HANDMADE - THE MAGAZINE OF WATCHMAKING EXCELLENCE - VOL. 04

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CHRONOMAT

The Spotlight Squad Charlize Theron Misty Copeland Yao Chen





Lambda – 175 Years Watchmaking Glashütte. Alta arte orologiaia, reinterpretata in una cassa di acciaio inossidabile. Il modello speciale, regolato su standard cronometrici, è disponibile in nero, bianco o blu smaltato, ogni versione limitata a 175 pezzi. Disponibili a: Ancona: Ibis; Bari: Mossa; Battipaglia: Casella; Bergamo: Torelli; Biella: Boglietti; Bolzano: Oberkofler; Brunico: Gasser; Civitanova Marche: Ibis; Cremona: Torelli; Firenze: Tomasini Francia; Flero: iGussago; Follonica: Perpetual; Gradisca


d’Isonzo: La!Gioielleria; Lecce: Mossa; Lignano: Bastiani; Mestre: Callegaro; Roma: Bedetti, Grande; Rovato: Baggio; Salerno: Ferrara; San Giovanni Valdarno: Horae; Saronno: Angelini; Seregno: Angelini; Siena: The Watch Gallery; Siracusa: Zimmitti; Spoleto: Tomasini Francia; Taranto: Ripa; Terni: Tomasini Francia; Treviglio: Torelli; Trieste: Bastiani; Verona: Concato, Saylon, oppure qui: nomos-glashuette.com

Calibro DUW 1001 Deutsche Uhrenwerke NOMOS Glashütte



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ZANNETTI


FLY ME TO THE MOON AND LET ME PLAY AMONG THE STARS... dedicato ad Andrea Merloni


Difesa Siciliana HANDMADE 4


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INCIPIT

PREFAZIONE: NOTA PER IL LETTORE

LA DIFESA SICILIANA come molti di voi avranno sicuramente intuito, è una celebre apertura del gioco degli scacchi. Codificata circa 400 anni prima che l’orologeria da polso nascesse, questa semplice mossa di due pedoni ha idealmente dei legami interessanti con il mondo delle lancette che oggi conosciamo. Ma andiamo per ordine.

Nella Difesa Siciliana il Nero con la sua prima mossa combatte subito il Bianco per il centro, creando una posizione non simmetrica. A questo punto, dopo queste due mosse, che alcuni potrebbero descrivere come estremamente semplici, forse anche banali, si aprono decine di migliaia di varianti, spesso complesse, molte delle quali codificate da secoli di studi e di esperienze. Nell’orologeria meccanica accade lo stesso. Il principio alla base di tutto è semplice: una molla che trasmette energia, un sistema di regolazione che la trasforma in intervalli talmente precisi da essere in grado di misurare il tempo. Tutto questo è elementare, un pò come muovere due pedoni su di una scacchiera, eppure il mondo che è stato costruito su di un concetto così basilare, è semplicemente stupefacente. Non c’è segnatempo che non racchiuda in sé un’idea, un lavoro, un’attesa, una ricerca. Non c’è cassa, quadrante, semplice bracciale, che non sia stato disegnato, provato, acquistato, vissuto, che non abbia accompagnato il suo proprietario durante la vita di tutti i giorni, scandendo con alterna precisione ed accompagnandola in tutti gli eventi inevitabilmente la caratterizzano. Nelle pagine che seguono non troverete, quindi, nessuna spiegazione tecnica, anzi non troverete nessuna spiegazione in assoluto. Per scelta abbiamo solamente mosso i primi due pedoni, uno bianco e uno nero. Il resto delle mosse, tutte le varianti che ne seguono, tutte le idee che troverete, saranno merito, responsabilità, scelta vostra e delle persone cui abbiamo dato voce. Sygrayem! (Giochiamo)

Paolo Gobbi

Esiste tutto un mondo in quelle 64 case Mi sento sicura lì, posso controllarlo Posso dominarlo ed è prevedibile So che se mi faccio male è solo colpa mia (Anya Taylor-Joy La Regina degli Scacchi)

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CONTENTS

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INTRODUZIONE

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Handmade selection CAPITOLO 1

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Velocità ANTONELLA FERRARI

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Lady speed

HUBLOT

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Big bang Ferrari 1000 GP

FERRARI

Nome in codice: modificata CAPITOLO 2

Idee COVER STORY

Presenza fantastica

GIOVANNI GASTEL

Andare oltre il volto

78 84 88 90

BREITLING / 01

A testa alta

BREITLING / 02

Il successo è donna BULGARI

Le nostre lancette nella Dolce Vita TUDOR

Apre nella città eterna PATEK PHILIPPE

Tre timbri per un capolavoro AUDEMARS PIGUET

Code 11.59 L’icona del futuro ROLEX

Acciaio e colore

SERENA GOBBI

L’opinione

90 Rolex Oyster Perpetual Sky-Dweller

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CONTENTS

94 100 106 112 116 120 124 128

CHANEL

Dove nasce l’icona J12

OMEGA

Occhi sulle stelle STEFANO RICCI

Un anfiteatro sul tempo ROGER DUBUIS

Il potere di innovare GMT

Decostruire l’orologeria

131 150 152 156 160

VACHERON CONSTANTIN

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PHILIP WATCH

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CAPITOLO 3

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Il perpetuo messo a nudo Roma protagonista Moda

SHOOTING

Bondage

CAPITOLO 4

Dolce vita RUOTE VINTAGE

Una maserati nel cuore LOCHERBER MILANO

Oltre l’olfatto

ETAT LIBRE D’ORANGE - ESSENZE

Erotismo olfattivo

ZANNETTI - PENNE D’AUTORE

Pezzi unici destinati a stupire TONINO LAMBORGHINI

Ginevra Collection FRESCOBALDI

Un passato che parla al futuro

100 EVERYTIME, EVERYWHERE

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www.handmade-mag.com



CONTENTS

176

178 182 184 188 190 192 194 200 208 212

190

BOLLICINE

Mumm Cuvèe MGC firmata Ross Lovegrove MALFY

Il gin italiano tra Salerno e la Costiera PALATÒ MILANO

Il food si fa tecnologico I MASENINI VERONA

La cucina dell’anima EXCELSIOR HOTEL GALLIA MILAN

Milano torna a splendere

LE MASSIF COURMAYEUR

La magia della neve a cinque stelle CAPITOLO 5

Vintage NON SOLO VINTAGE

Timeless senza tempo ANDREA MATTIOLI

Il signore delle lancette

SEIKO

Un turtle in collezione POESIA

Filamenti

®

DIRETTORE RESPONSABILE

Paolo Gobbi ppgobbi@handmade-editore.com HANNO COLLABORATO:

Lara Mazza Carlotta Mancini Andrea Salan, Alessandro Fanciulli, Mauro Girasole, Claudia Gobbi, Manlio Giustiniani, Marco Valerio Del Grosso, Manuel Maggioli, Gabriele Vittozzi Bibiana La Rovere PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Gianpiero Bertea ILLUSTRAZIONI

Domenico Condello

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MANAGING DIRECTOR

Mauro Girasole mauro.girasole@handmade-editore.com Tel. + 39 333 8681656 SERVIZIO MODA

Gaia Giovetti Lucio Convertini Alexane Delalè, Costanza Maglio DIGITAL

STAMPA

Chinchio Industria Grafica S.r.l. Via Pacinotti, 10/12 - 35030 Rubano PD DISTRIBUZIONE

Press-di S.r.l. - Via Mondadori, 1 Segrate (Milano) 20090 HANDMADE® è un marchio registrato Registrazione del Tribunale di Roma n. 146/2019 del 07.11.2019

Simona Ferrazza, Luigi Donno, Lara Mazza SEGRETERIA

Abigail Canta info@handmade-editore.com ARRETRATI E ABBONAMENTI:

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HANDMADE EDITORE srl

ad Ferdinando Zannetti Largo Fontanella Borghese 23 00186 ROMA - Nr. REA: RM - 1590900 info@handmade-editore.com www.handmade-mag.com

L’etichetta FSC garantisce che la carta utilizzata proviene da una foresta e da una filiera di approvvigionamento gestita in modo responsabile. La carta utilizzata da Handmade: copertina Favini Biancoflash interno Fedrigoni Arcoset schede Fedrigoni Gsk moda Burgo R4 Next



INTRODUZIONE

NOMOS GL ASHÜTTE

UNA SERENATA PER BEETHOVEN Quest’anno si festeggia il 250° compleanno di Ludwig van Beethoven, il compositore più eseguito di sempre. «Bthvn», come avrebbe spesso firmato le sue partiture, fu battezzato il 17 dicembre 1770 nella chiesa di Remigio a Bonn, dove si presume fosse nato il giorno prima. Fu un vero visionario. Pensatore radicale, proiettato verso il futuro e seguace del pensiero laterale. Amante della natura e fervido sostenitore degli ideali della Rivoluzione francese: libertà, uguaglianza, fratellanza.

Beethoven era un uomo dai molti talenti, e un grande amante delle donne. Anche per questo Nomos Glashütte ha scelto di celebrarlo con orologi meccanici da donna: la serie Tetra Sinfonia, composta da quattro versioni del classico modello Tetra, il segnatempo quadrato per eccellenza. Inno alla gioia (verde oliva), Scintilla divina (rame), Amata immortale (turchese) e Fidelio (blu scuro). Uno splendido regalo per quattro sorelle, o perché no, il perfetto regalo di compleanno.

Nomos Tetra - uno dei primi orologi da polso meccanici prodotti in Germania, famoso in tutto il mondo e pluripremiato - è ora disponibile in questa originale tonalità rame: Tetra Scintilla divina.

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SUGGESTIONS

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INTRODUZIONE

GIRARD - PERREGAUX

IL LAUREATO GHOST OROLOGERIA ETEREA Girard-Perregaux celebra il 45° anniversario del Laureato, l’iconico orologio presentato nel 1975 e oggi tanto amato dagli appassionati del mondo dell’orologeria. In occasione di questo traguardo, la Manifattura ha il piacere di svelare il Laureato Ghost, un modello esclusivo in edizione limitata prodotto in collaborazione con Bamford Watch Department. Questo modello si caratterizza per la ceramica bianca, un’innovazione sia per Bamford Watch Department che per i Laureato di GirardPerregaux, sulla scia dell’inconfondibile abbinamento di forme diverse di quell’orologio, dove la cassa circolare si giustappone alla lunetta ottagonale e alle linee allungate. La Manifattura, infatti, gioca con le forme orologiere da anni, per esempio con l’antenato del Laureato, il modello Deep Diver presentato negli anni Sessanta, un orologio che non si limitava a offrire le pratiche funzioni di un orologio da immersione,

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bensì sfoggiava con eleganza forme diverse, in particolare con la lunetta tetradecagonale. George Bamford, fondatore di Bamford Watch Department, spiega: “Tutti sanno che indosso orologi neri e amo tutto ciò che è nero. Tuttavia, seguendo la scia degli altri orologi su cui ho lavorato, questa volta ho voluto spingermi oltre disegnando un orologio bianco. Quando collaboro con un’altra azienda, cerco sempre di raggiungere una sinergia che consente a entrambe di dar vita a creazioni al di fuori dei propri schemi. Per esempio, questo orologio in ceramica bianca è una novità assoluta sia per Bamford Watch Department che per un modello Laureato di Girard-Perregaux. Ero affascinato dall’idea di un orologio etereo, con un carattere che ricordasse quasi un fantasma, da cui ne deriva il nome, mentre l’aggiunta dei dettagli neri nel quadrante lo ha reso un accessorio unisex straordinario nonché un tributo perfetto ai 45 anni del Laureato”.


Ginevra Lamborghini indossa il modello Shield Lady e-boutique: lamborghini.it

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INTRODUZIONE

ULYSSE NARDIN

PROTAGONISTA WHITE BLAST

Benvenuti nell’esplorazione degli estremi, quei territori affascinanti che aspettano solo di essere scoperti. Le destinazioni ai confini della Terra che affascinano e incitano ai sogni più sfrenati, gli ambienti ostili che non lasciano margine di errore. Il ghiaccio e il fuoco sono contraddittori ma complementari e Ulysse Nardin li ha utilizzati per rappresentare il fatto che gli opposti si attraggono. Quando si incontrano, tirano fuori il meglio l’uno dall’altro: il nuovo Blast. La composizione dei colori di questo orologio è una tavolozza che arriva direttamente dall’Antartide: ceramica bianca, grigio metallizzato, blu scuro e una bellissima trasparenza.

Proprio come un lago ghiacciato. Ricorda i ghiacciai, questo modello presenta una lunetta liscia in titanio, iscrizioni blu scuro sulla canna che menzionano “Silicium Technology” che batte al suo interno. Il logo blu scuro “Ulysse Nardin” è ben visibile sulla cornice rettangolare e il colore blu scuro sugli indici e sulle lancette è completato da Superluminova. Alimentato dal movimento UN-172 di recente creazione (un’evoluzione del movimento UN-171), il Blast ha una riserva di carica di tre giorni, un tourbillon automatico e un nuovo micro-rotore in platino piccolo ma potente, visibile solo dalla parte anteriore dell’orologio a ore 12.

Considerato in fisica un colore acromatico, il bianco è una forza feroce, esplosiva come il rosso e affermativa come il nero.

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SUGGESTIONS

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LONG LASTING MATTE LIQUID LIPSTICK

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MATTE FINISH LONG LASTING NO TRANSFER MASK-PROOF


velocità CAPITOLO 1


Hublot Big Bang Ferrari 1000 GP, disponibile in due versioni, ciascuna in edizione limitata a 20 esemplari.


CAPITOLO 1

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VELOCITÀ

MADE IN MODENA

LADY SPEED TUTTO INIZIÒ CON UN PICCOLO ROLEX IN ACCIAIO REGALATOLE A SEI ANNI DA NONNO ENZO. ANTONELLA FERRARI SI RACCONTA A HANDMADE

Di Paolo Gobbi

NON È FACILE PORTARE un cognome così importante ed evocativo come Ferrari. Se poi sei anche l’unica “amatissima” nipote del Drake, la cosa potrebbe addirittura diventare ancora più difficile. E invece Antonella Ferrari ha esorcizzato il cavallino rampante, del quale è rimasta però il primo dei tifosi, lasciando da parte il mondo delle supercar per costruirsi, da avvocato quale è diventata, una solida carriera da docente in Diritto pubblico e diritto dell’Unione europea presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. L’abbiamo in contrata nella sua casa modenese, accanto al marito Alberto Galassi ceo di Ferretti Group, circondata dai suoi quadri.

Ti senti più una persona o un personaggio? «Sicuramente una persona. Nonostante il mio nome e l’essere stata intervistata più volte per eventi, presentazioni o vittorie della Ferrari, rimango sempre persona dietro quel nome e non personaggio.» Nell’immaginario comune lei è parte integrante del mondo Ferrari. È davvero così? «Ne sono immersa come tifosa perché partecipo con il cuore alle gare, tanto da guardarle ogni domenica in tv. Inoltre, quando possibile, assisto di persona ai Gran Premi di Montecarlo e Monza. Ovviamente avendo avuto rapporti di amicizia con la dirigenza passata, Luca di Montezemolo e Stefano Dominicali, alle volte mi sono permessa di dare consigli sui piloti da preferire per il nostro team, notando le loro effettive capacità. Tuttavia non ho rapporti formali con l’azienda Ferrari. Infatti, dopo la laurea, ho deciso di fare un percorso tutto mio: ad oggi sono docente universitaria e questo lo devo solamente a me stessa. Ho intrapreso una mia strada, lavorando sodo e facendo tutto con le mie forze senza alcun intervento da parte della famiglia. Avercela fatta da sola è una vera soddisfazione.»

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CAPITOLO 1

All’interno dell’università sanno che lei è una Ferrari? «All’inizio non lo sapeva nessuno. Sono entrata a far parte del corpo docenti grazie al mio valido curriculum. In seguito si è sparsa la voce ed i miei colleghi ne sono venuti a conoscenza. Gli studenti mi conoscono come Avv. Ferrari e non sospettano nulla, essendo il mio un cognome molto comune, soprattutto in questa zona.» La vita universitaria non ha nulla a che vedere col mondo Ferrari? «Assolutamente nulla. Sono due realtà ben distinte e separate. Tengo al fatto che rimangano così.» Essere Ferrari è più un onore o un onere? «È un onore senza ombra di dubbio. A volte può essere un onere in quanto sono tenuta ad avere sempre un certo aplomb, un comportamento contenuto.» Un esempio? «Le manifestazioni di tifo durante il Gran Premio: non alzo mai le mani per esultare, non mi lascio andare a gesti privi di stile ma rimango sempre misurata nei miei festeggiamenti.» C’è un momento in cui, anche con suo marito, preferite “nascondervi” in qualche isola lasciando da parte i vostri cognomi? «Nascondersi no, ma spesso siamo soli o con i nostri amici più intimi. La barca, per esempio, è l’emblema della tranquillità e del ritiro dalla vita

di tutti i giorni, permettendoci per un periodo di rifuggire dalle persone che ci collegano al nostro ruolo, è un’isola privata. Per noi la vacanza per eccellenza è in barca, o sull’isola di Capri, così come una passeggiata in bicicletta sul lungomare di Forte dei Marmi.» Che cosa pensa quando vede passare una Ferrari? «Naturalmente la guardo con molto interesse e quando le vedo riunite insieme, provo una grande emozione. In particolare amo i modelli d’epoca, che mi suscitano tanti bei ricordi relativi a nonno Enzo e osservarle tutte in fila raccolte per un raduno o per un evento, è davvero toccante. Normalmente quando ne vedo una passare per strada penso: bella macchina, complimenti a chi l’ha comprata.» Possiede una Ferrari? «Sì, la mia personale è una Portofino, che uso volentieri anche da sola. Quando esco con mio marito, invece, usiamo a volte altre Ferrari acquistate negli anni, classiche e contemporanee.» Qual è il suo rapporto con il tempo? «Penso sia abbastanza normale e sereno. Chiaramente per impegni di lavoro spesso è tutto cronometrato e controllato, tuttavia cerco di vivere minuto per minuto, un po’ alla giornata. Ma sono sempre pronta per qualsiasi evenienza.» Forse la vita a Modena è un po’ più semplice? «Sicuramente. Soprattutto per quanto riguarda gli spostamenti. Per esempio, per arrivare a

Il Rolex Oyster Lady Date in acciaio, che Enzo Ferrari regalò ad Antonella a sei anni.

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VELOCITÀ

lavoro mi occorrono dieci minuti mentre mio marito quando è a Milano, impiega molto più tempo a causa del traffico e delle distanze.» Immaginando una macchina del tempo, c’è qualcosa che cambierebbe? «No, non c’è un’unica cosa in particolare che modificherei, piuttosto ci sono solo delle piccole cose che vorrei poter cambiare.» Una cosa che rivivresti? «Sicuramente qualche vittoria sportiva con la Ferrari. L’ultimo mondiale che ricordo da bambina, è stato quello del 1979 di Jody Scheckter, al quale nonno Enzo poté assistere. Un altro grande successo è stato il mondiale 2000 con Michael Schumacher, che mi ha regalato un’emozione fortissima anche se purtroppo mio nonno non era presente per festeggiare quel trionfo. Tuttavia è stato un

mondiale avvincente, grazie al quale siamo rientrati nell’olimpo dei grandi. Nonostante sia passato tanto tempo ancora lo ricordo con passione.»

Michael Schumacher con Piero e Antonella Ferrari.

Cosa ricorda di Enzo? «Ho tanti ricordi teneri. Mio marito mi chiede spesso perché ho poche foto con lui da bambina: semplicemente perché per me era il nonno che stava con noi tutte le sere a cena e non un vip o una celebrità. Penso anche alle discussioni tra lui e Mauro Forghieri, con papà che cercava fare da paciere. Ricordo bene i suoi bellissimi regali, come il Rolex che mi regalò a sei anni che è stato il mio primo orologio “da grande”, nonostante sia piccolo e da bambini: lo conservo ancora tra i miei ricordi più cari.» È una collezionista di orologi? «Diciamo di sì. Ho iniziato da bambina e ad oggi

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CAPITOLO 1

GLI STUDENTI MI CONOSCONO COME AVVOCATO FERRARI E NON SOSPETTANO NULLA ESSENDO IL MIO UN COGNOME MOLTO COMUNE SOPRATTUTTO IN QUESTA ZONA

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VELOCITÀ

ho una piccola collezione. Tengo a sottolineare che ho sempre comprato orologi per metterli e non per collezionarli, ne ho circa dieci, dodici, che uso sempre.» Utilizza anche orologi contemporanei? «Sì, mi aggiorno pian piano. Invece mio marito ha una bellissima collezione di Rolex vintage, mentre io porto i modelli più attuali per paura di rovinare quelli d’epoca, come successe una volta con un Rolex 6263, quando mi entrò dell’acqua all’interno... per fortuna venne poi riparato. Indosso principalmente i Rolex Daytona e i Nautilus di Patek Philippe. Oggi al polso ho un Daytona Rainbow, modello che amo molto perché è allegro e mi mette di buon umore. Tra l’altro ho potuto constatare la solidità dei modelli Rolex che difficilmente si segnano, anche con un utilizzo giornaliero in casa e fuori, per questo li apprezzo ancora di più.» Enzo e Piero Ferrari: due figure molto diverse? «In realtà con un gusto molto simile: entrambi, proiettati verso il futuro e il contemporaneo, non hanno mai amato l’antiquariato e gli oggetti d’epoca. Come carattere invece erano piuttosto differenti: nonno era una polveriera, irruento e travolgente; invece papà è una persona estremamente mite, che si arrabbia solo se provocato. Poi è un uomo che fa della discrezione assoluta il suo stile di vita ed è poco appariscente durante le manifestazioni pubbliche. La riservatezza e la moderazione sono due pregi che penso di aver ripreso e fanno di mio padre una persona che ammiro fortemente.» Le seconde generazioni hanno spesso avuto problemi a confrontarsi con figure così forti come quella si nonno Enzo. Per Piero, tuo padre, sembra che questa non sia mai stato un problema. «Esatto. Mio padre ha le sue passioni, chiaramente ama i motori e possiede anche una piccola collezione di orologi. È un uomo che non si mette mai in mostra, apprezza e conduce una vita molto tranquilla: la barca durante le vacanze

estive e la montagna in inverno, è felice così.» Invece la nuova generazione? «Anche i miei figli, Enzo e Piero, sono persone abbastanza discrete. Enzo, il maggiore, lavora nel Brand Diversification Department della Ferrari, unn impiego stimolante: personalmente ne sono contenta e orgogliosa. Piero, essendo più piccolo, sta studiando a Londra. Come me non amano frequentare i social network e sono entrambi ragazzi tranquilli e riservati.» È anche una collezionista? «Sì, amo collezionare opere d’arte e condivido questa passione con mio marito. Addirittura il nostro primo appuntamento da fidanzati è stato ad Arte Fiera a Bologna. Da quando stiamo insieme abbiamo iniziato a raccogliere una collezione di opere, inizialmente modesta che è pian piano cresciuta d’importanza, per esempio oggi abbiamo dei Fontana e dei Botero, ma anche Boetti, Katz, Schifano, Longo. Per fortuna siamo stati guidati dal grande Emilio Mazzoli che è il più famoso gallerista del mondo, lui è stato un vero maestro di vita dal punto di vista artistico.» Qual è la sua più grande passione? Arte? Motori? Cucina? «In realtà in cucina sono negata, sono brava a cucinare qualche piatto modenese come i tortellini in brodo, ma per le cene con amici mi affido al catering. Mi piacciono i motori come appassionata e amo raccogliere cose belle, come le opere d’arte, i gioielli e le borse. Infatti ho una bella collezione di Birkin e Kelly di Hermès, cominciata alla nascita di mio figlio Enzo. Tutto quello che ho collezionato nella mia vita però, l’ho sempre comprato per poterlo utilizzare e non per tenerlo in una scatola: le borse le indosso spesso, i quadri li espongo con piacere, mi piace vivere le cose belle e far sì che possano vivere usandole.» C’è un sogno nel cassetto? «Sì. Riguarda mio marito ma al momento non mi sento di svelarlo, per ora lo lasciamo nel cassetto.»

Nella pagina accanto, Antonella Ferrari fotografata nella sua casa di Modena. Dietro di lei una tela di Mimmo Paladino

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CAPITOLO 1

HUBLOT BIG BANG FERRARI 1000 GP Nell’anno in cui il Campionato Mondiale di Formula 1 festeggia il suo settantesimo anniversario, il fine settimana del 13 settembre la Scuderia Ferrari parteciperà al suo Gran Premio numero 1.000. I festeggiamenti si svolgeranno sul circuito di casa, in occasione della gara in programma al Mugello. Fondata nel 1929, la Scuderia del Cavallino è leader incontrastata nel mondo dei motori, nonché l’unico team ad aver preso parte a tutte le gare del Campionato Mondiale di Formula 1 fin dalla nascita di questa competizione nel 1950. La collaborazione tra Hublot e la Scuderia Ferrari risale al 2011: questa forte unione, sia a livello

Hublot Big Bang Ferrari 1000 GP, Carbon Ceramic cassa 45 mm serie 20 pezzi 51.900 euro

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umano che tecnico, ha portato alla creazione di una serie di modelli che racchiudono la costante ricerca volta all’innovazione, all’eccellenza e alle alte prestazioni, tutti valori che accomunano il destino dei due brand. Una vera e propria Arte della Fusione che prosegue ancora oggi con il lancio dell’Hublot Big Bang Ferrari 1000 GP. Disponibile in due versioni, questo orologio rende omaggio alla gloriosa storia della Scuderia Ferrari e al suo ruolo come pioniera del progresso tecnologico. I modelli verranno presentati in due edizioni limitate di 20 esemplari l’una: 20-20, per richiamare l’anno in cui il marchio segna il suo traguardo della gara numero 1.000.


VELOCITÀ

DAL 2011 HUBLOT LAVORA FIANCO A FIANCO CON LA SCUDERIA FERRARI, IL PIÙ GRANDE TEAM NEL MONDO DEI MOTORI RICARDO GUADALUPE - CEO HUBLOT

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CAPITOLO 1

FERRARI

NOME IN CODICE: MODIFICATA UN VIAGGIO LUNGO LA COSTA LIGURE ALLA SCOPERTA DI UN MIX TRA DOLCE VITA, SPORTIVITÀ E TECNICA SUPERIORE, VALE A DIRE UN MODELLO POTENZIATO SOTTO OGNI PUNTO DI VISTA.

Di Carlotta Mancini gentlewomandriver.com

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VELOCITÀ

PRENDE IL NOME da uno splendido angolo della riviera italiana. Viene presentata come Modificata, termine che è sempre un po’ un rischio per delle supercar di lusso, ma non per loro. È equipaggiata con il quattro volte vincitore “Engine of the year”. È la “Pòrtofìn modificâ” come direbbero i genovesi. M come Modificata, sigla usata in Ferrari per i progetti atti a migliorare le prestazioni delle loro creazioni, è il simbolo di ripartenza dopo mesi di chiusura forzata. Come il dio dell’inizio o della ripresa in questo caso, Giano Bifronte, incarna due volti: uno che guarda alle icone del passato e l’altro rivolto alle tecnologie del futuro. Ma anche l’anima che esprime l’eleganza della spider e quella della intrepida coupé, e ancora, “la potenza del turbo e le emozioni dell’aspirato”, come affermato dal Direttore Tecnico Ferrari Michael Leiters. Portofino, un nome tanto chic da suscitare sensazioni come relax, benessere e comfort che la nota cittadina ligure trasmette, almeno nell’immaginario comune. Nello stesso modo agisce il configuratore 3D del sito Ferrari.it, trasportandoci sulla banchina del porto, tra un lussuoso 30 metri e le pittoresche casette sullo sfondo. Allora entriamo in questo mondo, almeno con la fantasia. Sembra di essere lì, a sorseggiare un gin tonic nel caffé più esclusivo della zona, seduti ad ammirare uno

splendido esemplare di Modificata parcheggiata sul molo. Avviciniamoci. Partiamo dal frontale: lo sguardo severo ma accattivante le viene donato dai fari a forma di L, i quali ricordano quelli della sorella “cattiva”, la 812 Superfast. Spostando gli occhi poco più sotto notiamo le rinnovate prese d’aria, più pronunciate, e muovendoci lateralmente incontriamo delle aperture laterali sotto i fanali che fungono da cortina d’aria e riprendono il disegno della fiancata. È dal paraurti che nasce una linea sinuosa che corre lungo la fiancata per arrivare al posteriore creando un muscolo compatto ed equilibrato. La nostra mano scivola dolcemente sulla silhouette che mostra un gioco di superfici concave e convesse, con pieghe alte e basse. Alzando la testa e osservando il paesaggio che ci circonda, ritroviamo le stesse armoniose sagome nei profili montuosi del panorama ligure. Continuando il giro di perlustrazione vediamo che la cabina è spostata indietro come se fosse poggiata sulle ruote posteriori; questa è una delle caratteristiche delle Ferrari storiche come la celebre 365 GTB/4 Daytona. Il tetto chiuso si integra perfettamente alla coda che termina con un paraurti ridisegnato in ottica più aerodinamica. Completa il tutto un nuovo estrattore disponibile anche in fibra di carbonio per gli amanti della leggerezza.

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CAPITOLO 1

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VELOCITÀ

Decidiamo di aprire in soli 14 secondi il tetto di questa bellissima Gran Turismo, ora diventata spider, per sbirciare cosa c’è dentro. Il colpo d’occhio è notevole, c’è una fondamentale coerenza tra l’esterno e l’interno. La cura del dettaglio e la bellezza artigianale marchiata Ferrari è leggendaria. Dopo esserci persi nella profusione di pelle di altissima qualità, riemergiamo dal suo profumo osservando il cruscotto ridisegnato. Qui la “sciabola” in alluminio che separa la parte alta della plancia da quella bassa, prende tutta la scena. I sedili che sappiamo avere il telaio in magnesio avendo studiato le novità della M, sono più compatti e offrono più spazio per chi siede dietro. Degno di nota un ampio display centrale e un piccolo schermo posto sul lato passeggero per fare in modo che anche lui si senta connesso con l’esperienza di guida. Come se ce ne fosse bisogno, come se ci si possa concentrare su un monitor quando si sfreccia ai 200 km/h (solo in pista chiaramente). È stata definita la “Ferrari per tutti i giorni” grazie alle dimensioni compatte e il comodo utilizzo in città poiché facilmente manovrabile in piccoli spazi, anche se sarebbe divertente vederla alle prese con i Carrugi di Genova. Cerchiamo di capire come sfruttarla quotidianamente: quanto spazio abbiamo a disposizione? Guardiamo i sedili e apriamo il portabagagli. Effettivamente abbiamo maggiore posto sui sedili posteriori per dei bambini e un baule più capiente per i bagagli. Attenzione a non confonderci: i figlioletti sui sedili con le cinture allacciate e i trolley nel bagagliaio, non viceversa. Finito il giro di perlustrazione, sperando che la Portofino esaminata sia la nostra e non quella di un ignoto proprietario, che altrimenti potrebbe pensare male, è arrivato il momento di chiudere la capote e accendere il motore. È adesso che lo spirito dell’aristocratica spider lascia il posto alla trasgressiva coupé e ora si ragiona, perché come diceva l’Ingegner Ferrari: “Il motore è l’anima della macchina”. Allora ci mettiamo seduti dentro questo trionfo di raffinatezza e tecnica, accendiamo e ascoltiamo il canto del motore, specifico per ogni modello del cavallino rampante. Avendo fatto i compiti a casa sappiamo che quello davanti a noi è il pluripremiato V8 da 620 cavalli, vale a dire 20 hp in più e 760 Nm. Il cambio a doppia frizione è stato gentilmente donato dalla lentissima SF90 Stradale (si fa per dire, con “solo” 1.000 cv) e ha davvero una marcia in più, l’ottava.

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CAPITOLO 1

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VELOCITÀ

Conoscendola, anche qui facciamo per dire, partiamo con calma. Prima, seconda e terza però volano via, per “colpa” di un sistema di gestione della coppia grazie al quale abbiamo maggiore spinta nelle marce basse e rapporti più lunghi nelle alte, anche se il picco di Nm lo avremo in settima e ottava. Andiamoci piano. Ma nemmeno tanto. Disponiamo di tutta la tecnologia possibile per cavarcela anche sulle strade più tortuose, come quelle della Riviera di Levante. Sul volante spicca il Manettino, in particolare la modalità Race disponibile solo sulla M, lo selezioniamo e viene attivato il controllo dello slittamento laterale. Così mentre il piede destro lascia il posto ad un mattone che preme sull’acceleratore, il cambio risponde prontamente e il contachilometri segna numeri sempre più grandi, il tutto mantenendo il massimo controllo della curva. Che ci arriviamo lunghi o che la affrontiamo aumentando la velocità progressivamente, il risultato non cambia: la Portofino rimane gentile e gestibile. Il motore canta, e probabilmente lo facciamo anche noi, emozionati dal connubio tra la voce dello scarico alleggerito dei silenziatori finali e il suono della cambiata repentina, una melodia amplificata se viaggiamo a tetto scoperto. Così una curva dopo l’altra rimaniamo colpiti dal tempo di reazione della vettura, uno zero turbo lag, come pubblicizzato da Ferrari e confermato dal test driver Raffaele De Simone che l’ha provata a Fiorano, naturalmente. Rallentando l’andatura per goderci il panorama e magari un bel tramonto, prendiamo un attimo per riflettere sul lavoro di upgrade totale svolto sulla M. Come la rivisitazione di ogni dettaglio per ottenere uno stile tutto italiano che si combina a prestazioni avvincenti. Performance a tutto tondo dove ogni elemento inserito o potenziato ha una motivazione dettata dalla professionalità e dal cuore di chi ci ha lavorato sopra. Insomma, promette ogni sensazione umanamente sperimentabile in termini di guida: coupé, cabrio, spinta del turbo, allungo dell’aspirato. Non le manca nulla, o deve fare anche il caffè? Alle fine del viaggio immaginario, non resta che riporla in garage, darle una pacca sul musetto e prometterle amore fedele. Perché come si è presa cura per farci arrivare al limite, a perdonarci errori più o meno grossolani (che si fanno, si fanno) dovremmo badare un po’ a lei. Poggiamole sopra un telo e concediamole qualche ora di riposo. Domani dovrà accompagnarci a fare la spesa e avrà bisogno di tutta la sua dose di pazienza.

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idee CAPITOLO 2


Anello di LJ Roma 1962


CAPITOLO 2

COVER STORY

PRESENZA FANTASTICA PROTAGONISTA DELLA NOSTRA COPERTINA VITTORIA BELVEDERE RACCONTA IL SUO MONDO FATTO DI EMOZIONI ED APPLAUSI

Di Paolo Gobbi

NON È LA DONNA che ti aspetti Vittoria Belvedere. Indiscutibilmente bella, altrettanto affascinante, non è con gli occhi che cattura l’attenzione, ma con la sua voce armoniosa e profonda. La sua “normalità”, sbandierata senza cadere nello snob, si scontra con la sua “presenza” che la porta sempre e inevitabilmente al centro dell’attenzione. Sua è la copertina di questo numero di Handmade, magistralmente immortalata dal maestro Giovanni Gastel. L’abbiamo incontrata a Roma, nell’atelier di Armando Pasini, circondata da gioielli fantastici e opere d’arte.

QuanteVittoria Belvedere abbiamo visto in questi anni? «La mia carriera è iniziata facendo la fotomodella. Poi sono approdata a Roma per dei provini cinematografici, dove sono stata scelta. Poi tanti film, televisione, fiction, ancora foto.» Oggi, però, la sua carriera nello spettacolo è legata ad un mondo diverso. «Da circa dieci anni nella mia vita è arrivato il teatro. Mentre tutti i miei colleghi hanno spesso fatto un percorso al contrario, per me è stato diverso. Ho sempre pensato che lo stare su di un palcoscenico, davanti ad un pubblico e sostenere la sua attenzione, necessitava di un bagaglio professionale importante.» La sua scuola qual è stata? «Ho studiato il mio lavoro sul campo, grazie a dei registi importanti, da Florestano Mancini a Mauro Bolognini, sono loro che mi hanno insegnato questo lavoro.»

Una grande fortuna. «S’, anche un grande onore per ripagare la loro stima. Ricordo che Florestano Mancini, dopo aver visto il mio provino, disse alla mia agente “Non vorrei che il fatto di farla studiare in una scuola possa snaturarla come persona, facendole perdere la sua ingenuità, la sua fragilità, il fatto di non essere costruita, perdendo la naturalezza di chi non ha studiato recitazione ma la vive in maniera spontanea”.» Ha comunque studiato. «Cero. Ho lavorato sulla voce, sulla sua impostazione, su come riuscire a visualizzare i sentimenti quando richiesto, come ci si prepara il proprio personaggio. Ritorniamo allora al teatro: ho sempre pensato che fosse il traguardo di un attore preparato. Ho sempre pensato: quando sarò “Brava” allora salirò su di un palcoscenico.» Lei brava lo è stata da subito, sin da quando era ragazza. «Sì. In realtà sono arrivata al teatro affrontandolo con la stessa “incoscienza” che mi ha accompagnato sia nel percorso cinematografico che in quello televisivo. Ho dovuto però imparare una grande tecnica.» Nel teatro il giudizio è immediato. «Sì. Salire su di un palcoscenico dove la gente per vederti paga un biglietto e se non piaci non ti applaude e poi il teatro rimane vuoto... è una grande responsabilità ma anche una grande gratificazione quando, al contrario, riscuoti il successo e l’approvazione del pubblico. Capisci che tutto il lavoro fatto è servito a qualcosa.»

Vittoria Belvedere fotografata da Giovanni Gastel

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Sembra da quello che lei dice, che ogni volta è come se ripartisse da zero. «Metto sempre in dubbio le mie capacità e penso che solamente il pubblico possa legittimare il successo o meno di un’attrice.» Bellezza e bravura: una bella lotta? «Alle volte la bellezza è un handicap. All’inizio mi dicevano “sì però è bella” quasi a voler sottointendere che la bravura non fosse necessaria, non venendo creduta per quello che realmente sapevo fare. Inoltre venivo dal mondo della moda, ero alta, troppo magra per il cinema, se non per determinati ruoli.» Però è riuscita ad andare oltre la bellezza. «Riuscire a conquistare dei ruoli che andassero oltre la bellezza, che riuscissero ad emozionare, è stata una fatica. Mi sono dovuta togliere di dosso l’etichetta di “solo bella”: alla fine era diventato un handicap, in più essere vista come non mi sentivo era frustrante.» Quindi la bellezza non conta? «Non è determinante. Se non fossi stata bella adesso potrei non aver fatto nulla, oppure al contrario avrei raggiunto i traguardi più importanti molto prima di quanto ho fatto io. La legge, in fondo, è solo una: per fare cinema non bisogna essere belli, bisogna essere bravi. Punto.» Ci sono attrici non belle secondo i canini “comuni” che invece sono diventate delle icone. «Anna Magnani nella sua grandezza era bellissima, piena di fascino. Monica Vitti aveva una sua bellezza particolare, lo stesso Mariangela Melato. Tutte donne che, al loro passaggio, facevano girare tutti.»

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Merito della notorietà? «Assolutamente no. Merito della loro “presenza”: la gente si accorge che ci sei anche quando non ci sei. Quello il segreto.» Essere una presenza era il tuo obiettivo quando hai iniziato a fare l’attrice? «No. Non ho mai pensato questo. È un traguardo che si raggiunge con l’esperienza.» Anche un bel fardello da portare sulle spalle. «Sì, soprattutto perché ti accorgi di avere una grande responsabilità.» Nel mondo dello spettacolo c’è chi si sente superiore, chi si maltratta e maltratta la propria immagine. «È un problema che non ho mai avuto. Ho ricevuto un’educazione normale e non ho avuto dei genitori tormentati che mi hanno trasmesso le loro problematiche. La semplicità è quella che ha accompagnato il mio mondo, il mio modo di essere. Non mi sono mai adagiata sulla mia apparenza, ma al contrario ho sempre lottato per affermare le mie ragioni e per affermare le mie qualità.» Macchina da presa e macchina fotografica: c’è differenza nel lavorare di fronte all’una oppure all’altra? «Ho iniziato la mia carriera davanti alla macchina fotografica: facevo la modella e la prima volta che sono trovata di fronte ad un obiettivo ero veramente piccola. La fotografia riesce a cogliere, rubare l’essenza di una persona, che al contrario difficilmente si carpisce in una persona semplicemente conoscendola o parlandoci. Lo scatto è una frazione di secondo che ti ruba quel


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L’impareggiabile fascino fa della seta uno dei tessuti più pregiati ancora oggi, sinonimo di ricchezza che LJ Roma 1962 ha voluto rappresentare con una collezione che ricorda luci e colori del pomeriggio in cui quel bruco, tesse un anello sul dito della principessa. In vendita a Roma da Condotti 33

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Ispirati alle forme e ai colori dell’antica Roma, gli anelli, gli orecchini e i bracciali della collezione Via Sacra di LJ Roma 1962, regalano la stupore di indossare un frammento della citta’ eterna. In vendita a Roma da Condotti 33

sentimento, quel sapore, quello sguardo, quella sensazione che stai vivendo in quel preciso momento.» La cinepresa ha un altro effetto? «Da attrice so bene che, in realtà, quando si è davanti alla macchina da presa si perde la propria personalità e ci si trasforma nel personaggio che si interpreta in quel momento. Non si va mai in profondità e, quando questo avviene, racconta comunque un altro personaggio, la storia di qualcun altro. La macchina fotografica riesce a catturare quello che sei veramente, le tue emozioni, le fragilità.» Uomini e donne, nel mondo dello spettacolo come nella vita reale: chi detiene il potere? «Se ancora oggi le donne stentano ad avere un ruolo importante nella società, probabilmente è semplicemente perché l’uomo ha paura della donna.» Paura? «Sì. Non ci viene dato potere per paura di essere schiacciati. Però è anche vero che gli uomini riescono a fare gioco di gruppo, a fare squadra tra di loro. La donna vive ancora con una mentalità di competizione il confronto con un’altra donna, che viene vista come una nemica e non come un’alleata.» Nel mondo dello spettacolo, la figura femminile è spesso oggetto di pressioni e alle volte di discriminazioni. Le è mai successo qualcosa del genere? «No. Ho sempre scelto con cura quale lavoro fare ma soprattutto le persone con cui farlo. Ho avuto dei maestri che mi hanno guidato con premura

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in questo difficile mondo. Ho detto anche dei no a tanti lavori. C’è da dire che, al di là delle apparenze, sono una donna “normale”, con una famiglia, dei figli che adoro. Amo fare l’attrice e interpreto questo lavoro con grande rispetto, ma quando non sono sul palcoscenico, oppure davanti ad una macchina da presa, preferisco non avere nessun riflettore puntato addosso.» A San Remo invece fu al centro delle attenzioni di tutti i media. «Sì, fu una bella edizione, con Pippo Baudo e accanto a Manuela Arcuri. Ricordo il lavoro di preparazione, le interviste, la fatica per fare il lavoro nella maniera migliore possibile. Ricordo che scelsi Giorgio Armani per l’outfit delle mie uscite. Per i gioielli ero tempestata dalle richieste.» Come sempre si fa, in questi casi, ha scelto l’offerta migliore? «Assolutamente no! Chiesi consiglio ad Armani e lui mi disse di affidarmi ad Alberto Pederzani, un gioielliere milanese di altissimo livello. Il risultato fu perfetto, anche se non ne ricavai nulla. Ma avevo espresso al meglio la mia immagine.» Il tuo rapporto oggi con i gioielli? «Li amo, mi piacciono, però essendo una persona molto timida, sono restia ad indossarli spesso.» Per quale motivo? «I gioielli, specie quelli importanti, sicuramente accentuano di più la bellezza di una donna, la sua importanza, ma non solo. Se vogliamo la descrivono, raccontano chi è. Essendo io molto riservata, tutto quello che riesce a trasmettere un gioiello nei miei confronti, il fatto che possa




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suscitare curiosità o comunque richiamare l’attenzione di qualcuno, mi intimorisce e allo stesso tempo mi intimidisce. Quindi li amo, li metto con grande piacere in determinate occasioni, però vivo tutto come una paura.» Paura che qualche intenzionato glielo possa portare via? «Sì. Ma non è un problema esclusivamente economico. Il gioiello, almeno per quello che mi riguarda, è un simbolo, un ricordo di un momento preciso, sempre felice. Privarmene in maniera forzata sarebbe un enorme dolore. Ci soffrirei troppo. Mi rasserena di più non metterlo ma sapere che c’è.» Oggi è in copertina fotografata da Giovanni Gastel. Non è la prima volta che il maestro la ritrae? «Considero Giovanni un amico sincero, anche se

ci siamo visti pochissime volte. Ma so che posso contare sempre su di lui.» Come vi siete conosciuti? «Ad una cena di un evento, diversi anni fa. Era seduto accanto a me, parlammo tutta la serata piacevolmente e alla fine mi chiese se avevo piacere a farmi fotografare da lui. Per carattere sono molto riservata e anche in quel caso non mi sbilanciai in nessuna maniera, tanto più che non avevo capito chi fosse realmente! Arrivata a casa mi documentai e immediatamente mi si aprì davanti un mondo. Lo chiamai però solamente due anni dopo, chiedendogli se fosse stato disposto a farmi qualche scatto per aggiornare la mia immagine. Ricordo che al telefono mi disse “Certo, ti stavo aspettando!”. Sembrava che ci fossimo sentiti la sera prima, non che fossero passati ventiquattro mesi. Era nata un’amicizia.»

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IMMAGINI

ANDARE OLTRE IL VOLTO «REALIZZO IMMAGINI MAGICHE O SACRE SE VOGLIAMO, ACCENNO ALLA REALTÀ DEL PERSONAGGIO PER DARNE LA MIA LETTURA» GIOVANNI GASTEL SI RACCONTA

Di Paolo Gobbi FOTOGRAFO ITALIANO tra i più conosciuti al mondo, Giovanni Gastel nasce a Milano nel ’55. Negli anni Settanta, avviene il suo primo contatto con la fotografia. Da quel momento ha inizio un lungo periodo di apprendistato, che lo porterà ad incontrare nel 1981 Carla Ghiglieri, che diventa il suo agente e lo avvicina al mondo della moda. Dopo la comparsa dei suoi primi still life sulla rivista “Annabella” nel 1982, collabora poi con “Vogue Italia” e poi, grazie all’incontro con Flavio Lucchini, direttore di Edimoda, e Gisella Borioli, alle riviste “Mondo Uomo” e “Donna”. La consacrazione artistica avviene nel 1997, quando la Triennale di Milano gli dedica una mostra personale, curata da Germano Celant. Il successo professionale si consolida nel decennio successivo, tanto che il suo nome appare nelle riviste specializzate insieme a quello di fotografi italiani quali Oliviero Toscani, Giampaolo Barbieri, Ferdinando Scianna, o affiancato a quello di Helmut Newton, Richard Avedon, Annie Leibovitz, Mario Testino e Jürgen Teller. Lo abbiamo incontrato a Roma al Maxxi, durante la sua mostra The People I Like: oltre 200 “ritratti dell’anima” del maestro fotografo alle persone che più lo hanno colpito. SUA LA FOTOGRAFIA DI COPERTINA DI QUESTO NUMERO DI HANDMADE.

Cos’è una foto per Giovanni Gastel? «È un’esigenza, uno stato di necessità e non un lavoro: se fotografo e se scrivo poesie sto bene ma non solo in senso mentale, mi sento fisicamente bene, non posso non farlo.» Come hai iniziato il tuo percorso? «Ho iniziato quando a 17 anni vendetti la mia prima foto ad un ragazzo comasco, lui mi diede venti mila lire. A quel punto andai di corsa a casa da mia madre che mi disse: “Ma gliel’hai dati

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tu i soldi per farti pagare?”. Dal quel giorno ho pensato “sono un professionista.» In questi anni hai scattato in analogico e oggi lavori in digitale. Che differenza c’è? «Penso che i mezzi contengano un’estetica. Solo chi pretende che il nuovo produca una fotografia analogica patisce una delusione. Il digitale non può dare una fotografia analogica ma una digitale. Si tratta, come ho fatto io, di abbandonare tutto e ricercare il rapporto intimo e profondo tra noi e l’estetica del nuovo strumento. I ritratti che sono esposti alla mostra “The people I like” al MAXXI sono al 90% frutto di un lavoro in digitale, che mi permette di approfondire la parte del ritratto.» Non è vero che l’analogico è migliore del digitale? «I mezzi sono mezzi. L’unico problema è pretendere l’estetica di uno strumento da un altro. Anche i telefonini hanno una loro estetica, infatti per dire certe cose bisogna usare uno smartphone, poi il 99% delle persone lo usa solo per trasmettere i dati e la fotografia è diventata una lingua. Anche io per esempio, ho fatto alcune foto che potevano essere scattate solamente con un telefono e con altri strumenti non avrei ottenuto lo stesso effetto.» Non pensi che oggi ci siano troppe fotografie? «No, la fotografia si è sdoppiata, da un lato è diventata una lingua con la quale comunicare i dati: “Sono qui”, “questa è zia Caterina”, “guarda che torta che ho mangiato”. Questa rappresenta una comunicazione di dati linguistica; al posto di scrivere si accorciano i tempi, è internazionale e non ha bisogno di traduzione. Tuttavia questo non inficia il mio lavoro di autore che è un’altra cosa: io alludo al reale per crearne uno parallelo, realizzo immagini magiche o sacre se vogliamo, accenno alla realtà del personaggio per dare la mia lettura

In questa pagina Giovanni Gastel fotografato Pagina accanto, Barak Obama


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In questa pagina Bebe Vio e Carolina Crescentini Pagina accanto, Giorgio Forattini

di quel soggetto, cerco di andare oltre un volto. Il professionista fa un mestiere totalmente diverso dalla trasmissione di dati. La preoccupazione è solo per quei fotografi che si difendevano dietro la tecnica, perché ad oggi delle foto tecnicamente perfette le possiamo fare da soli, mentre gli autori danno la loro visione distonica, unica e differente. Ognuno di noi è unico al mondo ma pochi hanno voglia di andare in profondità perché se lavoriamo su ciò che ci differenzia dagli altri, siamo sostanzialmente soli e la gente ha gran paura di essere sola.» Quando presentano un nuovo smartphone, si punta molto sulla qualità della fotocamera. Questa è una rivincita per il mondo della fotografia? «Sì lo è, per me sapere che tutta l’umanità possiede una macchina fotografica in tasca che per sbaglio fa anche le telefonate, è una buona notizia. Ripeto che noi facciamo un altro mestiere, non trasmettiamo dati. Sinceramente consiglio ai miei allievi per differenziarsi di evitare di fare le prime dieci foto che gli vengono in mente, perché sono già state scattate da tutti.» Come funziona quando realizzi un ritratto? «Ti racconto com’è andata con Bebe Vio. Non avevo alcuna idea di cosa avrei fatto, quando l’ho vista le ho detto “secondo me sei un supereroe, come saremo noi tra duecento anni quando ci cambieranno i pezzi, quindi recita la parte del supereroe”. Lei mi ha capito benissimo e di fatto poi abbiamo stretto una grande amicizia. La mia danza di seduzione è sempre la stessa: devo rompere il ghiaccio con la persona. Quasi tutti davanti ad una macchina mostrano quello che

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vorrebbero essere e meno quello che realmente sono, di conseguenza creo un ambiente informale e rilassato così da far calare le difese della persona e in questo modo riesco ad entrare in connessione con chi sono davvero. Se non calano le difese è molto difficile perché vedo un muro dietro.» Le idee vengono nel momento in cui hai la persona davanti? «Esatto, dipende sempre da molti elementi che variano: come sto io o come si sente la persona quel giorno, che voglia c’è e via dicendo. Ci sono troppe variabili per progettare qualcosa prima.» Succede mai che alla fine la foto non si fa? «No, ci sono sempre riuscito, poi li faccio ridere. Per esempio Michael Stipe, Il leader dei R.E.M., inizialmente era molto restio a fare le foto. Venne da me piuttosto stizzito dicendomi che aveva solo cinque minuti, gli ho risposto che scatto in 1/125 di secondo quindi in cinque minuti faccio una valanga di foto: con questa frase si era già sciolto. Una volta visto il primo scatto ha detto che tre o quattro ore per me poteva trovarle, è finita che alle nove di sera io volevo andare a casa e lui mi chiedeva di farne ancora una. Dipende da come ti poni, se fai muro contro muro sei fregato.» Ci sono personaggi più facili e più difficili? «Sì, ma solitamente alla fine si sciolgono tutti. Per esempio mi sono molto divertito con Ornella Vanoni, un po’ rigida all’inizio ma alla fine è stata un’esperienza divertente e lei ad oggi ancora mi chiama “Gospel”. Il clima è rilassato e penso che la creatività debba essere anche una cosa leggera. La fotografia è un’arte veloce e anche l’esecuzione


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In questa pagina Germano Celant ed Ettore Sottsass Pagina accanto, Bianca Balti

dell’opera è rapida; se ci metto più di dieci minuti a fare una foto mi preoccupo.» C’è una foto che ti è piaciuta più delle altre? Esiste una foto delle foto? «A me piace molto quella di Obama. È una foto che ho preso ad un cocktail che davano appena finito il mandato. Sono stato invitato a conoscerlo e chiacchierando dieci minuti sono riuscito a fargli fare questa splendida risata liberatoria. Non ho mai saputo se rideva riferendosi al suo successore.» C’è una foto che vorresti rifare? «In qualche modo vorrei rifarle tutte, ma non perché non sono venute come le volevo. Le persone cambiano quindi è sempre interessante ritrovarle dopo un po’ di tempo perché c’è una luce, un qualcosa di diverso. Tuttavia ad oggi sono soddisfatto dei risultati.» Cosa fai se una persona fotografata un anno fa cambia e non ti piace più? «La sua fotografia rimane ma fino ad oggi non mi è mai successo di pensare: “Peccato ad averla fatta perché non avrei dovuto”. All’inizio facevo delle foto bruttissime ma è normale, anzi è una buona notizia. Le prendo d’esempio e le mostro ai miei allievi o durante le conferenze per far capire che se ci sono riuscito io possono farcela tutti. Bisogna sempre volare basso, come mi disse mia madre quando vide che mi stavo inorgogliendo: “Ricordati che stai solo facendo delle fotografie”.» A proposito di orgoglio, che succede quando ti trovi all’interno di uno spazio come il MAXXI? «Ne stavo proprio parlando con Uberto, curatore della mostra e mio amico d’infanzia. Quello che ci fa ridere è che noi siamo sempre i soliti cialtroni

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che eravamo da ragazzi e l’idea di avermi dedicato un’enorme mostra ci fa sorridere ma al tempo stesso ci riempie di gioia e a me di orgoglio.» Queste foto sono fatte su commissione. Il cliente è un’opportunità o un limite? «Non ho niente contro la committenza. La storia dell’arte è una storia di committenza, lo dimostra per esempio Michelangelo che da scultore fece la Cappella Sistina creando il più grande affresco della storia. La committenza deve fornirmi tutte le informazioni utili per capire a chi sto parlando, però poi non deve dirmi cosa devo fare.» La committenza è d’accordo? «Di solito sì perché mi attengo alle loro necessità, mi faccio dare delle indicazioni per poi rispettarle. Tuttavia la chiave creativa con la quale risolvere il loro problema la devo dare io. Se iniziano a darmi istruzioni su come fare il mio lavoro con tutta onestà e senza offesa rispondo: “Se la sa così bene la faccia lei” oppure posso fornire un fotografo tecnico che al decimo del mio prezzo fa esattamente quello che vogliono loro.» Come gestisci il tuo tempo? «Lo frammento tantissimo. Nelle “Confessioni di Sant’Agostino” c’è scritto: “La vita andrebbe vissuta come se ogni attimo fosse il primo ma con la consapevolezza che potrebbe essere l’ultimo” ed io cerco di vivere il tempo in questo modo. Ora sono qui e questo momento è il centro del mondo; quello che ho fatto prima non conta più niente ed è aleatorio pensare a quello che farò dopo. Aderisco così tanto a questa filosofia che non indosso nemmeno l’orologio. Frammento il tempo in istanti e la fotografia che sto scattando è l’unica fotografia del mondo.»


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BREITLING / 01

A TESTA ALTA ALCUNI SEGUONO LE RIVOLUZIONI, ALTRI LE SUBISCONO. C’È POI CHI CI METTE LA FACCIA E LE FA IN PRIMA PERSONA: PATRIZIA ASTE CI RACCONTA LA DONNA BREITLING Di Paolo Gobbi

È UNA DELLE DONNE più interessanti e vive dell’orologeria italiana. L’abbiamo fotografata grazie all’occhio magico di Giovanni Gastel e intervistata all’alba della Breitling Italian Retailers Squad: Patrizia Aste si racconta ad Handmade.

con una campagna di comunicazione a 360°. Anche in questo caso Breitling ha scelto donne tenaci, decise, sicure di sé, di ispirazione ed esempio per altre donne, impegnate nel sociale ed eccellenze nel proprio campo.»

Una nuova Spotlight Squad di Breitling, tutta in chiave femminile: una rivoluzione? «Sicuramente sì, direi anche molto sfidante e interessante se pensiamo che il 60% del mercato oggi è rappresentato da modelli femminili!»

Breitling è conosciuto per i suoi modelli da uomo, ma questo è vero solo nei tempi moderni. «È giusto; sono famosi i nostri modelli squisitamente femminili degli anni ’40 e ‘50, basti pensare alla Collezione Premier degli anni ’40, un orologio delicato ed elegante che regalava nuova speranza dopo le atrocità della guerra.»

Breitling è conosciuto ed amato dal pubblico maschile. Come farete a farvi conoscere dalle donne? «Vogliamo entrare in empatia con il mondo femminile; proporre la nostra idea di donna che non può e non ha pretese di abbracciare tutto il pubblico femminile, ma quello che rispecchia i nostri valori.» In concreto? «Per parlare alle donne localmente, abbiamo coinvolto una squadra tutta italiana formata dalle nostre Top Retailers sul territorio. Sono imprenditrici che prima di tutto rispecchiano un valore fondamentale per le squad di Breitling, ossia la capacità di gestire e valorizzare il lavoro di squadra come elemento fondamentale per raggiungere traguardi importanti. Sono donne carismatiche, eleganti, piene di energia; sono le ambasciatrici ideali per Breitling che abbiamo scelto perché ne sposano pienamente la visione, lo stile. Sono le nostre “influencer” perfette per veicolare il messaggio del Brand con uno story telling che coniuga una grande esperienza nel mondo dell’orologeria con una conoscenza profonda del proprio pubblico di riferimento e l’empatia che sanno creare con i propri clienti.» Nel mondo? «A livello internazionale l’universo femminile e la Collezione Chronomat sono veicolate dalla nostra Spotlight Squad, capitanata da Charlize Theron,

Perché proporre al pubblico femminile un Chronomat, nelle misure 36 e 32, piuttosto che una collezione totalmente nuova? «Chronomat è un best seller di Breitling e quando è nato, negli anni ’80, era un modello unisex, il must have di quegli anni per lui e per lei. Nella sua riedizione di quest’anno questo modello conserva intatto l’appeal che lo ha reso famoso, ma si adatta sicuramente meglio al polso maschile. Quindi mi sembra un’ottima iniziativa sfruttare la sua fama per offrire un Chronomat più femminile anche per la donna, un orologio che combina azione e bellezza. Attraente come la Spotlight Squad, questa collezione porta le donne ovunque vogliano andare.» Georges Kern, il ceo della Casa, riferendosi alla “donna Breitling”, ha parlato di stile, determinazione e azione. Ci sembra evidente che il target di riferimento è sostanzialmente giovane. Stiamo sbagliando? «Non necessariamente: l’età non è mai una questione anagrafica quanto uno stile di vita e di pensiero.» Il lusso quotidiano per Breitling è un obiettivo raggiunto o da raggiungere? «Possiamo dire che non esiste un punto di arrivo, è un obiettivo su cui lavoriamo costantemente. Per Breitling il concetto di lusso quotidiano è strettamente legato al concetto di inclusività, ossia

Patrizia Aste, amministratore delegato Breitling Italia fotografata in esclusiva per HANDMADE dal maestro Giovanni Gastel

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La Breitling Spotlight Squad: Charlize Theron, Misty Copeland e Yao Chen

di realizzare prodotti destinati ad un pubblico più ampio possibile, che condivide la visione e i valori del nostro Brand. Certamente la priorità rimane offrire ai nostri clienti orologi di splendida fattura e massima precisione e significa riuscire a soddisfare i nostri consumatori attuali o potenziali, qualunque siano i loro gusti. Ma nella nostra visione il cliente non è identificato solo come proprietario di un oggetto costoso da indossare ma come fruitore di esperienze uniche, che cerchiamo di realizzare attraverso eventi e partnership esclusive, con la scelta di testimonial d’eccezione e con l’attenzione ai temi più attuali come la sostenibilità ad esempio. La nostra mission è creare valore per i nuovi consumatori del lusso sempre più esigenti, digitalmente connessi, cosmopoliti. Miriamo a essere continuamente innovativi, stimolanti, dinamici e il nostro pubblico dimostra di amare questo approccio.» Una Laurea in Lettere e filosofia e poi la scuola teatrale per cinque anni. Come ha fatto Patrizia Aste ad arrivare al mondo dell’Alta Orologeria? «Prima di approdare al campo dell’orologeria ed entrare in Azienda ero una libera professionista e quindi ho spaziato in aree molto differenti tra loro, dalla moda allo sport, sviluppando competenze diversificate, principalmente rivolte al settore lusso; con il tempo ho compreso come questa ampia visione sia stata determinante per creare il mio stile manageriale e le mie competenze, e tutto ciò mi ha concesso una carriera di grande soddisfazione.

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L’Alta Orologeria mi ha sicuramente conquistata, è un mondo molto affascinante ricco di storia, cultura, passione ed eleganza. Oggi sono orgogliosa del percorso che sto facendo, sapendo che tutto quello che ho ottenuto è frutto di tanto impegno, di continuo studio, di serietà, determinazione ed entusiasmo e in questo mi riconosco perfettamente nella donna Breitling a cui ci ispiriamo sempre proiettata verso nuove sfide!.» Da quanti anni guida la filiale italiana di Breitling? «Ho il privilegio di aver aperto la prima filiale italiana di Breitling 10 anni fa; una missione molto entusiasmante, perché ciò ha significato scegliere il proprio team, decidere la distribuzione e impostare il nuovo codice di linguaggio.» Il momento più bello e quello più difficile, ovviamente escludendo il 2020? «Ci sono tantissimi momenti belli: Breitling è un marchio in continuo movimento che riserva continue sorprese! Sicuramente mi ricordo un momento di grande orgoglio all’inizio di questa sfida: era quando, studiando le carte, ho realizzato fino in fondo l’imponenza del Brand, la sua ricca storia e i suoi successi italiani e nel mondo e che io ero chiamata a ritrovare nel mio Paese. Se penso a un momento delicato invece penso a 3 anni fa, quando c’è stato il passaggio di proprietà del Brand che da una gestione famigliare passava al fondo di investimenti CVC: è ovvio che in quel momento di transizione tutto viene


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messo in discussione, è una ripartenza e come tale occorre fare uno sforzo supplementare per capire le esigenze del nuovo e coniugarle con le peculiarità del mercato e con le soddisfazioni economiche. Oggi posso confermare con orgoglio che grazie a questo nuovo approccio globale Breitling si afferma sul mercato come il brand storico di tradizione con le maggiori potenzialità avendo tantissime novità in serbo per la nostra appassionata clientela e credo che continuerà a sorprendere ancora per molto tempo.» Come vede il futuro della distribuzione? Vedremo sempre più boutique monomarca? «La boutique monomarca rappresenta al meglio le caratteristiche del Brand; entrare nel Breitling loft significa vivere un’esperienza unica fatta di competenza, passione, bellezza, storia. Questo concetto dovrà ispirare la crescita delle gioiellerie multibrand che potranno tenere il passo solo se saranno in grado di rievocare all’interno dei propri spazi questo stesso feeling; non siamo gelosi del nostro concept e siamo assolutamente disponibili a rendere unici anche gli store di eccellenza che scegliamo per la distribuzione del nostro prodotto.» L’online è destinato a prendere il sopravvento? «Penso che potrà divenire un canale complementare al punto vendita fisico, e confido che ci sia sempre una forte coesione tra online e offline perché possano convivere e crescere insieme. Uno non esclude l’altro, il canale on-line ci consente di

raccontare il nostro Brand in modo impattante e in tempo reale a un pubblico più ampio e diversificato ma l’acquisto di un orologio è spesso dettato dall’emozione che è possibile trovare nei nostri spazi espositivi dedicati, questo che si tratti di un corner o di uno shop-in-shop. La nostra distribuzione avviene principalmente tramite un modello di retail tradizionale, con gioiellerie multibrand e flagship stores nelle più importanti città del mondo.» Poche altre marche possono vantare un pubblico così appassionato: onore oppure onere? «Breitling è un Brand speciale e chi lo ama è speciale. Nessun onere, è un onore e sempre una preziosa riconferma verificarlo sul campo.»

Breitling Chronomat Automatic 36 cassa acciaio inossidabile, lunetta con diamanti, quadrante laccato mint green, movimento cronometro automatico, bracciale «Rouleaux» con chiusura a deployante Costa 8.250 euro

Il fotografo Giovanni Gastel, ha interpretato sulla copertina di Handmade un “tipo” moderno ed elegante di donna Breitling. Conoscendo l’orologio e sicuramente anche il fotografo, si sarebbe aspettata qualcosa di diverso? «Questa foto ha una forza e una drammaticità interna allo stesso tempo; trasmette bellezza eleganza e passione! Il maestro ha come sempre interpretato alla perfezione la donna Breitling e il suo Chronomat.» Lei cosa indossa al polso? «Non ho resistito e ho voluto immediatamente provare la piacevolezza di indossare il nuovo Chronomat: questo quadrante verde menta con i diamanti è superlativo!.»

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BREITLING / 02

IL SUCCESSO È DONNA NASCE OGGI LA “BREITLING ITALIAN RETAILERS SQUAD” DIECI DONNE CHE, NEL SEGNO DEL CHRONOMAT, INCARNANO I VALORI FEMMINILI DELLA CASA SVIZZERA Di Paolo Gobbi QUANDO FU LANCIATO nel 1984, il Breitling Chronomat segnò un gradito ritorno agli orologi meccanici svizzeri, che erano quasi scomparsi negli anni ’70, epoca in cui gli orologi al quarzo avevano dominato il mercato orologiero. Ispirandosi all’orologio realizzato insieme alla celebre pattuglia militare italiana delle Frecce Tricolori, sviluppato e lanciato nel 1983, il Chronomat celebrava in grande stile il centenario di Breitling e segnava il ritorno del cronografo meccanico su cui la marca

aveva costruito la sua fama mondiale. Quest’eredità tecnica, unita a un design particolarmente elegante, ha fatto del Chronomat l’orologio sportivo-chic per eccellenza nella sua epoca, espressione di un’estetica e di una sicurezza che hanno reso nuovamente trendy il cronografo. Nonostante il Chronomat sia stato a lungo definito come l’orologio preferito dagli aviatori, ha trovato anche un’appassionata schiera di ammiratori tra coloro che amano le avventure non solo nei

Breitling Chronomat Automatic 36 cassa acciaio inossidabile, quadrante laccato mint green, movimento cronometro automatico, bracciale «Rouleaux» con chiusura a deployante Costa 4.400 euro

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Barbara Tamburini Gioielleria Aldo Tamburini Rimini

Martina Putzer Gioielleria Gstader Bressanone

Chiara Pisa Orologeria Pisa Milano

Elisabetta Mossa Gioielleria Mario Mossa Lecce

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cieli, ma anche sulla terra e in acqua. Infatti, la sua versatilità si è aggiunta al suo fascino alla fine degli anni ’80 e nei primi anni ’90, quando il suo tachimetro ha destato l’interesse dei team di Formula 1, mentre i suoi cavalieri intercambiabili lo hanno reso ideale per le regate. Oggi con le nuove versioni 32 e 36, il Chronomat volge lo sguardo alle donne sportive ma eleganti, sicure e dinamiche, contemporanee e amanti della bellezza. Per rappresentarle è nata la “Spotlight Squad”: ne fanno parte l’attrice premio Oscar Charlize Theron, la ballerina Misty Copeland e l’attrice televisiva e cinematografica cinese Yao Chen. Sono Donne che padroneggiano l’arte non solo di brillare sotto i riflettori, ma anche di illuminare gli altri e di ispirare il cambiamento nel mondo, sono le migliori in ciò che fanno e hanno infranto gli stereotipi legati al loro genere e ai rispettivi ambiti. Donne che non esitano a prendere il controllo della propria vita, cercando al tempo stesso di migliorare quella degli altri e pronte a difendere le loro convinzioni e le questioni cui tengono. Donne sempre in movimento, determinate ed eleganti come recita il claim di Breitling. Pensando a chi nel nostro ambito rappresenta questo ideale di Donna, la filiale italiana ha individuato dieci imprenditrici che gestiscono con successo le loro orologerie e gioiellerie, e al tempo stesso amano valorizzare le altre Donne con stile ed eleganza. Con loro ha formato la “Breitling Italian Retailers Squad”. Queste dieci Donne incarnano

Silvia Torelli Gioielleria Torelli Cremona

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perfettamente i valori femminili di Breitling poiché si sono fatte strada con successo in questo campo ancora dominato dalla componente maschile e ogni giorno si pongono degli obiettivi per migliorare se stesse ed essere da esempio per le altre. Al loro polso spicca il Chronomat 36 mm, con un quadrante mint green e l’iconico bracciale Rouleaux, molto confortevole ed elegante, quale segno distintivo di questa nuova collezione con cui Breitling vuole celebrare la Donna. L’OROLOGIO I nuovi Chronomat pensati per le donne sono dotati dell’iconico bracciale Breitling Rouleaux con chiusura a farfalla, tanto robusto quanto elegante. Come tutti gli orologi Breitling, i cronometri sono certificati COSC, una conferma della loro precisione svizzera da parte di un ente indipendente. Nuotatori, surfisti, subacquei e persino sirene apprezzeranno la loro impermeabilità fino a 100 metri. In termini di finiture, questi segnatempo sono diversi tra loro quasi quanto le donne della Spotlight Squad. Oltre alla scelta della misura (36 mm Automatic e 32 mm SuperQuartz™), sono disponibili anche in acciaio inossidabile, in versione bicolore che «sta bene con tutto» o in prezioso oro rosso 18 carati. Le donne alla ricerca di una maggiore brillantezza possono optare per la lunetta e gli indici di diamanti. Il Chronomat Automatic 36 è azionato dal Calibro Breitling 10, con riserva di carica di circa 42 ore.

Sandra Valenti Gioielleria Valenti Parma


IDEE

Francesca Vaggi Gioielleria Vaggi Firenze

Valeria Pannofino Gioielleria Lo Scrigno Ostuni

Hanni Ranzi Gioielleria Ranzi Bolzano

Angela Callegaro Gioielleria Callegaro Mestre

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BULGARI

LE NOSTRE LANCETTE NELLA DOLCE VITA JEAN CHRISTOPHE BABIN CI RACCONTA IL NUOVO ALUMINIUM 2020 E L’IMPEGNO DELLA CASA ROMANA PER LA SUA CITTÀ E PER IL SOCIALE

Di Paolo Gobbi SE C’È UN PRODUTTORE nel mondo dell’Alta Orologeria che in quest’anno non ha smesso neanche per un momento di sperimentare e di essere propositivo, quello è sicuramente Bulgari. Ne è la riprova la presentazione, avvenuta in questi giorni, della collezione Aluminium, che reinterpreta un disegno riuscito aggiornandolo qualitativa e nel design. Di questo, di Roma e di tanto altro parliamo con Jean Christophe Babin, CEO della Casa romana.

Bulgari: marca internazionale o romana? «Ovviamente è internazionale, ma il nostro DNA è romano, in quanto tutto quello che creiamo è ispirato ai simboli artistici e architettonici della Città Eterna. Inoltre Roma è la nostra maniera di presentarci al pubblico. Culturalmente siamo molto vicini alla città e siamo apprezzati per il nostro approccio familiare e conviviale, anche come simbolo della dolce vita italiana. All’interno del settore del lusso un simile modo di fare non è affatto scontato, perché le persone si prendono molto sul serio: noi siamo seri nella creazione dei nostri orologi e dei nostri gioielli, ma nell’interazione con i clienti preferiamo porci come una famiglia e non come venditori.» Come riuscite a fare entrare la romanità in un orologio totalmente svizzero? «Un oggetto iconico piace innanzitutto per la sua estetica. Possiamo fare un parallelo con le Ferrari: non sarebbero diventate emblematiche solamente grazie al motore V12, ma anche perché sono così belle. Intendo dire che la tecnica non è il primo criterio di acquisto, mentre lo è la leggenda della marca associata ad una bellezza entrata nella storia. Lo stesso concetto vale anche per gli orologi di lusso. Bulgari ha prima di tutto un’estetica diversa ed estremamente innovativa, come dimostrano Octo e Aluminium, che hanno infranto le regole

affermandosi come valori sicuri nel panorama dell’orologeria contemporanea.» La vostra dimensione estetica romana e italiana, vi ha permesso di pensare ai prodotti di lusso in modo differente? «Sì certamente. Ad esempio Octo Finissimo monta dei movimenti straordinari espressione di vero genio meccanico meccanico ma ha anche una cassa estremamente sottile ed elegante, e viene acquistato principalmente proprio per questo motivo. Chiaramente anche l’eccezionale parte meccanica partecipa al suo successo. Uno dei nostri meriti è aver inserito nel mercato degli orologi svizzeri il design italiano: quando parliamo di lusso, arredamento, architettura e automobili, l’Italia è il paese di riferimento.» Octo in poch anni è diventata una collezione iconica. Una bella vittoria. «Se valutiamo la storia degli orologi, notiamo che ciascun decennio degli ulti 50/60 anni ci sono stati dei modelli di successo che hanno attirato l’attenzione e si sono poi evoluti in modo da essere considerati dei pezzi emblematici da appassionati e collezionisti. Octo ha conquistato il suo posto tra le icone: in pochi anni si è evoluto e innovato non solo esteriormente ma anche nei materiali e nella meccanica, utilizzando la nostra eccellenza per creare movimenti più sofisticati e quotidiani al tempo stesso. Possiamo dire che ormai fa parte dei segnatempo che possiamo considerare “epocali” che connotano la produzione del nostro decennio e sono destinati a lasciare un segno anche nelle future generazioni». Avete ricevuto più commenti positivi sul bracciale che sul movimento. Tuttavia anche la parte funzionale di Octo è pazzesca. «Ancora una volta, le nostre origini italiane ci

Jean Christophe Babin, ceo di Bulgari

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QUANDO PARLIAMO DI LUSSO, ARREDAMENTO, ARCHITETTURA E AUTOMOBILI, L’ITALIA È IL PAESE DI RIFERIMENTO

hanno fornito un grande vantaggio. L’apertura ai gioielli, ai movimenti, ai ventisette secoli di storia di Roma, consentono di avere un’idea differente da qualsiasi altra, espressa bene dal nostro designer Fabrizio Buonamassa. Idea che sta portando i suoi frutti. Anche Aluminium un orologio tondo e più “comune”, pur essendo stato rilanciato da pochi mesi ha avuto una vasta eco soprattutto tra un pubblico giovane e - nella sua versione Chrono - ha già vinto un premio prestigioso al Grand Prix Dell’Orologerie di Ginevra come Orologio Iconico, riconoscimento che ci conferma quanto Aluminium sia destinato a diventare un must-have sia tra i millennial che tra i clienti della generazione X. I clienti ritrovano equilibrio, contrasti e modernità. Nonostante assomigli molto al modello precedente, risulta assolutamente contemporaneo e non possiede nemmeno un componente in comune con il primo Aluminium, in quanto i criteri di qualità sono stati aggiornati mantenendo la massima qualità per questa fascia di prezzo.» Il posizionamento che avete scelto è abbastanza inedito per voi. È un segno dei tempi? «In realtà per quanto riguarda la collezione donna, siamo sempre stati collocati su questa fascia di prezzo. Per i modelli uomo questo segmento allarga la desiderabilità di Bulgari, attraendo clienti che trovano un orologio perfetto, dotato di un movimento sofisticato, un cronografo fine, non ingombrante ed elegante. Aluminium è stato ottenuto con molto impegno a livello industriale per essere efficienti non solo sulla flessibilità ma anche sulla reattività. La riduzione dei tempi di commercializzazione ci fa adeguare maggiormente alla domanda. Aluminium in questo ha rappresentato un vero record: dal

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primo disegno di Fabrizio Buonamassa alla consegna sono passati meno di otto mesi. È stata un’avventura straordinaria anche perché i lavori sono stati svolti durante il periodo di chiusura, ma un gruppo coraggioso di orologiai, ingegneri e designer hanno portato avanti lo sviluppo nella fabbrica di Neuchâtel. In seguito sono state riaperte Saignelégier e Le Sentier per la produzione e i primi di settembre è stato possibile commercializzarli.» Sono aperte le vostre fabbriche? «Sì, sono a pieno regime pur con i limiti del momento: per esempio abbiamo due turni separati di sei ore. Chiaramente la produttività è al 70% rispetto alla norma, ma questo procedimento è doveroso per proteggere al meglio i nostri lavoratori.» Avete stabilito il sesto record mondiale per la meccanica con Octo Finissimo Tourbillon Chronograph Automatic. Ormai è una lotta contro voi stessi? «Prendiamo come esempio Lewis Hamilton: perché continua a gareggiare pur avendo già vinto sei titoli mondiali? Se si sente ancora in forma perché dovrebbe smettere? Lo stesso succede anche a noi. Qualitativamente abbiamo lo stesso orgoglio e voglia di progresso, di raggiungere nuovi limiti; continuare ad essere curiosi fa parte della bellezza dell’essere umano. Ora non intendiamo misurarci con un competitor esterno, ciò che ci sprona è la sfida collettiva interna, dove alcuni progetti vanno avanti, altri meno, ma fanno parte della ricerca e dello sviluppo: un contrasto tra poche garanzie e una buona probabilità di riuscita commerciale.»


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Cosa ci dobbiamo aspettare nel futuro? «Vogliamo portare avanti tutti gli sviluppi possibili, a partire da Finissimo che esprime il massimo dell’eleganza contemporanea. Lo abbiamo realizzato come cronografo, come manuale, automatico, solo tempo e anche con materiali diversi, vogliamo continuare ad arricchire l’infinita palette della creatività. Essendo un’icona è necessario assicurarci che tra trenta anni le future generazioni vogliano indossarlo con orgoglio come facciamo oggi.» Parliamo di un altro volto di Bulgari, quello che si impegna nella cura del patrimonio culturale di Roma. «Storicamente Bulgari, prima di essere dei gioiellieri sono dei cittadini romani e come tali hanno sempre partecipato alla vita e alla cura della città. Ad esempio Nicola Bulgari ha portato avanti diversi progetti con l’Accademia di Santa Cecilia, e come famiglia sono sempre stati riconoscenti verso il luogo dal quale hanno ricevuto l’ispirazione artistica che ha determinato il successo. Roma è la città più bella del mondo e nei secoli che si sono succeduti abbiamo innumerevoli testimonianze della bellezza, dell’arte e dell’architettura, che sono da mostrare e preservare.» Questa ispirazione si è trasformata in gesti concreti? «Abbiamo partecipato al restauro dei mosaici di Caracalla, al ripristino della scalinata di Piazza di Spagna e al restauro di novantadue statue della Collezione Torlonia, oggi finalmente esposte al pubblico dopo anni di oblio. Inoltre nel 2021 inizieranno i lavori per l’area sacra di Largo Argentina, una delle più antiche zone archeologiche della città. Ci occupiamo anche di arte contemporanea, perché guardiamo al futuro.

Infatti, con il MAXXI Bulgari Prize insieme a Giovanna Melandri, abbiamo organizzato una mostra delle opere dei tre giovani finalisti italiani che saranno esposte fino a marzo. Qui gli artisti, oltre al premio della giuria internazionale, riceveranno quello del pubblico, perché per noi le persone “comuni” sono importanti, sono loro che fanno vivere l’arte.» Bulgari si dedica ad altri tipi di iniziative? «Curiamo da tempo la dimensione educativa attraverso la partnership con Save The Children, per i quali negli anni abbiamo raccolto più di cento milioni di dollari, un traguardo di dimensioni storiche per un privato. Questa somma ha permesso di migliorare le condizioni di vita di circa due milioni di bambini, provenienti da paesi in via di sviluppo ma anche dalle periferie disagiate di Roma, dove abbiamo aperto un “Punto Luce delle Arti” spazio educativo, artistico e ricreativo che abbiamo aperto ad Ostia: anche qui vicino a noi abbiamo infatti ragazzi che hanno bisogno di essere indirizzati e seguiti per garantire loro una corretta educazione. Per noi un bambino istruito è un ragazzo sano.» Vi siete dati molto fare anche per quanto riguarda il settore sanitario. «In questo caso il nostro impegno risale a molti anni fa quando abbiamo siglato un accordo con la Elton John AIDS Foundation per la lotta contro l’AIDS. A inizio 2020 abbiamo usato le conoscenze tecniche acquisite nel mondo della cosmesi grazie al nostro partner storico ICR di Lodi (Industrie Cosmetiche Riunite ndr) e abbiamo convertito parte della produzione di alcolico nella produzione di gel disinfettanti per le mani che già a primavera scorsa abbiamo distribuito al personale sanitario

In alto, Bulgari Aluminium con movimento automatico, cassa 40 mm in alluminio, lunetta in caucciù, quadrante nero o bianco, 2.950 euro Sotto, Bulgari Aluminium cronografo con movimento automatico, cassa 40 mm in alluminio, lunetta in caucciù, 4.250 euro

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Octo Finissimo Tourbillon Chronograph Skeleton Automatic, cassa in titanio, movimento scheletrato meccanico di manifattura ultra-sottile. 155.000 euro

italiano in prima linea nella lotta al Covid 19. Oggi rinnoviamo questo nostro impegno con un secondo accordo distributivo raggiunto con il Ministero della Salute, per una seconda fornitura di gel disinfettante agli ospedali italiani per fronteggiare la seconda ondata della pandemia. Stiamo inoltre lavorando con l’ospedale Spallanzani di Roma sul fronte della ricerca antivirale, mentre con altri centri operiamo per la tutela del personale a rischio. In aggiunta abbiamo creato il fondo Virus Free, a sostegno degli ospedali Spallanzani, della Oxford University e della Rockfeller University a New York, per partecipare alle ricerche e ai test contro il virus. Il tema della salute continua ad agganciarsi con quello dell’educazione dal momento che offriamo borse di studio per queste eccellenze universitarie destinate agli studenti brillanti, che magari un giorno daranno il loro contributo al progresso scientifico.» Quindi sostegno artistico, educativo e sanitario. C’è ancora dell’altro? «Sono questi i tre assi con i quali Bulgari partecipa al benessere della comunità mondiale. C’è però anche un altro fronte che ci sta a cuore, ed è quello della sostenibilità: un tema primario, sul quale abbiamo già lavorato e continuiamo a farlo. Ad oggi siamo quasi totalmente plastic-free: ad sempio, nei nostri hotel non abbiamo nulla in plastica. Inoltre dal prossimo anno tutti gli imballi dei gioielli e degli orologi saranno al 100% privi di plastica, con un risparmio annuale di 130 tonnellate di questo materiale. La nostra impronta ambientale significa essere un’azienda all’avanguardia.»

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Per quanto riguarda i metalli preziosi e le pietre? «Da tempo il 90% dell’oro che utilizziamo è riciclato: per quanto riguarda questo materiale prezioso stiamo quasi raggiungendo il traguardo dell’economia circolare. Le pietre preziose, come i rubini, sono anch’esse spesso di seconda o terza mano, essendo anche loro delle gemme rare. Facciamo un uso ripetuto degli stessi materiali e posso dire che in questo siamo i primi della classe. Per noi è deontologia etica.» Quali sono i vostri appuntamenti per il 2021? In quale salone vedremo Bulgari? «Il prossimo anno, ad aprile, se si concretizzerà il nuovo Salone, noi saremo a Ginevra. Ripeteremo la formula del Ginevra Watch Days, perché anche se non ci saranno i brand previsti a Pala Expo, niente ci vieta di creare il nostro salone con marchi indipendenti o con LVMH, come abbiamo fatto ad agosto. Nonostante le perplessità di molti, alla fine è andato tutto bene, avendo preso il massimo delle precauzioni. Tutti i marchi sono stati contenti, come anche i partecipanti lo erano di ritrovarsi insieme e di indossare le novità. Durante i Ginevra Watch Days abbiamo innovato molto, aprendoci anche al digitale, facendo presentazioni. Abbiamo contato più di 250 giornalisti e più di 100 clienti: questo spiega come mai riusciremo ad ottenere comunque dei soddisfacenti risultati per l’anno orologiero. Quelle giornate, grazie alle novità mostrate e allo spirito creato, hanno dato ai marchi partecipanti e a Bulgari, un vantaggio, sia rispetto ai concessionari, che verso i clienti. Chiaramente se non dovesse


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esserci il Pala Expo e non ci saranno restrizioni a Ginevra, andremo verso la Ginevra Watch Week o la LMVH Watch Week: solo questo virus ci impedirà di fare qualcosa a livello di partecipazione. Infine a gennaio faremo un pre-Ginevra, probabilmente a Neuchâtel: come ad agosto avremo qualche sala dedicata ai broadcast, nelle quali fare presentazioni per introdurre una parte delle nostre novità 2021, mentre le altre saranno presentate ad aprile.» Passiamo al mondo dell’orologeria femminile, nel quale siete un riferimento assoluto. Com’è andato il lancio della collezione Serpenti Seduttori? «Durante il primo anno di presentazione non abbiamo potuto fare enormi investimenti, in quanto il lancio è stato interrotto dalle chiusure. Da qualche mese la visibilità del Serpenti Seduttori sta con forza tornando, come ci testimonia la continua presenza sui media sia tradizionali che digitali. La collezione presentata a Dubai, ora si sta arricchendo con nuove versioni, includendo un bracciale oro e acciaio molto bello che arriverà per Natale. Abbiamo anche altre versioni nella collezione Lvcea, che saranno disponibili in Italia a partire dalla primavera. I modelli donna rappresentano la parte più spontanea degli orologi Bulgari: essendo noi di base gioiellieri, il cliente si aspetta un atteggiamento più naturale possibile da noi. Nel 2021 avremo poi un approccio multi categoria sulla collezione Serpenti, uniremo gioielli, orologi e borse come simbolo forte di rinascita, seduzione e potere.»

Come avete lavorato sulla distribuzione? «Siamo consapevoli dell’importanza del web, quindi abbiamo puntato sull’estensione del nostro e-commerce in tutta Europa. In questa maniera oggi è possibile comprare un orologio online, senza avere problemi di chiusure o rischio di contagio. Abbiamo agito sulla parte distributiva per velocizzare e anticipare l’espansione mondiale del nostro network, passando da sei paesi attivi a quindici in pochi mesi.» L’e-commerce sicuramente sopperisce al negozio fisico. Voi come lo immaginate? «Dipende dai prodotti. Collezioni come Fiorever o Diva’s Dream è un viaggio quasi completamente digitale, in quanto proponiamo una taglia universale di pendente che si adatta a tutti. Per quanto riguarda gli orologi è diverso. Spesso ci sono i bracciali in metallo che vanno regolati. In questo caso si fa un percorso diverso, che comprende più canali: prima si scopre l’oggetto nel sito, si prova in boutique, si verifica la disponibilità, prenotiamo un appuntamento online, poi è possibile ordinarlo tramite web o dal vivo, infine, è nella boutique che si fanno gli aggiustamenti finali. Diciamo per gli orologi si tratta di fare più viaggi attraverso differenti canali comunicativi. In questo periodo l’e-commerce è stata l’unica fonte di vendita e abbiamo assistito all’aumento degli acquisti tramite internet, evidentemente i clienti si sono fidati e hanno preso l’abitudine per questo nuovo mezzo. Il web è sicuramente una realtà importante ed è diventato un punto di riferimento del nostro dispositivo commerciale.»

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ALTA OROLOGERIA

TUDOR APRE NELLA CITTÀ ETERNA LA PRIMA BOUTIQUE DELLA CASA GINEVRINA IN ITALIA E LA PRIMA SU UNA “HIGH STREET” COME VIA CONDOTTI: ROMA ANCORA UNA VOLTA ANTICIPA I TEMPI

Di Paolo Gobbi IN QUESTO ANNO PARTICOLARE e complesso, merita un’attenzione speciale la notizia dell’apertura di una nuova realtà commerciale nel cuore dello shopping romano: via dei Condotti. Stiamo parlando della Boutique Tudor, che per la Casa ginevrina è anche la prima in Italia e la prima nel mondo in una delle vie principali, le cosiddette “high street”. A raccontarci questa piccola avventura controcorrente sono i due coamministratori di Hausmann & Co., Benedetto Mauro e Francesco Hausmann.

Perché avete scelto Tudor? «Tudor ha sempre avuto un prestigio di luce riflessa: essendo distribuito negli stessi negozi Rolex, era netta la percezione che fosse un po’ sottostimato. Qualche anno fa Rolex, con grande lungimiranza, ha deciso di slegare la distribuzione Tudor in quanto esso subiva la grandezza scomoda del fratello maggiore. Una

volta realizzato questo accorgimento, Tudor ha avuto un notevole incremento d’affari. Ora viaggia in autonomia nella produzione e nella comunicazione.» Una potenzialità finalmente espressa? «Si è arrivati ad essere consapevoli di avere una gemma sottovalutata nel forziere. Di conseguenza Rolex, con grande prudenza, ha voluto creare delle boutique Tudor, condividendo con noi le responsabilità di un passo del genere. Con il loro aiuto abbiamo ideato una visione fondata, e, con i nostri piani aziendali e gli studi previsionali, abbiamo prefigurato una situazione che prevedeva una certa crescita. Siamo i primi insieme alla boutique di Londra ad aprire su un’arteria del lusso, quindi Rolex ci adotta come icona e vessillo per comunicare l’ascesa di Tudor essendo un marchio che ha un rapporto qualità prezzo assolutamente vincente.»

La boutique Tudor in via dei Condotti a Roma

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Sopra, l’interno della boutique Tudor in Via dei Condotti a Roma.. Pagina accanto, Royal cassa 41 mm in acciaio, quadrante blu, automatico day-date. 2.200 euro

Diventerete venditori esclusivi a Roma? «Non credo che sia questa la loro politica, ma quella di voler alzare il livello qualitativo. Con la nostra boutique Rolex siamo stati bravi a interpretare questo ruolo di avanguardia nell’istituire la regola ferrea dello zero sconto, della quale ricordiamo tutti beneficiano, soprattutto i clienti. La politica retail di Rolex è di elevare l’asticella ed agganciarla a delle regole che vedono la quantità dei pezzi prodotti rimanere sempre uguale. Hanno capito bene qual è il rapporto che un mercato di successo deve mantenere: una domanda doppia rispetto all’offerta.»

campo del mercato. Soprattutto, ci sentiamo tutelati: siamo responsabili dei nostri conti, ma al tempo stesso percepiamo l’attenzione di Casa madre che chiede, senza essere invasiva, come vanno le cose. È un dare-avere tra due soggetti indipendenti, che attraverso continui input creano un prodotto. Insieme fondiamo il messaggio della Casa madre, lo interpretiamo e lo facciamo arrivare al mercato, e questo è soddisfacente anche sul lato commerciale ed economico.»

Quindi voi siete una sorta di ambasciata del marchio? «Diciamo di essere una sorta di esempio, dei ripetitori o interpreti dei messaggi di Casa madre, che aiutano a trainare un sistema di vendita al dettaglio.»

La boutique offrirà prodotti differenti rispetto alle concessionarie? «Per il punto vendita Tudor, Rolex prevede delle serie limitate che possono avere solo le boutique e questo incentivo migliora i conti e l’immagine di Tudor. Inoltre cambia anche come viene recepito il negozio da parte della clientela: un luogo nel quale trovi modelli che altrove non sono disponibili.»

Tuttavia non essendo Casa madre, avete dei costi. Dalla boutique dovete pur ricavare qualcosa. «Si chiama gioco di squadra: noi abbiamo il nostro ruolo e Tudor il suo, mantenendo una grande intesa. Come in una partita di tennis in doppio, si è creata l’alchimia e ognuno partecipa con i propri mezzi sul

Sappiamo che c’è un problema di reperibilità su alcuni modelli iconici. I Tudor hanno delle liste d’attesa? «Il tempo è sempre un valore, anche quello dell’attesa. Se questi oggetti fossero subito disponibili, il loro costo calerebbe immediatamente, invece bisogna dare senso all’attesa: più si aspetta e

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Sopra, Benedetto Mauro e Francesco Hausmann co-amministratori di Hausmann & Co. Pagina accanto, Black Bay, cassa 41 mm in acciaio, Cinturino in tessuto nero, movimento automatico di manifattura calibro MT5602 (COSC). 3.310 euro

più il significato intrinseco di quello che si acquista è alto.» Per l’assortimento di cinturini e bracciali darete un servizio privilegiato rispetto alla norma? «Per quello che riguarda i cinturini sì: saranno disponibili tutti e immediatamente in boutique. Per i bracciali da montare o da mettere a misura, useremo i nostri orologiai. Ci sarà una disposizione precisa per i cinturini perché ora molti Tudor possono montare alternativamente cinturino o bracciale o addirittura due tipi diversi di cinturino. Questo sarà possibile farlo direttamente in boutique.» Per la vostra apertura ci sarà un orologio particolare? «Sappiamo che stanno preparando un orologio per l’inaugurazione delle boutique di Londra e di Roma, ma è un prodotto riservato.» A proposito: quando avverrà l’apertura? «Dovremmo aprire nel mese di dicembre.» Dove si trova la boutique? Chi si è occupato del progetto? «Siamo in Via Dei Condotti 47A, all’interno di un

palazzo storico di metà ottocento. Gli architetti che hanno partecipato allo studio sono gli stessi di Rolex essendo un progetto Rolex Italia mentre la realizzazione del mobilio è di Wider.» Possiamo riepilogare la “geografia” odierna di Hausmann & Co.? «La nostra geografia è cambiata di poco rispetto al progetto iniziale. Avevamo previsto tre nuove realtà commerciali nel 2020: due erano le nostre attività principali e l’altro era uno spazio dedicato al vintage. L’apertura della boutique Tudor, rappresenta un grande segnale: adeguarci e adattarci alle difficoltà, infatti, riuscire a programmare un’apertura importante in un momento così difficile non è scontato. Dal punto di vista commerciale e strategico non solo è stata una grande scommessa, ma anche una scelta pioneristica, sia da parte nostra che da parte di Rolex. Con la casa madre abbiamo condiviso la filosofia e siamo andati oltre l’ignoto. A livello finanziario può essere stato un azzardo, nessun manager indipendente avrebbe potuto farlo se non con una grande visione condivisa con Rolex. Per questo l’apertura Tudor su Condotti costituisce un evento straordinario.»

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PATEK PHILIPPE

TRE TIMBRI PER UN CAPOLAVORO PATEK PHILIPPE RIBADISCE LA MAESTRIA DELLA MUSICA DEL TEMPO CON IL SUO PRIMO MODELLO DA POLSO CON GRANDE SUONERIA NELLA SUA FORMA PIÙ PURA

Di Patrizio Poggiarelli L’INDICAZIONE ACUSTICA del tempo è intrinsecamente legata alle origini dell’orologeria meccanica. Nel XIV secolo, la maggior parte degli orologi monumentali di cui cominciano a dotarsi le città europee non possiede né quadrante né lancette e indica il tempo che scorre mediante una suoneria al passaggio. Nel XV secolo, i primi orologi portatili a molle sono anch’essi dotati, nella maggior parte dei casi, di meccanismi di suonerie al passaggio. Lo stesso accade nel XVI secolo per i primi orologi da tasca. Durante l’ultimo quarto del XVII secolo compaiono i primi meccanismi di suonerie “a richiesta”, prima con la ripetizione dei quarti, poi, all’inizio del secolo successivo, con la ripetizione minuti. A Ginevra, sempre nel XVIII secolo, il regolamento della corporazione degli orologiai recita che qualsiasi artigiano che volesse diventare “maestro orologiaio” deve distinguersi fabbricando un movimento con ripetizione dei quarti; un’ulteriore dimostrazione che le funzioni acustiche sono già considerate a quei tempi come il supremo esempio di savoir-faire in orologeria. IL FEUDO DI PATEK PHILIPPE

Patek Philippe, erede della grande tradizione orologiera ginevrina, integra immediatamente nella sua produzione gli orologi con suoneria. Nel mese di settembre 1839, a soli quattro mesi dalla sua fondazione, la manifattura inserisce nei suoi registri di fabbricazione il primo esemplare di questo tipo, un orologio da tasca con ripetizione. Nel 1850, gli stessi archivi di fabbricazione menzionano i primi orologi da tasca dotati di grandi suonerie. Nel 1851, il catalogo della Grande Esposizione di Londra (la

prima esposizione universale) cita con il dovuto rilievo, tra le specialità di Patek Philippe, gli “orologi da tasca con ripetizione e gli orologi con suoneria che si innescano automaticamente”. I primi riferimenti agli orologi da tasca con ripetizione minuti risalgono al 1860, seguiti, nel XIX secolo, da diverse creazioni dotate di ripetizione dei quarti, ripetizione dei cinque minuti e ripetizione minuti. Occorre attendere l’inizio del XX secolo per vedere Patek Philippe imporsi definitivamente per la sua impareggiabile padronanza delle funzioni acustiche, soprattutto nella loro forma più sofisticata e più ricercata: la grande suoneria. Il celebre orologio da tasca “Duc de Regla”, venduto nel 1910 all’omonimo aristocratico messicano e oggi esposto al Patek Philippe Museum di Ginevra, ospita una grande suoneria e una ripetizione minuti con carillon Westminster su cinque timbri che riproduce in modo quasi identico la melodia dell’orologio del Big Ben. Tra i tredici segnatempo complicati realizzati per il costruttore automobilistico americano James Ward Packard tra il 1900 e il 1927, figurano il primo orologio da tasca “ripetizione minuti” Patek Philippe con indicazioni astronomiche (consegnato nel 1927), e orologi con grande suoneria, uno dei quali dotato di carillon Westminster su quattro timbri (1920). Il celebre orologio da tasca “Graves”, consegnato al banchiere e collezionista newyorchese Henry Graves Junior nel 1933, e rimasto fino al 1989 l’orologio portatile più complicato del mondo, conta tra le sue 24 complicazioni una grande/piccola suoneria e una ripetizione minuti con carillon Westminster, completata da una sveglia, il tutto su cinque timbri.

Patek Philippe Grande Sonnerie Ref. 6301P costa 1.150.000 CHF

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Un piccolo cursore a ore 6 permette di selezionare la modalità “piccola suoneria”, “grande suoneria” o “silenzio”, mentre la ripetizione minuti può essere attivata a richiesta attraverso un pulsante integrato nella corona.

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Contemporaneamente, Patek Philippe s’impegna a miniaturizzare i meccanismi di ripetizione per renderli adatti al formato degli orologi da polso, e presenta nel 1916 il suo primo orologio da polso con suoneria, una ripetizione dei cinque minuti con cassa in platino e bracciale a catena integrato, destinato ai polsi femminili. Il rinnovamento delle ripetizioni minuti Nel 1989, Patek Philippe festeggia il suo 150° anniversario presentando il Calibro 89, che rimarrà per oltre un quarto di secolo l’orologio portatile più complicato del mondo. Tra le sue 33 complicazioni, questo capolavoro d’arte orologiera integra una grande/piccola suoneria e una ripetizione minuti su quattro timbri. Celebrando, così, il grande ritorno dell’orologeria meccanica, la manifattura si dedica nuovamente agli orologi da polso con ripetizione presentando il suo primo movimento con ripetizione minuti integralmente progettato e fabbricato internamente, il calibro R 27, e due esemplari commemorativi che lo ospitano. In questa occasione, Philippe Stern, l’allora presidente della manifattura, è tra i primi a rompere con la tradizione delle ancore dette “folli” o “a rinculo” e a ottimizzare il sistema di volano inerziale inventato alla fine del XIX secolo. Il volano inerziale Patek Philippe, inoltre, fa la sua comparsa nel Calibro 89 e nelle ripetizioni minuti commemorative del 1989 con calibro R 27: le Ref. 3979 e 3974. Sull’onda di questi esemplari, le ripetizioni minuti ritrovano, nel corso degli anni, una posizione privilegiata nell’offerta di Patek Philippe, fino a costituire oggi la più ampia collezione di orologi da polso con ripetizione minuti in produzione corrente, con circa dodici segnatempo che propongono questa funzione, da sola o abbinata ad altre complicazioni (tourbillon, calendario perpetuo,

cronografo, Ora Universale, ecc.). Dall’anno 1989, una data chiave che segna la rinascita degli orologi con suoneria di Patek Philippe, le prodezze acustiche diventano protagoniste anche di due esemplari straordinari. L’orologio da tasca double face Star Caliber 2000 (21 complicazioni), realizzato per celebrare il nuovo millennio, contiene, per la prima volta all’interno di una cassa di queste dimensioni, un carillon Westminster su cinque timbri che riproduce fedelmente e integralmente la melodia originale dell’orologio del Parlamento di Londra, trasformando il suono della ripetizione minuti e della grande suoneria in un esempio di perfezione acustica. L’orologio da polso Sky Moon Tourbillon del 2001, il primo orologio da polso double face Patek Philippe, propone tra le sue 12 complicazioni, accanto alla mappa celeste mobile, una ripetizione minuti con timbri “cattedrale”. IL “GRAN MAESTRO DELLA SUONERIA”

Nel 2014, in occasione del suo 175° anniversario, Patek Philippe scrive un nuovo importante capitolo in materia di complicazioni acustiche e presenta l’orologio da polso double face Grandmaster Chime Ref. 5175. Realizzato in sette esemplari, questo “gran maestro della suoneria” riunisce un totale di venti complicazioni, tra cui una grande e una piccola suoneria, una ripetizione minuti, un calendario perpetuo istantaneo con indicazione dell’anno a quattro cifre e due prime mondiali brevettate: la suoneria dell’ora preselezionata e la ripetizione della data che suona il giorno del calendario a volontà. Questo primo orologio da polso Patek Philippe con grande suoneria – l’orologio da polso più complicato della manifattura – entra a far parte della collezione corrente nel


IDEE

2016 con la Ref. 6300. L’anniversario del 2014 rappresenta l’occasione per Patek Philippe di dimostrare nuovamente la propria maestria nei sistemi di suoneria con un altro orologio commemorativo realizzato in serie limitata, il Patek Philippe Chiming Jump Hour Ref. 5275, con ora, minuti e secondi saltanti abbinati a una suoneria che segna le ore piene. IL NUOVO GRANDE SONNERIE REF. 6301P

Sulla scia di queste realizzazioni, Patek Philippe introduce nella sua collezione corrente un nuovo fiore all’occhiello di miniaturizzazione e perfezione acustica: il Grande Sonnerie Ref. 6301P. Questa Grande Complicazione è il primissimo orologio da polso della manifattura a proporre la grande suoneria, la più affascinante tra le complicazioni orologiere, nella sua forma più pura, completata da una piccola suoneria e da una ripetizione minuti. Un evento attesissimo dagli intenditori. Per dare la propria interpretazione della grande suoneria, Patek Philippe ha sviluppato un nuovo movimento a carica manuale derivato dal calibro 300 inserito nel Grandmaster Chime. Questo calibro GS 36-750 PS IRM, la somma di 703 componenti, si distingue per le sue dimensioni decisamente compatte considerando la complessità della meccanica (37 mm di diametro, 7,5 mm di spessore). Una delle principali difficoltà che i costruttori di grandi suonerie devono tradizionalmente affrontare risiede nel controllo dell’energia. Contrariamente alla ripetizione minuti, dove in genere il meccanismo della suoneria è riarmato ogni volta che l’utente attiva il cursore o il pulsante di innesco, la grande suoneria deve disporre in ogni momento di una quantità di energia sufficiente per battere al passaggio il

numero di colpi desiderati, producendo sempre un suono di pari qualità. Per raccogliere questa sfida, Patek Philippe ha dotato il calibro GS 36-750 PS IRM di due coppie di bariletti montate in serie, una per il movimento e l’altra per la suoneria. Questa configurazione permette di garantire una riserva di carica di 72 ore per il movimento e di 24 ore per la suoneria. I tre giorni di riserva di carica del movimento corrispondono a quanto ci si aspetta da un moderno orologio, fatto per essere indossato tutti i giorni, in linea con la filosofia creativa di Patek Philippe che pone l’utente al centro. La riserva di carica di 24 ore per la suoneria permette all’orologio di battere le ore e i quarti al passaggio per un’intera giornata, garantendo un’intensità ottimale del suono. L’utente carica le due coppie di bariletti attraverso la corona nella posizione contro la cassa, ruotandola in senso orario per il movimento e in senso antiorario per la suoneria. Le quattro molle sono dotate di bride scorrevoli per evitare qualsiasi sovratensione. Una suoneria su tre timbri Per il meccanismo di suoneria, Patek Philippe ha scelto tre timbri classici: grave, medio, acuto. Questa opzione tecnica richiede maggiore energia rispetto ai sistemi con due timbri. Inoltre, complica ulteriormente il lavoro dell’orologiaio durante la minuziosa fase di accordo di ogni timbro, fino a ottenere il celebre “suono Patek Philippe” ricercato dagli intenditori. La difficoltà risiede nel fatto che, nonostante lo spazio estremamente ridotto, i tre timbri fissati al movimento non devono toccarsi tra loro né devono entrare in contatto con altri elementi del movimento o della cassa. Il meccanismo comporta tre martelli di pari dimensioni e massa che garantiscono un battito uniforme per le tre note. Per la cassa, Patek Philippe ha scelto il platino e non

Il quadrante in smalto “Grand Feu” nero con finitura “glacée” è impreziosito da cifre stile Breguet applicate e da lancette “a foglia” in oro bianco con rivestimento luminescente

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L’elegante cassa in platino è dotata di lunetta concava e di fianchi scavati e satinati e, come per tutte le casse in platino di Patek Philippe, è impreziosita da un piccolo diamante incastonato, questa volta a ore 12 (e non a ore 6 come di consueto), per via della presenza del piccolo cursore di selezione della modalità di suoneria.

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l’oro, ben consapevole che con questo materiale è più difficile ottenere un suono perfetto, e questa ulteriore sfida ha richiesto la mobilitazione di tutto il savoir-faire che la manifattura trasmette di generazione in generazione. Le ore sono segnate da colpi gravi e i quarti da una successione di tre colpi acuto-grave-medio, una melodia che risuona una volta al primo quarto (15 minuti), due volte al secondo quarto (30 minuti) e tre volte al terzo quarto (45 minuti). A ogni quarto, la grande suoneria segna automaticamente il numero di ore seguito dal numero di quarti. In questo modo, risuona un totale di ben 1.056 colpi ogni 24 ore, grazie all’energia immagazzinata nel doppio bariletto della suoneria. L’utente può anche optare per la modalità “piccola suoneria”. In questo caso, l’orologio suona le ore alle ore piene, poi unicamente i quarti in corrispondenza di ogni quarto, senza ripetere le ore. La modalità “silenzio”; invece, permette di disattivare la suoneria al passaggio a volontà. Per scegliere la modalità di suoneria, l’utente deve muovere il piccolo cursore che si trova nella carrure a ore 6, secondo le posizioni seguenti: “piccola suoneria” a sinistra, “grande suoneria” al posto d’onore al centro e “silenzio” a destra. Questa particolarità è oggetto di un brevetto già sviluppato per il Grandmaster Chime di Patek Philippe, con un meccanismo che permette di selezionare e attivare il tipo di suoneria al passaggio attraverso un unico piccolo cursore e non due cursori separati come avveniva in precedenza. Un altro brevetto, sviluppato anch’esso per il Grandmaster Chime, permette di isolare completamente la grande suoneria in modalità “silenzio” e di eliminare, in questo modo, qualsiasi consumo di energia. La

ripetizione minuti è attivabile a volontà premendo il pulsante alloggiato nella corona a ore 3. Così facendo, la suoneria indica le ore con colpi gravi, i quarti con tre colpi (come la grande suoneria) e i minuti trascorsi dall’ultimo quarto con colpi acuti. La ripetizione minuti può essere attivata in qualsiasi momento, anche quando la suoneria è in modalità “silenzio”. I SECONDI SALTANTI BREVETTATI

Rielaborando il calibro 300 del Grandmaster Chime di Patek Philippe, gli ingegneri e gli orologiai della manifattura hanno scelto, inoltre, di dotarlo di un tipo di piccoli secondi inedito per una grande suoneria. Ispirandosi a uno dei quattro brevetti sviluppati per l’esemplare commemorativo del 175° anniversario Chiming Jump Hour Ref. 5275, hanno inserito nella nuova Ref. 6301P un meccanismo innovativo dei secondi saltanti. Questo sistema non funziona mediante sautoir di posizionamento (come accade di consueto), bensì grazie a un ruotismo e a una bascula di innesco che libera il ruotismo istantaneamente a ogni secondo, il che permette di ottenere un consumo di energia perfettamente regolabile e controllato. Il nuovo orologio con suoneria Ref. 6301P si distingue anche sul piano visivo per la lancetta dei piccoli secondi a ore 6 che salta in un batter d’occhio da un secondo al successivo sulla scala a chemin de fer, nello stile degli antichi “regolatori” con i quali si controllava la precisione nei laboratori di orologeria. La nuova Ref. 6301P beneficia, inoltre, di tutta l’esperienza e di tutto il savoir-faire acquisiti da Patek Philippe nella progettazione e nella fabbricazione degli esemplari del suo 175° anniversario.


IDEE

UN MOVIMENTO DALL’ARCHITETTURA RAFFINATA Il nuovo calibro GS 36-750 PS IRM, visibile attraverso il fondo cassa in cristallo di zaffiro trasparente, soddisfa tutti i rigorosissimi criteri del Sigillo Patek Philippe, sia a livello delle prestazioni tecniche (precisione, affidabilità), sia a livello delle finiture e dell’architettura raffinata dei vari componenti. Del resto, Patek Philippe non propone mai la complessità a scapito dell’estetica, e l’eleganza di un movimento deve essere approvata dal presidente della manifattura Thierry Stern, alla stregua del design della cassa o del quadrante. Le linee dei vari ponti sono state oggetto di grande attenzione, in particolare il grande ponte del bariletto (una caratteristica delle grandi suonerie) e il coq (il ponte del bilanciere) passante, una rarità per Patek Philippe, che garantisce una buona base e un bell’equilibrio visivo. Gli intenditori ammireranno i numerosi dettagli estetici tra cui diversi angoli rientrati, particolarmente difficili da lucidare. Per la prima volta, è visibile il regolatore a volano inerziale che permette di regolare il tempo della suoneria, con finiture addolcite e lucide. Il grande spettacolo del movimento è completato dal bilanciere Gyromax, dalla spirale Spiromax in Silinvar e dai tre timbri avvolti attorno al movimento, con i loro rispettivi martelli. Il fondo cassa in cristallo di zaffiro posto vicinissimo al calibro contribuisce a dare l’impressione di tuffarsi nel cuore della meccanica. Inoltre, unitamente all’orologio, è consegnato un fondo cassa pieno intercambiabile in platino.

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AUDEMARS PIGUET

CODE 11.59 L’ICONA DEL FUTURO UNA CASSA OTTAGONALE ALL’INTERNO DI UNA CASSA ROTONDA: GIÀ QUESTO BASTA A COMPRENDERE LA CARICA INNOVATIVA DELL’ULTIMA COLLEZIONE NATA A LE BRASSUS

Di Paolo Gobbi

NEL GENNAIO DEL 2019 a Ginevra, Audemars Piguet presentava una collezione completamente nuova, lontana da tutto quanto aveva fino a quel punto messo in produzione. Una vera e propria scommessa, che aveva spiazzato sia gli appassionati che i commentatori: «La collezione è frutto di nuovi strumenti, tecniche e competenze - François-Henry Bennahmias, ceo Audemars Piguet - per raggiungere livelli di eccezionale complessità tecnica ed estetica. È il risultato di sfide umane e racconta le storie appassionate degli orologiai specializzati che hanno osato seguire le proprie convinzioni, unendo le loro forze e perseverando, sempre nel tentativo di superare i propri limiti.» Per questa nuova collezione, la Casa svizzera ha creato una cassa dal design riconoscibile, caratterizzata da un gioco di forze e tensioni contrapposte: inserendo una cassa mediana di forma ottagonale all’interno di una cassa rotonda, si è ottenuta una scelta di rottura ma sempre in linea con la sua lunga storia di sperimentazione delle forme e del design. La parte superiore delle

anse scavate è saldata alla lunetta ultra-sottile, mentre quella inferiore poggia delicatamente contro il fondello in perfetto allineamento. Con un’ergonomia ottimale garantita dalla linea curva, la cassa è progettata per adeguarsi perfettamente alle diverse dimensioni del polso, offrendo un elevato comfort nonostante il diametro di 41 mm. L’EVOLUZIONE Oggi il Code 11.59 continua la sua evoluzione con cinque nuovi modelli automatici con data, ore, minuti e secondi e cinque nuove referenze di cronografi automatici. Caratterizzate dai quadranti laccati e da una palette di tonalità laccate fumé soleil: blu, bordeaux, viola, grigio chiaro e scuro. L’alta qualità artigianale dei quadranti è impreziosita dalla lunetta extra-sottile e dal vetro zaffiro antiriflesso con doppia curvatura, che mette in evidenza la firma in oro Audemars Piguet applicata e lucidata, realizzata secondo la tecnica dell’accrescimento galvanico. Il design non convenzionale della cassa ha portato le tradizionali tecniche di finitura a mano

Il movimento calibro 4401, cronografo automatico con ruota a colonne e funzione flyback

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IDEE

Le sfumature rosse e le ricche nuance del quadrante laccato bordeaux fumé con finitura soleil illuminano la cassa in oro bianco 18 carati. Il quadrante è valorizzato da lancette e indici applicati in oro bianco 18 carati. Code 11.59 Automatico, cassa 41 mm. Costa 29.400 euro

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Unendo la calma stabilità del blu e l’intensità del rosso, questo modello in gradazioni di viola suggerisce un’eleganza che non scende a compromessi. Il contrasto tra il quadrante laccato viola fumé e la cassa in oro rosa 18 carati è ulteriormente sottolineato dalle lancette e dagli indici applicati in oro rosa. Code 11.59 Cronografo Automatico, cassa 41 mm oro rosa, movimento di manifattura. Costa 46.400 euro

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STUDIATA PER UN PUBBLICO SIA FEMMINILE CHE MASCHILE, LA COLLEZIONE PRESENTA UN’ERGONOMIA OTTIMALE CON LA SUA LINEA CURVA CHE SI ADATTA ALLE DIVERSE DIMENSIONI DEL POLSO NONOSTANTE IL DIAMETRO DI 41 MM

Code 11.59 Cronografo Automatico, cassa 41 mm in oro rosa e bianco, movimento di manifattura. In vendita esclusivamente nelle boutique Audemars Piguet Costa 46.400 euro

verso nuove vette, con più dettagli che si colgono chiaramente già al primo sguardo. L’alternanza perfettamente in linea tra le superfici satinate e spazzolate e quelle lucidate che decorano la cassa, poteva, infatti, essere ottenuta soltanto a mano. Studiata per un pubblico sia femminile che maschile, la collezione presenta anche un’ergonomia ottimale con la sua linea curva che si adatta alle diverse dimensioni del polso nonostante il diametro di 41 mm.

Raggi, Direttore Sviluppo Audemars Piguet - tra cui il design del meccanismo di azzeramento per garantire il perfetto allineamento sullo zero dei tre contatori del cronografo al reset. Sincronizzare lo sviluppo di questi calibri con il lancio della collezione Code 11.59 ha costituito un’ulteriore difficoltà, che siamo riusciti a gestire grazie al duro e incessante lavoro di numerose persone provenienti da orizzonti differenti. È stata un’avventura umana indimenticabile.»

LA MECCANICA Questi nuovi modelli sono dotati dei movimenti automatici e cronografici di ultima generazione lanciati lo scorso anno dalla Manifattura. I primi montano il calibro 4302, un movimento automatico con indicazione dei secondi e della data istantanea. I cronografi sono alimentati dal calibro 4401, un calibro integrato con ruota a colonne e funzione flyback che permette di riavviare il cronografo senza prima fermarlo e resettarlo. Entrambi i movimenti sono dotati di un meccanismo brevettato di regolazione che offre stabilità e precisione quando si mettono a punto le funzioni dell’orologio. «Lo sviluppo di questi calibri ci ha messo di fronte a numerose sfide tecniche - ha detto Lucas

DUE TONI La Casa svizzera ha anche arricchito i suoi nuovi modelli con l’estetica di una cassa in due tonalità che contrappone oro rosa e oro bianco. Questa combinazione esclusiva mette in evidenza le varie geometrie della cassa, rifinite a mano alla perfezione, nonché il connubio tra artigianalità ancestrale e design innovativo della collezione. Ogni orologio viene venduto con un cinturino cucito a mano in alligatore con motivo “grandi scaglie quadrate”, coordinato alla tonalità del quadrante. Senza scendere a compromessi, Audemars Piguet unisce ancora una volta tradizione e stile di vita contemporaneo in questa collezione ricca di colore che testimonia la creatività

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ROLEX

ACCIAIO E COLORE LE NOVITÀ 2020 DELLA CASA CORONATA RIVISITANO GRANDI CLASSICI E EVIDENZIANO LA SOSTANZA DELLA QUALITÀ E DELLA PRECISIONE Di Paolo Gobbi

QUANDO VENNE annunciata la soppressione del salone dell’orologeria di Basilea, che si sarebbe dovuto svolgere la scorsa primavera, la più grande preoccupazione del popolo delle lancette riguardò quasi esclusivamente il se e il quando sarebbero arrivate le novità che solitamente venivano presentate durante quelle giornate. A mancare all’appello erano soprattutto i nuovi Rolex, attesi da una fitta schiera di appassionati e collezionisti, la cui curiosità si è notevolmente amplificata a causa delle performance commercialmente significative stabilite negli ultimi anni dagli iconici Daytona e GMT-Master. La Casa ginevrina però, con la sua consueta impeccabile correttezza manageriale, aveva deciso sin dallo scorso aprile di non presentare nessun nuovo modello fintanto che la situazione commerciale non fosse arrivata ad un livello di

stabilizzazione tale da non favorire nessun mercato internazionale a discapito di un altro. L’attesa si è quindi protratta fin dopo l’estate, come di consueto nel riserbo più assoluto e senza avere nessuna avvisaglia di che cosa sarebbe arrivato come novità nei negozi, anche se l’improvvisa totale mancanza di approvvigionamento estivo di alcune collezioni, e più specificamente del Submariner, era apparsa agli osservatori più attenti decisamente sospetta. A posteriori sappiamo, infatti, che la sua produzione era stata sospesa per dare spazio alla nuova versione che, puntualmente ma comunque in ritardo rispetto ai programmi industriali, è stata presentata all’inizio di settembre, per arrivare in quasi contemporanea anche nei concessionari. Attenzione, non si tratta semplicemente di un cosiddetto face-lifting: il Submariner in edizione

Rolex Oyster Perpetual Sky-Dweller, cassa 42 mm oro giallo, bracciale in elastometro Oysterflex. Costa 38.350 euro

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IDEE

Rolex Oyster Perpetual, cassa in acciaio, movimento automatico. Costa 5.600 euro nella versione 41 mm, 5.300 euro 36 mm, 4.900 euro 31 mm.

2020 pur rimanendo a prima vista identico al suo predecessore (ma lo stesso accade sin dalla prima versione del 1953), nella realtà se ne distacca per ingegnerizzazione, design e meccanica. La cassa da 41 mm di diametro, totalmente ridisegnata, si presenta oggi più affilata e più comoda da indossare, con le anse maggiormente rastremate, quindi più leggere alla vista e il bracciale più largo di un millimetro. All’interno troviamo dei movimenti di ultima generazione, il nuovo calibro 3230 per la versione solotempo e il calibro 3235 - introdotto per la prima volta nella gamma Submariner - che oltre all’ora indica anche la data: entrambi per la precisione vantano la certificazione di Cronometro Superlativo che garantisce prestazioni al polso fuori dal comune. Ma le novità 2020 della Casa coronata non si fermano certo al suo celebre modello subacqueo. A lasciare un segno orologiero su questo 2020 arriva la nuova edizione dell’Oyster Perpetual. Collezione iconica per Rolex, in produzione sostanzialmente dal 1926, rappresenta per molti il primo passo nel mondo dell’Alta Orologeria. Costruzione essenziale, cassa esclusivamente in acciaio, estrema leggibilità delle indicazioni orarie grazie alla visualizzazione

Chromalight: le lancette e gli indici sono rivestiti o riempiti con una sostanza luminescente a emissione di lunga durata che emette una luce blu quando l’orologio si trova in un ambiente buio. Al suo interno, nelle versioni 36 e 41, troviamo il nuovo calibro automatico 3230, dotato di un sofisticato sistema di scappamento Chronergy, brevettato e realizzato con una lega di nichel-fosforo insensibile ai campi magnetici. Ad attrarre però i collezionisti saranno, oltre al prezzo allettante di poco superiore ai cinquemila euro per la versione da 41 mm, i nuovi quadranti disponibili in 5 diverse tonalità; rosa candy, turchese chiaro, giallo, rosso corallo e verde (oltre ai tradizionali all’argenté soleil e nero vivo), retaggio dei celebri “Stella dial” montati da Rolex su alcuni Day-Date degli anni ’70 e oggi introvabili pezzi da collezione. Da mettere in evidenza, infine, un ultimo modello arrivato quasi in sordina, lo Sky-Dweller in oro giallo ora dotato di un bracciale Oysterflex. Si tratta di un cambiamento non di poco conto, che rende questo modello dalla meccanica “complicata” (termine specialistico che indica i movimenti dotati di più funzioni aggiuntive oltre quella dell’ora), finalmente più leggero e facile da indossare al polso.

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ROLEX

L’OPINIONE SERENA GOBBI CONTINUANDO SULLA STRADA iniziata nello scorso numero di Handmade, anche in questo caso non staremo ora a dilungarci sulle particolarità tecniche degli ultimi modelli Rolex 2020, che ognuno di voi avrà già studiato immediatamente cinque minuti dopo la presentazione ufficiale avvenuta nello scorso settembre. Ne approfittiamo, invece, per capire quali sono le impressioni reali di chi questi orologi li ha ricevuti, messi in vendita, traendone i primi feedback. Ne parliamo con Serena Gobbi, titolare dell’orologeria Gobbi 1842 di Corso Vittorio Emanuele II a Milano.

Sono arrivate le novità Rolex? «Sì, sono arrivate il giorno dopo la presentazione e devo ammettere che è stato piacevole riceverle con tanta celerità. Per prima cosa perché abbiamo avuto la possibilità di mostrarle immediatamente ad alcuni clienti, in secondo luogo perché le abbiamo anche potute esporre in vetrina. La curiosità che hanno suscitato è stata talmente tanta che le persone si affollavano davanti al negozio, e non è il massimo: viviamo ancora in un momento di emergenza in cui il distanziamento sociale è fondamentale e noi siamo i primi a volere che venga rispettato, dentro e fuori il nostro salotto. In caso contrario la gestione degli spazi diventa ancor più complicata.»

L’arrivo delle novità non è sempre così celere? «La consuetudine prevedeva che le novità venissero prima presentate a Baselworld e poi inviate ai concessionari nei mesi successivi. I primi orologi arrivavano tra giugno e luglio, poi tra settembre e ottobre e, infine, prima di Natale. Quest’anno invece è stato un anno particolare, anche da questo punto di vista.» Qual è stato il primo feedback che hai ricevuto? «Ho avuto clienti che a mezzanotte e un minuto del giorno in cui sono state presentate le novità hanno iniziato a scrivermi messaggi su whatsapp, telefonate e tutto quanto potesse metterli in contatto con noi. Il mio telefono ha smesso di squillare verso le quattro del mattino, questo fa capire tutto. Perciò posso dire che la nostra clientela si è dimostrata assolutamente interessata. Il modello che ha ricevuto più attenzione e che è piaciuto maggiormente è stato indubbiamente il Submariner.» Come accade in queste occasioni, la presentazione di nuovi modelli ha aperto una grande diatriba relativa ai colori, ai dettagli, alle complicazioni. Dal tuo punto di vista, qual è stato il modello più apprezzato? «Il Submariner verde è quello che ha riscosso più successo in assoluto. Ammetto che, annche

Rolex Oyster Perpetual Submariner, cassa acciaio Oystersteel 41 mm. Costa 7.750 euro

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IDEE

secondo me, questa versione in particolare, con la ghiera in ceramica e il quadrante nero è davvero molto bella.» Come si gestisce una novità Rolex, visto che di solito non ne ricevete molti pezzi? «È una bella domanda. Ci sto ancora riflettendo perché per noi rappresenta un problema enorme. Abbiamo ricevuto fin da subito tantissime richieste e i pezzi sono contingentati. Se riuscirò a soddisfare un decimo delle richieste sarà già un ottimo risultato. Forse nemmeno ci andremo vicini... Al momento ho deciso di tenerli in boutique e dare la possibilità di vederli dal vivo e provarli. Questa mia scelta è il risultato anche di un’altra riflessione: purtroppo spesso capita che un cliente veda l’orologio in foto o sul sito, venga da noi per acquistarlo e una volta messo al polso si renda conto che è troppo grande o, più semplicemente, che non è l’orologio adatto per lui. Perciò poter provare un orologio è davvero molto importante. Cercherò di capire a chi assegnarli in un secondo momento.» Si corre sempre il rischio di accontentare una persona e scontentarne altre dieci. «Necessariamente, non abbiamo alternative. E sarà sempre così. Non è proprio possibile soddisfare tutti, anche se Rolex aumentasse la produzione. È ineluttabile. Solitamente parto dal bacino dei miei clienti perché sono persone che conosco da più tempo. Si tratta di capire innanzitutto se tra di loro ci sia qualcuno veramente interessato e quali

motivazioni lo spingono all’acquisto. È davvero complicato. A volte credo che dovrei chiudere gli occhi e giocare al sorteggio, sarebbe più semplice. Servirebbe una laurea in psicologia…(ride). È chiaro che chiunque acquisti un orologio è libero poi di farne ciò che meglio crede, non è compito mio giudicare ma, onestamente, mi dispiacerebbe vendere un orologio di questo tipo ad una persona che non lo vuole tenere. Partiamo dal presupposto che sto già scontentando qualcuno che invece quell’orologio lo desidera davvero per sé, quindi favorire una persona che in realtà risulta non essere realmente interessata a discapito di altri che in realtà lo sono è davvero un peccato.» Come si comporta con i nuovi clienti? Si da anche a loro la possibilità di acquistarli? «Certo, mi comporto come con tutti gli altri. Il principio è lo stesso. È assolutamente sbagliato credere che io venda solo a clienti già acquisiti o persone che frequentano la nostra boutique da anni. Io prendo in considerazione anche quei clienti che entrano per la prima volta in Boutique e, se capisco che sono veramente appassionati a quell’oggetto e non se ne interessano solo a scopo speculativo, gli vendo ciò che chiedono. Considera che venderlo a una persona o venderlo ad un’altra per noi il guadagno è il medesimo. Se però entra in negozio un cliente e scopro che quell’orologio rappresenta il sogno della sua vita lo apprezzo di più e mi fa estremamente piacere poterglielo vendere. La gestione è comunque complessa come puoi ben immaginare.»

Rolex Oyster Perpetual Submariner, da sinistra: oro bianco 38.000 euro, acciaio Oystersteel e oro giallo 13.700 euro, acciaio Oystersteel 9.150 euro

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Molti considerano che acquistare un Rolex sia un investimento, qual è il suo pensiero a riguardo? «Secondo me acquistare un Rolex è assolutamente un investimento e, come tutti gli investimenti, bisogna valutare se interessa più il breve termine o il lungo termine. Se acquisti un orologio con un fine meramente speculativo a breve termine non è assolutamente da prendere in considerazione. Abbiamo visto Rolex che si sono rivalutati moltissimo negli anni. Molto spesso i clienti mi domandano “secondo te quanto potrebbe valere questo modello fra dieci anni?” ma sono risposte che nessuno di noi può dare. Quest’anno abbiamo vissuto cambiamenti epocali che non ci saremmo mai immaginati, così, da un giorno all’altro, senza nessuna previsione. Come potremmo sapere con certezza cosa accadrà al mercato? Sicuramente possiamo affermare che storicamente i modelli Rolex si sono sempre rivalutati, poi cosa sarà del futuro nessuno lo sa.» Il nostro mondo è cambiato da un momento all’altro. Il mondo Rolex è anch’esso cambiato o è rimasto uguale? «È cambiato nel senso che ci sono molte più richieste. Chiaramente ci sono stati molti problemi legati al lockdown e all’emergenza che stiamo vivendo. L’abbiamo subita noi e ha toccato anche le manifatture, con il conseguente blocco delle produzioni. Chiunque avesse fatto dei programmi li ha dovuti immancabilmente rivedere. Anche il ritardo nella presentazione delle novità ha comportato delle ulteriori problematiche. La domanda è comunque sempre stata di molto superiore all’offerta, già da prima dello scoppio della pandemia. Non ci aspettavamo che le difficoltà di approvvigionamento si estendessero anche a modelli più recenti come il Submariner che in questo momento è molto ricercato. Da una parte è molto bello lavorare in questo mercato in cui la domanda supera l’offerta ma d’altra parte è altrettanto complicato. Il rovescio della medaglia è che ci sembra di dover dire di no a tutti, passando per i quelli che non vogliono vendere gli orologi quando in realtà io gli orologi non li ho veramente.

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Quindi non cerco di favorire alcune persone a discapito di altre, ma a un certo punto devo scegliere.» Se parliamo dei modelli Rolex più importanti come Daytona platino, Daytona baguette, Rainbow, GMT, applicate la stessa procedura? «Sì, in fin dei conti vale lo stesso discorso perché in realtà sono molto richiesti anche modelli preziosi come questi che tu hai appena citato. Anzi, sono ancora più contingentati. Neanche io, sebbene lo desideri da anni, posso acquistare per me un Daytona Rainbow Rosa.» Cosa pensi dei nuovi Rolex Oyster Perpetual? È stata una scelta forte per un orologio dal prezzo più accessibile... «Trovo bello che abbiano introdotto nuove misure e ho apprezzato molto il lavoro che hanno fatto sui quadranti che trovo sgargianti e perciò divertenti. Sono convinta che il colore verde funzionerà tantissimo e i grandi classici come il blu, il nero e l’argento continueranno a riscuotere grandi consensi. L’interesse verso un colore rispetto ad un altro è ciclico, un po’ come accade nei confronti dell’oro. Ci sono periodo in cui la richiesta vira maggiormente verso l’oro rosa altri periodi in cui è l’oro bianco a farne da padrone. Non è inusuale. I colori più accesi come il giallo e il corallo, probabilmente, se fossero stati presentati a marzo, prima dell’estate, sarebbe stato meglio.» Rolex ha definito il prezzo di questo orologio “adatto anche ai giovani”, cosa ne pensi? «L’Oyster Perpetual solitamente viene vissuto come il primo orologio. Spesso è proprio il primo modello Rolex che una persona acquista nella propria vita quindi reputo corretto aver mantenuto un prezzo più accessibile, più “affordable” come si dice oltremanica. Abbiamo già ricevuto molte richieste ma sono modelli che vanno visti dal vivo perché in fotografia i colori perdono parte della loro vitalità.»


IDEE

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CHANEL

DOVE NASCE L’ICONA J12 A LA CHAUX-DE-FONDS PRENDE VITA LA CERAMICA PIÙ FAMOSA DELL’ALTA OROLOGERIA

Di Claudia Gobbi

MILLE METRI DI ALTEZZA, neve e freddo per gran parte dell’anno, qui nel cuore della svizzera orologiera, a La Chaux-de-Fonds nasce il J12, l’orologio Chanel divenuto una delle indiscusse icone dell’orologeria contemporanea. Boschi oscuri, pascoli e cime montuose, questo lo scenario che caratterizza la valle dove sorgono tutte le manifatture orologiere svizzere sin dal XVIII secolo. Il tempo (quello misurato con precisione) ha modellato il paesaggio: ieri alpeggi interrotti solamente da ruscelli e fattorie tradizionali, oggi gli atelier dei più grandi marchi svizzeri. In pratica qui gli uomini imparano a domare il tempo e ad esprimerlo attraverso i segnatempo più apprezzati e ricercati al mondo.

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La storia della manifattura Chanel nasce da lontano, nel 1947, quando Georges e Francis Châtelain creano la propria impresa a La Chaux-de-Fonds. La loro azienda conosce immediatamente una notevole crescita e diventa presto una manifattura rinomata, tanto da riuscire a raggiungere presto la completa padronanza dell’intera lavorazione degli orologi di lusso che le sono affidati in produzione. La Châtelain riesce quindi nel difficile lavoro di unire al savoir-faire tradizionale delle attrezzature tecnologiche di altissimo livello. L’insieme di questi servizi sono raccolti oggi in un atelier di ben 16mila metri quadri, che consentono di soddisfare le esigenze di una


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clientela sempre più esigente. Chanel da parte sua entra a far parte dell’orologeria di prestigio nel 1987 e si rivolge proprio a Châtelain per la sua competenza nella produzione di casse e bracciali, ma anche per la sua esperienza nell’incastonatura delle pietre preziose. Passeranno pochi anni e nel 1993 Chanel decide di acquisire la G&F Châtelain SA, che anche dopo l’acquisizione conserva la propria autonomia, tutte le sue attività e la sua ragione sociale. È qui che nascono tutte le collezioni della celebre maison, compreso il J12. Nel 2011, Chanel ha deciso, investendo in uomini e macchinari, di sviluppare i propri movimenti e ha creato un reparto dedicato alta orologeria all’interno di G&F Châtelain. A questa decisione è seguita nel 2019 quella di investire sulla nuova Manifattura Svizzera Kenissi che si occupa, ad

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esempio, di realizzare il calibro 12.1, montato sul J12 recentemente reingegnerizzato. Nel frattempo nel 2016 era già arrivato il primo movimento di manifattura, il Calibro 1, seguito l’anno successivo dal Calibro 2 e nel 2018 il Calibro 3 montato sul Boy-Friend Skeleton. LA SFIDA DELLA CERAMICA

Nel cuore dalla manifattura G&F Châtelain di La Chaux-de-Fonds (dove lavorano circa 300 persone in 18.000 mq di stabilimento), si trova l’atelier della ceramica che dà la vita e l’anima al J12, alla sua cassa, alla sua lunetta, al suo bracciale. È qui che questi componenti trovano la loro forma definitiva e dove acquistano, tappa dopo tappa, la loro proverbiale resistenza: una caratteristica che li avvicina alle qualità proprie dei diamanti più preziosi.


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Polvere e pigmenti sono selezionati per il loro colore al fine di ottenere un nero profondo o un bianco immacolato, le parti sono preformate, gli agenti leganti indesiderati vengono lavati via e puliti e il materiale viene cotto in un forno a una temperatura superiore a 1000 ° C, che ristruttura completamente il materiale. La lavorazione di questa ceramica high-tech testimonia un knowhow “esigente”: l’ingegnosità degli uomini e l’alta tecnologia non hanno eliminato il legame fortemente poetico che lega le arti con la terra, l’aria, l’acqua e il fuoco. TERRA: per i minerali naturali che compongono il biossido di zirconio e la “polvere” di ittrio. ACQUA: per legare, formare e filtrare questi componenti naturali. ARIA: per asciugarli e dare loro struttura. FUOCO: per fonderli insieme e conferire al

materiale la sua resistenza e bellezza, a cui le casse ed i bracciali della collezione J12 devono la loro fama. Questa catena di “elementi” non sarebbe completa senza il ferro che scolpisce, perfora, trapana e ingrandisce questa ceramica hightech, né senza i segreti della sua lucidatura che le conferiscono lucentezza o finitura satinata. Infine, a causa della natura, la manifattura G&F Châtelain non può che essere rispettosa dell’ambiente. In tutte le fasi di vita di un orologio J12, tutto è progettato per ottimizzare il consumo di energia e il riciclaggio delle materie prime utilizzate. L’alchimia tradizionale è abbinata a un nuovo tipo di chimica delle particelle elementari per rendere questa ceramica high-tech, inalterabile, anticorrosiva e resistente alla luce ultravioletta e ai cambiamenti di temperatura.

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OMEGA

OCCHI SULLE STELLE LO SPEEDMASTER SILVER SNOOPY AWARD DI OMEGA RACCONTATO CON GLI OCCHI DELLA PASSIONE

Di Marco Valerio del Grosso

“CORRI DIETRO AI TUOI SOGNI anche se non li raggiungi, almeno dimagrisci...” sono queste le parole di una delle centinaia di vignette scritte da Charles M. Schulz autore dei fumetti Peanuts dove Charlie Brown ha un cane, un mitico piccolo cagnolino bianco e nero, moderno filosofo noto a tutti come Snoopy. Un cane strano, che dorme sul tetto della cuccia, a cui piace leggere Guerra e Pace di Tolstoj, scrivere con una macchina da scrivere simile alla mitica Lettera 22 del nostro Indro e giocare a Baseball come interbase. Queste stranezze di Snoopy e le sue infinite vignette con commenti sulla vita vissuta, hanno creato un personaggio di fama mondiale, tanto da diventare nel 1967 la mascotte ufficiale della sicurezza aerospaziale, dopo il tragico incendio dell’Apollo 1. La NASA nel 1968 creò inoltre uno speciale premio Silver Snoopy Award. Veniva dato a quell’ astronauta che lavora nel programma spaziale che è andato al di là sulla ricerca della qualità e

Omega Speedmaster Serie Anniversario Co Axial Master Chronometer Chronograph 42 mm “Silver Snoopy Award” Costa 9.700 euro

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della sicurezza. Da allora seguendo una serie di criteri definiti, viene assegnato a pochissimi tra dipendenti, collaboratori e aziende che, dietro le quinte, hanno svolto un ruolo decisivo durante le esplorazioni spaziali. Si tratta di una spilla in argento con protagonista Snoopy in tenuta d’astronauta con un casco spaziale, con grande gioia del suo creatore che è sempre stato un forte sostenitore del programma spaziale statunitense. Ogni spilla, peraltro, ha realmente viaggiato nello spazio insieme agli astronauti. L’ideatore di Snoopy, Charles M. Schulz, disegnò alcune vignette sul tema spaziale, come quella famosa del 21 luglio 1969 (il giorno dopo lo sbarco), che mostra Snoopy in rotta verso la luna in cima alla sua cuccia con un acquario in testa come casco, un suo sogno a cui correva dietro ma raggiunto però da altri. Al polso di quegli astronauti dell’Apollo 11, come tutti noi sappiamo, in quel luglio 1969 si muoveva in silenzio, in assenza di aria e ad una temperatura esterna di 150°C un Omega Speedmaster con il


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Il Naiad Look del fondello mantiene tutti gli elementi incisi nella corretta posizione verticale, inclusa la data del 1970 in cui Omega ha ricevuto il Silver Snoopy Award e la scritta “Eyes on the Stars”

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movimento 321, diventato da quel momento il Moonwatch. Il perché c’era quell’orologio è noto a molti di noi: lo Speedmaster dopo alcune prove di resistenza estrema e posto confronto con altri orologi crono, di ottimi brand, superò egregiamente i test e fu dato in dotazione a tutti gli astronauti del programma Apollo dal 1965, compresi quelli dell’Apollo 11 e dell’Apollo 13. James Ragan, l’ingegnere della NASA che per primo testò e qualificò l’Omega Speedmaster nel 1964 disse:” L’orologio era un fattore critico di backup. Se gli astronauti avessero perso la possibilità di parlare con la terra o di utilizzare i loro timer digitali, l’unico oggetto su cui fare affidamento sarebbe stato l’orologio che avevano al polso. Doveva essere lì in caso avessero avuto dei problemi.” E questi problemi capitarono proprio all’Apollo 13 nel 1970, gli astronauti sarebbero dovuti sbarcare sulla Luna, ma invece durante la missione qualcosa andò storto. “Houston, we have a problem” rieccheggiò nella sala di controllo di Houston durante la missione. Un grido di allarme da parte dell’equipaggio dell’ Apollo 13 in volo a migliaia di km dalla Terra. Una tanica di ossigeno esplose a bordo mettendo l’equipaggio in serio pericolo. La missione di sbarco sulla Luna fu abbandonata e la vera e unica missione fu quella di riportare a casa sani e salvi i 3 astronauti. Sfruttando una

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traettoria di rientro libero attorno alla Luna, Apollo 13 volò a una distanza di 254 chilometri dalla superficie della faccia nascosta della Luna, stabilendo così il record, tutt’oggi detenuto, della massima distanza raggiunta da un essere umano dalla Terra: 400.171 km. Il primo obiettivo fu risparmiare energia e furono quindi spenti tutti i timer digitali, ma ad un certo punto fu necessario aggiustare la rotta per far rientrare la navicella col giusto angolo nell’atmosfera terreste, perciò, per aggiustare manualmente la rotta della navicella, era richiesto un consumo di carburante di 14 secondi esatti. Non c’era spazio per gli errori o tempo per rimandare l’accensione. Senza i timer digitali, Swigert usò il suo cronografo Omega Speedmaster per misurare la durata dell’accensione, mentre il Comandante Lovell guidò la navicella usando l’orizzonte terrestre come guida. La manovra riuscì egregiamente e l’Apollo 13 con il suo equipaggio felice, ammarrò nel Pacifico. La semplice meccanica vinse contro l’elettronica. Davide vinse contro Golia. L’Italia vinse contro il Brasile. Un orologio manuale mosso solo da ruotismi e dalla carica a mano di un uomo, salvò i 3 astronauti e quello che era un fallimento diventò un fallimento di successo! Un bel film con Tom Hanks descrive e rivive quei momenti in cui milioni di persone rimasero col fiato sospeso per lunghe ore.

L’orologio è animato dal calibro Omega Co-Axial Master Chronometer 3861, la versione più recente del leggendario movimento Moonwatch. Ci sono voluti 4 anni per realizzare un calibro in linea con gli standard della certificazione Master Chronometer, che rispettasse al contempo le dimensioni del movimento Moonwatch precedente, il 1861.


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NEGLI ANNI SESSANTA, LA NASA SCEGLIE SNOOPY COME MASCOTTE E GUARDIANO PER LA SICUREZZA DURANTE LE MISSIONI DI VOLO SPAZIALI

L’astronauta Thomas Stafford, con la mascotte Snoopy.

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Snoopy appare nel medaglione a rilevo in argento nel contatore delle ore 9 dove indossa la famosa tuta spaziale

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«Lo Speedmaster significava il fallimento o il successo della missione, perché non avevamo l’alimentazione elettrica per accendere timer o computer. Quindi tutto quello che avevamo era solo l’orologio: per quanti secondi avremmo acceso quel motore in discesa. È stato Omega a segnarli e per questo abbiamo deciso di insignirla con il Silver Snoopy Award» Tom Stafford lo connsegna ad un rappresentante Omega.

C’avete mai pensato cosa fate in 14 secondi? Per fare un canestro ce ne vogliono massimo 24, per dire “ti amo Liliana” ce ne vogliono scarsi 2, per caricare completamente il bariletto di un moderno Moon sono necessari almeno 12 secondi, invece in benedetti 14 secondi un orologio meccanico salvò la vita a 3 astronauti e li restituì alle proprie famiglie gaudenti. Così nello stesso anno Omega fu insignita del prestigioso e già detto “Silver Snoopy Award”. Il premio che celebra il ruolo dello Speedmaster nel salvataggio dell’Apollo 13. Omega nel 2003 e nel 2015 realizza due Moonwatch che esibiscono il logo di Silver Snoopy. La prima in edizione limitata a 5441 pezzi, la seconda, la più ambita, con soli 1970 pezzi, le sue quotazioni hanno ormai superato i 30.000 euro. Oggi dopo 50 anni dal premio, il brand svizzero ha creato per questa occasione uno speciale orologio lo Speedmaster “Silver Snoopy Award” 50th Anniversary, combinando l’animazione con l’arte orologeria, questo incredibile tributo a Snoopy porta lo Speedmaster ad un nuovo livello di design. Un modello con cassa in acciaio di 42 mm diametro con una lunetta con l’anello in ceramica blu (ZrO2) sul quale si trova la scala tachimetrica in smalto bianco. Il cinturino è in nylon blu e al suo interno mostra la traiettoria dell’Apollo 13. Il movimento è il calibro 3861 antimagnetico e certificato Metas, a carica manuale, ultimissima evoluzione dello storico meccanismo del Moonwatch, montato già sullo Speedmaster Apollo 11 50th. Il riferimento al Silver Snoopy Award, si può vedere sul quadrante in argento dell’orologio

che all’interno dell’indicatore posizionato a ore 9 mostra il logo del premio con Snoopy vestito da astronauta, come nella spilla che gli astronauti della NASA diedero in premio a Omega. Girando l’orologio inizia lo spettacolo. Qui il cagnolino più famoso del mondo è all’interno di una animato Modulo di Comando e Servizio che, una volta messa in funzione la lancetta dei secondi cronografici, segue una lancetta magica che gli fa circumnavigare la misteriosa faccia nascosta della Luna, decorata su un cristallo zaffiro, proprio come fece l’equipaggio dell’Apollo 13, mentre sullo sfondo un disco che rappresenta la Terra compie una rivoluzione al minuto, essendo collegato alla lancetta dei piccoli secondi. I secondi che Snoopy trascorre per questa circumnavigazione nel fondello sono esattamente 14, i famosi 14 secondi che salvarono l’equipaggio. Qualche Kattivone dice che per tale spettacolo, bisognerebbe indossarlo al contrario! Nonostante la sua particolarità, non è un orologio prodotto in serie limitata, sebbene si prevede che Omega ne realizzi un numero non troppo elevato (non sappiamo quanti) per mantenere alto il livello di esclusività e desiderabilità. I fan riceveranno l’orologio nella sua scatola di presentazione dell’Apollo 13, con un panno per la pulizia in microfibra, una brochure e una lente d’ingrandimento per poter scoprire tutti i dettagli. Il costo non è basso, molti lamentano i 9.700 euro richiesti per averlo al polso, ma si sa come dice anche Snoopy in una vignetta: “I biscotti al cioccolato non mi fanno bene, ma io sono buono: li perdono e li mangio lo stesso”. Quindi accattatevel!

l pin ufficiale del Silver Snoopy Award

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MADE IN FLORENCE

UN ANFITEATRO SUL TEMPO BRAND FIORENTINO DEL LUXURY LIFESTYLE MASCHILE STEFANO RICCI PRESENTA LA SUA PRIMA LINEA OROLOGIERA: OCTAGON

Di Paolo Gobbi

NEL LONTANO 1972, l’appena ventenne designer Stefano Ricci, assieme alla moglie Claudia, fonda a Firenze un atelier sartoriale di altissimo livello, basato sulla filosofia del «100% fatto in Italia». Appassionato di cravatte, le trasforma da da accessorio a protagonista del guardaroba maschile. Le sue creazioni sono accolte con entusiasmo, fin dal debutto a Pitti Uomo, dai più importanti department store internazionali come Neiman Marcus e Harrods. Nel 1986 decide, insieme a un selezionato gruppo di colleghi, di costituire un consorzio che rafforzi la presenza di Firenze e Pitti Uomo come punto di riferimento irrinunciabile per le nuove collezioni a livello internazionale. Il nome scelto, “Classico Italia”, diventa in breve un sigillo di garanzia per una produzione realizzata esclusivamente in Italia. Negli anni ‘90, il designer amplia progressivamente la propria produzione per l’uomo, includendo nella collezione abiti sartoriali, sportswear, maglieria e calzature. Sviluppa una produzione di articoli in pelle esclusiva e, seguendo l’antica tradizione orafa fiorentina, crea una collezione di gemelli e di fibbie preziose, utilizzando oro, platino, diamanti, zaffiri e altre gemme. Il suo stabilimento produttivo, posto sulle colline di Fiesole, realizza l’intera produzione e offre lavoro ad oltre 300 persone in Italia cui si aggiungono 200

dipendenti per il retail nel mondo Bisognerà però aspettare il 2020 per vedere la sua prima collezione di alta orologeria. Il suo nome è Octagon e si caratterizza per la sua struttura articolata, complessa, potente e leggera al tempo stesso, espressiva di un ottagono e per estensione, legata a filo doppio al numero otto. Configurazione del ciclo indefinito delle cose, geometricamente allineamento di vertici ottenuti dalla sovrapposizione di due quadrati, di cui uno ruotato di 45° rispetto all’altro; e ancora figura intermedia tra quadrato e cerchio, tra microcosmo e macrocosmo: connotati che sembrano trasformare l’orologio in strumento di un messaggio artistico distribuito sulle note infinite del tempo, a partire dagli otto elementi della lunetta, che catturano lo sguardo. A raccontarcelo è Niccolò Ricci, ceo della Stefano Ricci e seconda generazione dell’atelier fiorentino. Come siete arrivati alla decisione di presentare una collezione di Alta Orologeria? «Ogni anno presentiamo dei progetti nuovi e abbiamo voluto continuare questa tradizione. Settembre 2020 l’abbiamo visto come mese di ripartenza e di rinascita. Pensiamo che in questo momento fosse giusto mandare ai clienti un messaggio di presenza sul mercato, così abbiamo

Niccolò Ricci è il ceo della Stefano Ricci

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deciso di affrontare un investimento impegnativo per creare 60 orologi di grande qualità.» Qual è stato l’accordo fatto con Parmigiani Fleurier? «Parmigiani Fleurier è un’azienda svizzera con elevati standard qualitativi e in loro abbiamo trovato un ottimo partner commerciale per la realizzazione del “motore” dei nostri orologi. Inoltre si sono occupati della parte relativa all’assemblaggio, mentre noi abbiamo creato tutto il resto: dall’incassatura delle pietre, alla chiusura, passando per il cinturino. L’orologio è in tutto e per tutto uno Stefano Ricci e quindi un oggetto di altissimo livello.» Com’è avvenuta la ricerca del partner? «Abbiamo effettuato una ricerca approfondita tra i nostri contatti, anche tramite delle semplici chiacchierate informali. Parmigiani si è dimostrata la realtà più entusiasta di fronte al nostro progetto. Inoltre, avendo molti contatti in comune, la partnership si è sviluppata in modo piuttosto naturale.»

Per l’esordio in campo orologiero, Stefano Ricci ha voluto declinare la collezione Octagon su tre modelli: Calendario Perpetuo, Calendario Annuale e Cronografo. Ognuno è realizzato in serie limitata a 10 esemplari, tiratura adattata anche per le versioni Diamond Lux Limited Edition, incastonate con diamanti. La cassa ottagonale, in oro bianco lucido, è unica per i tre segnatempo, da 45,5 mm di diametro e 14,8 mm di spessore, cuvette compresa. La carrure traccia i lati dell’ottagono raccordati da rientranze angolari a forma di “V” rovesciata, il tutto senza soluzioni di continuità, anche in virtù di una doppia incisione lineare parallela.

Come avete pensato la vostra distribuzione? «Distribuiremo solo attraverso le boutique Stefano Ricci: naturalmente i membri dello Stefano Ricci Club, persone che spendono annualmente oltre i 50 mila euro, avranno il diritto di prelazione.» Vi indirizzate principalmente ai vostri clienti storici? «Sì. Ogni volta che partiamo con un progetto, e lo facciamo sempre al top, amici e clienti collezionisti sono già da subito molto interessati e incuriositi, perché sanno che creiamo oggetti fatti in Italia e mai comuni. Come del resto lo sono i nostri capi di abbigliamento.» Qual è il range di prezzo della collezione Octagon? «Partiamo dal Crono che costa 100.000 euro per arrivare a 180.000 euro per il calendario perpetuo con brillanti.» Come è stato organizzato il servizio post vendita? «Offriamo un servizio post vendita assolutamente incredibile: andiamo direttamente dai nostri clienti in tutto il mondo. Se dovesse esserci un problema con un nostro orologio, basta chiamare il direttore della boutique dove è stato acquistato e noi manderemo un responsabile a casa per ritrarlo. Una volta sistemato, ci occuperemo di riconsegnarlo al domicilio indicato dal proprietario. Il cliente non dovrà preoccuparsi di nulla, se non di fare una telefonata. Questa è la filosofia del nostro servizio di assistenza.» Quando è nato il progetto Octagon? «È nato due anni fa. L’idea iniziale era quella di lanciarlo entro la fine del 2020 ma durante il periodo di fermo della scorsa primavera abbiamo accelerato il processo di sviluppo e quindi abbiamo anticipato la sua uscita.»

Riguardo ai movimenti, Stefano Ricci ha ricercato il più alto livello di espressione, selezionando una manifattura haut-de-gamme a Fleurier, paese della Val-deTravers (cantone di Neuchâtel), in cui si “respira” alta orologeria in ogni angolo. Movimenti tutti modulari, dispongono della medesima base automatica, operativa a 28.800 alternanze/ora, con bilanciere ad inerzia variabile e due bariletti disposti in serie a garanzia di una riserva di carica di 50 ore.

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In quali boutique sarà messo in vendita? «La priorità sarà per le nostre boutique europee più importanti: Firenze, Milano, Londra, Parigi. In seguito andrà a New York, Los Angeles, Mosca, Shangai, Hong Kong, Singapore, Macao. Ci sarà una preview mondiale, poi daremo la possibilità di preordinarli e infine sarà disponibile a tutti i clienti nel mondo.»


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Come lo presentate? «Lo presentiamo attraverso video e brochure, non avendo ancora la possibilità di viaggiare. Tuttavia abbiamo già feedback di interesse, per esempio un cliente americano ha comprato un esemplare a scatola chiusa, solo vedendo una foto.» Questo prodotto sarà un one-shot? «Andrà avanti sempre in serie limitata perché l’esclusività è quello che lo rende molto appetibile; non vogliamo uscire dall’unicità che rappresenta la nostra forza, anche rispetto ai grandi gruppi nostri competitor. Il nostro scopo è preservare un certo price point mantenendo qualità ed esclusività.» Il cliente capisce questa particolarità? «Abbiamo una parte di clientela che ci sceglie perché il nostro prodotto rappresenta uno status simbol. Soprattutto, il cliente ci segue e capisce finché gli si propone la qualità, il prodotto e non il marchio.» Quali sono i vostri mercati più importanti? «La Cina, poi la Russia e i paesi dell’ex unione sovietica, nei quali siamo leader da tanti anni. Negli Stati Uniti siamo presenti dagli anni ’70 e rappresentano il 20% del nostro fatturato. Il mercato statunitense è difficile da gestire perché a livello di lavoro sono più preparati e più complessi, tuttavia se vai bene negli USA vai bene e sei lanciato in tutto il mondo.» Avete sofferto il periodo di blocco? «Sì, abbiamo sofferto come tutti, con un 30-40% in meno sulle vendite.» Come sono andate le boutique che hanno riaperto in estate? «Benissimo. Soprattutto in Ucraina, Azerbaigian, Armenia, Turchia, Kazakistan e Uzbekistan. I russi non hanno viaggiato ma hanno speso a casa. Il problema grosso è stato l’Europa. Con la Cina siamo ai livelli dell’anno scorso, la grande paura è a Hong Kong.» Avete mai pensato di aprire una boutique a Forte dei Marmi? «Ci ho riflettuto. Credo che i clienti vadano a Forte per godersi le vacanze e che non pensino a fare shopping bensì a rilassarsi, quindi non penso sia una scelta vantaggiosa per noi.» Il vostro concetto è fatto di sole boutique monomarca? «No. Abbiamo il 65% di boutique monomarca, il 20% di negozi licenza e il 15% di multibrand. Ci sono una cinquantina di multimarca nel mondo che comprano Stefano Ricci da molti anni.»

Dettaglio, assolutamente qualificante, è la cuvette incernierata sul fondello. La sua finitura s’ispira a quella eseguita per “scolpire” le parti metalliche di fucili di altissimo pregio: un modo per esplicitare unicità ed esclusività di ogni esemplare. Operazione, questa, resa possibile dalla storica tecnica detta inglesina, o “English scroll”, un’incisione fine, assai complicata, che esalta l’artigianalità e dove linee e punti compongono temi principalmente floreali

L’ultima domanda è per Stefano Ricci, fondatore, presidente e designer dell’azienda. A lui abbiamo chiesto l’ispirazione dell’Octagon. «Nel disegnare il mio orologio ho immaginato otto maglie di una catena importante che avvolgono, in una simmetria di raggi ad asse verticale, le espressioni del tempo, il suo calendario o la sua misura. Un flusso custodito dall’interpretazione di una trama i cui dettagli, le cui viti, le cui maglie perdono la connotazione fisica per trasformarsi in un tributo a Firenze.»

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ROGER DUBUIS

ILPOTERE DI INNOVARE «L’OROLOGIO È UNA CONSEGUENZA DELLA NARRAZIONE» NICOLA ANDREATTA CI RACCONTA LA RICERCA DELL’ESCLUSIVITÀ E DELL’INNOVAZIONE

Di Paolo Gobbi

UN APPROCCIO all’Alta Orologeria assolutamente non-convenzionale quello di Roger Dubuis, fatto di creatività, innovazione, tecnologia, ma anche idee fuori dal coro. Abbiamo incontrato Nicola Andreatta, ceo della Casa ginevrina.

È una nostra impressione o Roger Dubuis sta percorrendo una strada innovativa nel mondo dell’Alta Orologeria? «Esatto. Vogliamo rendere meno banale l’approccio alla narrazione, di trovare una dimensione culturale nel raccontarci. Da un punto di vista specialistico, per noi la tecnica serve l’estetica e l’estetica serve l’espressività. Chiunque si avvicini a Roger Dubuis e ai suoi prodotti sa di trovare la massima espressione dell’orologeria: vogliamo un’estensione più ricca della narrativa che sta dietro alle nostre creazioni, l’orologio diventa un simbolo che racconta cosa siamo. Per esempio stiamo entrando nel mondo dell’arte contemporanea e, lavorando sull’espressione della singolarità, narriamo storie con un semplice oggetto. Questa filosofia ci diverte molto perché cerchiamo prospettive diverse con le quali approcciare un mondo dove è già stato inventato tutto ed è difficile parlare di novità, e noi lo facciamo attraverso le partnership.» Un vostro orologio diventa un simbolo che descrive chi lo indossa. Che tipo di clienti approcciate? «Ci sono sempre più clienti che richiedono un’esperienza di acquisto diversa, nella quale il negozio non è il primo punto di contatto. Sicuramente la nuova generazione fa parte di chi ricerca questo: i giovani che possono permettersi determinate creazioni, hanno un altro atteggiamento nei confronti della vita rispetto ai loro genitori. Vogliono apparire in modo alternativo. La moda oggi è meno classica e più spinta, si preferisce il colore e l’espressività ed è questo l’acquirente che cerchiamo e riusciamo ad attrarre sempre di più,

grazie anche alle nostre campagne pubblicitarie.» Qual è il vostro linguaggio comunicativo? «È importante raccontare che la nostra è una storia in continua evoluzione. Vogliamo comunicare un nuovo messaggio espressivo che progredisce con il mondo contemporaneo. È anche per questo motivo che “non” abbiamo festeggiato i 25 anni della Maison: non vogliamo rimanere legati al passato ma guardare al futuro, ai prossimi 25 anni di Roger Dubuis. Intendiamo mantenere la promessa fatta ai nostri clienti: avanzare, crescere, cercare nuove soluzioni e approcci all’Alta Orologeria.» Per parlare a questa nuova clientela servono anche persone specializzate per farlo. «Sì e abbiamo già dei riscontri. Gli orologi Diabolus in Machina e Superbia hanno una narrazione molto importante che tocca mondi diversi da quelli classici, come la musica medievale e la filosofia. Tutto si lega a chi lavora con noi: mi interessa l’atteggiamento mentale, l’attitudine a cambiare, la curiosità per scoprire le novità e tali elementi ci permettono di creare un team innovativo che affronta i più disparati ambiti con prospettive diverse. Cerco persone che abbiano delle proprie idee e le mettano a disposizione per un confronto diretto durante i meeting, quando mi si da ragione o quando tutti sono d’accordo sull’unica idea, penso ci sia qualcosa che non vada. E’ importante sbagliare, perché per innovare è necessario fare errori, capirli, correggerli e andare avanti, se non ho questo atteggiamento nel team vuol dire che si resta fermi e il rischio è reinventare senza avere il vero elemento di innovazione.» I vostri orologi più importanti sono sempre pezzi unici? «Sono pezzi unici che si iscrivono in una serie unica: la base, la piattaforma è la stessa poi ogni orologio viene aggiornato, customizzato per creare delle

Nicola Andreatta ceo Roger Dubuis

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Excalibur Diabolus in Machina

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CERCHIAMO PROSPETTIVE DIVERSE CON LE QUALI APPROCCIARE UN MONDO DOVE È GIÀ STATO INVENTATO TUTTO ED È DIFFICILE PARLARE DI NOVITÀ

proposte uniche per diversi clienti. Per esempio il modello Superbia lo faremo con pietre di altro colore, con un sartie diverso, con oro rosa invece di quello bianco. Questo è il nostro modo di adattare il pezzo unico ai clienti.» I vostri pezzi unici e quelli di normale produzione sono realizzati nello stesso luogo? «No. Bisogna conciliare la produzione “di massa”, che per noi sono al massimo 80 orologi, con i prodotti unici. Dal punto di vista industriale non possiamo seguire alla stessa maniera due lavorazioni differenti. Un singolo segnatempo come Superbia viene creato in due anni e mezzo di lavoro, quindi bisogna che sia gestito con una logica artigianale. Poi abbiamo un altro tipo di produzione, per modelli come il nostro “entry-level” Huracán.» Una sorta di dualità? «Sì e la vogliamo mantenere. Chi si approccia al nostro mondo con Huracán, poi può crescere insieme a noi con proposte più complicate e differenziate per arrivare alla singolarità espressiva. Per far funzionare entrambi i discorsi, ho creato un nuovo dipartimento che si occuperà quasi esclusivamente di innovazione, ricerca e creazione di pezzi unici. E’ un gruppo di lavoro separato con macchinari e personale dedicato che interagisce in continuazione con la fabbrica, qui verrà creato un prodotto finito gestito con la logica della ricerca e dello sviluppo.» Com’è nato Superbia? «Superbia è il risultato di due anni di studi su un nuovo territorio di espressione. Abbiamo cercato e trovato un artista che potesse riflettersi al meglio nei valori del nostro brand. L’idea di inserire le gigantesche installazioni di Kaz Shirane all’interno di un orologio, quindi portare la sua arte dentro una creazione orologiera, è stata perfetta in quanto abbiamo la stessa affinità di intenti nel ragionamento espressivo. Il nostro è un modo innovativo di approcciare l’organizzazione aziendale che produce risultati come questi in termini di creatività.» Come comunicate i vostri nuovi concetti ad una rete distributiva sostanzialmente datata? «Sappiamo che la distribuzione si basa fondamentalmente sull’organizzazione dei rispettivi mercati: l’Italia è fatta da piccoli negozianti, che contano sulla clientela locale affezionata, mentre in altre nazioni ci sono situazioni meno dispersive,

spesso con un online in netta crescita. In ogni caso, anche per la distribuzione vogliamo agire differentemente. In un momento così particolare stiamo ripensando al nostro modo di agire, a come fare le cose in modo ancora più diverso: Ci siamo fermati a riflettere su come servire il cliente, portarlo ad un ragionamento che ci rappresenti e infine all’acquisto, lavorando su ipotesi ed idee alternative per vendere il nostro messaggio. Tuttavia questo rimane sempre legato alla promessa di marca con la quale vivere un momento di Alta Orologeria, dove la dimensione esperienziale è fondamentale: il prodotto diventa la conseguenza della narrazione, il simbolo di un altro modo di fare orologeria.» Lamborghini non è una partnership troppo tradizionale rispetto ad un progetto così innovativo come il vostro? «Ci siamo avvicinati a Lamborghini perché è un’eccellenza, ha una proposta limitata ed esclusiva ma soprattutto ha una maniera diversa di parlare di automobilismo raccontando la sua dimensione di brand in modo stravagante, rumoroso ed eccessivo, ed è così in tutto quello che fa. L’associazione tra loro e noi è automatica perché sono mondi che si muovono in modo coerente e nella stessa direzione. All’interno del management Lamborghini abbiamo trovato dei partner eccezionali, lavorando entrambi sull’evoluzione del design. C’è stato uno scambio di informazioni, di creatività ed idee che è risultato fondamentale per l’evoluzione della nostra e della loro offerta, essendo rimasti anche loro felici della collaborazione, questo conferma la nostra tesi: l’importanza di cambiare prospettiva.» Secondo lei qual è il futuro dell’Alta Orologeria? «Dico quello che vedo: alcuni brand stanno andando bene grazie al valore del marchio e alla propria eredità. Economicamente non possiamo negare che sia un periodo difficile per tutti, ma i problemi che sono venuti fuori oggi, non sono nuovi: chi aveva difficoltà di posizionamento e di attenzione in passato, ad oggi ne ha ancora di più. Quindi, per me è fondamentale la coerenza. Nel momento in cui si tradisce l’autenticità del brand o si cerca di vendere in modo diverso da come si faceva prima solo per via della situazione attuale o si cambia per cercare il cliente mai avuto, si rischia di farsi del male. La mia idea è di spingere su quello che siamo e vogliamo essere. Adesso è il momento di capire come la mia proposta può evolversi con quello che sono. La coerenza e l’atteggiamento radicato sui propri valori sono l’unico modo per sopravvivere.»

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GMT MIL ANO

DECOSTRUIRE L’OROLOGERIA JACOPO CORVO, CI REGALA UN RITRATTO FUORI DAL COMUNE DI MAX BUSSER, E DELLA SUA MB&F

Di Paolo Gobbi

Jacopo Corvo GMT Great Masters of Time Corso Magenta, 11 Milano Via Durini, 28 Milano www.gmtitalia.com

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IL CONCETTO ALLA BASE di Great Masters of Time (GMT) nasce nel 2007, quando la prima boutique ha aperto a Porto Cervo per selezionare, promuovere e mostrare una gamma completa di orologi non tradizionali e mostrare adeguatamente a tutti i collezionisti di orologi “non seriali o industriali”, realizzati dai veri Maestri del Tempo, piccoli atelier in grado di esprimere al meglio la passione per la meccanica fine. Nel febbraio 2010 GMT ha aperto un altro punto vendita in Corso Magenta 11 a Milano e nel marzo 2014 ha inaugurato un nuovo spazio GMT insieme al primo Espace F.P. Journe al secondo piano (Watches & Jewellery) del The Brian & Barry Building San Babila, in via Durini 28 sempre Milano. Ma la vera storia risale agli anni ‘60, quando Giorgio Corvo ha avviato la sua società di distribuzione di orologi svizzeri in Italia e ha scritto pagine indelebili della storia di JaegerLeCoultre, inclusa la rinascita del Reverso. Molte cose sono cambiate da allora e l’azienda ha tenuto il passo fino a quando i nuovi modelli di produzione e di business dei primi anni duemila hanno posto Michele Corvo - figlio di Giorgio - di fronte a una scelta: seguire la filosofia dei nuovi gruppi oppure scommettere sui giovani orologiai indipendenti e sulla loro nuova interpretazione del tempo. Se stai leggendo questo articolo probabilmente hai già capito qual è stata la sua scelta, che oggi può sembrare scontata, ma nel 2004 era infinitamente coraggiosa. Ci sono voluti anni perché arrivassero i primi frutti, assieme anche all’odierna indiscutibile consacrazione degli orologiai indipendenti. Oggi GMT Great Masters of Time è di proprietà della terza generazione della famiglia guidata dalla stessa identica passione che le ha permesso di intrecciare il suo nome con la storia dell’orologeria svizzera. Per questo con Handmade abbiamo deciso di percorrere un viaggio attraverso gli orologiai indipendenti presenti da GMT a Milano, iniziando dalle creazioni “da tavolo” di Max Busser. A raccontarceli è Jacopo Corvo.

Com’è iniziata questa inconsueta storia nella misurazione del tempo? «Max a fine anni 2000 ha iniziato a cercare


IDEE

Ideato e sviluppato dal laboratorio concettuale MB&F, progettato e realizzato da L’Epée 1839 – l’unica manifattura svizzera specializzata nella fabbricazione di orologi da tavolo di alta gamma – Melchior è il frutto della ricerca di Maximilian Büsser per reinterpretare un ardente desiderio infantile: avere un amico robot.

di capire come posizionare “fisicamente” i suoi orologi, cercando il luogo giusto per farli conoscere che non corrispondeva necessariamente all’orologeria tradizionale. La sua idea era di esporli all’interno di una galleria d’arte.» I galleristi come rispondevano a questa sollecitazione? «Si tiravano indietro, dicendo che non si trattava di opere d’arte ma di semplici orologi “anche piuttosto strani, quasi brutti, non si legge neanche l’ora” secondo il loro parere.» Conoscendo Max Busser non penso si sia arreso. «Assolutamente no. Ha deciso di creare una sua Galleria d’Arte che fosse anche un retail store: la M.A.D. Gallery - Mechanical Art Devices. Nasce a Ginevra nel 2011, seguita da altre tre aperture, a

Dubai, Hong Kong e Taipei. Al suo interno troviamo, naturalmente, le collezioni Horological e Legacy Machines MB&F. Accanto a loro vengono esposti artisti, pittori, scultori, designer, artigiani, fotografi, tutti contraddistinti da lavori inerenti il concetto del tempo e della meccanica e uniti tra di loro per una caratteristica: quella del non essere stati “compresi” dal mondo tradizionale dell’arte o della meccanica.» Una bella sfida. «Assolutamente sì. Basti pensare che la prima M.A.D. Gallery di Ginevra è nata esponendo artisti come il cinese Xia Hang e le sue strutture metalliche, oppure il berlinese Frank Buchwald con le sue Machine Lights e con loro tanti altri. Tutti “artisti” che, esattamente come Max, erano “orfani” e li ha radunati sotto un unico tetto.

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CAPITOLO 2

Non cammina, non parla, non esegue saldature su autoveicoli, né esplora Marte. Non cerca di uccidere Sarah Connor, aiutare Luke Skywalker o avvertire Will Robinson, non passa l’aspirapolvere, non compare nei film e non fa rispettare la legge. In realtà Sherman fa solo due cose, ma le fa estremamente bene. Sherman indica l’ora e poi fa sorridere le persone, probabilmente la complicazione più utile e (emotivamente) preziosa al mondo.

Facendo ciò ha creato anche dei prodotti MB&F che non fossero orologi da polso: le MusicMachine con Reuge sul tema di Star Trek, Guerre Stellari, Il Padrino; le pendolette da tavolo con L’Epée 1839.» L’Epée 1839 è un marchio storico e “molto” tradizionale. «Sì. È un brand svizzero, abbastanza antico, specializzato in pendole da tavola e da muro. Il problema era la loro collezione: al 99% “super tradizionale”, perché la loro clientela voleva quello. Certo, negli ultimi 20/30 anni le pendole hanno perso mercato e importanza e la stessa L’Epée era sull’orlo del fallimento: un piccolo dramma non solamente per chi ci lavorava, ma anche per il knowhow che sarebbe andato inevitabilmente perduto.» La soluzione di Max Busser? «È andato da L’Epée proponendo le sue idee avanguardistiche: orologi da tavolo e da muro con un design moderno, non convenzionale, che riuscisse a sfruttare al meglio le loro capacità tecniche e meccaniche. Ci è voluto del tempo per sincronizzare le esigenze di tutti, ma alla fine è nato

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nel 2015 il primo, fortunato, modello da tavolo: Melchior, un segnatempo di alta gamma a forma di robot, con ore saltanti, minuti a scorrimento, doppi secondi retrogradi e una riserva di carica di 40 giorni. La sua ispirazione veniva dai giochi dell’infanzia e immediatamente arrivò il successo.» Era solo l’inizio? «Immediatamente dopo sono arrivati altri robottoni: Balthazar e Sherman. Poi elementi organici, come Arachnophobia, un grande ragno che si può anche appendere al muro, poi Octopod e T-Rex. Tutti fatti con L’Epée e tutti resi “visibili” grazie alle M.A.D. Gallery. Due pezzi importanti sono stati anche realizzati per l’asta Only Watch.» Un’innovazione che continua ancora oggi? «Max da questo punto di vista è insostituibile. Sono arrivati pezzi fantastici come il Medusa e il T-Rex, dove il vetro di Murano è l’assoluto protagonista. Poi delle vere e proprie astronavi immaginarie, come lo Starfleet Explorer e il Destination Moon.»


IDEE

POICHÉ F STA PER FRIENDS, È DEL TUTTO NATURALE PER MB&F SVILUPPARE COLLABORAZIONI CON GLI ARTISTI, OROLOGIAI, DESIGNER E PRODUTTORI DI CUI HA STIMA

. L’orologio Medusa sfoggia una duplice configurazione: custodito all’interno di una struttura in vetro di Murano soffiato a mano, può essere montato a soffitto o collocato su una scrivania. Assumendo le forme di una delle creature marine più affascinanti e misteriose, Medusa sposa un’eccezionale artigianalità alla precisione orologiera svizzera. Come una medusa che scintilla negli abissi, Medusa brilla nell’oscurità grazie ai dettagli in Super-LumiNova.

Chi sono i clienti di queste fantastiche macchine del tempo? Architetti, arredatori? «Quando ero a Dubai per lavorare nella M.A.D. Gallery, più di una volta mi è capitato di lavorare con degli architetti e di conseguenza con i loro clienti. Non è però mai stato facile lavorare in questa maniera. Ilo cliente ideale è l’appassionato di design o di arte, non necessariamente di orologi, che abbia un gusto un po’ avanguardista, fuori dalla norma. Ci sono collezionisti che ne hanno acquistati anche dieci. Non c’è un target delimitato.» Un esempio? «Un nostro cliente italiano di GMT, grande collezionista, ne ha acquistati cinque. Un altro, americano, che non colleziona orologi, nella sua casa da sogno ha disseminato questi segnatempo. Questo conferma che la clientela non è l’appassionato tradizionale, anche lui, ma può essere chiunque.» Come funziona l’acquisto? Tempi?

«Ogni volta che viene presentato un nuovo modello, la disponibilità è sempre pressoché immediata. Non ci sono attese lunghissime. Si tratta di un valore aggiunto, perché permette al cliente di realizzare e iniziare a vivere immediatamente l’oggetto dei suoi desideri. Inoltre, essendo dei segnatempo non convenzionali, la loro diffusione è avvenuta anche in mondi lontani da quello della tecnica orologiera, come il design, l’arredamento, l’arte. Lo abbiamo visto su Esquire, Wired, Octagon. Riviste che Max Busser non avrebbe mai sognato di raggiungere.» Il bello di un prodotto totalmente nuovo. «Sì, non avevamo nessuna idea non solamente di quali sarebbero state le vendite, ma anche del percepito dai media o dai social. Inoltre abbiamo investito quasi esclusivamente sul prodotto, non sul marketing o sulla comunicazione. Sono dei prodotti talmente belli, che non pubblicarli vorrebbe dire che si sta dando un’informazione incompleta.»

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VACHERON CONSTANTIN

IL PERPETUO MESSO A NUDO IN QUESTO OROLOGIO NESSUNA REGOLAZIONE È NECESSARIA FINO A 1 MARZO 2100, NÉ PER LE INDICAZIONI DI GIORNO, DATA E MESE, NÉ PER LE FASI LUNARI

Di Mauro Girasole LA VOCAZIONE SPORTIVA, un teorico controsenso per una marca fortemente legata alla tradizione, si manifesta in Vacheron Costantin addirittura alla fine del XIX secolo, quando vengono presentati i primi segnatempo che beneficiano dei progressi ottenuti in termini di protezione magnetica e impermeabilità. Seguiranno negli anni ’30 alcuni modelli di forma in acciaio, caratterizzati dalla lunetta e dal fondello a vite e dal vetro infrangibile. La stessa tendenza è reinterpretata qualche decennio più tardi, negli anni ‘70, con il celebre “222” lanciato nel 1977 in occasione del 222° anniversario della Casa. Questo modello sportivo era dotato di lunetta e fondello a vite che garantivano un’impermeabilità fino

a 120 metri. Progettato per chi conduce una vita attiva, lo stesso ha ispirato nel 1996 la creazione dei primi modelli Overseas, animati dallo spirito del viaggio e aperti al mondo. LA STORIA Questa collezione dai notevoli contenuti tecnici diventa presto un riferimento della Maison. Le linee dinamiche, la lunetta inconfondibile e il fondello pieno decorato con il celebre veliero Amerigo Vespucci sono un invito a viaggiare. Vacheron Constantin fa evolvere i codici di questa linea nel tempo; il bracciale in metallo, per esempio, esibisce nel 2004 un motivo che ricorda la croce di Malta, emblema della Maison. Nel 2016, la collezione Overseas, certificata dal Punzone di Ginevra, affonda le

Oversea Calendario Perpetuo Ultra-piatto Scheletrato costa 132.000 euro

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IDEE

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Come tutti i modelli della collezione Overseas, questo straordinario orologio può essere personalizzato grazie a un sistema semplice ed efficace di cinturini intercambiabili. Infatti, oltre al bracciale in oro le cui maglie a mezza croce di Malta satinate sottolineano l’eleganza del segnatempo, questa creazione ha in dotazione altri due cinturini uno in pelle di alligatore blu (in foto) e uno in caucciù blu.

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proprie radici nel XXI secolo. Oggi la collezione si arricchisce di un nuovo modello, il Calendario Perpetuo Ultra-piatto Scheletrato. Al prestigio di una cassa e un bracciale in metallo prezioso ora si unisce l’estrema ricercatezza di un movimento scheletrato, ultrapiatto e dotato di calendario perpetuo, una combinazione che dona al segnatempo un aspetto contemporaneo e molto sofisticato. Pur conservando il suo design dinamico, l’estetica del segnatempo è rivoluzionata da un quadrante in cristallo zaffiro che invita l’utilizzatore a intraprendere un viaggio nel cuore del movimento con calendario perpetuo, scheletrato, dello spessore di soli 4,05 mm. LA MECCANICA Il cuore dell’orologio è un complesso movimento a carica automatica calibro 1120 QPSQ, già utilizzato su altri modelli della Casa ginevrina, apprezzato per le sue doti di affidabilità e precisione. Ben visibile attraverso il fondello il vetro zaffiro, il meccanismo ha la massa oscillante con trattamento NAC e inserto in oro 22 carati, 36 rubini, 40 ore di riserva di carica ed è Certificato dal Punzone di Ginevra. La sua particolarità è la complessa scheletratura (o traforatura, in quanto un tempo veniva realizzata con un semplice seghetto, sostanzialmente simile a quello che si utilizza per il compensato), percepita dai conoscitori come una vera e propria complicazione orologiera: è infatti una specializzazione a sé stante all’interno del percorso di formazione di un orologiaio. LA SCHELETRATURA Questa tecnica, che consiste nell’aprire finemente un movimento meccanico svuotando la forma dei componenti senza comprometterne l’affidabilità, è un’impresa estremamente complessa dove la ricerca della trasparenza si unisce ad abilità molto sofisticate

padroneggiate solo da un esiguo numero di artigiani orologiai. Oggi, Vacheron Constantin è una delle rare manifatture in grado di scheletrare calibri complessi come i calendari perpetui e i movimenti ultra-piatti. Tutti i componenti del calibro 1120 QPSQ sono stati svuotati, rifiniti e decorati al fine di mettere in risalto la bellezza del meccanismo. LE FINITURE Affinché si uniformasse a pieno con lo stile Overseas, al movimento sono state applicate particolari finiture interamente realizzate a mano. È stato necessario il concorso di varie abilità per poter garantire al meccanismo la perfezione estetica desiderata. Venatura delle superfici per conferire loro una finitura satinata, smussatura di linee rette e curve per ottenere effetti di luce, spazzolatura circolare, finitura satinata soleil, perlage e lucidatura per garantire una varietà di profondità: tutte queste tecniche artigianali sono servite ad accentuare la bellezza dei componenti; al contempo il colore grigio antracite ottenuto per mezzo di un trattamento elettrolitico NAC conferisce al meccanismo un volto decisamente contemporaneo. Sul quadrante sono applicati indici delle ore in oro rosa, l’emblema della croce di Malta, nonché i contatori di giorno, data e mese. PERPETUO Mentre gli orologi con calendari semplici (che indicano il giorno, la data e il mese) richiedono costanti regolazioni in base ai mesi con 28, 29 o 30 giorni e in corrispondenza degli anni bisestili, questo modello non richiederà nessun tipo di intervento fino al 1 marzo 2100, né per le indicazioni del calendario né per le fasi lunari. Ottenere prestazioni di questo tipo con un movimento così sottile (sebbene comprenda ben 276 componenti) ha richiesto un impegno enorme sia nel design che nella miniaturizzazione.

Il calibro 1120 QPSQ Sviluppato e prodotto da Vacheron Constantin Meccanico a carica automatica Massa oscillante scheletrata 22K a croce di Malta, Trattamento NAC 29,6 mm (12 linee e 1/2) di diametro, 4,05 mm di spessore Circa 40 ore di riserva di carica, Frequenza 2,75 Hz (19.800 alternanze/ora) 276 componenti,36 rubini, Certificato dal Punzone di Ginevra

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PHILIP WATCH

ROMA PROTAGONISTA UNA COLLEZIONE CHE ESPRIME LA SINTESI PERFETTA DI STILE, FORME E FUNZIONI ISPIRATA AL RIGORE DELLO STILE CLASSICO DELLA CITTÀ ETERNA. NE PARLIAMO CON MASSIMO CARRARO

Di Paolo Gobbi CHE ROMA SIA UN CATALIZZATORE della cultura del bello è un dato innegabile. Come pure che la Città Eterna sia conosciuta ed amata in tutto il mondo. Appare quindi “naturale” che una marca internazionale come Philip Watch, abbia scelto di chiamare di chiamare Roma la sua ultima, elegante, collezione di orologeria. Declinata in versione Gent e Lady, esprime la sintesi perfetta di stile, forme e funzioni ispirata proprio al rigore dello stile classico in cui estetica e precisione si incontrano in un disegno armonico. Ne abbiamo parlato con Massimo Carraro, ceo di Morellato Group, a cui fa capo Philip Watch.

State dimostrando una grande vitalità in un momento difficile con nuove proposte, con creatività e la giusta comunicazione. «Sì, ma stiamo anche dimostrando di non peccare di ingordigia. Quando parlo di qualità e selezione, intendo il fatto di rinunciare ad Amazon, al taglio del 10% di clienti che non accettano il contratto di distribuzione selettiva e via dicendo. La qualità del prodotto, della distribuzione ma anche delle persone sono un qualcosa che deve diventare un valore nel quale credere nel tempo. Continuiamo un percorso di crescita costante che ha portato agli ottimi risultati odierni».

Siete la più grande casa italiana Swiss-Made con vaghe origini napoletane e un centro produttivo nel nord Italia. La domanda sorge spontanea: perché avete chiamato Roma la vostra ultima collezione? «È un tributo alla bellezza di questa città. Qual è il luogo che rappresenta la classicità e l’eleganza italiana più di Roma? Da qui il nome del simbolo per eccellenza dell’eleganza classica».

Si sarebbe mai aspettato una crescita di questo tipo in un momento così pesante? «Il nostro percorso aziendale è meritato avendo sempre avuto continuità e fedeltà ai valori della Marca. La nostra strategia di parlare direttamente al cliente cominciò tanti anni fa, poi è arrivato il web e ancora più tardi la distribuzione selettiva. La chiave è aver seguito lo stesso percorso che va sempre evolvendosi, ma l’elemento fondamentale è fare dei bei prodotti di qualità».

Secondo lei il nome Roma paga anche nel resto d’Italia e all’estero? «Io penso di sì. A livello internazionale è una delle immagini più rappresentative nel mondo. Siamo orgogliosi di Roma e chi non è d’accordo se ne faccia una ragione». Roma è creatività vostra? «Sì. La collezione è Swiss-Made al 100% come tutto Philip Watch dal 1858. Continuiamo a credere nella qualità di chi lavora con noi, come Francesca Ginocchio, la nostra nuova direttrice marketing: è lei la persona che ha scelto il nome della collezione Roma, della quale ha curato lo sviluppo».

Da qualche anno Philip Watch vende anche online. Il web si è rivelato un mezzo utile? «Senza dubbio è un mezzo indispensabile. Posso dire che lo abbiamo affrontato con serietà, diventando partner di una realtà importante, acquisendo il controllo delle nostre vendite nel web e affrontando la gestione di tutti i nostri siti, sia multibrand che monomarca. Naturalmente l’online è l’attività che è cresciuta di più e in modo naturale: non abbiamo voluto cercare la crescita a tutti i costi e, per esempio, non abbiamo attuato delle politiche di sconto selvaggio. Un altro aspetto

Massimo Carraro ceo di Morellato Group, a cui fa capo Philip Watch Photo credit Ph klap.it

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importante del nostro comportamento online, è stato l’uscita dal marketplace Amazon: oggi siamo su Amazon come official store, effettuando delle politiche di prezzo controllate». Riuscite a controllare così bene la distribuzione? «Sì. Dal 2019 vendiamo in tutta Europa solamente ai negozianti che hanno firmato il contratto di distribuzione selettiva prevista dalla normativa europea. Questa mossa ci ha fatto perdere circa 200 clienti, ma lo abbiamo fatto lo stesso per dare qualità e selettività alla distribuzione. Inoltre abbiamo inserito la tracciabilità dei nostri orologi: tutti i nostri pezzi hanno un chip con un codice che permette la loro reperibilità. Di conseguenza acquistandone uno online, sappiamo a chi l’abbiamo venduto e sappiamo anche chi eventualmente lo sta distribuendo in modo non autorizzato». Nell’alta orologeria il chip ha avuto qualche problema. «Nei nostri orologi la tracciabilità non ha mai creato nessun problema». Avete attuato altri cambiamenti per l’online? «Sì, abbiamo appoggiato un gruppo di giovani per lo sviluppo di un software chiamato “Competitoor” il quale ogni giorno ricerca i nostri codici di prodotto (circa diecimila) e analizza in tutti i siti nel mondo se sono stati venduti. Questo ci permette di rilevare chi lo sta vendendo e a quale prezzo. Per noi l’insieme di: software per la ricerca del prodotto, il contratto di distribuzione selettiva, la chiusura dell’Amazon marketplace e la tracciabilità integrale dei nostri orologi, significa fare qualità della distribuzione. In questi anni siamo stati gli unici nella nostra fascia di mercato a farlo e grazie ai cambiamenti attuati la nostra qualità è stata riconosciuta sia dal mercato che dal consumatore». Secondo voi cosa è necessario per gli acquirenti? «Credo che i negozi fisici siano ancora importanti per i consumatori, infatti, se il cliente deve

riparare l’orologio o cambiare il cinturino dovrà necessariamente rivolgersi al negoziante. Un altro interesse del consumatore è sapere che quello che spende è il reale valore dell’oggetto e sa che una volta acquistato un Philip Watch non lo ritroverà il giorno dopo al 20% o al 30% di sconto, ciò significa tutelare l’acquirente e al tempo stesso salvaguardare una filiera». Un grande lavoro per dare qualità. «Sono quasi tre anni che lavoriamo sul software di ricerca, sulla distribuzione selettiva e la tracciabilità di prodotti e dietro queste componenti c’è un grandissimo lavoro: industriale per la tracciabilità, organizzativo e di selezione del mercato. Sono convinto che, terminato questo periodo difficile, il consumatore cercherà i valori più di prima». Il cliente quindi cerca valore e stabilità? Insomma, vuole spendere bene i suoi soldi? «Esatto. Ho notato che nei nostri negozi, e secondo me è il trend, si fanno meno scontrini ma di prezzo più alto. Il consumatore cerca la sostanza, il valore che dura, i marchi che abbiano una storia e tradizione, questi credo siano i motivi della crescita di Philip Watch. Vedo un consumatore che ha voglia di tornare a vivere e vuole la qualità di chi ha lavorato bene». Cosa ne pensa del contrasto tra negozio fisico e online? «Una cosa che mi colpisce molto all’interno del nostro settore è l’idea che il Nord Europa e gli USA hanno del negoziante: pensano che sia una figura ormai vecchia e che il futuro sia online e delle grandi catene. Questa visione per me non è corretta. Sono d’accordo che l’online abbia una sua crescita, ma è necessario che sia incanalata nel modo corretto altrimenti, senza un controllo, il rischio è di danneggiare il marchio. Nella mia opinione, il ruolo del negozio fisico continua ad essere sempre molto importante, infatti, sia il web che le nostre boutique hanno un trend positivo».

A LIVELLO INTERNAZIONALE LA NOSTRA CAPITALE È UNA DELLE IMMAGINI PIÙ RAPPRESENTATIVE NEL MONDO: SIAMO ORGOGLIOSI DI AVER SCELTO QUESTO NOME E CHI NON È D’ACCORDO SE NE FACCIA UNA RAGIONE

Philip Watch collezione Roma automatico con data, cassa 41mm in acciaio Vetro zaffiro antiriflesso, quadrante bianco opaco con indici applicati. 740 Euro

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mode del tempo CAPITOLO 3




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BONDAGE È DAVVERO IMPOSSIBILE FERMARE IL TEMPO? di Gaia Giovetti foto di Lucio Convertini modella Alexane Delalè ha collaborato Costanza Maglio



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A sinistra, dalla collezione “Possession” anelli a fascia in oro rosa e dimanti . A destra anello “Rose” con petali in oro rosa e diamante centrale, orologio “Limelight Gala” con movimento meccanico a carica automatica, bracciale maglia milanese e cassa in oro rosa, lunetta di diamanti, tutto PIAGET.

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Orologio “Pasha” con cassa in acciaio da 35mm, movimento automatico e doppio cinturino intercambiabile, CARTIER . Bracciali tennis in oro bianco con diamanti di diverse carature. Anelli solitari, trilogy e demiriviere con montatura in oro bianco e diamanti e anello a fiore in oro bianco con petali di diamanti, PISA DIAMANTI . Decollete in vernice nera con punta di cristalli neri e nastro in seta da allacciare alla schiava, CHRISTIAN LOUBOUTIN

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A destra, Bangle “Coco Crush” con motivo matelassé in oro bianco e diamanti. Anello doppio “Coco Crush” in oro bianco e oro giallo con diamanti e disegno matelassé, CHANEL JOAILLERIE. A sinistra, Orologio “Code Coco” con cassa in acciaio, due quadranti neri laccati con diamante taglio princesse, lunetta di diamanti e movimento al quarzo. Bracciale in acciaio e ceramica nera ad alta resistenza. Orologio “Code Coco” con cassa e bracciale in acciaio, due quadranti neri laccati con diamante taglio princesse e movimento al quarzo, CHANEL HORLOGERIE . Anelli “Coco Crush” a fascia in oro bianco e pave di diamanti com decoro matelassè, CHANEL JOAILLERIE. Coulotte shaping nera a vita alta, YAMAMAY.

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Orologio “Serpenti Seduttori” con bracciale a scaglie in acciaio lucido, cassa con lunetta di diamanti e quadrante bianco con indici e numeri romani, BULGARI. Dalla collezione “Mondo” anelli “Versailles” in oro bianco e diamanti più “Spine” in pavé di smeraldi, e in oro giallo e diamanti più “Spine” di rubini. Sull’altra mano da sinistra, sempre dalla collezione “Mondo”, anello “Versailles” in oro bianco e diamanti e “Spine” di pavé di zaffiri blu, anelli “Luxor” in oro giallo con “Spine” di diamanti bianchi e in oro bianco con “Spine” di Rubini, FARNESE GIOIELLI. Decollete “Angel Eye” in pelle e tacco Blade in acciaio brunito, CASADEI .

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Dalla “collezione Aurora”: da sinistra anello in oro rosa con diamanti e zaffiri verdi e viola, a destra anelli contrarier con zaffiri multicolor su oro rosa e diamanti, bracciali contrarier con zaffiri rosa e viola montati su oro rosato con diamanti, LJ ROMA 1962. Coulotte shaping nera a vita alta, YAMAMAY.

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Decollete Twist-up con tacco 95 mm in pitone con allacciatura alla schiava, MARIO VALENTINO. Tuta shaping nera, YAMAMAY. Orologio “Discobolo Lady” con movimento meccanico a carica automatica, cassa in acciaio e lunetta di diamanti e rubini, cinturino in alligatore azzurro, ZANNETTI.

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Orecchini, collier e anello “Lion” con diamanti, granati hessonite, tormaline rosa e zaffiri gialli montati su oro giallo, RUBEUS . Orologio “Calatrava” con movimento meccanico a carica automatica, cassa in oro rosa e lunetta di diamanti, cinturino in alligatore rosa, PATEK PHILIPPE.

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Dalla collezione “Hortus Deliciarum”, Orecchini chandelier e bracciale morbido in oro bianco con motivi di foglie, cuori e freccie di diamanti e zaffiri blu con tanzanite, GUCCI HIGH JEWELRY . Reggiseno push up nero. YAMAMAY.

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bondage ‹bòndig› s. ingl. (propr. «servitù, schiavitù») usato in ital. al masch.

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dolce vita CAPITOLO 4



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RUOTE VINTAGE

UNA MASERATI NEL CUORE CARLO BORGONOVI E LA SUA GHIBLI SS

Di Carlotta Mancini gentlewomandriver.com

INIZIA A COLLEZIONARE auto dal 1983 tramite un amico appassionato, cominciando con una Lancia Appia seconda serie e poi una Alfa Romeo GT 2000 ma il salto di qualità avviene con la Maserati Ghibli del ‘70. Carlo Borgonovi, patito collezionista di auto d’epoca, è passato per più di trenta Porsche tra le quali spiccano una 911 3.2 del 1989, 964 cabriolet e Turbo Look e una 993 cabrio. Il massimo del massimo a suo parere è stata la 964 Turbo 3.6 venduta perché troppo potente e pericolosa da guidare. Continuando in terra tedesca è stato proprietario di una delle più belle BMW roadster, la Z8 da 400 cavalli, guidata anche da James Bond ne “Il mondo non basta”. Ad oggi dormono nel suo garage una Maserati Merak SS cruscotto Bora, della stessa casa la Biturbo Spider 6 cilindri 240 cavalli, poi BMW Z3 M e Ferrari F355 Spider cambio manuale. Ne ha cambiate tante, ma l’unica rimasta

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con lui dal 1986 è la fedele compagna di avventure della quale parleremo: la Maserati Ghibli SS giallo strega. Lei è proprietario di una bellissima e ambita Ghibli SS. Qual è la sua storia? «Era da tempo che ne cercavo una e devo dire che ho perlustrato tutta l’Italia per trovarla, da Palermo a Bolzano. Volevo la 5.0 di cilindrata con 335 cavalli, cioè la SS che sta per Super Sport. Alla fine mi sono imbattuto in un esemplare del 1970 targata Torino che “dormiva” sotto ad una tettoia. Qualcuno ci aveva poggiato sopra delle assi e delle bacinelle; era letteralmente buttata lì come se non interessasse a nessuno. Il colore era un visone o tabacco chiaro e purtroppo aveva il motore bloccato. Sinceramente non posso dire che sia stato amore a prima vista, mi è piaciuta ma era brutta, brutta davvero. In


DOLVCE VITA

seguito l’ho portata in officina Maserati nella quale si sono occupati di sistemare la parte meccanica: differenziale, freni, frizione, motore e pistoni. È stato un intervento chirurgico di alta qualità e di elevato costo. Successivamente è andata in carrozzeria, qui la vernice marrone è stata solamente lucidata perché non presentava ruggine e non aveva bisogno di operazioni invasive. Gli interni sono in pelle totale nera, ha due posti più due, anche se in realtà sui sedili posteriori non entra nemmeno un bambino, al massimo due ventiquattrore. Nel bagagliaio invece c’è abbastanza spazio per due valigie e ha anche la sede con la ruota di scorta. Inoltre è dotata di vetri elettrici azzurrati, servosterzo e aria condizionata, il massimo per quell’epoca a livello di accessori. I cerchi sono gli originali della Campagnolo. Altra particolarità sono i fanali che si

alzano con un interruttore, cosiddetti a palpebra.» C’è qualcosa di modificato o non originale? «No. Sono un fanatico dell’originalità. Anche per quanto riguarda la vernice gialla» . Qualcosa è stato cambiato. «Quando l’ho trovata era marrone chiaro metallizzato, ma in realtà la macchina è uscita dalla fabbrica in un bel verde gemma metallizzato. La storia del cambio colore nasce a causa di un mio amico che possedeva un esemplare giallo che mi colpì molto; l’ho trovato bello ed interessante. Così all’interno dell’ambiente Maserati mi sono informato riguardo il codice del “giallo strega”, una tinta leggermente più chiara di quella Ferrari, pertanto l’ho fatta verniciare secondo tutti i criteri della casa madre. Tengo a precisare che se usata tutti i giorni

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il giallo tende a stancare ma a me piace lo stesso. So anche che se tornasse del suo colore originale aumenterebbe il valore, ma per il momento mi va bene così». Alcuni collezionisti non prendono l’auto se minaccia brutto tempo. E lei? «In realtà l’ho usata molto negli anni passati, adesso un po’ meno. Mi ha accompagnato in molti viaggi e manifestazioni in giro per l’Europa. Per esempio ho avuto il piacere di guidarla per il suo primo raduno in Austria, continuando poi in Olanda, Svezia, Belgio, Svizzera e Francia. Vorrei far notare che il consumo non è basso: con un litro si fanno tre o tre chilometri e mezzo di media, di conseguenza bisogna sempre tenersi vicini a dei distributori di benzina.» Ha mai pensato di venderla? «No. Lei e le altre due Maserati non ho intenzione di venderle. L’unica che potrei valutare di cedere è la Ferrari, principalmente perché non ho molte amicizie nell’ambiente del cavallino in quanto la uso solo nei dintorni per non tenerla ferma in garage.» Collezionare auto: gioie e dolori. Le prime le immaginiamo, i secondi? «Sono trentotto anni che frequento l’ambiente collezionistico e la nota dolente riguarda i pezzi di ricambio. All’interno del collezionismo di automobili i ricambisti Maserati si contano sulle dita di una mano, e chiaramente, non vendono ai prezzi di Fiat, Lancia o Alfa Romeo. I costi per i ricambi sono molto alti: per esempio ultimamente ho sistemato alcune parti e vedo che le cifre sono sproporzionate, non parliamo di prezzi competitivi ma spese davvero esagerate. Tuttavia se la voglio aggiustare devo sempre chiedere ai quattro o cinque ricambisti di pezzi originali, rifatti o rigenerati; d’altronde o ci impegniamo a conservare un pezzo di storia dell’automobilismo o tanto vale vendere.» Come vede l’aumento vertiginoso delle quotazioni di alcuni modelli? Una fortuna o un problema?

«Attualmente le quotazioni sono crollate a causa della crisi, i prezzi di molte automobili sono precipitati perché nessuno compra. Il mercato negli anni Novanta era più euforico, il valore delle vetture era al massimo come anche nel 2010. Il commercio ad oggi è cupo, le persone che organizzano i saloni brontolano, i collezionisti vorrebbero comprare ma non hanno idea di come si prospetti il futuro. L’unica marca che è rimasta stabile e che ha tenuto bene è la Porsche. A quanto ho notato è ancora molto richiesta, in particolare mi riferisco ai modelli degli anni ’50 fino al 1998 con raffreddamento ad aria. L’impatto con la 996 a raffreddamento ad acqua non è stato molto gradito al porschista puro.» C’è una macchina che, quando la vede passare, pensa: vorrei averla io? «L’unica che vorrei è la Porsche 964 Speedster 3.6 aspirato con raffreddamento ad aria e cambio esclusivamente manuale. Voglio sentire l’emozione del cambio. Tuttavia le richieste sono molto alte perché come ho già detto, ha mantenuto il suo valore. Ferrari e Maserati purtroppo non hanno tenuto molto bene il mercato a parte i pezzi rari come la Ferrari 288 GTO, la F40 e la F50, ma sono vetture che superano il milione e quindi non adatte alle mie tasche. Al semaforo le si affianca una Ferrari 365 Daytona. «La Ferrari Daytona è una macchina indubbiamente bella che colpisce l’occhio di chi la osserva. Ho avuto il piacere di guidarla da Modena a Milano ma sinceramente preferisco la morbidezza e l’eleganza della Maserati anche se il suo valore è inferiore. Avendo guidato la mia Ghibli in lungo e in largo per tutta l’Europa non posso fare a meno di apprezzare la sua comodità e la sua facilità di guida, non essendo per nulla faticosa. Nei lunghi tragitti mettevo la mia musica preferita nelle audiocassette C60 o C90 e mi godevo il viaggio in una macchina così confortevole. Ciononostante apprezzo molto la Daytona, è effettivamente un gran bel pezzo riuscito.»

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LOCHERBER MIL ANO

OLTRE L’OLFATTO LA TERZA VITA DELLE MATERIE PRIME AL SERVIZIO DEL DESIGN E DEI PROFUMI D’AMBIENTE Di Lara Mazza

PRECURSORI E MANTENITORI dell’eleganza dell’eleganza della ristorazione anche in un contesto di sobrietà, i I profumi disegnano le architetture immateriali del nostro vivere. Suscitano emozioni e ricordi, accompagnano momenti. Non a caso la profumeria può essere paragonata al naso come la musica all’orecchio. In linea con questa connotazione estetica, la terza classificazione della qualità olfattiva di un profumo è descritta in metafore musicali. La scienza del profumo è la chimica e il risultato olfattivo è l’arte. Le fragranze esclusive di Locherber Milano sono studiate per rendere speciali luoghi e occasioni. Creazioni uniche e avvolgenti che nascono da oltre quarant’anni di esperienza nel settore della cosmesi, da principi attivi naturali e materie prime selezionatissime. Locherber Milano ricerca l’armonia che si genera dall’equilibrio dei cinque sensi e può arrivare a toccare il sesto, quella forza arcaica e primitiva che c’è in ognuno di noi e che ci spinge inevitabilmente verso la bellezza e il benessere. Nascono così non solo le profumazioni, ma anche i diffusori per ambiente che riescono a coniugare la chimica con l’estro che scaturisce dalla manifattura artigianale. Non semplici “profumatori”, ma pezzi unici perché nati da mani sapienti e curati nei minimi dettagli. Dai flaconi in vetro verniciato a mano (per aumentarne la capacità di riflettere la luce), ai tappi (in legno e materiali preziosi) che richiamano l’arte decorativa classica o forme naturali, alle etichette in carta con stampa a rilievo tutte applicate a mano, all’utilizzo di legni pregiati: ogni dettaglio viene studiato accuratamente, nulla è lasciato al caso, ma è il risultato di scelte attente e ricercate. La medesima cura che caratterizza il design dei diffusori, viene declinata nelle fragranze create con l’aiuto di esperti Maître Parfumeur che selezionano i migliori oli essenziali nelle zone di origine. Un universo olfattivo creato per generare piacevoli emozioni e donare sensazioni di benessere. Brigitte Barlocher, Head of Marketing and Communication del Gruppo Cosval, di cui Locherber Milano fa parte, e terza generazione in azienda, ci racconta come il linguaggio della profumeria ne testimonia le sue intrinseche qualità estetiche.

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Come e quando è nato il progetto? «Il brand è nato nel 2010 quando ancora non ero in azienda, frutto della creatività di mia madre e di mio padre. Allora il brand era molto giovane così come le fragranze e il design dei diffusori. Inizialmente la volontà era quella di differenziare l’offerta all’interno del nostro Gruppo già presente sul mercato con prodotti di erboristeria e parafarmacia. Abituati ad un mondo diverso ma con la volontà di scoprire nuovi ambiti, il progetto Locherber rappresentò “un mettersi in gioco” in un mercato molto diverso da quello da cui veniamo. Ci ha spinto la passione, la passione per il made in Italy e per le essenze. Pian piano, con il passare del tempo, dal mondo puro delle fragranze, abbiamo rivolto la nostra attenzione ai profumatori andando alla ricerca di quei pochi artigiani rimasti in grado di creare oggetti davvero speciali. Ci siamo incuriositi e abbiamo voluto scoprire ciò che riescono a fare con le loro mani. All’inizio l’attività ha richiesto ingenti investimenti da parte nostra ma quello che oggi riusciamo a proporre al mercato è di altissimo livello e ha raggiunto l’anima delle persone. Materiali pregiati, a volte unici, che vengono plasmati da mani esperte e che sottendono un concetto di artigianalità così forte da appassionare noi così come la nostra clientela. Dal momento in cui sono arrivata in azienda ho pensato di realizzare alcuni video che raccontassero la storia dietro questi prodotti: storie reali, storie di uomini che lavorano giorno e, a volte, anche la notte, per lasciare un’impronta indelebile in ciò che fanno. Storie toccanti attraverso le quali emozioniamo chi le guarda così come emozionano noi. Questo

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messaggio è arrivato. Sul sito è possibile scoprire le storie dei nostri artigiani e ciò che si cela dietro ogni fragranza.» Di solito gli artigiani sono persone schive, come hanno risposto a questa vostra iniziativa? «Sì, lo sono. Non è stato facile ma siamo soddisfatti del risultato: sia le riprese che le fotografie sono molto belle. Sono persone semplici e attraverso la semplicità hanno saputo mostrare la loro vera anima. Non c’è stato bisogno di creare copioni o set cinematografici. Niente marketing. Il loro messaggio arriva subito perché è reale e viene dal cuore.» La clientela è alla ricerca di questa esclusività? «Sì. I nostri clienti sono alla ricerca di un prodotto diverso dagli altri, in grado di raccontare una storia vera.» Qual è dunque il messaggio di Locherber Milano? «Noi siamo diversi in tante cose. Per noi il concetto di diffusore è totalmente diverso da quello che si trova sul mercato oggi. Noi facciamo design. Made in Italy al 100%. Design milanese, che è riconosciuto in tutto il mondo. Nello specifico noi siamo specializzati nel design dei tappi. Ognuno di esso è brevettato e registrato ufficialmente. Per la loro realizzazione usiamo materiali naturali ma molto ricercati: rarissime pigne che vengono dall’Australia; vari tipi di legno come il tamarindo, l’ebano Makassar o il cedro del Libano, per citarne solo alcuni; pietre semipreziose come l’onice o la sodalite; marmi, di tutti i colori, come il rosso Francia o il nero portoro. Tutto è


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ABBIAMO TRASFORMATO IL PROFUMATORE IN UN OGGETTO DI DESIGN, INNALZANDOLO DA SEMPLICE CONTENITORE A COMPLEMENTO D’ARREDO ECCEZIONALE, TRAVALICANDO IL SUO ASPETTO PIÙ FUNZIONALE

il risultato della nostra costante ricerca. Siamo molto curiosi e andiamo alla ricerca di ciò che c’è di più raro e prezioso. Per fare un esempio, per la nostra linea Venetiae abbiamo usato il legno delle briccole, ovvero i pali della laguna di Venezia che oggi vengono recuperati e valorizzati per produrre oggetti di arredo. Noi, per la prima volta, li abbiamo utilizzati per creare dei tappi: un lavoro molto lungo e complesso vista la particolarità di questo materiale. Il risultato è un oggetto unico e numerato perché le stesse briccole da cui provengono sono rese uniche dall’operosità delle teredini, piccoli molluschi che le aggrediscono e le erodono.» Meglio chiamarla arte o design? «Bella domanda. Dietro ogni creazione è indubbio che ci sia una grande ricerca artistica; d’altro canto se intendiamo il design non solo come disegno industriale, finalizzato in ogni caso a rendere piacevole per i sensi un oggetto prodotto meccanicamente e rivenduto in serie, ma come un pensiero che preleva le qualità decorative dell’arte e le fa proprie, allora possiamo utilizzarle entrambe. Ogni singolo pezzo nasce da una “tela bianca” come un’opera d’arte, ma ha una sua funzionalità specifica come il design.» Come si sviluppa il binomio packaging e fragranza? «Per alcuni prodotti abbiamo affiancato un materiale che potesse ricordare la fragranza per mantenere una coerenza fra interno ed esterno. Secondo la mia opinione la fragranza è importantissima, è il cuore pulsante del diffusore; di contro avere una ottima fragranza in un packaging mediocre non funziona. Non stiamo

intraprendendo la strada del lusso e rispondiamo a una richiesta sempre maggiore di una clientela che cerca il meglio. Noi curiamo tutto, sin nei minimi particolari.» Come nascono le fragranze? «Le fragranze nascono da una ispirazione: a volte viene da un materiale particolare, altre volte ci ispiriamo ad un luogo. Il Giappone è un esempio. La nostra intenzione è creare un vero e proprio viaggio olfattivo ed emozionale.» Quanto conta l’innovazione nell’arte profumiera? «Noi cerchiamo di innovarci costantemente, soprattutto nella ricerca di elementi e composizioni olfattive nuove ed originali ma il tratto più innovativo di Locherber Milano è l’aver trasformato il profumatore in un oggetto di design, averlo innalzato da semplice contenitore a complemento d’arredo eccezionale, travalicando il suo aspetto più funzionale.» Un esempio? «La nuova collezione Skyline dedicata alla Milano dei grattacieli. Il design slanciato e contemporaneo dei flaconi in vetro fumé, realizzati da maestri vetrai italiani, rende omaggio al dinamismo e alla proiezione verso il futuro che caratterizza da sempre la città punto di riferimento internazionale per il design e la moda. Un modello brevettato e depositato che coniuga classicità e modernità: la nuova silhouette interpreta con eleganza il minimalismo contemporaneo in perfetto pendant al design del tappo T2 e alle sue linee a cubo sgusciato ispirate agli antichi capitelli e divenuto ormai un’icona dello stile Locherber Milano.»

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ESSENZE

ETAT LIBRE D’ORANGE EROTISMO OLFATTIVO Se c’è un brand visionario nella moderna profumeria è Etat Libre d’Orange, il cui creatore, Etienne de Swardt, ne ha sancito i suoi principi attraverso una vera e propria dichiarazione di indipendenza: sei articoli che sottolineano, almeno filosoficamente, il diritto alla rivoluzione olfattiva in tutte le sue più intime ossessioni ed espressioni di puro desiderio. Art.1 – Il profumo è morto, viva il profumo! Noi proclamiamo con emozione la nascita di un territorio libero: l’Etat Libre D’Orange. Una terra di libertinaggio olfattivo, liberata da qualsiasi tabù, che riconosce come soli sovrani l’originalità e l’erotismo olfattivo. Una zona franca nel mondo normalizzato della

profumeria contemporanea in cui i nasi di talento, sottoposti alle esigenze del mercato, devono conformare i loro desideri olfattivi ai grandi numeri. Per creare fragranze originali, occorre lasciare libero corso all’immaginazione del loro autore: è questo che la Dichiarazione d’Indipendenza di Etat Libre d’Orange si impegna a rispettare i suoi nasi. Liberati dalle censure, i profumieri hanno trovato in Etat Libre d’Orange un territorio d’espressione sovversivo e ludico per tramutare in profumi i loro sogni (proibiti). Come un ritorno alle fonti essenziali del profumo, alla sua animalità, alla sua carica erotica, alla sua potenza evocativa, alla fisicità e ai suoi impulsi.

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PENNE D’AUTORE

PEZZI UNICI DESTINATI A STUPIRE ZANNETTI PROPONE UNA SERIE DI PENNE DEDICATE AI GRANDI COLLEZIONISTI

Di Mauro Girasole

NON È UNA STORIA ORDINARIA quella di Riccardo Zannetti. La sua avventura inizia con la passione per il bello, per la pittura, per le arti figurative. Giovanissimo frequenta la scuola d’arte, dove trova nel disegno la sua forma espressiva migliore. Sfruttando l’esperienza di famiglia nel mondo dell’orologeria e della creatività artistica, negli anni ’80 inizia dal suo laboratorio nel cuore di Roma, una piccola produzione di orologi con cassa in oro o in argento, caratterizzati dai richiami grafici alla romanità e alle forme classiche. La greca diventa ben presto il suo segno distintivo, mentre la rana ne rappresenterà per anni il suo animale portafortuna. La sua specializzazione, l’allargarsi del numero degli artigiani e dei mestieri d’arte che utilizza per la produzione dei suoi segnatempo, fa crescere d’importanza e di notorietà il suo atelier, conquistando un pubblico di affezionati acquirenti negli Stati Uniti, in Germania, Cina,

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Hong Kong, Singapore, Medio Oriente. In ogni suo segnatempo troviamo il segno artistico e la personalizzazione, due elementi che si possono garantire solamente con delle serie strettamente limitate. GLI OROLOGI Per Zannetti la cassa destinata ad alloggiare l’orologio e il bracciale destinato a fermarlo sul polso contano tanto quanto il movimento stesso. La creazione di una cassa, sempre ed esclusivamente in oro giallo oppure bianco, richiede il lavoro complesso e delicato di tanti specialisti, responsabili di una cinquantina di operazioni diverse. Anche la produzione di un bracciale in metallo prezioso implica una moltitudine di processi elaborati. L’abbigliamento dell’orologio deve infatti riflettere l’eccellenza del movimento, ed entrambi devono funzionare alla perfezione e assicurare il non plus ultra in fatto di praticità e comodità. Per questo il


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Zannetti attribuisce tanta importanza all’eleganza delle forme, alla preziosità dei materiali e alla perfezione delle finiture e delle decorazioni. Le sue meccaniche sono poi sempre ed esclusivamente svizzere, di altissima qualità, dotate delle migliori finiture oggi possibili. COME GIOIELLI In tutte le creazioni della Casa romana, ogni pietra preziosa destinata ad un anello, un orecchino, un pendente oppure una penna, sia essa un diamante, un rubino, uno zaffiro o uno smeraldo, deve essere la migliore nel suo genere e rispettare i rigidi standard imposti da severi standard qualitativi. Zannetti utilizza solo gemme perfette, di gradazioni cromatiche che vanno dal “bianco eccezionale” al “bianco extra”. La purezza del diamante risponde sempre a un grado di perfezione interna altissimo e il taglio della pietra deve essere impeccabile: la precisione del taglio è essenziale anche al fine di assicurare un’incastonatura regolare e stabile. Il compito degli incastonatori è posizionare le gemme a regola d’arte, garantendone la stabilità ed esaltandone al massimo la bellezza. Le pietre preziose vengono incastonate alla vecchia maniera: a mano e senza l’impiego di alcun tipo di sostanza adesiva. Nella montatura a castone l’incastonatore posiziona ogni pietra preziosa nel suo alloggiamento e la fissa ribattendo il bordo metallico circostante, sempre ed esclusivamente in oro bianco o giallo. Le gemme devono risultare tutte alla stessa altezza, puntare nella stessa direzione e garantire una tenuta saldissima. Precisione e rispetto della forma e del carattere sono fondamentali per esaltare la bellezza di ogni pietra e portarla al massimo del suo splendore. A

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questo si aggiunge il paziente lavoro degli artisti che realizzano le micropitture e le parti in smalto, in grado di differenziare la nostre produzione da quella di qualsiasi altro gioielliere. LE PENNE Tutte le peculiarità che caratterizzano la produzione Zannetti, si ritrovano intatte nelle sue collezioni di penne. Nulla in questi strumenti da scrittura viene lasciato al caso: il corpo è esclusivamente metallo nobile, reso spesso fastoso grazie agli smalti policromi e alle pietre di altissimo livello: diamanti, rubini, smeraldi, rendono le penne Zannetti dei gioielli unici al mondo, interamente costruiti e rifiniti a mano. Perfetto esempio di questa sapienza costruttiva è l’Art Pen “Carpa”: vediamo assieme l’evoluzione. In Cina e soprattutto in Giappone, la carpa è il simbolo del coraggio e della costanza. Un’antica leggenda cinese racconta di una carpa coraggiosa e perseverante che risalì alla cascata sulla Porta del Drago lungo il Fiume Giallo, superando ostacoli e spiriti maligni. Gli dei, impressionati da così tanto coraggio, lo trasformarono in un grande drago. Sotto forma di drago, la carpa acquisisce il dono dell’immortalità ed è diventata il simbolo di chi aspira a fare grandi affari e non ha paura di affrontare le avversità della vita. Zannetti interpreta il mito del drago in una penna unica nel suo genere, grazie all’altissima maestria del

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suo team. Tre mesi di lavoro e mani sapienti per riuscire a trasformare un sogno in un design e un design in realtà. La base è in un corpo in argento massiccio, su cui il disegno è passato manualmente con inchiostro indiano. Quindi il maestro incisore scava il corpo con il bulino, ricavandone delle zone che verranno poi riempite con smalti policromi. Questa tecnica si chiama champlevé e risale agli antichi romani, che in questo modo usavano decorare i metalli preziosi, per renderli gioielli. La difficoltà nello smaltare la penna, è data dalla superficie tonda e non orizzontale. Questo impedisce l’utilizzo di smalti a caldo, i più comuni e di facile posa. Zannetti utilizza invece smalti a freddo, inserendoli posizionando la penna in orizzontale, con successive applicazioni. Nella fase finale viene poi lucidato e poi smaltato per fissare i colori e garantire la possibilità di utilizzare la penna stessa senza rovinarne il design. Insieme al cappuccio smaltato e al corpo della penna, con altri smalti in nero intenso e arancione, sono state incastonate una varietà di pietre preziose (diamanti, rubini, smeraldi, zaffiri rosa). Il risultato è un oggetto spettacolare, dal design unico, dedicato a veri intenditori. L’opera d’arte italiana e le sue capacità artistiche, la cultura del gioiello nata oltre 2000 anni fa nell’antica Roma, rivitalizzata grazie a Zannetti.


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TONINO L AMBORGHINI

NASCE GINEVRA COLLECTION Tonino Lamborghini svela la capsule collection firmata dalla secondogenita Ginevra, creative advisor e testimonial di questa nuova collezione di borse. Tre i modelli realizzati a mano in Italia che richiamano i pattern stilistici del marchio e diventano dichiarazioni uniche poiché l’eleganza è vista da una prospettiva deliziosamente fresca e giovane. In questa piccola collezione gli originali elementi stilistici del brand del Toro – scudi, esagoni, linee nette e taglienti – e la gamma cromatica storica del marchio sono stati sapientemente mixati grazie al fascino

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creativo di Ginevra. Il richiamo all’heritage della famiglia Lamborghini è evidente nelle forme e nei dettagli metallici delle borse. Anche per questo accessorio femminile il logo a forma di scudo rappresenta la cifra stilistica di ispirazione, assicurando al contempo identità e coerenza ai prodotti del lifestyle Tonino Lamborghini. Ogni dettaglio conta, niente è lasciato al caso. Le tre nuove borse sono realizzate in pelle di vitello e lavorate a mano da esperti artigiani italiani nel rispetto degli standard qualitativi dell’azienda bolognese. L.M.


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VINO

UN PASSATO CHE PARLA AL FUTURO FRESCOBALDI INCARNA L’ESSENZA DELLA TOSCANA, LA STRAORDINARIA VOCAZIONE PER LA VITICOLTURA E LA VARIETÀ DEI TERRITORI.

Di Manlio Giustiniani

LA SUA UNICITÀ, l’unicità di Frescobaldi, nasce dalla rappresentazione di questa diversità, dalle sue sette Tenute e dai vini che esprimono un caleidoscopio di aromi e sensazioni, figlie delle caratteristiche di ogni singolo terroir. La storia dei Frescobaldi inizia più di mille anni fa, legata alla Firenze medievale nella quale i Frescobaldi erano influenti banchieri e più tardi nel periodo Rinascimentale furono mecenati di importanti opere come la costruzione del ponte di Santa Trinità e della basilica di Santo Spirito, ma allo stesso tempo i loro vini erano sulle tavole di molte corti europee. Oggi il testimone è nelle mani di Lamberto, Presidente della Frescobaldi dal 2013, che forte della sua lunga esperienza tecnica ha l’obiettivo di rafforzare ultriormente l’unicità delle tenute

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di famiglia. Lo abbiamo incontrato alla Milano wineweek per la celebrazione del venticinquesimo anno del vino “Luce” LAMBERTO INIZIA introducendo la filosofia dell’azienda: “Il nostro stile è fare parlare la terra e la diversità dei territori, le cui caratteristiche variano da tenuta a tenuta. Abbiamo profondo rispetto per la storia delle differenti zone di produzione che vogliamo rappresentare fedelmente. L’obiettivo è il più alto livello di qualità nell’assoluto rispetto della tipicità delle nostre uve, che sono l’espressione del territorio. Questo impegno è la nostra sfida quotidiana.” Tale filosofia si riassume nella frase “cultivating Toscana diversity” che sancisce il legame della famiglia con la varietà del territorio toscano.


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LA SUA UNICITÀ, l’unicità di Frescobaldi, nasce dalla rappresentazione di questa diversità, dalle sue sette Tenute e dai vini che esprimono un caleidoscopio di aromi e sensazioni, figlie delle caratteristiche di ogni singolo terroir. La storia dei Frescobaldi inizia più di mille anni fa, legata alla Firenze medievale nella quale i Frescobaldi erano influenti banchieri e più tardi nel periodo Rinascimentale furono mecenati di importanti opere come la costruzione del ponte di Santa Trinità e della basilica di Santo Spirito, ma allo stesso tempo i loro vini erano sulle tavole di molte corti europee. Oggi il testimone è nelle mani di Lamberto, Presidente della Frescobaldi dal 2013, che forte della sua lunga esperienza tecnica ha l’obiettivo di rafforzare ultriormente l’unicità delle tenute di famiglia. Lo abbiamo incontrato alla Milano wineweek per la celebrazione del venticinquesimo anno del vino “Luce”

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LAMBERTO INIZIA introducendo la filosofia dell’azienda: “Il nostro stile è fare parlare la terra e la diversità dei territori, le cui caratteristiche variano da tenuta a tenuta. Abbiamo profondo rispetto per la storia delle differenti zone di produzione che vogliamo rappresentare fedelmente. L’obiettivo è il più alto livello di qualità nell’assoluto rispetto della tipicità delle nostre uve, che sono l’espressione del territorio. Questo impegno è la nostra sfida quotidiana.” Tale filosofia si riassume nella frase “cultivating Toscana diversity” che sancisce il legame della famiglia con la varietà del territorio toscano. “Il mio sogno e quello della mia famiglia è condividere lavoro, emozioni e passione attraverso i nostri vini. Una vita dedicata a capire e a valorizzare questi terroir rendendoli parte dello spirito della Toscana come arte del bello e del

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buono. Mille anni di storia di questa famiglia sono per me un tesoro unico ed irripetibile di conoscenze e tradizioni; il mio dovere è condividere e trasmettere alle generazioni future rispetto, passione e amore per questi luoghi e per queste colline eterne”. afferma Lamberto che ci racconta come iniziò il progetto di Luce: “Tutto è iniziato quando, insieme alla famiglia Mondavi, abbiamo trovato “casa” a Montalcino, territorio di elezione per la produzione di grandi vini. Sono state la tradizione e le nostre precedenti esperienze a indicarci la strada, e con Luce abbiamo cercato di dare un’interpretazione molto personale, senza lasciarci mai vincolare dal passato, ma facendone tesoro.” Dopo un quarto di secolo, ripercorrendo con la memoria ogni vendemmia emerge la consapevolezza che Luce nasce dal rispetto dell’unicità di quel territorio di cui è espressione. Un’unicità che l’uomo, attraverso il suo lavoro e con intelligenza, ha

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saputo da un lato preservare e dall’altro interpretare. “Siamo partiti da una proprietà a sud-ovest del comprensorio di Montalcino che aveva le caratteristiche perfette per dare corpo e vita alla nostra visione” continua Lamberto Frescobaldi. “La vicinanza al mare, l’esposizione al sole e l’unicità del suolo la rendono una terra magnetica. Un luogo capace di attirare a sé e coinvolgere persone di talento, che con le loro esperienze e la loro determinazione hanno dato vita a Luce anno dopo anno.” Ed è in questo luogo straordinario che si realizzano i preziosi equilibri che rendono speciale la Tenuta Luce. Si lavora con rispetto la terra, che a Montalcino sa esprimere eccellenza, ed è un luogo di una bellezza unica con un paesaggio armonioso a cui l’uomo guarda per ispirarsi: “La bellezza è come linfa vitale, spiega Lamberto, perché il bello alimenta la nostra capacità di fare bene”. “Conoscere e rispettare la terra, il vigneto e le

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BOLLICINE

MUMM CUVÈE MGC FIRMATA ROSS LOVEGROVE Non è Natale senza bere bene e con l’approssimarsi delle feste scegliere un vino di indiscutibile qualità è imprescindibile. Essenzialità e leggerezza estetica sono le caratteristiche della nuova cuvée MGC, acronimo di Mumm Grand Cordon. Platone affermava che quello che vale è ciò che è “αχροια”, cioè “non ha colore”. Ed è qui che bello e vero coincidono: il bello è stato tolto della sua essenza e diventa forma ed espressione sensibile delle idee. Di tutte le idee. La Masion Mumm, per intenderci quella dell’inconfondibile nastro rosso, di idee ne ha e tante. E questo è il suo valore più grande. Forte di una storia che risale a ben prima del 1827, data ufficiale della sua creazione, con MGC, la nuova cuvée creata in un’ottica sostenibile da Ross Lovegrove, acclamato e visionario designer gallese di fama internazionale, Mumm riconferma il suo ruolo pioneristico e innovativo. Nasce così una bottiglia rivoluzionaria: soli 835 grammi per un 1 litro di bollicine e per un’emozione inestimabile. Realizzata in vetro riciclato, è una delle più leggere bottiglie di champagne al mondo che assicura alla Maison tedesca un primato importante a benefico del pianeta. A renderla stilosa i pensa un design d’avanguardia, essenziale ed espressivo, che restituisce al gesto artistico la sua aspirazione funzionale. Per la prima volta infatti l’etichetta è stata rimossa, logo ed emblema oro sono stampati direttamente a caldo sul vetro. A identificarla l’inconfondibile Cordon Rouge inciso, come fosse un graffio rosso, che instilla grinta e potenza raccontando

la forza del pinot noir, vitigno caratteristico della Maison. L’eleganza è resa attraverso un collo allungato e sottile: una scelta estetica che si adegua all’esigenza di accompagnare gli aromi particolari di questo Mumm Grand Cordon in un vivere di assoluta contemporaneità. La ricerca certosina della qualità, infine, ha determinato la scelta del tappo in sughero Mitik Diam che tra l’altro scongiura il fastidioso inconveniente di ‘sa di tappo’. La Maison Mumm crede talmente nell’urgenza di una prospettiva eco-sostenibile, della necessità di tendere all’essenziale, che ha inventato un nuovo programma di remuage, adeguato alla nuova cuvée MGC, nuova sia nella forma sia nel contenuto. Il Pinot Nero definisce la personalità di questo vino, rappresentando il 45% dell’assemblage, e costituisce il motore che offre forza e struttura in contrasto con la freschezza e l’eleganza dello Chardonnay (30%). Al tutto si aggiungono la morbidezza e le note fruttate del Pinot Meunier (25%), e i vini di riserva di cinque annate diverse (fino al 30%), come garanzia di coerenza di stile. Di un giallo paglierino brillante, bollicine raffinate testimoniano l’eleganza e la dinamica dello champagne. Mumm Grand Cordon rivela aromi di frutta frutti tropicali gialla, tra cui spiccano l’ananas, vaniglia e caramello. Il gusto è rotondo con una freschezza precisa che testimonia la complessità del vino. Finale persistente ma mai tagliente. Con i suoi 30 i mesi di invecchiamento è garanzia di pregevolezza. Perché anche l’arte richiede disciplina.

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MALFY

IL GIN ITALIANO TRA SALERNO E LA COSTIERA L’ECCELLENZA TRA I DISTILLATI È MADE IN ITALY E PERNOD RICARD NE FIRMA IL SUCCESSO Di Lara Mazza

NOI ITALIANI ABBIAMO tante bellissime storie di paternità di grandi invenzioni e questa sembra essere una di loro. Il gin infatti ha una origine tutta verde, bianca e rossa, come la nostra bandiera. Oggi l’Italia rappresenta il più grande esportatore di ginepro nel mondo. La leggenda narra che le prime immersioni di bacche di ginepro nell’alcol si possano datare al 1055 e possano essere attribuite a monaci benedettini che vivevano sulla costiera amalfitana. Le prime sperimentazioni alcoliche riconducibili al gin invece sono state fatte a Salerno, presso la Scuola Medica Salernitana, la prima e più importante istituzione medica d’Europa nel Medioevo. Un libro, intitolato “Il Gin Italiano di Fulvio Piccinino”, parte proprio dal ritrovamento di un documento sensazionale datato 1555 che dimostra come la prima distillazione di Botanical Gin sia tutta italiana. La formulazione del gin come oggi la conosciamo invece è il risultato di diversi processi raffinati nel corso dei secoli, e delle nazioni. Anche se la storia dei gin italiani e dei liquori al ginepro si perde nella notte dei tempi, c’è un gin che promette di regalare l’emozione di avvicinarsi alla storia dei monaci medievali di Amalfi attraverso le sue botaniche. Malfy è il gin 100% Made in Italy ispirato allo stile di vita, ai colori e sapori della costiera amalfitana. Dotato di grande personalità grazie ai suoi aromi agrumati, questo distillato vuole essere soprattutto un invito a vivere tutto l’anno in modo vibrante, con quella leggerezza che non è superficialità, ma - come scrive Italo Calvino – “planare sulle cose dall’alto”, di cui la Costiera è un’icona. Sono pregiate e tutte

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rigorosamente italiane le 9 botaniche di Malfy: bacche di ginepro della Toscana raccolte a mano, limone della Costiera Amalfitana e di Sicilia, pompelmo rosa siciliano, arance rosse di Sicilia, semi di coriandolo, radice di liquirizia, radice di angelica, corteccia di cassia e radice di iris. Come pregiato è anche il design delle bottiglie che, attraverso colori vivaci e grafiche accattivanti, sono un inno a quegli stessi agrumi che ne compongono l’essenza. Dotate di tappi realizzati con nobile quercia italiana, ogni bottiglia riporta la sigla G.Q.D.I., acronimo di Gin di Qualità Distillato in Italia, stampata sull’etichetta e, a rilievo, lo stemma ispirato alle quattro repubbliche marinare: Genova, Venezia, Pisa e Amalfi. a rappresentare qualità e autenticità. Libero, spensierato e conviviale, Malfy racconta lo stile di vita e il “saper fare bene” italiano, le cui tradizioni hanno conquistato il mondo. Un successo raccontato in queste pagine da Dejan Petrovic, Senior Brand Manager di Pernod Ricard, a cui è affidata la distribuzione esclusiva in Italia, e Rebecca “Poppy” Calonghi, la giovanissima e talentuosa Brand Ambassador del marchio. Dejan la tua professione prevede grandi responsabilità sul mercato, cosa significa essere distributori di un prodotto italiano d’eccellenza? «Significa tante cose, a più livelli. Per esempio la parte di sviluppo del brand che facciamo in Italia venie presa come esempio e come parametro di riferimento anche per quella che è la parte dedicata alla comunicazione di Malfy nel mondo. Noi italiani conosciamo l’Italia meglio di chiunque altro


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e ci risulta più semplice distinguerci rispetto a quella che è la percezione internazionale. Tutto ciò che il mondo intero ci invidia - i paesaggi, la qualità della vita, il mangiare bene e molte altre cose – sono tutti elementi iconici e rappresentativi del nostro paese, differenti dal resto del mondo. Sicuramente l’immagine della “dolce vita” italiana è ancora forte nell’immaginario dei nostri clienti internazionali nonostante l’approccio comunicativo nei confronti del consumatore italiano sia leggermente diverso.»

la composizione delle botaniche, evitando la degradazione dovuta al calore. Le botaniche sono distillate separatamente per accentuare i singoli sapori. Gli agrumi vengono impregnati di alcol e quindi spremuti con un torchio tradizionale, prima di essere distillati con bacche di ginepro della Toscana.»

Come viene recepito il fatto che le origini del gin siano italiane rispetto alla credenza che sia un prodotto estero? Aiuta a posizionare il brand sul mercato? «Sì, a maggior ragione con Malfy con il quale abbiamo la possibilità di affermare che si tratta di un prodotto 100% italiano, qualcosa che non tutti possono dichiarare. La stessa produzione della bottiglia, di tutti gli elementi del suo contenuto, insieme all’intera fase del processo di lavorazione, vengono realizzate esclusivamente qui, con prodotti italiani, ovviamente controllati in tutta la filiera a totale garanzia del consumatore finale. Poter proporre un gin Super Premium come questo è un privilegio, non credo si possa pretendere di più. È vero che sul mercato esistono diversi prodotti ma a livello rappresentativo Malfy ha senz’altro tutte le carte in regola per affermare concretamente “questa è l’Italia e noi la vogliamo rappresentare al meglio”. Possiamo dunque dire che questa realtà venga recepita molto bene all’esterno. Il fascino italiano non è morto e non morirà mai perché abbiamo troppe cose belle nel nostro paese e la fortuna che abbiamo è proprio questa. Come l’Italia non c’è nessun altro paese al mondo.»

«Per quanto riguarda la comunicazione l’elemento per noi fondamentale su cui puntare sono anche quelli di cui andiamo orgogliosi, ovvero le sue origini, la qualità, ed il gusto. In un periodo così difficile e costellato di tante difficoltà, poter annoverare nella propria offerta un prodotto che è nato e continuerà ad essere sempre prodotto in Italia è fonte di grande orgoglio e un modo per portare sempre più in alto l’immagine del paese, per tutto quello che c’è di bello qui. Quindi la comunicazione è improntata sulla qualità del prodotto, che è assolutamente indiscutibile, anzi inviato tutti a provarlo per toccare con mano questo spirito del vivere italiano. Un mondo fatto di emozioni, di attimi da gustare anche nel quotidiano, di cose semplici ma che fanno assaporare il buono della vita. Ovviamente la componente rappresentata dalla meravigliosa Costiera Amalfitana è un elemento a cui poi ispirarsi proprio per rappresentare questa espressione della bella vita e del sapersela godere, dall’aperitivo sino alla sera quando ci si delizia con un ottimo gin tonic a casa. Questi sono gli elementi distintivi di Malfy.»

Una curiosità: siete stati voi a scoprire loro o viceversa? «Questa è una bella domanda. Ci siamo incontrati a metà strada e ci siamo piaciuti sin da subito. Malfy era già stato introdotto nel mercato italiano ed il gruppo Pernod Ricard era intenzionata ad ampliare ulteriormente la propria gamma di gin, perciò si è dimostrato il prodotto perfetto con caratteristiche uniche, ed è così che nel 2019 Pernod Ricard ha deciso di acquisire il marchio/prodotto. Malfy si distingue rispetto a tutti gli altri gin perché nasce come un distillato agrumato quindi non con una referenza basica; non parte da una referenza dry per poi sviluppare le varianti con gli agrumi. Ha un suo carattere ben definito e un processo produttivo distintivo che mantiene nella sua totalità le sue caratteristiche organolettiche. Malfy è esattamente il prodotto che stavamo cercando e, d’altra parte, Malfy ha dimostrato sin da subito un grande interesse ad entrare nella nostra famiglia. È stata una unione naturale, quindi siamo molto molto contenti.» Hai accennato al processo di produzione, come avviene? «La freschezza di Malfy è ottenuta grazie all’innovativa distillazione sottovuoto – detta anche ‘a freddo’ – che, grazie a una temperatura più bassa rispetto alle altre distillazioni, garantisce un’evaporazione che non altera

Quali sono le iniziative che avete messo in campo per far conoscere un brand con una identità così forte come Malfy?

La nostra convivialità è invidiata in ogni dove… «Su questo siamo assolutamente imbattibili.» Sta cambiando la percezione del bere e si sta direzionando sempre più verso un bere di qualità. È una tendenza solo estera? Come si posiziona un prodotto come il gin? «Assolutamente sì, lo abbiamo notato e lo stiamo continuano a vedere. È molto interessante che il consumatore italiano sia sempre più interessato sia a capire i processi di produzione, le caratteristiche del prodotto, anche i vari sentori. Questo credo sia dovuto anche come conseguenza di quest’ultimo periodo che, nonostante ci abbia costretto a tante restrizioni, ci ha portato ad essere anche un po’ più casalinghi, a soffermarci sulle cose con più attenzione, a studiare, a vedere, a scegliere, a provare e sperimentare, e infine a giocare anche un po’ con gli abbinamenti e i drink. Questo porta di conseguenza ad una conoscenza più ampia dei prodotti che ci sono sul mercato. Quando c’è un prodotto che piace e viene veramente apprezzato lo si riscontra anche da quelli che sono i risultati di vendita. Questo ci porta comunque a sapere che effettivamente il gusto italiano e il prodotto sono assolutamente compatibili e quindi si sposano alla perfezione. Per cui, sì, siamo molto contenti. Forse in passato c’era meno attenzione, oggi il mercato dimostra che le scelte d’acquisto sono molto più chiare: la tendenza è nel ricercare la qualità piuttosto che la quantità.»

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Il consumatore moderno è sicuramente sempre più consapevole ma il suo modo di bere è cambiata così tanto? «Sì, lo vediamo anche banalmente da tutte le interazioni che il consumatore ha con noi, anche tramite i nostri vari canali social, attraverso le varie domande che ci vengono poste, piuttosto che la ricerca specifica di contenuti da parte loro. Si comprende che prima di andare a prepararsi un drink, i nostri estimatori cercano le differenze organolettiche o comunque i vari sentori, facendo, a volte, anche comparazioni con altri prodotti. Abbiamo riscontrato questa nuova necessità, che porta a una consapevolezza di quello che effettivamente è il prodotto.» Quali sono i valori più rappresentativi di Malfy e quali vengono recepiti più facilmente dal pubblico? «Un valore per noi assoluto è la condivisione, la convivialità, il fatto di potersi godere la qualità di un buon drink in compagnia o più semplicemente quei momenti che rimangono indelebili nella propria memoria. Questo è veramente l’elemento rappresentativo di quello che vuole essere Malfy, rafforzando sempre di più questo immaginario che per il brand deve sempre essere in primo piano.» In questa bellissima storia italiana c’è anche una donna, Rebecca Calonghi, Brand Ambassador del gin Malfy. Giovanissima e di grane talento, “Poppy”, come ama essere chiamata durante le

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sue Master Classes, ha origini per metà italiane e metà inglesi. Forte della sua esperienza con i più famosi Master Distiller del mondo, Desmond Payne di Beefeater e Sean Harrison di Plymouth, vere leggende nel mondo del gin, ha iniziato a lavorare in questo settore a soli 21 anni e da due è entrata a far parte della squadra Pernod Ricard. Come si diventa Brand Ambassador di una realtà come Malfy? Come ne comunichi i suoi valori? «Bella domanda. Il lavoro di Brand Ambassador è qualcosa di nuovo nel settore dei superalcolici. Durante i miei tour ci sono tantissime persone che si rivolgono a me chiedendo cosa faccia esattamente. Questo tipo di figura non la si conosce. Ho tantissimi amici e colleghi che pensano che io vada in giro, racconti qualche storia sul gin e poi beva soltanto. È vero ma solo in parte. Ho una vera passione per il mondo del gin. Ho cominciato con Beefeater, il famoso brand inglese, ma, appena venuta a conoscenza che Malfy fosse entrato a far parte di Pernod Ricard, una vera novità sul mercato, un gin agrumato italiano, volevo assolutamente fare parte del team. Il trend dei gin agrumati è ormai iniziato anche in Italia, come nel resto del mondo, e ho voluto sin da subito comunicare la mia passione e l’importanza di questa tipologia di gin. Ci sono molte persone che non immaginano neanche che possa esistere un agrumato Super Premium come Malfy. Da qui è partita la mia sfida di conquistare l’Italia,


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viaggiando di città in città per spiegare cos’è Malfy, un gin cento per cento italiano con tutte le sue botaniche, come il ginepro, l’arancia o i limoni che provengono direttamente dal nostro territorio o dalla costiera amalfitana. Quindi il mio lavoro sostanzialmente è andare in giro a educare gli appassionati e non sul mondo del gin e soprattutto su Malfy.» Come li educhi? Cosa fai esattamente per far scoprire loro un mondo così poco conosciuto come quello degli agrumati? «Durante le mie master class non può mancare un assaggio, la componente fisica con il prodotto è fondamentale. Poi ho una mia presentazione, con tutte le belle immagini della Costiera Amalfitana, di come viene prodotto Malfy e tutte quelle piccole chicche che posso raccontare. Non è solo una questione di spiegare come viene prodotto o quali sono le botaniche ma la passione con la quale lo faccio. Trasmettere alle persone la voglia di scoprire questo mondo è la cosa principale. In fin dei conti Malfy non è solo un liquido dentro a una bottiglia. Verso la fine dei nostri incontri ovviamente si fa un assaggio del prodotto ma la bellezza di questo risiede anche nel mostrare come si assaggia un gin perché non si beve liscio. Prima di tutto lo faccio sempre odorare: il naso è la componente più importante per scoprire tutti gli agrumi che lo compongono. Dunque, la prima parte è dedicata al sentirne i profumi, poi arriva la parte più divertente

diciamo che è quella di assaggiare il gin - ma ci vuole sempre un po’ di conoscenza anche su questo. Quindi una volta che si è annusato e lo si è assaggiato, al gin si aggiunge un po’ d’acqua di modo che possa rilasciare tutti i suoi sapori. Stiamo parlando di 9 botaniche che, per chi non è abituato agli agrumati, non sa come riconoscere, perciò l’aggiunta di acqua aiuta a ritrovare tutti questi sapori.» Vista la tua ampia esperienza, secondo te qual è la cosa più innovativa che ha Malfy rispetto ad altre realtà sul mercato? «Quello che a me piace di più è come viene fatto. Partendo dalle origini benedettine per cui l’acqua di vite veniva miscelata con alcol e ginepro insieme, con Malfy, in un certo qual modo, la tradizione è stata mantenuta. La sua distillazione sotto vuoto è una tecnica nuova nel mondo della produzione di gin, è qualcosa che prima non si faceva. Il gin classico si fa con una distillazione steep and boil da cui esce subito il distillato. Invece per Malfy si utilizza questa distillazione sottovuoto a una temperatura veramente bassa che nessun altro gin fa, a 60°, per riprendere tutti gli oli essenziali degli agrumi. Questo è davvero una particolarità. In questo modo Malfy mantiene intatta la sua freschezza. Non si vuole aggiungere altri sapori perché sa che gli agrumi sono già così buoni naturalmente che non c’è bisogno di aggiungere altro. Per me è fascino totale!.»

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PAL ATO’ MIL ANO

IL FOOD SI FA TECNOLOGICO L’utilizzo delle tecnologie digitali sta rivoluzionando sempre di più il settore del food apportando una profonda innovazione nel modo di vivere il cibo che, nel corso del tempo, si è trasformato anche in comunicazione, esperienza sensoriale ed estetica. Palatò Milano combina la tradizione della nostra cucina mediterranea con tecnologie digitali per la produzione, confezionamento, tracciabilità e sicurezza alimentare e con sistemi avanzati di e-commerce in grado di soddisfare le nuove esigenze dei consumatori. Alla base delle proposte di Palatò Milano, e acquistabili sul loro sito, c’è il desiderio di soddisfare una richiesta sempre maggiore di mangiare a casa propria, da soli o in compagnia, piatti gustosi senza dedicare tempo e fatica alla preparazione. Quattro le proposte che richiamano ricordi di viaggi, luoghi e sapori, preparate con materie prime di alta qualità accuratamente selezionate dallo chef Marc Farellacci e dalla sua brigata e consegnate in speciali box sottovuoto: Box Essenza, Box Energy,

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Box Atmosfere e Box Incontri. Gli ingredienti vengono assemblati a crudo, conditi nell’apposito sacchetto per alimenti, svuotato dell’aria interna tramite macchinari professionali all’avanguardia, e infine cotti lentamente a bassa temperatura. Questo tipo di preparazione e cottura garantisce una conservazione del prodotto in frigorifero per 5 giorni, senza alterarne gusto, qualità e valori nutrizionali, ed è particolarmente salutare anche perché permette di cucinare senza l’aggiunta di grassi. L’approccio al business di Palatò Milano è fortemente improntato a logiche di sostenibilità grazie a processi produttivi orientati al recupero degli scarti alimentari e alla minimizzazione dello spreco. Un sistema di tracciabilità alimentare basato su tecnologie blockchain, inoltre, assicura sicurezza, velocità e riservatezza delle informazioni lungo tutta la filiera distributiva. Tramite QR code inoltre si può accedere a video tutorial che permetteranno di replicare a casa piatti da chef in pochi minuti. Et voilà, il piatto è servito!


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Bastano quattro semplici passaggi per servire sulla tavola di casa ricette equilibrate e gustose ispirate alla dieta Mediterranea, preparate dallo chef Marc Farellacci con le migliori materie prime www.palatomilano.it

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VERONA

LA CUCINA DELL’ANIMA «IN UN MONDO IN CUI OGNUNO HA QUALCOSA DA DIRE, NOI PREFERIAMO FAR PARLARE I COLORI, I PROFUMI E I SAPORI DEI NOSTRI PIATTI» STEFANO LENTI RACCONTA I MASENINI

Di Paolo Gobbi foto di Matteo Pinter PRECURSORI E MANTENITORI dell’eleganza dell’eleganza della ristorazione anche in un contesto di sobrietà, i Masenini è una delle realtà culinarie più belle e interessanti di Verona. A dirigere la sua cucina è Davide Zanetti accompagnato da un team giovane e talentuoso, mentre il ristorante è guidato sin dalla sua apertura nel 2006da Stefano Lenti.

Ci racconta come è iniziato tutto questo? «Questo progetto nasce dalla mente del mio mentore, Elia Rizzo, fondatore del Ristorante Il Desco a Verona, indiscusso fuoriclasse la cui bravura gli ha fatto ottenere anche una Stella Michelin. Oltre alla sua grande abilità in cucina, ancora in tempi non sospetti, Elia ha sempre accompagnato i suoi collaboratori al successo come chef e come imprenditori. Dimostrando lungimiranza, ha rappresentato per molti di noi, chiaramente dopo aver fatto un percorso interessante nella ristorazione e aver fatto proprio il pensiero di poter trasformare tutto questo in una propria soluzione personale, la vera svolta dando una mano a tutti i suoi collaboratori migliori.» Di che anno stiamo parlando? «Il ristorante è stato inaugurato ad agosto del 2006 e da allora non è mai stato stravolto. Sin dalla sua nascita l’idea è stata quella di dare voce a tutta la cucina tradizionale italiana, con il focus di lavorare un prodotto tipicamente di gusto che è la carne. Ci siamo specializzati in questo, apportando allo stesso tempo evoluzione nell’offerta. In cucina infatti abbiamo uno spiedo di ragguardevoli dimensioni che ci consente di fare delle cose straordinarie, passando dalla tradizione siciliana fino a quella veneta.»

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Perché Masenini? «Questa parola ha un riferimento storico ben preciso e più precisamente risale al 1830 ed era riferito ai partecipanti di una società segreta patriottica. L’espressione “masenini” deriva da “masenàr” che in dialetto veneto sta per macinare, riferito anche al muovere le mani e perciò alla lotta. In realtà noi non abbiamo rivoluzionato nulla ma ci piaceva l’idea di utilizzare un nome che facesse parte della storia della città e che avesse un impatto uditivo e visivo molto forte.» Vi considerate un luogo del lusso? «Non esattamente. Abbiamo voluto puntare a tenere alto il livello dell’ospitalità, che poi fa parte della nostra visione personale sia di vita sia di lavoro: cerchiamo un vestito elegante e quando serve lo indossiamo. Questo non significa assolutamente pomposità, più che altro una chiara volontà di trovare un livello che fosse a scalare da una ristorazione molto più importante fatto però di semplicità e di ospitalità accurata, ma il lusso è un argomento un po’ diverso. Mi piace pensare che tutto questo sia bello, con un aspetto importante ma easy, dove il cliente, non appena entrato, si possa sentire subito a suo agio come a casa. Non volevamo fare niente di più e niente di meno che creare un contesto molto piacevole, basato soprattutto sulla possibilità poi di andare in contrasto mangiando sia una ottima fiorentina che una pasta e fagioli. E questo alla nostra clientela piace.» Mi sembra di capire che la vostra clientela è prettamente italiana, corretto? «Tutta italiana, a parte il periodo estivo e in occasione di appuntamenti come fiere o congressi

dove abbiamo ospiti internazionali. Cito il Vinitaly per eccellenza o quando c’è l’opera in Arena.» Oggi si parla molto di cucina e di ingredienti, come definireste la vostra? «Una cucina dell’anima. Molto semplice. Non vogliamo essere presuntuosi ma lo dimostriamo con i fatti. Tutto ciò che prepariamo è fatto con il cuore. La crescita che abbiamo avuto lo testimonia: ci siamo adoperati per creare un gruppo unito, uno staff affiatato che funziona da tanto tempo, In questo modo siamo in grado di prenderci cura di ciò che facciamo tutti i giorni. Lo sentiamo, fa parte di noi e, con la stessa cura con cui cuciniamo per noi, lo facciamo per i nostri clienti. So che sembrano frasi fatte ma non lo sono. Ci riteniamo cavalli di razza e perciò ci impegniamo con tutte le nostre forze perché le cose vadano al meglio. Abbiamo il desiderio di trasmettere la passione con la quale lavoriamo quotidianamente.» Serve un esempio «Quando chiedo di preparare una pappa con il pomodoro, piatto tipico della cucina toscana e la propongo qui a Verona facendola diventare una proposta del nostro menù, voglio che i miei clienti capiscano che si può mangiare, e bene, un piatto come questo anche qui. Stesso principio se domani facessi i bigoli con le sarde, tipicamente siciliani, magari condito in maniera più leggera ma con gli stessi ottimi ingredienti: perché no? Il problema è esattamente l’opposto, cioè fossilizzarsi sull’idea che a Verona si possano mangiare solo poche cose, con tutto il rispetto per chi le fa. Per noi non è così. La ristorazione è fatta di tante possibilità. È nostro compito sdoganarle. Fare un menù e portare i piatti al tavolo è piuttosto elementare, quello che

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IL PIÙ GRANDE COMPLIMENTO PER NOI È QUANDO UN OSPITE CI DICE: “SONO STATO BENE DA VOI”, PERCHÉ LA RISTORAZIONE NON È SOLO MANGIARE BENE, NON È SOLO CUCINA, MA È ANCHE ACCOGLIENZA, DECORO, DISCREZIONE, SERVIZIO

non è semplice è farlo bene soprattutto se si pensa che tra quello che è scritto e quello che arriva al tavolo c’è un lungo percorso che parte dalla cucina, da chi ci porta la materia prima ad inizio giornata, da quello che vogliamo preparare, da quello che non possiamo realizzare perché magari ci manca l’ingrediente giusto.» Il risultato? «Le persone che vengono ai Masenini la cucina la vivono, non la mangiano, la vivono in maniera completa. La desiderano. Era questo il nostro obiettivo e l’abbiamo trasformato nella cosa più semplice possibile. Ogni nostro cliente torna perché sa che mangerà tutto ciò che è presente sul menù bene per ben cento volte e più.» C’è una parte di sperimentazione nel vostro lavoro, come nasce un piatto nuovo? «Nel nostro locale c’è una profonda unione e collaborazione tra sala e cucina, tra titolare e dipendenti. Esiste la divisione solo quando ogni singolo componente della squadra esce da qui e va altrove, viaggia o va a mangiare in altri ristoranti. Anche questo è utile perché ogni componente della nostra squadra può riportare la sua esperienza per poi sperimentarla insieme: si prova, si assaggia, si riprova, fintanto che non troviamo la formula perfetta per noi. Questo significa anche che la pasta la acquistiamo nelle Marche, anche se serve per preparare un piatto siciliano, perché è proprio lì che abbiamo trovato il fornitore ideale che prepara la pasta come piace a noi.»

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Un esempio pratico? «Noi proponiamo la fiorentina nel nostro menù ma non usiamo la fiorentina, la chianina o un altro taglio tipico della regione Toscana, preferiamo utilizzare il taglio della fiorentina della Fassona piemontese perché posso garantire che con la nostra cucina manterrà intatta la qualità originaria. Abbiamo scelto quello specifico fornitore che ci procura quel determinato taglio di carne, con quella frollatura, perché questo ci dà la sicurezza di poter garantire al cliente di mangiare la stessa buona pietanza nell’arco dell’anno anche dieci volte. Questa è stata la nostra linea, sin dall’inizio. Per noi è una filosofia di vita. All’origine di tutto vi è la materia prima. Perciò prendiamo il baccalà migliore, acquistiamo la Fassona più buona sul mercato, compriamo le sarde più buone che si trovano, cerchiamo i pomodori migliori quando è il periodo. È chiaro che tutto questo costa ma sarebbe un costo maggiore tradire il nostro pensiero.» Immagino che la vostra cucina segua la stagionalità dei prodotti… «Tutto segue un suo percorso naturale. Fra poco comincerà la stagione un po’ più cruda e partirà il periodo dei sapori più decisi. Tutto quanto è parametrato in base a tempistiche precise, non proponiamo cibi quando non è il momento di farlo. Non mangerete mai la pappa al pomodoro a dicembre perché sappiamo che non è il momento giusto per i pomodori. Il concetto è sempre


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lo stesso, vogliamo che le persone mangino smettendo di mangiare e vogliamo assicurargli la soddisfazione e la gratificazione nel farlo. Ho sempre trattato questo posto come se fosse casa mia. Io ricevo un ospite e, per quanto mi riguarda, può venire anche in ciabatte. Io sono qui per offrire un servizio e voglio che tutto questo sia garantito da uno staff che la pensa alla stessa maniera.» La cucina è fatta di mode, secondo lei qual è quello più sopravvalutata? «Io non faccio discriminazioni di sorta. Ho girato molto e ho mangiato in tanti posti diversi. Sono una persona curiosa, voglio scoprire cosa fa la differenza. Sono particolarmente incuriosito da quelle realtà che propongono cucine alternative, magari fatte da più cose che vengono fuse insieme dando vita a gusti particolari. Allo stesso tempo credo che spesso si faccia molta confusione, forzando la mano. Ecco, forse è proprio questo che si è capito ultimamente, è finito il tempo delle forzature, è finita l’epoca della provocazione a tutti i costi. Non dico che fatta in maniera geniale possa avere anche un senso ma non è facile per il cliente capire l’artista che spesso ne rimane deluso. La cucina che proponiamo noi, più naturale, più tranquilla, più semplice, non tramonterà mai come non accadrà per quei locali storici romani piuttosto che i locali storici a Milano, che hanno mantenuto la loro integrità rispetto alla tradizione.

Amare quello che fai non è sufficiente, ci vuole anche tanto coraggio e una incrollabile passione.» Foodblogger, Tripadvisor, Goggle e poi i commenti online, le stelle a non finire… come vivete il fenomeno digitale? «Io sono una persona molto libera, che ha fatto della libertà uno dei suoi cardini concettuali. Lascio spazio a chiunque giudichi al meglio le proprie sensazioni. Se riesce poi a svincolarsi da fattori emozionali e riesce a valutare la sua esperienza gastronomica in maniera corretta spero che lo faccia anche da un punto di vista personale. Per giudicare sarebbe importante che si possedesse cultura di ciò che sta facendo. Sono sulla Guida Michelin dal 2014, non lo abbiamo chiesto noi. Anche tutte le altre guide ci hanno sempre segnalato. Ci fa molto piacere. Comunque i clienti raramente si fanno vedere con le guide in mano, è tipicamente degli stranieri farlo. Questo però non è sinonimo del fatto che siamo qui per essere giudicati tutti i giorni da qualcuno, noi siamo qui perché crediamo in quello che facciamo e proponiamo quello che facciamo perfettamente consapevoli che qualcuno possa anche criticarlo. Se poi una persona pensa che sia giusto scrivere una recensione negativa o prendere a male parole un cameriere piuttosto che un cuoco non mi piace molto perché alla fine ci sono giornate in cui può andare davvero tutto storto. Le critiche non costruttive sono fini a sé stesse. Non credo risieda lì la vera soddisfazione.

In alto Stefano Lenti titolare della Trattoria I Masenini in Via Roma 34 a Verona

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EXCELSIOR HOTEL GALLIA MIL AN

MILANO TORNA A SPLENDERE Ci sono posti a Milano in cui, una volta entrati, si viene automaticamente catapultati nell’atmosfera del passato, come, per esempio nella magica e affascinante epoca Art Déco. Scene di un tempo che vorremmo rivivere nel pieno di quell’euforico ottimismo che caratterizzò la fine della prima Guerra mondiale, all’insegna dell’esaltazione culturale e della joie de vivre. L’Excelsior Hotel Gallia affonda le sue radici proprio alla fine dei ruggenti anni ’20, quando Carlo Gallia, rimasto folgorato a soli 17 anni dalla storia di Cesar Ritz e della sua “arte del forestiere”, dopo una lunga carriera nel settore, decide di costruire il maestoso albergo che porta ancora oggi il suo nome accanto alla nascente Stazione Centrale. Inaugurato nel 1932, diventò sin da subito un punto di riferimento per la clientela

internazionale grazie a importanti innovazioni come l’utilizzo della prima illuminazione con luce elettrica sistema Edison. Alla fine degli anni Trenta l’hotel fu scelto infatti da tedeschi e italiani per stringere alleanze e scrivere trattati internazionali come il noto “Patto d’Acciaio” firmato dai ministri degli affari esteri dell’epoca, rispettivamente il conte Galeazzo Ciano e Joachim Von Ribbentrop. Il Gallia, sempre negli anni ’30, fu anche teatro di incontri di autorità sportive che successivamente, nei primi anni Sessanta, diedero vita al calcio mercato. Tornando ai nostri giorni, e più precisamente al 26 ottobre, l’Excelsior Hotel Gallia, a Luxury Collection Hotel, Milan, riapre le sue porte, pronto ad accogliere nuovamente i propri ospiti. In accordo con le nuove normative per la tutela della salute e della sicurezza

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determinate dall’attuale emergenza, sono stati implementati i più elevati standard di igiene e pulizia e nuovi protocolli comportamentali di accoglienza, garantendo come sempre un soggiorno all’insegna dell’empatia, elemento imprescindibile per un albergo a 5 stelle. Nell’osservare scrupolosamente il distanziamento interpersonale e l’uso della tecnologia per alcuni elementi dell’esperienza alberghiera, come per il check-in, verrà altresì garantita un’esperienza altamente personalizzata a tutti gli ospiti dal momento della prenotazione, fino a quando varcheranno la porta dell’albergo e durante l’intero soggiorno. Con la riapertura dell’albergo sarà di nuovo possibile sedersi anche alla bellissima Terrazza Gallia Bar & Resturant guidata dagli Executive Chefs Vincenzo e Antonio Lebano con la consulenza dei fratelli Bobo e Chicco Cerea del tristellato Da Vittorio di Brusaporto. Torna quindi il menu firmato dai Lebano, una cucina di cuore, che sceglie materie prime nelle quali ritrovare sapori familiari, dove riconoscersi, grazie alla capacità di esaltare la purezza di ogni singolo ingrediente. La carta vini è un viaggio tra le migliori eccellenze d’Italia, a cui si affiancano la Francia e le principali regioni vitivinicole del mondo, con un occhio di riguardo allo Champagne e alle bollicine. Paolo Porfirio, il sommelier di Terrazza Gallia dal 2019, accompagnerà gli ospiti nella scelta delle migliori etichette. Dal settimo piano dell’Excelsior Hotel Gallia sarà possibile assaporare la cucina dei Fratelli Lebano in totale sicurezza, nel segno della qualità di una esperienza che è considerata tra le migliori proposte gastronomiche nel panorama meneghino. Sottoposto a ad un meticoloso e completo lavoro di restauro solo pochi anni fa, l’Excelsior Hotel Gallia, a Luxury Collection Hotel, Milan, di proprietà di Katara Hospitality, rappresenta il punto di riferimento milanese per tutti gli ospiti italiani e internazionali

che vogliano godere di un soggiorno ricercato in una struttura di atmosfera e d’eleganza. Dotato di 235 camere, di cui 53 suite e la celebre Katara Royal Suite che, con i suoi 1000 mq, rappresenta una delle suite reali più grandi d’Italia (offre due terrazze, quattro camere da letto e una spa privata), la struttura offre una vera e propria luxury experience. “L’Excelsior Hotel Gallia è un meraviglioso palazzo che è stato sottoposto ad un eccellente lavoro di restauro e ad uno strategico ampliamento, che concilia l’estetica contemporanea con l’originale stile architettonico Belle Époque dell’albergo, garantendo la salvaguardia di uno dei luoghi storici di Milano,” dichiara Sheikh Nawaf Bin Jassim Bin Jabor Al-Thani, Chairman di Katara Hospitality. “Questo albergo, parte del marchio The Luxury Collection, è uno dei fiori all’occhiello degli investimenti internazionali di Katara Hospitality e siamo orgogliosi dei risultati ottenuti in collaborazione con i nostri partner come Starwood. L’Excelsior Hotel Gallia riflette a pieno la nostra volontà di preservare la storia dei palazzi iconici in tutto il mondo” ha aggiunto Hamad Abdulla Al-Mulla, CEO e Board Member di Katara Hospitality. Curato dal pluripremiato studio di architettura milanese Marco Piva, l’ampio intervento di ristrutturazione architettonica e di interior design, che ha visto anche l’aggiunta di una nuova ala al preesistente edificio, concilia l’estetica contemporanea con l’originale stile Belle Époque dell’albergo. Inoltre, il rinomato studio di architettura ha concepito e progettato appositamente per l’Excelsior Hotel Gallia una collezione unica di più di 500 opere d’arte, tra sculture, dipinti e fotografie. Gli interni richiamano lo stile di vita milanese e l’eleganza senza tempo del periodo Art Deco, animato da arredi unici realizzati dai migliori designer e artigiani italiani in esclusiva per l’albergo. L.M.

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LE MASSIF COURMAYEUR

LA MAGIA DELLA NEVE A CINQUE STELLE Con le sue montagne la Valle D’Aosta è il luogo perfetto per gli amanti dell’outdoor, dell’aria di montagna e dei paesaggi mozzafiato. Anche d’inverno. Ricca di luoghi e località colme di fascino e di storia, la Regione rappresenta la meta perfetta per gli amanti del trekking, che possono apprezzare la varietà di paesaggi, bellezze naturali, borghi, retaggi antichi e molto attraverso i diversi cammini che la caratterizzano; per gli appassionati della neve, grazie ai suoi impianti e alle sue piste, sia per lo sci alpinistico che da fondo; e per chi ha, più semplicemente, voglia di trascorrere una vacanza all’insegna del benessere e del relax. Courmayeur, una delle sue perle, si estende ai piedi del massiccio del Monte

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Bianco, in un anfiteatro lussureggiante cinto da foreste di conifere, montagne e ghiacciai perenni e, nonostante abbia una rilevanza turistica internazionale, la città conserva un’atmosfera alpina autentica, che si avverte sia passeggiando tra i negozi del centro, sia nei villaggi che circondano l’abitato principale e che si spingono fino alla testa della valle centrale, dove la Dora della Val Veny e la Dora della Val Ferret confluiscono nella Dora Baltea. A “Le Massif”, l’ultimo nato del brand Italian Hospitality Collection a Courmayeur, la magia del Natale inizia ai primi di dicembre con lo scintillio delle luci, gli addobbi a festa e il candore della prima neve che imbianca tutto


DOLCE VITA

il paesaggio. L’hotel, a due passi dalle vie dello shopping e dagli impianti di risalita, dà il via alla stagione invernale con speciali proposte di soggiorno per vivere al meglio la montagna con attività per grandi e piccini. Ma le sorprese non mancano anche per chi è solo alla ricerca di più semplici piaceri come quelli enogastronomici. In questo incantevole 5 stelle due le proposte culinarie: il Ristorante Chétif vanta una offerta di piatti internazionali che si alterna a quelli ispirati alla tradizione valdostana; mentre per gli appassionati della carne, il Cervo Rosso è la location ideale per un assaggio dei più pregiati tagli al mondo, il tutto in un ambiente accogliente e raffinato. Per gli amanti della neve, se l’emergenza lo consentirà, sono a disposizione Ski Concierge per l’acquisto di Ski pass, il noleggio degli sci e la prenotazione di lezioni individuali e di gruppo di sci, snowboard, free ride, heliski, telemark, e il servizio Ski Butler per la consegna e la gestione dell’attrezzatura direttamente sulle piste presso la Ski Room privata dello chalet a Plan Checrouit. Per i bambini e ragazzi fino ai 13 anni, sono disponibili i Kids Club e Mini Club che organizzano quotidianamente programmi e attività sulla neve

dedicati a svago e divertimento. Infine, la Loge du Massif by Raise the Bar, lo chalet sulle piste da sci di Plan Checrouit che, oltre alla vista sublime sulla montagna dalle ampie terrazze panoramiche, promette sfiziose pietanze per la pausa pranzo e proposte esclusive per l’aprés ski. E dopo una giornata sulla neve, niente di meglio di un aperitivo al Bar del Gigante gestito da Bernardo Ferro e una rilassante pausa presso la Spa interna che mette a disposizione degli ospiti una piscina da 30 m2 con idromassaggio, sauna, bagno turco, cabine private per trattamenti e la private Spa anche per coppie che potranno godere di un’esclusiva coccola di relax ispirata alla tradizione del benessere montano. «Dopo l’ottima stagione estiva seppur in un periodo di forte incertezza, Le Massif Courmayeur è pronto a riaprire per il suo terzo inverno», dichiara Marcello Cicalò, Group Director of Operations di Italian Hospitality Collection. «Si riparte con grande entusiasmo e con tutta la nostra passione, per regalare agli ospiti una vacanza senza pensieri ai piedi del Monte Bianco, un rilassante break dagli impegni lavorativi tra gli incantevoli scenari della Valle d’Aosta». L.M.

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VINTAGE E NON SOLO

TIMELESS SENZA TEMPO PISA OROLOGERIA PRESENTA NUOVO SERVIZIO DI PERMUTA DEDICATO AGLI APPASSIONATI DEL MONDO DELLE LANCETTE. CHIARA PISA LO RACCONTA AD HANDMADE

Di Lara Mazza

LA NOTIZIA FARÀ senza alcun dubbio piacere a tanti appassionati della bella orologeria che vogliono sostituire il loro segnatempo oppure vogliono entrare in questo mondo dalla porta principale, ma con un budget ridotto rispetto all’acquisto di un modello nuovo: Pisa Orologeria, ha deciso di proporre un nuovo servizio dedicato agli orologi acquistati in passato, che consentirà ai clienti più affezionati di rinnovare le proprie collezioni tramite la possibilità di una permuta dedicata e sicura. I clienti interessati a permutare un orologio, completo di scatola e garanzia compilata a partire dal 2010, potranno contattare gli esperti di Pisa Orologeria all’indirizzo timeless@pisaorologeria.com al fine di ottenere una valutazione accurata, a fronte di un acquisto presso il Flagship Store in Via verri 7 a Milano. A raccontarci nei dettagli questa iniziativa è l’ad Chiara Pisa.

Come è nata il progetto sul secondo polso? «Da una lunga e profonda riflessione sulle richieste da parte dei nostri clienti. Capita spesso di aver voglia di voler cambiare il proprio orologio, i motivi sono davvero innumerevoli. Abbiamo pensato che l’abbinamento Pisa e secondo polso potesse essere vincente e così abbiamo cercato, soprattutto durante il lock-down, di individuare dove e come potesse essere fatto senza urtare la suscettibilità del cliente dicendogli che i Rolex, come i modelli Patek Philippe, non possono essere scambiati ed evitando il fatto che tutti gli altri marchi , magari comprati un anno prima o due anni prima, non potessero essere deprezzati così come fa il mercato».

Cosa intendi quando affermi che non possono essere scambiati? «Noi permutiamo unicamente orologi con massimo 10 anni di vita perché non vogliamo entrare nell’area vintage, anche se i pezzi più belli spesso sono proprio quelli. Vogliamo innanzitutto fare le cose nel massimo rispetto della clientela che oggi è il nostro patrimonio più grande. Vi facciamo un esempio: tu hai comprato un Portoghese quattro anni fa, ti sei stufato di metterlo, per i più svariati motivi, e oggi vuoi comprarti un Reverso. Vieni nel nostro negozio multimarca, esprimi la volontà di acquistare un Reverso sottoponendo alla nostra attenzione il Portoghese che non metti più, e ci chiedi cosa possiamo fare. Continuando con il nostro esempio: Il Portoghese è stato comprato a € 8.800 ma io non posso, e non voglio, comportarmi come un commerciante valutando il tuo orologio ad 1/3 perché tu sei un cliente di Pisa e per noi è di fondamentale importanza l’attenzione che ti riserviamo. In prima battuta si cerca di fare una valutazione che sia il più rispettosa possibile degli indici del mercato attraverso i molteplici canali di riferimento utilizzati - Chrono24, Watch Box, Watch Finder, per citarne alcuni – e al contempo di stare al di sopra di queste valutazioni, considerando se l’orologio ha bisogno di interventi di manutenzione o assistenza – ahimè ci sono persone che non calendarizzano nemmeno le revisioni, fondamentali per il migliore funzionamento dell’orologio nel tempo. In secondo luogo la nostra intenzione è quella di vendere un orologio nuovo cercando di andare incontro il più possibile alle esigenze del cliente. Possiamo fare un paragone con l’automotive per cui vale lo stesso

Chiara Pisa amministratore delegato di Pisa Orologeria

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principio: tu vai a comprare una automobile e il venditore attua una diversa valutazione del prezzo a seconda se gli offri anche l’usato oppure no. È ovvio che la percentuale di sconto cambia». Parli di scontistica, ma la parola “sconto” non era diventata tabù? «Ci sono occasioni in cui non è possibile rifiutare uno sconto, ci mancherebbe. Il fatto di essere una solida realtà ci permette anche di poter riservare un maggiore riguardo nei confronti dei nostri clienti. Tornando all’argomento di prima, è successo che qualche cliente abbia espresso la volontà di restituire un orologio di un brand per acquistarne un altro ma ogni permuta è assoggettata a specifici vincoli. Per esempio prendiamo in considerazione solo marchi presenti all’interno del nostro negozio. E, nonostante il momento sia difficile, stiamo assistendo ad una crescita esponenziale della clientela italiana, soprattutto verso alcuni brand come Rolex: negli ultimi 7 mesi la percentuale ha raggiunto il 75%. Un dato che promette buoni segnali di ripresa del mercato. Nonostante questa iniziativa sia partita da pochissimo tempo, abbiamo riscontrato che ha già catturato l’interesse di molti clienti, anche online. Per fare un paio di esempi si tratta di persone che hanno comprato orologi in momenti particolari della loro vita e non li hanno più utilizzati. Per non tenerli chiusi in cassaforte valutano la possibilità di sostituirli con un nuovo acquisto. Vi sono inoltre persone che non si sono mai avvicinati a Pisa perché hanno sempre pensato di non poterlo fare ma stiamo dimostrando che non è necessario avere budget alti a disposizione e che è possibile aprirsi

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alla possibilità di acquistare anche modelli ai quali prima non avrebbero pensato». Qual è il vero valore aggiunto di questo progetto, perché lo avete introdotto fra i vostri servizi? «Di recente abbiamo partecipato ad una ricerca effettuata dalla Boston Consulting Group sul mercato del secondo polso e la tua stessa domanda è fra quelle che ci hanno posto loro, ovvero il motivo per il quale abbiamo deciso di attivare questo servizio. Perché innanzitutto vogliamo che la nostra clientela possa accedere a sempre più servizi e sapere di potersi rivolgere a Pisa sempre e con fiducia; inoltre perché i risultati sono molto incoraggianti. Ma al di là delle statistiche e delle percentuali, è con soddisfazione che abbiamo potuto riscontrare in questa ricerca che molte delle cose che noi avevamo pensato in precedenza trovassero una reale corrispondenza. Perciò ci fa doppiamente piacere riscontrare che la nostra idea non fosse poi così irragionevole. Questo è un fenomeno che sta crescendo, non solo in Italia». In quale dei vostri negozi verrà venduto il secondo polso? «La nostra idea è quella di non trattare il secondo polso all’interno del punto vendita multi-brand ma creare uno spazio ad hoc per poter vivere una esperienza totalmente diversa. Dalla ricerca della Boston Consulting Group è emerso che i più interessati al secondo polso sono i giovani, anzi i giovanissimi che si stanno dimostrando dei veri appassionati del mondo orologiero. Nel 2017 abbiamo creato i Watch Lab, un progetto esperienziale, composto da diverse attività e rivolto a giovani appassionati e collezionisti desiderosi di


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approfondire la conoscenza dell’Alta Orologeria, ma volevamo fare la differenza in un settore, quello del secondo polso, che è sicuramente ancora relativamente nuovo, ma dove sono già presenti altre realtà che però comunicano tutti alla stessa maniera. La nostra vera sfida nei prossimi mesi sarà quella di costruire una vera e propria “experience” dedicata a questo mondo e che in questo momento manca. Spesso il secondo polso è associato a una idea di sospetto o a qualcosa di cheap ma non è assolutamente così. Abbiamo già individuato uno spazio attiguo ai nostri uffici. È ancora tutto in divenire ma il nostro obbiettivo è chiaro. Sono emersi altri spunti interessanti per voi da questa ricerca? «Una cosa che non pensavamo fosse possibile ovvero, sì che il 17% degli acquisti è rappresentato dagli orologi ma c’è uno spazio importante anche per il mondo della gioielleria, cosa sorprendente perché si tratta di una percentuale davvero alta per quella tipologia di oggetti». Sempre gioielleria di marca, corretto? «Sì. Faremo sicuramente una valutazione anche per questa categoria merceologica». Tornando agli orologi, perché non prendere in considerazioni oggetti di più di 10 anni? «Per noi questo rappresenta un paletto fondamentale, una scelta precisa in modo che le valutazioni risultino più veloci senza la necessità di una competenza specifica sul vintage che è un altro mondo ancora. Il fatto che l’orologio venga portato da noi con la garanzia di un concessionario

ufficiale e sia accompagnato dalla sua scatola originale, è già al 90% fonte di certezza della sua provenienza. Successivamente espleteremo quelle pratiche burocratiche necessarie che ci tutelino da ogni eventuale frode o incauto acquisto». Questo è sicuramente un aspetto fondamentale. Nello specifico come vi tutelate? «Pisa è riconosciuta nel mondo come una azienda seria, attenta e scrupolosa in ogni minimo dettaglio e procedura, compresi gli aspetti burocratici. Anche le persone che si occupano del secondo polso hanno tutti gli strumenti necessari per effettuare ogni volta gli accertamenti che saranno necessari. Abbiamo già molti clienti che hanno iniziato a chiedere informazioni e appuntamenti. Siamo così riusciti a farci già una idea di quale orientamento avrà questo business quando sarà a regime. È davvero molto interessante: l’abbinamento tra un fenomeno del mercato in crescita, come dimostrato dalla ricerca prima che fornisce dei numeri certi, e il nostro nome è garanzia di successo. Rispetto all’acquisto del nuovo, per il secondo polso chiaramente abbiamo adottato un approccio diverso. Il rapporto con la Boutique di “famiglia” è molto forte per la prima tipologia di vendita, il cliente si aspetta di interloquire con la proprietà, per il secondo polso, a parità di garanzie di autorevolezza e sicurezza, no perciò potremo garantire un processo più snello». Al momento avete deciso di valutare solo orologi con 10 anni di vita ma in futuro? Una volta che la macchina sarà rodata perché porsi un limite? «Il progetto è partito ma sicuramente ci saranno

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altri tasselli da aggiungere. La priorità ora è avere un partner che ci dia la maggiore sicurezza possibile sulle valutazioni e sulle certificazioni, garanzie imprescindibili che vogliamo assicurare alla nostra clientela. Di fondamentale importanza sarà anche il ruolo delle case orologiere. Quello che chiede il cliente quando acquista un orologio usato è la certificazione per cui la collaborazione con loro è imprescindibile». Non è una cosa semplice… «Affatto ma è una delle nostre priorità». Nel settore dell’automotive esiste il km0, possiamo considerarlo un paragone corretto? «Nel 2010 avevamo già fatto un esperimento sul secondo polso che fu trattato all’interno del negozio Rolex, dopo due anni dalla sua inaugurazione. Accanto al secondo polso valutavamo anche l’unworn, termine con cui si intende il “mai indossato”. E allora perché no? Potrebbe avere un senso soprattutto perché in questo caso possiamo offrire al nostro cliente non solo le referenze best seller ma gli possiamo mostrare quasi tutto il catalogo di ogni catalogo. Questo è sempre stato un punto di forza di Pisa. Ancora quando c’era mia madre il magazzino faceva invidia alla Svizzera. Tant’è che ci sono ancora svizzeri italiani che vengono da noi per vedere gli orologi dal vivo perché nelle loro città glieli mostrano solo su catalogo. Siamo convinti che una volta messa a punto la macchina - ci vorrà ancora qualche mese, al massimo un anno - ci darà grosse soddisfazioni e riserverà grandi sorprese. Ad ogni modo per noi rimane fondamentale far andare via il cliente soddisfatto e mai deluso. Applicheremo la stessa sensibilità, la stessa cura, lo stesso scrupolo sul secondo polso come sul nuovo». È possibile l’acquisto del secondo polso sul secondo polso? «Certo. In questo caso un pizzico di fortuna ci vorrà, il cliente dovrà essere favorito dalla sorta nel trovare proprio l’orologio che desidera. In questa prima fase non abbiamo previsto di avere uno stock di secondo polso piuttosto di individuare un canale di riferimento per ogni richiesta specifica».

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Qual è esattamente la procedura? «Dopo aver riposto l’orologio che vuoi vendere nella sua scatola con la garanzia, il cliente potrà chiamare e fissare un appuntamento in negozio. Impiegheremo 24 ore massimo per fare una valutazione. Se sarà soddisfatto, porterà l’orologio in negozio a cui verrà data una prima occhiata in laboratorio. Nel frattempo potrà guardare e individuare se c’è qualcosa che è di suo interesse e via. Una cosa abbastanza veloce. Il nostro intento è di regalare sempre una esperienza soddisfacente e in un negozio come il nostro di Via Verri a Milano ciò è possibile. Quanti altri posti come questo ci sono in Europa? Una decina, forse, non di più. Essere nella cornice giusta è una componente importante dell’eventuale acquisto o permuta». Sarà un servizio dedicato solo alla clientela italiana? «In realtà abbiamo molti clienti stranieri già fidelizzati, molti dei quali transitano a Milano regolarmente per ragioni di business, perché escluderli? Il servizio sarà usufruibile da tutti, indifferentemente». Permuterete anche orologi non acquistati direttamente presso di voi? «Assolutamente sì. Chiaramente gli orologi dovranno avere la garanzia e il loro packaging originale, come accennato prima. Chiunque abbia comprato un orologio di marca negli ultimi dieci anni ha sicuramente la garanzia della rete ufficiale di rivenditori e questo è un primo importante passo per la sicurezza di tutti. Inoltre stiamo valutando la possibilità di usufruire di un nuovissimo servizio digitale di certificazione e perizia sviluppato appositamente per il secondo polso. Al momento non possiamo rivelare ulteriori dettagli ma siamo sicuri potrà diventare uno strumento essenziale per non incappare in frodi di alcun tipo e garantire a noi e al cliente la massima garanzia d’acquisto possibile». Che tipo di garanzia darete sulla permuta? «Assicuriamo una garanzia di due anni. Una ulteriore assicurazione che diamo ai nostri clienti».


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2012 Interpretazione moderna del rivoluzionario

movimento Dual-Wing creato da Jaeger-LeCoultre, il Duomètre Unique Travel Time in oro rosa è uno dei modelli che si potrebbero trovare o proporre a Timeless

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UNIVERSAL GENEVE

IL SIGNORE DELLE LANCETTE «NELLA MIA STORIA I SEGNATEMPO SONO STATI SEMPRE PROTAGONISTI ASSOLUTI» ANDREA MATTIOLI

Di Patrizio Poggiarelli

LO AMMETTO , per carattere trovo difficile uniformarmi alle idee comuni, mentre per indole la curiosità vince sempre sulla ragione. Forse per questo motivo il progetto di Fero, realizzato con Paolo Gobbi e grazie all’aiuto di Franco Basile, mi ha coinvolto, anzi travolto, in prima persona. In questo libro, nei suoi orologi, nelle sue descrizioni, ho intuito la strada migliore, forse l’unica, per dare la giusta vitalità ai cronografi in acciaio vintage, i miei preferiti in assoluto, gli unici che riescono veramente ad emozionarmi. Ma andiamo per ordine. Nella mia storia i segnatempo sono stati sempre protagonisti assoluti. Ha iniziato mio nonno Giuseppe, orologiaio nella nostra Modena, primo di una dinastia continuata con mio padre Emilio, anche lui venditore e riparatore. Il battesimo delle lancette è avvenuto alla fine degli anni ’90, quando al corso da orologiaio, importante per capire come funziona un movimento, ho affiancato la mia prima passione e collezione: quella per gli Swatch. A questi celebri orologi devo tanto, soprattutto l’avermi educato alla ricerca, all’esplorazione e al contempo avermi regalato per la prima volta l’ebbrezza della scoperta di un pezzo raro, del

raggiungimento di un obiettivo considerato impossibile. Tutto questo bagaglio di sensazioni mi si è cucito addosso come una sorta di mantello, che apro ogni qual volta scopro un nuovo modello, una nuova complicazione meccanica, una nuova variante di un segnatempo raro oppure introvabile. La storia, il tempo, mi ha insegnato a non dare importanza al valore economico di quello che cercavo, quanto al valore che ha per me quando vedo o indosso quello che più amo. Ad esempio, più di una volta mi è capitato di muovermi, prendere aerei, viaggiare per più giorni, solamente per riuscire a conquistare un cronografo che cercavo da tempo, il cui valore era sempre nettamente inferiore alle sole spese del viaggio che avevo sostenuto per andarlo a prendere. Ma va bene così! Non voglio guadagnare, voglio solamente trovare gli orologi giusti, belli, nel migliore stato di conservazione possibile. Nelle pagine che seguono, alcuni modelli significativi, amati dagli appassionati, selezionati da Andrea Mattioli e Paolo Gobbi e pubblicati suo Fero (www.puccipapaleo.com)

Andrea Mattioli Mattioli & Stefani Via Saragozza 130, Modena www.watchesforpassion.com

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UNIVERSAL GENÈVE COMPAX

Anche la Universal Genève utilizzò le celebri casse professionali realizzate dalla C.R. Spillman S.A. di La-Chauxde-Fonds, riconoscibili per le quattro viti poste sul fondello e caratterizzate dalla costruzione monoblocco che racchiude al suo interno il movimento. Questa costruzione garantisce un altissimo livello di robustezza e un’ottimale protezione agli agenti esterni. Tutte caratteristiche indispensabili per quello che, specie in quell’epoca, veniva considerato come un vero e proprio strumento professionale. Anche il quadrande del modello in foto tradisce questa sua alea tecnica: sul fondo nero spiccano le tre scale, tachimetrica esterna, telemetrica espressa in chilometri, e una tachimetrica a chiocciola.

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Universal Genève Circa 1940 Compax Stainless steel Manual, Cal. 285 Universal 38 mm diameter


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UNIVERSAL GENÈVE NINA RINDT

Il 4 ottobre del 1970 si concludeva con il Gran Premio degli Stati Uniti sul circuito di Watkins Glen, la 21esima edizione del campionato del mondo di Formula 1. In questa giornata che si festeggia il pilota vincitore del mondiale, in questo caso l’autriaco (ma nato in Germania) Jochen Karl Rindt. C’è però una differenza rispetto a tutti i campionati che lo hanno preceduto e seguito: in quell’occasione mancò il festeggiato. Questo perché a Monza, il 5 settembre di quello stesso anno, il pilota perse il controllo della vettura prima della curva Parabolica, andando a urtare violentemente contro il guardrail: la sua Lotus si disintegrò e Rindt morì sul colpo. Alla moglie, la bellissima Nina Rindt, il compito di ritirare il trofeo postumo. Al polso di lei, in tante occasioni, fu visto proprio un Compax come quello fotografato su queste pagine, tanto che gli appassionati decisero di soprannominarlo con il suo nome.

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Universal Genève Circa 1960 Chrono Tri-Compax Stainless steel Manual, Valjoux 72, 17 Jewels 36 mm diameter


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UNIVERSAL GENÈVE FLYING SAUCER

Sono tante le peculiarità tecniche e funzionali che un orologio professionale, magari adatto anche ad un utilizzo militare, deve possedere. Generalmente viene richiesta precisione, robustezza meccanica e nella cassa, affidabilità nel tempo, semplicità nella manutenzione e per quanto possibile, facilità nella lettura del dato espresso o cronografato. Proprio quest’ultima peculiarità è stata massimizzata in questo Universal Genève della fine degli anni ’30. Si tratta di un Compur con una cassa dal diametro di ben 52 mm, una cifra di tutto rispetto che, unita ad una lunetta praticamente inesistente, permette di ottenere un quadrante dalle dimesioni assolutamente al di fuori della norma. Semplici e chiarissime le sue indicazioni, stampate color oro su fondo nero, con la scala tachimetrica esterna e i piccoli pulsanti cronografici. Assolutamente tradizionale la meccanica, un affidabile calibro 292 di manifattura Universal.

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Universal Genève Circa 1938 Compur Stainless steel Manual, Cal. 292 Universal 52 mm diameter


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SEIKO

UN TURTLE IN COLLEZIONE E VENNE FINALMENTE IL TEMPO DELLA TARTARUGA NIPPONICA

Di Manuel Maggioli DIVER DI CATEGORIA entry-level, 150 metri water-resistant, il Turtle di Seiko è stato prodotto e commercializzato a partire dal 1976. Cronologicamente segue la fabbricazione del notissimo subacqueo “Apocalypse Now” o “Willard”, il 6105 8110/9 che introdusse nel 1970 la cassa “Turtle”, con un design asimmetrico caratteristico, una referenza molto ricercata dai collezionisti che sono disposti a pagare cifre sostanziose. Questo tipo di cassa si rifà stilisticamente al tonneau di fine anni ’60 e inizio ‘70, con un effetto a cuscino detto “cushion” bombato, si potrebbe parlare di una cassa tonneau “gonfiata”. Infatti, la forma finale ricorda il carapace di una tartaruga. Essendo un unicum nel panorama stilistico del tempo, assume un ruolo emblematico nella produzione dell’epoca arrivando fino ai nostri giorni. Il Turtle simmetrico fu inizialmente messo in vendita sul mercato nipponico, il Japan Domestic Market (JDM), nel 1976 con una referenza dedicata: 6306 7000, in seguito 7001. Qualche mese dopo, probabilmente verso la fine del 1976, Seiko introdusse la versione “Export” 6309 7040 o 7049 per il mercato nord americano. Ad oggi non ci sono documenti ufficiali che attestino che la distribuzione del modello di esportazione sia successiva a quello JDM. Tuttavia, L’Ing. Ikuo Tokunaga, a lungo responsabile dei progetti diver, ha confermato la successione cronologica. Per chi fosse interessato, segnalo il suo libro “Seiko Diver’s Watch Evolution”, pubblicato nel 2015.

Anche se disponibile solo in giapponese, è ricco di foto, disegni progettuali, elenchi di referenze e indicazioni utili al collezionista. La Export del Turtle incassava il robusto calibro 6309, di fatto una varietà semplificata del 6306: uno degli esemplari più rappresentativi dei Seiko diver vintage di base. Sono una serie di fattori che rendono questo sub un oggetto emblematico. In primo luogo, il periodo di produzione che supera i dieci anni: dal 1976 al 1988. Durante questo l’arco temporale, l’orologio è stato realizzato prima in Giappone e in seguito nelle fabbriche dell’estremo oriente. Inoltre si assiste ad uno sdoppiamento produttivo e qualitativo, usuale per la manifattura nipponica. Il Turtle, infatti, viene creato in due varianti quindi due referenze, differenti in termini di qualità. La gamma JDM, il 6306 7000/1, è equipaggiato con un calibro più pregiato, munito di 21 Jewels e hack (fermo macchina). Inoltre è caratterizzato dal datario alternativo in giapponese, il datario kanji. La politica delle due versioni e di una per il mercato interno più curata, è tipica di Seiko in quegli anni. Nel 1969 troviamo un caso analogo per i primi cronografi automatici: i crono JDM erano esteticamente diversi da quelli export. Inoltre erano più sofisticati in quanto dotati di movimento 6139A munito di 21 jewels, a differenza di quelli per l’estero con il 6139B e 17 jewels. La ragione risiede anche nella necessità di contrastare la concorrenza della Case svizzere,

Seiko Turtle - Referenze JDM - 6306 7000 e 6306 700 calibro 6306 (21 jewels + hack) EXPORT -6309 7040 e 6309 7049 6309 (17 jewels) Periodo di produzione 1976- 1988 L’attore Ed Harris con al polso un urtle 6309 704X durante le riprese del film The Abyss

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Cassa 44mm - acciaio - corona a vite Vetro Hardlex - imp. 150m


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Tre Seiko “Turtle” vintage: uno ref. 6309 7040 (International market), uno 6309 7049 (Usa Market) e un Seiko SBDY015 “New Turtle” di recente produzione, JDM (Japan Domestic Market) con datario Kanji.

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Una vista posteriore di tre Seiko “Turtle” vintage: ref. 6309 7040 (International market), 6309 7049 (Usa Market) e SBDY015 “New Turtle” JDM (Japan Domestic Market).

presenti in Giappone con orologi sportivi e di lusso di alta qualità. Il 6306 non avrà una lunga vita: nel 1981 cesserà la produzione e in seguito anche per il mercato interno verrà commercializzata solo la tipologia con calibro 6309. A causa del breve periodo di produzione e del maggior pregio qualitativo, questa variante è difficile da reperire ed è molto ricercata dagli appassionati, di conseguenza il suo valore è maggiore. Una chicca collezionistica davvero ambita è la 6306 7001 detta “Scubapro 450”. Tale modello personalizzato con la predetta dicitura sul quadrante, sopra alle ore 6, fu concepito per rimarcare la collaborazione tra Seiko e l’azienda Scubapro. La sua creazione pare essere incentrata in un breve lasso di tempo, tra il 1978 e 1979. È importante sottolineare che il Turtle simmetrico introdurrà la corona a vite nella gamma dei diver, migliorando tecnicamente gli

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sforzi già fatti con il suo predecessore. Stiamo parlando del “Willard”, il sub 6105 privo di corona a vite, ma dotato di un sistema a baionetta o “lock”, dove la corona a pressione può essere bloccata solo da un perno che ne impedisce la rotazione e l’estrazione fortuita. Il Turtle export con 6309 7040/9, esteticamente identico al JDM, avrà un calibro meno pregiato, ma altrettanto robusto e di facile revisione; il 6309 è la base del 6306. Questo sarà prodotto in Giappone fino al 1981, in seguito a Hong Kong e Singapore. Per i collezionisti appassionati è importante sapere che i modelli creati in Giappone recano tutti, sul quadrante, il simbolo Suwa sopra ore sei, le cosiddette versioni “Suwa dial”. Invece gli orologi fatti o incassati in estremo oriente, perdono questa caratteristica. Infatti il logo Suwa, che identifica la fabbrica, viene riportato solo nel codice del quadrante in minuscolo. Inoltre, sui fondelli Suwa è incisa la dicitura “Japan


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Il Seiko Willard, predecessore del Turtle, era indossato Martin Sheen durante le riprese del film Apocalypse Now

A”, che scompare nei pezzi realizzati all’estero. Esistono molte varietà: come il codice quadrante che di volta in volta riposta notizie differenti, soprattutto in relazione al luogo di produzione o assemblaggio. Si deve inoltre distinguere tra esemplari con riferimento 6309 7040 e quelli con il 6309 7049. I primi sono destinati al mercato internazionale e, dopo la dismissione del 6306 700X, anche al JDM. I 7049, come attesta il “9” finale, sono indirizzati a quello USA. La cassa Turtle è stata recentemente recuperata da Seiko, in un’ottica di richiamo alle origini e di affermazione della tradizione stilistica, che il marchio ama consolidare e propagandare. Nel 2016 la Casa giapponese infatti, per la gioia dei tradizionalisti, ha reintrodotto il Seiko Turtle, equipaggiandolo con un calibro moderno (4R36) e con decine di varianti, anche di mercato, e moltissime Limited Edition. Le nuove referenze, con una tenuta stagna di 200 m, esibiscono una cassa Turtle o a cuscino piuttosto fedele, 45

mm contro i 44 dell’originale, e un design che rievoca in modo immediato il riferimento storico. Vanno ricordati anche i recenti “King Turtle” usciti all’inizio del 2020, dotati di vetro zaffiro e di una ghiera più curata nella lavorazione della zigrinatura laterale. Il Turtle, seppure con un minor successo cinematografico rispetto al suo predecessore Willard, esaltato nella pellicola di Coppola “Apocalyse Now”, ha al suo attivo molte comparsate, sia in ambito filmico che al polso di personaggi famosi. Tra questi un giovane Mike Jagger e, forse con maggiore cognizione di causa, Enzo Maiorca, più volte detentore del record mondiale di immersione in apnea. Maiorca lo indossa, alternandolo ad altri Seiko tra i quali un Tuna, in diverse occasioni, attestandone la bontà professionale e soprattutto l’efficacia della tenuta stagna. Un altro film che è necessario citare è “The Abyss”, dove si può agevolmente vedere un Turtle 6309 704X al polso dell’attore Ed Harris.

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POESIA

Filamenti di Bibiana La Rovere

Se avessi colto in te il senso del mio dire il mio guardarti senza che tu necessitassi d’ombra avrei reciso grani di minuta linfa indivisibile. L’impercettibile membrana che il confine tiene stretto in ogni nascere e precipitare come se tutto avesse di te il bianco di una perla il gioco di un ruscello il calco di un ricordo. Ti assolvo ti salvo nell’impeto ancestrale che lega gli occhi tuoi alla mia anima capovolta nel costato. Le mani carezzano come l’alba di un altare votivo violando d’ogni patto la lingua e il suo sigillo e tutto quel furore attanagliato ai denti colonne sospese le ho viste di notte avvolgere le anime ossa di luce viva tenersi al nascere come nascere sorriso. L’acqua tutta mi contiene sono eremo da abitare di un orizzonte impavido il dettaglio le mie palpebre lavano parole come pietre infuocate che s’incidono nel grembo la pelle risana filamenti del non sapere niente quando di te cosa rimane in un coro di preghiere? Una casa di vento una selva in fiore un greto bocciolato fresco di salsedine di livide voci un determinare il tuo nome e castoni di gemme su crepe e labbra come fiordi un disegno a mano libera devozione di un canto racchiuso nelle tue vene scosse. Tutto è nell’aria un velo di crine ricamato una visione intellegibile crepitio di un baciato a parole nude che svelando s’appresta a sfiorire e sì persi venne ai baci sugli occhi ripetuto più dolce un soffio divino. A spalancare il petto serbami delicatezza ch’io mi rallenti a incidere lo spazio d’una limpidezza volgendo ad una danza di capelli corolle sulle mani in anni senza tempo il ritmo d’una seduzione misteriosa la promessa nello sguardo in cui si è già. Ripeto di me un lembo sfrangiato un rito di colori e suoni di luce in un tremore di viole sono di te l’apice e il frastuono di un punto indissolubile un corpo d’anime consegnato altrove un fondersi in un chiedere per dono

Bibiana La Rovere Artista Poeta Performer Si occupa di scrittura e cultura della comunicazione. Con il Concept Design unisce comunicazione, scrittura e arte per realizzare progetti innovativi di brand identity per l’impresa, con eventi editoriali e allestimenti interdisciplinari, in un processo di narrazione multisensoriale, che va dall’arte al design, dalla fotografia alla scrittura, al sound design, comunicando, attraverso il marchio, la brand identity, l’identità imprenditoriale. www.bibianalarovere.it

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NON MI POSO MAI SULLE PAROLE MA SULLE EMOZIONI

Monica Vitti

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