BLACKPLACES

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Giovanni Marinelli

blackplaces

GRETA EDIZIONI


Blackplaces Castles, historical buildings, antique churches. An imaginary geography through the fortified villages of an unreal Italy. The intention is not philological, but labyrinthine: to lose the recognisability of a building in order to construct a completely new journey through pieces of history, fragmented and sparse traces. A veiled labyrinth, protected by a semi-transparent wall which distances the gaze, distancing the emotionality of the impact. With his latest work Blackplaces, Giovanni Marinelli continues a project which sees the city (be it historical or contemporary) recodified through a chromatic veil which seems to overlay the architecture: like a muffled echo, something that we recognise, but stifled, perhaps lessened. Perceptively, three-dimensionality is conserved but reduced to a minimum. Levels move closer together and their apparent distance seems to be cancelled. This allows the photography to become a surface, or rather, to reject that threedimensionality which, on the two-dimensional plane of printed paper can be nothing but an illusion, a con which is permitted and placidly accepted. Marinelli constructs image-shields, beyond which it is difficult to go: barriers, barricades, obstacles. That’s it, exactly, obstacles. It doesn’t matter if the colour has the austerity of black or the elegance of grey. It doesn’t matter if the photographs are printed on a large scale or in a reduced format. They remain projections, surfaces that create a division: between this side and the other side of the screen. The starting point is the city, architecture, the succession of urban construction, frescoed interiors, neoclassical balconies. But what remains of all of this? Practically nothing, a pretext, a simple and innocuous starting point. This is no urban analysis, there isn’t the slightest intention of understanding the city, or a single building, of providing a model on which to construct an interprative process. Marinelli smashes into little pieces the walls that compose the space-facade. In the majority of cases the interiors of the buildings cannot even be imagined, there is absolutely no possibility of entering, of meeting the neighbours, of listening to the voices

which filter though windows left open for just a few centuries. There is none of this. Only closure, chromatic closure which becomes compact, solid, impermeable material. In Marinelli’s photographs there is no sound, and not only for the total absence of man, but for the very nature of the body of the image: an isolating mass which separates the World in two, as if it really could be subdivided by little screens to place between us and that which is before us, that which we do not want to find ourselves looking at. Pieces which need to be put somewhere else and which, as in the “best” of exhibition traditions, will probably go to occupy part of the wall of an exhibition, or of a living room, of a bedroom, etc. But why? Or rather, for what reason should one reposition those pieces on other walls, the same walls against which the surface has been reinforced, rendering it a measure of defence? Undoubtedly in this case a purely functional factor comes into play which sees the wall as a place predisposed for exposition, but the photograph in question is an image which needs to be metabolised, taken away and used at the right moment. It is like a resetting of the landscape, it is a thing which is, perhaps, to be conserved in our memory, a small amulet, an optical illusion. Like the cancelling of the show that we are forced to see, the placing of a rubber barrier against which we can crash into without hurting ourselves too much, without hearing even the sound of our body bouncing off, falling to the floor, exhausted. Because at times, perhaps, we need something which is physical, but which is re-elaborated and reabsorbed into our memory or our conscience, which can deaden the rubble that surrounds us, which can act as a wall. I believe that the building of walls is not always harmful or damaging. Perhaps a little cowardly, that I will admit, but, with the right level of caution, also positive. In this case the barrier which has been built, even if only hypothetically, becomes a kind of cushion, a purely cerebral buffer zone. A wall, but one which allows us to breathe, to catch our breath, to interrupt the landscape when it becomes suffocating, when it shatters or melts us as though we were way too close to the sun to be able to stare for too long.

Opposite: Giovanni Marinelli, Blackplaces #08, 2015


Blackplaces by Andrea Tinterri Castelli, palazzi storici, antiche chiese. Una geografia immaginaria attraverso borghi fortificati di un’Italia fantastica. L’intenzione non è filologica, ma labirintica: perdere la riconoscibilità dell’edificio per costruire un percorso inedito, attraverso pezzi di storia, tracce frammentarie e sparse. Un labirinto velato, protetto da una parete semitrasparente che distanzia la vista, allontana l’emotività dell’impatto. Giovanni Marinelli con l’ultimo lavoro, Blackplaces, prosegue una ricerca che vede la città (storica o contemporanea che sia) ricodificata attraverso un velo cromatico che sembra sovrapporsi all’architettura: come un eco ovattato, qualcosa che riconosciamo, ma smorzato, forse rallentato. Percettivamente la tridimensionalità è conservata ma ridotta ai minimi termini. I piani si avvicinano e la loro apparente distanza sembra annullarsi. Questo permette alla fotografia di trasformarsi in superficie, o meglio, di rinnegare quella tridimensionalità che nel piano bidimensionale della carta stampata può essere solo inganno, truffa consentita e placidamente accettata. Marinelli costruisce immagini-scudo, al di là delle quali è difficile andare: barriere, barricate, ostacoli. Ecco, appunto, ostacoli. Non importa se il colore possiede l’austerità del nero o l’eleganza del grigio. Non importa se le fotografie sono stampate in grandi dimensioni o in formato ridotto. Rimangono protezioni, superfici a creare una divisione: al di qua e al di là dello schermo. Il punto di partenza è la città, l’architettura, la successione del costrutto urbano, gli interni affrescati, i balconi neoclassici. Ma cosa rimane di tutto questo? Praticamente nulla, un pretesto, un semplice e innocuo punto di partenza. Non siamo difronte ad un’analisi urbanistica, non c’è la minima intenzione di capire la città, o il singolo edificio, di restituirne un modello sul quale costruire un processo interpretativo. Marinelli frantuma in piccoli pezzi le pareti che compongono lo spazio-facciata. Nella maggior parte dei casi gli interni delle abitazioni non possono essere nemmeno immaginati, non c’è alcuna possibilità di entrare, di fare conoscenza con il vicinato, di ascoltare le voci che sfilano tra le finestre lasciate aperte da appe-

na qualche secolo. Non c’è nulla di tutto questo. Solo chiusura, chiusura cromatica che si fa materia compatta, solida, impermeabile. Nella fotografia di Marinelli non ci sono suoni, e non solo per la totale assenza dell’uomo, ma per la natura stessa del corpo dell’immagine: una massa isolante che separa in due il Mondo, come se realmente potesse essere suddiviso da piccoli schermi da frapporre tra noi e quello che ci sta di fronte, quello che non vogliamo avere davanti ai nostri occhi. Pezzi che devono essere ricollocati nello spazio e che, come nella migliore tradizione espositiva, probabilmente andranno ad occupare una parete di una galleria o di un salotto o di una camera, etc... Ma perché? Ossia per quale ragione riposizionare quei pezzi su altre pareti, le stesse dalle quali è stata strappata la superficie rendendola arma di difesa? Sicuramente in questo interviene un fattore puramente funzionale che vede la parete come luogo preposto all’esposizione, ma la fotografia in questione è un’immagine che ha bisogno di essere metabolizzata, portata con se e sfruttata al momento opportuno. È come resettare il paesaggio, è un qualche cosa, possibilmente, da conservare nella nostra memoria, un piccolo amuleto, un gioco d’illusione ottica. Come annullare lo spettacolo che siamo costretti ad osservare, frapporre una barriera di gomma contro alla qualche possiamo andare a sbattere senza farci troppo male, senza sentire nemmeno il rumore del nostro corpo che rimbalza cadendo a terra sfinito. Perché a volte, probabilmente, abbiamo bisogno di qualcosa di fisico, ma rielaborato e riassorbito nella nostra memoria o nella nostra coscienza, che possa attutire le macerie che ci circondano, che possa fare da muro. Credo che non sempre innalzare un muro sia una pratica deleteria o dannosa. Forse un po’ vigliacca, questo si, ma con la giusta cautela, anche positiva. In questo caso la barriera eretta, anche se solo in forma ipotetica, si trasforma in una sorta di cuscinetto, di buffer zone puramente cerebrale. Una parete, ma che consente di respirare, di prendere fiato, di interrompere il paesaggio, quando il paesaggio diventa asfissiante e ci frantuma o ci scioglie come se fossimo esageratamente vicini al sole che non possiamo fissare troppo a lungo.

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GIOVANNI MARINELLI blackplaCES PUBLICATION / CATALOGO This catalogue is published on the occasion of the project ‘Blackplaces’ at / Catalogo pubblicato per il progetto ‘Blackplaces’ presso SUISSE BANK Organized by / Organizzato da BAG GALLERY (www.bag-gallery.com) Publishing house / Casa Editrice Greta Edizioni Art direction Bildung Inc. (www.bildung-inc.com) Text / Testi Andrea Tinterri English translations / Traduzioni Daniel Clarke Image and artworks / Immagini ed opere ©Giovanni Marinelli Press services / Ufficio stampa BILDUNG Inc. relationship.bdg@bildung-inc.com All rights reserved, no part of the publication may be reproduced and/or stored in a retrieval system or transmitted in any form or by any means without the prior permission in writing of copyright holders and of the publisher. / Diritti riservati. Vietata la riproduzione anche nei casi di sola trasmissione dati, anche parziale, senza autorizzazione scritta dell’editore. Greta edizioni (www.gretaedizioni.com) Giovanni Marinelli, ‘Blackplaces’ ISBN 978-88-99367-16-9 Print in June, 2016 by / Stampato in giugno 2016 Graffietti Stampati, Italy 300 copies numbered and signed by the artist / Copie n. 300 numerate e firmate dall’artista N.

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