. La pompa

Ecco il montaggio finito, con l’attacco rapido da giardinaggio, per applicare la manichetta dell’acqua. Questo prototipo è stato realizzato

con

tubi

del

100 lunghi circa 45 cm. Possono contenere pesci fino al kg e più

e, cela Per alimentare i tuna tube, serve una pompa del vivo generosa, che funzioni bene anche in navigazione veloce. Ottime le pompe per lavaggio ponte di grande portata o pompe specifiche da installare in sentina con presa a mare passante. Esistono anche delle applicazioni artigianali di pompe di sentina, caratterizzate da portate enormi, applicate sullo specchio di poppa con speciali accorgimenti per prendere acqua anche in navigazione.



BOLENTINO

Il fascino del nero

Di Michele Prezioso

C

hiamatela come volete, cozza, mitilo, muscolo.. ma rimane sempre uno dei bivalvi più graditi quasi a tutti i pesci. Un’esca versatile, economica, reperibile ovunque e, soprattutto, micidiale. Però, per essere particolarmente catturante e, soprattutto, funzionale la cozza deve essere

innescata in modo adeguato; non solo nella realizzazione pratica dell’innesco stesso, ma anche nel modo di presentazione in cui le astuzie giocano un ruolo fondamentale. PIACE A TUTTI, MA PROPRIO A TUTTI Le cozze hanno tanti estimatori tra i pinnuti: tutti gli sparidi, sia di scoglio che grufolatori, vanno a caccia del sapore intenso e unico del mitilo. Non esistono pesci che resistano al richiamo olfattivo e visivo del nero bivalve, gradito soprattutto per il suo importante apporto nutritivo. Potremo insidiare con successo orate, saraghi, tanute, pagelli, paraghi, spigole, mormore, fino ai dentici di piccola taglia, proponendola sia con il guscio che senza. L’importante è presentare l’esca in entrambi i casi nel modo più leggero e naturale possibile, replicando quello che può succedere in natura. Saraghi ed orate le prede principe della cozza


APRIRE CON METODO

Un piccolo coltello a lama corta e un po’ di manualità sono indispensabili per aprire le cozze a regola d’arte

Prima di entrare nel merito delle varie soluzioni di innesco, è bene porre l’accento sull’apertura della cozza. Infatti, poiché aprire la cozza significa ucciderla, dovremo effettuare tale operazione stressando l’animale il meno possibile, senza forzarlo smodatamente per non lacerarlo e fargli perdere tonicità. Le carni sono tenere per natura ma, se le si maltratta, la consistenza ne viene penalizzata ulteriormente, pregiudicando la già complessa tenuta all’amo. La tecnica di apertura consiste nel far slittare le due valve su se stesse, agendo con pollice e indice, e poi con un piccolo coltello bisogna incidere il nervo in modo tale che si aprano naturalmente. SENZA GUSCIO Quando la inneschiamo senza guscio, dovremo usare la piombatura più leggera possibile. L’azione di pesca deve sempre svolgersi con il boccone poggiato a terra e, situazione determinante, senza il filo in tensione. Il piombo andrà montato quasi a battuta sull’amo e, comunque, non oltre i 5 cm dall’innesco. In questa modalità l’inganno sarà rivolto ai paraghi, ai pagelli, ai saraghi e, ovviamente, alle orate. CON UNA SOLA VALVA Innescando la cozza con la polpa attaccata ad una sola valva, avremo l’opportunità di farla scendere più lentamente verso il fondo, con un andamento sfarfallante, che così attirerà l’attenzione dei pesci, sempre molto pronti all’osservazione di tutto ciò che cade dall’alto. Se le condizioni di corrente e profondità lo consentiranno, sarà consigliabile evitare l’uso di piombature ulteriori, sfruttando solo il peso della cozza stessa.


BOLENTINO A FARFALLA Un originalissimo modo di innescare la cozza; con la polpa completamente esterna e le due valve aperte. La perfetta simulazione di ciò che succede quando la cozza viene aperta da altri animali come i polpi e che quindi stimola la predazione da parte degli sparidi presenti che, grazie alla naturalezza dell’innesco, non sanno resistere ed entrano in frenesia.

LA COZZA INTERA Innescando, invece, il mitilo lasciando intatte le valve, avremo la possibilità di scendere più velocemente verso il fondo ed entrare, quindi, in pesca più rapidamente, attirando quei pesci che sono più abituati a reperire la cozza perché presente in zona. Sebbene il peso dell’innesco già fronteggi da solo al meglio le correnti moderate, se queste dovessero essere più sostenute si può aggiungere un piombo a pera dai 5 a 20 gr, sempre non oltre i 5 cm dall’innesco.


Quando i pesci diffideranno del mitilo già aperto o di un peso innaturale dovuto alla zavorra, potremo richiudere la cozza innescata in un’altra cozza appena aperta. Il raddoppio del peso consentirà un affondamento più veloce e quello della parte mangiabile aumenterà la foga del pesce. Anche in caso di corrente può essere un’alternativa da provare che evita l’azione di disturbo che può generare il piombo. GLI AMI Un buon innesco prevede anche degli ami adatti. Intanto cominciamo dal colore, preferendo quelli bronzati che meglio si mimetizzano nella polpa del mollusco. Le grandezze consigliate vanno dal numero 8 al 2, sempre gambo corto ed a becco d’aquila; vanno bene indistintamente sia quelli a paletta che a occhiello. L’importante è che sia leggero e di buona tenuta, super affilati per riuscire ad avere ragione di bocche tutt’altro che delicate.



Copertina parlante Angler : Michele Prezioso Preda : Loligo Vulgaris (calamaro) Peso : 800 gr Periodo di pesca : novembre Ora della cattura : 5,20 Località : Circeo Tecnica: tataky Esca : oppay 5 cm Profondità : mt 62 Condizioni meteo: Tramontana leggera Terminale con 5 pesciolini a bandiera Fondale : Misto Piombatura : 100 gr

FOTO: Fotocamera : Nikon D200 Esposizione : priorità di diaframmi Tempo di scatto : 1/60 sec Diaframma : F/9 Modo di misurazione: Ponderata centrale


Gaspway

www.gaspway.it


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