Rivista febbraio 2017

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2017

Rivista tecnica di pesca - nautica - subacquea

la rivista on-line della pesca in mare VERTICAL L’IMPORTANZA DELLA DISCESA

TECNICA TUTTO SUL SABIKI

PESCA DA TERRA OBIETTIVO CEFALO

TECNICA TRAINA NON SOLO MULTIFIBRA

E L A I C SPEURF S

www.globalfishing.it

Traina - Vertical - Jigging - Bolentino - Pesca da Terra - Spinning - Subacquea - Itinerari - Vetrina Attrezzature - Nautica - Inchieste

Anno VIII - Numero 2



IN QUESTO NUMERO..

GlobalFishing magazine Anno VII Numero 2 Direttore Editoriale: Umberto Simonelli H PDLO X VLPRQHOOL#JOREDO¿VKLQJ LW Vice direttore: Domenico Craveli H PDLO G FUDYHOL#JOREDO¿VKLQJ LW Direzione e Redazione 9LD GHL *LXRFKL ,VWPLFL 5RPD 7HOHIRQR ± ID[ H PDLO LQIR#JOREDO¿VKLQJ LW Hanno collaborato a questo numero: Domenico Craveli, Umberto Simonelli, 0LFKHOH 3UH]LRVR 'DULR /LPRQH Testi, foto e video degli autori 3URJHWWR JUD¿FR H YLGHR LPSDJLQD]LRQH &ODXGLD *OLVEHUJK *OREDO)LVKLQJ PDJD]LQH q XQD SXEEOLFD]LRQH RQ±OLQH GL 8'3 3URGXFWLRQ V U O 5HJ 7ULEXQDOH GL 5RPD Qƒ 8'3 3URGXFWLRQ VUO 9LD GHL *LXRFKL ,VWPLFL 5RPD 7HOHIRQR ± ID[ ZZZ JOREDO¿VKLQJ LW Concessionaria di pubblicità : Media Nova di Alberto Andreoli 7HO ± 0RELOH info@medianovaweb.it 6WDPSD (7(6, VUO 'LVWULEX]LRQH ZHE

5

Editoriale

6

Global@mail

di U. Simonelli

La posta dei lettori

14

Tutto sul sabiki

18

L’importanza della discesa

22

Obiettivo cefalo

26

SPECIALE SURF

42

Dentice, la preda dichiarata

44

Consigli di pesca

50

Non solo trecciato

54

Copertina parlante

di M. Prezioso

di D. Craveli

di M. Prezioso

di D. Craveli

di U. Simonelli



Editoriale

N

on si sa ancora nulla di cosa sia stato deciso durante la conferenza dell’Unione Europea tenutasi a Catania, il 9 e 10 febbraio scorso, sullo stato degli stock ittici del Mar Mediterraneo. La situazione è molto grave ed il sovra sfruttamento ha provocato danni davvero ingenti. Noi, che il mare lo viviamo per amore e per passione, questa situazione la conosciamo da tempo, toccandola con mano ad ogni sessione di pesca. Si vocifera, in seno al consesso Europeo, la messa in campo di provvedimenti importanti che potrebbero prevedere anche la concreta riduzione dello sforzo di pesca o addirittura decretarne il blocco. In effetti è vero che nel bacino del Mare Nostrum, la pressione del prelievo è di ben tre volte superiore a quella “biologicamente“ sostenibile, causa l’insistenza di molte marinerie, non solo Europee. Oltre a quella Italiana, che è una delle più strutturate e consistenti, e non solo a livello Europeo, c’è quella del nord Africa, oltre a quella della Croazia. Insomma tutti, è il caso proprio di dirlo, raschiano il fondo di questo Mediterraneo veramente esausto. Un mare che, forse non tutti sanno, vanta la maggior biodiversità esistente al mondo. Ancora di più dei coloratissimi mari tropicali.. . Il progetto è quello di ripristinare lo stock ittico del nostro bacino entro il 2020. Un obiettivo ambizioso, ma necessario, che può essere raggiunto solo con provvedimenti molto duri, che le nostre associazioni di pesca, sembra non abbiano intenzioni di digerire facilmente. In effetti il progetto di base, immagina la riduzione del prelievo almeno del 50/60% prevedendo anche il blocco totale per alcune specie, oltre all’istituzione di zone di nursery a divieto totale. Una politica assolutamente condivisibile e a cui dare il nostro pieno consenso.. ma.. (un ma è d’obbligo, visto come vanno spesso le cose in Italia) C’è da aspettarsi, anzi forse il termine giusto è temere, che nel calderone dei provvedimenti di fermo i primi a farne le spese possano essere i pescatori ricreativi. Perché sicuramente i primi da far facilmente fuori potremo essere proprio noi che peschiamo per divertimento, levando, come i nostri detrattori affermano, il pane di bocca ai “tengo famiglia” della pesca professionale. A pensar male è peccato, ma a volte ci si azzecca, diceva un famoso politico del passato, quindi ci sono tutte le ragioni per essere preoccupati. Perché la pesca ricreativa e sportiva è da sempre un settore poco considerato, visto solo come un gioco per bambini cresciuti e non. Peccato che il settore della pesca ricreativa e sportiva, rappresenti un “brand” commerciale, da alcuni milioni di euro l’anno, estremamente articolato che va dalle attività specifiche a tutto l’indotto che ne consegue. Ma forse qualcosa si sta muovendo e una brezza incomincia a soffiare, una brezza che ha tutta l’aria di diventare un bel vento in aumento. Il mese di Febbraio infatti è foriero di grandi novità, per noi pescatori. Novità importanti e dinamiche che scopriremo durante il “Pescare Show” che si terrà nella struttura di Vicenza Fiere dal 25 al 27 di questo mese. E le novità non saranno solo quelle innovative dei prodotti, ma assisteremo, domenica 26, alla presentazione al pubblico, di FIOPS, la federazione italiana operatori pesca sportiva. Una nuova avventura alla quale quattro imprenditori italiani di settore, come Andrea Collini di Colmic, Gabriele Tubertini, Roberto Trabucco e Lucio di Carlo di Olimpus, hanno voluto dar inizio per creare un punto zero da cui ripartire. Il progetto, che si sta trasformando giorno per giorno in una realtà davvero importante ma soprattutto credibile, è quello di riunire tutti gli operatori in una grande forza che possa unire e rappresentare, promuovere e tutelare il nostro mondo, alla stregua di quanto succede nei paesi più evoluti in questo settore. Ma è bene specificare che la grossa novità è che per “operatori” non si intendono solo le aziende di settore, ma tutta la struttura del mondo della pesca. La FIOPS sarà in grado di rappresentare molte categorie, partendo da noi pescatori, che siamo “appena” un paio di milioni, passando ai negozianti, ai costruttori e fino a tutto il mondo dell’indotto, nessuno escluso. Riunire il mondo della pesca sotto un’unica grande organizzazione non potrà che farci bene, è l’unica opportunità possibile per diventare attori e non rimanere comparse in un sistema che fino ad ora non ha voluto scientemente considerare il settore per la vera e reale importanza che riveste. Allora ci vediamo tutti alle ore11.30 del 26 p.v. presso la sala Giotto al Fiera Pescare Show! Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL acciai lucidi Sono in fase di rimessaggio e, quindi, mi sto dedicando a quei piccoli lavori necessari per mantenere in buone condizioni la mia amata barchetta. Il cruccio più grande sono gli acciai. La ruggine aggredisce dei punti specifici, inesorabilmente, e le scolature che ne derivano macchiano la vetroresina. Ne vien fuori una lotta senza quartiere, dalla quale esco sempre perdente. Sembra di avere una barca trascurata e vecchia di cento anni, quando non è davvero così. Cosa mi consiglia Umberto Simonelli che so essere un buon esperto di nautica? Gigi Quello degli acciai inossidabili è un problema di soluzione difficile ma non impossibile. Quello che è davvero impossibile è avere acciai

che

non

soffrano

per

niente di questo fenomeno; ma con le opportune manovre si può, quanto meno, migliorare la situazione limitando gli interventi di manutenzione. Però è bene fare una premessa, riguardo la qualità degli

acciai.

Purtroppo,

negli

ultimi anni questa è notevolmente peggiorata e le caratteristiche di inossidabilità di una volta sono inarrivabili. Soprattutto nei punti di saldatura, la formazione di ossido è complicata da contenere, così come sulle viti e su molta altra ferramenta. Il segreto per mantenere gli acciai è una costante lucidatura, molto accurata e approfondita. La lucidatura, meglio se fatta meccanicamente, serve a levare la parte ossidata del metallo: scoprendone la sua parte inossidabile rende la superficie più liscia possibile, con meno possibilità che agenti ossidanti vi ristagnino. Per quanto riguarda la viteria anche questa va lucidata nelle parti a vista e nel punto di appoggio sulla vetroresina: un po’ di silicone riesce a evitare che si macchi. Per rimuovere le formazioni di ruggine e le macchie sulla vetroresina si può adoperare con successo dell’acido tamponato; ideale quello per la pulizia dei pavimenti che si presenta di color rosa. Ma, subito dopo, le parti vanno lavate bene con acqua e sapone e lucidate con cura. La vetroresina in particolare tende a diventare porosa e, quindi, la lucidatura rende la superficie omogenea e meno attaccabile dagli agenti esterni. Un velo di vaselina o silicone passato con cura sui metalli, con uno straccio morbido o un platorello elettrico, aiuteranno a non far ristagnare l’acqua. Procedimento che dovrà essere ripetuto frequentemente.

umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL una nuova batteria Debbo comprare delle nuove batterie di avviamento per la mia barca. Ne ho due, una dedicata solo all’avviamento del motore principale, un fuoribordo da 250 cv, e una seconda preposta all’alimentazione dei servizi, luci, frigo, wc, pompa del vivo, strumentazioni di bordo e all’avviamento del motore ausiliario dedicato alla traina, che la ricarica anche. Devo precisare che nell’uso normale la batteria servizi viene ricaricata anche dal fuoribordo principale, tramite un ripartitore intelligente che bypassa la carica solo quando è necessario. So che le batterie da avviamento mal si adattano ad alimentare invece carichi fissi e per lungo tempo come a volte succede, quando sono in rada. Volevo un consiglio su come risolvere il problema di questo uso promiscuo senza compromettere la vita e l’affidabilità del nuovo accumulatore. Valerio

Ho percepito perfettamente come è strutturato l’impianto della tua barca e ho anche ben chiaro che consiglio darti. C’è un’ottima soluzione al tuo problema che se rappresenta il top, tecnicamente parlando, chiede però uno sforzo economico maggiore. Infatti l’accumulatore che soddisfa in pieno le tue esigenze è della tipologia AGM, diciamo così ibrida, capace di elevate correnti di spunto e ottima capacità nel tollerare scariche cicliche, come quelle dei servizi. Ed è ancora più importante il fatto che possa essere caricata tranquillamente dall’alternatore dei fuoribordo o da un piccolo caricabatteria, adatto al sistema AGM, che ti permetterà così di connetterti in banchina e quindi lasciare le utenze di bordo in funzione, come il frigo o la pompa della vasca del vivo. La tecnologia AGM è caratterizzata, rispetto alle normali batterie da avviamento, dal fatto che l’acido contenuto internamente non è libero, ma sigillato e trattenuto da un materiale assorbente che garantisce sempre il perfetto contatto con le piastre degli elementi interni. Questa batteria può essere montata anche verticalmente senza perdere funzionalità, gode di una auto-scarica bassissima e di uno spunto all’avviamento molto potente. Il maggior costo è pienamente giustificato da una funzionalità ideale.

umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL i grandi totani Vorrei tentare la cattura dei grandi totani, quelli abissali. Vedo spesso foto di queste catture e mi è venuta la curiosità di provare. Come devo attrezzarmi e dove devo provare? Io abito ad Anzio, in provincia di Roma, e qualche volta, in estate, ho pescato quelli piccoli, che si catturano con le totanare a mano. La mia curiosità è anche quella di sapere se sono buoni da mangiare. Un saluto, Luigi I

grandi

totani

sono

temibilissimi

predatori che vivono a grandi profondità e

possono

veramente

raggiungere

dimensioni

importanti

dell’ordine

di svariati chili. Nelle tue zone non conosco poste specifiche, ma forse i banchi di Anzio, sulle batimetriche più profonde, potrebbero essere posti dove provare. Devi cercare di rubare qualche informazione ai vecchi pescatori che sicuramente sapranno darti delle buone indicazioni su poste e periodi. Per quanto riguarda l’attrezzatura, se le profondità da raggiungere sono dell’ordine delle centinaia di metri, svolgere l’attività con muli manuali è quasi impossibile, perché i grandi totani tirano tanto sul serio e smanovellare per tre o quattrocento metri con un diavolo dall’altra parte la vedo molto dura. Quindi è consigliato caldamente l’uso di mulinelli elettrici e canne da bolentino di profondità. Lo schema è semplice: esistono delle totanare specifiche che vanno guarnite con sarde o sgombri, sfilettati e messi a copertura della totanara legandoli con abbondante filo elastico. La totanara è piombata e scenderà sul fondo grazie al suo stesso peso. E’ possibile individuarli sullo scandaglio ma sulle scadute profonde si possono fare dei tentativi, sondando le varie fasce dal fondo a venire su. Quando avviene un’aggressione i segnali sono inconfondibili e la canna si anima con violenza. Inizierà così un recupero a velocità media ma assolutamente costante, preceduta da un paio di ferrate ben assestate per meglio infiggere le corone di aghi. Un grande guadino sarà indispensabile. Per quanto riguarda l’aspetto alimentare, sono molto apprezzati e non sembra che le dimensioni li rendano difficili da mangiare. Poi, sicuramente, incide la cottura e la preparazione specifica.

umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL Piombo al “vento” Salve a tutti. Sono Marco e vivo a Forte dei Marmi. Volevo chiedere al Sig Limone se conosce un piombo, che si chiama windy. L’ho visto, e vorrei provarlo, ma siccome ho sempre poco tempo da dedicare alla pesca, mi piacerebbe un parere per andare.. diciamo “sul sicuro”. Comprendo la domanda un po’ banale, ma il suo autorevole parere per me rappresenta una discriminante di scelta. Marco C.

Caro Marco non solo lo conosco bene, ma è tra quelli, che preferisco. E’ un piombo, che ti garantisce un volo eccellente, perché le sue cavità generano “portanza”, permettendo distanze maggiori a parità di tecnica di lancio. La sua forma a pera, gli permette di avere anche una buona tenuta. E’ idoneo nelle condizioni che vanno dalla calma al poco mosso, o in avanzata fase di scaduta. L’abbinamento con un mini-trave, è l’ideale per cercare grufolatori su substrati morbidi sulla media e lunga distanza

dario limone


GLOBAL@MAIL doPPio inganno Cari amici di Global Fishing, mi chiamo Isidoro e vivo a Pescara. Ho una domanda da fare al Sig. Limone; in quale occasione si deve usare la vipera? Ho sentito parlare di questa soluzione, e la cosa mi incuriosisce, anche perché pescando prevalentemente a mormore, mi capita spesso che grossi pesci mi rompano, proprio perché un esile filo mal si presta a contrastare grosse orate ad esempio. Cosa che mi pare di capire, la vipera spesso risolve, poiché il pesce grosso di turno, potrebbe abboccare su entrambi gli ami. Giusto? Isidoro L.

Caro Isidoro, la vipera la puoi usare sempre in ogni situazione. L’utilizzo di due ami ravvicinati può servirci per vari motivi, come tu già hai dedotto. In primo luogo presentare contemporaneamente due esche, ad esempio una di movimento (coreano) e l’altra di odore (americano); oppure un crostaceo (granchio) ed un bivalve (cannolicchio). L’efficace forcina può servire anche per confezionare esche xl, ad esempio filetto di pesce o di cefalopode. Con l’arenicola doppia, puoi fare doppiette di mormore, o tenere le orate senza perderle, che solitamente ingurgitano avidamente entrambi gli ami. Alcuni amici, la usano anche in agonismo, quando le prede di fondo prevalgono su quelle di galla. Io l’abbino in condizioni di mare calmo, a braccioli lunghissimi, anche oltre i tre metri, aumentando il potere catturante.

dario limone


GLOBAL@MAIL il PeSo del Piombo Un saluto a tutto lo staff che voglio ringraziare per i magnifici articoli di pesca che ci regala ogni mese e che leggo avidamente e dai quali ogni volta imparo sempre qualcosa di nuovo. Da qualche tempo mi sono appassionato alla traina con il vivo, ma sono solo agli inizi e ho una marea di dubbi e lacune. Un primo quesito che vorrei porre ad un vostro esperto riguarda il metodo con il quale determinare il peso del piombo guardiano più opportuno da adoperare. Leggendo anche sui vostri articoli, ho approvvigionato in barca un po’ di assortimento, dai 350 ai 700 gr., ma, onestamente, non riesco a orientarmi su una scelta che mi metta “psicologicamente” tranquillo e mi viene sempre da usare le zavorre più pesanti perché mi tengono più in contatto col fondo. Quale è il criterio di scelta giusto? Grazie, Gualtiero R.

Ciao Gualtiero Ti ringrazio per le tue considerazioni di stima e per le graditissime gratificazioni a nome mio e di tutto lo staff. Ma, ora, dedichiamoci al discorso guardiano. Non c’è una misura, una regola fissa per stabilire il peso adatto, ma c’è un concetto generale che è quello di essere il più possibile leggeri pur cercando di raggiungere il fondo e, soprattutto, rimanerci, vincendo la resistenza che tutto il complesso pescante offre, esca compresa, durante la traina. Pertanto, il consiglio di base è sempre quello di avere lenze con diametri sottili per avere meno attrito possibile. Oltretutto, un peso importante toglie sensibilità alla canna e può farti perdere la prontezza di risposta in caso di leggeri attacchi all’esca che possono provenire anche da grandi prede. In via generale con 350 gr si può pescare anche a 1 nodo fino a 50 mt con esche non particolarmente voluminose e corrente modesta. Aumentando significativamente le profondità o con corrente apprezzabile il passo successivo sono i 500 gr. I 700 invece sono da usare quando si vuole affrontare una corrente veramente importante o si vuole andare a sondare profondità impegnative anche oltre i 90 mt. Devo, però, far presente una cosa importante: quando le zavorre sono leggere, su profondità maggiori c’è più filo in acqua e con una forte inclinazione che sul fondo assume una forma tangente ed il piombo lavora un po’ meno da guardiano. In questo caso bisogna non perdere di vista la canna perché, su fondali complicati è possibile incagliare. Se non si è espertissimi forse è meglio iniziare a pescare appena più pesanti. In ultimo ti dico che esistono in vendita zavorre anche con pesi intermedi (le vende Decathlon) che possono fare la giusta misura rispetto alle pezzature standard in commercio.

umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL Palamite in JaPan Style Carissimi amici, vi leggo con costanza tutti i mesi. Sono un appassionato di tecniche verticali, e da me sono già arrivate le palamite. A vertical, negli anni scorsi le ho sempre prese, ma quest’anno, pare non aggrediscano allo stesso modo. Si saranno abituate? Quali contromisure mi consigliate di adottare? La mia domanda è per il vostro Craveli. Che seguo dal 2007, dai sui primi scritti su queste tecniche. Luca M.

Luca, le palamite sono pelagici migratori e non credo si possano abituare al jig. Magari non sono così aggressive per fattori ambientali. Infatti, capita che in particolari periodi dell’anno non gradiscano i jig pesanti. Ti consiglio di alleggerire il peso dell’esca, scendendo anche a 60gr, facendo spiattellare il jig stesso in discesa. Alternativamente puoi provare con gli inchiku. Privilegia corpi metallici di colore argento e octopus accesi, tipo fucsia, o arancio. I risultati non dovrebbero tardare ad arrivare.

domenico craveli


GLOBAL@MAIL ricciole ritardatarie Gentile Domenico Craveli, sono un appassionato di vertical, e volevo chiederle se ci sono ancora possibilità di incontrare le ricciole, considerando che il miglior periodo dell’anno, da quello che so e da quello che ho letto, è già passato. Il mal tempo ha imperversato per quasi due mesi, impedendomi di fare uscite mirate a vertical verso questo carangide. Giuseppe C.

Carissimo Giuseppe, le ricciole sono pesci “senza stagione”, ossia si possono incontrare tutto l’anno, anche perché hanno abitudini diverse, in funzione della taglia. Le uniche che letteralmente “scompaiono”, sono quelle grandi, impegnate nel ciclo riproduttivo, nei mesi aprile-agosto. Quelle di media taglia sono pescabili praticamente sempre. Comunque, anche per le più grosse, hai ancora un mese e mezzo abbondante per insidiarle. Prova su fondali anche profondi, non è raro trovarlo anche oltre i 100 metri. Poi se hai in zone relitti, la loro presenza è quasi cerca. Corri.. vai e pesca.. sei ancora in tempo!

domenico craveli


TECNICA

Tutto sul sabiki I

di michele prezioso

l sabiki è uno dei calamenti che non manca mai nelle cassetta di ogni pescatore dalla barca: una delle invenzioni giapponesi di maggior successo per insidiare piccoli pesci, uno strumento di pesca che è possibile comprare già pronto in mille versioni e che si adopera, soprattutto, per

reperire esca. In realtà, il sabiki, è tutt’altro che un semplice gadget: è un micidiale quanto geniale strumento, capace di insidiare pesci, non solo piccoli, da pochi metri di fondo fino anche ai 100 ed oltre. Tutto sta nel saper cosa e come fare. sEI pICColI AmI Alcuni la chiamano anche mitraglietta, ma il nome sabiki oramai identifica in modo univoco la


In commercio esistono una miriade di sabiki, diversi per qualità e prezzi.. non c’è che l’ imbarazzo della scelta

sequenza di sei braccioli con relativi ami montati su un trave, con un piombo finale. Il criterio di

funzionamento,

in

sostanza, è una sorta di vertical ante litteram. Le piccole esche in genere sono gli ami stessi opportunamente dressati a fungere da richiamo, che vengono fatte oscillare freneticamente, imprimendo corte jerkate alla lenza. Questa azione simula il nuoto convulso di piccoli pesci, che vengono così assaliti dai predatori: un sistema di cattura che si basa sulle situazioni base della catena alimentare. I sabiki per essere conformi alla normativa vigente non devono avere più di sei ami, il numero massimo consentito. UNA qUEsTIoNE dI fEElINg La funzionalità del sabiki non è un fatto casuale. La costruzione e i materiali sono fondamentali. Però la capacità catturante non è legata solo alla qualità ma alla capacità di chi pesca di individuare il modello giusto per la

soluzioni auto costruite che, equipaggiate con dei piccoli jig al posto della zavorra, possono risultare micidiali

situazione. Infatti, dobbiamo imitare quel che i pesci che andiamo cercando stanno cacciando in quel momento. Capita così che esche variopinte e voluminose potranno essere ignorate da grossi sgombri che aggrediranno invece minuscole esche, e che piccoli sugheri attacchino inganni spropositati. La soluzione ideale, quindi, è avere a disposizione un congruo numero di sabiki tra quelli che avremo testato e scoperto più idonei per le nostre abitudini di pesca e per i nostri spot dA zEro A CENTo I sabiki sono efficienti anche a profondità elevate ed è possibile insidiare così i pesci anche sulle scadute profonde o andare a verificare in cosa consistano quelle palle di pesce che a volte incontriamo sul fondo senza riferimenti apparenti. L’importante è che i calamenti siano ben realizzati, con ottimi fili e ami all’altezza. Importante sarà il dressaggio di tutto il complesso pescante, perché perline colorate, elementi glitterati e soprattutto perline fluo che brillino al buio sono l’anima del sabiki. I sabiki economici a volte funzionano ma durano poco, gli ami si arrugginiscono e la bassa qualità dei fili li porta ad ingarbugliarsi più di quanto già non capiti abitualmente.


TECNICA

Ecco la fine che fa un sabiki, di scarsa qualità, dopo una cattura multipla di grossi sugheri

solUzIoNI pErsoNAlIzzATE Proprio per ottimizzare al massimo la capacità catturante del sabiki, l’autocostruzione può essere, oltre che divertente, una incredibile opportunità. Si possono variare all’infinito le combinazioni e le soluzioni costruttive, usando dalla pelle di pesce ai micro squid, dai materiali specifici da costruzione fino a materiali che appartengono al quotidiano, con cui riusciremo a catturare pesci e avere le lenze sempre in ordine. Anche la geometria di costruzione ha il suo perché. Le foto chiariscono meglio di ogni altra descrizione.

Ad iniziare da sinistra possiamo vedere delle soluzioni auto costruite; la prima con filamenti presi dagli addobbi natalizi, la seconda con un piccolo warm glitterato, e la terza con l’imitazione di una soluzione classica, comunemente realizzata con pelle di pesce, costruita invece con un ritaglio di una busta da supermercato. In ultimo un micro squid. Soluzioni tutte sperimentate e molto efficaci


sempre parlando di auto costruzione le derivazioni dei braccioli, che non saranno più lunghi di 5 cm, potranno essere realizzate con un doppio nodo piano o con uno snodo con perline e tecno sfere. Quest’ultima soluzione è l’ideale per realizzare un sabiki che non si ingarbuglierà mai

l’Uso La situazione di pesca ideale è in verticale, calando le esche proprio sulle marcature, variando il ritmo delle jerkate e sondando le fasce d’acqua intorno alle zone più calde. Una funzione importante la riveste la piombatura, perché una zavorra azzeccata, oltre a farci raggiungere rapidamente il fondo, ci aiuta a far lavorare bene la lenza. Infatti la canna deve essere proporzionata alla profondità e quindi al piombo o viceversa, per far sì che il sistema riesca ad oscillare perfettamente e le piccole esche vibrino letteralmente. Attenzione perché ad un buon sabiki calato in profondità potrebbero abboccare pesci non previsti e quindi si dovrà fare attenzione a non sottovalutare non solo i dimensionamenti ma anche la qualità dei materiali. Una bella “cavalla” non ha resistito ad un piccolo jig applicato come zavorra del sabiki ..

VArIAzIoNE sUl TEmA Se la zavorra è importante, ne possiamo magnificare la funzionalità sostituendola con un jig appropriato, facendo attenzione perché potrebbe arroccarsi battendo sul fondo. Ma se lo si sfrutta per simulare un pesce in caccia che insidia piccole prede più in alto i risultati possono essere inimmaginabili.


VERTICAL

L’IMPORTANZA DELLA DISCESA Di Domenico Craveli

a

nimare correttamente un jig o un inchiku, è tutt’altro che semplice, perché tutto il complesso pescante concorre al nuoto dell’artificiale. Soffermarsi però solo sull’azione di jerking, è limitativo ai fini del risultato finale, perché il recupero è solo una delle due fasi che possono

portare all’attacco un predone. Saper controllare l’artificiale anche nella sua discesa, sia esso un jig, o anche in inchiku, può essere determinante in molte situazioni. Quando iniziammo a scrivere di tecniche verticali, e dell’importanza dei movimenti base che servono a rendere efficacie l’artificiale nei diversi scenari di pesca, molti ci derisero, vantando addirittura catture di grossi pesci con artificiali messi a penzoloni a pochi metri del fondo e canne negli alloggi in murata. Questo estremo provocatorio, fa capire quanto in Italia il “japan style” è stato “frainteso” e male interpretato, infatti, dopo i successi iniziali, dovuti alla novità che ha stupito allo stesso modo pescatori e pesci, molti sono tornati alle tecniche di sempre, relegando vertical e affini ad una enfatica parentesi piscatoria. Vertical e inchiku non sono mai state tecniche “magiche”, ma discipline che hanno avuto da subito una precisa fisionomia, dove la fortuna e il caso hanno sì avuto un ruolo importante nella fase inziale, ma successivamente, ogni risultato, andava perseguito con pazienza e dedizione. Chi ha seguito questo percorso, ancora oggi riesce ad avere grandi soddisfazioni. SinteSi D’azione

“L’artificiale scende verso il blu, il predone lo avvista, gli si scaglia contro ma non lo attacca… Poi l’artificiale sbatte con un tonfo sordo sul fondo, e riparte a scatto. Il pesce va in frenesia, lo insegue nella sua risalita sotto l’effetto delle jerkate, e lo afferra con le fauci con estrema ferocia; uno, due,… tre volte, sente che non è “carne”, ma l’aggressione continua, perché ha origini diverse dalla necessità


alimentare. Il pescatore è lì. Si accorge che qualcosa sta per accadere… e mentre razionalizza il da farsi, la canna si piega di colpo, improvvisamente, il mulinello sibila: è strike! Un poderoso strike, che materializza i nostri intenti per l’inizio di un’emozione da vivere ad altissimi giri. Ecco l’essenza della tecnica! “. Eccola, la fotografia di ciò che accade. E come si può notare, tutto parte dalla discesa dell’esca. Questa fase risulta fondamentale, perché è spesso il momento in cui il predone avvista l’insidia. il dentice è tra le prede che avvista il jig nella fase di discesa, e lo attacca brutalmente appena sbatte

CoSa fare?

sul fondo

Il filo che esce dalla bobina del mulinello, andrà controllato con le dita per far cambiare assetto all’esca durante la sua discesa verso il blu. Gli “stop and go”, ossia fermate e ripartenze, sono indispensabili per rendere più visibile l’artificiale sulla colonna d’acqua. Così come anche i rallentamenti controllati e la successiva accelerazione dei rilasci modificano l’assetto all’artificiale, senza però fermarlo facendo si che riparta in picchiata verso il fondo. La corsa finirà con un tonfo, sordo sul fondo, che

Gestire il trecciato in uscita dal mulinello, è fondamentale per far variare assetto in caduta al jig

si rivelerà un richiamo formidabile per i predoni stanziali come dentici e cernie. La corrente forte, ad esempio, che se mal gestita può essere un problema, può essere sfruttata per fare effetto vela sul trecciato, imponendo all’esca una caduta ad arco, molto gradita ai pelagici come le ricciole. E’ indubbio che così facendo, il livello delle nostre capacità tecniche si alzerà ulteriormente, facendoci godere a pieno di tutte le fasi di pesca, potendo così arrivare anche a quei pesci “perduti”, che di inseguire l’artificiale in risalita, proprio non ne vogliono sapere.

Gli sciabola attaccano gli artificiali in discesa, specie in condizione di forte corrente



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PESCA DA TERRA

Obiettivo cefalo Di Michele Prezioso

U

na delle prede più difficili in assoluto con cui confrontarsi, quando si pesca in bolognese, è il cefalo. Diffidente oltre ogni immaginazione, potente e reattivo, rappresenta il massimo del divertimento soprattutto quando si pesca leggeri.

La sospettosità di questo pesce e il suo ingaggio con le esche fanno sì che insidiarlo con regolarità sia una vera e propria specializzazione. Il RE DEl PoRTo Insieme alla spigola, il cefalo è la preda istituzionale delle zone portuali o ad esse limitrofe. In alcune zone, questi pesci raggiungono taglie di tutto rispetto, trasformandosi in potenza pura appena si sentono trattenuti, con reazioni violente, veloci e scomposte che mettono in seria difficoltà il pescatore anche esperto, perché, proprio per ingannare i cefali, fili e ami dovranno essere sottili e piccolissimi. Il cefalo ci vede benissimo e, essendo cacciato da molti predatori, vive in perenne allarme e ogni piccolo movimento, ombra, rumore o increspatura dell’acqua lo fanno defilare molto velocemente. La sua migliore difesa è la fuga, strategia che mette in pratica con successo grazie ad una coda potente che gli permette partenze istantanee. lA SCElTA DEllA PoSTA Oltre al posto buono, perché frequentato dai cefali, dovremo scegliere una collocazione che ci consenta


di essere visti dai pesci il meno possibile, valutando la posizione del sole e l’estensione della proiezione delle ombre. Se riusciremo a pescare senza interferire con lo specchio d’acqua visivamente e acusticamente già saremo a metà dell’opera. Questo vale soprattutto se ci confronteremo con cefali di passo. lE ConDIzIonI METEo Le condizioni migliori son quelle con venti dal quadrante sud, che creano un bel po’ di turbolenza, generando correnti sul fondo che rendono le acque più torbide. Il cielo plumbeo e le batimetriche dai 5 ai 9 metri offrono le chances migliori. PREPARIAMo lE lEnzE Il bigattino è un’ottima esca per il cefalo, molto attrattiva se innescata in modo che la larva si muova. Una valida alternativa al classico fiocco di pane

La paratura giusta, si potrebbe dire parafrasando un proverbio, è già metà dell’opera. Quindi sarà opportuno andare

preparati con qualche calamento pronto diversificando sezioni e ami o geometria della lenza stessa. E’ bene solitamente avere a disposizione due tipi di parature, una che useremo per il fiocco di pane e la sarda e una che useremo per il bigattino. La prima sarà realizzata a forchetta, con due braccioli di diversa lunghezza, rispettivamente di 40 e 50 cm. Lo congiungeremo alla lenza in bobina, del nylon dello 0,16, con una connessione loop to loop. Ami consigliati tipo 1 b della Tubertini n 12-14-16 o 120 n della Gamakatsu delle stesse misure. La seconda, invece, sarà più semplice, costituita da un terminale lungo circa 80 cm. che pescherà a fondo, equipaggiato con ami tipo i Tubertini serie 10-n 16-18 o serie 50 del 18, dove innescheremo due o tre larve appena appuntate o una a calza ed una seconda appuntata.

Quando invece la nostra esca sarà la larva di mosca carnaria, utilizzeremo un terminale, mono amo, molto semplice

Ecco il terminale specifico per l’uso con il fiocco di pane

I galleggianti consigliati sono del tipo a goccia, se c’è presenza di corrente, o a penna con acqua calma


PESCA DA TERRA

ESChE E ATTREzzATURE Il pancarrè o il pane francese andranno benissimo ma anche i tocchetti di filetto di sarda, sughero e sgombro compiono alla grande il loro compito, purché freschi ed in buono stato. Useremo una bolognese da 7 metri leggera ma potente, un casting da 10/15 gr va benissimo, equipaggiata con un mulinello da 2500 a 3500, caricato con del nylon dello 0,16 possibilmente colore neutro o del tipo fluorine da imbobinare.

l’azione della canna è importante con prede serie come i cefali

EnTRIAMo In PESCA E’ consigliabile scegliere postazioni con fondali più profondi e con spazi a disposizione abbastanza larghi, perché tenere in canna cefali grandi, anche superiori al kg, mette a dura prova pescatore, fili, nodi, canne e ami e ci vuole spazio per brandeggiare la canna. Arrivati sul posto, prima di tutto posizioneremo bene il panchetto e prepareremo una pastura dai 3 ai 5 kg per una pescata che vada da 5 a 8 ore, mescolando sfarinati di sarda semi umida da 3 kg, 1 kg di pane grattugiato, mezzo litro di latte e 500 grammi di sale grosso. Nel caso volessimo usare come esca solo i bigattini, impiegheremo, al posto del sale, circa 400 grammi di larve nell’impasto e aggiungeremo ancora dei bigattini pressati sulle palle Un’ottima collocazione, comoda e stabile


di pastura. Inizieremo con il controllo della corrente e poi con il controllo dello scioglimento della pastura, che dovrà avere una compattezza tale da arrivare bene sul fondo per poi sfaldarsi solo al suo contatto. Appena pronti inizieremo a pasturare con 1 kg di composto diviso in cinque palle da circa 200 grammi per preparare il fondo; poi continueremo con una pallina da 50-70 gr lanciata ogni due cale, con un intervallo mai superiore ai 5 minuti, tra l’una e l’altra. di pastura. Inizieremo con il controllo della corrente e poi con il controllo dello scioglimento della pastura, che dovrà avere una compattezza tale da arrivare bene sul fondo per poi sfaldarsi solo al suo contatto. Appena pronti inizieremo a pasturare con 1 kg di composto diviso in cinque palle da circa 200 grammi per preparare il fondo; poi continueremo con una pallina da 50-70 gr lanciata ogni due cale, con un intervallo mai superiore ai 5 minuti, tra l’una e l’altra. EnTRIAMo In PESCA Ricordiamo che la postazione deve essere perfettamente organizzata e, quindi, posizioneremo il panchetto in modo ben stabile, il guadino a portata di mano, prepareremo la sonda per misurare il fondo, e le esche e la pastura pronte per l’uso. Non dovremo scordare un secchio con acqua per sciacquarci le mani ad ogni innesco e ad ogni lancio, uno straccetto e forbicina, la fionda e gli elastici di riserva, uno slamatore e ami di ricambio. E che il gioco abbia inizio..

Un breve video, dove l’autore è alle prese con un bel cefalo da oltre un kilo


SURFCASTING

SURF

lo speciale

•Introduzione al surfcasting •Interpretazione del mare •Attrezzature di base •Primi lanci


Editoriale I

nizia con questo mese, un percorso di Surf davvero “speciale”, che ci accompagnerà fino al caldo giugno. Nulla di rivoluzionario, ma una successione ordinata di argomenti, con cui è nostra intenzione condividere spunti tecnici e momenti di passione/riflessione intorno a

questa splendida disciplina. Lo speciale è dedicato a tutti. Al neofita che ha “fame” di conoscenza, per avvicinarsi nel miglior modo possibile alla tecnica. All’esperto, che potrà trovare comunque un confronto e qualche nuovo spunto per arricchire maggiormente il proprio bagaglio. Ed a noi stessi, cioè a chi vi scrive, io Domenico Craveli, e l’amico Dario Limone. Perché le origini non si dimenticano, perché la pesca dalla spiaggia ci ha cullato nell’approccio all’universo mare. CoSA è Il SURFCASTING? Il surfcasting è un modo di vivere il mare nel suo stato più turbolento. Una filosofia di pesca che vede nelle onde l’opportunità di pescare la preda da sogno, il pesce della vita. Poi, nelle sue mille varianti, ci si confronterà anche con situazioni più morbide e calme, ma sono i marosi la cornice più adatta al nostro quadro di pesca. Perchè è oltre il frangente che si materializzano i sogni. Lanci verso l’ignoto, di giorno come di notte, e noi lì, ad aspettare la “piegata”. A volte arriva, a volte no, ma non è fondamentale. L’importante è esserci. Vento in faccia, acqua negli stivali, rappresentano per l’appassionato un richiamo molto forte. Un gusto antico, non contaminato dalla tecnologia, dove i nostri sensi primordiali sono messi a dura prova per fare la scelta più opportuna per arrivare alla preda. Il surf è indeterminatezza, rischio, una pesca “all in”, dove i compromessi trovano pochissimo spazio, e dove ogni dettaglio fa la differenza. Ed allora lanciamo tra le onde, verso un infinito sogno.. perché lì, in quella schiuma, tutto è possibile.

Domenico Craveli & Dario Limone


SURFCASTING

Introduzione al surf casting Il surfcasting è una tecnica dove non si può improvvisare nulla. Tutto deve essere ottimizzato per permetterci di stare in pesca correttamente in una precisa condizione ed anche al repentino mutare della stessa. Iniziamo insieme questo viaggio, analizzando tutte le attività preliminari e i concetti di base, che sono necessari per impostare al meglio la nostra battuta di pesca. Pensare di scendere in spiaggia in modo improvvisato, lanciare un’esca qualsiasi in un settore di mare qualsiasi, sperando che qualcosa accada, è solo un modo per tentare la fortuna come se si stesse giocando alla roulette; non è certo questo il modo corretto per impostare una pescata a surf nel migliore di modi. Serve un minimo di conoscenza dei fondamenti della tecnica, senza i quali, il nostro start up sarà viziato negativamente già in partenza. Non basterà avere la canna più bella, il mulinello più performante, se poi saremo lì, nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Esistono due strade per togliersi le soddisfazioni con questa tecnica. Pescare ad oltranza, in ogni momento, inseguendo la legge dei grandi numeri, oppure mirare l’uscita, cercando di gestire le variabili con razionalità, sfruttando le condizioni senza subirle in modo illogico, magari solo aspettando che la sorte ci gratifichi, facendo sì che quel minuscolo boccone, intercetti per caso, un pesce in pascolo. Ecco che quindi il percorso di crescita di un pescatore di surf passa obbligatoriamente per alcune tappe fondamentali. Alcune quasi “filosofiche”, relative all’interpretazione stessa della tecnica, altre più pragmatiche, come la capacità di interpretare il moto ondoso, la giusta organizzazione del corredo pescante, e la conoscenza delle abitudini delle prede. Sembra poco… ma è un mare di conoscenza! Partiamo!!!


Interpretazione del mare

Il surfcasting parte da qui. Inizia e finisce tra le onde. Onde che mai sono uguali, proprio come un respiro convulso, a volte più intenso, a volte meno, in costante mutazione. La nostra pesca è zero, se non conosciamo lo stato dell’elemento acqua che abbiamo di fronte in un preciso momento. Perché in quella vastità di blu, bianco e torbido, quasi sempre, i pesci, sono solo in un preciso ed unico punto. E pochi istanti dopo, tutto è cambiato di nuovo. La sfida si gioca in pochi metri, al cospetto della vastità, in un limite sottile, come tra mare e cielo, e ora più che mai, mare e spiaggia. Scegliere dove posizionare le canne, è un’azione che merita tempo ed osservazione. le esche vanno lanciate nei settori produttivi, che in ogni stato di mare sono diversi. Anche la spiaggia “nostra” di sempre, varia di fertilità al variare delle onde e della loro intensità-direzione


Il fondo del mare, antistante all’arenile, non è mai una distesa piatta ed omogena. Buche, dislivelli,

SURFCASTING

aree detritiche, si alternano con irregolare continuità, segno storico delle correnti dominanti di una precisa zona. Tali disomogeneità del substrato, quando il mare si gonfia per via del vento e le onde si materializzano nella loro imponenza sul basso fondale, determinano i settori di pesca produttivi, in base all’evoluzione della mareggiata stessa. Nello specifico avremo i canaloni e i frangenti, che non sono altro che lo specchio dell’orografia sottomarina a ridosso della battigia. Interpretarli correttamente significa aumentare di molto le chances di successo. CANAloNE Durante

la

fase

più

intensa

della

mareggiata, il mare frange come un muro di schiuma davanti alla spiaggia. Osservando bene però, noteremo delle zone apparentemente più calme, dove le onde frangono a riva, anziché rompersi prima. Visti dall’alto sono come dei corridoi perpendicolari alla costa. Il canalone è una zona a bassa turbolenza. Lo si identifica come una interruzione della frangenza dell’onda.

Il dettaglio mostra un canalone su una spiaggia medio-bassa

Queste porzioni di mare sono appunto i canaloni. Ossia depressioni più o meno ampie, dove la turbolenza è forte, ma permette comunque ai pesci di muoversi più facilmente e di nutrirsi. Sono come degli ampi solchi, che dal largo portano fin dietro il gradino di risacca e dove i Situazione più impegnativa delle precedenti. Sullo sfondo

nutrienti sono a disposizione dei pinnuti.

sono visibili due grandi canaloni. Quando il mare è davvero

Lanciare li in mezzo è quanto di meglio

“grosso”, scegliere il punto giusto è fondamentale non solo per sperare in qualche cattura, ma già solo per far stare le canne in acqua. Dove la corrente è forte, e spesso anche trasversale, non c’è zavorra che tiene

si possa fare, se l’ultimo frangente è lontano, o le correnti sono molto forti altrove, tanto da non permetterci di


stare in pesca. Il canalone perpendicolare, ha un suo omologo parallelo alla linea di battigia, che si chiama “canalone lungo-costa”. Esso si trova a ridosso del gradino di risacca, ed è una depressione dove amano stare spigole e saraghi. Il moto delle correnti, primarie e secondarie, che viene generato dalle onde quando incontrano il bassofondo e la linea di battigia, porta in esso i nutrienti messi a nudo dall’erosione in atto durante la mareggiata.

Il canalone lungo-costa è il settore di mare dove le spigole amano transitare. lo si trova nei primi 20/30 metri

L’ultimo frangente è la vera sfida per il surfcaster. Il luogo oltre il quale i detriti organici si posano… e i pesci banchettano. In alcuni casi è raggiungibile con buone doti balistiche, in altri spot, è inarrivabile. Sta al pescatore valutare al meglio, per non trovarsi a gestire un doloroso cappotto, solo per la presunzione di sfidare un elemento oltre le proprie capacità.


SURFCASTING

FRANGENTE

Durante le mareggiate, nei luoghi dove questo è possibile, è ottima cosa osservare il mare da un’altura. Questo permette di individuare in modo inequivocabile, buche, canaloni e secche. Prendendo mire e riferimenti del paesaggio, sarà poi possibile giungere con precisione sullo spot di interesse

Quando l’onda incontra un innalzamento del fondo, di circa 1/3 o 1/4 rispetto alla propria altezza si rompe e frange. Ma indipendentemente dai valori numerici, che sono influenzati da una serie infinita di variabili che servono poco alla pesca, dobbiamo sapere che il punto in cui si l’onda si rompe, rappresenta un potenziale settore buono per la pesca. La condizione più importante, che fa sì che dietro il frangente ci sia pesce, è che esso si sia creato per scontro della massa d’acqua con una barriera detritica accumulatasi dai sedimenti e organici portati lì dalla corrente secondaria. Diversamente potrebbe essere sterile. Altra condizione fondamentale è che il frangente sia ad una distanza raggiungibile dalle nostre capacità di lancio. E con vento frontale ed esche voluminose, non è sempre così semplice raggiungerlo. PRoFESSIoNE oSSERVAToRE Chi ha la fortuna di vivere vicino alle zone di pesca, gode di un vantaggio indiscusso, cioè quello di poter osservare i propri spot, durante le tempeste. Da un’altura, oppure anche dal lungomare stesso, durante gli eventi atmosferici più violenti, il mare diventa un libro aperto. Canaloni e frangenti sono lì… pronti ad essere osservati. Scattare qualche foto, aiuta a ragionare poi a tavolino su dove sono le zone migliori. Cogliere i riferimenti del paesaggio che possano aiutarci ad identificare in modo univoco il punto corretto. Un lampione, una strada, un albero… qualunque cosa. E soprattutto annotiamoci le cose. La mente è volatile!


Attrezzature di base: canne & mulinelli - La canna da surf

Canna e mulinello, un connubio che deve essere a misura di pescatore. E’ fondamentale scegliere prodotti in linea con le proprie capacità tecniche. Canne molto tecniche, e rigide nel pedone ad esempio, necessitano di competenze di lancio perfette. Acquistare seguendo le mode, e non i propri limiti, è un errore che molti fanno. Spesso la voglia di mostrare un preciso tipo di canne sui picchetti, prevale sulla reale necessità.

Compagna di mille avventure, fedele amica nelle situazioni estreme, parte delle nostre braccia e capace di custodire in silenzio le nostre storie di mare più belle. E’ la canna da surf, un concentrato di tecnologia che seduce i pescatori, perché la canna da surf.. è lei che ti sceglie! Superato l’aspetto mistico passionale parliamo di canne da surf secondo dei canoni tecnici. La canna è una leva col principio della catapulta. Le parti che la compongono sono il manico, il mediano arco e la cima. In media a circa 80 cm dal piede del manico è inserita la placca porta mulinello. Un empirismo per trovare la giusta posizione della placca, è quello di posizionare il piede del manico a metà dello sterno e distendere il braccio destro; la mano dovrà trovarsi alla metà della placca. Se quest’ultima è posizionata troppo in basso o troppo in alto, rispetto alla lunghezza dei nostri arti superiori, potrà alterare il caricamento della canna e quindi il lancio. UNA.. NESSUNA.. CENTomIlA.. Le canne di oggi hanno tutte una sezione sottile, sia le telescopiche, che quelle ad innesti. Sono leggere, maneggevoli e performanti. Generalmente una canna lunga 5 mt. non è studiata per lanci estremi, ma per lanci accompagnati, dove questa leva lunga e favorevole, ci farà compiere notevoli distanze con sforzo minimo; specie se usiamo fili sottili, come uno 0,16 mm. Una canna da 4mt – 4,50 mt sicuramente più maneggevole, si presta a lanci forzati e funziona meglio per forare il


vento frontale o per raggiungere distanze importanti. Le canne possono avere delle diverse azioni,

SURFCASTING

che un tempo venivano denominate parabolica, parabolica differenziata ed a ripartizione di potenza (Sandro Meloni). ComE TI lANCIo Pur rimanendo validi questi concetti, l’industria ha creato nuovi tipi di canne e di azioni. L’elemento

che

caricamento

è

induce il

il

piombo,

che può essere posizionato a terra od essere sospeso. L’azione di catapulta si attiva, proprio perché incontriamo la

resistenza

offerta

dal

piombo stesso. La canna si piega ed a caricarsi di energia Pescare in condizioni impegnative, significa poter contare su attrezzi

è

in grado di gestire zavorre pesanti, che non “contino” il susseguirsi

mediano. L’energia dall’arco

delle onde con continue oscillazioni, e che garantiscono comunque una buona visibilità delle tocche

soprattutto

l’arco,

o

il

viene trasferita al manico, che diventerà un accumulatore di potenza. Nella chiusura del

lancio il manico rilascerà all’improvviso tutta l’energia accumulata, l’arco si raddrizza con la cima ed il piombo è scagliato in aria. Più il manico è rigido, più ci vuole impegno e tecnica per caricarlo (canne ad azione ripartita caricate col lancio ground o con il lancio pendulum), ma una volta che “siamo entrati nel manico”, ovverosia lo abbiamo piegato, quello che ci rilascerà, sarà esplosivo. La resa di una canna sta proprio in questo. Considerate, che il record del mondo di lancio tecnico è di circa 280 mt con 150 gr di piombo. Una distanza impensabile! Un errore comune, che si fa’ per valutare la prestanza di una canna, è quello di frustarla in aria. Le cose da verificare in una canna sono l’incastro perfetto dei vari componenti (sia fissi, che telescopici), l’allineamento e l’incollaggio degli anelli, la linea rettilinea, la durezza del manico, la sensibilità della cima, la serigrafia e, solo alla fine, guardate la marca.


CANNE TElESCoPIChE

Il vantaggio di una canna telescopica è sicuramente la trasportabilità. Tra i problemi sicuramente è la pulizia. Spesso la sabbia si insinua tra gli elementi

scorrevoli

graffiandoli

o

peggio bloccandoli. In termini di prestazioni sono leggermente meno performanti di quelle ad innesti. Un piccolo consiglio in caso di blocco è quello di spruzzare ghiaccio spray, si le canne telescopiche ci hanno accompagnato per anni nella nostra

spera che la micro restrizione sblocchi

passione. Sicuramente non andranno in pensione, ma il loro uso è

gli elementi. Le canne telescopiche

limitato solo dove le distanze non sono mai proibitive

sono spesso dotate di anelli scorrevoli, vera croce quando si spingono i lanci.

CANNE AD INNESTI Oggi la maggior parte delle canne ad innesti sono delle semi-ripartite o delle paraboliche potenti, ovverosia sono degli attrezzi con cui possiamo lanciare a ground. Possono essere in due o tre pezzi. La loro caratteristica è quella di avere un manico rigido, un arco a caricamento progressivo ed una cima sensibile. Generalmente le R.I.P. sono a due pezzi. Teoricamente la canna ideale dovrebbe essere ad un pezzo, perché non deve esserci interruzione della trasmissione dell’energia; come accade per le canne da spinning. Le R.I.P. hanno un manico rigidissimo, un arco progressivo, cima morbida (tubolare o riportata) che regge alla potenza dello stacco e allo stesso tempo legge bene le tocche del pesce. CANNE IbRIDE Sono canne in parte telescopiche ed in parte ad innesti. Quelle esistenti sul mercato italiano sono performanti. Si può anche tirare a ground, ma rappresentano un compromesso che spesso non sta né da una parte e né dall’altra. La canna è come una bella donna. Ti deve piacere subito… il colpo di fulmine insomma. La tocchi e senti, che sei a tuo agio, è ben bilanciata ed ha tutte le cose in regola. Quando chiedi di più si irrigidisce, ma se entri nel.. manico, ti darà molto di più.. insomma, come dicevamo all’inizio… spesso è Lei a sceglierti!




SURFCASTING

- I mulinelli

La nuova generazione di mulinelli da surf casting, ci ha permesso di aprire orizzonti inimmaginabili nel moderno surf casting. Sia in termini di distanze di lancio che di potenza di recupero. Sono lontanissimi gli anni dei Mitchell 498 Pro, veri argani da guerra ma pesanti oltremisura. Eppure, malgrado i prodigi della tecnologia, non è tutto oro quello che luccica. Vediamo insieme il perché. Molti anni fa i muli da surf erano pesanti, potevano contenere centinaia di metri dello 0,35, avevano un

basso

recupero,

rapporto

di

preferendo

la potenza alla velocità. L’anti-twist non esisteva e le parrucche erano una costante e, specialmente di notte, potete immaginare cosa questo significasse.. . Il profilo della bobina non era conico, ma schiacciato e profondo. Spesso non si usava lo shock leader, perché si pescava solo col mare molto mosso, e nel sotto riva. Erano costruiti con molto metallo, poca grafite e pochissima plastica. Cosa che li rendeva longevi, ma poco gestibili in fase di lancio poiché sbilanciavano una canna già di per sé pesantissima. Insomma.. altra epoca. Oggi parliamo di macchine dall’elevatissimo concentrato di tecnologia, realizzati con materiali derivati il più delle volte dall’industria aeronautica. Ma bisogna comunque


stare attenti. La globalizzazione del mercato ha portato in Italia prodotti che sono belli, vestiti a festa, ma di bassa qualità complessiva. Orientarsi, non è semplice nemmeno per un esperto. DISCRImINANTI DI SCElTA Quando si sceglie un mulinello è fondamentale partire dalla canna alla quale lo si deve abbinare. Questo determinerà la sua dimensione. Ossia se sarà un taglia 6000 /8000 o 10000. Questo perché, specialmente nel light casting, avere qualche etto in meno durante le fasi di lancio aiuta ad essere maggiormente performanti ed a raggiungere con maggiore facilità le lunghe distanze. Se siamo soliti pescare orate e mormore, o magari facciamo agonismo, il mulinello dovrà essere leggero, con un rapporto di recupero discretamente veloce e con un corredo di bobine tale da coprire esigenze che possano Un Penn Affinity, un mulinello dall’ottimo

andare dallo 0.16 allo 0.22. Di solito questi mulinelli sono

rapporto qualità prezzo

molto costosi, perché realizzati con materiali leggeri e di pregio.

CACCIA GRoSSA Se invece cerchiamo un attrezzo che ci permetta di pescare con mare mosso, usando tranci o pesci vivi, ecco che il discorso cambia. Un ultextra XT 10000 made in Japan. Un mulinello che dopo oltre 15 anni di onorato servizio, rimane un must anche per i pescatori più esigenti. Nello specifico è abbinato ad una Maver Darkside da 210gr, utilizzata in situazioni impegnative

Un mulinello di pregevole fattura, che però ha un peso importante, ha di conseguenza un valore di mercato decisamente abbordabile. E’ naturale che costi meno e siccome non si dovrà mai lanciare in modo esasperato con lanci per di più tecnici, andrà più che bene. Il suo alberino sarà comunque maggiorato e tutta la meccanica interna adatta a grandi incontri. RECUPERo ChE STRESS I mulinelli sono soggetti ad un logorio continuo. Non sono le grandi prede a mandarli in crisi. Ma i continui recuperi anche dalla


sola zavorra. Ecco perché la qualità della meccanica, il cuore

SURFCASTING

oltre l’estetica, è quella che ci deve far riflettere quando facciamo un acquisto. Spesso bastano poche decine di euro in più per salire di fascia, ed avere un mulinello molto longevo. Scalzare una piramide da 150gr insabbiata dal moto ondoso. Recuperare un piombo a sfera da 200gr in mezzo alle onde, non è roba da tutti i muli, anzi. Ecco perché nel surf, di solito, il percorso di acquisto passa per il passaparola degli appassionati. Per destreggiarsi tra fregature e scelte azzeccate, le prove in mare sono le uniche a dirci se abbiamo a che fare con un mulo.. o con un somaro!

FISSo o RoTANTE? Fisso

o

rotante?

dilemma

che

Il

affligge

spesso il surfcaster! Due scuole di pensiero, due mondi forse

complementari, invece

paralleli..

che, come tali appunto, non si incontrano mai. Nessuno dei due prevale in

assoluto

sull’altro,

ma possiamo fare, gusti soggettivi qualche

a

parte

,

considerazione

che potrebbe essere le discriminanti Perché

la

di

scelta.

scelta

del

mulinello rappresenta per il pescatore dalla spiaggia un passo fondamentale nell’ottimizzazione della propria attrezzatura. Bilanciare al meglio una canna, secondo la potenza e le proprie preferenze di lancio non è affatto semplice, specialmente in un momento in cui il mercato offre tantissime soluzioni, e dove il passaparola può portare a sbagliare l’acquisto poiché ogni pescatore ha la sua esclusiva visione dei fatti.. Il FISSo I mulinelli a tamburo fisso sono senza dubbio i più diffusi, quelli che più di tutti ci hanno accompagnato nella nostra “infanzia” piscatoria. Sono pratici, intuitivi, ad appartenendo alla nostra cultura da sempre, li vediamo come elementi esclusivi in abbinamento alle nostre canne. In effetti la dimestichezza che


abbiamo con questo tipo di attrezzi, è empatica generazionale. Per essere considerati da “surf” devono avere un alberino maggiorato, la bobina capiente e una struttura robusta. Soprattutto quest’ ultima caratteristica la si apprezza nelle situazioni estreme, quando il recupero di piombi pesanti con mare mosso, mette a dura prova il piede del mulinello. Tra i contro ci sono il fatto che l’attrito sui bordi della bobina del nylon in uscita è un limite per il lancio (non a caso l’uso di fili sottili è una regola se si vogliono raggiungere distanze importanti), che l’archetto si potrebbe chiudere nei lanci più spinti causando spesso la perdita del trave se non la rottura della vetta; per non parlare delle torsioni derivate appunto dall’effetto spin. Inoltre sono pesanti, tanto pesanti.. che a volte sbilanciano la canna. I RoTANTI Funzionano con il principio del “verricello”. Bobina in linea ortogonale con la lenza, e una meccanica semplice, funzionale, potente, con ingranaggi che hanno un logorio da “fatica” bassissimo, quindi garantiscono longevità all’attrezzo. Nelle condizioni di surf estremo, abbinati a canne potenti, sono quanto di meglio si possa usare, sia nel recupero di zavorre piramidali pesanti ed insabbiate, sia per gestire grandi pesci. Possono essere imbobinati con nylon di diametro importante, perché in ogni caso, la fuoriuscita in linea della lenza , non compromette la distanza di lancio. Un sistema di freno magnetico (mag), ci mette al riparo da qualche inestricabile parrucca, anche se la cosa può capitare, con la logica conseguenza della sostituzione del filo in bobina. Sono piccoli e leggeri, peseranno quasi un quarto rispetto ad un fisso, ed essendo molto compatti, durante gli stacchi più violenti, non spostano il baricentro della canna garantendo stabilità e velocità nell’esecuzione del lancio. Controindicazioni? Forse nessuna.. se non il fatto che bisogna esercitarsi parecchio per acquisire dimestichezza. Dicono.. che una volta passati al rotante, non si torna più indietro! Sarà vero? Noi riteniamo verosimilmente di si.

Zziplex, rotante e.. tempesta: un abbinamento da surf.. quello vero!




VERTICAL

Dentice.. la preda dichiarata Di Domenico Craveli

i

l dentice, la prima preda importante per gli appassionati di inchiku! Un po’ come quel primo amore che non si scorda mai. Non è un pesce facile, anche perché in questo periodo staziona su batimetriche profonde dove non è sempre possibile individuarlo con l’ecoscandaglio. Un

pesce rivalutato proprio da questa tecnica, perché il recupero “tosto”, ne esalta le doti di difesa su un’attrezzatura così leggera.

nel

freddo

i

dentici

stazionano anche oltre i 100 metri di profondità

Dentoni nel freDDo Febbraio non è certo un mese in cui è possibile fare

previsioni

di pesca, poiché la

temperatura

ancora

fredda


dell’acqua e le bizze meteo, rendono la ricerca della preda complicata, poiché i pesci si spostano continuamente al variare delle correnti profonde particolarmente instabili. Quello che è certo è che bisogna sondare profondità importanti, oltre i 70 metri, spingendosi anche a 130/140. L’impossibilità di vedere i pesci nell’eco, fermi sul fondo nel cono d’ombra dei massi sommersi, ci impone una pesca mirata, molto diversa da quella in cui insidiamo i pelagici a vista. Dovremo pescare praticamente alla cieca, con lunghe sessioni di scarroccio, insistendo anche lontano dagli scogli. I dentici errano come dei cinghiali e coprire ampi tratti

Un corredo pescante leggero, permette di pescare agevolmente

di mare può essere risolutivo, anche su ampie

ad alte profondità. Con corrente non intensa, è bene usare

distese di fango.

inchiku spiattellanti, micidiali per i dentici

leggero per l’abisso Paradossalmente, la pesca profonda impone attrezzature più leggere del solito, poiché con un trecciato molto sottile, il controllo dell’esca è superiore e si arriva più facilmente sul fondo anche con gli inchiku che di solito fanno più attrito dei jig. Gli artificiali migliori sono quelli con pesi nell’ordine degli 80/110gr. Paradossalmente, esche più pesanti rendono di meno. I dentici possono attaccare qualunque artificiale, di qualunque colore, ma in questo particolare periodo, quelle con tonalità rosa, o arancio, o verde, in abbinamento al silver o al bianco, hanno una marcia in più. Zone Di attaCCo

I dentici aggrediscono gli inchiku nei pressi del fondo, in modo irruente, poiché è probabile che dopo averlo visto scendere, scattino improvvisamente quando questo sbatte sul fondo, o sulla seconda o terza jerkata. Per favorire lo strike, si è soliti in questa fase agire in rapidità, poiché una ripartenza veloce dell’artificiale dopo il tonfo sul substrato, pare risulti irresistibile al dentuto sparide, che di impeto, non si trattiene e si scaglia con foga. La ferrata deve essere decisa, ma non scomposta. Di solito basta un po’ di trazione contraria per far penetrare i piccoli e sottili ami degli assist. Il resto sarà un recupero esaltante, incerto fino all’ultimo. La magia dell’inchiku mirato a dentici, è questo!


CONSIGLI DI PESCA After the bite

di Umberto simonelli

La preoccupazione di ogni buon pescatore è, ovviamente, quella di prendere i pesci e riuscire nell’inganno, confrontandosi con prede che, per loro abitudine, sono sempre molto selettive. Nella traina con le esche vive questo aspetto si amplifica perché indurre un predatore, sospettoso per indole, ad abboccare non è una cosa scontata.

Ma se come arrivare allo strike è l’argomento in genere più trattato, ragionando su esche, inneschi e terminali, quello di cui si parla meno è quel che succede dopo. Perché una volta che il pesce è in canna, portarlo a pagliolo non è un fatto sempre scontato. I pescI persI sono sempre I pIù grandI Non si sa perché i pesci che, dopo aver abboccato e fatto schizzare il cuore in gola al pescatore, si slamano o rompono sono sempre i più grossi. Forse lo sono davvero e non solo per psicologica consolazione; infatti un pesce grande ha reazioni più violente di un pesce di taglia minore e si difende meglio in virtù del fatto che è semplicemente più vecchio e la sa più lunga. I racconti di pesci slamati o di pesci che hanno rotto sono il filo conduttore delle storie di banchina. Ma siamo davvero sempre convinti che sia stato il pesce a farcela sotto al naso e che invece non dipenda proprio da noi, da una lenza fatta superficialmente o da una gestione dello strike che abbia

I terminali sono sottoposti ad uno stress meccanico non da poco, quando abbiamo un pesce di taglia in canna. Quindi ami sempre ben affilati e nodi perfetti !


CONSIGLI DI PESCA lasciato al pesce troppa libertà? Sia ben chiaro che perdere un pesce sta nel bilancio naturale delle cose, ed è un evento da mettere necessariamente in conto. Vediamo però quali sono le attenzioni più importanti da porre per non avere brutte sorprese.

I nodi con le spire ben composte ed ordinate in genere sono nodi ben fatti

TermInalI sIcUrI Sebbene l’argomento sia quello di capire cosa si debba fare dopo lo strike, è inevitabile spendere due parole per capire invece quello che c’è da fare prima, magari a casa, per scongiurare che succeda il peggio quando il pesce è in canna. L’attrezzatura deve essere a posto, gli anelli della canna debbono essere integri e perfetti e questo è un controllo da fare prima di ogni sessione. Basta poco, una imperfezione, una scalfittura per compromettere il tutto. Nodi a posto e terminali possibilmente nuovi ogni volta dovrebbero essere una regola. Gli ami debbono essere perfetti e la punta non deve aver perso il filo: un amo che non penetra sollecita tutto il complesso pescante in modo tale da metterlo a rischio. Un’accortezza che non smettiamo mai di ricordare è quella di testare i nodi ma mai arrivando al carico di rottura della lenza stessa. Sarebbe come aver avuto un pesce in canna di dimensioni esagerate che avesse stressato già il nodo. Quindi nodi ben fatti e ben accostati, oltre a fili ben dimensionati regole dI base Se si pesca a dentici, con le esche sul fondo, è una regola fissa tener serrata la frizione per scongiurare che il pesce possa guadagnare il fondo e sfruttarne le asperità per arroccarsi e rompere il filo. Allo stesso tempo, non si deve rallentare, perché anche questo darebbe modo alla preda di affondare e raggiungere il fondo, manovra che i pesci fanno per istinto. Se si pesca a mezz’acqua, invece, e l’obbiettivo sono le ricciole o altri pelagici, è bene che la frizione sia più morbida, in alcuni casi quasi al limite dello slittamento.

le ricciole sono pesci capaci di strategie di difesa molto efficaci, quindi la gestione del combattimento deve essere molto accorta


CONSIGLI DI PESCA anche i dentici non scherzano, soprattutto se sono esemplari di taglia ed i primi momenti dopo lo strike sono decisivi

Ciò consente, intanto, di non suscitare sospetto nel pesce, che avrà tutto il tempo di ingoiare il boccone, e soprattutto di non indurlo a spingersi verso il basso sentendosi bloccato. Se, per esempio, si pesca a venticinque metri su un fondale da sessanta è possibile che i metri di lenza in acqua siano molti di più della profondità e che un pesce potente, in picchiata, possa arrivare sul fondo e rompere senza neanche darci tempo di ragionare.

Ferrare o non Ferrare Sulla ferrata sicuramente diremo delle cose che faranno inorridire i più. E’ un nostro parere, dopo non pochi pesci pescati e, lo sottolineiamo, mangiati (cosa che sta a significare che li abbiamo portati ben più che in barca), che la ferrata sia una pratica quanto meno critica soprattutto se mal gestita. Un dentice che azzanna di rapina un’esca dovrà fare i conti con l’inerzia del guardiano e l’attrito del filo e la sua velocità. Se ne conclude che ami ben affilati difficilmente non penetrano, e la ferrata sarebbe solo una ulteriore sollecitazione ai nodi, quando poi, addirittura, la ferrata non diventa oltre che inutile anche inopportuna e strappa letteralmente di bocca al pesce il boccone che ancora non era stato ingoiato. Una situazione che abbiamo visto accadere molte volte a compagni di pesca troppo impulsivi. Se il pesce aggredisce l’esca nel modo giusto l’amo farà il suo lavoro e la trazione naturale che l’inerzia del complesso pescante genera, saranno sufficienti. Lo svolgersi del combattimento farà il resto.


CONSIGLI DI PESCA pesce In canna Una volta che il pesce sembrerà assicurato all’amo, dovremo considerare i molti fattori in gioco che possono concorrere al rischio del combattimento. Perché c’è da ricordare che il pesce non è mai vinto finché non è a bordo. Dobbiamo pensare che un combattimento protratto troppo a lungo stressa fili e nodi, che un pesce che sta sul fondo si ossigena meglio di uno in superficie e che, pertanto, conserva intatte le sue forze più a lungo. Il nostro parere è, di conseguenza, che è più sicuro un recupero deciso che contrasti il pesce e lo porti in superficie velocemente piuttosto che un tira e molla in punta di fioretto. Questo vale, ovviamente, in modo particolare con le ricciole, ma è applicabile anche ai grossi pesci presi in profondità. Un ultimo consiglio è quello di guidare bene la barca: tenere traiettorie tonde, che allontanino il filo dalla barca e allo stesso tempo accorcino le distanze col pesce, contribuirà a ridurre lo stress dei materiali e di chi pesca e, soprattutto, il tempo.

le cernie appena si sentono trattenute, hanno una reazione violenta e cercano di guadagnare subito la tana. e’ importante cercare di controllare la fuga per concedere meno libertà possibile al pesce


TRAINA

Non solo trecciato.. P

ensare di ritornare al nylon per pescare con il vivo farà storcere la bocca ai fan del multifibra e dell’affondamento a tutti i costi. Però il nylon, tutt’ora apprezzato nel drifting pesante ai grandi pelagici, potrebbe dire ancora la sua, in precisi contesti ed in situazioni

specifiche. Quando parliamo di traina con il vivo usando il nylon il nostro obiettivo sono i pelagici icona di questa tecnica, ovvero lecce amia e ricciole, animali che non debbono essere insidiati necessariamente sul fondo e quindi senza l’incubo di dover raggiungere le massime profondità con il minimo delle zavorre. I motivi che ci hanno fatto rispolverare il buon vecchio nylon sono proprio le sue caratteristiche di allungamento e di silenziosità in acqua. E qui di seguito entreremo nei dettagli. Bocche dIffIcIlI Sia le grandi lecce amia che le loro cugine ricciole molto spesso hanno un approccio all’esca decisamente diffidente. Soprattutto se usiamo come esca dei pesci, questi vengono letteralmente studiati, provocati, smusati e, solo se le condizioni sono ideali e l’esca reagisce nel modo più naturale, l’ingaggio si trasforma in strike. Ma anche in questo caso non è mai detta l’ultima parola, perché a risputare l’esca, anche dopo svariati minuti di fuga, lecce e ricciole ci mettono un attimo. Uno dei principali motivi in genere sono le tensioni che si generano, vista la mancanza di elasticità del


multifibra che insospettiscono i nostri clienti. Il nylon, il cui allungamento è consistente, riesce perfettamente ad assorbire l’energia cinetica che si esprime quando un pesce potente prende l’esca e si allontana in velocità e con una accelerazione da formula uno. Questa elasticità progressiva si esprime in contemporanea allo strike, diversamente da quello che succede con il multifibra in cui il complesso pescante risulta molto rigido e le sollecitazioni vengono assorbite con ritardo da canna e frizione. Con il nylon il concetto di “shock adsorber” parte proprio dal filo. Il pesce, quindi, sentirà minore resistenza e con più probabilità concluderà l’agguato senza ripensamenti. Un bel pesce combattuto con il nylon, in questo caso una leccia amia di oltre 20 kg, oltre a regalarci sensazioni “nuove” rende il recupero più “tranquillo”

eRRoRI PeRdoNATI La

maggiore

elasticità

consente

di

aumentare la tolleranza agli errori e già con un 30 lb in bobina ce la potremo vedere con pesci ragguardevoli, senza subire le conseguenze di una frizione troppo stretta o di azioni mal gestite. Anzi, non dovremo preoccuparci di sofisticate tarature perché prima si tenderà il filo, poi si allungherà, infine la canna inizierà a piegarsi e solo dopo, molto dopo, entrerà in funzione la frizione. Ma in tutto questo lasso di tempo probabilmente il pesce avrà già concluso il suo attacco e ci toccherà solo affrontare l’azione di recupero Insidiare una ricciola di taglia con il nylon presenta il vantaggio che, grazie all’elasticità che il filo concede, a volte il predatore può essere meno sospettoso.

IN BAsso foNdAle Quando si cercano le ricciole in acque relativamente poco profonde, il pericolo è che se il pesce si sente trattenuto possa raggiungere il fondo per tentare di liberarsi dal vincolo più facilmente; anche in questo caso il nylon, allungandosi di una percentuale davvero importante, renderà meno critica questa fase perché frenerà meno la nostra preda, tenendola però sotto la costante tensione del filo stesso che tende, come ogni buon materiale elastico, a ritornare alle sue misure. Questo meccanismo rappresenta un modo di pescare diverso da quanto siamo abituati a fare dopo anni di


TRAINA

uso del multifibra e, nel caso specifico degli spot poco profondi, ci dà l’opportunità anche di allontanare le esche di più e senza che il pesce sfrutti a proprio vantaggio questa maggior lunghezza che gli consentirebbe di raggiungere gli scogli. Certo il contatto con il pesce è meno diretto, ma di certo non toglie nulla alla parte emozionale della pesca.

Il nylon ci obbliga all’uso di canne più strutturate, ideali quelle con vetta sensibile e una schiena di maggior libraggio. Una canna troppo morbida penalizzerebbe l’azione, facendoci perdere la prerogativa della costante trazione sul pesce esercitata grazia all’elasticità oltre che mettere a rischio la corretta penetrazione dell’amo

L’uso di questo filo ci obbliga necessariamente all’uso di muli capienti, capaci di contenerne almeno 300 mt, aumentando il peso del sistema pescante. Uno scotto accettabile

sIleNzIosITà & AlTRI vANTAggI Un altro fatto da apprezzare è che il nylon vibra meno in acqua o, meglio, emette sonorità diverse da quelle del multi, se non altro per la diversità di sezioni e materiale; e questo è un aspetto positivo perché è un “canto diverso” che disturba meno. Inoltre, le caratteristiche fisiche del nylon gli


fanno assumere in acqua una morbidezza che rende il complesso pescante più naturale e dovendo poi provvedere all’affondamento, questo aspetto “meccanico” si sposa benissimo con l’uso di una piombatura frazionata fatta di due o tre zavorre a sgancio rapido che conferisce alla lenza una curva morbida, silenziosa, che non penalizza in alcun modo il nuoto dell’esca. Un ulteriore vantaggio che ci regala il nylon è il fatto che tutto il sistema si avvarrà di una sola giunzione, ovvero di quella con il terminale che potrà avvenire con una girella di quelle a carico calibrato, piccole e molto resistenti. Il RovescIo dellA medAglIA Se vogliamo essere critici e vogliamo proprio trovare qualche aspetto da discutere, sicuramente potremo dire che l’uso del nylon ci vedrà costretti ad usare muli più capienti e canne un po’ più strutturate per compensare in fase di contrasto l’elasticità del filo. La maggiore capienza del mulo sarà inevitabile se si vuole imbobinare un giusto quantitativo di lenza con un diametro di 0,50/0,60 per un carico di 30 lb. E anche gli affondamenti importanti verranno penalizzati, ma, come abbiamo detto, il nostro obbiettivo non saranno i dentici.. e poi, nel momento in cui vi capiterà uno strike di un bell’esemplare di ricciola, siamo sicuri che vi piacerà molto.

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Copertina parlante Angler : Davide Berrettini Preda : Cernia Alessandrina Periodo di pesca : Gennaio Ora della cattura : 11,00 LocalitĂ : Marina di Camerota ( Sa) Tecnica: Traina con esca viva Esca : Calamaro Fondale : 32 mt misto, scoglio e posidonia Terminale : scorrevole FC, 0,52

FOTO: Fotocamera : Nikon Esposizione : Manuale Tempo di scatto : 1/250 sec Diaframma : F/9 Modo di misurazione: Multi-zona - Matrix


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