Rivista novembre 2016

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2016

Rivista tecnica di pesca - nautica - subacquea

la rivista on-line della pesca in mare

TRAINA TRAINA DI STAGIONE

VERTICAL ANCORA TUTTO E’ POSSIBILE

TECNICA CALIAMO LE ESCHE

TRAINA IL FASCINO DELLA STRISCIA

www.globalfishing.it

Traina - Vertical - Jigging - Bolentino - Pesca da Terra - Spinning - Subacquea - Itinerari - Vetrina Attrezzature - Nautica - Inchieste

Anno VII - Numero 10



IN QUESTO NUMERO..

GlobalFishing magazine Anno VI Numero 10

5

Editoriale

Direttore Editoriale: Umberto Simonelli e-mail: u.simonelli@globalfishing.it Vice direttore: Domenico Craveli e-mail: d.craveli@globalfishing.it

6

Global@mail

Direzione e Redazione Via dei Giuochi Istmici 28 - 00194 Roma Telefono 346.3585302 – fax 06.36302279 e-mail: info@globalfishing.it Hanno collaborato a questo numero: Domenico Craveli, Umberto Simonelli, Michele Prezioso, Dario Limone. Testi, foto e video degli autori Progetto grafico e video impaginazione: Claudia Glisbergh GlobalFishing magazine è una pubblicazione on–line di UDP Production s.r.l. Reg. Tribunale di Roma n° 288/2010 UDP Production srl Via dei Giuochi Istmici 28 00184 Roma Telefono 3463585302 – fax 0636302279 www.globalfishing.it Concessionaria di pubblicità: Media Nova di Alberto Andreoli Tel. 051.6850239 – Mobile 336.554711 info@medianovaweb.it Stampa: ETESI srl Distribuzione : web

di U. Simonelli

La posta dei lettori

14

Il fascino della striscia

18

A feeder dalla spiaggia

22

Ancora tutto è possibile

26

Traina di stagione

30

Bimbi in pesca

34

Assetti su misura

38

Caliamo le esche

42

Parastrappi

44

I fuoribordo

di M. Prezioso

di D. Limone

di D. Limone

di M. Prezioso

di D. Craveli

di D. Craveli

di U. Simonelli

di D. Limone

di U. Simonelli



Editoriale

V

oglio aprire questo editoriale commentando un fatto successo giorni addietro nelle acque di Ragusa. Parliamo di una “fuga” di orate dalle gabbie di un allevamento intensivo; migliaia di esemplari di taglia medio piccola, i così detti pesci da porzione, che si sono diffusi a macchia d’olio lungo la costa prospiciente le zone di allevamento. Animali voracissimi e soprattutto affamatissimi, perché abituati a mangiare ad orario , senza peraltro alcun dispendio energetico per procurarsi il nutrimento, date le condizioni di cattività. Fin qui la cronaca di un fatto accaduto i primi di ottobre, che non è stato il primo e non sarà neanche l’ultimo; una evenienza da mettere in conto quando il mare molto agitato può provocare, a queste strutture, ingenti danni responsabili della grande fuga. Ma il fatto che mi ha indotto a parlarne è la reazione dei pescatori ricreativi, locali …. Penosissime scene di pesca convulsa a queste piccole orate, che si sono concentrate in massa anche nel porto. Orde di “canne all’arrembaggio” per arraffare quanti più pesci possibile in una attività di pesca assolutamente penosa, come se non ci fosse un domani. E come se non bastasse le foto di questi eroici bottini, hanno circolato sui social, pubblicati da autori tronfi di chissà quale prodezza alieutica. E’ importante ribadire che pescare i pesci di gabbia è più facile che bere un bicchier d’acqua, perché l’innata voracità e la fame li portano all’aggressione di qualsiasi cosa. Un’ immagine davvero pessima della categoria che fa pensare e che mette a nudo un aspetto cruciale del profilo di molti pescatori. Che in questo modo sembrano più dediti ad una ignorante azione di predazione che alla pratica di un fatto tecnico, di un confronto che poi , se esercitato nei limiti e consapevolmente è giusto che si concluda con un prelievo, moderato, che vada ad allietare le tavole familiari. In questo caso è emersa la parte più brutta della pesca, che non trova giustificazione neanche nel fatto che probabilmente se non pescati, questi poveri pesci, sarebbero comunque morti di inedia. Perché le regole, l’etica e la maturità dovrebbero andare oltre e porre dei limiti automatici a certi atteggiamenti. Se così fosse non si vedrebbero in continuazione foto di pescaste enormi, avvilenti testimonianze di mentalità retrograde il cui credo è pescare fin che ce n’è. Una ennesima brutta figura che noi pescatori tutti abbiamo portato a casa, di cui animalisti e professionisti avranno di che raccontare per un po’ di tempo. La storia degli allevamenti in mare e delle fughe di pesci, tutt’altro che rare, apre anche altri quesiti importanti da affrontare, legati alla reale compatibilità ambientale degli allevamenti intensivi in mare. I pareri sono discordi ed è difficile ricavare valutazioni oggettive; soprattutto perché una parte del mondo dei biologi, essendo impegnata nella ricerca e nello sviluppo dell’allevamento in cattività dei pesci, è ovviamente favorevole e minimizza ogni possibile dannosità. Mentre solo in pochi ne studiano gli effetti collaterali e l’impatto sull’ambiente. Le opinioni di questi ultimi non sono buone ed anche alcune evidenze ci confermano che non c’è da stare allegri. Le grandi installazioni rilasciano in mare quantità di mangime non consumato e deiezioni innaturali, che in natura non esistono in tali concentrazioni . Tanti pesci così potrebbero popolare miglia e miglia di coste. Quando poi per un evento fortuito scappano, sono famelici e l’impatto ambientale è forte, e si nutrono di qualsiasi cosa. Ne sanno qualcosa proprio gli allevatori di cozze del ragusano che pare abbiano pesantemente accusato l’attività delle orate in fuga, che hanno aggredito l’allevamento di mitili e ostriche. Per non parlare di quel che succede sotto le gabbie, dove si radunano anche i pesci selvatici che trovano cibo a buon mercato innescando così una micro catena alimentare del tutto innaturale; soprattutto se pensiamo alle grandi quantità di antibiotici che vengono somministrate per scongiurare le patologie che si innescano per la grande promiscuità degli allevamenti intensivi. Il ragionamento ci ha portato lontano dal punto di partenza e, da una quadro di grottesca pesca compulsiva, siamo arrivati a parlare, sebbene molto superficialmente, sull’impatto dei grandi allevamenti. In realtà abbiamo parlato del mare, il mare che infine ognuno di noi, nel bene e nel male ama. E che dovremo imparare a proteggere di più. Umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL Saraghi nella Schiuma Domanda per Michele Prezioso. Il mio obiettivo sono i saraghi in bolognese dalla roccia su fondali profondi, con il mare mosso e molta schiuma. Infatti queste sono le condizioni che spesso trovo nelle mie zone, su speroni di roccia a picco sul mare. E fin qui tutto bene.. il problema è che io non ho mai fatto questa pesca e so che in quelle zone ci sono grossi saraghi solo perché li incontro a pesca subacquea senza riuscire a pizzicarli. Ho deciso così di provare dall’altra parte.. ovvero da terra. Ho una minima esperienza di bolognese per averci pescato dal molo ogni tanto. Posso avere qualche informazione che mi faccia capire? Tanto io imparo presto.. Ido

Fantastici i saraghi quando il mare è pieno di schiuma. È il momento i cui questi sparidi sono in maggiore attività e fortunatamente (per noi) perdono, in parte, la loro proverbiale diffidenza, che li fa essere in genere una preda difficile. Per pescare i saraghi in bolognese con mare agitato ti consiglio di usare inneschi consistenti, che tengono bene all’amo e soprattutto visibili. Ideali il tocchetto di sarda o il gambero. Io uso un galleggiante da 3 grammi applicato su un terminale del 20 sul quale solitamente lego un amo n 4-6 a becco d aquila. Faccio lavorare il tutto a mezzo fondo, tarando il galleggiante al 60% della sua portata, perché così tiene meglio il mare e leggo meglio le tocche. Dimenticavo di dire che il galleggiante migliore, a mio avviso, è quello a forma sferica, che si destreggia benissimo nella schiuma. Non possiamo trascurare la pasturazione; andrà benissimo la sarda tritata. Non ti dispiacerà se oltre ai saraghi ti ritroverai in canna spigole e orate “big size”..

michele Prezioso


GLOBAL@MAIL TOnni alla Picca Mi è capitato, in una delle ultime pescate, di aver incannato un tonno veramente grande. Non l’ho visto ma posso dire di averlo sentito per bene e i muscoli della mia schiena se lo ricordano ancora. Perché dopo una fuga lunga e una decina di minuti di combattimento in cui non sono riuscito a contrastarlo più di tanto, il pescione è andato sul fondo e li è rimasto. Pochi metri più su e pochi metri più giù, in un tira e molla in cui poi ha vinto lui. Ora la mia domanda è: cosa si fa in questi casi? Cosa si deve fare perché il pesce non sprofondi? Marcello

Un tonno quando è grande davvero e non si è con l’attrezzatura adeguata è difficile da convincere. Diciamo che un complesso da 50 lb, come ci racconti nella tua lettera, difficilmente ce la fa con un vero gigante. Però diciamo anche che ci sono delle cose da fare per evitare a prescindere che un tonno se ne vada sul fondo, dove può tenere una difesa passiva stancandosi poco, anche quando è di piccola taglia e quindi figuriamoci quando è un vero big. Di base un tonno, ma quasi tutti i pelagici si comportano allo stesso modo, picchiano verso il fondo quando si sentono fortemente trattenuti. Quindi una buona taratura della frizione, che gli consenta di andare, ma non troppo è una favorevole premessa. Poi bisogna essere un po’ incisivi nel recupero appena le fughe si accorciano di durata e il pesce si ferma, sfruttando la sua stanchezza Qui si decide tutto e come si dice, bisogna tentare di girargli la testa. Più terremo il pesce verso la superficie e meglio sarà. Se poi proprio è impossibile trattenerlo è meglio farlo andare; ma se non sente ragioni e scende in picchiata allora bisogna giocarsela con l’aiuto di chi guida cercando di muovere il tonno con la lenza in diagonale spostandolo ma con garbo e senza strappi. E’ possibile che tirandolo , con una giusta taratura del drag, il pesce salga e poi impostando una rotta circolare si riesca ad accorciare le distanze. In tutto questo c’è da premettere che materiali, attrezzature e nodi devono essere perfetti.

umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL SePPie a Traina Caro Michele Prezioso volevo avere un consiglio sulla pesca delle seppie. Ci sono dei giorni in cui pescarle sembrerebbe fin troppo facile ed altri giorni in cui la situazione si fa difficile, soprattutto quando non si scarroccia e questi animali sembra non ci siano. Parlando con un amico di pontile di questo problema, mi ha risposto che in questi casi è meglio pescarle a traina. Non sono riuscito ad “estorcere” nessuna informazione al mio collega.. e allora chiedo a te qual è il metodo per poter insidiare le seppie in questo modo. Mi rendo conto che muovendosi si sonda più fondale; ma per la velocità, l’assetto di pesca e le esche come mi devo regolare? Manlio

Spesso capita che le seppie ad un tratto rallentino molto la loro attività o addirittura che smettano di attaccare le esche come se fossero sparite. E’ in questi casi che paga la soluzione della traina lenta, perché oltre a sondare maggior territorio le esche si muovono in modo più continuativo, stimolando in modo diverso la predazione. Anche l’assenza di vento è una situazione in cui l’unica soluzione è la traina. Dovremo essere attrezzati in modo da ottenere velocità che non superino il nodo e quindi ci vuole un motore ausiliario che faccia al caso. Anche quelli elettrici di nuova generazione potrebbero fare allo scopo. Anche la lenza dovrà avere una costruzione specifica. Useremo una piombatura tra i 75 e i 100 gr, applicata a 2 metri dal gamberone, che dovrà avere almeno 3 gr di deriva, per rimanere ben dritto. Durante il moto potremo migliorare il rendimento , dando ulteriore animazione all’esca. Accompagnandola in modo da fermarla sul fondo, o aprendo la frizione, per poi richiudere e farla “schizzare via” . In genere la seppia aggredisce l’esca quando si ferma sul fondo. Con questo metodo ho fatto molto spesso ottimi carnieri anche nelle giornate peggiori

michele Prezioso


GLOBAL@MAIL cefalOPOdi nel freddO Sig. Limone, la seguo con interesse da diversi anni, e ci siamo visti due anni fa a Roma, in occasione del World Fishing. Le volevo porre un quesito, apparentemente banale, ma che per me ha una certa valenza rispetto a come sono solito pescare. Vorrei sapere, se dalla spiaggia si può usare come esca il calamaro congelato e in che circostanze. Grazie MirKo T.

Caro Mirko, Il calamaro è tra le esche più appetibili per i pinnuti, soprattutto nel periodo freddo. Il vero problema è come viene conservato per essere poi distribuito nelle pescherie dove rivendono il congelato. I calamari, nella filiera industriale di conservazione, vengono trattati con generose dosi di ammoniaca, che ne impregna le carni, e questo non è gradito ai pesci. La cosa migliore è acquistarlo freschissimo, congelarselo in proprio, per poi usufruirne. Il mantello del calamaro va pulito e battuto con un batticarne, fino ad ottenere uno spessore di 2 mm. Si dovranno poi ricavare delle striscette lunghe 5/7cm e larghe 0,5 cm. L’innesco prevede l’ausilio del filo elastico per assicurare il boccone, avendo cura di lasciarne una porzione penzolante. Per i saraghi, è la soluzione migliore. Aumentando la dimensione delle strisce, il target cambia, perché un innesco importante sarà destinato a spigole ed orate.

dario limone


GLOBAL@MAIL a cOlOr di filO Carissimo Dario Limone ti seguo oramai da anni, ed ho sempre riscontrato veridicità in quello che dici. Ti ritengo una voce autorevole fuori dal coro, e mi appassiona la cura che hai nei dettagli per quel che riguarda le montature da surf. Volevo chiederti in che modo, secondo te, il colore del terminale può influenzare negativamente, o positivamente, le abboccate dei pesci. Eugenio

Caro Eugenio, come ben saprai, la pesca per me è soprattutto osservazione. Anni fa’ mi sono posto lo stesso problema ed ho condotto una sperimentazione mirata a chiarirmi in qualche misura l’arcano. Ho effettuato dei test in pescate ripetute per oltre sei mesi. Ho pescato sia di giorno, che di notte, con fili gialli, verdi, neri, rossi, in fluorocarbon, in trecciato, etc. La differenza in termini di catture è stata irrilevante, praticamente, un bel nulla di fatto. I numeri di solito, dicono la verità, e in pesca, spesso, quando la ragione si confonde, si ricorre ai numeri della statistica. Le cause che inducono i pesci a non abboccare sono tante altre, e non sarà mai un colore a fare davvero la differenza. Forze in negativo, specie di giorno, è la linea di luce del filo a disturbare. Ricordo quanti tanti anni fa, eravamo soliti tratteggiare con il nero, i braccioli dei terminali, per creare discontinuità visiva ai pesci. Mania? Forse si!

dario limone


GLOBAL@MAIL nOdi da mOnel Ho appena comprato un mulo elettrico da caricare con il monel. Ne potrò caricare un bel po’ , perché la bobina è molto capiente e credo di poter arrivare ad avvolgere fino a quattro bobine del 40lb e arrivare a 360 mt. Vorrei un consiglio su come connettere i due pezzi di monel e come applicare il nylon del terminale. Mi preoccupa ottenere la massima scorrevolezza sia per avere uno scorrimento fluido nei roller della canna, ma soprattutto perché il mulinello è dotato di guidafilo e vorrei evitare ogni possibile incastro. Adolfo

Abbiamo parlato in passato, in un articolo di qualche tempo fa, del monel e del suo assemblaggio, nodi compresi. Evidentemente non eri ancora un nostro lettore.. . Mi fa piacere quindi raccontarti il metodo che ho adoperato più volte , per accoppiare due spezzoni di monel e per legare il terminale. I due pezzi di monel vanno raccordati tra loro avvolgendo su se stessi la fine della bobina precedente e l’inizio della seguente, per una lunghezza di circa 5/6 cm, con spire non strette che assumano un andamento elicoidale regolare. Praticamente si crea così una connessione molto tenace, grazie alla morbidezza del materiale stesso. L’importante è chiudere bene la fine delle spire serrando il giro con una pinza. Per legare il nylon sulla lenza metallica il nodo che trovo migliore è l’albright special. Il nylon si avvolgerà sull’asola creata dal monel serrandosi con una legatura composta e tubolare che sarà un buon compromesso tra resistenza e scorrevolezza. Ad ogni modo sia in fase di recupero che di cala dovrai porre attenzione quando le giunzioni si approssimeranno alla canna, facilitandone l’ingresso.

umberto Simonelli


GLOBAL@MAIL STarT uP a SlOw PiTch Un saluto a tutto lo staff del giornale e grazie per il vs magazine e per tutte le cose che si riescono ad imparare leggendolo. Il mio quesito va a Domenico Craveli ed è presto detto. Vorrei attrezzarmi per lo slow pitch. Però prima di fare qualsiasi acquisto vorrei un parere sincero e disinteressato da un esperto come Craveli. Cosa devo necessariamente acquistare e cosa posso riutilizzare? Davvero le canne specifiche sono determinanti o posso adoperare qualche vecchia canna? Che mulinello mi serve? E che grammature di esche debbo assortire, per evitare di comprare inutile ferraglia? Mauro R.

Gentile Mauro, lo slow pitch, o pizzico lento, necessita di canne specifiche per essere praticato secondo il “credo” jap. Questo perché, in questa particolare tecnica, la canna sta praticamente inclinata verso l’acqua, senza che ci sia jerkata. Il movimento all’artificiale viene impresso tramite rotazione del mulinello, che dovrà avvenire in modo lento.. quindi “slow”, e a scatti, con pause di 1 o 2 secondi. Come se muovessimo la manovella stessa di un quarto di giro per volta. Le esche, che sono la vera rivoluzione per questa “variante” verticale, sono tozze e pesanti, ma anche molto spiattellanti, dotate di due assist doppi, in testa e in coda, che influenzano l’assetto in discesa dell’esca. Personalmente ti posso dire che in avvicinamento alla tecnica, ho usato attrezzatura da inchiku, e dopo tutto non mi sono trovato male. Quindi, se devi iniziare, ed hai già questo tipo di corredo, ti consiglio di usarlo senza problemi. Solo dopo un coinvolgimento più importante, potrai decidere se passare a canne e mulinelli specifici, chiudendo il cerchio anche dal punto di vista “stile”.

domenico craveli


GLOBAL@MAIL Tenya dimenTicaTO Nelle evoluzioni di quelle che tutti oramai chiamano “tecniche verticali” è apparso e poi scomparso, come una rapida meteora il tenya. Se n’è parlato per poco tempo e subito dopo è finito nel dimenticatoio. Non nascondo che all’epoca ne comprai uno, ma non mi è stata mai chiara la dinamica e le tecniche di innesco. Come bisogna muovere l’esca sul fondo ? e poi funziona solo con il gambero o si può funzionare anche con altre esche naturali, come un calamaro, ad esempio. Mi piacerebbe che Domenico Craveli mi desse qualche utile ragguaglio. Giovanni

Il Tenya è una derivazione del kabura, ed è una tecnica che può regalare grandi soddisfazioni. Il motivo per il quale ha avuto poco successo non me lo so spiegare, anche perché con essa si può catturare di tutto. Personalmente l’ho utilizzata su fondali anche oltre i 100 metri, prendendoci prai, fragolini di taglia xxl, scorfani rossi, dentici, orate e saraghi. Sul dorso del tenya puoi metterci di tutto, gamberi, seppioline, strisce di cefalopodi, o addirittura filetti di sardina o alice. L’azione corretta è quella di far danzare il tenya a poche spanne dal fondo, facendolo sbattere sul substrato per creare quel rumore “sordo” nel tonfo, tanto percepito dai pinnuti. A mio parere è una tecnica senza limiti. Sta solo nel provare.

domenico craveli


TRAINA

Il fascino della striscia

n

Di Michele Prezioso on pensate male, perché la striscia di cui parliamo è perfettamente legale.. ed è quella di cefalopode, seppia o calamaro che sia: una traina leggera, semplice e alla portata di tutti, ma assolutamente redditizia.

Pescare trainando una flessuosa striscia di cefalopode significa, se il gioco è ben fatto, avere delle incredibili opportunità di cattura; infatti a questo inganno non resiste nessun predatore di fondo. PrePariaMo l’inganno I pesci sono sensibili al movimento e le vibrazioni li mettono in attività. Anche la vista ha la sua parte nell’attività predatoria. Quindi, il nostro “artificio” avrà una doppia identità; sarà realizzato con una


montatura su cui applicheremo un’esca naturale, e sarà anche arricchito vinilico

da

un

polipetto

o dall’ imitazione di

un piccolo calamaro. I colori che hanno riscosso il miglior successo sono il rosa-argento, possibilmente

glitterato,

per gli octopus e il perla/ bianco per il calamaro. Questi due

“artificiali”

simuleranno

una preda più grande la cui credibilità è assicurata dalla striscia, morbida e corposa, dal movimento realmente naturale, ma

anche

sapido,

perché

ecco la montatura. realizzata con del nylon rosso, per essere più visibile, è semplice ed essenziale ma molto funzionale: un inganno micidiale

rilascia in acqua degli inevitabili odori CoMe si fa Il terminale nel suo complesso sarà un spezzone di nylon dicroico o di fluorcarbon di qualità, lungo dai 5 agli 8 metri, dello 0,45 circa, su cui monteremo ami del 2/0 - 3/0 tipo ssw owner o 553 mustad ma del numero 1. Ne monteremo due se non addirittura tre in sequenza ravvicinata, in modo fisso, distanti tra loro 4/5 cm. A monte della sequenza di ami, posizioneremo l’octopus o il calamaro. la strisCetta La striscia va preparata con il calamaro, fresco o congelato; va bene anche il mantello di quelli che le tanute o un attacco a vuoto hanno reso inservibile. Si deve ritagliare, con uno sfilettatore, la porzione della misura che ci interessa, circa 10, 15 cm, a forma di losanga molto allungata, che andrà spellata, lavata e battuta con un batticarne. Questa ultima operazione è indispensabile per conferire alla striscia la dovuta morbidezza che le consentirà di muoversi in acqua in un modo sinuoso, simile al Una bella tracina, una delle prede più comuni. Poco combattiva ma dalle carni pregiatissime

nuoto di un pesce vivo. La innescheremo, quindi, sugli ami, lasciandone l’ultima parte svolazzante.


TRAINA

Accosteremo l’artificiale e l’inganno sarà pronto da mettere in pesca.

Questa pesca a volta regala prede extralarge, impensabili per altre tecniche: irresistibile fascino della striscia!

entriaMo in PesCa Una volta filato in mare il calamento, applicheremo il piombo guardiano e scenderemo verso il fondo. Useremo zavorre tra i 200 e i 500 gr, a seconda delle profondità, con un bracciolo non molto lungo perché

la tanuta è il target principale della tecnica. Pesce combattente e incredibilmente buono da mangiare

la striscetta va fatta lavorare sul fondo, ad una velocità tra il nodo ed il nodo e mezzo. La sessione si svolgerà esattamente come una normale traina di fondo.

le PreDe Le prede di elezione di questa tecnica sono le tanute. Potremo avere ragione di pesci di pezzature incredibili che,

diversamente,

sarebbe

stato

complicato

catturare con un assetto diverso e soprattutto con una discreta frequenza. Anzi, potremo fare della pesca delle tanute una pesca specifica, che svolgeremo cercandole con lo scandaglio e calando le esche una ventina di metri prima, per essere certi di passarvi in mezzo. Le tocche arriveranno decise e quelle degli esemplari più grandi saranno quasi rabbiose. Appena l’aggressione sarà netta e franca, una ferrata ben assestata concluderà la giostra. Attenzione, però, perché questa pesca, su fondali misti e ben popolati, potrà fruttare catture incredibili. Dalle terribili tracine drago ai fragolini di taglia, ai paraghi, alle ricciole di branco, fino ai saraghi e alle grandi occhiate. Ma anche i dentici non rimarranno indenni dal micidiale fascino della striscetta.


ACCESSORI PER GLI AMANTI DELLA PESCA


SURFCASTING

A feeder dalla spiaggia

Di Dario limone

I

l feeder rappresenta una nuova frontiera della pesca dalla spiaggia. Una tecnica che è nata nelle acque interne ed esportata in mare con potenzialità che appaiono sin da subito importanti. La pasturazione nel preciso punto in cui lavorano l’amo e l’esca, è un qualcosa

di micidiale per ingannare i pinnuti, e questo, in abbinamento a terminali sottili, esalta la pescata. Mare piatto o poco mosso, quando praticare il surf casting è una mezza eresia, ecco che il feeder apre nuovi scenari. Condizioni morbide, acqua limpida, sono una dannazione per i surfcaster, ma anche in uno scenario così complicato è possibile, alleggerendo il complesso pescante, riuscire a cavare anche delle belle prede. La stagione della sfida è aperta!

Due diverse tipologie di feeder

UlTRAleGGeRo Pescare

con

calamenti

sottili

dalla spiaggia è l’obiettivo di tutti i pescatori. A volte utilizziamo


delle attrezzature che, per loro tipologia, mal si adattano a lanciare terminali dello 0,14, magari anche flotterati. L’ultraleggero negli ultimi anni ha fatto passi da gigante. Oggi sono a disposizione canne ad innesti di circa 4 mt con range di potenza fino agli 80 gr. e con tre cimini in dotazione e mulinelli di tg 4000, che sono dei veri argani.

ATTRezzATURe Nel DeTTAGlIo Americano e pasturazione a base di sfarinati di sarda. ottimo per orate e grosse mormore

Le canne da feeder sono ad innesti, in genere sono due pezzi con 2/3 vettini interscambiabili. Sono attrezzi leggerissimi, ma non sono mollicci. Nel manico c’è una discreta riserva

di potenza. L’azione di lancio è parabolica, ma con un attrezzatura ben bilanciata, si possono fare distanze, che superano gli 80 mt. La lettura del mare, attraverso la sensibilità dei cimini, è perfetta. Il mercato ha messo a disposizione una serie di mulinelli tg 4000/5000, che sono tecnologicamente perfetti. Non sono pesanti, sono resistenti, e soprattutto potenti.

Questa

d’attrezzatura

ci

tipologia consente

di usare fili per caricare i

mulinelli,

guadagnando

molto

sottili,

metri

nel

lancio. Se mai dovessimo usare uno shock leader, uno 0,25/0,30, andrà bene per tutte le situazioni. Imbobinare con uno 0,16/0,18 è la normalità . Naturalmente fili sottili sì, ami microscopici no, perché in ogni caso dovremo fare selezione di prede, non mattanza di minutaglia!

Postazione light da feeder in uno scenario di mare calmomormore

PASTURAzIoNe eD eSChe Molti associano la pesca col feeder al bigattino, ma non è sempre così. Tutti sappiamo, che per creare una situazione di pesca favorevole, dobbiamo pasturare. Esistono in commercio degli sfarinati a vari gusti, che coprono tutte le esigenze. Caricati i pasturatori, in genere con sfarinati al formaggio o alle sarde o misti, si aspetta, che la scia odorosa richiami i pesci. Una volta, che i pinnuti sono nella scia della pastura, troveranno le nostre esche, costituite per la maggior parte da anellidi: arenicola, americano, coreano, bibi. E’ valido usare anche un cannolicchio o un filetto di sardina.


SURFCASTING PeSCe! In caso di allamata di preda importante, non dovremo avere fretta di recuperare. La funzione di leva della canna sarà relativa, ma ne sfrutteremo la sua elasticità parabolica e la frizione del mulinello. Percepiremo ogni movimento del pesce e la nostra azione sarà tutta da godere, specie se qualche oratona oltre i 2kg non avrà resistito ai nostri inganni!

Una bella orata catturata su una spiaggia profonda



VERTICAL

Ancora tutto e’ possibile Di Domenico Craveli

N

Il Vj è una disciplina che ha stravolto il nostro modo di intendere la pesca dalla barca. Una pesca estrema, che ci ha permesso di vedere con occhi diversi i nostri predatori e le loro abitudini, in uno scenario di confronto dove non esistono limiti o dogmi, ma solo un

alternarsi di azioni e reazioni, che si magnificano in uno strike poderoso, improvviso.. brutale, che scarica tanta adrenalina da creare dipendenza: welcome in the vertical jigging mania! Nulla Come prima ma.. Il vertical è stata una novità per i pescatori, ma anche per i pesci, i quali si scagliavano con foga sui jig in un modo che definire feroce è riduttivo. Nei primi mesi di pratica siamo rimasti scioccati dall’efficacia della tecnica, tanto che in molti han pensato che il jigging potesse intaccare in modo pesante gli stock dei predatori mediterranei, come dentici, cernie e ricciole. Ma la natura fa sempre il suo corso ed è bastata poco più di qualche stagione, per ridimensionare fortemente il vertical, riducendone la presunta infallibilità , tanto che oggi, per praticare questa tecnica serve passione , determinazione ma soprattutto “fede”. I pesci si sono abituati a questo genere di esche da reazione, e le catture oggi sono ben sudate, al pari, se non di più, dello spinning . Nulla è come prima, ma chi ci crede ancora, può comunque avere emozioni che nessuna altra disciplina può dare. E poi, basta poco per avere tra le mani un complesso pescante in grado di catturare dalla tracina al tonno, senza l’assillo delle esche vive, di assetti da impostare, di equipaggi da organizzare. Una canna, un mulo, un filo.. un jig.. e si è pronti alla sfida!


SiNteSi Di uNa teCNiCa Il vertical jigging non va inteso come un metodo miracoloso per arrivare ai predatori mediterranei, va invece interpretato come un’arte alieutica, dove il pescatore si confronta con l’istinto primordiale dei pesci, e dove l’aggressività atavica dei predatori si scatena verso queste esche così particolari ed atipiche rispetto agli schemi più classici e consolidati della pesca canonica. “Il jig scende verso il blu, il predone lo avvista, gli si scaglia contro ma non lo attacca… Poi l’artificiale sbatte con un tonfo sordo sul fondo e riparte di scatto verso l’alto. Il pesce va in frenesia, lo insegue nella sua risalita scomposta, effetto delle jerkate, e lo afferra con le fauci con estrema ferocia; uno, due.. tre volte, sente che non è “carne”, ma l’aggressione continua, perché ha origini diverse dalla necessità alimentare. Il pescatore è lì. Si accorge che qualcosa sta per accadere… e mentre razionalizza il da farsi, la canna si piega di colpo, improvvisamente, il mulinello sibila: è strike! Un poderoso strike, materializza i nostri desideri ed inizia di un’emozione da vivere al massimo. Ecco l’essenza della tecnica! Ecco cosa significa pescare a vertical senza compromessi!”.

abbiamo passato momenti straordinari all’inizio. irripetibili per certi aspetti. ma il vj può ancora dare tanto


VERTICAL la “meglio” StagioNe Quale se non questo il periodo migliore per riaccendere la scintilla? Quale, se non il tardo autunno il “momentum” per tentare la grande ricciola o il dentex dal peso a due cifre! Del vertical ricordiamo quanto la selezione al rialzo della taglia fosse una delle discriminanti di cattura. Era quasi la regola spedire giù questo strano artificiale su un branchetto di dentici ed avere l’attacco di quello più grosso. Tutto questo ancora è possibile, ma bisogna crederci. Non basta una cala per dire che il Vj non ha più da dare. Ricordo anche otto ore di azione prima di arrivare alla fatidica botta, che ripaga da ogni sacrificio e da ogni attesa. L’obiettivo è quello di riprovarci ancora, con la stessa voglia e con la consapevolezza che si può fare. Alla prossima primavera tireremo di nuovo le somme e faremo un bilancio.. e scopriremo che ancora tutto è possibile!

le ricciole di media taglia rappresentano il must per il tardo autunno. e’ il momento di osare


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TRAINA

Traina di stagione.. gli alletterati

Di Michele Prezioso


L’

autunno è proprio un gran bel periodo per la pesca perché, in questa stagione, la presenza di pelagici grandi e piccoli ci offre opportunità di divertimento straordinarie: una fra tutte la traina di superficie agli alletterati.

Sono animali potenti e veloci, aggressivi oltre l’immaginabile e, soprattutto, indomiti combattenti. Ed in questo periodo, fino alle soglie dell’inverno, si possono incontrare pesci di tutto rispetto. Un Po’ Di bioLogia Il nome scientifico è Euthynnus alletteratus ed è un cugino del tonno rosso, infatti appartiene alla famiglia Scombridae. Può raggiungere anche la lunghezza di un metro e superare i 15 kg. La sua livrea è estremamente particolare ed inconfondibile: il dorso è caratterizzato da un disegno nero su fondo più chiaro che ricorda un arabesque e il ventre, dal colore metallico, è marcato da quattro ad otto punti neri sotto le pinne pettorali. E’ importante non confonderlo con il tonno rosso che, in questo periodo, raggiunge taglie simili. Sebbene abbia una livrea totalmente diversa a bande verticali blu e nere con sfumature iridescenti, molti non li riconoscono, rischiando grosso nell’imbarcare piccoli rossi che spesso condividono le zone di caccia con gli alletterati. Anche il tombarello può essere confuso dai meno esperti con un alletterato, sebbene presenti una forma molto più allungata e sia privo delle tipiche macchie nere. Dove cercarLi La presenza degli alletterati in questa stagione è legata alla presenza di mangianza, ovvero alla presenza di pesce foraggio, branchi di pesce azzurro che rappresentano la sua dieta principale. Quindi, questi pesci si sposteranno tra

In questo periodo dell’anno, fino ad autunno inoltrato le taglie di questi pesci sono molto interessanti e oltre a essere prede molto combattive sono ottimi in tavola, senza nulla a che invidiare ai rossi.

le batimetriche cercando di soddisfare l’importante necessità di cibo che il rapido accrescimento impone loro. La ricerca potrà essere fatta in primo luogo cercando i gabbiani; spesso li troviamo in attesa, poggiati in acqua ad aspettare

che i pesci aggallino. Altre volte li troviamo in frenesia che partecipano al banchetto cibandosi dei piccoli pesci spinti in superficie dalla predazione dei tunnidi. Ma li troveremo in giro, anche quando tutto sembrerà apparentemente calmo. I bordi delle secche, le variazioni batimetriche importanti e i punti in cui acque più torbide s’incontrano con quelle più pulite, possono riservare gradevoli sorprese. Importante è annotare il punto ed il verso di navigazione, quando agganceremo i primi pesci, per capire meglio in che modo intercettarli.


TRAINA alletterati in piena predazione.. per le alici non c’è scampo!

Le esche MigLiori Premesso che non ci sono esche magiche che inventano pesci dove e quando non ci sono, l’esperienza invece ci insegna che ci sono artificiali che, nella media, fruttano più di altri. C’è poi da fare una considerazione a premessa; quando i tunnidi sono in frenesia a volte abboccano anche su esche improbabili, ma generalmente preferiscono attaccare quelle più simili per dimensioni e livrea alla

Malgrado la loro voracità non sempre tutte le esche sono gradite; è necessario quindi averne a bordo di più colori e tipologie . Filose, minnow, kona, bubble jet


mangianza presente. Quindi, sicuramente nel nostro armamentario non dovranno mancare i kona da 8-10-12 mm di diametro che useremo soprattutto sulle mangianze a galla. Così come dovremo avere una buona dotazione di minnow da 9-11-13-14 cm con paletta normale in acciaio o long lip se vogliamo lavorare più in profondità. I pesciolini che più ci hanno dato soddisfazione nel tempo sono quelli con le colorazioni sgombro, testarossa, giallo fluo, arancio- oro, viola-blu, nero e arancio-perlato costruiti da Yamashita, Duel, Yo-Zuri e Halco. canne, MULi e Lenze Potranno fare al nostro caso canne dalle 4 alle 12 libbre a seconda della taglia dei pesci in zona, considerando che già sopra i 2 kg gli alletterati sono pesci impegnativi e quindi è necessario avere a disposizione attrezzi adeguati. I muli saranno calibrati alle canne e, quindi, tra le 8 e le 12 lb con nylon che andranno anche qui dalle 20 alle 12 lb, ovvero dallo 0,45 allo 0,35. Se la nostra pesca sarà occasionale, potremo anche usare canne da spinning con muli a bobina fissa e multifibra, a patto di montare uno shock leader più lungo per ammortizzare meglio le fughe del pesce che sono amplificate dalla velocità della barca. Il montaggio di un moschettone alla fine della lenza è la soluzione a completamento del complesso pescante, che meglio consente il cambio rapido delle esche.

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ARGOMENTI

Bimbi in pesca Di Domenico Craveli

l

a pesca è vecchia quanto l’uomo, che da sempre si è sfamato catturando le creature dell’acqua . La pesca è un concetto ancestrale che portiamo impresso nel nostro DNA. La pesca affascina chiunque, anche coloro che non la praticano. Ed i bambini, in particolare, ne rimangono letteralmente stregati. La passione alieutica si trasmette tra le generazioni, con il passaggio di un testimone, che ha nel “da padre in figlio”, il suo schema più diffuso. Ma può avvenire anche il contrario, o addirittura, con un salto generazionale, da nonno in nipote.. . Comunque sia, l’avvicinamento di un bimbo al mare e alla pesca è un qualcosa di straordinario.


Sono molti gli aspetti che coinvolgono un

bambino, nell’esercizio alieutico, con non pochi risvolti educativi. La manualità è uno

dei primi, poi c’è il coinvolgimento in un gioco “serio” in cui il rispetto delle regole

è determinante, l’esercizio della pazienza nell’attesa, la necessità di collegare il

ragionamento alle azioni, il contatto con la natura ed il mare ed in ultimo, ma

non per importanza, il contatto con le sue creature. La cattura del pesce è l’atto finale, la meta del percorso, l’epilogo della lunga aspettativa che pone il bambino anche di fronte alla scelta del destino che la cattura dovrà subire. Il piccolo imparerà, responsabilmente, a trattenere, se vuole, solo ciò che può mangiare, perché ciò è nell’ordine naturale delle cose. Ma imparerà anche che dovrà restituire al mare i pesci più piccoli e le catture in esubero. Dare la via del mare a tutto quello che non serve portare a casa, è gratificante per grandi e piccoli. Anche se non sembra, questa sensibilità è presente nei ragazzi ed è bene che venga fatta crescere con il nostro aiuto. FAsE OpERATIvA Portare un bimbo a pesca, specie se piccolino e non supera i 5/6 anni, è una bella sfida per il genitore. I suoi tempi sono ben diversi dai nostri, come anche la loro soglia di pazienza e resistenza alla stanchezza. Quindi, non impostiamo mai sessioni impegnative in cui sarà lui a venire a pesca con noi diventando solo “la terza canna”, ma rendiamolo protagonista, scendiamo in

Canne leggere e paraboliche aiutano il bambino a prendere confidenza con gli strumenti pescanti

spiaggia solo per lui, almeno per le prime volte. Serviranno una decina di uscite di un paio di ore, prima che il bimbo possa capire e divertirsi per quello che fa. Fondamentale è cercare immediatamente la cattura di qualche pesce anche piccolo, che serve a mantenere alto il morale del giovane allievo. Fargli capire ad accettare le uscite senza risultati, sarà lo scopo di una fase successiva. pRIMI lANCI Di solito, si cerca di tenere alta l’attenzione del piccolo pescatore facendogli recuperare i pescetti allamati dall’adulto. Ma a loro piace lanciare, perché il lancio li affascina. Le prime volte sono frustranti anche per noi e ci sembrerà impossibile che possano riuscire a scagliare un piombo in acqua; dovranno provare e riprovare, da soli, ricordandogli ogni volta, metodicamente, tutta la procedura.. apri l’archetto.. trattieni il filo.. carica e poi lancia. Inizialmente terranno la lenza con l palmo


ARGOMENTI

Nella crescita del piccolo l’attività alieutica può essere enormemente formativa

della mano schiacciata sul fusto della canna, e già andrà bene così, poi, man mano, inizieranno ad usare il ditino, avvicinandosi all’azione corretta. Serve pazienza, e bisogna gratificare il piccolo: il risultato positivo che ne otterremo andrà ben oltre la pesca ! Una canna da 3 metri, morbida, con il vettino in vetro pieno, sarà l’ideale per loro. Un mulinello taglia 4000, imbobinato con lo 0.20 e un piombo da 30 gr, passante sul trave, sarà l’ideale. Il piombo potrà essere sostituito da una bombarda di pari peso per migliorare la resa in pesca ai piccoli pesci. Occhio alle tracine! ChIuDIAMO Il CERChIO Eviscerare una bella orata, e far assistere il bimbo, è quanto di più normale si possa fare. Il bimbo non rimane traumatizzato da questo, ma cresce e matura nella naturale evoluzione della storia. Con il cerchio che si chiude con il pesce nel piatto, meritatamente catturato e, in alcuni casi, condiviso con i propri cari. Un valore aggiunto all’educazione d’incredibile valenza. Anche manipolare vermi e affini per un bimbo è più normale di quanto si pensi. Non preoccupatevi che si sporchi, non potete immaginare che goduria possa essere per lui e quanto lo faccia crescere bene il sapere di poter far quello che gli piace con la vostra approvazione. Divertitevi con lui, perché la finestra temporale è breve ed irripetibile! E poi, un bimbo che si avvicina alla pesca in modo naturale, sarà in grado di maturare un rispetto per il mare e forse anche per gli altri valori della vita, superiore a quei tanti fenomeni già cresciuti e pasciuti, che praticano la pesca alla “prendo tutto e sono più bravo”, e che sono la vergogna di una disciplina che serve anche a far diventare uomini migliori!

A questa età i bimbi giocano praticamente con tutto. Maneggiare un bibi, è sicuramente meno orribile che toccare una di quelle schifezze viscide nei vasetti che vendono in edicola.



TRAINA

ASSETTI SU MISURA


U

L

a traina con il vivo, è una tecnica che non è possibile limitare a schemi sempre uguali e ripetuti all’infinito; sebbene la maggior

parte dei pescatori tenda sempre ad utilizzare assetti standard che permettano comunque una media di catture soddisfacenti. E’ fondamentale invece adeguarsi sempre agli scenari di confronto, con soluzioni specifiche. Uno degli elementi dove si può intervenire con facilità, riuscendo a variare la nostra efficacia in pesca in modo sostanziale è la lunghezza del leader. Vediamo insieme quali sono le variabili che nello steso tempo devono essere considerate.

Di Domenico Craveli


Il leader, chiamato anche mediano o preterminale, è lo spezzone

TRAINA

di lenza che unisce il trecciato della bobina al terminale vero e proprio, e rappresenta anche la distanza reale tra piombo ed esca. Il suo diametro, di solito varia dallo 0.47 allo 0.60, anche se la dimensione più usata è 0.52/0.57. il suo dimensionamento va relazionato alla profondità, al tipo di preda, ed al tipo di esca. Di solito si fanno delle valutazioni congiunte, cercando il miglior compromesso per la situazione che avremo di fronte. AcqUA bAssA Sui fondali con quote tra i 4 e i 20 metri, per chi in ogni caso non vuole pescare con nylon diretto, e non intende quindi rinunciare al

trecciato

bobina,

il

in

leader

dovrà essere sottile e lungo. Diciamo che Una bella ricciola accanto all’attrezzatura che l’ha combattuta. in evidenza, raccolto nel mulinello, un leader da 25 metri dello 0.57

uno

0.50,

meglio un 47 di colore

neutro

e

molto morbido è indispensabile.

La

sua lunghezza sarà di almeno 30/35 metri, in modo che mettendo una zavorra leggera , 150/250 gr, le esche possano stare almeno a 50 metri da poppa, specie con motori fuoribordo che hanno un rumore che disturba parecchio i pesci, cosa che non si

Un tombarello aggredito dai serra mentre si tentavano le lecce in pochi metri di acqua. Leader lunghi sono indispensabili in questi ambienti

verifica con propulsioni entrobordo in linea d’asse.

RiCCioLE in mEzzofonDo Se tentiamo le ricciole in acqua libera, come spesso avviene in autunno, usando esche grandi e vitali come tunnidi tra i sette etti e il chilo, il nostro leader avrà un diametro dello 0.57/0.60 e una lunghezza di circa 23/25 metri. Questo per distanziare le esche dalla barca quel tanto che basta, e soprattutto per garantire all’esca una mobilità autonoma

elevata.

La

ricciola

attacca ben volentieri bocconi che gli scappano davanti al muso, ed un mediano lungo agevola questa situazione,

spesso

indispensabile

per arrivare allo strike su pesci sospettosi.


corto dA stAnziAli

Canne con azione sensibile in punta, trecciati sottili, e leader corti sono il must per la pesca a dentici e cernie

Quando insidiamo dentici e cernie, su fondali profondi tra i 45 e i 70 metri, il leader ideale avrà una lunghezza compresa tra i 10 ed i 15 metri. Questo ci permetterà di compiere dei passaggi molto precisi, di avere poca deriva dell’esca sotto l’influsso del suo nuoto e della corrente, e di riuscire nell’intento immediato di strappare la preda dal fondo per evitare il più possibile che questa possa zigzagare tra le rocce, o che una cernia abbia la libertà di intanarsi.

fondali accidentati, ricchi di salti batimetrici, sono affrontabili solo con leader di lunghezza contenuta

Un leader così fatto è ottimo per innescare cefalopodi, un po’ meno per pesci esca, specie se piccoli. E poi.. nEll’Abisso Quanto la traina si spinge a quote prossime o oltre le 3 cifre, ossia 90/100/120 metri, la tecnica si snatura, diventando una sorta di drifting controllato, un mix che richiama strategie da bolentino a scarroccio. Il leader in questo caso sarà al di sotto dei 7 metri, e non sarà eresia trovarsi anche al di sotto di questa misura. Specie nella ricerca dei corazzieri, o delle grandi cernie canine, questo assetto è la normalità. Ma attenzione alle fasi di calata, un leader corto, presenta maggiori problemi sul rischio garbugli, più di quanto possiamo immaginare. Per il resto… bisogna provare diversi assetti, perché ci sono situazioni dove un metro in più o in meno, può fare la differenza.


TECNICA

CALIAMO LE ESCHE Di Umberto simonelli

L

a cattura di una bella Ricciola di sicuro è l’epilogo di una azione di pesca ben congegnata. E neanche a dirlo la presentazione delle esche ne è un tassello determinante Non tutti danno l’importanza dovuta al momento e alla modalità di cala delle esche, quando si inizia una

sessione di traina con il vivo. E’ maggiore, generalmente, l’attenzione alla tipologia di esca, alla quale troppo spesso, quasi per convenzione, si attribuiscono capacità taumaturgiche. Un’esca non vale l’altra ed è indiscusso come alcune riscuotano maggior successi di altre. Ma è da tenere in conto che filare una lenza in mare ha dei presupposti che vanno tenuti in conto. Perché come al solito chi ben inizia è a metà dell’opera. LA soLITA prEmEssA Prima di tutto dobbiamo assicurarci della vitalità dell’esca; un’esca intontita, soprattutto se parliamo di pesci, funziona molto meno. Per questi ultimi, ad esempio, un mantenimento in cattività per molto tempo ne diminuisce la reattività. Ed in acqua si presentano meno guizzanti e quindi catturanti. Importante è maneggiare le esche possibilmente con le mani bagnate o meglio con dei guanti umidi; in modo che non ci siano shock termici ( i pesci hanno la temperatura dell’acqua, quando li tocchiamo con le mani ci può essere anche una differenza di 20°C, … pensate se qualcuno vi abbracciasse a 50°C ) e il grip dei guanti ci permette di non serrare troppo la presa e non strapazzare il pesciolino.


Anche i cefalopodi meritano un po’ di cura nella traumatica fase dell’innesco, quindi una pezzuola bagnata di acqua di mare, può limitare i danni

Anche l’innesco dei cefalopodi, prevede un minimo di attenzioni, soprattutto per i calamari, più delicati delle seppie. Uno panno umido su cui poggiarli e che gli copra gli occhi, limita lo shock agli animali e gli schizzi di inchiostro a noi. Anche gli ami hanno la loro importanza. Un amo ben affilato, si infigge senza lacerazioni e consente inneschi rapidi e precisi; ed evitiamo di esagerare con le dimensioni, soprattutto se le esche non sono grandi. Meglio non appesantire un’esca con ami il cui peso ne comprometta l’assetto. sEmprE IN movImENTo Con il sistema pescante pronto ed armato procederemo a filare in acqua le nostre esche. Tassativo che la barca sia sempre in movimento. Il terminale va filato in superficie in modo che il filo si distenda e si verifichi con meticolosa attenzione il nuoto e/o l’assetto dell’esca. Questo è un momento importante perché ci si deve assicurare che tutto vada via liscio all’andatura di traina. Mai calare con la barca ferma e l’esca in bando. Oltre a rischiare un

I sugheri sono una delle esche più usate e rimangono sempre un ottimo cavallo di battaglia

garbuglio e che l’esca possa lavorare male, un fatto importante è il pericolo concreto che se un predatore è in zona e sferra un attacco in velocità, è molto facile che rompa. In questi casi, e lo raccontiamo per esperienza vissuta sulla nostra pelle per imperizia dello skipper, l’esca in libertà può essere intercettata dal predatore e l’inerzia della zavorra e il bando del filo, fanno si che il terminale sia a rischio rottura. ANDAmENTo LENTo Riteniamo che una volta filato il tutto in acqua, aprire la frizione e mandare tutto sul fondo non sia consigliabile. Ci sono due motivi che giustificano questo punto di vista. Il primo è quello che se il moto dell’imbarcazione non è sostenuto e genera la sufficiente resistenza, il piombo trascina in verticale il terminale che quindi diventa parallelo alla lenza e se l’esca entra in rotazione c’è il rischio


che vi si agganci. Il secondo invece è che il salto di pressione non fa bene

TECNICA

all’esca viva; la rapida compressione di certo non giova alla sua vitalità, soprattutto se si tratta di pesci. Meglio sempre affondare l’esca lentamente sfruttando la frizione o addirittura sbobinando a mano; si avrà anche un’idea del filo che avremo fuori. oCChIo ALLA TEmpErATUrA i sgombri sono esche eccellenti a patto che siano maneggiate con cura e mai “strapazzate” nella messa in pesca

Oltre alla profondità ed al salto di pressione che questa comporta, un ruolo importante lo gioca la

temperatura dell’acqua. I pesci ed i cefalopodi non termoregolano, ma non vuol dire che gli sbalzi di temperatura non abbiano effetti su di loro. Un pesce può anche morire se lo sbattiamo in pochissimo tempo a 15°C di meno ed a volte non basta neanche farlo scendere poco per volta. Quindi bisogna tenere in considerazione anche questi aspetti quando si affronta una sessione di pesca.

In questo video vediamo cosa succede quando un’esca esprime tutto il suo appeal

NoN ALLArmIAmo I pEsCI Distendere bene il tutto e allontanare l’esca dalla barca ha le sue indiscutibili ragioni; il più delle volte l’ombra dello scafo e il rumore mettono in allerta i pesci; quindi far lavorare le esche lontano dal raggio di azione della barca è importante. Un errore da non commettere è quello di avvisare i pesci della nostra presenza, affondando le esche con la cicala inserita. Lungo il filo, soprattutto se parliamo di trecciati, i suoni si propagano in modo strabiliante, ed il cicalino si avverte in modo più che netto. E i pesci si mettono in allerta. Lo abbiamo scoperto grazie alle nuove action cameras subacque, dotate anche di un ottimo microfono, durante una registrazione, in lontananza abbiamo registrato addirittura lo squillo di un telefonino. E il silenzio si sa, invece, è d’oro.



SURFCASTING

PARASTRAPPI…

Di Dario Limone

L

anciare un’esca in mare, e lanciarla “oltre l’onda”, non è proprio la stessa cosa. Agli albori della pesca a fondo, quando non era necessario fare distanza, si pescava con fili in bobina diretti e grossi, con tutte le limitazioni del caso. L’evoluzione del surfcasting, ha però modificato

totalmente questa consuetudine, perché si è intuito che i settori di mare produttivi sono spesso sulla lunga distanza, irraggiungibile senza il cosiddetto parastrappi, noto con il nome anglosassone di “shock leader”. I pionieri della tecnica, sicuramente, vista l’abbondanza di prede e i luoghi di pesca, non avevano il problema di usare lo shock leader, perché’ usavano lenze madri dallo 0’35 allo 0,50, pescavano solo col mare mosso, ed a ridosso del gradino di risacca. I lanci erano solitamente accompagnati, il che considerando il peso e l’azione delle canne paraboliche in vetro resina di un tempo, erano l’unica strada percorribile per far arrivare un’esca in acqua. Ma con il passare degli anni, le cose sono radicalmente cambiate, e raggiungere le lunghe e medie distanze, per intercettare i pascoli più lontani,

In alcuni casi lo shock leader può essere realizzato anche con del multifibre


non era solo importante, ma in alcuni spot era l’unica soluzione per portare un pesce in secca.

Oltre che nel lancio, lo shock leader aiuta nelle ultime fasi del combattimento con le grosse prede

NON SI PUÒ FARNE A MENO Sposando uno scontato principio di fisica elementare, possiamo dire che un filo col diametro sottile, durante il lancio, incontra meno attrito nell’aria di uno più spesso, permettendoci di raggiungere così distanze maggiori. Le lenze madri con diametro dello 0,35-0,50 furono quindi abbandonate, a favore di quelle più sottili. Oggi, sui mulinelli fissi (i rotanti meritano un discorso a parte), per guadagnare qualche metro in più, si arriva ad imbobinare anche lo 0,16/0.14, rendendo così indispensabile l’uso del parastrappi, ossia di questo spezzone di lenza di diametro più sostenuto, in grado di reggere lo shock del lancio. LA LEGATURA Ma risolto un problema, se ne presenta subito un secondo. Lo shock leader va infatti unito alla lenza madre in bobina, e spesso, la differenza tra i due diametri è tale, che la giunzione va realizzata scegliendo un nodo idoneo, che garantisca alta tenuta, che non Le prede più belle spesso stazionano sulla lunga distanza. Raggiungere i fatidici 100 metri reali, non è semplice e serve filo sottile in bobina.. e quindi un adeguato shock leader

stressi la lenza più sottile, e che non sia da intralcio al lancio, sia quando è raccolto in bobina, che al suo veloce passaggio tra gli anelli della canna.

Oggi vanno molto in voga gli shock leader a coda di topo, ossia conici con diametro crescente a partire dal capo libero (esempio 0.22/57, oppure 0.18/47 ecc ecc) Per la giunzione è da preferire il nodo “Albright special” , oppure il più complicato “competition” , che si ottiene riscaldando l’estremità del nylon, fino ad ottenere una pallina cristallizzata e vi si lega la lenza madre con un nodo uni a 5 spire. La particolarità di questo nodo è quella di consentire unione di fili con un diametro molto diverso, anche dello 0,18 su uno 0,50.


NAUTICA

I FUORIBORDO

di umberto simonelli

l

a motorizzazione fuoribordo è sicuramente quella più diffusa in assoluto sulle piccole e medie imbarcazioni da diporto. Anzi, negli ultimi tempi una tecnologia in continua evoluzione, ha permesso la costruzione di motori con potenze e elevatissime e prestazioni impensabili solo

qualche hanno fa. E soprattutto con funzionamenti impeccabili, ben lontani da quelli imperfetti dei primi motori due tempi. L’avvento della tecnologia “four stroke” ha letteralmente rivoluzionato il mercato, sebbene anche quella dei due tempi non sia rimasta al palo. Sta di fatto però che la complessità dei motori è aumentata di pari passo con le performance ed i rendimenti e sebbene l’affidabilità sia totale, non dobbiamo trascurare alcuni aspetti manutentivi l’alimentazione Si sa che l’alimentazione è alla base di una buona salute. Ciò accade anche con i fuoribordo; in questo caso ci riferiamo alla qualità della benzina, alla sua pulizia e alla possibile presenza di umidità. Ciò si traduce in attenzioni particolari che vanno dall’acquisto del carburante da distributori affidabili alla presenza e manutenzione puntuale dei filtri. Fondamentale il montaggio di un filtro con decantatore, sulla linea della benzina, che abbia una portata adeguata alle necessita del propulsore con capacità filtrante di almeno 10micron.


Dobbiamo proteggere il complesso sistema d’iniezione, presente in tutte te tecnologie, indistintamente 2 o 4 T. L’umidità è il nemico numero uno degli iniettori ed è tollerata solo se non supera lo 0,5%. Infatti è presente un filtro decantatore anche nel fuoribordo

Questo è il filtro decantatore; oltre a filtrare sporcizia dalla benzina separa, per differenza di peso specifico, l’acqua dal carburante

stesso, che in alcuni modelli segnala anche la presenza di acqua. Mentre un ulteriore filtro sempre da 10micron è di serie su tutti. Da controllare con assiduità, durante l’esercizio. Chiusura perfetta L’elettronica è il cuore pulsante dei Questo è un’ulteriore protezione, installata in tutti i propulsori, che previene l’ingresso di acqua nel circuito di iniezione del carburante; evenienza che sarebbe molto dannosa

nuovi motori, senza di essa sarebbe impossibile ottenere certe caratteristiche prestazionali oltre che l’affidabilità e non ultimo il bassissimo inquinamento. Quindi esistono nel blocco motore molti sensori, sonde, trasduttori e connettori che devono essere tenuti all’asciutto il più possibile. Per non aggiungere anche tutti i leveraggi e gli attuatori che completano gli organi di funzionamento del gruppo termico ed i cui punti di movimento debbono essere protetti dall’ossidazione. Nella protezione generale gioca un ruolo fondamentale la calandra del motore che deve essere sempre tenuta in perfetto ordine. Questa è provvista di aperture che consentono il passaggio dell’aria di carburazione ma non l’ingresso degli spruzzi d’acqua. Quindi è prioritario, e molti non lo fanno, controllare l’integrità della guarnizione di base, dei passaggi dell’aria e dei blocchi di chiusura

il gruppo termiCo

Le guarnizioni della calandra, che possono essere collocate sia sulla bacinella che alla base della copertura sono vitali; la tenuta deve essere sempre ottimale per impedire l’ingresso dell’acqua

Si chiama così il motore vero e proprio, il propulsore in cui l’energia sprigionata nella combustione del carburante, si trasforma in movimento. Nella tecnologia 4T, è simili a quelli delle vetture e le cose da tenere sotto controllo assiduo sono il livello dell’olio lubrificante e


il relativo filtro, la cinta di distribuzione e la

NAUTICA

cinghia che trascina l’alternatore e le parti idrauliche, presente su alcuni marchi. Nei 2T la manutenzione è minore e l’importante è la verifica puntuale dell’olio di lubrificazione che viene iniettato nel motore e che solo in parte viene bruciato. Una cosa importante comune a tutte le tipologie, è il controllo degli zinchi interni allo scambiatore e la pulizia del gruppo termico. Infatti è bene lavarlo con dello sgrassatore e poi lubrificarlo con del CRC esclusivamente LONG LIFE, che crea un velo anticorrosione permanente. tilt&trim

E’ bene tenere il motore sempre ben pulito e lubrificato; si eviterà la corrosione e sarà semplice individuare punti di perdita e trafili di olio

Se volete che il vostro motore vada su e giù per molto tempo assicuratevi che non ci siano indizi di corrosione galvanica sul gruppo idraulico di sollevamento e che gli steli siano perfetti. Ovviamente gli zinchi presenti in prossimità del trim debbono essere sempre controllati e sostituiti, con ricambi originali, quando la corrosione è apprezzabile. punti di forza Un controllo attento va riservato al “canotto” su cui ruota il motore. Un tubo solidale al cavalletto al cui interno ruota, tramite delle boccole, un altro tubo solidale al fuoribordo. E’ importante che la lubrificazione sia sempre ottima e questo si ottiene ingrassando spesso tramite gli appositi ingrassatori. Per ultimo, ma non per importanza, dovremo controllare l’elica, il relativo mozzo e l’olio dell’invertitore che è racchiuso nel piede. L’elica va smontata, controllata che non abbia urti sulle pale e il mozzo va perfettamente lubrificato dopo aver controllato che non ci sia traccia di lenze attorcigliate, che casualmente può capitare si recuperino in mare. L’olio del piede sarà il controllo finale e dovrà essere cambiato secondo le prescrizioni del costruttore, controllando che non vi siano tracce di acqua emulsionata. In questo caso sarà necessario sostituire le tenute.

Il mozzo dell’elica è un punto nevralgico. Va sempre lubrificato con grasso marino e controllato assiduamente, non è raro che spezzoni di lenze lasciate in mare vi si avvolgano mettendo a rischio l’integrità delle guarnizioni


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Copertina parlante Angler : Michele Prezioso Preda : Dentice (Dentex Dentex) Periodo di pesca : ottobre Ora della cattura : 09,30 LocalitĂ : Circeo Tecnica: Traina con esche vive Esca : tandem di sugheri Terminale: 0.45 FC Amo: 3/0 Fondale : Misto

FOTO: Nikon D200 Modo di Esposizione: Auto Modo di misurazione: Matrix 1/250 sec - F/5,6



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