Dedichiamo HANDMADE 11 “Hot N Cold” a Piero Superchi, uomo dall’animo elegante che tanto ha dato, con passione e competenza al nostro amato mondo delle lancette
Hot N Cold
PREFAZIONE: NOTA PER IL LETTORE
MA ALLORA , gli orologi si riescono a comprare oppure no? Cosa sta succedendo? Prima, sostanzialmente dalla fine degli anni ‘80 in poi, eravamo abituati a non trovare il Daytona in concessionaria. Sembrava quasi confortante sapere che non saremmo mai riusciti a comprarne uno a listino, se non raccomandandoci inutilmente ad un rivenditore ufficiale. Ci sono addirittura dei giovani appassionati, teoricamente un po’ tutti quelli sotto i trent’anni, che non hanno mai avuto la gioia di vederne in vetrina uno in acciaio che non avesse la patch solo per esposizione
Poi un giorno qualcuno, non senza provare un brivido sulla schiena, alla domanda se fosse possibile acquistare un GMT-Master, si è sentito rispondere: «certo, torni tra un paio d’anni». In quel momento dalla cima della montagna si è staccato il primo sasso e novello rolling stone ha iniziato a rotolare, trascinando con sé tutti gli altri sassi. Così è diventato introvabile il Submariner, poi il Sea-Dweller, l’Explorer, persino l’Oyster che tutti chiamano Tiffany, ma Tiffany non è…… A questo punto l’unica è provare a cambiare “porta”: «forse spendendo di più andrà meglio?» Macché! «Vorrei acquistare un Aquanaut…», sorriso di convenienza, invito a ripresentarsi dopo tre anni. «Un Nautilus?», sorriso di compatimento, neanche si prendono gli ordini. Poi, come una pandemia - che è pure un termine di moda in questo periodo - non si trovano più gli Overseas, gli Speedmaster, per non parlare del Royal Oak per i 50 anni!
Cosa fare? Esce il nuovo Swatch che è come lo Speedmaster: successone. «Costa come una bolletta media del metano, vado al negozio e lo compro?» Neanche per idea. Se abiti nella città giusta ti puoi mettere in una fila che qualche ragazzino in vena di speculazioni - ma anche novello licantropo - inizia ogni giorno alle tre di notte e quasi sicuramente quando arriva il tuo turno i MoonSwatch sono finiti. Se abiti nella città sbagliata? Semplice, prendi un mezzo di locomozione, vai nella città “giusta” e perdi solamente il tuo tempo come ha fatto il poverino descritto quattro righe sopra.
Tutto questo finirà? Per certi versi speriamo di sì, per altri ci conforta il fatto che il mondo dei segnatempo sia tornato così prepotentemente sulla bocca e al polso di tutti, che le sue quotazioni crescano, che ci si accapigli per riuscire a spendere anche solo 250 euro.
Quelli che scompariranno, anzi che già stanno scomparendo, sono gli speculatori, che hanno reso il nostro mondo Hot N Cold, come dice il titolo di questo numero 11 di HANDMADE. Quelli che hanno comprato solo per rivendere al massimo, che hanno svuotato il mercato regolare per alimentarne un altro grigio, ormai gonfio di orologi ma vuoto di compratori, che hanno tirato su e giù i prezzi per massimizzare il profitto. A loro, che sono sempre esistiti e sempre esisteranno, va comunque il merito di averci creduto. A noi e a tutti gli appassionati, distributori e produttori, l’onere e l’onore di continuare a crederci.
‘Cause you’re hot then you’re cold. You’re yes then you’re no. You’re in then you’re out. You’re up then you’re down. (Katy Perry)
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SEIKO / MATTEO PUGLIESE Un samurai a San Patrignano 120 ZANNETTI Mestieri d’arte: la micropittura 124
HUBLOT Richard Orlinski e l’anello mancante 126 CHANEL “1932” High jewelry collection 132 CASSETTI 1926
Da ponte vecchio una preziosa storia di passione
DIRETTORE RESPONSABILE
Paolo Gobbi ppgobbi@handmade-editore.com
HANNO COLLABORATO:
Lara Mazza, Naomi Ornstein
Massimiliano Cox, Giovanni Titti Bartoli Carlo Borlenghi, Luca Garbati Mauro Girasole, Claudia Gobbi Nilushana Wijegunaratne Emanuela Di Mundo, Andrea Foffi Manlio Giustiniani, Marco Valerio Del Grosso, Manuel Maggioli, Roberto Randazzo
Alessandro Fanciulli, Giulia Nekorkina
Matteo Zaccagnino, Bibiana La Rovere
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Gianpiero Bertea
MANAGING DIRECTOR
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SERVIZIO MODA
Gaia Giovetti Lucio Convertini, Costanza Maglio
SEGRETERIA
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ARRETRATI E ABBONAMENTI: tel. +39 06 8777 3314 info@handmade-editore.com
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La carta utilizzata da Handmade: copertina: Sappi Magno Satin interno: Sappi Magno Volume
IN CAMPO CON UEFA WOMEN’S EURO
Dopo la finale della UEFA Women’s Champions’ League, Hublot si prepara ancora una volta a vivere e condividere magici momenti di calcio. Per la prima volta, UEFA e Hublot uniscono le forze per il calcio femminile. Nello scorso luglio è stato dato il calcio d’inizio della prima partita, InghilterraAustria, all’Old Trafford, con un programma che ha previsto 25 giorni di partite, 16 squadre, 10 stadi e la finale a Wembley. Per la prima volta in 22 anni, la Germania non inizierà il torneo da detentrice del titolo, che nel 2017 è stato conquistato dall’Olanda. A dimostrazione del fatto che il calcio femminile sta guadagnando visibilità, la UEFA ha già annunciato che l’evento del 2022 stabilirà nuovi record di spettatori e di audience televisiva. Inoltre, prendendo a modello il suo ruolo di
sponsor per le competizioni maschili della UEFA, dal 2015 Hublot veste i colori del calcio femminile sostenendo molte manifestazioni nazionali e internazionali. «Che si tratti di calcio maschile o femminile, per noi è e rimane calcio - ha detto il CEO Guadalupe - uno sport ricco di passione e ispirazione, aperto e accessibile a giocatori di entrambi i sessi. Come sport deve ancora crescere e diventare più inclusivo. Per Hublot, essere partner UEFA e sponsorizzare un evento come la Women’s Euro 2022 significa anche sostenere gli obiettivi dell’Unione delle Federazioni Calcistiche Europee nel desiderio di aumentare la visibilità e la conoscenza del calcio femminile e raddoppiare il numero di calciatrici tesserate entro il 2024.»
INVESTIRE IN OROLOGI DI LUSSO
L'unico libro che ti spiega tutto ciò che devi sapere per investire in orologi di Lusso in maniera profittevole da chi lo fà come mestiere da una vita.
Il primo libro al mondo sugli ”Investimenti in orologi di lusso". Migliaia di trattative e orologi acquistati e venduti in ogni angolo del mondo hanno permesso la creazione di questo libro..
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VAN CLEEF
& ARPELS
UN INNO ALLE PERLE D’ORO
In armonia con lo stile gioioso della collezione Perlée di Van Cleef & Arpels, cinque nuovi anelli ornati di perle d’oro rivelano una palette di pietre ornamentali luminose. Queste creazioni dalla forma bombata reinterpretano l’estetica degli anelli Philippine creati dalla Maison nel 1968 e contraddistinti dall’abbinamento di pietre ornamentali e diamanti in composizioni audaci e colorate caratteristiche della gioielleria del periodo. Queste novità apportano una nota di creatività alla collezione, donandole uno spirito pop e solare. Al centro di una montatura bombata, ogni creazione valorizza una pietra accuratamente
selezionata per l’intensità del colore e le proporzioni generose. Il nero brillante dell’onice, il verde profondo finemente venato della malachite o – disponibili in numero limitato a causa della loro rarità – il blu sottilmente pagliuzzato del lapislazzuli, l’azzurro del turchese, il rosso-arancio del corallo: le sfumature si uniscono all’oro giallo per dare vita a creazioni luminose. Alle estremità della gemma, si dispiegano due file di delicate perle d’oro e una di diamanti taglio rotondo. Grazie alla tecnica della lucidatura a specchio, che enfatizza lo splendore del metallo prezioso, questi gioielli creano giochi di luce e contrasti.
UN OMAGGIO AL MONDO DEL MARE
Vacheron Constantin invita a immergersi negli abissi marini alla scoperta del cavalluccio marino e dei suoi misteri. Il protagonista di questa avventura è un quadrante che unisce diversi métier d’art della tradizione. Nascosto tra la vegetazione dell’oceano, il cavalluccio marino è realizzato in smalto cloisonné con pinne ornate di pietre preziose su sfondo parzialmente guilloché. La cassa e le anse sono state rifilate per accogliere gli zaffiri incastonati nella lunetta. Questa edizione in esemplare unico è alimentata dal calibro 2160, un movimento tourbillon ultra-piatto a carica automatica sviluppato e prodotto da Vacheron Constantin. Il cavalluccio marino si inserisce con grande naturalezza nel tema figurativo “Les Royaumes Aquatiques”, scelto da Vacheron Constantin nel 2022 per le edizioni in esemplare unico Les Cabinotiers. Misterioso animale rivestito da una corazza simile a quella di un insetto e dotato di
una coda prensile come quella di una scimmia, nuota solo in verticale, con la testa e il muso in avanti, come un cavallo. Il suo habitat naturale sono i fondali marini, tra distese di alghe e piante acquatiche: è proprio in questo contesto che Vacheron Constantin ha deciso di raffigurarlo sul quadrante del segnatempo Les Cabinotiers tourbillon gioielleria – Cavalluccio marino. In questa creazione, i maestri artigiani della Manifattura combinano le tecniche del guillochage, dell’incisione, della smaltatura e dell’incastonatura delle pietre preziose. Il risultato è una celebrazione della magnificenza degli oceani e un omaggio al tema di quest’anno: “The Anatomy of Beauty”, ovvero l’armonia complessiva che nasce dalla cura dei dettagli. La cassa in oro rosa del diametro di 39 mm, impreziosita da zaffiri blu degli, ospita il calibro 2160, un movimento tourbillon che si distingue per lo spessore ridotto nonostante la carica automatica.
ITALIA YACHTS
AL SALONE DI GENOVA DEBUTTA L’IY 12.98
Un progetto tutto nuovo atteso da chi è alla ricerca di una barca costruita per navigare regalando un grande comfort negli interni, vivibili con estremo piacere anche per il lungo tempo di una crociera, e del divertimento nella conduzione di un mezzo solido, sicuro e ben calibrato. Nella progettazione, affidata a Maurizio Cossutti, Alessandro Ganz in collaborazione con l’Italia Yachts Design Office hanno avuto una rilevanza importante le simulazioni idrodinamiche e l’analisi dei dati per l’ottenimento di linee filanti fatte per scivolare sull’acqua e consentire il miglior passaggio sull’onda. Linee che risultano leggere e meno aggressive delle ultime nate in casa Italia Yachts. Leggera al timone e facile da portare, anche la IY 12.98 new mantiene saldamente le caratteristiche peculiari di tutta la gamma Italia Yachts. Se gli esterni e la coperta
sono ben studiati per vivere all’aria aperta senza intralci, grazie al passaggio sottocoperta di tutte le manovre e agli osteriggi a filo, anche il pozzetto lascia ampi spazi completamente liberi da ostacoli per passare agevolmente da poppa a prua. La classica spiaggetta ribaltabile diventa un’apprezzabile terrazza sull’acqua. L’interpretazione degli interni di IY 12.98 è frutto della matita di Mirko Arbore & Partners: «Il main concept sul quale si basa lo studio degli interni dell’IY 12.98 sono stati la leggerezza e il comfort in crociera. Il design degli interni punta sul ricreare in barca la stessa atmosfera calda e accogliente di casa. . A sottolineare questa volontà il quadrato dell‘IY 12.98 Bellissima è arredato con veri divani, con sponde alte e avvolgenti, che ricordano la comodità delle sedute di casa.»
PERCHÉ INVESTIRE IN OROLOGI DI LUSSO?
Per certi versi è complesso e difficile, è vero, ma quello degli orologi di lusso resta un business su cui vale la pena investire, per diversi motivi. Il più importante è che gli orologi di lusso sono oggetti molto ambiti, con un grande appeal e che interessano una tipologia di compratori con ampie disponibilità economiche. Si sa, il mercato del lusso non risente degli andamenti sfavorevoli dell’economia, ma anzi è proprio in questi momenti che il potere d’acquisto delle persone facoltose aumenta.
Complici del successo dei preziosi sono anche l’alta fungibilità in denaro e, ancora, la conservazione nel tempo. Nonostante siano caratterizzati da meccanismi interni molto precisi e delicati, gli orologi, a differenza di altri beni oggetto di investimenti, hanno la straordinaria capacità di conservare le loro condizioni nel tempo. Questo aspetto li mantiene desiderabili a distanza di decenni e, al contempo, ne aumenta il valore in modo esponenziale, rendendoli un’opzione molto interessante per un investimento.
Investire in Orologi di Lusso: Nuova edizione - ISBN-13 979-8791193582 - 208 pagine, 48 euro L’unico libro che ti spiega tutto ciò che devi sapere per investire in orologi di Lusso in maniera profittevole da chi lo fà come mestiere da una vita. Per info: www.paolocattin.it Per acquistare il libro: www.amazon.it
LE LANCETTE RIPARTONO DA GINEVRA
Un tempo l’orologio serviva per conoscere l’ora, poi è diventato un oggetto da ammirare e la funzione di segnatempo è passata in secondo piano, oggi possiamo addirittura specchiarci nel suo quadrante. A proporre un modello interamente in acciaio lucido, con il quadrante a specchio è stata Bulgari, che in questa maniera ha dato il via ai Geneva Watch Days 2022 che si sono svoti qualche giorno addietro nella capitale svizzera dell’orologeria. In realtà quello proposto da Bulgari è un modello realizzato in serie limitata di 360 pezzi, realizzato con l’architetta giapponese Kazuyo Sejima. Si tratta di uno spettacolare orologio Octo Finissimo
Edizione Sejima, caratterizzato da singolari effetti specchiati. Lavorando sul contrasto tra materia e trasparenza, visibile e invisibile, l’architetta ha progettato questo orologio per riflettere e riproporre i codici estetici che attraversano il suo lavoro. Il modello si distingue per un potente effetto specchiato sul quadrante in vetro zaffiro, arricchito da un motivo a puntini ideato sempre dalla stessa architetta, ed ulteriormente esaltato dalla cassa e dal bracciale in acciaio lucido. Ha lavorato sull’estetica anche H. Moser & Cie., che a Ginevra ha presentato il suo Streamliner in una versione in oro rosso, con movimento automatico e dispositivo tourbillon volante.
Unico nel suo genere il quadrante nero in Vantablack, un rivestimento innovativo creato nel 2012 e proveniente dal campo dell’astrofisica e preso in prestito dall’industria aeronautica. Si tratta di un rivestimento ultranero, riconosciuto come la sostanza più scura che esista, è utilizzato in astrofisica all’interno dei telescopi e in ambito militare per il camouflage termico. Questo materiale è composto da nano strutture di carbonio posizionate le une di fianco alle altre. Nel momento in cui un fotone entra in contatto con il Vantablack, la luce viene assorbita al 99,965% e siccome l’occhio necessita di luce riflessa al fine di percepire ciò che si trova dinnanzi a lui, il Vantablack viene avvertito come assenza di materia.
Tra i protagonisti delle giornate svizzere anche Breitling, presente con il Navitimer giunto al suo 70esimo anno di vita. Il celebre modello da pilota è da sempre amato in egual misura da aviatori e trendsetter; indossato da un astronauta nello spazio e dalle più celebri star della Terra, è il modello sicuramentee più iconico del brand. «Non prendiamo alla leggera il termine icona –ha spiegato Georges Kern, CEO di Breitling - il Navitimer è uno degli orologi più riconoscibili mai realizzati. È sulla lista dei collezionisti come uno degli orologi più famosi al mondo. Nato come uno strumento per piloti, questo segnatempo assume ora un significato più profondo per chiunque ne abbia posseduto uno nel corso della propria vita.»
idee
GREEN: ENGINEERING BEYOND TIME
IL VERDE DIVENTA COLORE ICONICO PER LA CASA DI SCHAFFHAUSEN E NE CARATTERIZZA LE ULTIME NOVITÀIWC HA INIZIATO il suo percorso di sostenibilità oltre dieci anni fa. La precisione, la passione e la perseveranza alla base della sua orologeria contribuiscono a dare un impulso alle misure di sostenibilità.
I segnatempo IWC sono sostenibili per loro natura, in quanto apprezzati e tramandati di generazione in generazione. Nel 2020, l’azienda ha definito nove obiettivi da raggiungere entro il 2022. Malgrado la pandemia, molti di questi obiettivi sono stati raggiunti, mentre in altri sono stati fatti notevoli passi in avanti.
• Acquisizione della Certificazione della Catena di custodia RJC dei componenti degli orologi: uno standard volontario che certifica che l’oro e il platino usati nella catena della fornitura sono tracciabili e di provenienza sostenibile
• Passaggio all’acquisto di sola energia rinnovabile a livello mondiale
• Certificazione di Great Place to Work
• Acquisizione della certificazione di salario equo in Svizzera
• Sviluppo e guida di un progetto pilota per eventi sostenibili Entro la fine del 2022, IWC si impegna a ottenere i seguenti risultati:
• abbondare l’acquisto di prodotti forestali senza certificazione FSC (Forest Stewardship Council), come per esempio carta, cartone, legno, arredamenti;
• raddoppiare le ore annuali di volontariato aziendale di IWC rispetto alle previsioni del 2020;
• raddoppiare il numero di donne che ricoprono ruoli manageriali rispetto al 2017.
In occasione di altri sviluppi chiave del 2020, IWC ha inoltre:
• lanciato i cinturini TimberTex nel 2021: prodotti in Italia, impiegano l’80% di fibre vegetali di provenienza sostenibile, da foreste europee
• eliminato la plastica monouso nelle boutique e nelle sedi generali; e continuato a collaborare con organizzazioni di tutto il mondo, come Laureus Sport for Good e Save the Children, per dare una spinta al cambiamento della società
La casa di Sciuaffusa, proprio sulla scia di questa deriva “green”, ha scelto di far entrare nei suoi ranghi l’ambientalista e top model Gisele Bündchen, nelle vesti della prima Environmental & Community Projects Advisor di sempre del brand. Fin dal 2009, Gisele ricopre il ruolo di Goodwill Ambassador del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente e si impegna a perorare le cause della biodiversità e della flora e fauna selvatiche. Per il suo lungo impegno sui temi ambientali, ha ottenuto riconoscimenti da parte della Harvard University e della UCLA.
NEL CORSO DELLE ANALISI sui materiali condotte da IWC per l’ultimo Report, è emerso che la biodiversità e le comunità sono due aree strategiche su cui accelerare le iniziative. Gisele porterà la sua esperienza su questi temi e la sua passione per la salvaguardia del pianeta nei progetti di sostenibilità di IWC, affiancando la manifattura orologiera svizzera di lusso per individuare iniziative su cui lavorare in futuro.
Commentando questa collaborazione con IWC, Gisele ha affermato: “Sono entusiasta di collaborare con IWC per il nostro obiettivo comune di salvaguardare il pianeta. I nostri percorsi di sostenibilità sono entrambi iniziati con la presa di coscienza di avere la responsabilità di fare qualcosa in più, e di poter usare le nostre voci e la nostra posizione per creare un impatto positivo sull’ambiente e sulla società.
Franziska Gsell, Chief Marketing Officer e presidente del Comitato Sostenibilità di IWC Schaffhausen, ha dichiarato: “Gisele è una persona che condivide il nostro obiettivo e la nostra determinazione a generare un vero cambiamento a favore dell’ambiente e della società. Siamo onorati di averla al nostro fianco nel nostro continuo percorso verso la sostenibilità. Da sempre IWC segue i più elevati standard in termini di azioni da perseguire per salvaguardare il pianeta per le generazioni future. L’esperienza, l’impegno e la fama globale di Gisele contribuiranno ad aprire nuove possibilità per noi, per creare un impatto positivo sul pianeta e sulle comunità di tutto il mondo”.
Commentando i progressi dell’azienda negli ultimi due anni, dall’ultimo Report sulla Sostenibilità, Franziska Gsell ha affermato: “Continuiamo ad avanzare nel nostro percorso di sostenibilità,
chiedendoci sempre cosa altro possiamo fare in termini di innovazione dei materiali, uso di energia e impatto sulla società, al fine di essere ancora più sostenibili. Comprendiamo profondamente la nostra responsabilità di ridurre l’impatto ambientale, di lavorare per ottenere una società più equa e di dimostrare che il lusso non deve necessariamente essere sinonimo di eccesso, né di essere eccessivi”.
L’ALTERNATIVA ALLA PELLE Dopo l’introduzione dei cinturini TimberTex a base di carta, nel 2021, la Casa svizzera annunciato i rivoluzionari cinturini MiraTex: un primato assoluto per il mercato. Questi sono realizzati a partire dal MIRUM, un materiale circolare senza plastica e a base bio che rispetta i rigorosi standard di IWC in merito a resistenza, flessibilità e estetica.
Il cinturino MiraTex, parola composta da “miracolo” e “tessuto”, è stato progettato collaborando fianco a fianco con Natural Fiber Welding (NFW), un’azienda di innovazione dei materiali.
Il Mirum di NFW non contiene né plastica né sostanze petrolchimiche, ed è composto da piante e minerali, incluso il caucciù naturale con certificazione FSC, e materiali di riempimento come polvere di sughero e coloranti minerali. Eliminando il processo di concia, Mirum richiede molte meno risorse nella produzione rispetto alla pelle animale e sintetica, generando così un’impronta di carbonio ridotta, inoltre è anche al 100% riciclabile e circolare.
ENGINEERING BEYOND TIME Il Report di Sostenibilità 2022 di IWC si iscrive nell’ambito delle continue misure adottate dalla Casa per
PILOT’S WATCH
TOP GUN «WOODLAND»
Più leggera e più dura dell’acciaio, perfettamente resistente ai graffi e con una superficie a specchio piacevolmente liscia al tatto: questa combinazione di proprietà unica fa della ceramica il materiale perfetto per la cassa di un orologio. IWC è un pioniere del settore e ha continuato ad espandere la gamma di ceramiche utilizzate nel corso degli anni. La ceramica colorata utilizzata per i Pilot’s Watch Top Gun si basa su una combinazione di ossido di zirconio e altri ossidi metallici.
Cassa Ceramica , Carica automatica, Diametro 44.5 mm, Quadrante verde con elementi luminescenti Cinturino in caucciù verde con inserto in tessuto Larghezza del cinturino 21.0 mm, 11.500 euro
GISELE BÜNDCHEN TOP MODEL
Nel corso della sua quasi trentennale carriera, Gisele Bündchen è stata immortalata da fotografi leggendari e ha sfilato sulle passerelle delle più prestigiose Maison di moda. È stata il volto di innumerevoli campagne mondiali e nelle copertine di oltre 1.200 riviste di tutto il mondo, fra cui TIME, Forbes e Rolling Stone, nonché sulle principali pubblicazioni del mondo della moda quali Vogue, V, W, ELLE e Harper’s Bazaar. È autrice del libro Lessons: My Path to a Meaningful Life, nominato bestseller dal New York Times, in cui condivide storie e approfondimenti personali che l’hanno aiutata a vivere una vita più consapevole e felice. Gisele è nota per il suo appassionato impegno sui temi della sostenibilità e della conservazione ambientale. Con la sua fama globale unica, può mettere a frutto la sua celebrità per attirare l’attenzione sul nostro pianeta e su come la società collettiva può impegnarsi per salvaguardarlo. Fin dal 2009, ricopre il ruolo di Goodwill Ambassador del Programma delle Nazioni Unite e ha ricevuto i riconoscimenti della Harvard University e della UCLA per il suo lungo impegno a favore delle cause ambientali, oltre ad aver ricevuto il Best Green International Celebrity Award del Green Awards.
dimostrare la completa trasparenza sugli obiettivi di sostenibilità.
«La sostenibilità permea tutta la nostra azienda - spiega Chris Grainger-Herr - in ogni reparto e a ogni livello. Ci spinge a pensare in modo più agile, a innovare e a sfruttare le opportunità che si presentano ad un’azienda più responsabile. Questo report sulla sostenibilità mette in luce il nostro impegno per essere trasparenti e sostenibili. Senza eccezioni, senza scuse»
Questo pilastro rispecchia l’idea di IWC che un dialogo aperto e onesto con tutti gli stakeholder consente alla società di vedere la situazione, individuare le aree di miglioramento e gli obiettivi da fissare per proseguire nel percorso. Si affianca all’impegno con il report annuale, alle collaborazioni con aziende e associazioni fidate e all’adesione a standard internazionali riconosciuti.
La circolarità riflette la longevità degli orologi IWC, intramontabili nello stile e nelle funzioni, e tramandati di generazione in generazione. La marca continua a produrre ogni singolo orologio a Schaffhausen, per tutto il tempo in cui ci saranno persone disposte a scegliere uno dei suoi segnatempo. Questa filosofia è sottolineata dall’impegno nell’offrire un servizio di manutenzione a vita sugli orologi, anche sui modelli vintage, l’uso di acciaio e oro riciclati, e il riutilizzo di prodotti e imballaggi.
La responsabilità dal canto suo rispecchia la natura perenne dei prodotti IWC. La produzione di orologi quanto più responsabile possibile ispira il brand a superare e perseguire anche gli obiettivi più ambiziosi. Questa filosofia è sottolineata dall’impegno della società per un approvvigionamento responsabile, una riduzione dell’impronta di carbonio e investimenti in progetti per la biodiversità.
LA CERAMICA HIGH-TECH Estremamente resistente, più leggera dell’acciaio e con una resistenza ai graffi seconda solo ai diamanti: grazie a queste proprietà uniche, la ceramica rappresenta una scelta eccellente per la cassa di un orologio meccanico. Ovviamente per questo scopo non viene utilizzata la fragile porcellana, bensì una ceramica appositamente progettata dai nostri ingegneri. Questi materiali inorganici e non metallici sono altamente resistenti agli agenti fisici o chimici. Nemmeno temperature superiori a 1000 gradi Celsius riescono a scalfirli. Oltre all’industria dell’orologeria, la gamma di applicazioni delle ceramiche high-tech include condensatori e
impianti dentali e si estende anche a componenti per turbine di aerei e motori ad elevate prestazioni. IWC è stata un pioniere nell’utilizzo di ceramiche per le casse degli orologi, più di 30 anni fa. Nel 1986, la Manifattura ha lanciato il Da Vinci Perpetual Calendar Chronograph (rif. IW3755) proponendolo con una cassa innovativa, realizzata in ceramica di ossido di zirconio nera. In seguito sono state utilizzate anche ceramica marrone al nitruro di silicio per il Pilot’s Watch Chronograph Edition “The Last Flight” (rif. 3880, 2015) e ceramica al carburo di boro nera per l’Ingenieur Automatic Edition “AMG GT” (rif. IW324602, 2015), il tipo di ceramica più duro in assoluto. Di recente, questo materiale high tech è stato integrato nella gamma Pilot’s Watch, principalmente per i modelli Top Gun. Questi cronografi orientati alle prestazioni sono progettati per l’utilizzo quotidiano negli angusti spazi della cabina di un jet e durante lunghe missioni a bordo delle portaerei. L’elevata resistenza a graffi e corrosione è un requisito essenziale, che rende la ceramica una scelta perfetta. Le ceramiche high tech sono caratterizzate dalla purezza delle rispettive materie prime e dai processi di produzione particolarmente complessi. Le materie prime sono polveri policristalline – per la maggior parte minerali, come silicati, ossido di alluminio o carburo di silicio. Vengono miscelati con diversi additivi in una massa omogenea, modellati e quindi sottoposti ad un processo di cottura in forno a temperature elevate. Durante questo processo, noto come sinterizzazione, i materiali ausiliari si volatilizzano lasciando spazio a corpi ceramici estremamente stabili costituiti da innumerevoli grani di minuscole dimensioni.
La produzione di casse ceramiche per orologi meccanici è un vero capolavoro di ingegneria. Una delle sfide consiste nel fatto che la ceramica si ritira di circa un terzo durante il processo di sinterizzazione. Per fare in modo che successivamente il movimento si integri con precisione nella cassa è necessario tenere conto di questo ritiro già nella fase di progettazione. A differenza dei metalli, le cui proprietà sono chiaramente definite e completate prima della lavorazione, le ceramiche sono condizionate dalle singole fasi del processo di produzione.
Di conseguenza è possibile che l’utilizzo di diversi metodi di sinterizzazione, insieme alla dimensione dei grani scelta e alla temperatura di sinterizzazione, conducano alla realizzazione di prodotti finiti con proprietà notevolmente diverse, pur con gli stessi materiali di base.
DA GINEVRA A SANREMO NEL SEGNO DELL’ALTA OROLOGERIA
IN UN MERCATO CHE SEMBRA ESSERE PREDA DEGLI “INVESTITORI” C’È ANCORA SPAZIO PER LA PASSIONE? MICHELE ABATE CI RACCONTA COME QUESTO SIA ANCORA OGGI POSSIBILE
Di Paolo GobbiLA STORIA DELL’OROLOGERIA Abate inizia a Torino nel 1920, quando il capostipite Michele inizia l’attività in proprio per arrivare in seguito a ricevere il titolo di Fornitore di Sua Altezza Reale il Principe di Piemonte. Già all’inizio degli anni ’30 le sue creazioni erano distribuite in molte prestigiose gioiellerie italiane. Poi sarà il caso a metterci lo zampino: mentre era in viaggio per lavoro, gli si presenta l’opportunità di acquisire un prestigioso negozio a Sanremo davanti al Casinò: da quel momento in poi il punto vendita di Corso Imperatrice 3 sarà il suo biglietto da visita. Oggi, rivenditore ufficiale di importanti marche sia dell’orologeria che della gioielleria, è conosciuto ben oltre i suoi confini geografici per essere uno storico ed apprezzato concessionario Patek Philippe. Abbiamo incontrato Michele Abate (nipote del fondatore) in una Sanremo estiva e piena di turisti, scoprendo un vero appassionato del mondo delle lancette, ma anche del rock degli anni ’60 e ‘70.
Abate, oltre un secolo di storia: onore oppure onere? «Tutti e due, perché non esiste un onore senza un onere: c’è il piacere e la soddisfazione di aver raggiunto questo traguardo ma anche le aspettative che i clienti hanno nei nostri confronti.»
Quanto è cambiato il mondo dell’orologeria durante questo secolo di storia? (sorridendo) «Non ero presente all’inaugurazione del primo negozio, dove peraltro veniva venduta esclusivamente della gioielleria che mio nonno disegnava e realizzava. La parte orologiera, divenuta fondamentale proprio con il mio arrivo in azienda alla fine degli anni ‘70, è decisamente cambiata in quest’ultimo mezzo secolo, passando dall’iniziale concezione di “strumento” a quella odierna di prezioso complemento della vita quotidiana.»
Quando avvenne di preciso il passaggio alle lancette?
«Se vogliamo essere precisi, già negli anni
’50 mio nonno scoprì e credette nel marchio Rolex, iniziandolo a proporre nel negozio qui di Sanremo. Personalmente gli orologi mi intrigavano ben più dei gioielli.»
Che cosa la colpì del mondo dell’orologeria?
«Come già detto, arrivai in negozio all’inizio degli anni ’70. In quell’epoca l’orologeria era ancora un mondo di nicchia, non era certo così pop come viene sentita oggi. Mi incuriosivano questi “gioielli meccanici”, che venivano costruiti da aziende con una lunga storia alle spalle, capace di affascinare personaggi celebri del mondo dello spettacolo e del jet-set.»
Non era come il mercato odierno.
«Assolutamente no. Le persone “normali” acquistavano generalmente due orologi nel corso della loro intera vita, al massimo si arrivava a tre. Servivano al ruolo primario, che è quello di leggere l’ora, ed il loro acquisto generalmente si legava a qualche avvenimento importante: laurea, matrimonio, promozione nel lavoro.»
In quell’epoca l’orologio meccanico viveva un momento complesso.
«Partiamo dal principio che non c’era cognizione di cosa fosse l’orologeria meccanica, e il lavoro dietro per la costruzione di un orologio di alta qualità. Questo non soltanto per quanto riguarda il movimento, ma anche la cassa e il quadrante: in pratica i famosi Métiers d’Art che Patek Philippe ha custodito con cura e che possiamo vedere applicati sia nelle sue grandi complicazioni, che nei suoi preziosi smalti, nella marquetry e nelle incisioni.»
Prima ha detto che negli anni ’70 erano in pochi a capire e apprezzare l’orologeria. Guardando il mercato odierno, pensa che la situazione sia cambiata?
«Quantomeno oggi non c’è più la domanda “perché quell’orologio di Patek Philippe con la cassa in oro e il cinturino in pelle, costa molto
di più di quell’altra marca che ne propone uno con anche il bracciale in oro?”. Allora dovevamo partire da zero, spiegando che spesso si trattava di un modello “complicato”, magari un calendario perpetuo. Non solo. Dovevamo anche raccontare come funzionasse questa complicazione: non c’era la cultura dell’orologio meccanico. Adesso, anche se la conoscenza non è ancora così generalizzata, sono in tanti a comprendere per quale motivo il prezzo di una complicazione non sia influenzato dal materiale che ne compone la cassa.»
Oggi si ha l’impressione che, esattamente come sta accadendo nel mondo delle super-car, chi si può permettere i modelli più costosi (nel caso dell’orologeria le grandi complicazioni) non sa neanche cosa ci sia effettivamente “dentro”.
«Vero. Alcune persone sono intimorite dalla stessa funzionalità dei complicati: “Se poi si ferma, come faccio a rimetterlo a posto?”. In realtà sappiamo che bisogna seguire pochi elementari passaggi, in maniera tale da preservare il meccanismo da rotture involontarie. Rimane il fatto che molti hanno un timore reverenziale nel maneggiare le meccaniche più complesse, quando in realtà sappiamo che facendo le manovre giuste l’orologio è ben più solido di quanto possiamo immaginare.»
Cosa sta succedendo, da qualche anno a questa parte, al mercato dell’orologeria?
«Purtroppo o per fortuna, l’orologio è diventato un bene rifugio, un vero e proprio asset: in un portafoglio che contiene azioni, investimenti in arte, in oro, in diamanti, immobiliari… sempre più spesso c’è spazio anche per gli orologi.»
Quello che investe è un cliente importante?
«È il cliente che a me piace meno, perché non si può relegare l’acquisto di un oggetto solamente alla sua rivalutazione futura, al salvare il suo valore o ancora meglio ad aumentarlo. Un po’ di passione ci vuole.»
Senza dimenticare che comunque, se lo vediamo dal punto di vista del semplice investimento, un bel po’ di alea rimane.
«La moda e le tendenze cambiano in maniera talmente rapida, che è difficile se non impossibile affermare o peggio ancora garantire che un orologio possa aumentare il suo valore in futuro. Mi guarderei bene dal suggerire un acquisto, paventando nel futuro dei benefici economici. Al contrario dico che se c’è qualità costruttiva, storia, tradizione, serietà da parte di chi produce, l’acquisto è “giusto” e manterrà il suo valore nel tempo.»
Vi chiedono mai direttamente come investire una certa somma, magari importante, in orologi?
«Sì, ci è capitato. Personalmente ho sempre preferito lasciar cadere il discorso e non procedere con la vendita.»
Un comportamento, il suo, quasi da collezionista più che da venditore.
«Non sono un collezionista di orologi, mi
piacciono ma non posso definirmi tale. Da sempre mi piacciono le chitarre e sono molto contento di averne acquistate nel corso degli anni alcune che mi interessavano particolarmente.»
Che non ha intenzione di vendere… «Assolutamente no. So bene che in molti casi hanno aumentato anche sensibilmente il loro valore, ma non ho nessuna intenzione di venderle e al contrario spero di riuscire a trasmettere questa passione ai miei nipoti. Lo stesso dovrebbe valere per l’orologeria.»
Non penso che esista un “cliente ideale”, però ci può tracciare un’idea delle persone che si rivolgono a voi? «Tutti i nostri clienti sono “ideali”. Personalmente la maggiore soddisfazione arriva quando il rapporto riesce ad andare al di là di quello acquirenteconcessionario. Quindi il cliente ideale è quello con il quale condividi una passione, che può essere sì dell’orologio, ma anche il diamante importante, il rubino, lo smeraldo, oppure l’orologio da tavolo, il modello con gli smalti, con il dispositivo tourbillon oppure la ripetizione minuti.»
Un rapporto di fiducia che avrà anche dato alle volte i suoi frutti.
«Le persone alle quali ho proposto dei complicati Patek Philippe negli anni ’80, oppure nello stesso periodo dei “semplici” Nautilus, adesso possono essere più che contenti. Aver ascoltato i nostri suggerimenti, ad esempio per quanto riguarda i calendari perpetui, ha sicuramente portato oggi a dei risultati importanti.»
Sono delle operazioni spot. «No, generalmente da quelle prime vendite abbiamo sempre iniziato un cammino all’interno dell’alta orologeria, che è stato poi sviluppato nel corso degli anni.»
Pensa che un’ascesa vorticosa, come è stata quella di Patek Philippe dall’inizio degli anni ’80 ad oggi, sia ripetibile da altri marchi?
«Per vincere le sfide del mercato, per creare un orologio iconico, ci vuole un pugile che abbia nel guantone un pugno da knock out. Non tutti ce l’hanno. Quindi a mio avviso è impossibile fare una previsione. Se posso fare un paragone con la mia amata musica, è impossibile non constatare come alcuni mostri sacri del rock non siano mai stati sostituiti ne eguagliati. Per le lancette potrebbe accadere la stessa cosa.»
Forse non tutti hanno il coraggio o la forza di mettersi in gioco come fa la Casa ginevrina?
«Le faccio un paragone attingendo ancora dal mondo del rock che mi è così caro: alcune Case svizzere sono un pò come i Rolling Stone, che suonano benissimo lo stesso genere da mezzo secolo a questa parte, sono dei grandi showman, ma non vogliono mai cambiare musica. Patek Philippe ha il coraggio di mettersi continuamente in gioco, di sperimentare, di studiare nuovi modelli e complicazioni.»
Sanremo: la città dei fiori, la città della canzone, anche la città degli orologi?
«Direi proprio di sì. C’è molta attenzione rispetto al nostro mondo delle lancette, unita ad una buona qualità di persone che sanno quello che chiedono e che vogliono. I liguri per tradizione sono molto parsimoniosi, attenti, quindi prima di acquistare si informano bene.»
Nessun acquisto d’impulso?
«No. Forse a cifre molto basse, ma sono eccezioni. Il nostro cliente è consapevole di acquistare un valore che diventa parte del patrimonio della sua famiglia, e ha una grande fiducia nei nostri confronti. Qualche tempo addietro abbiamo provato ad analizzare i comportamenti dei nostri clienti e alla fine ci siamo resi conto che ci confrontiamo solamente con tre tipologie: la prima sono tutti coloro i quali comprano gli orologi perché a loro piacciono e in più sono convinti, come già detto prima, di portare nel patrimonio familiare un bell’oggetto, non un investimento, ma qualcosa di prezioso che verrà tramandato di generazione in generazione; la seconda categoria sono quelli che acquistano attratti dall’avere l’oggetto di moda del momento La terza sono, infine, gli speculatori.»
Come fate a gestire, per quanto possibile, la vendita? «Sta a noi cercare di sostenere la prima categoria, quella delle persone che lo considerano un
arricchimento personale e familiare, e bloccare al contempo la seconda. In questo lavoro spesso ci aiutiamo con i social.»
Con i social provate a comunicare e quindi a guidare le scelte dei clienti?
(sorridendo) «No! I social ci aiutano a capire se chi vuole acquistare un pezzo lo fa per venderlo o per tenerselo. A questo proposito vediamo come si comporta ad esempio su Instagram, se ama mostrare i suoi oggetti, se lo fa con l’intento di alienarli.»
In questo caso, cosa fate?
«Con molta delicatezza spieghiamo che il prodotto non è disponibile….»
Un tempo nel vostro lavoro dovevate convincere le persone all’acquisto, oggi questo principio si è ribaltato! «Sì, ci troviamo nella situazione che dobbiamo evitare di vendere, trasformandoci in piccoli Sherlock Holmes che provano a capire che cosa ricerca realmente la persona che abbiamo davanti.»
La penuria di consegne agevola questo compito? «Sì. Non abbiamo numeri e quindi, anche volendo, non possiamo vendere tutto quello che ci viene richiesto. A questo proposito, proprio la scarsità di prodotto spesso ci aiuta a capire la buona fede del cliente: se non posso consegnare un modello per mancanza totale della
sua disponibilità, spesso accade che il cliente appassionato si lasci guidare verso un’altra scelta, sempre all’interno della marca, ma in un’altra gamma. Parlando di Patek Philippe, ho visto con piacere un aumento delle vendite dei Calatrava, dei calendari annuali, dei perpetui e degli Ellisse. Questo accade quando il cliente è appassionato alla marca e non al modello.»
Scelte di questo tipo non riguardano solamente l’orologeria.
«Non solo non riguardano solo le lancette, ma sono sempre state parte del fascino degli oggetti più importanti. Tornando alla mia amata musica, ricordo che negli anni ’70 dovetti aspettare un anno e mezzo prima che mi consegnassero una chitarra Larrivée prodotta in Canada; oppure, dopo aver ordinato una Gibson in acero bianco, bellissima, dopo otto mesi arrivò dal mio fornitore lo stesso modello ma con una colorazione diversa: la presi lo stesso. Mi piaceva quell’oggetto. Alla stessa maniera, se mi piace Patek Philippe, posso desiderare il Nautilus o l’Aquanaut, ma se ho la cultura della marca saprò apprezzare anche un Calatrava o un Ellisse.»
Fino a qualche anno fa c’era la battaglia a chi faceva lo sconto più alto.
«Finita totalmente quell’era. Adesso non solamente non facciamo più nessuno sconto, ma
ci siamo trovati più di una volta con dei clienti che ci hanno regalato delle bottiglie importanti per ringraziarci dell’orologio che erano riusciti ad acquistare. È una distorsione del sistema che in una qualche maniera ci imbarazza: dovrei essere io a fare l’omaggio al cliente.»
Torniamo alla sua Sanremo: la posizione geografica, in una certa qual maniera, vi è molto d’aiuto.
«Abbiamo la fortuna di essere davvero ad un passo dalla Costa Azzurra, un volano meraviglioso non solamente per il turismo internazionale a tutti i livelli, ma anche per i tanti italiani che vivono e risiedono a Montecarlo.»
Una bella fortuna.
«Mi sono sempre ritenuto una persona molto fortunata, a partire dal mio nome Michele: era quello di mio nonno, che nella sventura di essere diventato claudicante da piccolo a causa di un incidente, ha avuto la fortuna di non andare in guerra nel 1915-18, di non fare il muratore come il padre ma di frequentare la scuola orafi creata dalla famiglia orafa Gualino. Alle volte eventi che reputiamo sfortunati, ribaltano la vita a nostro favore.»
Sanremo durante l’anno vive quindici giorni di follia?
«Stiamo parlando del Festival? In realtà dura
Le celebri vetrine davanti al Casinò di Sanremo, in Corso Imperatrice 3: sono il biglietto da visita Abate.
molto di più: la kermesse inizia a dicembre per preparare il palco, le prove dell’orchestra, poi arriva la RAI… Mettere in moto quelle cinque serate è molto complesso.»
Cosa succede in quei giorni?
«È bellissimo, si ha la stessa sensazione che si proverebbe nuotando in un acquario. Si vede veramente di tutto. Prima arrivano i tecnici, gli scenografi, i registi. È interessante scambiare delle opinioni con loro. Poi è la volta dei musicisti, dei direttori d’orchestra, dei discografici. A loro seguono gli aficionados del festival, che hanno seguito spesso decine di edizioni e sono disposti a tutto pur di partecipare alle cinque serate.»
Anche stranieri?
«Quando arrivavano i russi era una festa per l’intera città. Per loro vedere cantanti come Al Bano o Toto Cotugno era il massimo che potessero immaginare. Partecipavano alle serate prendendo gli alberghi più costosi, i posti migliori in teatro, arrivando in abito da sera con gioielli e orologi importanti. Ci raccontavano che prima della caduta del Muro di Berlino l’unica musica occidentale “permessa” era quella del Festival di Sanremo, che per loro rappresentava quindi l’Occidente, una ventata di libertà. Ancora oggi vengono e mantengono un tono decisamente superiore alla media, specie in confronto agli italiani che spesso, anche durante le serate, si lasciano un po’ andare.»
Tutto bello quindi?
«Sì, anche se da commercianti quali siamo dobbiamo comunque fare molta attenzione: arrivano dei pesciolini rossi, ma anche degli squali.»
Il Casinò è un altro elemento di interesse per Sanremo.
«È stata una grande risorsa, che ha perso charme e importanza con l’arrivo delle scommesse online. Non c’è più la magia di un tempo e l’appeal del gioco è diventato secondario rispetto a quello del Casinò stesso. Abbiamo lavorato molto con le gare di Chemin de Fer, per le quali spesso fornivamo i premi, sia in gioielli che orologi. Oggi tutto questo non esiste più.»
Torniamo a lei: com’è iniziata la sua storia nell’orologeria?
«Da giovane la mia passione era suonare la chitarra e avevo raggiunto anche un buon livello. Purtroppo mio padre è venuto a mancare quando aveva soli quarantanove anni e io mi sono trovato di fonte alla necessità di continuare il suo lavoro. Nell’entrare al lavoro nel negozio ho appreso tutte le mie nozioni da mio nonno, che a dispetto dell’età era ancora lucidissimo.
Ricordo che trovai in cassaforte tre Rolex importanti, che sono ancora in mio possesso: un
Gabus (n.d.r. crono anni ’40 di forma quadrata, ref. 8206), un Dato-Compax ref. 6036 in oro giallo conosciuto come Jean Claude Killy e uno Stelline (n.d.r. calendario fasi luna in oro giallo ref. 6062). Gli ultimi due sono dei fondi di magazzino, invenduti, con ancora il sigillo in piombo e ovviamente la scatola e la garanzia. Resteranno in eredità per i miei nipoti.»
Come nasce la vostra storia con Patek Philippe? «Nasce in tempi “non sospetti”, nell’ormai lontano 1986. Patek Philippe per me ha sempre rappresentato il top dell’orologeria e sono stato io ad aver chiesto di avere la possibilità di vendere questo marchio: la sua qualità, la storia, l’importanza durante le aste internazionali. Erano degli oggetti belli, che facevano e fanno trasparire classe ed eleganza.»
L’essere un marchio indipendente è una variabile importante?
«Essere di proprietà di una famiglia e non all’interno di un gruppo è importante e affascinante. Gli consente di poter gestire da primo della classe ogni sua realizzazione: essere padroni del proprio destino permette di affrontare con velocità i cambiamenti del mercato, saltando completamente la burocrazie gestionale.»
Com’è cambiato, se è cambiato, nel tempo il vostro rapporto?
«Quando andavo a Ginevra trovavo un’accoglienza “familiare” all’interno della Patek stessa. In questi viaggi mi accompagnava sempre mia zia e immancabilmente, prima della partenza, mi veniva chiesto con grande cordialità “la zia viene?”. Era un’accoglienza sincera e spontanea. Poi i tempi sono cambiati, le aziende sono cresciute in maniera esponenziale: il rapporto personale è rimasto, però “la forma” è diventata preponderante, anche se devo ammettere che il rapporto, nella sua essenza, non è mai mutato e rimane straordinariamente positivo.»
Rimpianti degli anni ’80?
«Ho visto in quel periodo tante grandi complicazioni della Casa ginevrina e non ebbi il coraggio di osare. Ero troppo giovane commercialmente parlando e non me la sentii di rischiare. Oggi avrebbero un valore non quantificabile.»
Un’orologeria storica come la vostra ha ancora un ruolo nella vendita di un orologio importante?
«Sì, il nostro ruolo rimane fondamentale. Il cliente deve avere solo la pazienza di ascoltare, mentre noi dobbiamo stare attenti a non subissarlo di nozioni troppo tecniche. Ad esempio su Patek Phlippe c’è tanto da raccontare e spesso è proprio nella storia di ogni singola collezione, nella sua genesi, nel suo sviluppo, che troviamo i motivi di maggiore interesse.»
Patek Philippe cronografo rattrapante e calendario perpetuo Ref. 5204R-011: un’interpretazione contemporanea di un modello iconico, in oro rosa con quadrante grigio ardesia
HYT HEROES OF YOUR TIME
NUOVI ACQUIRENTI CERCANO E VOGLIONO
IL RAPPORTO DIRETTO CON CHI CREA GLI OROLOGI, TUTTO QUESTO IN UN MOMENTO IN CUI TUTTO È INACCESSIBILE...»
DAVIDE CERRATO DI RACCONTA LA SUA OROLOGERIA DIROMPENTEL’OROLOGERIA CONTEMPORANEA ha vissuto negli ultimi anni delle ere aziendali molto intense. Siamo passati attraverso l’era della Manifattura a tutti i costi e del premio assoluto della tecnica con una costruzione isterica di impianti e manifatture orologiere fino all’eccesso di capacità che il mercato stenta oggi a digerire e che non verrà forse mai veramente utilizzato.
L’era successiva è stata quella del primato totale dato alle vendite cavalcando la ripresa folgorante che ha seguito la crisi finanziaria del 2008 e la vera esplosione del mercato e dei turisti Cinesi. Il risultato è un eccesso di stock presso i dettaglianti, una focalizzazione totale su azioni tattiche e non su strategia a lungo termine, aperture di boutique monomarca a go-go e soprattutto un’omologazione terrificante a livello prodotto.
Quella che iniziamo ad intravvedere oggi è l’era del Design, dove la creatività si configura come il vettore principale per uscire dallo stallo distributivo odierno e il design ne sarà lo strumento: si sta
andando alla ricerca professionale di nuovi segni, di nuovi materiali, di nuove complicazioni o funzioni, includendo i temi della trasparenza e della sostenibilità. Un po’ quello che sta accadendo alla nuova HYT, che ha trovato in Davide Cerrato il suo CEO ma anche la sua mente visionaria e creativa. Lo abbiamo incontrato a Milano.
Chi è Davide Cerrato (sorridendo) «Mi considero uno Jedi con un alto tasso di Mandalorianità legato al design e al disegno…»
Perfetto. Lasciamo stare Guerre Stellari e torniamo al mondo reale «Ho iniziato a disegnare da piccolissimo e ricordo che le ragazze che venivano a fare da baby sitter mi facevano riprodurre le copertine di topolino ingrandite: le quadrettavano e io le rifacevo. I miei primi disegni creativi sono stati delle stripes e dei fumetti, solo che ancora non avevo imparato a scrivere e quindi fatte le nuvolette sopra ai disegni, andavo da mia madre per farmi scrivere le storie.
Mi ha sempre intrigato la scienza, lo spazio, il cosmo, l’infinitamente piccolo, la natura. Poi durante il liceo le mie materie preferite erano fisica, biologia, matematica, che mi è sempre venuta molto naturale.»
Poi sarai cresciuto.
«Ho studiato Design Industriale nella facoltà di Architettura. In quel periodo ero affascinato dalle geometrie a N dimensioni, gli iperpoligoni: ad esempio un cubo a 4, 5, 8 dimensioni. C’è gente che è letteralmente andata fuori di testa per immaginare un qualcosa che vada oltre le nostre tre dimensioni. Questo mi ha aiutato “da grande” a riuscire a disegnare immaginando gli oggetti già nella loro fisicità, nelle tre dimensioni. La svolta è arrivata quando un cacciatore di teste mi fece fare un test per valutare se ero emisfero destro prevalente, quindi creativo, oppure sinistro, pertanto analitico. Il mio test risultò che li avevo uguali, ero creativo e analitico.
Al momento non gli diedi retta, però nel tempo mi accese una lampadina: riuscivo a comprendere bene la fisica, ma ero anche creativo, quindi la mia strada era chiara.»
«IDi Paolo Gobbi
Hai fatto una scelta?
«No, ho iniziato ad interessarmi di impresa, frequentando la Scuola d’Amministrazione Aziendale a Torino e dopo tre anni ho agganciato la parte business, analitica, finanza, al disegno. Ma soprattutto ho capito che non dovevo scegliere: quelle due cose assieme funzionavano benissimo. Ho iniziato a lavorare in Ferrero per cinque anni, advertising nel mondo delle auto con Armando Testa per Lancia, poi a Parigi per Thomson Multimedia dove con Stark abbiamo lanciato la prima televisione interattiva in joint-venture con Microsoft.
Interessante. Ha funzionato?
«L’idea era perfetta, solamente che all’epoca le connessioni erano lentissime e quindi per caricare una pagina si impiegavano minuti… fu un flop.»
Ancora nessun orologio in vista.
«Arrivano. Tornato in Italo all’inizio degli anni Duemila, entro in Panerai con Angelo Bonati: la marca andava benissimo con il Giappone a fare da traino. Fino a quel momento era stata realizzata una sola campagna stampa: “Io Comandante del Tempo”. Trovai un fotografo inglese fantastico che viveva a Milano, che realizzò una serie di scatti straordinari, iniziando a raccontare il lato muscolare, eroico della marca che funzionò bene. In cinque anni la marca esplose.»
Poi Tudor?
«Esatto, dal 2006 nove anni in a Ginevra: dall’Heritage Chrono del 2010 fino al Black Bay venduto da Aurel Bacs a “Only Watch” per circa 375.000 euro. Dopo ancora Montblanc con il Geosphere e tutta la saga dei monopulsante Minerva.»
Oggi?
«Sono tornato nello spazio che ho sempre amato, grazie a HYT»
Che cosa hai trovato al tuo arrivo?
«Un’idea tecnologica pazzesca, che avevo già notato nel 2012 quando era stata presentata. Ricordo che in quel periodo stavo studiando l’inserimento di quadranti d’epoca in casse dal design reinterpretato e pensai: sarebbe fantastico mettere l’orologio in un liquido verde fosforescente, tipo quello utilizzato in alcuni musei di biologia. Dopo aver lavorato sei mesi, un giorno arriva mia moglie, mi porge il suo telefono e mi dice “guarda, l’hanno fatto l’orologio con il liquido verde!”. Ricordo di aver sorriso, ma non troppo.»
L’idea comunque già ti piaceva.
«Assolutamente sì. Oggi, guardandolo meglio, mi accorgo del potenziale enorme. Come sempre bisogna trovare la giusta quantità di tutte le componenti, esattamente come accade quando si prepara una pietanza. HYT, al momento del lancio, venne comunicato in maniera quasi scientifica: come e perché funziona, tecnologia, scienza. Discorsi fin troppo complicati, che vista la necessità di semplificare per farlo capire al mercato, sono stati semplificati. Il problema è stata l’eccessiva semplificazione: la comunicazione è diventata arte, il tempo che fluisce… Molto interessante, nessuna connessione con la meccanica e l’orologeria, ma
soprattutto un design troppo simile a quello di uno smartphone.»
Risultato?
«Persi quasi tutti i clienti, mentre ad avvicinarsi a questo nuovo “oggetto” si erano interessati dei ragazzi super-digitali che non potevano arrivare ad un massimo di 5.000 euro, non sei o sette volte tanto. La cosa buona era solo una: il marchio si era fatto conoscere trasversalmente, non solo tra i patiti della meccanica orologiera.»
Un buon punto d’inizio?
«Sì. Il mio primo lavoro è stato di rivedere completamente il design, alleggerendo l’orologio del 40% e rendendolo più sottile. L’idea di collegarci allo spazio è stata perfetta per legarci alla tecnologia, aggiungendo un termine specifico all’unicità della sua tecnologia.»
Un nome per la vostra tecnologia?
«Meca-fluidic, dove il modulo meccanico, che torna presente e protagonista, serve per azionare l’indicazione fluida. Quindi il movimento, per la gioia degli appassionati, torna ad essere protagonista: ma non solo con il sofisticato calibro meccanico realizzato da Eric Coudray, ma anche con la visualizzazione fluida dell’ora che la spettacolarizza rendendola unica.»
Tutto questo si capisce prendendo in mano un HYT?
«Sì. Il legame con lo spazio parte dal claim “Heroes of Your Time” che spiega cosa vuol dire HYT - che ognuno prima pronunciava e immaginava in una maniera diversa – e si esplicita a perfezione nel disegno dei nostri orologi. Ma c’è anche una tecnologia importante, una visione del futuro, una modernità che è insita nel concetto stesso dell’oggetto.»
Il design rimane preponderante.
«Sì, ma adesso ne abbiamo trovato uno che vale per tutte le collezioni e soprattutto è perfettamente leggibile. Gli indici sono finalmente attorno al capillare, cambiando totalmente la maniera di presentare il tempo: c’è una strip di dodici ore, dove il tempo avanza dalle sei del mattino alle sei del pomeriggio, e “retrocede” dalle sei di pomeriggio alle sei di mattina. Semplice e assolutamente intuitivo.»
Tutto questo indicando l’ora con la tradizionale precisione svizzera?
«Finalmente l’ora è leggibile e precisa: grazie al nuovo movimento di Eric Coudray tutto è preciso, anche la visualizzazione dell’ora. Inoltre abbiamo potuto costruire nuove complicazioni.»
Quali?
«I minuti centrali, come nell’H2 realizzato da Giulio Papi, poi il triplo calendario centrale tridimensionale, dove si ritrova l’equilibrio perfetto tra l’affissione fluidica e il virtuosismo meccanico.»
Qual è il diametro dell’Hastroid e del Moon Runner?
«48 millimetri, che sembrano tanti, in realtà il design ergonomico della cassa e del bracciale minimizzano l’impatto al polso, rendendolo piacevole anche sui polsi più sottili. A questo dobbiamo aggiungere un peso di soli 80 grammi,
una vera piuma. Come se questo non bastasse, il quadrante è trasparente e la cassa è trasparente: particolari fondamentali che alleggeriscono il disegno dell’orologio. Da non tralasciare poi lo spessore di soli 13 millimetri è realizzata in tre materiali diversi.»
Cosa ti piace di più nelle nuove collezioni? «Quello che soddisfa di più è che la forma sia “divertente”, esprimendo così il DNA della marca: futuristico, scientifico, inusuale.»
Che produzione prevedete? «Per il primo anno ci vorremmo mantenere sui 150 pezzi: due collezioni con drop diversi. Sono serie da 27 pezzi, tranne il celebrativo dei dieci anni realizzato in soli dieci pezzi.»
Pochissimi concessionari? «Erano originariamente 70, oggi ne abbiamo solamente 17, ma molto importanti e con la giusta volontà di investire, che sanno come gestire le marche. In Italia siamo a Milano da Pisa Orologeria.»
Una struttura distributiva completa?
«No. Partendo dalla considerazione che si tratta di pezzi di Alta Orologeria in produzione strettamente limitata, nel futuro miriamo a gestire la distribuzione al 50% con i top-retailer mondiali, l’altra metà in modalità diretta o attraverso l’e-commerce.»
Cosa cercano i vostri clienti?
«In HYT cercano l’esclusività, il contatto diretto: serie speciali realizzate in numeri estremamente ridotti, pezzi unici. I nostri prezzi partono da circa 70.000 euro per arrivare a circa il doppio, in attesa di una complicazione meccanica importante che non dovrebbe costare meno di 300.000 euro.»
La grossa attenzione che vediamo nei confronti degli indipendenti, riguarda anche HYT?
«Assolutamente sì. Per una volta ho l’impressione di essere arrivato nel posto giusto al momento giusto. Penso che questa richiesta da parte del mercato nasca dal desiderio di creatività, di originalità, ma anche di possedere cose realmente rare. I nuovi acquirenti cercano e vogliono il rapporto diretto con chi crea gli orologi, tutto questo in un momento in cui non si trovano prodotti, tutto è inaccessibile, bisogna aspettare del tempo, spesso anni, per fare un acquisto importante.»
Questo vuol dire che tu sei personalmente disponibile ad incontrare i clienti HYT?
«Sì, si può fare ed è già capitato tante volte. Per me è super interessante e fondamentale perché conoscendo sempre meglio i nostri clienti, ascoltando le loro esigenze, possiamo proporre qualcosa che vada incontro ai desideri di chi vuole indossare un nostro orologio. Vogliamo essere una marca inclusiva e offrire un’esperienza diversa e diretta.»
Quindi potete personalizzare i vostri HYT?
«Sì, ci siamo strutturati appositamente per fare questo servizio, abbiamo scelto i fornitori adeguati, in maniera tale che faccia parte della ratio che ci ha portato a creare la nuova HYT.»
Il fluido blu contenuto nel capillare che riporta l’indicatore retrogrado del passare delle ore, in armonia con la lancetta centrale dei minuti in blu, contrasta con l’antracite lucido della cassa in carbonio e titanio, con il nero del quadrante. Questi elementi, in particolare la griglia a nido d’ape a cui sono applicati i numeri delle ore, sono ricoperti da un materiale bianco luminescente, Lumicast. L’intero pezzo è impreziosito dal colore della gomma goffrata e del cinturino in Alcantara.
HYT / MISSION HASTROID SUPERNOVA BLUESEIKO
IL SOL LEVANTE CONQUISTA L’ITALIA
CON L’APERTURA A MILANO DELLA PRIMA BOUTIQUE, LA MARCA GIAPPONESE COMPIE UN IMPORTANTE PASSO PER AVVICINARSI AI SUOI TANTI APPASSIONATI: FILIPPO NEMBRINI CI RACCONTA LE SFIDE E LE NOVITÀ
Di Paolo GobbiL’ARRIVO IN ITALIA della filiale diretta Seiko ha fatto decisamente cambiare passo sia alle vendite che alla notorietà del marchio nipponico. Finalmente oggi i tanti appassionati possono trovare la sua intera produzione, merito anche della recente apertura della boutique in via della Spiga a Milano. Abbiamo quindi deciso di chiedere direttamente a Filippo Nembrini, direttore di Seiko Italia, cosa c’è dietro a questo cambiamento per certi versi epocale.
Perché Seiko?
«Mi sono interessato a Seiko perché ho iniziato a sentire voci sempre più entusiaste sulla nuova filiale diretta italiana, con risultati in continua crescita: ho iniziato a studiarlo, e poi come spesso accade nella vita, in maniera del tutto casuale, sono venuto a sapere che stavano cercando un responsabile di filiale. All’azienda è piaciuto il mio background alto, che coincideva con l’aspirazione di alzare di livello il posizionamento… è scattato il colpo di fulmine.»
Da dove arriva Filippo Nembrini?
«La mia storia nelle lancette inizia nel 2013 in Audemars Piguet Italia, dove mi sono occupato di
retail, con l’apertura delle boutique di Venezia, Roma, Firenze e il rifacimento di Milano e Porto Cervo. Poi sono stato brand manager Ulysse Nardin, marchio importante con una struttura più snella, che mi ha permesso di acquisire esperienze a 360°.»
Ora in Seiko Italia.
«Sì. Siamo un’azienda grande, ben strutturata, con una sede centrale a Parigi che coordina le quattro filiali: Francia, Germania, Benelux e Italia. Si tratta per me di un’esperienza bella e completamente diversa dal passato: i numeri sono importanti. Siamo nella nicchia dell’affordable luxury.»
Il vostro è un marchio molto amato dagli appassionati.
«Me ne sono reso conto immediatamente osservando i social. La riconferma è arrivata quando abbiamo aperto la boutique a Milano: sono tantissimi i Seiko Lovers italiani.»
Un esempio?
«Il primo cliente della boutique, mi sembra un collezionista di Garbagnate, il giorno in cui
I quadranti in porcellana dei Presage “Craftsmanship” sono realizzati da un produttore esperto di Arita, che realizza porcellane dal 1830, a capo del quale c’è oggi Hiroyuki Hashiguchi, maestro artigiano che con i suoi collaboratori ha sviluppato i quadranti in collaborazione con il team Seiko.
abbiamo aperto, è stato due ore e mezzo a parlare della marca, ci ha fatto una vera e propria lectio magistralis. Veramente una gran bella esperienza anche per noi.»
Il modello distributivo vincente è quello della boutique monomarca oppure del concessionario generalista?
«Dipende molto dalla coerenza di ciascun marchio nella definizione della propria politica distributiva. Alla base di una strategia vincente c’è sempre una visione precisa, netta, a volte drastica, come chiudere tutti i retailer generalisti e lavorare solamente con le boutique, se necessario. Al contrario, adottare un’architettura distributiva che preveda, ad esempio, la coesistenza di boutique e generalisti, parimenti rappresentati, a mio avviso strategicamente non ha molto senso. Nel nostro caso, invece, avere un solo flagship-store a Milano in via della Spiga certamente soddisfa gli obiettivi commerciali della boutique stessa, ma rappresenta soprattutto un modo per dare la giusta visibilità alla marca.»
I vostri “Seiko Lovers” saranno contenti.
«Sì, soprattutto perché noi possiamo mostrare loro l’intera collezione, che difficilmente è visibile nella sua interezza presso i nostri concessionari. Alcuni modelli, come l’Astron, sono quasi impossibili da trovare se non in via della Spiga, per non parlare dei segnatempo proposti in esclusiva per le boutique Seiko nel mondo.»
La felicità degli amanti degli orologi sportivi.
«Sì, ma non solo. Il collezionista normalmente conosce bene Prospex o al limite 5 Sports, ma stiamo facendo un importante lavoro sulla collezione Presage, espressione della raffinata orologeria meccanica giapponese, e sul mondo dell’arte che la caratterizza: gli smalti, la porcellana di Arita, le lacche sono il frutto di antiche abilità artigianali che Seiko coniuga alla tecnologia orologiera più avanzata, ma che ancora sono difficilmente associate al nostro marchio. L’unica maniera per comprendere la qualità dei modelli Presage è quella di toccarli con mano e spiegarli correttamente. Tutto questo avrà poi un ritorno anche nella distribuzione generalista.»
La vendita online nel vostro sito ufficiale va considerata come una sorta di boutique indipendente?
È un valore aggiunto o un problema?
«Non è un concorrente, perché chi acquista nella nostra boutique Seiko, come pure in quella di via della Spiga, non ha sconto. Questo fa la differenza rispetto a tutti gli altri sistemi di vendita. In Italia siamo arrivati un po’ in ritardo, anche se il lockdown ha creato la necessità della sua apertura. È ancora molto giovane, ma con numeri in costante salita.»
Il canale wholesale come ha preso questa novità?
«Non solo per loro non è un problema, ma alcuni nostri concessionari sono presenti nel mondo dell’ecommerce da molto prima di noi, vendono veramente tanto e riescono a fare delle operazioni mirate molto importanti.»
Ha parlato più volte di Seiko Lovers. È un fenomeno mondiale? Quanti sono in Italia?
«Sì, è un fenomeno globale, anche se in Italia è più importante che in altre nazioni. Abbiamo contato alcune decine di migliaia di persone.»
Con due ampie vetrine che si affacciano sulla strada, la boutique Seiko sorge in Via Della Spiga, al civico 52. Lo spazio di 70 mq, disposto su un unico piano, è articolato in un ambiente destinato all’esposizione delle collezioni e in una meeting room, un’area di vendita, intima e riservata, pensata per ospitare la clientela in fase di acquisto.
Sono un’opportunità oppure un problema? Le gestite in una qualche maniera?
«No, le community di appassionati sono, giustamente, del tutto autonome. Mi ha fatto piacere conoscere i fondatori dei gruppi più importanti, ma non entro mai in nessuna discussione. Sono comunque una grande opportunità, anche perché accolgono ogni settimana decine di nuovi appassionati. La comunità quindi si ingigantisce continuamente.»
Avranno gradito l’apertura della boutique.
«Sì, per alcuni di loro è stato come fare un pellegrinaggio ad un luogo di culto che prima in Italia non esisteva. Anche solo la garanzia con il timbro di via della Spiga fa tutto un altro effetto.»
Quanti Seiko vendete in Italia?
«Lo scorso anno, approssimativamente, abbiamo fatto un sell-in, quindi abbiamo consegnato ai concessionari, circa 25.000 orologi. Un numero decisamente importante.»
Gli appassionati, quando sono così tanti, possono portare tanto amore ma anche il suo esatto contrario?
«Basta un piccolo disservizio indipendente dalla nostra volontà - un orologio perduto durante il trasporto, il ritardo nell’assistenza post vendita dovuto alla difficoltà di approvvigionare i pezzi di ricambio nel periodo post-covid - e può succedere che qualcuno alzi la mano e chieda spiegazioni; in quel momento è molto difficile recuperare una fiducia che invece Seiko si impegna quotidianamente a costruire e meritare, prestando particolare attenzione alla qualità e alle performance dei suoi orologi. Una delle leggi dei social che tutti conosciamo è che la notizia positiva si amplifica dieci volte, quella negativa cento, mille, alle volte anche di più. Per questa ragione, nonché per attitudine personale e per la profonda
convinzione che chi lavora in azienda debba essere il primo ambasciatore della filosofia del marchio, pongo grande attenzione alla risoluzione di qualsiasi problematica dei consumatori, che più di una volta sono riuscito ad aiutare con il mio intervento.»
Avete delle persone che lo seguono professionalmente? «Sì, il servizio clienti è ben preparato e reattivo. Però in alcune circostanze preferisco intervenire io direttamente e metterci la faccia. Penso che sia un’accortezza dovuta a chi crede nella marca.»
Per alcuni Seiko è anche un marchio “economico”. «Partiamo da circa 249 euro, come prezzo minimo, per arrivare ai 6.000 euro dei pezzi più importanti; una forbice rilevante. Però il mio approccio è quello targhettizzare il nostro assortimento, valorizzandolo e comunicandolo di conseguenza, non in base al prezzo, ma all’heritage e al DNA di ogni collezione, che noi definiamo global brand. Quindi, Seiko 5 Sports è l’entry level perfetto per iniziare ad entrare nel mondo Seiko, ma è anche una collezione a cui il seikista guarda con particolare attenzione, perché spesso vi trova lo sfizio, pezzi interessanti e iconici, come il GMT consegnato da qualche giorno. In Italia a farla da padrone è, invece, Prospex, una collezione di successo, che parte da un minimo di 400 euro e arriva fino al tetto massimo dei seimila.»
Nel Prospex in evidenza è il rapporto qualità prezzo. «Non direi che Prospex è economico, ma lo considero senz’altro un prodotto che costa molto meno di quello che vale. Ci sono tanti clienti che valutano con attenzione spesso “maniacale” i nostri modelli e trovano che il complesso dei materiali, della costruzione e delle finiture li collochi in una fascia nettamente più alta di quella individuata dal prezzo stesso.»
Come fate a comunicare questa percezione di qualità, conosciuta dagli appassionati, sconosciuta ai neofiti?
«Fondamentale è il contatto fisico. L’apertura della boutique serve anche a questo: poter toccare i nostri orologi, provarli, farseli raccontare. In molti non conoscono la nostra storia, che inizia 140 anni fa e non ha mai avuto interruzioni: dal 1881 tutti i giorni i nostri maestri orologiai lavorano nei nostri atelier per creare orologi sempre più all’avanguardia. Riuscire a comunicare tutto questo è importante e va fatto di persona. Lo facciamo in boutique, lo riescono a fare alcuni nostri dealer che ne capiscono l’importanza.»
Swiss Made e Made in Japan: una querelle infinita. (sorridendo) «Argomento molto a rischio! Sicuramente il Made in Japan è percepito assolutamente come il top, specie se guardiamo al mondo delle auto, delle moto, delle apparecchiature fotografiche. Noi occidentali, italiani inclusi, abbiamo la forma mentis che l’Alta Orologeria dimori esclusivamente in Svizzera e solo questa nazione possa essere definita come la culla della civiltà delle lancette. Bisogna però considerare che il mondo diventa sempre più piccolo e, anche se il Giappone ancora non riesce ad essere considerato come dovrebbe, è innegabile che in ambito orologiero abbia scritto alcune fra le pagine più importanti della storia di questo settore.»
Un esempio orologiero?
«Nel 1969 sono stati presentati in Svizzera due movimenti cronografici a carica automatica. In pochi sanno che in quello stesso anno, anche Seiko ha presentato un calibro crono automatico con ruota a colonne e innesto verticale. Fu realizzato in totale autonomia, visto che non poté certo godere del network delle maison svizzere.»
Ritorniamo alla segmentazione: dopo Prospex?
«Presage, che è anche il mio personale “pallino”: voglio dedicare la comunicazione proprio alla sua
parte artistica, perché alcuni dei suoi particolari costruttivi contengono le specifiche tipiche dei Métiers d’Art: i già citati quadranti in porcellana di Arita, quelli in smalto Shippo oppure Grand Feu Pezzi straordinari che noi vendiamo a partire da circa 1.300 euro, un prezzo eccezionale se messo a confronto con la loro complessità costruttiva. Basti pensare che oltre la metà dei quadranti Grand Feu viene scartata dopo la “cottura” perché presenta delle imperfezioni anche minime.»
Una sfida importante. «Questo vogliamo fare, appassionare i neofiti a un tipo di lavorazioni realmente di altissimo livello.»
Come funziona il vostro servizio post-vendita?
«Basta recarsi in uno dei nostri punti vendita autorizzati, oppure presso alcuni dei laboratori dislocati nelle varie regioni d’Italia e si accede automaticamente alla nostra rete di assistenza: l’orologio ci viene spedito in sede, viene valutato e quindi inviato al centro di assistenza che è in Olanda. Una volta eseguita l’assistenza, l’orologio viene rispedito direttamente al negozio o al centro assistenza regionale che lo aveva preso in carico.»
Un’ultima domanda un po’ scomoda ma che più di un appassionato si pone: il vostro top di gamma si trova allo stesso livello degli entry price di Grand Seiko. Chi ne soffre, se qualcuno ne soffre, voi o loro?
«Grand Seiko sta riscuotendo successo e questo fa bene anche a noi. È vero che possono sorgere alcuni dubbi, specie quando si osserva che il movimento Spring Drive, divenuto iconico della gamma Grand Seiko, non solamente nasce come Seiko, ma ancora oggi viene montato su alcuni nostri modelli. Questo può generare confusione. Quindi abbiamo accolto in maniera positiva la separazione totale, anche a livello distributivo tra le due marche: ognuno farà il suo e la divisione sarà sempre più netta.»
La boutique, il design e gli elementi di arredo sono stati immaginati come l’espressione esperienziale dell’universo Seiko e dei valori che guidano la Manifattura sin dal 1881. Le collezioni Prospex, King Seiko, Presage, Astron e 5 Sports, accanto ai segnatempo proposti in esclusiva nelle boutique, diventano parte di un percorso narrativo ispirato al mondo Seiko, all’interno di un luogo neutro e piacevole, che accoglie e valorizza ciascun modello.
LONGINES DOLCEVITA XYVY
Cassa rettangolare, in acciaio inossidabile. Quadranti nero laccato lucido, argentato “flinqué”, numeri romani dipinti, opalino, indici applicati. Per tutti i modelli, il cinturino principale è dotato del sistema “quick switch” (intercambiabile). Il cinturino sottile può essere indossato da solo come accessorio.
SEBBENE SIA FINITA da poco l’estate e il suo vento di libertà, non viene certo meno la voglia di mostrare l’orologio che stiamo indossando al polso. Lo sa bene Longines che ha scelto proprio il caldo dei mesi appena trascorsi per svelare la nuova linea di modelli DolceVita X YVY. I segnatempo sono abbinati a raffinati cinturini doppi in pelle in tre tonalità: beige, marrone o con rivetti per la versione nera. Il design è stato affidato alla creatività dell’azienda YVY, con sede a Zurigo, apprezzata per i suoi sofisticati accessori glam-rock da star internazionali e chiunque ricerchi l’esclusività nella scelta di un accessorio.
Gli universi complementari di Longines e YVY si fondono in questa collaborazione quasi
istintiva. I cinturini sono in pelle: le impeccabili finiture, impreziosite e rinforzate da elementi metallici, vantano un design deciso che rimanda esplicitamente al mondo equestre, caro al marchio della clessidra alata: «Volevamo sviluppare insieme un nuovo approccio al mondo dei cavalli e dei suoi finimenti» ha affermato Yvonne Reichmuth, fondatrice di YVY.
Le briglie dell’animale, fondamentali nel rapporto di complicità tra il cavaliere e il suo cavallo, trovano simbolicamente espressione in queste nuove proposte, ovvero nell’intesa che si crea tra l’orologio e chi lo porta al polso. La designer aggiunge: «L’idea della modularità del cinturino è nata per creare un orologio da indossare con stile in diverse occasioni».
YVONNE REICHMUTH è nata in Svizzera nel 1986. Dopo la laurea in fashion design a Zurigo nel 2008, inizia la sua carriera come stilista di moda femminile. La sua passione per la pelle la porta a Firenze dove si specializza nei processi di trattamento di questo nobile materiale e nelle lavorazioni che lo rendono più interessante. Nei successivi dieci anni, Yvonne Reichmuth prosegue la sua esperienza in qualità di stilista. La sua forza risiede nelle collezioni intramontabili, indipendenti dalle stagioni e spesso ispirate allo stile equestre, un mondo che sta particolarmente a cuore a Longines. Le evidenti affinità hanno portato a una collaborazione con il marchio della clessidra alata per ridefinire i codici di stile di una selezione di modelli della collezione Longines DolceVita.
PRESENTE E TRADIZIONE . La linea Longines DolceVita X YVY, completata da questo accessorio dal design contemporaneo, giovane e glamour, si adatta ai desideri di ogni estimatore e ai diversi momenti che scandiscono una giornata grazie al sistema di cinturini intercambiabili. Il raffinato cinturino complementare può infatti essere indossato da solo o combinato all’orologio, trasformando l’accessorio in un oggetto di stile capace di affascinare e conquistare ogni generazione: «L’orologio è disponibile con due casse di dimensioni diverse e si addice sia agli uomini che alle donne» ha aggiunto Matthias Breschan, CEO del marchio di orologi di St-lmier.
LONGINES DOLCEVITA , dalla sua creazione nel 1997, è un inno alla dolce vita italiana: un orologio delicato e raggiante, caloroso e glamour, il compagno ideale per lasciarsi cullare dai propri sogni, seduti ai tavolini di un bar all’aperto, perdersi tra le stradine di Roma o rilassarsi in riva al mare. Nuovi quadranti arricchiscono quest’anno la collezione caratterizzata dalla cassa rettangolare ispirata a un modello degli anni ‘20. Oggi, si aggiungono due nuovi quadranti bianchi, all’insegna della purezza e della sobrietà, che esibiscono indici allungati oppure che abbinano gli indici e i numeri arabi a ore
3, 6, 9 e 12. Una versione con quadrante blu come una notte stellata, accompagnato a scelta da un cinturino in pelle negli stessi toni o da un bracciale in acciaio inossidabile, offre alla collezione una declinazione scintillante, che ricorda la magia delle dolci notti stellate italiane. La collezione, inoltre, è rallegrata dai colori e permette di personalizzare l’orologio secondo l’esigenza del momento. Per la prima volta, il marchio dalla clessidra alata presenta un sistema di cinturini intercambiabili disponibili in un arcobaleno di otto nuove tonalità. La prima stagione propone un bel giallo vivo, un arancio fiammeggiante, un elegante color talpa, un luminoso corallo, un delicato marrone, un intenso verde pino, un turchese che invita al viaggio e un fresco verde limetta. I cinturini in pelle, disponibili in due dimensioni, S e M, sono autentici accessori che permettono di personalizzare l’orologio secondo l’umore del momento. Infine, il marchio propone una nuova dimensione XL che completa la collezione Longines DolceVita, ideale per i polsi maschili. La nuova cassa di 28,20 x 47 mm ospita un movimento automatico. Le declinazioni della gamma Longines DolceVita sono altrettanti modi di vivere ed esprimere questa spensieratezza tutta italiana.
JANE RICHARD PHILIPS
Cresciuta in una famiglia estranea al mondo equestre, Jane Richard ha iniziato a praticare l’equitazione da adolescente. La sua passione e il suo approccio positivo hanno convinto i suoi genitori a regalarle il suo primo cavallo, Flamenco. In breve tempo, la giovane cavallerizza ha dimostrato il suo valore nella disciplina.
Già all’età di 15 anni, Jane Richard ha conseguito la prima vittoria agli Swiss Final Trophy del 1998 a Kerzers, in Svizzera. Dopo questa medaglia si è sempre classificata tra le prime 10 della sua categoria. Nel 2006 la cavallerizza si è trasferita in Italia presso le scuderie di Ignace Philips, divenuto in seguito suo marito. Negli anni successivi ha partecipato a importanti competizioni internazionali, ottenendo sempre buoni risultati. Dopo la nascita del figlio nel 2011, Jane Richard e il marito hanno ripreso le redini dello storico club La Madonnina, trasformandolo in una scuderia aperta a fantini di ogni livello. In parallelo, la cavallerizza svizzera continua a partecipare a concorsi di equitazione, con la stessa passione ed eleganza di sempre. Ricca di passione e perseveranza, dal 2013 rappresenta l’eleganza Longines.
IL SIGNORE DELLA LUNA
RIFLETTORI PUNTATI SU BUZZ ALDRIN PER L’ANNIVERSARIO DELL’ ALLUNAGGIO
Di Patrizio PoggiarelliIN OCCASIONE DELL’ANNIVERSARIO del primo allunaggio, Buzz Aldrin ha trascorso del tempo con Omega riflettendo su quelle ore e sull’orologio che il 21 luglio 1969 scrisse una pagina di storia.
L’astronauta pilotava il modulo lunare Apollo 11 quando questo allunò sul Mare della Tranquillità esattamente 53 anni fa. Quei primi passi rappresentano un considerevole traguardo per l’umanità e anche per l’Omega Speedmaster Professional al suo polso, che divenne in quel momento il primo orologio indossato sulla Luna.
Rievocando le immagini di quel famoso giorno, Omega ha anche scattato un nuovo ritratto di Buzz Aldrin con al polso lo Speedmaster 321 (ref. 311.30.40.30.01.001), animato dal leggendario calibro che ha alimentato tutti gli Speedmaster indossati sulla Luna. Dall’Apollo 11 direttamente all’Apollo 17, gli astronauti si affidarono al Calibro 321 per la sua precisione e affidabilità.
La missione Apollo 11 resta il momento culminante nella lunga eredità spaziale di Omega. È un onore poter commemorare oggi quella storia e celebrare i brillanti traguardi di Buzz Aldrin.
“ NELLA MIA MENTE SONO RIMASTE
UNA SERIE DI IMMAGINI VISIVE DELLE COSE PIÙ STRANE E LONTANE DALLA NORMALITÀ TERRESTRE. RICORDO IL CIELO NERO COME LA PECE LA DESOLAZIONE DELLA SUPERFICIE LUNARE ”
Buzz Aldrin
SPEEDMASTER PROFESSIONAL
MOONWATCH CO‑AXIAL 42 MM
Corredato di un bracciale spazzolato a 5 maglie incurvate per fila, questo Moonwatch da 42 mm in acciaio inossidabile presenta un vetro esalite sul quadrante e un medaglione con ippocampo goffrato sul fondello. Ispirato allo Speedmaster di 4a generazione indossato sulla luna, il modello si distingue inoltre per la cassa asimmetrica, il quadrante “step” nero e il celebre indice “Dot over 90” sull’anello della lunetta in alluminio anodizzato. Al suo interno un calibro Omega Co-Axial Master Chronometer 3861. Costa 6.800 euro
MAGISTER THE BOOK ANDREA FOFFI SPEEDMASTER SELECTION
SPEEDMASTER
PROFESSIONAL
REF. S 105.012 63 THE FIRST «PRO» Per i molti appassionati ed esperti, la referenza 105.012 è una pietra miliare del leggendario Speedmaster, oltre che rappresentare un modello storicamente importante e particolarmente raro. Fu il primo modello ad esibire la dicitura “Professional” sul quadrante. Posizionato alle ore 12, la scritta segnò l’introduzione delle spallette in grado di proteggere sia la corona che i pulsanti – ancora oggi presenti sulle casse Speedmaster. La 105.012 fu la referenza più utilizzata dagli astronauti della NASA durante le loro missioni nello spazio dalla fine degli anni 1960 ai primi 1970.
Petros Protopapas
HEAD OF BRAND HERITAGE AT OMEGASulla base delle prove di qualificazione avvenute con successo e in accordo con le direttive di James H. Ragan, l’Ufficio di Programma a Houston acquistò in maniera ufficiale un totale di 97 Omega Speedmaster per essere adoperati nelle missioni Gemini e Apollo. Come già accennato, circa 30 dei 97 cronografi erano modelli ref. ST 105.003, mentre i restanti 67 modelli erano ST 105.012 e ST 145.012. È molto importante evidenziare che fino al 1978 e fino all’inizio del rinnovamento dell’attrezzatura delle missioni Space Shuttle, neanche uno Speedmaster con calibro 861 fu acquistato o consegnato alla NASA! Per dirla diversamente, mettendo a tacere un’altra leggenda metropolitana, per tutte le missioni – incluse la Gemini, l’Apollo, lo Skylab e il progetto Apollo-Soyuz – la NASA adottò solo gli Speedmaster con calibro 321 nel suo inventario. Riservando al leggendario calibro i suoi conquistati meriti e riconoscimenti, possiamo confermare senza alcun dubbio che solo i cronografi Speedmaster con calibro 321 hanno percorso la superficie della Luna al polso degli astronauti dell’Apollo. Le avventure lunari dello Speedmaster iniziarono il 21 luglio 1969 alle 2:56 GMT, quando l’Apollo 11 raggiunse la superficie lunare e l’astronauta nonché comandante della missione Neil Armstrong discese dalla scaletta
dell’Eagle e divenne il primo essere umano a lasciare un’impronta sulla Luna. 15 minuti dopo l’astronauta Buzz Aldrin lo seguì. Nei loro EVA (Extra Vehicular Activities) sulla Luna l’Omega Speedmaster divenne il primo orologio indossato sulla Luna. Fu nel 1970 che lo Speedmaster ha superato la sua prova più importante, a bordo della terza missione lunare: l’Apollo 13. Gli astronauti non potevano sapere che non avrebbero raggiunto la Luna e che avrebbero combattuto per le loro vite, contro il tempo, con livelli di ossigeno in calo e temperature pericolosamente in caduta all’interno della loro capsula. Quando una bombola di ossigeno esplose, il loro percorso verso la Luna irrimediabilmente si compromise, lasciandoli con quasi nessuna alimentazione e con livelli di ossigeno a rischio. Decisero dunque di affidarsi ad una delle poche cose a bordo che ancora funzionava perfettamente: i loro cronografi Speedmaster. L’orologio fu utilizzato per cronometrare la delicatissima accensione del motore necessario a garantire la corretta traiettoria di rientro del loro veicolo spaziale pesantemente danneggiato. Anche il più piccolo errore di misurazione del tempo avrebbe causato il velivolo spaziale di rimbalzare fuori l’atmosfera terrestre oppure di bruciare nell’atmosfera per il rientro troppo rapido.
L’EVOLUZIONE DI UN’ICONA
UN SUBACQUEO PROFESSIONALE SENZA COMPROMESSI PROPOSTO IN SERIE LIMITATA E PERSONALIZZATA: LO SCUBA ART
Di Mauro GirasoleUNO DEI GRANDI e irrisolti paradossi che da sempre accompagna gli orologi subacquei, è il dissidio tra le loro specifiche costruttive e l’utilizzo effettivo in immersione.
Quanti sono i possessori di un subacqueo, magari un iperprofessionale in grado di immergersi a 200, 300, 500 metri di profondità (dove forse l’orologio riuscirebbe anche a resistere, meno chance sarebbero invece concesse all’incauto sommozzatore se non debitamente scafandrato), che non sono mai andati oltre il rito vagamente paganeggiante del bagno vacanziero a Fregene oppure a Milano Marittima, spiagge nella quali la domenica l’impresa vera è quella di riuscire a raggiungere il bagnasciuga?
Eppure, a dispetto di tutto ciò, in tanti non riuscirebbero ad immaginare un mondo senza i segnatempo professionali impermeabili, non potrebbero concepire un’estate senza il proprio fedele subacqueo, non riuscirebbero a sopravvivere senza qualche tanto inutile, quanto stupenda, particolarità tecnica o stilistica aggiuntiva, a rendere ancora più esclusivo il segnatempo che desiderano, scelgono, acquistano e poi indossano al polso. Ovviamente i costruttori, da circa mezzo secolo a questa parte (forse
”
un paio di loro anche da prima), hanno intuito a perfezione questa “falla” nell’animo umano, anzi in quello maschile. Quindi, con cadenza annuale, alle volte addirittura semestrale, propongono nuovi modelli, versioni, varianti, di orologi sempre più tecnici, prestazionali e multi-funzionali. Si tratta di una corsa all’esclusivo e all’originale, che regala grandi gioie ma anche qualche dolore ai tanti appassionati, contribuendo però a rendere questo settore sempre vivo e spesso accattivante. Voce fuori dal coro, ma proprio per questo interessante e completamente originale, è quella di Zannetti, che ha scelto di vestire il suo subacqueo professionale Scuba Art, meglio conosciuto con il soprannome di Piranha, con una livrea unica nel suo genere. Lanciata ormai sette anni addietro, nel 2013, la Scuba Art è riuscita a conquistare l’interesse e il polso di tanti amanti della bella orologeria tecnica, che non vogliono fermarsi al semplice strumento, peraltro rappresentato a perfezione da questo modello, quanto esigono qualcosa di più, di diverso, soprattutto di unico. Ma qual è la vera chiave di forza del Piranha? Semplice: ogni singolo orologio è diverso dall’altro. Non esistono e non esisteranno due pezzi uguali tra di loro. La manualità nella costruzione e nella finitura del quadrante, garantisce infatti ogni singolo esemplare sia unico, inimitabile, personale o addirittura personalizzato. Già, perché a richiesta l’acquirente può scegliere il tipo di lavorazione, dalla micropittura allo champlevé policromo, dall’incisione allo smalto su madreperla.
«Quando abbiamo iniziato la produzione del Piranha, seppure con i numeri forzatamente ridotti che un orologio realizzato in gran parte a mano necessariamente impone - a parlare è Riccardo Zannetti - ci siamo immediatamente accorti che questo modello aveva un qualcosa di speciale. Infatti, chi lo prova di persona, chi non si accontenta di osservare una foto ma decide di valutarlo indossandolo al polso, ne viene immediatamente rapito. Il merito è per prima cosa delle sue proporzioni, che si minimizzano grazie all’ergonomia ottimale e alla tridimensionalità della cassa, che non lo rende mai banale. Poi il quadrante, sul quale sperimentiamo in continuazione e che rimane il vero segno distintivo di ogni nostro orologio. Offrire la possibilità al cliente di personalizzare il suo Piranha, di scegliere i propri colori oppure addirittura il proprio disegno, è appagante sia per lui che per noi. Certo, il lavoro ogni volta è nuovo, complesso, difficile, ma anche ricco di soddisfazioni. Sapere che qualcuno, da qualche parte del mondo, indossa un nostro orologio con grande fierezza, ci rende anche noi orgogliosi del lavoro che facciamo e ripaga qualsiasi sacrificio».
Quando Zannetti parla di complessità non lo fa certamente a caso. Per realizzare un pezzo su richiesta bisogna, per prima cosa, sapere dal cliente stesso, più o meno esattamente, che cosa
ha in mente. Quindi trasformarlo in un disegno a matita. Il passaggio successivo è quello di adattare il disegno al quadrante, considerando che la parte centrale è occupata dalle lancette e che generalmente vanno applicati almeno quattro indici: alle tre, sei, nove e dodici. A questo punto si manda in approvazione il disegno dal cliente, pronti, una volta ricevuto il benestare, a mettere in moto i vari esperti dei mestieri d’arte. Un disegnatore riporterà il disegno stesso sulla base del quadrante; un incisore scaverà la base per dare l’impronta del soggetto se si tratta di un fondo in Corozo, altrimenti svuoterà la base stessa (magari anche il madreperla) per consentire l’applicazione degli smalti policromi. Sarà quindi la volta di chi realizza la micropittura oppure dello smaltatore. Il risultato finale è un volto totalmente inedito dell’orologio, unico e impossibile da duplicare o da imitare, anche se in tanti ci hanno provato.
«Il successo dello Scuba Art XL, la prima versione che abbiamo prodotto, come ho già detto è stato enorme. Ci siamo accorti però che alcuni polsi, malgrado la perfetta ergonomicità della cassa e delle anse, non riuscivano ad indossare comodamente l’orologio. Abbiamo quindi deciso di realizzarne una versione che mantenesse intatto non solamente il disegno, ma anche il concetto stesso del Piranha, rendendolo però più facile da indossare sia dal pubblico maschile che da quello femminile».
Lo Scuba Art, quindi, anche nella sua versione base, mantiene tutte le specifiche tecniche del fratello maggiore, inclusa la valvola per l’elio, con l’unica grande differenza nel diametro e nello spessore che si riducono di qualche millimetro. A mettere anche in evidenza la lunetta, perfettamente componibile: la base rimane in alluminio, mentre l’anello interno può essere cambiato o eventualmente sostituito da un pavè di pietre preziose. I quadranti sono, come consuetudine, personalizzati, mentre le lancette presentano un disegno totalmente nuovo, realizzato in esclusiva. Il movimento rimane un tradizionale e affidabile meccanico a carica automatica, realizzato in Svizzera per garantire la massima affidabilità e precisione. Un’ultima considerazione: non sempre l’orologeria è fatta di grandi numeri, alle volte sono le piccole realtà a regalare delle grandi emozioni: «Abbiamo scoperto che tante persone, specie i collezionisti di alto livello, sognano un orologio unico, cucito su misura delle loro passioni - a parlare è sempre Zannetti - proprio per questo abbiamo iniziato a realizzare dei quadranti su richiesta dei nostri clienti. Possiamo inserire un logo, la propria auto, la barca, qualcuno ha voluto persino il suo cane o il cavallo. Le tecniche che utilizziamo vengono concordate con l’acquirente stesso. I disegni geometrici possono essere realizzati con smalti champlevé, quelli più compressi incisi e smaltati oppure completamente in micropittura».
Una versione in acciaio con quadrante in madreperla colorata. Movimento automatico svizzero.
TRASFORMARE LE EMOZIONI IN ENERGIA POSITIVA
FILIPPO MAGNINI RACCONTA LE SUE GARE E IL SUO RAPPORTO CON BREIL, DAL QUALE È NATO IL CRONOGRAFO 48”12 Di Paolo GobbiPRIMO ITALIANO a vincere il titolo mondiale sui 100 stile libero a Montreal nel 2005, con il tempo clamoroso di 48”12, seconda miglior prestazione di tutti i tempi, Filippo Magnini ancora oggi rappresenta il volto vincente dello sport italiano. Dopo aver collaborato lo scorso anno con Breil, quest’anno è tornato a lavorare con la marca italiana grazie al Cronografo 48”12, che prende nome , appunto, dal tempo con cui Magnini ha stabilito il record italiano nei 100 metri stile libero che è valso all’atleta la medaglia d’oro, la prima italiana in questa specialità.
Nel suo sport ci sono tanti “tempi” diversi. Quelli che noi tutti conosciamo sono i risultati cronometrici delle gare. Quelli più impegnativi sono invece quelli interminabili degli allenamenti. Ci racconta com’è la vita di un nuotatore fuori dalle gare?
«Il nuoto vive il paradosso di gare davvero brevissime, precedute di contro da lunghissimi allenamenti, che quindi diventano senz’altro il momento più difficile da vivere. Per dare un metro di confronto: io mi allenavo percorrendo in vasca 15 chilometri al giorno per fare una gara della durata di 48 secondi. In pratica ogni giorno facevo due ore e mezza di nuoto la mattina, altrettante il pomeriggio, poi un’ora e mezzo di palestra. 7 ore al giorno per meno di un minuto di gara.»
Tanta noia?
«No. La mia fortuna è stata che a me piaceva allenarmi, superare i miei limiti, arrivare ogni giorno sfinito alla fine della sessione. Questo ha fatto sì che automatizzassi la fatica, dei passi, dei ritmi così serrati, che quando arrivavo in gara era davvero una gioia. È vero, c’era l’adrenalina, la tensione, però il lavoro svolto nei mesi precedenti
BREIL CRONOGRAFO 48”12
Il chrono 48”12 è animato dal movimento giapponese YM82, altamente performante, che permette di misurare anche i centesimi di secondo, contenuto in una cassa d’acciaio di 45 mm di diametro con una finitura IP blu - ispirata al colore delle piscine olimpioniche - estremizzata nel suo aspetto sportivo dall’accostamento lucido/satinato. Il quadrante ha un motivo realizzato in fibra di vetro che propone un pattern “a onde” – evidente richiamo all’acqua. A garantire l’impermeabilità fino a 10 ATM, il fondello è a vite e reca il numero di serie dell’orologio, oltre alla firma di Filippo Magnini. Il cinturino è in PU di colore nero con fibbia ad ardiglione.
era fondamentale. Muhammad Ali diceva: “inizio a contare i piegamenti, le flessioni, quando inizio a bruciare”. Quindi, finché non sono stanco, tutto quello che ho fatto prima ha davvero poco valore. Arrivare tutti i giorni ad un livello di stanchezza e continuare a spingere è la parte più difficile ma anche quella che fa la differenza.»
Il tempo immediatamente prima della gara? «È l’unica cosa che non mi manca dello sport agonistico. È il tempo più difficile da gestire, quello in cui hai paura di tutto, di prendere un raffreddore, di dormire con un cuscino che ti fa bloccare il collo, di non sentire le sensazioni perfette prima della gara. Sono momenti molto stressanti e bisogna essere bravi a non perdere la testa. In quel momento, se sai che ti sei allenato bene, lo vivi con più consapevolezza.»
Invece questi 48 secondi di gara, come funzionano? «È tutto istinto. Incomincia tutto quando entri dentro lo stadio, con il pubblico, le trombe, gli applausi, la musica a tutto volume, il tifo. Poi si azzera tutto, ti isoli, sei concentrato. Capisci che hai a disposizione un pugno di secondi per cambiare la tua vita, per fare la storia. Ti giochi tanto, alle volte tutto, non fosse altro perché il mondiale successivo arriva dopo due anni.»
In vasca hai la percezione del tempo che passa? «Quando parti va tutto in automatico. In teoria non dovresti guardare nulla, mentre nella realtà avere un avversario ad un metro da te inevitabilmente può deconcentrarti. Di conseguenza devi fare la tua gara concentrato su quello che devi fare tu, senza pensare a quello che fanno gli altri.»
Quindi ti estranei completamente dagli avversari? «No, un minimo vanno ad influire sulla condotta di gara. Ricordo nella mia vittoria più importante, quella del record durante i Campionati mondiali di nuoto 2005 di Montreal, il sudafricano Schoeman era passato velocissimo a 22”42, il più veloce di sempre con sette decimi sotto il record del mondo. Io ero all’altezza dei suoi piedi e nella mia follia pensavo “però, non sono poi così lontano”. Viro ed ero quarto, mi giro e vedo che Michael Phelps è dietro. Allora mi sono messo a guardare i sudafricani, li ho raggiunti, superati… ho vinto. In quella frazione di secondo fai tutto in automatico, perché ti sei allenato esattamente per fare quello.»
In quei momenti hai la percezione del tempo? «No, almeno non durante la gara. In allenamento è diverso, perché i ritmi li conosci al cento per cento perché non raggiungi mai i massimali. In gara ti accorgi solamente se stai andando forte o meno, se stai nuotando bene, se stai volando, se il tuo corpo reagisce bene.»
Le emozioni contano quando sei in gara? «Contano moltissimo. Ci sono nuotatori molto forti in allenamento, che non riescono a tirar fuori quello che dovrebbero in gara, altri invece scarsi in allenamento che si esaltano durante le competizioni ufficiali. In realtà la testa è tutto: tutti ci alleniamo, tutti abbiamo degli obiettivi, ma quello che fa la differenza è la testa in quel momento, trasformare l’emozione in energia positiva.»
Non è un caso se molti nuotatori lavorano assieme a dei mental coach. Tu utilizzi questa figura professionale?
«No, non ho mai avuto bisogno di un mental coach, perché per me nuotare è una gioia. Ci sono atleti che prima della gara piangono, si bloccano, danno di stomaco, vanno sotto stress, si deprimono. Io se mi fosse successo qualcosa del genere, avrei immediatamente cambiato sport: nuoto perché amo nuotare. Il momento di gareggiare è il più bello.»
Com’è nata la collaborazione con Breil? «Abbiamo iniziato lo scorso anno con il progetto Untouchable Values, dove sono stato ambassador Breil. Ci siamo conosciuti sempre meglio, abbiamo condiviso io la passione per l’orologeria, loro quella per le prestazioni sportive. Da questo è nata la volontà di realizzare il mio primo orologio, il Cronografo 48”12.»
Un’importante condivisione lavorativa. «A dire il vero questo progetto nasce in primis per un incontro a livello umano. Non ho prestato il nome ad un brand, ma con Breil ho creato una mia storia: una parte di me è in quell’orologio: ogni volta che lo guardo mi ricorda quello che ho fatto 17 anni fa e ancora mi emoziono e sono certo che si emozionano nel rivederlo anche i tanti appassionati di questo sport.»
C’è qualcosa di tuo nell’ideazione di questo orologio? «Siamo partiti da zero, lavorando continuamente sui particolari: forma, materiale cassa, materiale del cinturino, colore del quadrante, forma degli indici, lancette, finiture. Avevo un’idea in mente e volevo che l’orologio rispecchiasse il mio stile, il mio carattere. Il risultato è un orologio che volevo fasciasse il polso, con il quadrante luminoso come l’acqua. Poi il numero 48”12, che volevo ben visibile e per il quale abbiamo fatto più di una prova. Mesi di campioni e di lavoro mi hanno fatto sentire parte attiva di questo progetto.»
Prima hai detto “il mio primo orologio”. Dobbiamo aspettarcene un secondo in futuro? «Adesso godiamoci questo. Poi, da appassionato, sarei contento di riuscire a farne altri. Ma questo rimane la prima medaglia d’oro vinta con Breil.»
La leggibilità dell’orologio è garantita dagli imponenti indici in rilievo con tecnologia luminescente di alta qualità e dalle sfere luminescenti, in parte scheletrate per accentuare il carattere sportivo del segnatempo. Il cronografo è dotato di un vetro zaffiro con trattamento antiriflesso, limpido come l’acqua.
INTEGRAZIONE TOTALE
IL
CONNECTEDCALIBRE E4
“PORSCHE EDITION” RIPRENDE I CODICI STILISTICI BLU GHIACCIO DELLA TAYCAN E INCLUDE COMANDI AVANZATI UTILIZZABILI DAI PROPRIETARI DELLE AUTO DELLA CASA DI STOCCARDADISPONIBILE SOLAMENTE da pochi giorni, il TAG Heuer Connected Calibre E4 - Porsche Edition, è un segnatempo connesso, ispirato al design dell’iconica serie completamente elettrica Taycan di Porsche. Esclusive le funzioni Wear OS, pensate per i proprietari di auto Porsche, che potranno visualizzare direttamente sul quadrante le informazioni della propria auto.
Sia l’orologio fisico che il software condividono caratteristiche di design della stessa tonalità di blu ghiaccio utilizzata per l’iconica auto elettrica Taycan, un chiaro richiamo al suo telaio. Coloro che lo indossano avranno accesso ad un esclusivo quadrante, disponibile unicamente per i proprietari dello speciale smartwatch Porsche.
Ispirato a circuiti di bordo e circuiti da corsa, il quadrante offre un effetto visivo animato che connette gli orologi TAG Heuer e le auto Porsche all’insegna della tecnologia e della velocità.
L’orologio presenta inoltre funzioni che permettono di leggere informazioni dai modelli Porsche compatibili direttamente sul quadrante, come la percentuale della batteria dell’auto e il chilometraggio totale. Il design dell’orologio è caratterizzato da numerosi dettagli che richiamano la Taycan blu di Porsche, tra cui la cassa da 45 mm in titanio nero decorata con inserti declinati nel distintivo blu ghiaccio metallizzato dell’auto.
TAG HEUER CONNECTED CALIBRE E4
PORSCHE EDITION
La cassa in titanio nero sabbiato conferisce al modello luminosità e un tocco sportivo, mentre la lunetta in ceramica nera lucida riporta una speciale scala che va da zero a 400, un chiaro riferimento alla velocità dell’auto Porsche, che consente di leggere funzioni relative al veicolo o di visualizzare parametri come la frequenza cardiaca, oppure informazioni tratte direttamente dai modelli Porsche compatibili: Panamera (modelli G2 II dal 2022 in poi), Panamera (G2), 911 (modelli 992 dal 2022 in poi), 911, Cayenne (modelli E3 dal 2022 in poi), Cayenne (E2 II), 718, Macan II/III, Macan, Taycan.
Gli utenti dell’orologio che possiedono un modello Porsche compatibile potranno connettere il loro orologio all’auto e vedere le informazioni visualizzate nelle funzioni sul quadrante. Come? Basta semplicemente connettere l’orologio all’auto mediante l’esclusiva app Wear OS My Porsche sull’orologio.
DOMINATE THE WATER
Di Patrizio PoggiarelliMIDO È DA OLTRE UN SECOLO un punto di riferimento globale nel settore dell’orologeria meccanica. Tecnologia all’avanguardia, movimenti automatici famosi per la loro eccellenza, materiali di alta qualità sono i tre pilastri su cui poggia la competenza unica del marchio.
DOMINATE THE WATER nata nel 2021 è una gara di nuoto in acque libere per agonisti, master e professionisti; un festival dello sport, un inno al mare, una preghiera per l’ambiente. Un calendario di gare di nuoto di fondo intorno all’Italia, per promuovere i suoi incantevoli scenari. Questi luoghi magnifici devono esser protetti e per questo si vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della sostenibilità ambientale. Durante le gare verranno utilizzati materiali biodegradabili e prodotti ecosostenibili, i premi e le medaglie saranno realizzati in legno e si utilizzeranno canoe e sup al posto delle barche a motore. Si “nuota a fondo” per salvare il mare e lo si fa in coro. Il circuito quest’anno è basato su quattro tappe: Lignano Sabbiadoro (30/31 luglio), Taranto (10/11 settembre), Asinara e Stintino (17/18 settembre) e Positano (24/25 settembre). Per ogni tappa si nuoterà per due giorni con 3 format di gara per ogni età : la 3km FIN/Open, la Staffetta 4x750m e il miglio con un Village nei pressi dell’evento.
OCEAN STAR 600 La passione per il mare di questo orologio subacqueo si basa su caratteristiche straordinarie: un’impermeabilità fino a 600 m, la presenza della valvola per la fuoriuscita dell’elio e il calibro 80, un movimento cronometro certificato COSC di ultima generazione con spirale in silicio, che coniuga una straordinaria autonomia (grazie a una riserva di carica fino a 80 ore), un’ assoluta precisione e una grande resistenza agli urti. La sua cassa robusta in acciaio con rivestimento in DLC è dotata di ghiera in ceramica high tech con numeri incisi riempiti da Super-LumiNova Grade X: un’innovazione che consente di leggere il tempo di immersione con estrema precisione in qualsiasi condizione di visibilità.
Mido è Official Timekeeper di Dominate The Water scegliendo il nuovo Ocean Star 600 Chronometer in DLC, superlativo sotto ogni aspetto, per incarnare questa collaborazione volta alla tutela dei mari e alla salvaguardia dell’ambiente.
Costa 1.650 euro
IL RATTRAPANTE AL DECIMO DI SECONDO
LA MANIFATTURA CONFERMAMAESTRIA
E CAPACITÀ D’INNOVAZIONE NEL CAMPO DELLA MISURAZIONE DEI TEMPI BREVI CON UN NUOVO MOVIMENTO A CARICA MANUALE DOTATO DI DUE MECCANISMI CRONOGRAFICI INDIPENDENTI Di Mauro GirasoleDA PATEK PHILIPPE, il cronografo vanta una lunga e ricca tradizione. Sin dal 1856, la manifattura si è distinta per l’eccellenza dei suoi cronografi da tasca, con o senza lancetta rattrapante, spesso abbinati a grandi complicazioni come il calendario perpetuo e la funzione di ripetizione minuti. Nel 1930-1931, la maison sviluppa anche un orologio da tasca con cronografo a 1/10 di secondo, oggi esposto al Patek Philippe Museum di Ginevra. (Inv. P-340). Nel 1923, la manifattura realizza il primo cronografo da polso à rattrapante su ordinazione. Questo esemplare unico è seguito, nel 1927, dai primi cronografi da polso di serie, con o senza rattrapante, come la celebre Ref. 130 prodotta dal 1934 fino agli inizi degli anni 1960.
Il primo ventennio del terzo millennio si è rivelato particolarmente fertile in questo settore. Dal 2005, Patek Philippe ha sviluppato una gamma completa di movimenti cronografici, con o senza funzioni addizionali (rattrapante, ripetizione minuti, calendario perpetuo, Calendario Annuale, Ora Universale), integralmente progettati e prodotti nei propri laboratori. Questi calibri cronografici, che includono numerose innovazioni e ottimizzazioni brevettate, sono proposti oggi nella collezione corrente in più di venti declinazioni da uomo e per signora.
UN CONDENSATO DI PRESTAZIONI
MECCANICHE Per respingere ancora una volta i limiti della meccanica orologiera e per la gioia degli appassionati di segnatempo tecnici, Patek Philippe ha deciso di sviluppare il suo primo movimento cronografico che misura e indica i decimi di secondo. Per riuscirvi, gli ingegneri si sono basati su uno dei movimenti sviluppati e realizzati internamente negli ultimi due decenni. Lanciato nel 2009, il calibro CH 29-535 PS abbina sei innovazioni brevettate all’architettura tradizionale (carica manuale, ruota a colonne, innesto orizzontale a ruote dentate). Lo stesso vale per la sua versione à rattrapante con due lancette cronografiche al centro (CHR 29-535 PS).
Il primo criterio consisteva nell’aumentare la frequenza del movimento. Con una frequenza di
CRONO MONOPULSANTE 1/10 DI SECONDO REF. 5470P-001
Al suo interno troviamo un calibro ad alta frequenza (5 Hz) hi- tech, abbinato a un totale di 31 brevetti, di cui sette nuovi brevetti specifici, adotta un design sportivo che privilegia anch’esso la tecnica e le prestazioni, con cassa in platino e quadrante blu punteggiato da qualche tocco di rosso. Con questo cronografo monopulsante 1/10 di secondo prodotto in piccola serie, tanto complesso da realizzare quanto un tourbillon, una ripetizione minuti o un cronografo à rattrapante, Patek Philippe amplia la propria offerta di Grandi Complicazioni per la gioia degli intenditori e degli appassionati.
Per raccogliere questa sfida meccanica, la manifattura si è basata sul calibro CH 29535 PS, il primo movimento cronografico Patek Philippe di architettura classica interamente progettato e realizzato nei suoi laboratori e protetto da sei brevetti (2009). La frequenza è stata aumentata da 4 a 5 Hz (36.000 alternanze all’ora ossia dieci al secondo) e il movimento è stato dotato di un secondo meccanismo cronografico dedicato esclusivamente al decimo di secondo.
Allo scopo di garantire una lettura semplice e rapida dei tempi cronometrati, i progettisti hanno immaginato un sistema brevettato di indicazione dei secondi e delle frazioni di secondo concentrico. Il cronografo monopulsante è dotato di due lancette centrali ciascuna delle quali è azionata da uno dei meccanismi indipendenti. Una lancetta (che compie il giro in un minuto) permette di leggere i secondi in modo tradizionale. L’altra effettua un giro di quadrante in 12 secondi percorrendo 12 settori suddivisi in decimi.
4 Hz (28.800 alternanze l’ora, ovvero 8 “passi” al secondo per il ruotismo e la lancetta), il calibro CH 29-535 PS avrebbe misurato solo gli ottavi di secondo. Per questo motivo, il calibro CH 29-535 PS 1/10 possiede una frequenza di 5 Hz (36.000 alternanze l’ora, ovvero 10 “passi” al secondo), così da poter misurare i decimi di secondo. Una “prima” per un movimento cronografico da polso Patek Philippe, che richiede una maggiore quantità di energia.
Tuttavia, la semplice lancetta centrale del cronografo classico abbinata a una frequenza di 5 Hz non sarebbe stata sufficiente per visualizzare i decimi di secondo con la precisione di lettura voluta. Non vi è spazio sul quadrante di un orologio da polso per una scala microscopica che suddivide ogni secondo per dieci. I progettisti hanno, quindi, deciso di dotare il calibro CH 29-535 PS 1/10 di due meccanismi di cronografo indipendenti, uno per i secondi e il contatore 30 minuti istantaneo, l’altro esclusivamente dedicato alla misurazione e all’indicazione precisa dei decimi di secondo.
UNA VISUALIZZAZIONE CONCENTRICA
BREVETTATA In questo procedimento, Patek Philippe si è lasciata guidare dal criterio della leggibilità. In linea con la sua filosofia di creazione interamente customer oriented, bisognava che il quadrante permettesse di leggere le indicazioni dei decimi di secondo, dei secondi e dei minuti cronografici nel modo più semplice, veloce e
affidabile possibile. I progettisti hanno immaginato un sistema brevettato di indicazione dei secondi e delle frazioni di secondo concentrico. L’orologio è dotato di due lancette centrali cronografiche, ognuna delle quali è pilotata da uno dei meccanismi indipendenti. Una lancetta (che effettua un giro in un minuto) permette di leggere i secondi in modo tradizionale, mentre l’altra lancetta (laccata rossa sulla nuova Ref. 5470P- 001) effettua un giro del quadrante in 12 secondi, ossia cinque volte più veloce rispetto a una lancetta dei secondi centrale tradizionale, percorrendo 12 settori suddivisi in decimi. In questo modo l’utente può leggere con una sola occhiata il numero di secondi trascorsi sulla minuteria perlata, poi il numero di decimi di secondo trascorsi (dall’ultima suddivisione in rosso) sulla scala a “chemin de fer” esterna – oltre, se necessario, al numero dei minuti trascorsi all’interno del contatore 30 minuti istantaneo posizionato a ore 3. Per sviluppare questo sistema brevettato che garantisce un’estrema semplicità di utilizzo, la Maison ha fatto ricorso a tutto il suo ingegno. Patek Philippe, come di consueto, ha mirato in alto e ha voluto che il nuovo calibro rispondesse ai massimi standard, a ogni livello. L’orologio non solo doveva misurare e indicare i decimi di secondo con estrema precisione, ma anche mantenere questa precisione durante i 30 minuti di attivazione del cronografo. Era anche necessario dare al calibro CH 29-535 PS 1/10 le dimensioni più compatte possibili, mantenendo il diametro del calibro di base (29,6
Per rispondere al triplice obiettivo di efficienza, affidabilità e precisione, la manifattura ha integrato per la prima volta nell’attuale collezione l’organo regolatore high-tech Oscillomax, sviluppato nel 2011 dalla divisione tecnica Patek Philippe responsabile delle innovazioni della serie “Advanced Research” (17 brevetti). Altri sette brevetti sviluppati per questo nuovo calibro CH 29-535 PS 1/10 concorrono, inoltre, a ridurre il consumo di energia, proteggere il movimento dagli urti ed evitare i rischi di rottura in caso di manovre inappropriate.
Questa nuova Grande Complicazione prodotta in serie limitata è racchiusa in una cassa in platino con fianchi scavati e satinati. La lancetta laccata rosso del decimo di secondo in Silinvar, il cinturino in vitello con motivo tessile goffrato blu marino e le cuciture rosse a contrasto, conferiscono un tocco sportivo a questo modello.
mm), per uno spessore leggermente maggiore (6,96 mm invece di 5,35 mm), nonostante la presenza dei due meccanismi cronografici e il totale di 396 componenti. Il nuovo movimento, una prodezza di miniaturizzazione, presenta uno spessore inferiore a quello del calibro CHR 29-535 PS con lancetta rattrapante (7,1 mm).
PADRONANZA DELL’ENERGIA E ALTA
PRECISIONE Nasce così una nuovissima Grande Complicazione Patek Philippe tanto sofisticata quanto un tourbillon, una ripetizione minuti o un cronografo à rattrapante. Nel nuovo calibro CH 29535 PS 1/10, la frequenza di 5 Hz e l’integrazione di un secondo meccanismo cronografico con lancetta che ruota ad alta velocità richiedono un fabbisogno energetico notevolmente superiore. Per gestire e limitare questo consumo, gli ingegneri sono intervenuti a tutti i livelli possibili del movimento. Anche la ricerca della precisione è stata un tema chiave che ha dominato l’intero progetto. Quest’ultimo ha richiesto ingenti sforzi, a cominciare dall’unico bariletto che deve fornire l’energia all’insieme del movimento. Patek Philippe ha rielaborato questo organo e ne ha migliorato il rendimento in modo che l’amplitudine del gruppo bilanciere-spirale vari il meno possibile e garantisca una stabilità di marcia ottimale. Per aumentare l’energia disponibile e la riserva di carica, gli ingegneri hanno ridotto il diametro dell’albero del bariletto e aumentato il numero di giri della molla
motrice. Un sistema di tacca brevettato, che riduce le sollecitazioni sul gancio della molla in fase di carica, elimina qualsiasi rischio di rottura derivante da queste forze superiori.
UN ORGANO REGOLATORE HI-TECH
Per soddisfare il triplice obiettivo di rendimento, affidabilità e precisione, Patek Philippe ha scelto, inoltre, di ricorrere all’insieme Oscillomax® sviluppato dall’ufficio tecnico “Patek Philippe Advanced Research”. Questo organo regolatore di alta tecnologia, presentato nel 2011 e abbinato in quell’anno a 17 brevetti, raggruppa tre componenti innovativi che sfruttano tutti i benefici della tecnologia del Silinvar®, un derivato del silicio che si distingue per le sue qualità fisiche e meccaniche impareggiabili (leggerezza, durezza, amagnetismo, ecc.). L’insieme comprende la spirale Spiromax® con curva finale e rigonfiamento interno brevettati (brevetto del 2017, Ref. 5650), lo scappamento Pulsomax® con geometrie dell’ancora e della ruota di scappamento rivisitate e il bilanciere Gyromax® in Silinvar® con inserti in oro. È la prima volta che Patek Philippe introduce l’Oscillomax® nella collezione corrente, dal lancio in serie limitata del calendario perpetuo “Patek Philippe Advanced Research Ref. 5550P” (2011). Tale scelta ha rivestito un ruolo fondamentale nelle straordinarie prestazioni del nuovo calibro CH 29-535 PS 1/10. Ha permesso di conservare tutta la precisione che richiede il Sigillo Patek Philippe, con uno scarto
di marcia massimo di –3/+2 secondi al giorno, nonostante il fabbisogno energetico notevolmente aumentato.
UN MOVIMENTO DELLE LANCETTE FLUIDO E PERFETTAMENTE SINCRONIZZATO
Una delle altre grandi sfide legate allo sviluppo del calibro CH 29-535 PS 1/10 riguardava la qualità dell’indicazione, in particolare per i decimi di secondo. Le due indicazioni del cronografo dovevano rimanere perfettamente sincronizzate. Nonostante la sua grande velocità, la lancetta dei decimi di secondo doveva mantenere un movimento fluido, senza contraccolpi né oscillazioni. Anche in questo caso gli ingegneri hanno progettato e applicato soluzioni inedite. Il meccanismo di visualizzazione dei decimi di secondo prende la propria energia dalla ruota dei secondi del movimento di base tramite una ruota conduttrice. Patek Philippe ha dato a questo organo un’architettura innovativa a due strati, con una ruota superiore dotata di bracci flessibili e una ruota inferiore con bracci rigidi. Grazie a questo principio di recupero di gioco brevettato, al tempo stesso compatto e che richiede poco dispendio di energia, i denti della ruota conduttrice esercitano una forza elastica sui denti della ruota d’innesto, eliminando così il rischio di oscillazione della lancetta. Quando il cronografo è innescato, la ruota conduttrice dei decimi di secondo (che effettua un giro in un minuto) va a ingranare con il pignone del decimo di secondo, che deve effettuare una rotazione completa in 12 secondi (ossia cinque volte più velocemente). Per permettere questa “accelerazione”, Patek Philippe ha dotato il pignone di una microdentatura di 136 denti di 30 μm di altezza per un diametro di 1,469 mm. La forza di precompressione esercitata dalla ruota di innesto sul pignone elimina il gioco dei denti. Tutte queste misure permettono di ottenere la massima precisione dell’indicazione.
UN SISTEMA ANTIURTO A PROVA DI TUTTO
Un altro requisito tecnico, altrettanto indispensabile in un approccio di creazione customer oriented, è la protezione contro gli urti. Il nuovo calibro CH 29-535 PS 1/10 doveva poter resistere alle sollecitazioni e ai rischi cui è sottoposto l’orologio quando è indossato tutti i giorni. A tale scopo, Patek Philippe ha sviluppato due meccanismi brevettati. Il primo consiste in un gancio antiurto che mantiene la bascula di innesto in posizione per tutta la durata del cronometraggio. Il secondo sfrutta i “balourd” (centri di gravità, da non confondere con i centri di rotazione) dei componenti del meccanismo del cronografo 1/10. In caso di urto, tutte le accelerazioni subite da questi componenti, invece di sommarsi, si compensano, con l’effetto di mantenere tutte le parti nella posizione desiderata e di evitare un impatto sul corretto funzionamento dell’orologio.
UN CRONOGRAFO MONOPULSANTE
Ultima particolarità degna di nota: il cronografo è dotato di un unico pulsante a ore 2 che governa successivamente i comandi di avvio, arresto e azzeramento. Questo sistema monopulsante, che ricorda i classici cronografi, conquisterà gli appassionati di orologi tecnici. Abbinato agli
esclusivi brevetti introdotti nel calibro CH 29535 PS 1/10, incarna perfettamente il connubio di tradizione e innovazione alla base dello spirito Patek Philippe. Il fondo cassa in cristallo di zaffiro (intercambiabile con il fondo cassa pieno in platino) permette di ammirare lo straordinario spettacolo del calibro CH 29-535 PS 1/10, con i suoi componenti meccanici e le finiture manuali, raffinati come un merletto (ponti anglé, bordi lucidi, Côtes de Genève, ecc.). Le iscrizioni “Oscillomax 5 Hz” e “GyromaxSi”, incise sui ponti e dorate, sottolineano la presenza di questi organi innovativi.
UNO STILE MARCATAMENTE SPORTIVO
Per ospitare questo nuovo movimento dedicato alla performance e alla misurazione dei tempi brevi, Patek Philippe ha sviluppato un abbigliamento inedito dallo stile sportivo. Per far eco al condensato di prodezze tecniche, la manifattura ha scelto il più prezioso dei metalli, ma anche il più difficile da lavorare: il platino. La cassa dalle linee curve, realizzata nel “più prezioso dei metalli”, presenta lo stesso design del cronografo manuale à rattrapante Ref. 5370 (2015) e si distingue per la lunetta concava che garantisce una perfetta transizione con il vetro zaffiro leggermente bombato, per i fianchi scavati e satinati, per la anse del cinturino finemente ricurve e per le barrette impreziosite da cabochon decorativi. Come tutti gli modelli Patek Philippe in platino, la Ref. 5470P-001 esibisce un diamante taglio brillante incastonato tra le anse a ore 6.
L’elegante quadrante di colore blu si abbina ai raffinati riflessi del platino, creando al contempo un contrasto ideale per la leggibilità delle varie indicazioni. I secondi cronografici sono visualizzati mediante una lancetta centrale in acciaio sabbiato e rodiato che punta in corrispondenza della minuteria perlata. L’indicazione dei decimi di secondo avviene mediante la lancetta dei secondi centrale in Silinvar, un materiale hi-tech scelto per la sua leggerezza, a vantaggio del rendimento energetico, e per la sua rigidità, indispensabile per assorbire gli urti quando il cronografo si arresta. Grazie a un nuovo procedimento brevettato per la decorazione della lancetta in Silinvar®, in questo caso laccata di rosso, e a un secondo brevetto che permette di fissare il tubo sulla lancetta in Silinvar® mediante “brasatura”, Patek Philippe è riuscita per la prima volta a utilizzare questo materiale all’avanguardia per un componente dell’abbigliamento. Il colore rosso della lancetta è presente anche sulle suddivisioni della scala a “chemin de fer” che permette di leggere i decimi di secondo. Quando il cronografo non è innescato, la lancetta dei secondi centrale rossa si sovrappone a quella grigia, tanto che le due lancette sembrano una. Una pressione del pulsante a ore 2, e le due lancette centrali iniziano il loro affascinante balletto ruotando a due velocità. Il contatore 30 minuti istantaneo a ore 3 e i piccoli secondi a ore 9 sono anch’essi dotati di scale a “chemin de fer” che facilitano la lettura delle rispettive indicazioni.
La nuova Ref. 5470P-001 s’indossa con un cinturino in pelle di vitello con motivo tessile goffrato blu marine e impunture rosse che riprendono i colori del quadrante.
Comfort e sicurezza sono garantiti dal fermaglio déployant in platino.
WYLER VETTA
UNA LUNGA STORIA FATTA DI INNOVAZIONE
MARCELLO BINDA RACCONTA IL SUCCESSO DI UNA MARCA CON 125 ANNI DI STORIA, CHE ANCORA OGGI RIESCE A CALAMITARE LE ATTENZIONI DI APPASSIONATI E COLLEZIONISTISULLA SCIA DEL SUCCESSO ottenuto dal cronografo Jumbostar, appena arrivato in vendita e già esaurito nella sua prima edizione di 125 pezzi, abbiamo deciso di dare la parola a Marcello Binda amministratore delegato di Wyler Vetta. Sua la volontà di restituire alla marca il lustro che merita.
Le capita mai di innamorarsi dei suoi orologi? «Quasi sempre. Il tema vero è che prima li pensi, poi li disegni o li fai disegnare, poi arrivano i prototipi, li aspetti come se fossi ad un primo appuntamento e nel momento in cui ti accorgi che sono ben riusciti è impossibile non essere definitivamente conquistati.»
Le è successo molte volte? «Per fortuna sono tanti gli orologi di cui mi sono innamorato.»
Non potrebbe essere un’arma a doppio taglio? Un innamorato corre il rischio di non essere obiettivo. «Questo è un errore che ho commesso, mi sono incaponito a volte su cose che piacevano esclusivamente a me, e che non hanno trovato nessun riscontro sul mercato. Ultimamente però mi sono preso anche qualche rivincita: ho deciso di riproporre un’idea ferma da tre anni, all’inizio è stata presa tiepidamente e invece in breve tempo si è trasformato in una nuova icona della marca.»
Wyler Vetta: una bella scommessa? «Soprattutto per il periodo storico. La cosa interessante è che mi sembra ci siano diversi marchi che in questo momento stiano lavorando sul recupero delle proprie radici per andare poi su un prodotto contemporaneo ma che mantenga il fascino della storia. Non sono, quindi, da solo in questa avventura.»
WYLER VETTA JUMBOSTAR 660N SUBACQUEO
Gli orologi della collezione Jumbostar 660 sono declinati nella versione con cassa e bracciale d’acciaio inossidabile (corona e fondello a vite) e dettagli rossi sul quadrante, con cassa e bracciale in acciaio e trattamento PVD gun e dettagli blu oppure con cassa e bracciale d’acciaio e trattamento PVD nero e dettagli gialli a contrasto sulla lunetta e sul quadrante. I bracciali possono essere sostituiti da un originale e pratico cinturino di gomma naturale che riproduce il pattern del bracciale d’acciaio, con un motivo detto “a grana di riso”. Il movimento è il calibro automatico Landeron 24. Costa 1.400 euro nella versione in acciaio, 1.500 euro nelle versioni con trattamento PVD gun oppure nero.
Se volessimo racchiudere in un solo volume tutta la storia dell’orologeria, il vostro posto non sarebbe certo di nicchia.
«In 126 anni di storia Wyler Vetta ha fatto tanta storia, alternando momenti e situazioni diverse. Il nostro compito oggi, è quello di rimettere insieme tutti gli elementi. È un lavoro sfidante che ci piace.»
Osservando il mercato odierno, non possiamo fare a meno di notare che sono le marche indipendenti quelle che raggiungono risultati migliori, di popolarità e di vendite. Forse il successo che sta ottenendo Wyler Vetta all’interno del suo segmento, è dovuto proprio al non dover rendere conto a nessun azionista?
«Il modello di business è proprio quello della marca indipendente, che ha una propria strategia, un baricentro preciso attorno al quale costruire una collezione e una grande esperienza maturata in anni e anni di lavoro. A questo si aggiunge un’estetica “fresca”, che anche nelle piccole serie limitate permette degli esercizi di stile piuttosto belli.»
A proposito di “piccole Serie”, il Cronografo Jumbostar è stato lanciato in una serie limitata di 125 pezzi. Qual è stato il feedback degli appassionati?
«Abbiamo avuto due riscontri importanti: il primo che l’orologio è bellissimo, il secondo che la misura è segmentante. Questi giudizi, interessanti, ci sono arrivati principalmente da collezionisti attivi nel mondo del vintage. In realtà la marca non vuole fare vintage, piuttosto del neo-vintage. Di conseguenza la misura 43 è stata fatta appositamente per non andare unicamente a rispolverare l’effetto nostalgia: volevamo un cronografo che “si vedesse”, che fosse armonico rispetto alle tendenze attuali.»
Avete accantonato i suggerimenti degli appassionati?
«Assolutamente no. Dopo aver fatto il 43 mm, abbiamo dato vita al 40 mm, che rispetta tutti i canoni del Jumbostar del 1968 e infatti c’è grande fermento in ambito social.»
Quando sarà disponibile?
«Da settembre dovrebbe essere in vendita sempre con cassa in acciaio e quadrante in tre colori: blu, nero e silver.»
Il disegno fortemente iconico del Jumbostar ben si presta ad essere declinato anche in altre versioni?
«Sì. Abbiamo realizzato una versione diver 200 metri, che si presta alla perfezione al disegno dell’orologio anche se non era stata pensata negli anni ’70: l’ho trovata una piccola carenza, ma anche l’occasione per compensare questa lacuna che non era stata colmata all’epoca. Il subacqueo mantiene le caratteristiche della collezione, aggiungendo dettagli di contemporaneità, come la lunetta in ceramica, ma mantenendo l’elemento fondamentale del quadrante con il pattern ribassato nel caratteristico colore crema e rosso.»
Parliamo di distribuzione. Le tante boutique monomarca che stanno nascendo hanno portato con sé l’effetto secondario (ma importante) di togliere tanti marchi dalle vetrine generaliste. Questo porta, come conseguenza indiretta per i produttori, alla possibilità di accedere a importanti concessionari plurimarca.
«Da un punto di vista teorico effettivamente questo cambiamento ci favorisce. Dal punto di vista pratico, constatiamo che siamo in un momento storico nel quale c’è tanta incertezza, proprio perché i negozianti di alto livello sono fermi alla finestra per vedere che cosa succede a livello di strategie dei grandi gruppi, ma anche a livello di un mercato italiano che più di tutti ha sofferto della crisi pandemica.»
Quindi come vi state comportando a livello distributivo?
«Abbiamo azzerato la distribuzione precedente, perché non rifletteva il livello di questo prodotto e l’obiettivo di questo progetto. Siamo quindi ripartiti da zero: abbiamo aperto il primo punto vendita nel dicembre 2021. Attualmente in Italia abbiamo circa quaranta punti vendita, tutti di alto livello, destinati ad aumentare.»
L’online, i social, sono un mezzo di comunicazione?
«Sicuramente è la maniera più veloce, perché gli appassionati frequentano molto i siti più famosi. Inoltre, una volta che entri nello schema del gioco, diventi anche tu un giocatore: abbiamo tantissimi commenti ai quali rispondiamo e sta crescendo la fanbase. Più in generale, online e carta stampata sono i nostri sistemi preferiti di comunicazione.»
L’altro volto dell’online è quello dell’e-commerce.Voi siete attivi nella vendita in rete?
«Abbiamo aperto il nostro e-commerce da poco tempo e lo stiamo iniziando a pubblicizzare. Siamo comunque votati alla distribuzione tradizionale e il nostro canale di vendita virtuale è totalmente complementare rispetto a questa.»
Wyler Vetta è un marchio svizzero, in quanto i vostri orologi sono Swiss Made, oppure un marchio italiano?
«Diciamo cinquanta e cinquanta: è nato in svizzera, ma a crearlo fu mio nonno, italiano di Monvalle, nel varesotto proprio vicino al confine elvetico. Siamo italiani perché c’è la passione e la capacità di fare uno stile diverso, personale. Tutta la parte costruttiva, tecnologica, le competenze e l’esperienza è totalmente svizzera.»
Cosa ti aspetti nel futuro da Wyler Vetta? «Mi piacerebbe riportare la marca ad un respiro internazionale, partendo naturalmente dal mercato italiano, che è uno dei più difficili del mondo. Una volta che saremo stati in grado di conquistare qui la nostra legittimità, a quel punto potremo affrontare l’Europa e poi tornare in America dove abbiamo avuto una lunghissima storia e troviamo ancora degli orologi realizzati tra gli anni ’50 e gli anni ’80.»
Ci sono alcuni vostri pezzi vintage non solamente bellissimi, ma anche con quotazioni di alto livello. «Sì, modelli come il cronografo Ermetico, oppure il Jumbostar stesso, che appena abbiamo presentato la versione odierna, ha subito un rialzo delle quotazioni collezionistiche del 30%. Fa abbastanza impressione che la prima serie di quest’anno, già finita anche nei negozi, sia in vendita nei circuiti del secondo polso con delle quotazioni che raggiungono addirittura il doppio del suo prezzo di listino. Una bella vittoria.»
L’inedita collezione diver Jumbostar 660 ha nel proprio nome un inequivocabile rimando al dato dell’impermeabilità che caratterizza gli orologi espressa in “piedi” (660 piedi corrispondono a 200 m), rappresentata metaforicamente anche attraverso un iconico simbolo impresso sul fondello che riproduce due pesci (ad indicare i 200 metri) oltre ai contorni del celebre bilanciere Incaflex.
Il design degli orologi è ispirato alla tradizione Wyler Vetta, e riprende le linee del modello storico degli anni ‘60 reinterpretandole in chiave contemporanea grazie alla creatività e all’esperienza del designer Fulvio Locci.
TESTATO SUL CAMPO
PER CELEBRARE IL 70° ANNIVERSARIO DELLA SPEDIZIONE SCIENTIFICA BRITANNICA IN GROENLANDIA, LA CASA SVIZZERA PRESENTA IL RANGER, UN OROLOGIO STRUMENTO CHE RENDE OMAGGIO ALLO SPIRITO AUDACE DI QUESTA AVVENTURA
Di Mauro GirasoleERA L’8 LUGLIO 1952 quando la Spedizione scientifica britannica salpò da Deptford, un’area di Londra lungo le sponde del Tamigi, per una missione di due anni che aveva lo scopo di studiare la calotta glaciale della Groenlandia. Equipaggiati con il nuovissimo modello Oyster Prince, il primo orologio automatico e impermeabile di Tudor, i membri della spedizione, principalmente scienziati e marinai britannici, condussero ricerche approfondite in ambito glaciologico e sismico in diversi siti. Tudor aveva chiesto loro di raccogliere anche dati sulle prestazioni dei 30 orologi Oyster Prince che avrebbero indossato in condizioni estreme. È lo spirito avventuroso di questi pionieri dell’esplorazione artica che si vuole celebrare con l’ultimo modello della linea Ranger, un orologio accessibile che coniuga tecnologia orologiera all’avanguardia ed estetica storica.
LA STORIA DEL NOME “Ranger” precede di molto quella della Spedizione scientifica britannica in Groenlandia. Sebbene gli orologi Tudor usati dai membri della spedizione tra il 1952 e il 1954 non abbiano mai presentato questo nome sul quadrante, i modelli Ranger successivi alla missione hanno portato avanti il concetto di orologio da spedizione concretizzato da Tudor in quel periodo: uno strumento robusto, pratico e dal prezzo contenuto.
LE ORIGINI DELLA FAMIGLIA Ranger di Tudor risalgono al 1929. Quell’anno Hans Wilsdorf registrò il nome “Ranger”, tre anni dopo aver registrato il Marchio “The Tudor”. All’epoca quel nome non era utilizzato per indicare un modello specifico, ma per dare una connotazione di avventura ad alcuni modelli della collezione Tudor. L’estetica che oggi distingue la linea Ranger è stata introdotta soltanto negli anni ’60 e comprende numeri arabi ben visibili, rivestiti generosamente di materiale fosforescente a ore 3 (nei modelli senza datario), 6, 9 e 12, oltre a lancette esclusive create appositamente.
Sono molte le varianti presentate nel corso del tempo: con e senza datario, con carica automatica o manuale, inizialmente con il logo della rosa Tudor
Per il modello Ranger, Tudor ha scelto un cinturino verde oliva con due strisce rosse e una striscia beige, tessuto dall’azienda francese Julien Faure.
TUDOR RANGER REF. 79950
• Cassa satinata in acciaio 316L, di 39 mm di diametro, con lunetta fissa in acciaio 316L Quadrante bombato nero opaco grené caratterizzato da indici delle ore dipinti con rivestimento fosforescente Swiss Super LumiNova di grado A Lancette “Ranger” con rivestimento fosforescente Swiss Super LumiNova di grado A
Calibro di Manifattura MT5402 certificato dal Controllo Ufficiale Svizzero dei Cronometri (COSC), con spirale del bilanciere in silicio e un’autonomia di 70 ore
Tre bracciali disponibili: cinturino in tessuto jacquard verde oliva con strisce rosse e beige, cinturino ibrido in caucciù e cuoio o bracciale in acciaio 316L con chiusura Tudor “T fit” con regolazione rapida Garanzia di cinque anni, trasferibile, senza registrazione né revisioni periodiche obbligatorie
• Costa 2.600 euro, con bracciale 2.900 euro
La Spedizione scientifica britannica in Groenlandia ha rappresentato un momento determinante per Tudor e i suoi orologi strumento. Si è trattato infatti di uno dei primissimi test a lungo termine, in condizioni reali estreme, implementato dal Marchio. I membri della spedizione monitorarono le variazioni di precisione dei loro Oyster Prince confrontandoli con i segnali orari inviati dalla BBC, e annotarono i dati su quaderni forniti per questo scopo. Considerate le temperature che avrebbero caratterizzato la spedizione, gli orologi Tudor utilizzati erano stati lubrificati con un olio “artico” specifico e dotati di estensioni del bracciale per consentire di indossarli sopra le maniche dei giacconi. Dopo essere tornato dalla Groenlandia, uno dei membri della spedizione scrisse in una lettera a Tudor, conservata negli archivi del Marchio, che il suo orologio “aveva mantenuto una precisione eccezionale” e che “in nessun momento era stato necessario ricaricarlo manualmente”.
seguito poi dallo scudo sul quadrante. A partire dal 1973, viene presentata inoltre una versione con bracciale integrato catalogata Ranger II
IL NUOVO RANGER è in continuità con gli standard estetici consolidatisi nel corso degli anni per questa famiglia di orologi – da cui riprende in particolare il quadrante con numeri arabi a ore 3, 6, 9 e 12 –, ma incorpora al contempo elementi tecnici all’avanguardia, come il Calibro di Manifattura ad alte prestazioni e la chiusura Tudor “T fit” con sistema di regolazione rapida. Inoltre, porta avanti, all’interno della collezione Tudor, la tradizione dell’orologio da spedizione nata con gli Oyster Prince utilizzati dai membri della Spedizione scientifica britannica in Groenlandia: quella di un orologio strumento robusto, pratico e dal prezzo contenuto.
A sottolineare questa eredità funzionale, la cassa di 39 mm e il bracciale del Ranger sono satinati, per creare un effetto complessivamente opaco, nel rispetto dello spirito autentico degli orologi
strumento. Alcuni elementi, tuttavia, sono lucidi, per mettere in evidenza le linee della cassa, tra cui il bordo interno della lunetta. Sul quadrante, uno sguardo attento noterà un dettaglio di ispirazione storica: gli indici delle ore dipinti con rivestimento fosforescente. Di colore beige, sono in netto contrasto con il nero opaco grené del quadrante, e si abbinano alla tonalità dello scudo del logo Tudor e delle iscrizioni. Le lancette a forma di freccia, arrotondata nel caso della lancetta delle ore e spigolosa nel caso dei secondi, sono tipiche dell’estetica Ranger, ma presentano una novità: la punta della lancetta dei secondi è bordeaux.
AL SUO INTERNO troviamo un calibro di manifattura MT5402. La sua struttura è stata progettata per garantire solidità, affidabilità, durata nel tempo e precisione, con l’ausilio del bilanciere a inerzia variabile mantenuto in posizione da un robusto ponte passante con due punti di fissaggio. Grazie a questo bilanciere e alla spirale del bilanciere antimagnetica in silicio, il Calibro di
LA
GARANZIA TUDOR
Sin dalla sua creazione da parte di Hans Wilsdorf nel 1926 e in linea con la sua aspirazione a creare segnatempo eccezionali, Tudor non ha mai smesso di produrre gli orologi più robusti, duraturi, affidabili e precisi che esistano al giorno d’oggi. Forte di quest’esperienza e certa della qualità superiore dei suoi orologi, in particolar modo quelli testati sulle distese ghiacciate della Groenlandia, Tudor offre una garanzia di cinque anni per la sua intera collezione. Questa garanzia non richiede di registrare l’orologio né di sottoporlo a revisioni periodiche ed è trasferibile.
Manifattura MT5402 è certificato “Cronometro” dal Controllo Ufficiale Svizzero dei Cronometri (COSC) e le sue prestazioni superano gli standard definiti da questo organismo indipendente. Laddove, infatti, il COSC ammette una variazione media di -4 e +6 secondi nella marcia giornaliera di un orologio rispetto all’ora assoluta nel singolo movimento, Tudor richiede ai propri movimenti una variazione compresa tra -2 e +4 secondi nell’orologio completamente assemblato.
Un’altra caratteristica di rilievo del movimento di Manifattura MT5402 è l’autonomia “a prova di weekend”, ossia di circa 70 ore. Questo significa che chi indossa l’orologio può, ad esempio, toglierlo il venerdì sera e rimetterlo al polso il lunedì mattina senza doverlo ricaricare.
IL CINTURINO IN TESSUTO è una delle caratteristiche distintive di Tudor, che nel 2010 è stata tra i primi marchi orologieri a prevederlo tra le opzioni disponibili per i suoi segnatempo. Intessuto secondo un metodo tradizionale sugli
ottocenteschi telai jacquard dell’azienda Julien Faure, nella regione francese di St Etienne, è unico per qualità della fattura e vestibilità. Nel 2020 Tudor ha celebrato i dieci anni di collaborazione con l’azienda Julien Faure, fondata centocinquant’anni fa. La collaborazione ha avuto inizio con il lancio dell’Heritage Chrono, primo modello Tudor dotato di cinturino in tessuto creato dalla manifattura francese, a Baselworld 2010.
Il Ranger è proposto anche con un bracciale in acciaio interamente satinato con chiusura Tudor “T fit” dotata di un sistema per la regolazione rapida della lunghezza. Facile da usare, senza l’ausilio di alcuno strumento e attraverso cinque posizioni, questo pratico sistema permette a chi indossa il Tudor Ranger di variare istantaneamente e con precisione la lunghezza totale del bracciale fino a un massimo di 8 mm.
Infine, è disponibile anche una terza opzione: un cinturino in caucciù naturale e cuoio nero testurizzato effetto tessuto, con impunture beige e chiusura pieghevole.
Due subacquei dell’equipe Gombessa prelevano dei campioni di gas e d’acqua dolce derivanti dai camini attivi della valle dei 200 vulcani. A 80 metri sotto la superficie, ai subacquei è consentita solo un’ora di lavoro sul fondo, generando una risalita di oltre 3 ore. Il colore giallo-rosso dei camini è legato agli ossidi di ferro che cristallizzano al contatto dell’acqua fredda delle profondità.
I VULCANI MARINI DEL MEDITERRANEO
LE ERUZIONI VULCANICHE SONO UNO DEI FENOMENI PIÙ AFFASCINANTI DELLA TERRA: LA SEPOLTURA DI POMPEI SOTTO LE CENERI DEL VESUVIO DI OLTRE 2000 ANNI FA È UNO DEI RACCONTI PIÙ SIGNIFICATIVI DELLA STORIA. ERA IN REALTÀ POSSIBILE PREVENIRE I RISCHI LEGATI ALL’ATTIVITÀ VULCANICA? QUESTA DOMANDA È UNO DEGLI OBIETTIVI DELLE RICERCHE DEL VULCANOLOGO FRANCESCO ITALIANO CHE STUDIA E SORVEGLIA L’ATTIVITÀ SOTTOMARINA DELLE ISOLE EOLIE E DEL VESUVIO. PER ARRICCHIRE E SVILUPPARE IL SUO LAVORO, SI È RIVOLTO ALL’EXPERTISE DELL’EQUIPE GOMBESSA, DIRETTA DA LAURENT BALLESTA.
A sinistra, Fifty Fathoms Automatique ref. 5015 12B30 B52, cassa in titanio 45 mm, movimento calibro 1315, costa 17.260 euro.
A Panarea, queste jacuzzi naturali sono estremamente corrosive. Situate solamente a qualche metro di profondità, sono conosciute dall’antichità: i Romani venivano spontaneamente ad ancorare le loro navi sopra le bolle alfine che i gas acidi pulissero i gusci attaccati dai «parassiti acquatici»: una flora d’alghe che rallentava la navigazione e una fauna di minuscoli invertebrati che mangiavano o scovavano il legno delle bordate.
A destra, Roberto Rinaldi romano di nascita ma fotografo e videomaker subacqueo internazionale, in 40 anni di carriera ha lavorato per tutte le maggiori testate, documentari e trasmissioni internazionali. Le prime immersioni le ha fatte con l’equipe del comandante Jacques Cousteau, navigando per i tutti mari con la mitica nave Calypso da Capo Horn al Capo di Buona Speranza. Tra i suoi clienti più noti: National Geographic, Dyscovery, BBC, Rai TV, Sky.
ATTUALMENTE, TRE QUARTI dell’attività vulcanica ha luogo sulla superficie del mare e più di un milione di vulcani sottomarini popolano gli oceani. Tuttavia, la scienza dispone di poche informazioni su questi fenomeni immersi a causa della difficoltà di raccogliere dei dati in situ. La maggior parte dei vulcani sono localizzati negli abissi oceanici, qualcuno si è anche formato nelle acque meno profonde e vicine alle coste. Il Mediterraneo conta diversi esempi di attività vulcaniche sotto marine, in particolar modo nel mar Tirreno, nella parte ovest dell’Italia, che è uno dei più giovani bacini geologici del Mediterraneo. L’attività vulcanica sembra aumentare e gli scienziati non sono ancora capaci di prevedere con precisione il risveglio di questi minacciosi vulcani. Le profondità del mondo sottomarino detengono nuove chiavi per comprendere i vulcani ed anticipare la loro attività?
Questo è ciò che i subacquei scientifici di questa spedizione Gombessa hanno intrapreso: sono partiti alla scoperta esplorando tre siti vulcanici maggiori del Mediterraneo a più di 100 metri sulla superficie del mare: Panarea, Stromboli e il Vesuvio. Di difficile accesso, queste zone, che possiedono tutte delle caratteristiche ben distinte, sono monitorate da dei rilevatori regolarmente esplorati tramite robot telecomandati. Tuttavia questi metodi hanno i loro limiti e alcuni protocolli complessi, come ad esempio i campioni di gas e/o di specie, possono essere effettuati solamente da subacquei esperti. A Panarea delle emissioni di acqua bollente e di gas sono regolarmente osservate. I gas che alimentano queste emissioni deriverebbero da serbatoi magmatici più profondi che potrebbero nutrire i vulcani vicini, tra cui lo Stromboli. Quest’ultimo interessa in particolare modo i ricercatori per la vita che si sviluppa su queste pendici di lava sottomarine. Grazie a delle immagini inedite, un inventario e dei prelievi mirati, lo studio permetterà soprattutto di comprendere ed illustrare la capacità di resilienza degli ecosistemi marini e la maniera in cui sono colpiti dai fenomeni vulcanici – di cui la variabilità delle temperature. I subacquei si sono finalmente avventurati in un buco nero, un crepaccio di una decina di metri di diametro che porta sullo zoccolo del cratere del Vesuvio. Hanno installato a - 120 metri degli strumenti di misurazione alfine di mettere il sito sotto sorveglianza continua rilevando dei dati relativi all’acustica, ai gas, alla temperatura, la pressione, la conducibilità elettrica e al pH.
L’EQUIPE PLURIDISCIPLINARE Il progetto di ricerca sui vulcani immersi nel Mediterraneo è stato iniziato dal vulcanologo italiano Francesco Italiano, in collaborazione con il subacqueo e cameraman Roberto Rinaldi. I due uomini si sono circondati di una equipe pluridisciplinare di scienziati per esplorare questi luoghi ostili, di cui lo zoologo specializzato negli abissi Roberto Danovaro, o ancora il subacqueo, biologo e fotografo sottomarino francese Laurent Ballesta. Autore di numerosi libri e documentari, quest’ultimo è il fondatore delle spedizioni Gombessa, un’iniziativa che Blancpain sostiene dall’inizio del 2013. Roberto Rinaldi è stato accompagnato nella ripresa del lungometraggio da Gil Kébaïli, regista e operatore che lavora a fianco di Laurent Ballesta da diversi anni.
AL POLSO DEI PULITORI DELLA MARINA TEUTONICA
OCEAN 2000 REF. 3519-01 BUND, MODELLO STRAORDINARIAMENTE RARO, REALIZZATO PER UN REPARTO DI ECCELLENZA DELLE FORZE ARMATE TEDESCE E DOTATO DI UN MOVIMENTO TALMENTE UNICO DA ESSERE ANCORA OGGI UN SEGRETO “CLASSIFICATO”
QUALCUNO, ADDIRITTURA alle volte persino qualche collezionista, non ha ancora capito, che l’essenza dell’orologeria è tutta nello stupore. Sarebbe infatti impossibile appassionarsi a questi piccoli oggetti ticchettanti se, alle volte, non si riuscisse a scoprire qualcosa di straordinariamente insolito e per certi versi unico.
È questo il caso di una piccola chimera del collezionismo contemporaneo, l’IWC Ocean 2000 referenza 3519-01 Bund (Il termine Bundeswehr, in tedesco Difesa Federale è il nome ufficiale delle forze armate della Repubblica Federale di Germania). Prodotto verosimilmente in soli 50 pezzi, quindi praticamente introvabile e con quotazioni che raggiungono e superano i 30.000 euro, è la perfetta rappresentazione dell’abilità tecnica e produttiva che da sempre
contraddistingue la casa di Sciaffusa. Si tratta di un modello solo all’apparenza simile all’Ocean 2000 di normale produzione (che peraltro era e rimane uno dei subacquei più avveniristici e riusciti della storia dell’orologeria moderna), ma che racchiude al suo interno delle peculiarità uniche e addirittura ancora “segrete”. Tutto ha inizio nel 1980, quando IWC inizia una proficua collaborazione con Alexander Porsche per la realizzazione di una serie di orologi Porsche Design interamente realizzati in titanio, materiale all’epoca difficilissimo da lavorare. Uno dei frutti più interessanti sviluppati con questa partnership, fu la collezione Ocean, declinata nella versione 500 e nella sofisticata 2000, impermeabile fino alla profondità stratosferica di 2.000 metri.
In quello stesso periodo la Marina Militare
IWC Ocean 2000 ref. 3519-01 BUND Si tratta di una referenza realizzata negli anni ‘80 in soli 50 esemplari per i Minentaucher o Sminatori Subacquei, detti anche “spazzini” del mare, della Marina Militare Tedesca. La sua stima raggiunge e supera i 30.000 euro.
Il fondello, con il numero NSN, è serrato a vite e può essere aperto solamente con un attrezzo specisivo.
Tedesca, in un rapporto di 30 pagine, delineò le specifiche per gli orologi, sia al quarzo che meccanici, che sarebbero andati in dotazione ai suoi sommozzatori. La IWC fu incaricata della produzione e impiegò ben quattro anni per essere pronta alla produzione di quanto richiestole.
La difficoltà maggiore fu quella di realizzare un orologio “completamente amagnetico” pensato per i Minentaucher (sminatori subacquei), unità d’eccellenza della Marina Militare. Il loro lavoro, estremamente pericoloso, era quello di disinnescare le mine marittime, spesso dotate di sensori magnetici e quindi ideate per esplodere a contatto con un materiale “ferroso”.
L’orologio doveva essere completamente amagnetico e se l’operazione era “semplice” per la cassa, in quanto il titanio ha fra le sue doti la totale amagneticità, non lo era altrettanto per il movimento, che giocoforza conteneva dei componenti ferrosi: bastava un solo componente nel materiale sbagliato, per compromettere inevitabilmente la vita del subacqueo stesso. Il risultato furono sei differenti referenze di Ocean
All’interno del fondello troviamo il nome del fabbricante, il numero di referenza e quello di produzione.
2000, destinate a tre utilizzi diversi.
I primi ad utilizzare l’Ocean 2000, nella versione al quarzo con referenze 3314-01 e 3319-01, furono i sommozzatori Kampfschwimmer o Nuotatori Combattenti, addestrati a Eckernforde nella Germania Settentrionale. Si tratta di truppe d’assalto che utilizzano l’acqua per avvicinarsi agli obiettivi: navi oppure postazioni a terra. Quindi necessitano di un orologio particolarmente preciso, in grado di sopportare forti sollecitazioni, ma senza nessuna necessità amagnetica: questo spiega l’utilizzo del quarzo.
Per i Sommozzatori d’Assalto (Waffentaucher) la richiesta fu diversa: dovendo loro attaccare o difendere obiettivi anche con immersioni in profondità, serviva un orologio meccanico tradizionale, con una grande leggibilità del quadrante. Tre furono le referenze prodotte: 3501-01, 3509-01 e 3529 -01. Inoltre la 350901 fu declinata a sua volta con due diversi quadranti: uno con radio luminescenza e uno H3 luminescente al tritium. L’orologio più raro e in assoluto più importante, ben visibile nelle foto
di queste pagine, è il 3519-01 AMAG, pensato appositamente per i Minentaucher o Sminatori Subacquei, detti anche familiarmente “Spazzini” in quanto ripulivano il mare dalle bombe antinave galleggianti o semigalleggianti.
LA TECNICA Osservando gli Ocean 2000 Bund salta immediatamente all’occhio la forte similitudine con le versioni civili. Il vero elemento estetico distintivo è nella lunetta che nei militari è nera e non grigia, cambiano anche il vetro piatto e non convesso e diversi particolari del quadrante: i bordi della sfera dei minuti sono dipinti in rosso mentre la lancetta dei secondi è completamente bianca, anche se sono conosciuti del 3519-01 con sfere dei secondi bianche e punta rossa. Inoltre, a dispetto del nome stesso dell’orologio, le versioni BUND erano garantite “solamente” fino a 1.000 metri in immersione. Rimanendo nel 3519-01, le differenze di questa versione erano decisamente marcate nella parte meccanica: le modifiche necessarie per una realizzazione completamente amagnetica, richiesero dei cambiamenti così radicali da rendere la sua costruzione tanto sofisticata da rientrare nei criteri di segretezza dell’esercito stesso: due sole persone in IWC potevano comunicare con la Marina Militare e ancora oggi alcuni dei materiali utilizzati sono coperti dal segreto militare.
Il movimento della referenza 3519-01 AMAG BUND era un calibro 3755AM con 22 rubini con base Eta calibro 2890. Attenzione, solo all’apparenza questo movimento sembra essere simile al suo capostipite. La versione IWC è infatti completamente realizzata con metalli e leghe non ferrose, a partire dal bilanciere in Niobio Zirconio. Per le altre parti ferrose sono stati utilizzati il berillio, il titanio, l’oro e altre leghe alcune delle quali, come già detto, segrete. Questo sforzo tecnologico aveva però i suoi limiti: non avendo avuto questi materiali un lungo periodo di sperimentazione, la IWC non ne poteva garantire un utilizzo per lungo tempo. Di conseguenza era raccomandato di utilizzare gli AMAG per il tempo strettamente necessario alla
missione stessa e non quotidianamente. Inoltre il tempo per le revisioni periodiche passava dai tradizionali cinque anni, ad un solo anno.
La cassa di tutti i Bund era realizzata con una lega di titanio (TiAlV- Titanio 90%, Alluminio 6% e Vanadio 4%) altamente resistente e decisamente leggera, ma soprattutto ben più difficile da lavorare rispetto all’acciaio oppure all’oro. Il vetro era uno zaffiro piatto da 2,6 mm di spessore (1,1 mm in meno della versione civile, che infatti aveva il doppio dell’impermeabilità), con la lunetta nera girevole unidirezionale, azionabile solamente dopo la pressione contemporanea con due dita su due lati opposti. Questo evitava l’azionamento non intenzionale, garantendo al sub la massima sicurezza in missione. Al dodici era posto un triangolo di materiale luminescente. La corona, in titanio, serrata a vite con arresti anti-pressione, era posta alle quattro, in maniera tale da preservarla dagli urti e renderla più comoda quando l’orologio viene indossato. Sul lato esterno del fondello è incisa la scritta BUND e, sotto di essa, il numero a 13 cifre del Versorgungsnummer, con poco visibile il numero NSN a sette cifre che contraddistingue ogni singola cassa. Una spessa guarnizione sintetica in teflon sigilla ermeticamente la cassa. Infine, da mettere in evidenza, a tutti i Nuotatori Combattenti, i Sommozzatori d’Assalto e agli Sminatori Subacquei, nel momento in cui lasciavano l’esercito, fu offerta l’opportunità di acquistare i Bund che avevano utilizzato durante la loro carriera. Tanti di questi modelli furono successivamente alienati e questo spiega la loro presenza, del tutto lecita anche se rarissima, nel mercato collezionistico.
NOTA BIBLIOGRAFICA
La Gioielleria Bonanno ha acquisito un’esperienza decennale nella compravendita di orologi vintage e da collezione con una rete che copre tutta Italia e si estende anche a livello internazionale.
SCEGLIERE IL VINTAGE
GIOVANNI BONANNO CI GUIDA IN UN INTERESSANTE VIAGGIO ALLA SCOPERTA DEL MERCATO DELL’OROLOGERIA CONTEMPORANEA DA COLLEZIONE Di Paolo GobbiIL MONDO DEL VINTAGE sta vivendo un momento particolarmente importante e positivo. Siamo andati a chiedere a Giovanni Bonano di raccontarci le peculiarità di questo mercato.
Da quanto tempo è nel mondo degli orologi vintage?
«Mi sono affacciato in questo settore nel 1998, subito dopo gli studi, entrando nell’allora nostro piccolo negozio di famiglia. Nel 2001 mi sono trasferito insieme a mio cugino Giovanni in via della Croce 13. La nostra sede è ancora lì: la location è la stessa, però oggi la la nostra azienda è totalmente diversa da quella che era all’inizio.»
Cosa intende per completamente diversa?
«La concezione dell’orologio è radicalmente cambiata nel tempo, di conseguenza anche il nostro lavoro e la nostra sede hanno subito una trasformazione. Fino agli anni ‘90 l’orologio, per la maggior parte delle persone, veniva considerato come un bene di gratificazione, un bene che viene regalato a qualcuno di caro o magari anche a sé stessi.»
soggetto perciò alla scambio e suscettibile ai rialzi e ai ribassi dettati dalle tipiche leggi di mercato che governano la domanda e l’offerta.»
Anche la domanda ha subito dei cambiamenti?
«L’evoluzione del mercato non solo ha cambiato la concezione del bene oggetto di scambio, ma ha cambiato anche lo stesso cliente, che è diventato un vero e proprio collezionista e investitore.»
La vostra risposta?
«Siamo stati dinamici e abbiamo saputo capire e sfruttare le opportunità in anticipo: in questo modo abbiamo da sempre consigliato per il meglio i nostri clienti che hanno creduto in noi, portandoli così ad acquistare orologi che hanno incrementato il loro valore nel tempo.»
Cos’ha permesso l’evoluzione dell’orologio come un bene di investimento?
«La magia e il dramma! Scherzo, ma neanche tanto. L’avvento di internet e il nuovo regime dei pagamenti, hanno radicalmente cambiato
il mercato azionario ed immobiliare lasciavano il teatro ad altri mercati dei beni, così detti rifugio, che salivano alla ribalta. Tra questi troviamo il nostro amato mercato delle lancette. Poi l’ultima spinta definitiva è stata data dal periodo di pandemia.»
La responsabilità di questo cambiamento è dovuta alle vendite online?
«È stata una graduale trasformazione. Quando abbiamo iniziato negli anni ‘90, il lavoro era improntato su di un odello statico. Il negozio era il fulcro del mercato, la vetrina era la parte principale, la nostra “regina”. A Roma tutti la conoscevano e in tanti ne venivano attratti. Mettevamo esposti tutti gli orologi che avevamo: per montarla ogni giorno ci voleva almeno un’ora… eravamo talmente tanto affezionati alla nostra vetrina che, quando abbiamo ristrutturato il negozio, è stata l’ultima cosa che abbiamo deciso di cambiare!»
e dei social ha cambiato la nostra “regina”: la vetrina è ormai una piccola pagina bianca sempre in movimento, che tutto il mondo può sfogliare e soprattutto la tecnologia ha reso possibile l’analisi dettagliata dell’oggetto virtuale: qualsiasi cliente, vero o presunto, può guardare l’orologio come in presenza, dettaglio importantissimo per il nostro settore.»
Avete allargato il vostro raggio d’azione?
«L’internazionalizzazione, come per tutti i mercati, ha comportato l’abbattimento delle frontiere: non è più importante il negozio fisico, bensì la reputazione e l’esperienza del venditore.»
In quanto tempo è accaduto tutto ciò?
«Questo cambiamento non è stato né repentino né contestuale agli altri mercati che si sono affacciati alle vendite online. Scambiare un orologio tramite pagamenti virtuali e corrieri
Poi è cambiato tutto?
«Non tutto, ma c’è stato comunque un cambiamento: contestualmente all’inizio dell’ecommerce, come dimostrano l’andamento delle aste più importanti di Ginevra, da Christie’s ad Antiquorum, da Sotheby’s a Phillips, l’orologio
possono avere dei “difetti”, come il viraggio del quadrante, che li rendono particolari, oppure delle caratteristiche distintive, come ad esempio essere appartenuti ad un personaggio noto, in grado di farne schizzare in alto il valore.»
base alla propria disponibilità, si può andare su orologi con caratteristiche più particolari così da provare a realizzare, una volta venduto, profitti più accattivanti.»
Il vintage è tutto rose e fiori? Non ci sono rischi?
«Ci sono i rischi, eccome. Come un qualsiasi mercato, anche questo ha tantissime oscillazioni, è soggetto alla relazione con gli altri mercati di investimento, alle mode sui vari modelli, ma soprattutto non è un mercato liquido. Perciò chi investe deve essere consapevole che spesso bisogna “proteggere” i propri orologi e non venderli nel momento sbagliato. Ma il rischio più grosso è nell’acquisto: bisogna sapere cosa ci si sta portando in casa. Il mio lavoro è quello di capire che tipo di profilo di rischio rendimento sta cercando il mio cliente e trovare l’orologio che soddisfa le sue aspettative. Segue poi la parte più importante, che è quella di valutarne la qualità, l’originalità e la coevità in tutte le sue caratteristiche di costruzione.»
Il suo può essere considerato un “ruolo” totalmente nuovo?
«Potrei definirmi come un vero e proprio advisor: il cliente che ha deciso di diversificare il
suo portafoglio di investimento, si relaziona con me affinché io possa consigliare l’oggetto adatto alla sua richiesta. Questa necessità nasce dal fatto che gli orologi così detti “da investimento” sono beni definiti “vintage” prodotti da minimo più di 20 anni e sono diventati oggetti da collezione. Per capirne la qualità bisogna avere delle particolari attitudini ed esperienza. Io ho potuto interiorizzarle poiché da sempre ho avuto una gran passione per questi oggetti ed in azienda ho avuto l’opportunità di analizzarne parecchi.»
Con quale orologio è entrato nel mondo dell’orologeria vitage?
«La mia prima esperienza in assoluto è stata nel 1998: in quell’anno acquistai un Rolex Submariner Ref.5513. In quegli anni il suo valore era di circa un milione e ottocentomila lire, circa 950 euro. Oggi viene scambiato sul mercato ad un valore di circa 10.000 euro. Un bel salto»
Sono passati tanti anni.
«Sì, anche se, in linea con l’andamento di questo mercato, posso affermare che la passione degli orologi vintage è diventata il mio core business negli ultimi dodici anni.»
Via della Croce 13, 00187 Roma Tel.+39 06 69380564 www.gioielleriabonanno.it facebook: bonannowatches Instagram: bonannowatches
emozioni
CAPITOLO 2
CHANEL
HIGH JEWELRY Press article on « Bijoux de Diamants » published in Vogue France, January 1933
LA LEGGERA BELLEZZA DELL’ARTE
LE SUE OPERE VIVONO IN LEI E IL TEMPO LE È SERVITO PER RAGGIUNGERE LA LIBERTÀ
IL TEMPO NELL’ARTE e soprattutto per gli artisti è una variabile che si materializza sotto tante forme diverse. Lo ha ben compreso Roberta Morzetti, scultrice che vive e lavora a Tuscania, straordinaria cittadina dell’alto Lazio in provincia di Viterbo. L’abbiamo incontrata durante la mostra Pax_22 curata da Velia Littera e tenutasi nella sua città all’interno della chiesa di Sant’Agostino.
Com’è il tempo per un artista? «Dipende dal Tempo che vivo (ridendo). È talmente complesso, affascinante questo argomento, che per parlarne seriamente avremmo bisogno dei più grandi filosofi ed intellettuali. Come ci insegnano i greci tre sono le sue definizioni: Chronos, Aión e Kairós. Platone sostiene che Chronos sia l’immagine mobile di Aión. In una sintesi assai superficiale Chronos è la dimensione quantitativa della successione cronologica del tempo, mentre Aión è la dimensione qualitativa ed incalcolabile della durata, della forza vitale, dell’eternità. Poi abbiamo Kairós, sicuramente il tempo a cui più sono legata, la dimensione cruciale del tempo opportuno, del momento supremo in cui ha luogo la meraviglia della Coscienza, della Mente che non ha nulla a che fare con l’Occasione e la Fortuna dei nostri giorni, né tantomeno con l’Evento Escatologico Cristiano. Ci sarebbero infinite considerazioni da fare.»
Il tuo Tempo?
«Direi che in questo momento sono molto felice del tempo in cui vivo. Stanca ma felice. Forse, grazie al mio lavoro, alle mie sculture la mia dimensione temporale che ora predomina, rifacendoci ai nostri padri greci, è quella di Kairós, finalmente quella del tempo opportuno, del momento supremo!.»
Tu e le tue sculture?
«Le sculture sono il mio mondo, la mia vita. Non ho figli, loro sono le mie bambine: la gestazione di un’opera può andare anche oltre i classici nove mesi. Sono loro a gestire il mio tempo.»
Lavori su più sculture contemporaneamente?
«Sì, assolutamente. Lavoro su più opere allo stesso tempo, ma solamente quando appaiono nella mia immaginazione. Altrimenti studio sia materiali nuovi, i loro mix, la loro combustione, sia testi filosofici, artistici, di letteratura. Sono abbastanza curiosa.»
Cosa vuol dire quando appaiono?
«I miei lavori sono la sintesi di momenti abbastanza tormentati in cui convivono più stimoli, sia interiori che esteriori. Poi mi arriva una liberazione attraverso l’immagine di quelle che saranno poi le mie sculture.»
Sei solita fare bozzetti delle tue visioni?
«Per me sarebbe sostanzialmente inutile perché quando una scultura arriva nella mia mente, è talmente viva che è impossibile dimenticarla, anzi scalcia sempre per essere liberata. In pratica le mie opere mi abitano. È stata la mia curatrice Velia Littera, direttrice della galleria Pavart di Roma, al mio fianco dal 2016, a “consigliarmi” di fare, a volte, dei bozzetti, poiché necessari, ai fini lavorativi.»
Quindi ti dominano? «Conviviamo, alle volte in maniera pacifica, altre volte un po’ di meno.»
Come fai a liberartene? (ridendo) «Solamente facendole! Io devo tanto a loro, perché è grazie alle mie sculture che sono una persona leggera e non superficiale.»
Leggera?
«La famosa leggerezza che Italo Calvino descrive benissimo in Lezioni Americane: “Prendete la vita con leggerezza, ché leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”. Grazie al mio lavoro tutti i ricordi, anche i più dolorosi, i lutti, i tradimenti profondi, una volta che prendono forma, poi diventano dei coriandoli.»
Torniamo al tempo.
«Non mi interessa Chronos, né tantomeno Aión. In questo momento, come già detto, è Kairós la dimensione del tempo che più mi affascina e che vorrei scandisca la mia vita anche nel tempo futuro e che in questa dimensione del Tempo opportuno, nascessero più sculture e progetti possibili.»
Sei così vitale dal non sentire il passare del tempo?
«Non soffro il passare del tempo, anzi sto per compiere 43 anni e ne sono molto felice. Ogni anno è un traguardo, nulla è scontato. Certamente sono altalenante, a volte mi pare di avere 20 anni, altre volte 150 ma è fondamentale per me, riuscire sempre, in qualsiasi situazione, a rispettarmi ed a essere coerente con me stessa.»
Non è così scontato essere coerenti con sé stessi. «No, è difficilissimo!.»
Quindi seguire il tempo è una bella impresa?
«Sì, basti pensare che il primo orologio che ho acquistato ed indossato, in tutta la mia vita, è stato quando è morto mio padre, nel 2018, e dopo che ho vissuto, nei mesi successivi, altre vicende personali abbastanza destabilizzanti. In un paio di mesi il mio mondo si è capovolto. Dovevo iniziare a seguire Chronos con estrema lucidità e disciplina per non essere travolta dagli eventi.»
Cosa provi quando una tua opera viene venduta?
«L’ho detto prima. Le mie sculture sono come creature, il distacco è doloroso, ma necessario. Anche loro devono diventare indipendenti!»
Quindi vendi le tue creature?
«Detto così è atroce. Ovviamente sono molto legata a loro, ma è pur vero che questo è il mio unico lavoro, quindi il fine ultimo ovviamente è la vendita e sinora sono stata abbastanza fortunata. Le persone che si sono avvicinate e continuano a seguire il mio mondo hanno una spiccata sensibilità quindi sanno leggere i miei lavori ed amarli. Inoltre, questo è un aspetto che segue con estremo rigore e professionalità la mia curatrice.»
Per tua fortuna, invece, riesci a venderle.
«Sono fortunatissima perché le mie opere sono entrate in collezioni importanti. La scultura più importante, Escape_20, è nella collezione di un importante mecenate e amante dell’arte, Alessandro Vitiello, che da sempre crede in me. Sono felice che
Roberta Morzetti è una artista contemporanea nata a Tarquinia nel 1979. Dopo una breve esperienza nel mondo della moda e del teatro, da circa dieci anni si dedica esclusivamente alla scultura. Vive e lavora a Tuscania.
“ HO SEMPRE PENSATO CHE LA PELLE FOSSE L’ORGANO PIÙ PROFONDO L’UNICO CONFINE TRA MONDO INTERIORE E MONDO ESTERIORE ”
sia nella sua home gallery romana, perché così ho ancora la possibilità di andare a trovarla, di vederla. Spero che anche Pax_22, ossia la scultura che dà il nome alla mostra corrente, riuscirà a trovare una collocazione di pari livello.»
Cosa succede quando si va “a trovare” una scultura? «Ogni volta che rivedo Escape_20 non posso, in nessuna maniera, trattenere le lacrime. È un lavoro iniziato quando ancora c’era mio padre in vita, finito dopo che lui è scomparso. Ringrazio di avere la possibilità di rivederla e capire come sta. Rivivo così gli ultimi giorni trascorsi a lavorare con mio padre.»
Vi parlate? «Parlo con tutti i miei lavori.»
Ti rispondono? (ridendo) «Certo!.»
Saresti disposta per ragioni di opportunità e di contingenza a superare queste tue regole?
«Ossia di riuscire a vendere a persone che non stimano il mio lavoro? Io sicuramente no. È per questo però che ho al mio fianco Velia Littera, è lei a seguire questo aspetto più commerciale. Il mio mondo non è affatto sincronizzato con l’opportunismo ed il servilismo. Mi odierei se dovessi fare una cosa del genere. Ad esempio, da giovanissima, ho rifiutato di fare la stilista, un lavoro serio con il famoso stipendio garantito, perché non mi piaceva il sistema.»
In che senso non ti piaceva il sistema?
«Per carattere vengo molto influenzata dalle relazioni che si creano attorno a me quando Lavoro. Non amavo la strumentalizzazione del corpo femminile che si vive nell’ambiente della moda.»
Torniamo al tuo orologio: il tuo rapporto con lui era in realtà con il tempo o con l’estetica dell’oggetto indossato?
«Era un rapporto basato sul tempo numerabile, quindi, se vogliamo, con la realtà oggettiva che in un attimo aveva sgretolato la mia vita. La perdita repentina di mio padre, insieme ad altre vicende personali, hanno fatto sì che la mia percezione onirica della vita dovesse per forza confrontarsi brutalmente con la realtà nuda e cruda. Ho reagito con forza e lucidità, lavorando seriamente su me stessa per ritrovarmi più forte di prima, senza perdere tempo! Ecco il motivo per cui ora indosso un orologio.»
Il rapporto con il tuo corpo?
«Sin da piccola è sempre stato abbastanza conflittuale. Il corpo è lento e la mente molto più veloce.»
Complesso e impossibile da risolvere. Un esempio?
«Quando si è piccini e si abita in un piccolo borgo come Tuscania, si è in conflitto con sé stessi perché si vorrebbe essere repentinamente altrove.»
Hai coronato il desiderio vivendo a Roma, Bologna, Milano.
«Sì, ma da adolescente curiosa, per quanto vivessi
in una cittadina realmente bella come Tuscania, mi sentivo in apnea. La mente oppressa, di conseguenza, mi creava conflitti anche con il mio corpo. L’unico svago era il negozio di dischi, per giunta di proprietà della mia famiglia, dove passavo le mie giornate.»
Dove ti vedi fra qualche anno?
«Potrei essere ovunque, ma sicuramente centrata dentro me stessa e con il sorriso e non è poco.»
Come la mettiamo con la storia che gli artisti diventano famosi e le loro opere strapagate, solamente dopo la loro morte?
«Essendo questa la mia unica professione e fonte di reddito e non avendo assolutamente le spalle coperte, ho una certa urgenza di raggiungere più successo di quello che già ho. Qui non ho tempo e spero vivamente di raggiungere i miei obiettivi mentre sono ancora in vita, come sta succedendo con alcuni bravissimi colleghi contemporanei. Dopo la morte saranno le mie sculture a vincere sul tempo.»
Che rapporto hai con il denaro?
«Per me è solo uno strumento per vivere serenamente, svolgere il mio lavoro di artista e per viaggiare. Mi piace scoprire luoghi lontani, altre culture e altre maniere di vedere il mondo Questa per me è la vera ricchezza della vita.»
Com’è essere artisti nel 2022?
«Sono nata nel 1979 ma professionalmente ho iniziato a muovere i primi passi nel 2005. Dal 2008, ovviamente l’incertezza è diventata poi l’unica certezza. Penso che la precarietà appartenga a tutte le professioni. Fondamentale è seguire sé stessi, rispettare la propria natura, l’unica maniera per parlare al mondo. Devo la mia leggerezza alle mie sculture, sono loro a darmi la forza per vivere in questo momento così complesso dove le difficoltà sono oggettivamente tentacolari. C’è un’alternanza tra buio e luce.»
Cosa comunichi?
«Comunico quello che ho dentro. Un linguaggio del contemporaneo per arrivare ad essere partecipe del nostro tempo, che è poi la grande mancanza di oggi sia a livello politico che culturale. Il non senso del nostro tempo è che si sfrutta l’ignoranza collettiva.»
Tu sei un’artista che lavora molto sul corpo e le tue opere sono dei positivi/negati proprio di te stessa.
«Ho un rapporto profondo con me stessa ed il mio corpo. A me quello che interessa, sin dall’infanzia, non è la perfezione, ma è una bellezza carica di pathos, di passione, di meraviglia e di vita, con tutto quello che ne comporta.»
Una bellezza complessa.
«Forse a causa delle perdite importanti che ho subito sin da bambina, cresciuta conoscendo la mancanza dei cari, ho osservato una bellezza che andava disfacendosi. Nelle mie sculture si trova la decadenza unita allo stupore della consapevolezza di essere dei sospiri all’interno di un contesto che è ben più ampio di noi.»
“ NELLE MIE SCULTURE SI TROVA LA DECADENZA ASSIEME ALLO STUPORE DELLA CONSAPEVOLEZZA DI ESSERE DEI SOSPIRI ALL’INTERNO DI UN CONTESTO CHE È BEN PIÙ AMPIO DI NOI ”
SEIKO - MATTEO PUGLIESE
UN SAMURAI A SAN PATRIGNANO
SEIKO ITALIA COINVOLGE LO SCULTORE MATTEO PUGLIESE NELLA REALIZZAZIONE DI UN’OPERA PER LA COLLEZIONE DI SAN PATRIGNANO E DI UN WORKSHOP DI SCULTURA A FAVORE DEI RAGAZZI OSPITI DELLA COMUNITÀ
Di Mauro GirasoleCON L’OBIETTIVO di contribuire in maniera attiva e concreta allo sviluppo di una società migliore ed inclusiva, Seiko Italia si è fatta promotrice di un’iniziativa che esprime in maniera reale la propria filosofia e che ha come protagonista la collaborazione con l’artista Matteo Pugliese e con la comunità San Patrignano.
Arte, artigianalità e gusto estetico, come nutrimento dell’anima, possono giocare un ruolo chiave nella creazione di una società migliore, oltre ad avere un potere ed esercitare un’influenza nella formazione delle future generazioni.
«Responsabilità sociale e consapevolezza sono temi per cui Seiko da sempre nutre una particolare sensibilità, così come l’educazione delle nuove generazioni - ha detto Filippo Nembrini, direttore di Seiko Italia - la recente attività in collaborazione con Matteo Pugliese, e ancor di più con la comunità San Patrignano, rappresentano una naturale espressione del percorso intrapreso in questa direzione, un’azione concreta volta a promuovere una società
più inclusiva, che operi per il bene di tutti, con particolare attenzione ai giovani.»
Lo scultore Matteo Pugliese ha realizzato un’opera scultorea in bronzo e marmo, che ha messo in evidenza il rapporto tra la linea di orologi Presage di Seiko - nota per la particolare bellezza giapponese e la qualità estetica dei suoi segnatempo, impreziositi dall’adozione di tecniche artigianali millenarie nella lavorazione dei quadranti smaltati, laccati o in porcellana di Arita - e il senso estetico e l’artigianalità che caratterizzano le opere dell’artista.
La costante ricerca della bellezza e di prestazioni infallibili risponde a un’aspirazione profonda della cultura giapponese, che si ritrova in tutti i saperi del passato, e che trova ulteriore espressione nel sodalizio con Matteo Pugliese. Il fulcro della collaborazione, espresso attraverso l’opera, è un principio condiviso che consiste nella continua ricerca del gusto estetico, un’indagine ideologica prima ancora che estetica, che si concentra sui dettagli ponendosi l’obiettivo
Successivamente alla realizzazione dell’opera, Seiko ha coinvolto i ragazzi della Comunità San Patrignano in un seminario sull’arte con un laboratorio sull’argilla tenuto da Matteo Pugliese, con lo scopo di trasformare le abilità manuali e artigianali dei ragazzi in uno strumento di piena espressione della propria individualità e in un percorso di ricerca e di valorizzazione delle proprie risorse emotive, attraverso l’uso libero e spontaneo di un materiale malleabile come l’argilla e l’esperienza sensoriale evocata dal contatto con questa materia così duttile.
ultimo della perfezione. «Sono felice che un marchio come Seiko abbia colto la correlazione fra il contenuto artigianale degli orologi Presage e le mie opere - ha detto Matteo Pugliese - un legame che risiede nell’attenzione al dettaglio, nella cura minuziosa del lavoro fatto a mano. Si tratta di un aspetto fondamentale per le mie sculture, tra le quali i Samurai hanno un ruolo importante e rappresentano un altro richiamo alla cultura giapponese.»
La scultura di Matteo Pugliese, dal titolo Custode Samurai VIII appartiene alla serie dei Custodi, figure possenti pensate per proteggere lo spazio sacro ed è realizzata in bronzo e marmo Port Laurent (misura cm 66 x 38 x 30, edizione 6 + 2 pda). L’opera è stata concepita all’interno dello studio dell’artista e realizzata con l’assistenza di un laboratorio di lavorazione del marmo a Carrara e di una fonderia artistica a Milano. Il lungo processo di realizzazione
si innesta dunque sul solco della tradizione artigianale nella lavorazione dei materiali. L’opera dell’artista, la cui donazione alla Collezione di San Patrignano è avvenuta in modo simbolico presso la boutique Seiko di Milano lo scorso 28 giugno, verrà trasferita successivamente al Part, i Palazzi dell’Arte Rimini dove è esposta la Collezione. Questo Museo custodisce un’emozionante panoramica sulla creatività contemporanea in una delle piazze più belle di Rimini.
«È stato un onore accogliere questa scultura - ha detto Clarice Pecori Giraldi, coordinatore curatoriale della Collezione di San Patrignano - realizzata da un maestro di tale importanza e sensibilità. L’arte in tutte le sue forme ed espressioni ha un potere unico e noi di San Patrignano siamo fermamente convinti che sia uno strumento capace di ispirare i giovani e donare loro un nuovo linguaggio.»
MESTIERI D’ARTE: LA MICROPITTURA
LA COLLEZIONE SCUBA ART DI ZANNETTI PERMETTE DI INDOSSARE UNA PICCOLA OPERA D’ARTE AL POLSO, REALIZZATA ESCLUSIVAMENTE A MANO CON L’ANTICA TECNICA DELLA MICROPITTURA A SMALTO
Di Patrizio PoggiarelliSE AD UN APPASSIONATO, che ha raggiunto un livello alto di conoscenza della tecnologia e della storia del mondo delle lancette, proviamo a chiedere quale sia il segnatempo dei suoi sogni da indossare al polso tutti i giorni, inevitabilmente la risposta sarà: «quello fatto apposta per me, che nessun altro possiede.» È questo un sogno impossibile o quasi da realizzare quando si parla di produzioni industriali, dove anche la minima variante sarebbe troppo difficile sia da inserire in una catena produttiva, sia da garantire a tutte le persone che potrebbero farne richiesta. Di conseguenza la personalizzazione è e rimane una caratteristica di pochi, pochissimi produttori di altissimo livello, che riescono a fare la gioia di un ristretto numero di appassionati.
Lo ha ben capito l’unica casa orologiera che, storicamente, disegna e produce i suoi orologi a Roma. Stiamo parlando di Zannetti, che sin dagli anni ’90 caratterizza i suoi modelli con una ricerca stilistica singolarmente originale, riuscendo parimenti ad offrire ai suoi clienti un livello altissimo di personalizzazione. Ne è un perfetto esempio una delle sue ultime collezioni, la Scuba Art, disponibile oggi con quadrante realizzato a mano in micropittura a smalto. Si tratta di un orologio dalle prestazioni tecniche senza compromessi, con una possente cassa in acciaio, lunetta girevole, valvola automatica per l’elio e vetro zaffiro antiriflesso di elevato spessore. Un vero professionale quindi, adatto alle immersioni, proposto con una serie di quadranti legati al mondo del mare, alle sue navi, alle sue leggende. La manualità indispensabile per la loro realizzazione li rende ognuno diverso dall’altro, garantendo così all’utilizzatore di avere al polso un orologio davvero unico.
LA VIA ROMANA Zannetti ha scelto da anni di personalizzare i suoi pezzi più importanti con la tecnica della micropittura. Si tratta di una scelta
quasi obbligata per chi vive e lavora a Roma. Storicamente, infatti, il Vaticano è uno dei luoghi d’eccezione dove la micropittura (e ancora di più il micromosaico) veniva praticata: si trattava della maniera più semplice e “leggera” per far sì che i pellegrini più abbienti potessero portare a casa con loro un ricordo delle bellezze della Città Eterna. Realizzare una micropittura secondo le regole e l’arte del mestiere è così raro che solo pochi maestri artigiani al mondo hanno le competenze richieste. Per creare o riprodurre fedelmente sul quadrante disegni o miniature, il talento non basta e sono necessari molti anni di formazione per padroneggiare ogni tecnica di smaltatura, che si tratti di Grand Feu, Cloisonné, Champlevé o Micropittura. Quando arriva infine la fase cruciale della cottura, che permette allo smalto di fissarsi sulla matrice, il motivo appare in tutta la sua intensità e non è più in balia del tempo.
IL MAESTRO MINIATORE NELLA STORIA
Lo studio del miniatore era più simile a quello di un alchimista che a quello di un pittore. Era lì, infatti, che l’artigiano-artista preparava i colori, naturali, minerali o artificiali, compiva la battitura dei fogli metallici, componeva le colle, le acque emollienti e fissatrici, e i mordenti, e conservava tutti gli strumenti adatti alle diverse fasi del lavoro, quali la scrittura, il disegno, la pittura e la lucidatura. Quali erano, in passato, i principali attrezzi del miniatore? In primo luogo vi erano le penne, i calami e i pennelli (calamus, pinzellum o pincellum), questi ultimi di varia forma. I pennelli migliori erano di peli di coda di scoiattolo innestati in un cannello di penna d’avvoltoio, d’oca, di colombo o di gallina, a seconda della grandezza desiderata, ed egualizzati tagliandoli con una forbicina, a cui era applicata un’asticciola di legno e appuntita all’estremità libera. Per sbattere l’albume d’uovo, usato come legante, il miniatore utilizzava un
Ogni singolo quadrante viene pazientemente dipinto a mano utilizzando degli smalti policromi.
Zannnetti Discobolo “Farfalle”, modello da signora con quadrante in micropittura con smalti policromi, rehaut con zaffiri e diamanti. Movimento Svizzero a carica automaatica.
pennello con setole di maiale. Lo stilo di piombo, invece, serviva per abbozzare il disegno. Questo strumento era fatto di un’asticciola di legno con una punta metallica costituita da una lega di due parti di piombo e una di stagno.
Per cancellare eventuali segni si faceva uso della mollica di pane e i residui erano tolti delicatamente con il piede di lepre o con la bambagia. I coltelli erano usati per molti impieghi, come temperare le penne e tagliare le foglie d’oro o d’argento che servivano per la doratura e l’argentatura.
Naturalmente non potevano mancare la squadra e la riga, per tracciare le linee, e i calamai per conservare gli inchiostri, all’interno dei quali era posta della bambagia per scongiurare di spuntare le penne, tanto preziose quanto delicate. Come in una cucina o nella bottega di un erborista, nel laboratorio del miniatore si trovavano mortai e pestelli. Essi, infatti, erano utilizzati per
macinare le differenti materie da cui si traevano i colori. Avevano una diversa composizione: ce n’erano di marmo, di porfido, di bronzo o d’oro. Gli ultimi due tipi erano riservati per lavorare le sostanze dure e i metalli preziosi.
I COLORI La varietà dei colori a disposizione dei miniatori era vasta. Al giorno d’oggi esistono delle problematiche relative alla nomenclatura dei colori e alla loro sicura individuazione. Questo, in particolare, per l’uso, da parte degli autori dei trattati sull’arte e non solo, dello stesso nome per sostanze diverse. Tale confusione era dovuta all’insufficiente conoscenza della composizione della singola materia, a causa della quale sostanze chimicamente diverse venivano considerate uguali per la loro somiglianza. Ad esempio, con il termine minium poteva essere indicato l’ossido di piombo rosso, definito ancora oggi minio, o il
solfuro di mercurio rosso, ora chiamato cinabro. A differenza di altre tecniche, come l’affresco, la miniatura non poneva dei limiti nell’uso dei colori. Unica condizione necessaria era che due composti, stesi l’uno accanto all’altro, non dessero vita a reazioni chimiche. Questi ultimi, tuttavia, erano casi particolarmente rari e di cui gli artisti erano consapevoli. Allo stesso modo, i miniatori erano probabilmente a conoscenza della maggiore stabilità dei colori a base inorganica rispetto a quelli a base organica, sensibili alla luce. Il fatto che facessero uso anche di questi ultimi era certamente dovuto alla conservazione dei manoscritti miniati in luoghi chiusi senza luce.
LA MINIATURA , come tutte le arti, presentava dei costi che riguardavano, soprattutto, la qualità delle sostanze utilizzate. Ciò comportava la scelta di materiali differenti, a seconda del preventivo
destinato all’opera e dei soggetti rappresentati, nonché l’uso di tecniche particolari per risparmiare i pigmenti più pregiati. Sostanze diverse, dai costi disparati, potevano dare vita al medesimo colore, cosicché il miniatore aveva la possibilità di decidere di fare uso, per un particolare da dipingere di rosso, dell’ocra, se considerato meno rilevante, o del cinabro, se più importante, passando per il minio, reputato una via mediana. Lo stesso valeva per il blu, con una scala che portava dall’indaco, meno pregiato, all’azzurrite, fino al lapislazzuli, particolarmente prezioso. L’artista, d’altra parte, si poteva avvalere di tecniche come quella degli strati successivi, o layering, che consiste nello stendere sul supporto una base del pigmento meno pregiato, sulla quale apporre uno strato del colorante più prezioso. Questo non solo permetteva di moderare l’uso delle sostanze più costose, ma anche di dare maggiore stabilità al colore.
RICHARD ORLINSKI E L’ANELLO MANCANTE
UNA SERIE DI OROLOGI IMPREZIOSITI DA UN NUOVO BRACCIALE IN METALLO CHE RIPRENDE LE SFACCETTATURE DELLE FAMOSE SCULTURE DELL’ARTISTA FRANCESE
Di Patrizio PoggiarelliQUANDO HUBLOT ha presentato il primo orologio scolpito da Richard Orlinski a Miami nel dicembre 2017, la reazione del pubblico è stata unanime: si trattava della prima opera di Orlinski che segna l’ora! Dopo il lancio di questo primo modello, la manifattura orologiera svizzera e Richard Orlinski hanno dato vita a una collezione di orologi dall’emblematico aspetto spigoloso tipico dell’opera dell’artista francese.
Membro della famiglia Hublot Loves Art insieme a Shepard Fairey, Maxime Plescia-Büchi, Marc Ferrero e Takashi Murakami, Richard Orlinski può vantare il titolo di artista contemporaneo francese più venduto al mondo.
Oggi Hublot e Richard Orlinski compiono un ulteriore passo avanti nella loro partnership, presentando quattro varianti del Classic Fusion Orlinski Bracelet dotate di un nuovo bracciale metallico integrato. Tutte le case orologiere lo sanno: progettare un cinturino di questo genere rappresenta un’immensa sfida tecnica. Si deve riuscire ad integrare la meccanica e l’estetica del bracciale nella cassa dell’orologio e al tempo stesso consentire un agevole adattamento a ogni morfologia. Gli ingegneri della maison Hublot hanno dato prova di tutto il loro knowhow tecnico riuscendo a creare un orologio con spigoli, smussi e sfaccettature che costellano cassa, lunetta e corona, e con un cinturino metallico dall’architettura smussata, sfaccettata, realizzata in titanio e composta da 83 pezzi. Ispirato alle sculture di Richard Orlinski, le sue forme smussate giocano sui riflessi delle sfaccettature lucidate a specchio. Le maglie, progettate a forma di H, ricordano il logo Hublot.
Questo nuovo bracciale si aggancia alla cassa dell’orologio prolungandone le sfaccettature. Con un diametro di 40 mm, è adatto a tutti i polsi e ad entrambi i generi.
Vero pezzo di gioielleria artistica, il nuovo Classic Fusion Orlinski Bracelet è disponibile anche in una versione parzialmente incastonata, dotata di bracciale abbinato. Giocando con luci e ombre, alcune sfaccettature della cassa, della lunetta e del cinturino sono adornate di diamanti, per un totale di 3,79 carati.
“1932” HIGH JEWELRY COLLECTION
NOVANT’ANNI FA GABRIELLE CHANEL CREÒ “BIJOUX DE DIAMANTS”
LA PRIMA COLLEZIONE DI ALTA GIOIELLERIA AL MONDO, NELLA QUALE APPLICÒ UN PRINCIPIO FONDAMENTALE A TUTTE LE SUE CREAZIONI DI GIOIELLI: DARE LIBERTÀ AI CORPI DELLE DONNE E ALLO STESSO TEMPO ADORNARLI
Claudia GobbiA 90 ANNI DAL LANCIO della prima collezione di Alta Gioielleria di sempre, lo Studio Creativo Chanel Gioielleria attinge l’ispirazione dalle intramontabili creazioni di Bijoux de Diamants per raccontare una nuova storia. 1932 rappresenta un viaggio oltre il tempo e lo spazio, in cui si osservano il movimento dei pianeti e la cinetica delle stelle. Della collezione originale Patrice Leguéreau, direttore dello Studio Creativo Chanel Gioielleria, conserva il tema celeste, la purezza delle linee e la libertà dei corpi. La rotondità perfetta dei diamanti conferisce ai simboli un senso di eternità, sublimato da raggi di luce che li fanno scintillare. «Volevo creare una visione diversa di questa eredità – ha detto Patrice Leguéreau - mettendo in moto questi elementi celesti. Per fare questo, ho dato un’espressione figurativa al luccichio della cometa, all’alone della luna e allo splendore del sole. Questi motivi grafici,
spesso staccabili, amplificano la brillantezza dei gioielli. Anche la scelta delle pietre e della loro incastonatura è stata progettata in quest’ottica. Oltre ai diamanti, ho introdotto anche il colore, utilizzando pietre preziose eccezionali per rappresentare l’universo celeste: il blu diamanti, diamanti gialli, zaffiri blu e gialli, opali e rubini».
1932: PER TRE ANNI la vita era rimasta ferma dal Giovedì Nero del 1929. Il giorno che fece precipitare il mondo negli anni bui della Grande Depressione e relegò la crescita esuberante degli anni ‘20 nel regno della nostalgia. Erano tempi cupi, oscurati dalla crisi economica e dall’inflazione, dal crollo della domanda dei consumatori e dall’aumento della disoccupazione. Proprio per questo il 1932 è stato il momento ideale per aprire nuove strade e dare spazio alla speranza e al rinnovamento.
Ritratto di Gabrielle Chanel realizzato da Christian Bérard durante l’allestimento della mostra di Alta Gioielleria “Bijoux de Diamants” nel 1932.
©Chanel / Christian Berard
“ 1932 RIDISEGNA LA CARTA CELESTE. CON LA STELLA, ICONA DELLA GIOIELLERIA CHANEL FIN DALLA CREAZIONE DI QUESTA COLLANA APERTA CHE ACCOMPAGNA LE LINEE DEL COLLO E SI APRE SUL BUSTO. VORTICI CIRCOLARI E METEORE CREANO L’EFFETTO DI UN’INFINITA CORSA ASTRALE. LA LUNA, ORNAMENTO CELESTE DI UN’UNICA CREAZIONE BIJOUX DE DIAMANTS, DIVENTA UN’ICONA DELLA COLLEZIONE 1932. LA FALCE DI LUNA ORIGINALE CRESCE FINO A IRRADIARE UNA LUCE ABBAGLIANTE. E NATURALMENTE, IL POTERE DEL SOLE RISPLENDE CON LA SUA RADIOSITÀ CHIARA E GRAFICA ”
In questa pagina, Collier Soleil 19 Août in oro bianco, oro giallo, diamanti e diamanti gialli. 1 diamante giallo taglio a cuscino 22,10 ct FVY IF. 1 diamante giallo taglio brillante 0,70 ct FVY VS2. Il centrale con il diamante giallo può essere indossato: sulla collana, sull’anello oppure da solo come spilla. Inoltre quando lo si toglie dalla collana, questa può essere usata anche da sola. Lo stesso vale per l’anello.
Fu nel novembre di quell’anno che la London Diamond Corporation rivelò la sua idea per riportare il mercato dei diamanti al suo antico splendore. La Corporation si rivolse a una donna, una stilista visionaria che applicava principi moderni a vestiti e accessori. Una donna dalla mente brillante, la cui bigiotteria era stata lodata dalla stampa internazionale come “ancora più bella di quella reale”. Una donna di potere, a capo di un impero multiforme che cresceva di giorno in giorno. Una donna amica delle arti e degli artisti, cuore pulsante della sua epoca. Una donna che ha evocato il destino delle donne, i loro corpi e il modo in cui vivevano le loro vite, su entrambe le sponde dell’Atlantico. La donna che scelsero per dare nuova vita ai diamanti si chiamava Gabrielle Chanel. In drammatico contrasto con lo stato d’animo pessimista del tempo, scelse la possibilità dei sogni e la vitalità della bellezza. Con la sua creazione di “Bijoux de Diamants”, la prima collezione di alta gioielleria della storia, Mademoiselle avrebbe aumentato in un paio di giorni le azioni della Diamond Corporation, trasformato un intero settore e rivitalizzato la sua epoca.
«Le mie stelle! Come potrebbe essere qualcosa di più dignitoso o più eternamente moderno?»
G. Chanel
FU DALLA SUA INFANZIA ad Aubazine che si diceva che Mademoiselle avesse acquisito la sua determinata devozione al rigore e alla purezza. Ogni volta che era in cerca di ispirazione, l’abbazia
cistercense immersa nella luce del cielo di Corrèze si trasformava per lei in fonte di energia eterna e inesauribile. Ad esempio, la mappa del cielo, completa di comete, sole e luna, era incisa nello stemma su un pavimento di pietra calpestato da secoli. Forse avevi bisogno di tenere i piedi per terra per avere la testa tra le stelle? Mentre aveva sempre contato sul potere semi-magico dei simboli, Gabrielle Chanel avrebbe imparato a credere nei segni incontrando Boy Capel, un amore che avrebbe trasfigurato la vita nella ricerca del sublime.
La creazione di “Bijoux de Diamants” è stata l’espressione di un vocabolario di stile profondamente personale, un’opportunità per esplorare idee innovative e per applicare i principi dell’Alta Moda all’Alta Gioielleria: concepita attorno alle unità di tema, tempo e luogo, era diversa da qualsiasi altra cosa creata dai gioiellieri del suo tempo. Il suo lavoro in gioielleria completava i suoi modelli di alta moda. Come sempre, ha dato il primato alla linea per creare il look più importante. La perfezione dei diamanti è stata esaltata dalla semplicità più incontaminata. Disadorni, senza ambientazioni visibili e sfaccettati in stile classico, i loro tagli perfettamente bilanciati per creare una visione di estrema purezza, di valori eterni, impermeabile alle vicissitudini del tempo. O, soprattutto, ai capricci della moda.
«Cerco i motivi che mostrino al meglio la brillantezza dei diamanti: la stella, la croce, la caduta di pietre graduate e grandi cabochon a raggiera» G. Chanel
Sopra, collana Allure Céleste della collezione “1932”: messa in posizione degli elementi sul pendente.
Sotto, collana Allure Céleste in oro bianco, diamanti e uno zaffiro taglio ovale 55,55 ct 1 diamante taglio a pera 8,05 ct D FL.1 diamante taglio brillante 2,52 ct D FL.
LA COLLEZIONE “Bijoux de Diamants” era – molto più di quanto il suo nome suggerirebbe – incantevole nella sua sontuosa opulenza. I suoi circa cinquanta pezzi, in diamanti bianchi e gialli incastonati in platino e oro giallo, progettati per essere indossati come diamanti diurni, erano abbaglianti distillati di luce. Tra i pezzi che sono stati identificati, 22 hanno tracciato una mappa dei cieli costellati di comete, lune e soli. Inoltre, Mademoiselle ha evocato 17 illusioni ottiche catturando la flessibilità sinuosa dei fiocchi e l’ariosità di frange danzanti e piume eteree, mentre altri otto pezzi hanno esplorato la purezza grafica di spirali, cerchi, quadrati e croci. Era una linea che si sarebbe rivelata ricca di ispirazione e avrebbe svelato gradualmente i suoi segreti nei secoli a venire. Offrendo uno sguardo imperdibile sul mondo di una donna che ha fatto tutto a modo suo e prima di chiunque altro, il film mette in evidenza due pezzi in oro e diamanti gialli – molto prima della moda degli anni ‘60 – che esprimevano l’amore per il sole di Gabrielle Chanel e la sua forza vitale: una sottile spirale d’oro avvolta intorno al dito e sormontata da un diamante giallo, eco del piccolo anello di topazio giallo che era il talismano di una Mademoiselle nata sotto il cocente sole di agosto.
«Voglio che i gioielli sulle dita di una donna siano come un nastro. I miei nastri sono elastici e staccabili» G. Chanel
SINGOLARMENTE, NEI TRITTICI, appena formati o proiettati all’infinito, una profusione di comete
e di soli cocenti erano sparpagliati sul corpo, sui mantelli, sui fianchi e sui corpetti. Le stelle cadenti e le code delle comete formavano lobi delle orecchie e si avvolgevano attorno ai polsi e al collo senza mai chiuderli completamente. Come il respiro di una donna si alzava e si abbassava, così l’Orsa Maggiore le luccicava sul petto. Fiocchi, piume e frange disseminate di un’infinità di pietre preziose davano fluidità a un outfit o una pettinatura, modellandosi sulla clavicola o sulla lunghezza della mano. Un nastro tempestato di diamanti in bianco e nero a contrasto scorreva intorno al polso. I pezzi che sono stati identificati: 17 spille, 9 gioielli per la testa, 8 collane, 4 anelli, 3 bracciali, 2 paia di orecchini, 2 orologi e 2 accessori, tra cui un portasigarette con diamanti sia all’interno che all’esterno, hanno cospirato per conferire alle donne un nuovo e abbagliante splendore.
«I miei gioielli non sono mai isolati dall’idea delle donne e dei loro vestiti. È perché gli abiti cambiano che i miei gioielli sono trasformabili»
G. ChanelAPPLICANDO GLI STESSI principi modernisti ai suoi gioielli come ai suoi modelli di alta moda, Mademoiselle ha introdotto un nuovo concetto di gioielli, e con esso un nuovo rapporto senza precedenti con il corpo. Se “Bijoux de Diamants” è stata la prima collezione di Alta Gioielleria della storia, è stata soprattutto una collezione pensata per le donne. Donne sicure del proprio posto
nella vita e nel mondo, la cui femminilità era in perpetuo movimento, per le quali Gabrielle Chanel disegnava capi senza fermagli che non ostacolavano mai la libertà dei loro movimenti.
«Detesto i fermagli! Ho eliminato i fermagli! Eppure i miei gioielli sono trasformabili» G. Chanel
NELLA SUA CREAZIONE di “Bijoux de Diamants”, Mademoiselle ha scelto di perseguire la libertà. La libertà delle donne di vivere come volevano. Essere disinibiti nei loro movimenti. Indossare gioielli che intensificassero il fuoco della loro individualità, piuttosto che fungere semplicemente da manichini per diamanti sublimi ma privi di vita. Era una scelta di donna se indossare questa piuma con una falce di luna sul vestito o tra i capelli, o quelle frange con un fiocco; se mescolare giorno e notte unendo il sole con le comete e la luna; oppure se trasformare una collana in un trio di bracciali, oppure staccare i motivi e indossarli come spille. Questa infinità di possibilità – mai vista prima in nessuna parte del mondo – ha mostrato un’inventiva che sarebbe stata elogiata dalla stampa. Nei tanti modi diversi in cui potevano essere trasformati e metamorfosati, nei tanti modi e posizioni differenti in cui potevano essere indossati per aggiungere il tocco finale a un look, i pezzi della collezione “Bijoux de Diamants” non erano solo gioielli tradizionali sembra vecchio stile.
Lo facevano sembrare ordinario. “93 milioni di pietre preziose, 8 miliardi di sfaccettature”: non c’era niente come una vera novità per alimentare le voci. Sulla stampa quotidiana i giornalisti gareggiavano nella stravaganza delle statistiche da loro citate, e nell’approfondire l’alone di mistero che avvolgeva la raccolta. E con esso i sentimenti di risentimento suscitò. Perché quale potrebbe essere un affronto più grande per i gioiellieri della scelta di una semplice couturière – una sarta – come persona per rilanciare il mercato dei diamanti?
Con l’annuncio della London Diamond Corporation, un brivido ha attraversato Place Vendôme e “Bijoux de Diamants” è stato trasformato in “Chanel Affair”. Un’intera professione ha unito le forze per impedire a Gabrielle Chanel di creare gioielli. Un’intera professione richiedeva che i gioielli venissero frantumati e le pietre restituite. Ma alcune vendite erano già state effettuate il giorno dell’inaugurazione della mostra, e così alcuni dei pezzi sopravvivono fino ad oggi a testimoniare la collezione. Una cassa blu notte rivestita di seta tono su tono e contenente un frammento di una notte tempestata di stelle a forma di spilla cometa in platino e diamanti da 7,8 carati. O una piuma lunga e sorprendentemente elastica, un tour de force tecnico, pensato per essere appuntato a un corpetto o utilizzato per allacciare un cappotto, per circondare la fronte con un alone di luce, o per abbracciare la curva di una spalla.
DA PONTE VECCHIO UNA PREZIOSA STORIA DI PASSIONE
MARIA GRAZIA CASSETTI RIPERCORRE CON NOI LA STORIA DI UNA DELLE PIÙ IMPORTANTI GIOIELLERIE E OROLOGERIE FIORENTINE E ITALIANE Di Paolo GobbiCREATIVITÀ E SPIRITO DI IMPRESA, sono queste le linee guida che nel 1926 portano Renzo Cassetti a realizzare l’omonimo marchio, continuando idealmente la preziosa tradizione dei maestri incisori orafi ed argentieri fiorentini, che fa capo a Benvenuto Cellini. In lui si riconosce l’artista che firma esclusivamente pezzi unici, alcuni divenuti storici come quelli che fanno parte degli arredi del Vaticano. Negli Anni Cinquanta, Maria Grazia figlia di Renzo fa ingresso in Azienda ed aggiunge alla tradizione una creatività del tutto particolare soprattutto il tocco di intuito femminile. Sono suoi i primi oggetti in argento e cristallo ed in argento e porcellana, che costituiscono una autentica innovazione per il mercato.
Cassetti è un Gruppo Imprenditoriale importante con una distribuzione in tutto il mondo nei negozi di gioielleria ed argenteria più esclusivi, ed una organizzazione aziendale all’avanguardia, sia nei sistemi informatici che in quelli produttivi, dove la mano dell’uomo ha sempre la parte predominante. In azienda ancora oggi lavorano i figli Andrea e Grazia e da qualche anno anche la terza generazione, i nipoti Filippo e Lorenzo, che seguono l’espansione sui mercati internazionali.
Oggi il gruppo è solida realtà produttiva e commerciale che opera a livello internazionale, con quattro negozi a Firenze su Ponte Vecchio, due a Forte dei Marmi - di cui uno dedicato alla oggettistica per la casa - e uno a Prato.
Siamo andati a Firenze per intervistare nel suo studio Maria Grazia.
La casata dei Cassetti ha origini lontanissime. La memoria storica la vede nota e affermata già nel XVI secolo. Non le capita mai di sentire sulle sue spalle il peso di una storia così lunga e importante?
(Sorridendo) «Sì, mi capita praticamente sempre. Questo perché ho sempre vissuto solo ed esclusivamente per il mio lavoro, perché ci metto e ci metto sempre il cuore in quello che faccio.»
Anche lei si fermerà almeno per andare in vacanza. «Vacanze? Per me non esistono. Il mio vero piacere
è continuare a pensare ai miei negozi e lavorare. In estate vado per due mesi a Forte dei marmi, ma non vedo la spiaggia neanche per dieci minuti. Passo tutto il mio tempo nel nostro negozio, dove incontro i clienti, quelli che conosco e quelli che ancora non conosco, ovviamente per consigli sugli acquisti. Se non lavoro dieci, undici ore al giorno mi sembra di non aver fatto nulla.»
Quindi, a Forte dei Marmi avrà una clientela affezionata, che viene apposta per lei. «Sì, mi vogliono bene e poi, essendo la proprietaria, mi sembra di dare un qualcosa in più come la giusta importanza al cliente, anche se qualcuno prova chiedermi lo sconto!»
Non si permette neanche il lusso di avere un hobby? «Me lo dicono sempre anche i miei figli, ma l’unico hobby che riesco ad immaginare è proprio il lavoro.»
Ha iniziato presto la sua vita lavorativa?
«Quando da giovane sono entrata in azienda, mio padre aveva un laboratorio con una ventina di operai, tutti uomini: sa quanti pianti ho fatto perché non volevano una donna dentro con loro? Lui produceva vasellame, vassoi ed io ho cominciato, a dire il vero quasi di nascosto, abbinando il cristallo molato con le finiture in argento. Fu un successo e riuscimmo ad incrementare tantissimo il lavoro.»
Idee sue?
«Sì. Accanto ai servizi da caffè ho voluto creare un prodotto particolare, come secchielli per champagne con finiture in argento cesellato a mano. Il risultato era davanti agli occhi di tutti e quindi anche le persone che lavoravano in ditta iniziarono a credere in me»
Suo padre ebbe un ruolo importante?
«Fu lui a spiegarmi il valore del prodotto artigianale. Ecco perché per me è particolarmente importante il passaggio generazionale: non voglio che quei valori vadano persi.»
L’ARGENTO E CASSETTI
Negli Anni Cinquanta, Maria Grazia
figlia di Renzo fa ingresso in Azienda ed aggiunge alla tradizione Cassetti una creatività del tutto particolare soprattutto “il tocco di intuito femminile”. Sono suoi i primi oggetti in argento e cristallo ed in argento e porcellana, che costituiscono una autentica innovazione per un mercato. Ma il piccolo laboratorio non basta più Renzo Cassetti è obbligato al trasferimento, nella zona del San Gaggio subito fuori le mura della città storica, alle pendici dei “Viale dei Colli”. La passione per il nobile metallo richiedeva una sede all’altezza della ditta già in continua espansione.È sotto la guida di Andrea e Maria Grazia che avviene la consacrazione industriale.
Firenze, quanto ha contato nella vostra storia?
«Ha contato moltissimo, è stata ed è sempre fonte ispiratrice. Vivere in una città cosi affascinante potrebbe sembrare fin troppo facile In realtà, chi fa il nostro lavoro ha un compito importante: essere ambasciatore dei suoi valori in tutto il mondo. Siamo nati su Ponte Vecchio, il simbolo di Firenze e dell’Italia, non è un caso che sia diventato il punto di riferimento per noi e la nostra azienda.»
Sente ancora questa città come un riferimento culturale ma anche di gusto estetico?
«Sì e lo voglio rimarcare: Firenze è una città con tanti riferimenti culturali, per questo visitata da milioni di persone. Pensi che normalmente Ponte Vecchio ha un flusso di circa 22.000 persone al giorno. La presenza esclusiva di botteghe orafe non è un caso: lo obbliga il regolamento comunale che riprende le disposizioni del 1400 dettate da Ferdinando I dei Medici.»
Secondo la sua esperienza, cosa cercano le persone che visitano o vivono, magari per lavoro, la vostra città?
«Per il mio lavoro incontro tante persone, parlo con loro e mi accorgo che tutti sono in ammirazione davanti ai nostri monumenti. In tutti gli angoli della città si respira arte e storia ma quello che più colpisce sono gli aneddoti di noi fiorentini: la nostra città “ha un’anima”, viverla anche se per pochi giorni è come immergersi nel Rinascimento.»
I turisti forse vi amano proprio per questo. «credo proprio di si, soprattutto gli “Americani” mentre i clienti fiorentini sono più “distanti”. Ce ne
vuole per entrare nelle grazie, però quando accade succede qualcosa di speciale».
L’argento è stata la materia che vi ha visti protagonisti per tutto il ventesimo secolo. Cosa rimane di tutte quelle idee e quelle realizzazioni uniche nel loro genere?
«L’argento è il metallo prezioso che amo maggiormente: forse perché ho iniziato con lui e ancora oggi lo sento nel mio DNA. Argento vuol dire “casa”, un oggetto in argento è fatto per decorare, per abbellire, per dare calore ad un ambiente, a una tavola. Una casa non è bella, è nuda se non c’è l’argenteria. È per questo motivo che, ancora oggi, nei nostri uffici direzionali si possono osservare tanti nostri manufatti in questo materiale: ci siamo circondati da oggetti del nostro passato, creazioni preziose fatte a mano in argento 925 e cristallo.»
Come vive nella quotidianità l’argento?
«In casa non riesco a mangiare se non ho le mie posate in argento. Sono stata abituata così sin da piccola. La posateria ha fatto parte del nostro bagaglio produttivo per tanti anni. Realizzavamo servizi importanti, venduti in tutto il mondo, frutto della migliore manualità fiorentina. Basta pensare che i rebbi delle forchette erano limati e lucidati a mano.»
Si fa ancora oggi così?
«Ci faccia caso: le forchette industriali in argento sono tutte tagliate a macchina e i rebbi hanno una forma squadrata. Quelle fatte a mano sono invece a punta. In ogni caso, su richiesta, ancora oggi possiamo fare dei servizi in argento, in quanto possiamo ancora contare sul lavoro dei nostri artigiani più anziani.»
Il sapere degli artigiani è stato tramandato ai giovani?
«No. Il mondo è cambiato. Nessuno vuole più imparare un mestiere come questo, nessuno è disposto a fare “la gavetta” come un tempo. Ci vuole tempo, sacrificio, volontà. Come si dice: non si nasce e si vola…»
La gioielleria è stata una scelta quasi obbligata, vista la vostra legittimità e la fedeltà dei vostri clienti. Cosa caratterizza un vostro gioiello?
«Dall’inizio degli anni ’80 abbiamo iniziato la produzione in gioielleria, ottenendo immediatamente un grande successo, alle volte addirittura inaspettato. Oggi abbiamo tanti clienti fidelizzati per la nostra produzione di gioielleria e di alta gioielleria. Da noi si aspettano l’originalità, la classe e il design. Per questo c’è una ricerca costante di “novità”, perché l’essere al passo coi tempi non è per noi solamente un modo di dire, ma una attitudine, direi anche scherzosamente “un vero e proprio dovere”.»
Un esempio?
«C’è sempre una motivazione per cui scelgo una pietra: per il taglio, per la sua origine oppure per il suo colore. Da lì nasce l’ispirazione e l’oggetto da realizzare.»
Come Gruppo Imprenditoriale, con la sua gioielleria Cassetti si confronta con i principali mercati mondiali. Cosa si apprezza della vostra produzione?
«La prima risposta è la manifattura artigianale. Dobbiamo definire che la nostra produzione si divide sostanzialmente in due settori: il primo sono i gioielli per le nostre vetrine: il secondo, vero fiore
all’occhiello, è il lavoro su misura.»
Realizzate dei gioielli tailor-made?
«Sì, offriamo un vero e proprio atelier dove il cliente affezionato può commissionare il suo gioiello. In quel momento, sulla base dalla mia esperienza e del mio gusto, viene disegnato, fatto approvare e realizzato.»
Partite dalle scelte del cliente?
«Non proprio. C’è una regola per tutte le nostre creazioni: tutto parte dalla singola pietra, che per le sue caratteristiche definisce il design e la manifattura. Tutto questo tenendo sempre presente anche il colore dell’oro, un altro fattore per noi fondamentale.»
Il Made in Italy è ancora un valore?
«Sì. Il Made in Italy è essenziale per la clientela straniera. Va tutelato perché fa davvero la differenza ed è apprezzato in tutto il mondo come certificazione unica di produzione.»
Come si rapporta una realtà storica come la vostra con i grandi marchi internazionali, presenti nei vostri negozi specie nell’Alta Orologeria?
«Con orgoglio possiamo raccontare di essere rivenditori dei più grandi brand dell’alta orologeria svizzera: ci scelgono per le nostre caratteristiche uniche. Quindi sia per la nostra professionalità, sia perché come famiglia abbiamo dei rapporti anche personali con clienti di alto livello.»
Forte dei Marmi e Cassetti: un amore che nasce da lontano, ma anche una scelta imprenditoriale
Sotto, si sviluppa su tre piani la boutique Rolex in Ponte Vecchio 29/R a Firenze. A destra, il centro di assistenza autorizzato Rolex.
assolutamente lungimirante. Ce ne racconta la storia e com’è cambiato, se è cambiato, il vostro rapporto con questa meta di villeggiatura sempre più esclusiva.
«Forte dei Marmi, è il mio amore perché voluto da me con fervore, l’ho cresciuto io giorno dopo giorno anno dopo anno come si cresce un figlio e l’ho fortemente voluto. Pensi che l’ho aperto un anno dopo che abbiamo comprato “la casa per le vacanze estive”. Quarant’anni fa era una piazza inesplorata dalle grandi griffe, infatti c’erano solamente artigiani; cosi ho convinto tutti in azienda ad aprire lì un nostro punto di incontro per la nuova clientela di tutta Italia specialmente delle regioni del nord. Con gli anni siamo cresciuti e accanto a noi è cresciuto il Forte. Abbiamo visto industriali, attori, imprenditori provenienti da tutto il mondo. Una cosa è certa: la nostra attività ha contribuito in maniera determinante a far crescere l’allure e l’interesse di un luogo di per sé magico. Il risultato è davanti agli occhi di tutti, con un successo e una fama che ormai non teme confini.»
Un vero e proprio stile di vita?
«Ad insegnare lo stile “Forte dei Marmi” fu la famiglia Agnelli: mentre tutti erano in vacanza, l’imprenditore lavorava tutta la settimana e si ricongiungeva con la famiglia a Forte per il week-end. Un posto bello, tranquillo, che si vive in bicicletta, dal profilo “basso” ma con altissima qualità.»
Torniamo a Cassetti. Siete pronti per la terza
generazione: Filippo e Lorenzo. Cosa cambierà nel vostro futuro?
«Filippo mio figlio è da anni coinvolto nella attività di famiglia ed anche Lorenzo figlio di mio fratello Andrea è inserito nello staff della boutique Rolex: entrambi hanno il dovere di seguire la tradizione che mio padre mi ha insegnato e certamente staranno attenti alle richieste dei nuovi mercati. Per noi è importante che il cliente ci scelga per il segno in più che riusciamo a dare, vogliamo che l’acquisto da Cassetti sia un momento speciale, di passione.»
Il vostro Centro Assistenza Rolex che avete recentemente rinnovato, nasce proprio nel segno della distinzione.
«È stata una crescita importante e naturale. Una scelta dettata dalla volontà di dare un servizio ai nostri clienti nel segno di un’imprenditorialità che caratterizza ogni nostra realizzazione. Abbiamo quattro tecnici meccanici più uno specializzato nella finitura delle casse. Siamo autorizzato Rolex, ma facciamo assistenza ufficiale anche a molti Brand del Gruppo Richemont. In più, nel nostro laboratorio, si abbina alla massima qualità tecnica degli strumenti e dei nostri maestri orologiai una scelta green per la qualità del lavoro: la Fabbrica dell’Aria ne è il migliore esempio».
Cos’è la Fabbrica dell’Aria?
«Si tratta di un’installazione che si compone di vasche a filtrazione passiva che lavorano assieme
ad una vera e propria “fabbrica dell’aria”. In pratica l’aria da depurare fluisce attraverso i moduli filtranti, dove sono state messe a dimora le piante, per poi tornare nell’ambiente, depurata, salubre e priva di polveri sottili. Questo a beneficio degli orologiai e del loro lavoro che viene realizzato in assenza di polvere.»
Avete anche, in una qual maniera diversificato?
«Nel 1979 decisi di acquistare una fattoria nel cuore del Chianti. Nelle nostre intenzioni doveva diventare un luogo dove nei fine settimana ci saremmo potuti riposare, dimenticando per un po’ il lavoro. Invece nel tempo si è trasformato in una nuova e impegnativa impresa: Le Filigare. Si tratta di un resort, a meta strada fra Firenze e Siena nel quale trascorrere vacanze uniche, ma anche di una cantina con 60 ettari dei quali 15 a vigneto.»
Chi la gestisce?
«Prima la gestiva mio marito con accanto nostro figlio Alessandro, oggi è rimasto solo lui a fare tutto. In questi giorni stiamo iniziando ad integrare alcuni prodotti dedicati al benessere, con prodotti di alta cosmesi.»
Guardando indietro, quali sono i momenti più emozionanti che ha vissuto nel suo lavoro?
«Sono i momenti legati alla vendita, quando senti sia la tua soddisfazione insieme a quella più importante del cliente. E’ tutta adrenalina, l’energia che preferisco.»
A cosa non rinuncerebbe?
«Al telefono, che mi permette di essere in contatto in tempo reale con tutte le realtà della nostra azienda ma soprattutto con amici e clienti.»
Qual è il gioiello che indossa normalmente con maggior piacere?
«Un pendente con un rubino a cuore: è un ricordo di mio padre ed è un elemento rappresentativo della mia immagine e del lavoro che faccio. Lo indosso ogni giorno e in ogni occasione, mi fa sentire bene.»
C’è un gioiello che si è pentita di aver venduto?
«Sono legata a tutte i gioielli che abbiamo realizzato, perché li considero delle mie creature. Ho però nel cuore una collana di diamanti di altissima purezza e colore, con un centro di 5 carati e gli altri degradé a scalare. L’ho venduta ad una mia cara amica e ancora oggi la vedo spesso indossata da lei durante le occasioni fiorentine più esclusive.»
Un’ultima domanda: quando vede indossato un vostro gioiello al teatro, oppure in aereo, cosa le viene in mente?
«Mi capita spesso, specie in estate, di incontrare clienti stranieri e italiani che sfoggiano i nostri pezzi unici. Ogni volta riesco ad emozionarmi come se fosse la prima volta che li vedo.»
Sotto, la Boutique Cassetti, negozio multibrand in Ponte Vecchio 54r e la Boutique Vacheron Constantin Ponte Vecchio 56 r
FINE JEWELRY
ORO E PIETRE PREZIOSE SULLA PELLE COME SEGNI, GIOIELLI CHE VESTONO COME ABITI. DETTAGLI ESCLUSIVI CHE FANNO LA DIFFERENZA!
Foto di Lucio Convertini Servizio di Gaia Giovetti Modella Alexane Delalè
In apertura: DIOR
Dalla collezione Dior Print Orecchini in oro bianco, diamanti, zaffiri blu e rosa, smeraldi e rubini.
A destra BULGARI
Orologio Bulgari Serpenti Tubogas in oro rosa e acciaio, cassa 35 mm, quadrante nero con indici romani, diamanti sulla lunetta e movimento al quarzo.
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CASSETTI GIOIELLI
A sinistra - Solitario con diamante Fancy intence yellow da 16,93 ct taglio cushion, montato su oro bianco e circondato da diamanti bianchi.
A destra - Anello a cupola in oro bianco con pavé di diamanti bianchi e diamante centrale Fancy yellow da 8,00 ct e diamanti blu laterali.
A destra
BOUCHERON
Maxi orecchini in oro giallo a raggera con diamanti, dalla collezione Serpenti Bohème.
BARTORELLI
Dalla collezione Rami: in alto a sinistra in oro rosa, anello con diamanti a goccia Fancy, sotto anello con pavé di diamanti bianchi e diamanti Fancy.
Sul polso, bracciale con pavé di diamanti e gocce di diamanti Fancy.
ZANNETTI
Orologio pezzo unico, dalla collezione Fantastic Jewelry con cassa in oro bianco e giallo con incisione con motivo geometrico, movimento a carica automatica e quadrante scheletrato. Lunetta e anse con pavè di zaffini degradé e dimanti. Cinturino in alligatore.
GUCCI HIGH JEWELRY
Multifinger in oro bianco, diamanti e tormalina verde.
Collana motivo ape con pendente, in oro bianco e diamanti, Tutto della Collezione Hortus Deliciarum
SABBADINI
Anello ergonomico in oro bianco con invisible setting di zaffiri e rubino taglio sugar loaf centrale da 8,85 ct..
MOBILITÀ
A SPASSO PER IL CIELO
DA 40 ANNI, E CON QUASI 120.000 ORE DI VOLO IL PARTNER IDEALE PER TRASFERIMENTI IN ELICOTTERI EXECUTIVE AMPLIA IN ITALIA LA SUA GAMMA DI SERVIZI.
Non solo charter ma una offerta completa che parte dall’assistenza tecnica per l’acquisto e la gestione di elicotteri, ai tour e trasferimenti in volo, ai voli di addestramento, sino alla manutenzione e sorveglianza di infrastrutture vitali come gas, petrolio e linee elettriche. Fondata nel 1979 dall’attuale Presidente del CdA Calisto “Mario” Forghieri, un pilota professionista, che voleva coltivare la sua passione per gli elicotteri e rendere la sua esperienza disponibile per i clienti, Eliocompany ha conquistato la sua clientela grazie all’altissimo livello di sicurezza garantito, alla professionalità dei suoi piloti e alla puntualità dei suoi servizi. Senza scendere mai a compromessi. Come ci racconta Luca Giacchetti, Sales & Marketing Manager di Elicompany, «Mario Forghieri ha iniziato con voli per assistere gli imprenditori nell’agricoltura intensiva della valle Padana. Quindi
aggiunse una scuola di volo e, a metà degli anni ’90, iniziò a noleggiare per voli passeggeri ed a effettuare voli di sorveglianza su infrastrutture vitali del Paese, come le linee petrolifere e elettriche. Oggi Elicompany è una delle principali compagnie di noleggio di elicotteri on-shore sul mercato Italiano. Abbiamo registrato oltre 4.500 ore di volo l’anno scorso e prevediamo di effettuarne oltre 5.000 durante l’anno in corso. L’elicottero è un mezzo veloce ed estremamente versatile, potendo atterrare letteralmente “nel giardino di casa”. Ma anche consulenza e assistenza nell’acquisto di un elicottero, gestione e manutenzione oltre ai servizi di hangaraggio. Siamo l’unico Centro Manutenzione Approvato Bell in Italia ed i proprietari di elicotteri Bell sanno di potersi rivolgere a noi con fiducia per ogni esigenza. Per la parte “Lavoro Aereo” i nostri clienti sono le maggiori Utility Companies Italiane e dei paesi limitrofi:
con elicotteri dedicati e strumentati allo scopo infatti, operiamo attività di sorveglianza e monitoraggio di infrastrutture vitali per il Paese: elettrodotti, gasdotti, etc. Per il “Trasporto Passeggeri” sono in maggioranza viaggiatori stranieri ma anche italiani che utilizzano l’elicottero per minimizzare i tempi degli spostamenti, sia che viaggino per turismo che per motivi professionali». Per raggiungere standard così elevati il processo non si ferma mai: «Siamo un’azienda con radici antiche ma che fa dell’innovazione tecnologica e del training dei collaboratori il motore della crescita aziendale. La nostra scuola di volo è aperta anche agli esterni ma prima di tutto segue la crescita dei nostri piloti e clienti proprietari. Il trasporto in elicottero negli ultimi anni si è evoluto moltissimo: il cliente richiede sempre di più elicotteri in configurazione VIP e spesso bimotore, sempre con aria condizionata. In questo siamo
stati preveggenti e fin dal 2015 abbiamo introdotto con notevoli investimenti elicotteri che rispondessero a questi requisiti: i nostri Bell 407 e Bell 427 sono perfetti per la clientela Corporate e Leisure di alto livello a cui ci rivolgiamo». Sul fronte nuovi progetti, Eliocompany ha terminato da pochi mesi la costruzione dei nuovi hangar e della moderna palazzina uffici nella sede principale di Carpi, quadruplicando così gli spazi a disposizione; ed ha ampliato la flotta con l’acquisto di 2 nuovi elicotteri Bell 427 bimotore. Ma l’evoluzione della società emiliana non si ferma qui e il prossimo traguardo che conta di raggiungere a breve è l’apertura di una base permanente a Roma, nelle immediate vicinanze dell’aeroporto di Fiumicino, per meglio servire la clientela che si muove tra Roma e la Toscana, Sardegna o Capri e Costiera Amalfitana.
SPIRITI
IL GIN DALL’ANIMA SOLIDALE
TRE ECCEZIONALI REFERENZE CHE RACCONTANO IL CUORE E LA NATURA DEL SUD AFRICA Di Lara J. MazzaLa distilleria Inverroche nasce da una grande passione, quella della sua fondatrice, Lorna Scott, per la natura del Sud Africa e per le comunità locali della regione Still Bay. Mentre seguiva progetti sostenibili come vice sindaco della municipalità di Hessequa nel Western Cape, la cittadina in cui è cresciuta, ha iniziato a pensare come sviluppare il turismo e creare occupazione. Così, senza quasi rendersene conto, sì è trovata a sperimentare con infusi di fynbos per creare gin. Curiosa, determinata e forte promotrice della sostenibilità, Lorna ha unito l’arte di distillare e il bioma unico del suo territorio con un messaggio responsabile, ovvero creare opportunità di sviluppo economico anche dove sembra non ce ne siano. Così, spinti dalla curiosità di esplorare quanto e cosa la sua terra fosse in grado di mettere loro a disposizione, Lorna e il figlio Rohan hanno cercato prima, e sperimentato poi, tutte le botaniche intorno a loro per creare tre gin che risaltassero le diverse e affascinanti storie della “Fynbos”, una ecoregione globale, situata appunto in Africa Meridionale, che fa parte della
lista Global 200 delle ecoregioni prioritarie per la conservazione definita dal WWF. Fynbos è un termine tedesco che descrive l’unica specie floreale che cresce nella Costa Sud del Sud Africa, e da nessun’altra parte del mondo, che Inverroche ha usato per primo come ingrediente unico e speciale. Focus principale della famiglia Scott è quello di mantenere una profonda connessione con le loro origini e di portare avanti il loro lavoro con amore, salvaguardando al contempo la comunità in cui vivono e la natura in cui sono immersi. Tutti i gin prodotti sono infatti imbottigliati, etichettati e numerati manualmente, all’insegna di un prodotto 100% Sud Africa dove la terra, le persone e i luoghi creano la cultura della condivisione e del rispetto per l’ambiente. Il nome Inverroche deriva dalla combinazione di due parole come omaggio alla stirpe Scott: in scozzese “Inver” significa “flusso d’acqua”, la parola francese “roche” significa “roccia o pietra” e sono elementi che insieme creano le condizioni necessarie per produrre prodotti unici nel loro genere. In soli 6 anni la distilleria è cresciuta da
family business a struttura industriale che investe sulla comunità locale femminile (il 70% dei dipendenti sono donne) e distribuisce in 15 paesi in tutto il mondo grazie alla partnership con Pernod Ricard.
«Volevamo creare un gin di eccezionale qualità e autenticità» ci spiega la Founder del progetto, «Un distillato che fosse realmente prodotto a mano, in tutto il suo processo, sino all’imbottigliamento. Ci siamo riusciti e ne siamo orgogliosi. Con la stessa filosofia, volevamo creare un’azienda che fosse anche un esempio di sostenibilità, di sviluppo per le comunità locali e di profonda connessione umana. Il nostro modello di business è basato su tutti questi principi dove il focus rimangono sempre ambiente e futuro. Vogliamo creare valore e vogliamo farlo a tutti i livelli.»
La collezione “Fynbos” propone una trilogia di prodotti distintivi e riconoscibili che rappresentano ognuno una sezione del Regno Floreale di questo splendido territorio e per i quali è necessario almeno un anno di lavorazione. Ogni tipo di gin infatti omaggia la ricchezza, la storia e il rispetto tra l’umano e la natura che lo circonda perché Inverroche utilizza solo risorse limitate, raccolte a mano, quando sono in stagione e in un modo che garantisca la ricrescita mantenendo qualità e controllo. Inverroche Amber Gin è il più ricco e aromatico e si presenta con il suo tipico colore ambrato e i suoi sentori di agrumi freschi, ginepro, sweet toffee, mele e note floreali che si mescolano con un finish lungo e legnoso. Inverroche Verdant Gin è la variante morbida e floreale con riflessi dorati tendenti al verde. L’aroma delicato ricorda fiori di sambuco, camomilla e fioriture estive mentre al palato risuonano un tocco di spezie, ginepro, scorza limone e liquirizia. Infine Inverroche Classic Gin è il più secco e pungente con note erbacee di ginepro che si mescolano con un bouquet floreale. La sua fragranza è caratterizzata da sentori di agrumi estivi, petali di rosa con un finish deciso, secco e speziato.
ESSENZE
IL MAGNETISMO DI ZAZEN
LA STORICA MAISON FRANCESE LANCIA IL SUO PROFUMO PIÙ MISTERIOSO Di Lara J. MazzaLa storia di Robert Piguet è una delle più affascinanti e nascoste legate al mondo della moda francese. Oggi il suo nome viene ricondotto immediatamente al mondo delle fragranze ma in realtà Robert Piguet nacque come stilista. Nato nel Canton Ticino, in una nota famiglia di banchieri e politici, Piguet, a soli 17 anni, decise di lasciare la Svizzera per trasferirsi a Parigi nonostante l’opposizione dei familiari che volevano seguisse le orme di famiglia. Dopo anni di studi in fashion design e sartoria, iniziò a disegnare i suoi primi bozzetti e, poco tempo dopo, a lavorare nell’atelier di Paul Poiret, il più celebre sarto parigino, considerato il primo creatore di moda in senso moderno. Infatti Poiret non era semplicemente un sarto ma lavorava anche come scenografo e operava nel mondo dell’arte e dello spettacolo in maniera trasversale. Grazie a questa profonda influenza estetica e creativa, nel 1933 Robert Piguet aprì a Parigi il suo primo atelier di moda e nel 1938, all’apice della sua carriera, si trasferì nel cuore della moda parigina, agli Champs Elysees, all’angolo con Avenue Montaigne. Fu poco dopo, negli anni ’40, che approfondì il parallelismo tra il mondo della moda e della profumeria e, affascinato dalle sue sconfinate possibilità, chiamò Germaine Cellier, una delle prime donne naso ad avere successo nell’industria della profumeria, all’epoca dominata dagli uomini. “Solo tu che sei una donna puoi fare per me un profumo che una donna desidera davvero indossare”, dichiarò Piguet alla Cellier. Da questa collaborazione nacque un profumo che passò alla storia, una fragranza molto androgina per quegli anni e che lo stesso stilista descrisse così: “Ma questo è un profumo forte e intraprendente, oltraggioso, da bandito. Lo chiameremo Bandit”.
Lo lanciò facendo sfilare le modelle nel suo atelier vestite da banditi con il bavaglio sulla bocca e con delle pistole giocattolo che adornavano le gonne. Era il 1944. L’avvenimento fece così tanto scalpore che Robert Piguet divenne una icona, della moda come della profumeria, facendo sì che la sua fama giungesse fino ai nostri giorni. Ma non fu solo Bandit che lo consacrò in questo mondo: Fracas, un profumo potente come un gran fracasso, è ancora oggi considerato il capostipite della tuberosa. Un vero e proprio capolavoro. Robert Piguet morì molto giovane ma il suo lavoro fu portato avanti e ancor oggi sono tante le fragranze che continuano a conquistare un pubblico di grandi estimatori. Pensiamo a Casbah, considerato uno degli incensi più buoni al mondo della profumeria di artistica. Oggi il naso è Aureliene Guichard, che si occupa sia dei lanci che del mantenimento delle formule originali. Oggi la collezione conta circa una quindicina di fragranze, sia storiche che nuove tra cui Zazen che, appena lanciato sul mercato, è già nella pole position per diventare un altro grande best seller. Perché lo si deve considerare il più misterioso dei profumi firmati Robert Piguet? Perché il suo nome valica i confini della parola e della forma stessa. Zazen seduce e incanta per la sua profondità e persistenza, in un luogo di pace e felicità, dove abita anche l’anima. Le sue note di testa, zafferano, mela e mandarino italiano, si alternano armonicamente a un cuore fatto di fiori d’arancio, violetta e riso, per poi chiudersi con le sue note di fondo quali musk, fava tonka e ambra. Zazen è una fragranza morbida e avvolgente, si sprigiona nell’aria come una nuvola, inutile resisterle. Il segreto di questa attrazione? A volte bisogna solo lasciarsi andare.
POESIA
Nelle tue vene
di Bibiana La Rovere
Ci sono parole che scandiscono un tempo. Ci sono parole che hanno l’etica del tempo. Poi ci sono parole che entrano dritte negli occhi e spalancano il petto.
Il cuore sa già come riconoscerle le assorbe e più non tornano indietro spiazzando tutti i venti in velocità. Sono lì per sempre talvolta si perdono seppure senza essere mai infedeli.
Le parole ci abitano dentro dicono di noi assolate o in penombra come nell’afa di un giorno qualunque d’estate. Imparano a stare.
Abbine cura rendile leggere lascia che prendano lo spazio necessario nel vivere forme rendile dense di un’intensità vibrante sostienile senza cedimento come fa un filo che scorre di panni stesi ad asciugare la pioggia. Ché orbitino pure nelle tue vene scosse o che siano volitive come i tuoi passi nell’accarezzare il tuo tempo senza alcuna nostalgia.
Sono le arie e la gravità della terra a pesare il tempo e il mare di parole. Tu puoi rendere alle zolle il tuo dolore e amare oltre ogni modo con quel profondo senso di gratitudine come di chi sa setacciare i sogni e piantare luminosi i desideri. Il futuro si nutre non invano dell’ardore di essere in Dio. Dopotutto le cose dell’amore non appartengono al tempo
Bibiana La Rovere Artista Poeta Performer Si occupa di scrittura e cultura della comunicazione. Con il Concept Design unisce comunicazione, scrittura e arte per realizzare progetti innovativi di brand identity per l’impresa, con eventi editoriali e allestimenti interdisciplinari, in un processo di narrazione multisensoriale, che va dall’arte al design, dalla fotografia alla scrittura, al sound design, comunicando, attraverso il marchio, la brand identity, l’identità imprenditoriale. www.bibianalarovere.it