Who am I
A
cura
di
/
Curated
by
Christina
Magnanelli
Weitensfelder
&
Gaia
Conti
Who am I Fotografie e video di / Photos and video by Silvia Camporesi Esther Mathis A cura di / Curated by Gaia Conti Christina Magnanelli Weitensfelder
Il catalogo è pubblicato in occasione della mostra / This catalogue is published on the occasion of the exhibition
Who am I 14 dicembre 2013 - 15 febbraio 2014 14 december 2013 - 15 february 2014 BAG Photo Art Gallery via degli Abeti 104, Pesaro, Italy Si ringraziano / special thanks to Bag Curators Associazione Zeitgeist Bildung Inc. e L’Aperitivo Illustrato
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Chi si ha di fronte? Chi è questa persona?
“L’attività frenetica, a scuola o in università, in chiesa o al mercato, è sintomo di scarsa voglia di vivere. La capacità di stare in ozio implica una disponibilità e un desiderio universale, e un forte senso d’identità personale.” Robert Louis Stevenson, Elogio dell’ozio, 1877 Meno saranno i riferimenti, più il sistema organizzativo dell’identità sarà semplice. Davanti ad una molteplicità di informazioni, si farà fatica più ad organizzarle. La difficoltà di decodificazione della multimedialità moderna, è in grado di generare anche molte ipotesi di pensiero ed azioni: quindi oggi è diventato più difficile scegliere la sintesi del nostro sistema identitario. Era stato Aristotele il primo a definire cosa fosse l’ identità, spiegandola come un insieme di elementi positivi statici, mentre il suo esterno era concepito in termini negativi mobili. Questo concetto rimarrà abbastanza condiviso fino al XVIII secolo, in cui anche un filosofo come Kant continuerà in qualche modo a sottolineare ancora il pensiero di Aristotele, separando nettamente identità e alterità. Sarà Hegel a porre un limite a questa impostazione, definendo il mutamento dello stato più reale che la permanenza dello stato stesso, delineando quindi: sia l’interiorità che l’esteriorità dello stato d’identità. È all’incirca negli anni ’60 che marxismo, strutturalismo e funzionalismo integrano il concetto con il rapporto del sé nella prospettiva generalizzante: quella universalistica. Quindi, si ritiene a quel punto, che l’individuo si costruisca in un contesto sociale e non più nella sua sostanza (costruzione dell’immagine di sé). È evidente che dal concetto di sostanza (unità, continuità, permanenza) di Aristotele, si è passati ad una rappresentazione del sé, perché costretti a “recitare” un ruolo contestualizzato nei vari gruppi di appartenenza che, a loro volta, recitano un ruolo, perché correlato alla configurazione sociologica e politica nel quale vivono. Ma, poiché la rappresentazione è effimera in quanto non sostanza, esiste il problema del riconoscimento, oggi ricercato in tutti i modi, anche con un innalzamento dell’aggressività, sintomo primordiale del bisogno di affermazione, palesato come diritto universale quindi: Nonsense. Who am I racconta tutto questo: il rapporto dell’identità con il mutamento del contesto continuo. La narrazione delle opere blocca il tempo e ferma l’immagine nell’interrogativo più antico del mondo: chi sono? un riflesso di riconoscimento degli altri o sono io? Silvia Camporesi ed Esther Mathis sono riuscite egregiamente a sviluppare il tema della mostra fotografica di questo catalogo,
rappresentando l’onirico in rapporto con il sé. Un invito alla necessaria riflessione sull’identità, prima ancora di rapportarsi al contesto. Entrambe le artiste hanno infatti optato per dei lavori senza rappresentazione di individui sociali, ma sovente di una sola persona nel perimetro del suo universo. Il messaggio suggerito dall’incontro di artisti e curatori che si sono confrontati su un tema specifico come l’identità, è quello di intenderla come sostanza, dimenticando l’alterità del “noi” moderno, perché labile, situazionale e quindi illusoria.
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WHO DO WE HAVE BEFORE US? WHO IS THIS PERSON? What idea does this person have of him/herself? Identity is an amalgam of the ways a person represents him/herself. So is it perhaps a concept more than anything else? It is identity which enables the individual to move around within the social environment, so it is necessary to life. “Extreme busyness, whether at school or college, kirk or market, is a symptom of deficient vitality; and a faculty for idleness implies a catholic appetite and a strong sense of personal identity.” Robert Louis Stevenson, Apology for Idleness, 1877 The fewer references there are, the simpler the organisation of identity will be. It will be harder to organise a large amount of information. The difficulty of decoding the information from modern multimedia can also generate many hypotheses of concept and action, hence today it has become trickier to choose the synthesis of our system of identification. Aristotle was the first to define identity, explaining it as a combination of static positive
elements, while its exterior was conceived in mobile negative terms. This concept continued to be more or less accepted up to the 18th century, when the philosopher Kant also somehow still continued to endorse Aristotle’s concept, clearly separating identity and otherness. It was Hegel who placed limits on this interpretation, defining the change of state as more real than its permanence, thus underlying both the interiority and exteriority of the state of identity. In about the 1960s, Marxism, structuralism and functionalism integrated the concept with the relationship of the self within a generalising, i.e. universalist view. At that point the individual was conceived as evolving within a social context, no longer within his/her own substance (construction of the image of self). Clearly we have passed from Aristotle’s concept of substance (unity, continuity, permanence) to a representation of the self, because we are obliged to “act out” a contextualised role within the various groups we belong to; these in turn also act out a role, since they are correlated to the sociological and political configuration in which they live. But because representation is insubstantial, being in fact non-substance, there is the problem of recognition, which is today sought in all possible ways, even through a rise in aggressiveness, which is a primitive symptom of the need for self-affirmation, claimed as a universal right and hence Nonsense. Who am I represents all this: the relationship of identity with the continually changing context. The narration of the works halts the course of time and freezes the image within the oldest question in the world: who am I? Am I a reflection of other people’s recognition of me or am I me? Silvia Camporesi and Esther Mathis have succeeded admirably in developing the theme of the photographic exhibition of this catalogue, representing the dream-world in relation to the self: an invitation to the reflection on identity which is necessary before we relate ourselves to the context. Both artists have in fact opted for works which do not represent social individuals, but often one person within the boundaries of his/her specific universe. The message suggested by the meeting of artists and curators who have tackled the specific theme of identity is that it should be understood as substance, forgetting the otherness of the modern “we”, because this is unstable, situational and hence illusory.
01 Silvia Camporesi, DANCE DANCE DANCE, still frame, 2007, 4’32’’ 02 Silvia Camporesi, Stalker #1, 2013, inkjet print cm 75x110 | 03 Silvia Camporesi, Stalker #2, 2013, inkjet print cm 75x110
Che idea ha di se stessa la persona? L’identità è un insieme di rappresentazioni che la persona ha del proprio sé. Quindi è forse, più che altro, un concetto ? È l’identità che permette all’individuo di muoversi nell’ambiente sociale: quindi essa è necessaria alla vita.
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by Christina Magnanelli Weitensfelder
L’uomo moderno vive in un mondo caratterizzato da un impianto sociale massificato e livellato, dalle informazioni agli stili di vita, che gli preclude la capacità di distinguere l’Io dal non Io, per delimitare i confini del Sè e del mondo. Distinguersi o differenziarsi? Un interrogativo che può causare un senso di sgomento misto a sentimenti quali paura, delusione, sconforto, inquietudine. Cosa si prova di fronte a noi stessi? Cosa si prova di fronte ad un’opera d’arte? Qual è l’atteggiamento e quali i sentimenti che endemicamente coinvolgono lo spettatore? Nello scorrere con lo sguardo i lavori delle artiste in esposizione ci si accorge come il loro approccio alla fotografia si discosti nella forma, ma si avvicini in maniera impressionante quando si passa ad una traduzione delle immagini in pensiero/contenuti. Quando si inizia l’approccio all’essenza del loro essere. Cos’è che ci spinge fin dalla notte dei tempi ad indagare, scavando nel nostro essere più profondo, nell’enigma della nostra esistenza? Religione, filosofia, poesia, Buddha, Kant, Nietzsche, solo per citarne alcuni, hanno scavato alla ricerca dell’Io, senza mai dare una risposta univoca. Who am I chi sono io - è la domanda che campeggia a titolo di questa esposizione. Non si vogliono dare spiegazioni e nemmeno aprire nuove questioni o interpretazioni. Due curatrici. Due artiste. Una doppia personale tutta al femminile in cui Silvia Camporesi ed Esther Mathis, la prima italiana e la seconda svizzera, offrono i loro punti di vista che camminano su due binari paralleli. Un viaggio attraverso le immagini che ci guida nel cammino interiore e nell’immaginario mentale di queste due anime di cui si possono cogliere le peculiarità, le unicità e le diversità. Silvia Camporesi: Chi sono io - in questo spazio provvisorio - ancora non lo so. A poco a poco comporrò la mia origine, svelerò i miei volti Per nascere di nuovo In una fessura del tempo. Le due immagini inedite della serie Stalker di Silvia Camporesi sono due paesaggi urbani che riprendono le atmosfere morbide ed eteree dell’omonimo film di Andrej Tarkovskij, uno dei pochi registi del panorama contemporaneo in grado di inventare nuove forme espressive. Un ragionamento che parte dal presupposto che solo una verità si mostra nuda dinnanzi a chi osserva e vuole spingersi oltre, rovistare dentro il suo inconscio per carpire la parte più intima di sé. Ed ecco i due ambienti spogli, ma accoglienti, una camera ed un passaggio che porta verso la realizzazione del proprio Io, la felicità, l’uomo con la sua dignità, verso una quarta dimensione, la stessa ipotizzata dal regista come dimora inconsapevole di una parte della nostra coscienza. DANCE DANCE DANCE è un ballo spasmodico e disarticolato, la protagonista si muove nello spazio angusto e soffocato. Gambe, braccia e muscoli tesi
in una danza istintiva ed entropica di un corpo che svela anima e spirito costretti, annegati in un fondo emotivo quale quello di una piscina, senza sfogo. Un ambiente compresso, come compresso è il paradigma che costringe la danzatrice in questo luogo senza lasciarla libera di muoversi armoniosamente verso la liberazione spirituale. Nella serie Stato nascente la forza centrifuga si placa e protagonisti non sono gli atti, ma le figure umane, presenti o richiamate, statiche e ritratte in un ambiente asettico di cui non ci sono riferimenti. Delle figure che sono coperte, interamente o parzialmente, senza identità e celate nel loro essere. Un velo, un lenzuolo le ri-copre, le avviluppa. Una sorta di grande drappo le avvolge morbidamente non come strumento di seduzione o di mistero, ma una sorta di barriera fisica, palpabile che impedisce di accedere alla conoscenza del soggetto raffigurato, che non permette di ri-velare. Molto spesso le immagini della Camporesi traggono ispirazione dalla mitologia, dalla letteratura, dalla poesia o dalla filosofia. Il lenzuolo, il velo - dal latino velum, tenda o cortina - è un leitmotiv ricorrente nelle sue produzioni. Il suo uso nell’antichità è rintracciabile nelle raffigurazioni di donne velate che richiamano il simbolismo alchemico, ma in questo caso specifico l’artista lo riconduce ad una situazione di ri-nascita, purificazione, ad uno stato nascente, come fa menzione il titolo, per ricordare che ciò che è nascosto alla vista è un bene prezioso che necessita un’adeguata attenzione e un adeguato livello di conoscenza per poter essere ri-velato. Esther Mathis: so it seems the only reason we exist is because when big electrons called muons collide they create ever so slightly more matter than anti matter. What, besides other things triggers elements to expand, gravitate and produce gas that cools down and makes water where life somehow appears from non organic matter and eventually you and me. whereas if muons and anti-muons created the same amount of matter and anti matter everything would be balanced and static. Dal velo come cortina tra il soggetto e il mondo che lo circonda, alle immagini velate, opache e immerse nella nebbia della serie Weiss della giovane Esther Mathis. Un bianco su bianco di grande impatto, ma di delicata resa. In questo caso non ritroviamo i corpi solidi della Camporesi, ma figure o spazi aperti, appena percepibili, se ne riconoscono i bordi, le silhouette talmente flebili da non permettere di identificare le specificità dell’individuo o del paesaggio raffigurato. Esther usa il non colore per eccellenza per esprimere un sentimento atono,
senza rumore né eco. La medesima assenza che si percepisce anche nel video Schnee nel quale il corpo della protagonista, l’artista stessa, immobile, è in balia dell’ambiente che la circonda sopraffatta da una melodia composta dal crepitio ritmico della neve che fa sembrare il video un dipinto dai leggeri movimenti. Isolamento e meditazione. Il complesso dei lavori di Esther in esposizione appartengono a serie e periodi differenti, ma sono tutti armoniosamente concatenati come dei nuclei narrativi, degli elementi catalizzatori che vanno oltre il mondo tangibile. Trame astratte che esprimono significati, ricordi, suggestioni, ricche però di moltissimi particolari visibili mano a mano che l’occhio vi si posa insistentemente. I due still Bubble_01 e Bubble_03, stampati ruvidamente su carta semplice, sono tratti dal video Bubble e riprendono l’effetto magico, e allo stesso tempo fragile e aleatorio, di una bolla, una struttura perfetta che ammalia scienziati, matematici, fisici, architetti per la sua precisa geometria e il suo rigore. Rimane pur sempre una struttura dall’equilibrio delicato che alla minima variazione si tende e si polverizza nel nulla. Dispercezione. La bolla scoppia e il mondo che custodisce se ne va con lei lasciando il soggetto senza più un rifugio; il risveglio e la ripresa di coscienza del sé si attua in quell’istante che è cristallizzato come eterno e momentaneo al contempo. Le opere della giovane Mathis possono sembrare a prima vista impenetrabili, spesso perché i suoi lavori si rifanno a processi fisici e chimici nei quali le sensazioni creano un cortocircuito emotivo. A chiudere il cerchio in questa esposizione sono invece due lavori, Untitled01 e Untitled02, che pur mantenendo inalterata una distanza emotiva nel titolo, raccontano il suo intimo più profondo. Si tratta di due ingrandimenti da vetri sui quali ha archiviato in maniera biologica un capello e una goccia di sangue. A vederli possono sembrare lo scarabocchio di un bambino su di un foglio nero, ma entrambi rappresentano l’espressione di una complessa struttura e una porzione privata dell’artista che così si espone senza filtri al mondo esterno. Un dialogo aperto tra le due artiste, un dialogo visivo di espressioni e di opere, fatto di parole e di forme dal linguaggio indagatorio. Un dialogo che si completa grazie anche al supporto delle narrazioni video. Una mostra intima, personale, fatta di racconti e di storie. Due giovani artiste che trasmettono una propria verità rappresentando un’immagine della propria percezione del reale affinché lo spettatore possa condividerne l’esperienza. Un percorso espositivo che è un giudizio di realtà o un gioco immaginario? “Sono io che sto seduto sulla pietra, oppure io sono la pietra su cui lui sta seduto?” - prendendo in prestito le parole di Carl Jung. Una definizione dell’essere. Tradurre parole e pensieri in visioni statiche o in movimento attraverso dei lavori che s’inscrivono in un percorso etimologico circolare, che a volte ruota attorno a se stesso, a volte si incrocia o si allontana, come cerchi nell’acqua.
di Gaia Conti
“Io sono. Io chi sono? Il cielo è primordialmente puro ed immutabile Mentre le nubi sono temporanee Le comuni apparenze scompaiono Con l’esaurirsi di tutti i fenomeni Tutto è illusorio privo di sostanza Tutto è vacuità” Franco Battiato - Io chi sono
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04 Esther Mathis, Bubble_03, 2011, inkjet print on paper, cm 50x90 (image no frame), edition of 70
Come cerchi nell’acqua
05 “I am. Who am I? The sky is primitively pure and unchangeable While the clouds are temporary Common appearances disappear With the depletion of all phenomena Everything is illusory lacking in substance Everything is emptiness” Franco Battiato - Io chi sono
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05 Esther Mathis, Schnee, 2008,video 4:3, 15 min, 4/5
LIKE RINGS IN THE WATER Modern man lives in a world characterised by a society which is massified and uniform in all its aspects, from information to lifestyle; this prevents him from being able to distinguish the Ego from the non-Ego in order to define the confines of self and the world. Should we distinguish or diversify ourselves? This question can cause a sense of dismay mingled with feelings like fear, disappointment, distress, anguish. What do we feel as we contemplate ourselves? What do we feel in front of a work of art? What attitude and what feelings endemically involve the viewer? Looking at the works of the artists on show here we realise that their approaches to photography differ in form but are strikingly similar when we consider instead the translation of the images into thought/content, i.e. when we begin to approach the essence of their being. What is it that has urged us since time immemorial to investigate the enigma of our existence, digging into our deepest being? Religion, philosophy, poetry, Buddha, Kant, Nietzsche, just to name a few, have dug deep in their search for the Ego, without ever coming up with a unified answer. Who am I is the question posed by the title of this exhibition. There is no intention of explaining or even opening up new questions or interpretations. Two female curators. Two female artists. A double all-female show in which Silvia Camporesi and Esther Mathis, respectively Italian and Swiss, offer their parallel points of view. A journey through images which guides us along an inner path and into the mental imagery of these two souls, conveying their particularity, uniqueness and difference. Silvia Camporesi: Who I am – in this temporary space – I don’t know yet. Little by little I’ll compose my origin, reveal my faces To be born again In a crack of time. The two hitherto unseen images from the series Stalker by Silvia Camporesi are two urban landscapes which show the soft, ethereal atmospheres of the film of the same name by Andrej Tarkovskij, one of the few contemporary directors who has invented new expressive forms. A line of reasoning which starts from the premise that only a truth shows itself naked to the observer and wishes to push onwards, rummaging in its unconscious to grasp the most intimate part of itself. And here we see two bare but cosy spaces, a room and a corridor leading to the fulfilment of self, to happiness, to man with his dignity, to a fourth dimension, the same one hypothesised by the director as the unwitting dwelling of part of our consciousness. DANCE DANCE DANCE is a spasmodic, disjointed dance, the protagonist moving in a cramped, suffocated space. Legs, arms and muscles tensed in an
instinctive, entropic dance of a body, revealing a soul and spirit which are confined and drowned in an emotional bottom like that of a swimming-pool, with no safety vent. A environment which is compressed like the paradigm which forces the dancer into this place without leaving her free to move harmoniously towards spiritual freedom. In the series Stato nascente, the centrifugal force eases off and the protagonists are not the acts, but the human figures, present or remembered, static and portrayed in an aseptic environment for which there are no references. Figures which are wholly or partially covered, without identity and hidden within themselves. A veil, a sheet, re-covers and wraps them. A kind of large drape softly envelops them not as a tool of seduction or mystery, but as a kind of physical, palpable barrier barring access to knowledge of the subject shown, who does not allow him/herself to be revealed. Very often Camporesi’s images are inspired by mythology, literature, poetry or philosophy. The sheet, the veil (from the Latin velum, curtain or screen) is a recurring leitmotiv in her productions. Its use in ancient times can be seen in the veiled women who recall the symbolism of alchemy, but in this specific case the artist wishes to express a situation of re-birth, purification, a nascent state as the title indicates, to remind us that what is hidden from sight is a precious asset requiring adequate care and adequate knowledge in order for it to be revealed. Esther Mathis: so it seems the only reason we exist is because when big electrons called muons collide they create ever so slightly more matter than anti matter. What, besides other things triggers elements to expand, gravitate and produce gas that cools down and makes water where life somehow appears from non organic matter and eventually you and me. whereas if muons and anti-muons created the same amount of matter and anti matter everything would be balanced and static. From the veil as a screen between the subject and the surrounding world, to the veiled, opaque mistsoaked images of the series Weiss of the young Esther Mathis. A white on white of great impact but delicately crafted. In this case we do not find the solid bodies of Camporesi, but just perceptible figures or open spaces; we recognise their edges, their silhouettes, which are so faint as not to permit identification of the specific traits of the individual or landscape shown. Esther uses the non-colour par excellence to express an atonal, noiseless, echoless feeling. The same absence can also be
perceived in the video Schnee (Snow), in which the motionless body of the protagonist (the artist herself) is at the mercy of the surrounding environment, overpowered by a melody composed by the rhythmic crackling of the snow, which makes the video seem like a painting with light brush-strokes. Isolation and meditation. Esther’s works on show here come from different series and periods, but they are all harmoniously linked like narrative nucleuses, catalysing elements which go beyond the tangible world. Abstract plots expressing meanings, memories and stimuli from which however rich details emerge on close, insistent scrutiny . The two stills Bubble_01 and Bubble_03, roughly printed on simple paper, are taken from the video Bubble and show the magical and at the same time fragile and uncertain effect of a bubble, a perfect structure which fascinates scientists, mathematicians, physicists, architects for its precise geometry and rigour. It remains however a delicately-balanced structure which at the slightest variation tenses and bursts into nothing. Dysperception. The bubble bursts and the world it protects goes with it, leaving the subject without any refuge; the reawakening and recovery of self-consciousness is activated in that instant which is crystallised as both eternal and momentary. The works of the young Mathis may at first sight seem to be impenetrable, often because her works mimic physical and chemical processes in which the sensations create an emotional short-circuit. Bringing this exhibition full circle however are two works Untitled01 and Untitled02 which, although retaining an emotional distance in their titles, recount the deepest recesses of her being. They are two enlargements of slides on which she has biologically filed a hair and a drop of blood. As we look at them they seem like a child’s doodle on a black sheet, but they are both expressions of a complex structure and of a private portion of the artist, who thus exposes herself without filters to the outside world. An open dialogue between the two artists, a visual dialogue of expressions and works, made up of words and investigative language. A dialogue which is completed also thanks to the support of the video narrations. An intimate, personal exhibition created with narrations and stories. Two young artists communicating their own personal truths by representing an image of their perceptions of reality, so that the viewer is able to share their experience of them. Is this exhibition a judgment of reality or a game of imagery? “Is it I who am sitting on the stone, or am I the stone on which he is sitting?”, to borrow the words of Carl Jung. A definition of being. Translating words and thoughts into static or moving images through works which compose a circular etymological itinerary; at times it revolves around itself, at times it crosses or moves away from itself, like rings in the water. by Gaia Conti
Silvia Camporesi, Stato nascente #8, 2008, inkjet print on fine art paper cm 120x80, edition 3 + 1 AP
Silvia Camporesi. Nata a Forlì nel 1973, laureata in filosofia a Bologna, vive e lavora a Forlì. Attraverso i linguaggi della fotografia e del video costruisce racconti che traggono spunto dal mito, dalla letteratura, dalle religioni e dalla vita reale. Le sue immagini vertono sempre sulla ricerca del limite fra finzione e realtà. Al suo attivo numerose esposizioni sia in Italia che all’estero. Born in Forlì, Italy, in 1973. She has a University Degree in Philosophy at the University of Bologna and she is now living and working in Forlì. Trough the language of photography and video she “write” novels taken inspiration by miths, literature, religions and from the real life. Her images always revolve on finding the boundary between fiction and reality. She has had several exhibitions both in Italy and abroad.
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Silvia Camporesi, Stato nascente #1, 2008, inkjet print on fine art paper cm 80x110, edition 3 + 1 AP
Silvia Camporesi, Stato nascente #3 2008, inkjet print on fine art paper cm 80x120, edition 3 + 1 AP
Silvia Camporesi, Stato nascente #7, 2008, inkjet print on fine art paper cm 38x52, edition 3 + 1 AP
Silvia Camporesi, Stato nascente #4, 2008, inkjet print on fine art paper cm 38x52, edition 3 + 1 AP
Silvia Camporesi, Stato nascente #5, 2008, inkjet print on fine art paper cm 38x52, edition 3 + 1 AP
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Silvia Camporesi, Stato nascente #2, 2008, inkjet print on fine art paper cm 80x110, edition 3 + 1 AP
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Esther Mathis, Weiss #1, 2008, archival pigment print on hahnemühle paper, cm 80x60, 1/5
Esther Mathis. La fotografa svizzera Esther Mathis, classe 1985, è una giovane artista emergente nel panorama internazionale contemporaneo. Dopo il diploma all’Istituto Europeo di Design di Milano, ha vinto una scholarship alla School of Visual Arts di New York. Attualmente frequenta un Master alla Zürcher Hochschule der Künste di Zurigo. La fotografia ricopre un ruolo centrale nel suo lavoro, anche se ultimamente video, installazioni e sculture ne sono parte integrante a creare un interessante gioco di prospettive e combinazioni. Vive e lavora a Zurigo.
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Currently living and working in Zurich, the Swiss artist and photographer Esther Mathis (1985, Switzerland) is one to watch in the young, contemporary art scene. A student of the Istituto Europeo di Design in Milan, Mathis was awarded a scholarship for The School of Visual Arts in New York, and is currently doing her Master’s at the Zürcher Hochschule der Künste in Zurich. With photography playing a central role to her work, Mathis has been branching out to include video, installation, as well as sculpture in her oeuvre, resulting in an exciting combination or perspectives.
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Esther Mathis, Weiss #3, 2008, archival pigment print on hahnem端hle paper, cm 80x60, 1/5
Esther Mathis, Weiss #4, 2008, archival pigment print on hahnem端hle paper, cm 80x60, 1/5
Esther Mathis, Weiss #5, 2008, archival pigment print on hahnem端hle paper, cm 80x60, 1/5
Esther Mathis, Weiss #6, 2008, archival pigment print on hahnem端hle paper, cm 80x60, 1/5
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Esther Mathis, Untitled_01, 2013, gelatin silver print of a hair sample. cm 33.7x28.7 (print size before framing) 2/3
Esther Mathis, Untitled_02, 2013, gelatin silver print of a blood sample. cm 33.7x28.7 (print size before framing) 2/3
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Who am I
14 dicembre 2013 - 15 febbraio 2014 14 december 2013 - 15 february 2014 organizzazzione / organization BAG photo art gallery Bag Curators Associazione Zeitgeist
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editore / publisher Greta Edizioni traduzioni / translations Susan Charlton comunicazione / communication Bildun Inc. tutti i diritti riservati / all rights reserved nessuna parte di questo catalogo può essere riprodotta senza l’autorizzazione dei proprietari dei diritti. / no part of this publication may be produced without the prior permission in writing of copyright holders. stampato presso / printed in Graffietti stampati nel mese di novembre 2013 / in the month of november 2013
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L’APERITIVO ILLUSTRATO the
unconventional
magazine
Zeeva Production
“Noi che ricerchiamo la conoscenza, ci siamo sconosciuti, noi stessi ignoti a noi stessi, e la cosa ha le sue buone ragioni. Noi non ci siamo mai cercati, e come avremmo mai potuto, un bel giorno, ‘trovarci’?” Friedrich Wilhelm Nietzsche - Genealogia della morale “We are unknown to ourselves, we men of knowledge - and with good reason. We have never sought ourselves - how could it happen that we should ever ‘find ourselves’?” Friedrich Wilhelm Nietzsche - Genealogy of morality
B A G A R T p h o p h o t o
a r t
g a l l e r y
greta edizioni ISBN 9788890820151
18 ₏ (IVA assolta dell’editore)