PRIMO PIANO
Giovedì 6 Luglio 2017
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Massimo Bucchi: più spesso in Italia abbiamo avuto l’invettiva, che è tutta un’altra cosa
C’è molta poca satira in giro
Più che prendermela con un bersaglio fisso, penso al mondo no mi sono messo a ridere su quella delle mani che apita di rado che un reggevano altrettanti cerintervistato ti venga a velli, titolo: «Vuoto sincroprendere alla stazio- nizzato». R. E sei lei sfoglia il giornane. Massimo Bucchi però è Massimo Bucchi. La le scoprirà che c’avevo azzectautologia non è sprecata per cato: il casino nel Pd, i porti questo signore garbato che su chiusi ai migranti. Io non ero Repubblica e su Il Venerdì apre in redazione, non sapevo cosa finestre sull’umano che siamo avrebbero scritto. Ma in qualche parte di o, che più spesme avevo so, non siamo. Sono stato fra i fondacapito. «Ci troviamo a tori di La Repubblica. D. Un quel ristorante concetto americano denEravamo 60 persone quasi psitro Termini, ha stipate in un appartaMassimo Bucchi coanalipresente?», mi mento di 200 metri. tico. Per aveva scritto Un caos incredibile. questo lo D. Anche se? via mail, «mi Non fu una partenza psicoanaliR. Anche se, secondo me, i faccio a trovaa razzo. Anzi. A lungo sta milane- lettori interessati davvero al re accanto alla se Giacomo linguaggio satirico saranno sì mucca, io piccosi temette della sua Contri, che e no il 5%. lo e pelato». sopravvivenza. Partì è allievo D. Senta, lei produce molRomano, come un razzo durandi Jacques tissimo, quotidiano, Venerdì classe 1941, te il sequestro Moro. Lacan, cita e poi la vignetta economica Bucchi ha però Pubblicavano le lettere s p e s s o l e su Affari e finanza. Come vissuto i suoi del presidente. Gli altri sue vignette fa? primi venti nei suo blog R. Mi piace. Non so per quananni a Firenno. E fu subito boom quotidiano. to ancora mi sopporteranno a ze, dove il nonR. Ah, non Repubblica. Ah, beninteso, per no suonava me questo lavoro è una terapia, nell’orchestra del Maggio e il lo sapevo. D. L’altro giorno ha twit- un toccasana per il fegato. E poi padre dirigeva il conservatorio, e nel corso di una chiacchiera- tato un suo elogio per la vi- le confesso che mi scoccerebbe ta di oltre due ore, in un bar gnetta del partito aristocra- perdere lo status (ride). Da fuori di Piazza Indipendenza, a due tico. Dice che lo considera non so più giudicare gli umori, ma immagino di non dispiacere passi cioè dalla vecchia sede un collega psicoanalista. del giornale fondato da EugeR. In effetti, molti mi dicono troppo, anche quando non sono nio Scalfari, l’accento di chi è che c’è affinità fra il mio lin- in linea col giornale. D. Capita spesso? cresciuto in riva all’Arno finisce guaggio e la psicoanalisi. Anzi R. Capita, anche se io cerco per riemergere. un caro amico, psicoanalista anDomanda. Bucchi ma lei che lui, Pietro Stampa, mi ha spesso di dare più letture di l’avrebbe fatta la vignetta chiesto di fare un libro assieme. una vignetta, provoco il lettore, voglio che si chieda se le cose di Matteo Renzi nella bara, Lo farò. come ha fatto Riccardo D. Quindi, per tornare sono così come sembrano. E, per Mannelli l’altro giorno sul all’aspetto creativo, lei va tornare a Mannelli… D. Ah, glielo avrei chiesto, Fatto? liberamente sui temi che temevo che divagasse. Risposta. Ah Mannelli lo sente? R. Si figuri. No dicevo che conosco da 40 anni. L’ultimo liR. Non lavoro più al giornabro, Mappamondo (Saggiatore), le da anni, faccio tutto da casa, non amo stare sopra le righe: dovevamo farlo assieme e poi, non so cosa metteranno in pagi- la vignetta deve arrivare a più invece lui non poteva mai. Ma na. A volte mi ritrovo dentro un persone possibile. D. E dunque mai problemi lui fa un sacco di cose, mostre editoriale d’attualità, che non di quadri… avevo letto prima, chessò un per una vignetta? R. Mai. Anche perché ScalD. Mappamondo, 40 anni pezzo di Roberto Saviano, e fari era stato di vignette, un’opera monu- la mia vignetta educato bene mentale. è clamorosada Giorgio R. Colpa dell’editore, io man- mente intonaL’umorismo, un genere Forattini, davo tavole per sostituirne altre ta, significa che che io pratico con granche spesso e lui, invece, aggiungeva. All’ini- c’era qualcosa de entusiasmo, è un po’ gliela faceva zio mi chiamarono per cambiare nell’aria e che anche una difesa. Raptrovare in la successione di alcune imma- l’ho captato. presenta un altro monpagina. gini e io risposi: «Questi lavori D. Non le D. A volte, sono come un mazzo di carte, le spiace non do possibile rispetto alle avrà fatto giochi lei». stare in pribrutture della realtà. I D. E lui? ma pagina? inquietare? protagonisti delle storie R. Disse: «È il primo autore R. In passato R. Beh, umoristiche sono un po’ che ci dice una cosa del gene- Scalfari me lo forse quansempre perdenti. «Vorrei re». aveva chiesto do rappreD. Soddisfatti, ci credo. Il due volte e io, sentavo, da rientrare in me» dice il libro di una vita. due volte, gli segretario paziente. E lo psicanaliR. Dà conto di un percorso avevo risposto Pds, Achille sta risponde: «Speriamo carsico, di un’immaginazione e di no. Lo ha Occhetto, che ci sia posto» della cultura da cui nasce. anche scritto nelle vesti di D. Torniamo a Renzi. in una vecchia un fotografo, R. Giusto. Non saprei rispon- prefazione del che guardava derle perché io faccio altre cose, catalogo di una mia mostra. nell’obiettivo e diceva: «Restate in genere non ritraggo persone D. Perché? un attimo di sinistra, per fae non parlo dei politici singolarR. Ma perché la prima pagina vore». Oppure quando scrissi mente. ti uccide. Sì la gente ti vede ma che il problema non era stato il D. Infatti la sua è un linea poi corre a leggere ciò che i ti- crollo del comunismo ma quelli quasi eterea, giocata sul ca- toli richiamano. Invece, dentro, che erano usciti vivi dalle malembour, che sfocia quasi ti cercano e ti trovano. Anche cerie, Giorgio Dell’Arti la rinel non senso. Oggi in tre- se… prese sul Foglio dei fogli. DI
GOFFREDO PISTELLI
C
D. Nel giornale della ci credo. sinistra italiana, qualR. Una volta Giampaolo che mal di pancia ci sarà Pansa, mentre seguiva uno stato. E qualche grana dei tanti congressi nazionali esterna l’avrà avuta, in della Dc, aprì una copia del tutti questi anni. giornale in cui c’era un SatyriR. Quando facevamo Sa- con un po’ duro con Flaminio tyricon. Piccoli, allora presidente. D. Il mitico supplemenD. Duro, quanto? R. Il solito gioco di parole to di mercoledì. Lì c’era nel titolo: Piccoli omicidi. Veanche Mannelli. R. Lui certo, ma c’erano dendolo, Flaminio s’arrabbiò anche Forattini, Altan, moltissimo. Ma alla fine i deBevilacqua, insieme a mocristiani erano i nostri pritanti altri. Ci divertivamo mi lettori e ci ridevano su. D. Lei, che lavorava a un abbastanza. E ogni volta la diffusione del giornale cre- ufficio grafico dell’Iri, ocsceva di 30-40mila copie su cupandosi di pubblicità, quella degli altri giorni, mica partecipò alla start-up di Repubblica nel 1976. Che scherzi. clima ci respirava? D. Parlavamo di grane. R. Eravamo in 60 persone in R. C’era un certo sinodo in Vaticano e titolammo: Dishu- un appartamento di 200 metri manae vitae, stravolgendo il ti- quadri, un caos totale. Quando tolo dell’enciclica di Paolo VI. andai da Scalfari, il giorno che Come sottotitolo: La febbre del mi assunse, aveva i pantaloni Sinodo sera. Successe che L’Os- a coste di velluto, la camicia a servatore romano ci attaccò e, scacchi, gli stivaletti, pareva con Forattini, ci facemmo una un dandy. Ma, dopo pochi giorni, era già tornato lo Scalfari foto con delle mitre di carta. D. Una cosa dissacran- che conoscevamo tutti. D. Impeccabili cravatte te quasi da Male, il famosu camice so giornale bianche. satirico di Cosa penso di Dio? Forse perPino Zac e Proprio ieri, cercando ché RepubVincino. blica divenR. Non ci un gioco di parole, mi tò presto potevo scriveè venuto «God free», una corazre, per probleesente da Dio. Ecco, zata. mi contrattuaio sono un po’ così. La R. Mica li, però… mia, in fondo, è una tanto presto. D. Però? religione un po’ panPer un pezzo, R . Però non si sapeva quando feteistica, del mondo e quanto sacero la finta delle cose. Non dico lo rebbe durata, edizione di yoga che ormai non è quell’impresa. Repubblica, altro che una ginnastiLa svolta fu il col titolo, a ca ma, insomma, per caso Moro. tutta pagina: me il sacrilegio è come D . Pe r Lo Stato si è ché? estinto, glielo trattiamo la natura R. Per come impaginai io, raccontavamo che nel mio giornale ero a capo del settore i fatti , Scalfari non esitò un minuto a pubblicare le lettere grafico. D. Un piccolo scoop. Oggi del presidente della Dc, ostagnon è più dipendente, tan- gio delle Brigate Rosse. Mentre gli altri non lo fecero. to… D. Perché ritenevano che R. Ah certo, ma era una cosa fossero coartate. innocente, via. R. Ma perché comunque, alD. Ma guai veri, quindi, lora, nel 1978, certe cose non si non ne ha mai passati? R. Per la verità sì, quando potevano fare. Su Repubblica feci una vignetta in cui, raffi- lettori trovavano cose che gli guravo come orologio a cucù altri non avevano. Cominciamquello della stazione di Bolo- mo a prendere copie che non gna, quello tragicamente fa- perdemmo più. D. Crescendo, cambiò anmoso, della strage del 2 agosto 1980, e l’uccellino che usciva che il clima in redazione? R. Ma non troppo. All’inizio, aveva appunto la faccia di Licio Gelli. effettivamente, c’è un clima D. Il Venerabile la que- molto divertito e divertente: relò? lei vedeva assieme veterani R. Chiese a me e al giornale, tutti d’un pezzo, come Edin solido, qualcosa come cinque gardo Bartoli, già inviato miliardi di lire, più di quello del Corriere, e giovani come che aveva chiesto Massimo Carlo Rivolta, che non aveva D’Alema a Forattini per la fa- trent’anni e seguiva giornalimosa vignetta di Panorama. sticamente il movimento del D. E come finì, Bucchi? ’77. Sembrava un autonomo R. Che Gelli finì in un pro- un po’ anche lui. Due uomini cesso in Cassazione, in cui an- molto diversi che, però, si sache quella causa si inabissò. lutavano cordialmente. D. E la politica politicata non s’arrabbiava mai? Non Continua a pag. 10
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Giovedì 6 Luglio 2017
PRIMO PIANO
Dopo aver raso al suolo il paese se la prende contro coloro che gli danno ancora fiducia
Merkel contro i cinesi in Grecia Raddoppiato il traffico del porto del Pireo a loro gestione
I
DI
PAOLO ANNONI
l cancelliere tedesco Angela Merkel ha espresso pochi giorni fa a un settimanale tedesco tutta la propria preoccupazione per l’influenza crescente della Cina in Grecia: «La forza economica cinese può mettere sotto pressione i partner più fragili dell’Unione» e per questo «l’Ue dovrebbe parlare con Pechino come un blocco unico» e «l’Europa deve lavorare duramente per proteggere la sua influenza». L’influenza cinese in Grecia ha visto, tra i principali interventi, l’acquisto del porto del Pireo, con il traffico raddoppiato dall’inizio della gestione cinese, e il trasferimento della quota di maggioranza della rete elettrica nazionale. È abbastanza chiaro quale sia il senso della preoccupazione tedesca per l’influenza cinese in Grecia. La Grecia è un Paese con un’economia distrutta a livelli che un decennio fa sarebbero stati inimmaginabili, con una disoccupazione al 23% e un Pil praticamente dimezza-
to dall’inizio della crisi. Sono numeri tragici che l’Ue ha permesso avendo chiesto e ottenuto l’austerità e non avendo offerto nessuna alternativa. Un’unione monetaria ed economica che richiede, anche giustamente, l’applicazione di certe regole non può non offrire alcuna forma di redistribuzione. In nessuna unione monetaria o economica esistono differenze così abissali, perché tutti sono vincolati a certe regole e perché le regioni forti finanziano una fiscalità statale che viene poi riversata sulle regioni deboli. Noi italiani lo capiamo benissimo, perché un lavoratore statale di Torino prende lo stesso stipendio dallo stesso Stato di uno di Cosenza e perché le infrastrutture della Basilicata sono state costruite con i soldi di tutti anche se da Milano escono più tasse pro capite che da Potenza. La Grecia non può preferire l’Europa alla Cina per tante ragioni. La prima è che la Cina investe nel Paese, aumentando la dotazione infrastrutturale, e l’Europa no; la seconda è che il ruolo della Grecia in Europa è
quello della periferia della periferia senza alcuna prospettiva, mentre per la Cina la Grecia può avere un ruolo strategico. Il porto del Pireo non potrà mai fare concorrenza a quello di Pechino, ma può fare concorrenza a quello di Rotterdam o Amburgo. Per la Grecia mille volte meglio gli investimenti cinesi che l’Europa; davvero non si capisce perché la Grecia dovrebbe o dovrebbe voler dire di no ai soldi cinesi per l’Europa in cui è destinata a morire economicamente. Cambiando punto di vista e assumendo quello tedesco invece il ragionamento fila benissimo. La Germania ha bisogno di un quadro di regole e leggi, che oggi può essere solo europeo, che blocchi le scorribande cinesi su pezzi strategici dell’industria tedesca; allo stesso tempo l’assetto attuale europeo è il massimo della vita per la Germania che esporta nel mondo a più non posso con una valuta debole e costi del lavoro bassi, gli stipendi cinesi ormai sono più alti di quelli di alcuni Paesi est europei, accumula surplus commerciali record senza dover
GIANNI MACHEDA’S TURNAROUND Milano, Donnarumma diventa il terzo portiere più pagato al mondo. Dopo Neuer e quello di Bosco Verticale. *** Al via il sequel di «Animali fantastici e dove trovarli». Protagonisti Pisapia e Bersani. *** A un solo mese dall’uscita nelle sale cinematografiche già su Sky il film di Walter Veltroni. È quello che io chiamo «recuperare almeno le spese». *** Concerto di Vasco, uomo muore d’infarto. Per lui varrà due volte la frase «io c’ero». mettere mano al portafoglio per pagare il biglietto dei benefici di questa unione monetaria. La valuta debole europea è frutto della condivisione dei problemi greci, ma questa condivisione si ferma quando non coincide più con gli interessi dei Paesi forti. In questo caso l’interesse della Grecia ad avere rapporti economici con la Cina e i suoi investimenti viene dopo quello del sistema Paese tedesco che sembra concepire l’Europa
come una sua esclusiva sfera di influenza economica e politica. La frase di Merkel a proposito degli investimenti cinesi in Grecia, «l’Europa deve lavorare duramente per proteggere la sua influenza», sembra frutto di un lapsus. Se l’Europa vuole impedire gli investimenti cinesi in Grecia dovrebbe offrire ai greci un’alternativa accettabile; quella attuale, al 23% di disoccupazione, non lo è sicuramente. Il Sussidiario.net
SEGUE DA PAG. 9 D. Quale fu la formula vincente di quel giornale? R. Senza dubbio il formato: il tabloid fu una svolta. Tra l’altro imponeva un cambio di scrittura: ricordo che ogni pagina, senza foto com’era all’inizio - volevamo fare Le Monde -, poteva contenere al massimo nove cartelle di testo. D. E che cosa comportava? R. Che a Giorgio Bocca, anziché 5-6 cartelle, ne chiedevi due, e lui si doveva sforzare a starci dentro e, per quelli bravi come lui, non era difficile. D’altra parte, al giovane alle prima armi, davi una cartella e questo facilitava le cose, perché su due si sarebbe perso. In questo modo si uniformava anche lo stile di comunicazione del giornale, su testi brevi e leggibili. Come diceva Voltaire… D. Come diceva Voltaire? R. Una volta scrisse a un amico scusandosi: «Ti mando una lunga lettera perché non ho avuto il tempo di accorciarla». D. Bucchi, come sta la satira in Italia? R. Mah, io mi domando se l’abbiamo mai avuta davvero. D. Perché? R. Perché più spesso abbiamo avuto l’invettiva, che è altra cosa. Io più che un bersaglio singolo, un politico magari, penso a un mondo, in fondo tutti noi, un po’ corresponsabile di tante cose che non vanno. D. Già lei si sente più umorista, che autore satirico. R. L’umorismo è un po’ una difesa: un altro mondo possibile, rispetto alle brutture della realtà. I protagonisti delle storie umoristiche sono sempre un po’ perdenti. D. Come il micidiale dialogo paziente-psicanalista. “Vorrei rientrare in me…»
R. In linea di massima. Anche se m’è R. …già e l’altro gli risponde: «Spespiaciuto non essere andato a ritirare riamo che ci sia posto». il Premiolino a Milano, nel 1982. D. L’umorismo per esorcizzare. D. Prestigioso riconoscimento R. In qualche modo. giornalistico. D. A proposito di esorcismo, che R. Già, di quelli che se non vai, non cosa ne pensa di Dio, aldilà di certe ti danno. E io non stavo bene, non pointemperanze anticlericali che ci tei andare, ma mi dispiacque. Anche ha appena ricordato? se poi ho visto di recente che nell’albo R. Dio? Proprio ieri, cercando un gioco di parole, mi è venuto «God free», d’oro figuro. Comunque, forse, più che esente da Dio. Ecco io sono un po’ così, un rimpianto ho un rimorso. pur avendo studiato D. Avanti. dalle suore. R. Quando nel A Roma abito a Tor 1967 o giù di lì, riuscii D. A Firenze? Pignattara. Quando ad avere un appuntaR. Anche quando ci mento a Milano dal spostammo, per due il mio amico storico grande Bob Noorda, anni, a Roma. Dove dell’arte Achille Bonito il grande designer. andavo a scuola dalOliva lo venne a sapere, D. Come andò? le suore tedesche che commentò: «Bucchi a R. Andò che avevo parlavano un italiano Tor Pignattara? Ah, lui una valigetta di fibra perfetto. Suor Maria è uno snob». A me però tipo emigrante, da cui Vinfride e suor Maestrassi i miei lavori, ria Otgheria. il quartiere piace. È piemostrandoglieli. Lui, D. Stavamo parno di immigrati. Gente che era impeccabile e lando del Creatore. positiva. È così presa austero, una specie di R. Sì, per dire che dal costruirsi un futuro Max Von Sydow, ha non ero iscritto all’ateiche non ha tempo per presente? smo, ma che in casa lamentarsi come invece D. Il settimo sigilmia non se ne parlava lo di Bergman. proprio, né a favore né facciamo noi R. Lui. Noorda contro: i miei genitori, cominciò a parlarmi musicisti entrambi, di una lavoro lungo e articolato, che non erano interessati. Tant’è vero che durava alcuni anni, c’era da ridiseuna volta, visto che a scuola tutti andagnare il lettering di una certa azienda vano a messa, confessandosi e facendo americana, segno che aveva deciso di la comunione, lo feci anche io. Innocenteprendermi. mente. Ma le suore non la presero bene. D. E lei rifiutò? Per il resto, che vuole che le dica… R. Peggio. Pescai dalla valigetta un D. Scelga lei. orribile monotipo a olio, un lavoro più R. La mia è una religiosità un po’ pittorico che grafico. E lui, dandogli panteistica del mondo e delle cose. un’occhiata distratta, un po’ schifato, Non dico lo yoga, che ormai non altro mi congedò, gelido: «Grazie, ma penche una ginnastica ma... ma, insomsavo che lei fosse un grafico». Non lo ma, per me il sacrilegio è come tratincontrai più. tiamo la natura. D. Si autoeliminò, ma perché lo D. Bucchi, lei ha l’aria di un fece? uomo che non ha rimpianti.
R. Perché ero in vista dei 30 anni e allora si diceva che se non firmavi qualche progetto significativo, prima di quell’età, eri condannato a non essere nessuno. Però un comune amico mi disse che dopo vent’anni Noorda si ricordava ancora di me... D. Non è il solo rifiuto della sua carriera. Lei lasciò anche il giornalismo. R. È vero. Ma lì davvero non ero capace. Dopo il liceo, mi avevano assunto all’Avanti. D. E allora? R. Mi mandavano a seguire il consiglio comunale, quello provinciale, non capivo niente di politica, facevo una fatica boia. Una volta parlava un certo Bozzi e io, chiesi a un collega, che poi era Francesco Damato… D. …futuro direttore de Il Giorno... R. Sì, e lui mi prese in giro. «Massimo, ma come? È il vostro compagno Bozzi». Era Aldo Bozzi, futuro segretario del Partito liberale italiano. E io lo scrissi. Ma dall’Avanti me ne andai da me, tempo dopo, non mi cacciarono (ride). Capii che non era cosa. Intervista finita e l’intervistato insiste nel voler pagare il conto lui e non c’è niente da fare. Lo riaccompagno a prendere l’autobus, perché Bucchi vive in periferia. D. Dove abita Bucchi? R. A Tor Pignattara. Quando Achille Bonito Oliva, che mi conosce, lo seppe, disse: «Bucchi a Tor Pignattara? Ah, è uno snob?». D. Non mi pare. R. Infatti. Ho avuto casa là, in due periodi, per un totale di una ventina d’anni. A me piace, adesso è un quartiere pieno di immigrati, gente positiva, così presa dal costruirsi un futuro, che non ha tempo di lamentarsi, nostro vizio nazionale. twitter @pistelligoffr