HANDMADE - VOL.8 - THE MAGAZINE OF WATCHMAKING EXCELLENCE

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Boutique LJ • via Condotti 33

ROMA

www.ljroma.it | ig lj_roma | fb @ljroma1962







A Glashütte, l’inverno si tinge di magia. Quest‘anno, Orion 33 oro e Orion 38 argento di NOMOS – il primo con quadrante placcato oro e il secondo con quadrante bianco placcato argento – grazie alla lunetta fine e alla cassa sottile in acciaio inossidabile, fanno brillare gli occhi e impreziosiscono i look delle feste. Entrambi gli orologi sono dotati di una solida riserva di carica: 43 ore. Realizzati con amore a Glashütte, e ora disponibili presso i migliori rivenditori. Per esempio qui: Ancona: Ibis; Asolo: Rosso; Bari: Mossa; Battipaglia: Casella; Bergamo: Torelli; Biella: Boglietti; Bologna: Natale Fontana; Bolzano: Oberkofler; Brunico: Gasser; Chiavari: Lucchetti; Cremona: Torelli; Firenze:


Tomasini Francia; Flero: iGussago; Follonica: Perpetual; Gradisca d’Isonzo: La Gioielleria; Lecce: Mossa; Mestre: Callegaro; Milano: GMT; Roma: Bedetti, Grande; Rovato: Baggio; Salerno: Ferrara; San Benedetto del Tronto: Rossetti; San Giovanni Valdarno: Horae; Saronno: Angelini; Seregno: Angelini; Siena: The Watch Gallery; Siracusa: Zimmitti; Spoleto: Tomasini Francia; Taranto: Ripa; Terni: Tomasini Francia; Treviglio: Torelli; Trieste: Bastiani; Vercelli: Biondi; Verona: Concato, Saylon e qui: nomos-glashuette.com

Orion con calibro di manifattura Alpha, a partire da 1.460 euro.


«Sorella, se non stai dormendo raccontaci una delle tue belle storie con cui si possa attraversare la notte» «Ben volentieri!» rispose Shahrazad


Le Mille e una Notte HANDMADE 8


AUDEMARS PIGUET®

BORN IN LE BRASSUS

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INCIPIT

PREFAZIONE: NOTA PER IL LETTORE

HANDMADE NASCE DA UNA VISIONE , forse meglio da un sogno: raccontare il bello all’interno di un media seducente. Ecco perché sono ormai più di due anni che ci battiamo per dare forma ad un magazine che non sia un mero contenitore di immagini e testi già visti, ma che porti qualcosa di diverso, un pensiero, un’emozione in chi lo legge o in chi lo mostra orgoglioso nel luogo di lavoro o in salotto.

Lavoriamo tanto per pubblicare delle fotografie esclusive, realizzate con dedizione per le nostre pagine. Non a caso, sul presente numero troverete i contributi di John Goldberger alias Auro Montanari, Lucio Convertini e Gaia Giovetti, Leila Leam, Luca Garbati, Roberto Marchionne, Flavia Castorina. I loro scatti rendono Handmade un progetto unico e appassionante, che si presenta come una cornice ideale per mostrare i loro sforzi come quelli di chi produce orologi, ma anche gioielli, automobili, moda, accessori, profumi e food. A proposito di gioielli. All’interno di questa uscita troverete uno speciale di 64 pagine in gran parte curato da Lara J. Mazza, che abbiamo voluto chiamare SHAHRAZAD . Il nome non è casuale, ed è un omaggio alla creatività e all’invenzione, alla volontà di trovare, giorno dopo giorno, nuove maniere per realizzare il bello. L’eroina delle Mille e Una Notte è la protagonista perfetta di un racconto fatto di idee come quelle che ci racconta Barbara Brocchi, di icone come quelle di Chanel Collection N°5 e di personaggi che vivono l’Alta Gioielleria Contemporanea. La loro presenza su Handmade, che continua da tanti numeri, esigeva uno spazio dedicato, che in futuro potrebbe diventare un vero e proprio magazine autonomo. Tutto questo senza smettere di parlare dei protagonisti: gli orologi, i primi interpreti delle nostre pagine sia per il mondo del vintage che del moderno. In ambedue i casi lo sguardo di Handmade è stato trasversale rispetto alla massa, proponendo immagini e servizi giornalistici inediti. Un’ultima annotazione. È in uscita MAGISTER A Unique Andrea Foffi Speedmaster Selection, il primo libro firmato Handmade: 416 pagine dedicate al cronografo che ha conquistato la Luna. Devo ammettere che l’incontro con lo Speedy mi ha travolto: poter prendere in mano tutti i modelli più importanti dagli anni ’50 fino ad oggi, seguire il calambour di idee di Andrea Foffi, osservare come Fabio Santinelli ogni giorno riusciva a trovare una nuova chiave iconografica per interpretare il piccolo cronografo. Un impegno del genere mi ha stupito come mai avrei pensato fosse possibile dopo un’esperienza ultratrentennale nell’universo delle lancette. Ma questa è la mia storia, che è la stessa di tanti appassionati, pronti a mettersi in gioco davanti all’ultimo oggetto ticchettante che hanno visto o acquistato. L’importante è non smettere mai di stupirsi, noi non lo faremo.

Paolo Gobbi

Che questo è un viaggio che nessuno prima d’ora ha fatto Alice, le sue meraviglie e il Cappellaio Matto (Måneskin)

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CONTENTS

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INTRODUZIONE HANDMADE selection

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RAFFAELE TOVAZZI Filosofia del vintage...

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CAPITOLO 1

Idee

La rivincita degli indipendenti

HUBLOT

La nostra scelta? Essere primi...

FORTELA MILANO Tutti i miei brutti anatroccoli

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OMEGA - COVER STORY Il cronoscopio reinventa l’icona

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LORENZO PELLEGRINI Inventare la mossa vincente

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AUDEMARS PIGUET Alla ricerca del colore

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THE BOOK MAGISTER - Il libro firmato HM

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LONGINES Lo spirit nell’era del titanio

44

BULGARI L’espressione sensoriale della bellezza 86

ZANNETTI I miei primi quarant’anni

MERCEDES - HYPERMAREMMA

VINTAGE Indossare un’icona

50 54

Mettersi a nudo ROLEX

Un partner d’eccezione

In copertina, Lorenzo Pellegrini indossa l’Omega Speedmaster Chronoscope Co-Axial Master Chronometer. Foto Leyla Leam in esclusiva per Handmade

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66

GMT MILANO

92 98

VACHERON CONSTANTIN

Il suono delle ore

TAG HEUER

Carrera, Monaco e Autavia: i nostri crono



CONTENTS

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CAPITOLO 2

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Emozioni

CASA DIVINA PROVVIDENZA

Nella vita tutto torna

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MILITEM FEROX T - Il primo Sport Utility Truck

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AGALÌA Il primo distillato che è anche una start-up

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PORSCHE DNA da competizione

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ZANNETTI Penne d’atmosfera

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AURORA Dietro il pennino

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CIRCOLO ANTICO TIRO A VOLO

Un angolo di paradiso nel cuore di Roma

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WATCH PASSION Modello vincente per fare rete

126

MONTBLANC Valori condivisi

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ELISABETTA GNUDI La regina del Sangiovese

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POESIA L’inabissarsi della Luce

®

DIRETTORE RESPONSABILE

Paolo Gobbi ppgobbi@handmade-editore.com HANNO COLLABORATO:

Lara Mazza, Naomi Ornstein Massimiliano Cox, Giovanni Titti Bartoli Alessandro Fanciulli, Giulia Nekorkina Mauro Girasole, Claudia Gobbi, Manlio Giustiniani, Marco Valerio Del Grosso, Manuel Maggioli, Andrea Foffi Matteo Zaccagnino, Bibiana La Rovere PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Gianpiero Bertea ILLUSTRAZIONI

Domenico Condello

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MANAGING DIRECTOR

Mauro Girasole mauro.girasole@handmade-editore.com Tel. + 39 333 8681656 SERVIZIO MODA

Gaia Giovetti Lucio Convertini, Costanza Maglio

DISTRIBUZIONE

Press-di S.r.l. - Via Mondadori, 1 Segrate (Milano) 20090 HANDMADE® è un marchio registrato Registrazione del Tribunale di Roma n. 146/2019 del 07.11.2019

SEGRETERIA

Abigail Canta info@handmade-editore.com ARRETRATI E ABBONAMENTI:

tel. +39 06 8777 3314 info@handmade-editore.com STAMPA

Color Art Spa - Via Industriale, 24/26 25050 Rodengo Saiano BS

HANDMADE EDITORE srl

ad Ferdinando Zannetti Largo Fontanella Borghese 23 00186 ROMA - Nr. REA: RM - 1590900 info@handmade-editore.com www.handmade-mag.com

L’etichetta FSC garantisce che la carta utilizzata proviene da una foresta e da una filiera di approvvigionamento gestita in modo responsabile. La carta utilizzata da Handmade: copertina: Arena White Smooth interno: Magno Natural Sappi schede: Fedrigoni GSK moda: Fedrigoni Patinata lucida



CONTENTS SHAHRAZAD

ALL A SCOPERTA DELL A BELL A GIOIELLERIA

SHAHRAZAD ALLA SCOPERTA DELLA BELLA GIOIELLERIA

Illustrazione di Barbara Brocchi

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COME NEGLI ANNI 80 Ritorno ai maxi volumi

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COME ACQUA Bellezza liquida

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SUPER SOLITARI Audacia e sensualità: l’elogio dell’essenziale DESIGN DEL GIOIELLO Barbara in wonderland CHANEL Collection N°5 Reinventa l’alta gioielleria FINE JEWERLY

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Milonga

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Arte pura

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GIAMPIERO BODINO

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190 190

BOGLIETTI GIOIELLI 1886

Presente e futuro, due generazioni a confronto

ZANNETTI

Una piccola rana Re per cercare la fortuna

GISMONDI 1784 Questione di valori CHANTECLER

Creatività iconica

BY ORLOV Le nuove fragranze Haute couture ANTI

Contrasto, contrapposizione, risalto

RUBEUS La persistenza dell’arte nella gioielleria

EVERYTIME, EVERYWHERE

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LJ ROMA 1962 Linee avvolgenti che riflettono la luce

www.handmade-mag.com


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INTRODUZIONE

TUDOR

COMMANDO HUBERT PELAGOS FXD Sviluppato in collaborazione con gli uomini rana della Marina francese, il modello Pelagos FXD è basato su una serie di specifiche tecniche tanto precise quanto impegnative. Per questo include molte caratteristiche funzionali mai viste prima negli orologi TUDOR, come le barrette fisse per l’attacco del cinturino che fanno corpo unico con la cassa in titanio di 42 mm di diametro, assicurando una maggiore robustezza e affidabilità. Foggiate come un prolungamento delle anse, contribuiscono in modo determinante alla caratteristica silhouette del modello. Un’altra caratteristica specifica di questo orologio è la lunetta girevole con 120 tacche. Bidirezionale, con graduazione retrograda da 60 a 0, non risponde allo standard ISO 6425:2018 per gli orologi subacquei, ma alle esigenze proprie del metodo denominato “navigazione sottomarina”, una delle specialità dei nuotatori da combattimento. La navigazione sottomarina consiste nel

raggiungere un luogo preciso nuotando sott’acqua, senza mai emergere, pianificando meticolosamente il percorso. In questa tecnica i sommozzatori nuotano a coppie, collegati da una sagola di sicurezza, e percorrono una serie di tratti rettilinei guidati da una bussola magnetica. In ogni sezione del percorso nuotano a velocità costante per un lasso di tempo prestabilito e completano tutte le sezioni necessarie cronometrandosi a vicenda. La tecnica prevede che a ogni cambio di percorso venga avviato un conto alla rovescia. La graduazione antioraria e la luminescenza della lunetta del Pelagos FXD semplificano l’impostazione e il monitoraggio dei conti alla rovescia: basta allineare alla lancetta dei minuti l’indice della lunetta corrispondente al tempo stabilito per il tratto da percorrere. Quando la lancetta dei minuti raggiunge la posizione opposta al triangolo, il team cambia direzione e il sommozzatore a cui tocca cronometrare avvia un nuovo conto alla rovescia.

Sviluppato in collaborazione con un’unità speciale della Marina francese secondo specifiche di grado militare, il Pelagos FXD è progettato per la navigazione sottomarina ed è ottimizzato per l’utilizzo professionale.

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EXPERIENCE WATCHMAKING

30 MARCH – 5 APRIL 2022 watchesandwonders.com


INTRODUZIONE

KROSS STUDIO

LA BATMOBILE DA PISA OROLOGERIA

Kross Studio e Warner Bros. Consumer Products si uniscono per svelare un Batman da collezione di altissimo livello. Una combinazione di design, raffinata fattura svizzera e materiali di fascia alta: un’opera d’arte segnatempo, mai realizzata prima. Un omaggio alle auto più iconiche dei fumetti: la Batmobile. Kross Studio ha scelto specificamente il modello elegante e sorprendente del film Batman del 1989 diretto da Tim Burton per incarnare questo orologio di prim’ordine. Cosa rende unico questo orologio Batmobile? Kross Studio e Warner Bros. Consumer Products sono uniti da innovazione e creatività. Mesi di ricerca e sviluppo per creare questo capolavoro di 512 componenti - 115 per la carrozzeria e 397 per il movimento

- dove ogni dettaglio è stato meticolosamente pensato. 1989 Batmobile Desk Clock è realizzata con i migliori materiali, accuratamente selezionati per le loro proprietà tecniche e raffinatezza. La carrozzeria in composito di alluminio nero con rivestimento antigraffio di grado aeronautico modella magnificamente la Batmobile del 1989, riproducendo le stesse curve e proporzioni. Anche le ruote girano! Sono state previste solo alcune varianti per soddisfare gli occhi del proprietario e consentirgli un’esperienza migliore, come i finestrini fumé con una macchia più chiara per consentire un sottile assaggio del movimento attraverso la finestra. Le ore e i minuti sono visualizzati orizzontalmente da due cilindri.

Disponibile in esclusiva per l’Italia e l’Europa presso il Flagship Store di Pisa Orologeria,a Milano in via Verri 7 e su Pisa Circle, la vetrina digitale di Pisa Orologeria, www.pisacircle.com

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INTRODUZIONE

HAUSMANN & CO.

LA CASA DI TUDOR NELLA CITTÀ ETERNA In tanti si chiedono per quale motivo gli orologi siano da sempre così importanti, perché possono in alcuni casi costare come un appartamento, perché alcuni appassionati li considerino addirittura una forma di investimento. Impossibile dare una risposta univoca. Certamente i segnatempo vanno considerati come l’oggetto “tradizionale” che meglio di tutti è riuscito ad adattarsi alle tecnologie e alla comunicazione dei nostri giorni. Il merito è sì dei produttori, che riescono ad andare incontro alle richieste degli acquirenti, ma anche di un sistema distributivo che ha saputo adeguarsi alle nuove realtà economiche. La romana Hausmann & Co. ne è un perfetto esempio. La forza del gruppo, che anche quest’anno a dispetto di tutti i problemi “globali” ha incrementato ulteriormente le vendite sia in volumi che in fatturato - senza dubbio grazie alla ripresa molto interessante del mercato italiano e in questo autunno anche del mercato straniero – va trovata nella sua capacità

di investire ampliando la sua offerta senza andare a snaturare la qualità della stessa. In pratica, per rispondere alle nuove esigenze distributive, si è fatto letteralmente “in quattro”, affiancando alla Boutique di via del Babuino, anche i monomarca di Rolex, Patek Philippe e in tempi recenti Tudor. Proprio quest’ultima, recentemente diventata anche virtuale con l’introduzione dell’ecommerce come sistema di vendita, è stata apprezzata non solamente dai clienti romani: «Si tratta di una conferma del prestigio delle nostre location fisiche – ci dicono i co-amministratori Benedetto Mauro e Francesco Hausmann - a cui si affianca l’importanza di aprirsi ai nuovi scenari digitali: da qui la decisione di lanciare una Boutique virtuale Tudor Hausmann & Co., per raggiungere e rendere disponibile la nostra ampia selezione di segnatempo della marca a una clientela più estesa, che non necessariamente dovrà recarsi in negozio per l’acquisto».

Il monomarca Tudor in Via dei Condotti, 47/A. Ricordiamo che la virtual Boutique Tudor è accessibile tramite il sito hausmann-co.com

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SUGGESTIONS

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INTRODUZIONE

PAOLO MARICONTI

LA VITA È COME ANDARE IN BICICLETTA Esistono luoghi dove gli abitanti sembrano immuni agli effetti del passare del tempo. Si tratta delle “blue zones”: la provincia di Nuoro, l’isola di Ikaría in Grecia, Okinawa in Giappone, la penisola di Nicoya in Costa Rica e il villaggio di Loma Linda in California, dove si registra una bassa incidenza di malattie croniche e la longevità è la regola. Gli abitanti delle blue zones non ricorrono a elisir di lunga vita o a fonti miracolose, semplicemente seguono una dieta corretta e non conoscono stress e sedentarietà. L’attività fisica è un mezzo efficace per aumentare resistenza e forza muscolare, e per mantenere equilibrio e coordinazione. Studi recenti hanno dimostrato come l’allenamento controlli l’invecchiamento perchè agisce favorevolmente sui centri energetici delle cellule e sull’orologio dell’invecchiamento cellulare. L’esercizio fisico non produce benefici quando viene praticato in modo sporadico. Può essere di tipo anaerobico, in corso di attività intense di breve durata che comportano un debito di ossigeno, o aerobico, caratterizzato da movimenti più lenti e prolungati che permettono ai muscoli di lavorare sempre in condizioni di buona ossigenazione. L’esercizio aerobico come camminare, correre, pedalare o

nuotare ottimizza le performances del sistema cardiocircolatorio e della capacità respiratoria. Tuttavia l’attività anaerobica, in particolare l’allenamento con i pesi, viene proposta con sempre maggior decisione per contrastare l’avanzare del tempo. La danza e le pratiche mente-corpo come yoga, Qi Gong, pilates, Tai Chi, Kendo e Taekwondo riducono stress e ansia, ma un fisico attivo cambia in modo positivo anche il modo pensare, provare sensazioni e elaborare informazioni, con notevoli miglioramenti dell’umore. L’High Intensity Interval Training o HIIT, è un interessante metodo di allenamento che coinvolge i grossi gruppi muscolari. È costituito dall’alternanza di periodi di esercizio anaerobico breve e intenso a periodi di recupero attivo mediante un’attività aerobica di minore intensità, in modo consecutivo e durante lo stesso esercizio. Può diventare una salutare abitudine da praticare regolarmente a casa. Non prevede l’uso di attrezzi particolari e richiede tempi brevi. L’attività fisica mantiene in equilibrio i processi metabolici di corpo e mente, perché, come racconta Albert Einstein: «La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti».

Paolo Mariconti, anestesista e farmacologo - esperto in medicina del dolore e dell’aging

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SUGGESTIONS

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Foto Aldo Sodoma

CAPITOLO 1

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IDEE

RAFFAELE TOVAZZI

FILOSOFIA DEL VINTAGE: NOSTALGIA O CULTURA? La filosofia si basa sulle definizioni e, se davvero vogliamo fare un ragionamento intorno alla filosofia del vintage, siamo chiamati a concordare una comune definizione della parola. Per vintage si intende un oggetto prodotto almeno vent’anni prima del momento attuale. Lo dice la parola stessa, di derivazione francese: vint (venti); age (anni). Da dove nasce questa crescente passione del vintage? A mio avviso da due fattori, uno nostalgico ed un altro sentimentale. Viviamo un’età di responsabilità, di pressioni, di aspettative da soddisfare, di incertezza sul futuro. L’oggetto vintage è il portale di una dolce fuga verso l’altrove, verso un tempo passato, magari spensierato, dove il futuro era un romanzo ancora da scrivere che ci vedeva non solo autori ma anche protagonisti. Ma il vintage è qualcosa di più. È passione, cultura, ricerca dell’universale nell’oceano di relativo che ci circonda. Ci si appassiona di orologi e, prima o poi, si subisce il fascino di un carica manuale o addirittura di pocket watch.

E lì si apre un mondo, fatto di ricerca; una ricerca di conoscenza, informazioni, relazioni, scoperte, fregature ed epifanie. Raro (sebbene non impossibile) che il profano di un settore sia da subito attratto dal vintage, spesso si tratta di un percorso che ci porta a studiare gli universali della bellezza per poterla riconoscere e ricreare nel nostro tempo. Perché oggi abbiamo un disperato bisogno di futuro, un disperato bisogno di politici, di manager, di imprenditori con una visione sul futuro. Ma qualsiasi tentativo di formare il futuro è un gigante con i piedi d’argilla se non saremo in grado di proteggere e tramandare il passato. Qualsiasi collezionista in cuor suo lo sa: c’è qualcosa di più del possesso, c’è la costruzione di un lascito. Perché non siamo dei semplici nostalgici. Siamo i custodi del fuoco, siamo gli ultimi dei romantici, siamo depositari di una cultura che non verrà mai scritta sui libri, ma che abita negli infiniti dialoghi intorno ad un tempo che se n’è andato ma che, come un grande amore, non impedisce a nessuno di ricordarlo.

Raffaele Tovazzi (per gli amici TOVA) è il primo Filosofo Esecutivo in Italia, l’equivalente dell’americano Chief Philosophy Officer. Una figura che può rivelarsi strategica in un mondo sempre più tecnologizzato, dove le imprese innovative tornano a riscoprire il loro lato più “umano”. Quando non è impegnato a salvare il mondo facendo finta di essere una persona seria, sta tramando all’oscuro per realizzare il suo sogno più grande: fondare una radio pirata.

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idee

CAPITOLO 1



CAPITOLO 1

OMEGA

IL CRONOSCOPIO REINVENTA L’ICONA LA CASA DI BIENNE REINTERPRETA LO SPEEDMASTER CON UN QUADRANTE MULTISCALA CHE EVOCA GLI ANNI ’40 ED UN MOVIMENTO A CARICA MANUALE ASSOLUTAMENTE INEDITO

Di Paolo Gobbi QUANDO DI PARLA di cronografia, sono solamente due, al massimo tre i nomi che possono venire in mente ad un serio appassionato, uno di questi è sicuramente lo Speedmaster. Indissolubilmente legato alla conquista della Luna, ma a dispetto di ciò comunque protagonista privilegiato di oltre mezzo secolo di storia della cronografia da polso, lo “Speedy” ha sempre mantenuto nel corso dei decenni alcuni suoi tratti distintivi che lo rendono unico e assolutamente distintivo. Lo stesso accade anche con il nuovo Speedmaster Chronoscope da 43 mm, dove sebbene la grafica del quadrante non trovi

nessun conforto nella storia di questo modello, anzi rimandi ai crono multiscala che la Casa di Bienne realizzava negli anni ’40, purtuttavia il disegno della cassa, dei pulsanti, delle lancette, inevitabilmente lo rende riconoscibile e confortante per i tanti fedeli collezionisti. La collezione completa offre una serie di orologi in acciaio inossidabile, ciascuno contraddistinto da una speciale combinazione cromatica e da un design unico. Dai più sportivi cinturini traforati, ai più classici in pelle vintage marrone, si può scegliere fra un’ampia gamma di modelli il look perfetto per il proprio guardaroba: le possibilità sono infinite.

Omega Speedmaster Chronoscope CoAxial Master Chronometer, cassa 43 mm acciaio, tripla scala sul quadrante. Con cinturino in pelle 8.400 euro Pagina accanto, Lorenzo Pellegrini indossa il Chronoscope Co-Axial Master Chronometer nella versione con bracciale. Photo Leila Leam per Handmade

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IDEE

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CAPITOLO 1

Omega Speedmaster Chronoscope Co-Axial Master Chronometer, cassa 43 mm in bronze gold, tripla scala sul quadrante marrone. 14.100 euro

I MATERIALI L’acciaio inossidabile è, senza dubbio, il materiale più convenzionale in orologeria per componenti esterni, in grado di offrire bellezza, resistenza e convenienza. Omega impiega acciaio inossidabile 316L. Rinomato per la resistenza alla corrosione e l’elevata lucentezza post lucidatura, questo materiale si rivela spesso la scelta ideale sia per l’uso quotidiano che in condizioni estreme, come le immersioni e l’avventura. Il vantaggio dell’alluminio, impiegato per i componenti decorativi, è l’estrema leggerezza. Grazie al procedimento di anodizzazione, offre un’ampia gamma di colori per creare elementi orologieri accattivanti come anelli della lunetta, applicazioni sul quadrante e lancette. Lo speciale procedimento di anodizzazione di Omega, in particolare, ha permesso di ottenere anelli della lunetta in alluminio la cui durezza è quasi doppia rispetto alle versioni classiche. In questo modo, sono più resistenti ai danni esterni. Per apprezzare appieno i dettagli più raffinati di un orologio, Omega utilizza vetro zaffiro sintetico con trattamento avanzato antigraffio e antiriflesso. Prima delle lavorazioni meccaniche e dei processi di finitura, il vetro zaffiro viene prodotto seguendo il metodo Verneuil, chiamato anche fusione alla fiamma, che consiste nel fondere la materia prima utilizzando una fiamma a idrogeno e cristallizzare le gocce fuse per formare un cilindro. Poiché raggiunge il 9° grado della scala di durezza di Mohs (in riferimento a valori da 1 a 10), il vetro zaffiro così ottenuto è virtualmente antigraffio e molto duro, per una visualizzazione degli orologi sempre impeccabile. Solo un modello nella collezione è stato realizzato nell’esclusivo Bronze Gold Omega: un materiale unico nel suo genere, che conferisce alla creazione un’impareggiabile resistenza alla corrosione, nonché un’elegante sfumatura rosa. Completano il look classico un cinturino in pelle marrone, una lunetta in ceramica marrone con una scala tachimetrica smaltata vintage e un quadrante in bronzo ossidato con una speciale patina e una finitura opalina. Il Chronoscope viene proposto con il cinturino in pelle con fibbia in acciaio inossidabile e logo Omega in rilievo positivo, oppure con bracciale in acciaio inossidabile lucido e spazzolato, dotato di un comodo sistema di regolazione brevettato Omega. LA FILOSOFIA COSTRUTTIVA Andiamo per ordine e partiamo dal nome. Il termine ‘Chronoscope’ fonde due espressioni greche tradizionali. ‘Chronos’ che significa tempo e ‘scope’ che significa invece osservare. Lo strumento misura infatti la durata tra due punti o due eventi. Il nuovo Omega svolge questo compito magistralmente e a molteplici livelli, sperimentando con ottimi risultati i quadranti con la stampa di tre scale cronometriche. La prima è una tachimetrica, che misura

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IDEE

Il movimento cronografo di manifattura a carica manuale dotato di meccanismo con ruota a colonna e scappamento Co-Axial. Certificato Master Chronometer approvato dal METAS, resistente a campi magnetici fino a 15.000 gauss.

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CAPITOLO 1

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IDEE

Omega Speedmaster Chronoscope Co-Axial Master Chronometer, cassa 43 mm acciaio, tripla scala sul quadrante. Con bracciale acciaio 8.700 euro

la velocità media in rapporto ad un’unità di distanza percorsa. Poiché la scala misura il tempo medio di percorrenza fra due punti specifici, il risultato può essere espresso indifferentemente in miglia o chilometri, ma potrebbero anche essere azioni ripetute: per intenderci è la scala che viene utilizzata anche per il controllo di produzione. La seconda è la telemetrica, utilizzata per misurare la distanza in rapporto alla velocità del suono. L’esempio più semplice: si fa partire il cronografo quando si vede la luce di un fulmine, lo si blocca quando si sente il rumore del tuono e si legge sulla scala la distanza dove la folgore si è abbattuta. La terza è la pulsometrica, graduata su 30 pulsazioni, che permette di calcolare con discreta precisione la frequenza del battito cardiaco. LA MECCANICA Contenuto all’interno dell’inconfondibile cassa asimmetrica in acciaio con le anse ad elica e ben visibile attraverso il fondello trasparente, il movimento è un sofisticato meccanico a carica manuale Co-Axial Master Chronometer 9908, realizzato in manifattura e caratterizzato da un livello di finiture non comune, specie per un cronografo moderno: un motivo “Côtes de Genève” arabescato che parte dal bilanciere, invece che dal centro del movimento, caratteristica inedita per i segnatempo della Casa. Per ottimizzare la riserva di carica è stato utilizzato un doppio bariletto con rivestimento in DLC (DiamondLike-Carbon) antiusura. Il meccanismo della ruota a colonne garantisce il funzionamento preciso dello smistamento delle funzioni cronografiche. A garanzia di qualità assoluta, sia il movimento che l’intero orologio sono certificati Master Chronometer, dopo essere stati sottoposti a condizioni estreme superando i test più rigidi dell’industria orologiera, stabiliti dall’Istituto Federale Svizzero di Metrologia (METAS). Da ricordare che gli Speedmaster con certificazione Master Chronometer sono testati e certificati due volte. Prima il movimento viene testato dal Controllo Ufficiale Svizzero dei Cronometri (COSC) affinché soddisfi criteri di precisione di -4/+6 secondi al giorno. Poi l’orologio completo e il movimento devono superare otto test Master Chronometer curati dall’Istituto Federale Svizzero di Metrologia (METAS) con criteri di 0/+5 secondi al giorno.

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CAPITOLO 1

LORENZO PELLEGRINI

INVENTARE LA MOSSA VINCENTE VENTICINQUE ANNI, CAPITANO DELLA ROMA CENTROCAMPISTA DELLA NAZIONALE COMBATTE OGNI DOMENICA CONTRO IL TEMPO E CONDIVIDE LA NOSTRA PASSIONE PER LE LANCETTE

Di Paolo Gobbi

NON È PER NIENTE FACILE incontrare o fotografare un calciatore. Tra partite, preparazioni, viaggi, cambi di programma, si percepisce che il tempo a loro disposizione è davvero pochissimo. È stato così anche con Lorenzo Pellegrini, capitano della Roma, centrocampista della Nazionale, uno dei calciatori italiani più interessanti e quotati. Attore protagonista in campo, nei pochi momenti che abbandona il pallone si trasforma in un padre come tutti i padri. Per Handmade si è prestato ad indossare l’orologio di copertina, l’Omega Speedmaster Chronoscope. Lo ha fatto per pura passione, perché le lancette sono l’unico suo momento di fuga dal mondo. Come dargli torto?

Come si vivono in campo i 90 minuti di una partita? Si avverte lo scorrere del tempo, oppure non guardi il tabellone e pensi a giocare? «90 minuti all’interno di una partita sembrano tanti, stiamo parlando pur sempre di un’ora e mezza, in realtà quando sei in campo “volano”. Io poi, sono un giocatore che ha bisogno di “toccare” la palla tantissime volte per essere sempre nel vivo del gioco, per rimanere sempre in partita. Quando questo non succede come vorrei, il tempo passa un pochino più lentamente. Al contrario, quando sono nel vivo del gioco, quando tocco tanti palloni, mi diverto di più, sono felice e i minuti trascorrono senza che neanche me ne accorga.»

Ventidue Marzo del 2015, Pellegrini ha diciott’anni ed entra in campo nell’arena dello Stadio Olimpico. Cosa c’era nella testa di Lorenzo in quel momento? «Avevo solamente diciott’anni. Sono entrato che eravamo sull’uno a zero, quindi la partita era ancora in bilico. In quel momento il mio unico pensiero era riuscire a portare a casa i tre punti e vincere la partita. Tutto quello che stava succedendo l’ho realizzato dopo, in pullman, mentre stavo tornando a casa. Lì ho capito che avevo fatto il mio esordio in serie A.»

Durante la partita qual è il momento più importante? Quello dove il tempo conta di più? «Il momento più importante è dal settantacinquesimo in poi: sono in minuti decisivi, quelli dove un gol a favore oppure a sfavore può decidere le sorti dell’intero incontro, prendere tre punti oppure zero. Anche il rientro in campo, all’inizio del secondo tempo, è un momento determinante, perché si prova ad indirizzare la partita, a scandire il nostro gioco.»

Proviamo a fare ancora un passo indietro. Hai iniziato giovanissimo e già a nove anni eri nel vivaio della Roma. Rispondi sinceramente: l’adolescente Lorenzo pensava che un giorno sarebbe arrivato in prima squadra? «Ogni bambino inizia a giocare con la speranza di diventare un calciatore. Lorenzo bambino prima, adolescente poi, lo sperava. Adesso, tanti anni dopo, posso confermare che non sono poche le difficoltà che si incontrano, i sacrifici che si fanno. È un percorso molto lungo e difficile, nel quale bisogna avere anche un pizzico di fortuna. Importante, quando si va in campo, è mantenere sempre alta la passione e anche oggi, che il calcio per me rappresenta più che un lavoro, la vita, cerco sempre di mantenere una parte di divertimento, perché sono certo che mi aiuta a rendere al meglio.»

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L’extra-time, i tempi supplementari, trenta minuti di passione: da calciatore si giocano per vincere oppure per andare ai rigori? «Quando inizi tempi supplementari, un poco il pensiero va ai rigori: per un giocatore sono un momento di adrenalina incredibile. È una cosa inconscia. Più in generale, si giocano i supplementari tenendo conto anche di com’è andata la partita. Se siamo in campo con un uomo in meno, si pensa a resistere e andare ai rigori. Se invece sei in un momento di grande fiducia, si tenta di vincere la partita evitandoli, visto che comunque sono un punto interrogativo.» Quando la sera torni a casa, che cosa fai? Rivivi la partita oppure stacchi del tutto? «Sono abituato a rivedere la partita anche più e più volte dopo averla giocata, perché voglio rendermi


IDEE

Lorenzo Pellegrini fotografato da Roberto Marchionne

conto di quello che ho fatto: da “dentro” il campo le percezioni sono diverse rispetto alla partita in TV. La guardo prima tutta, poi una seconda volta concentrandomi sulle mie giocate. Certo, se abbiamo giocato alle 15 quando torno a casa ho tanta voglia di essere spensierato. Di passare del tempo in famiglia con i miei bambini. Poi, solo quando loro si addormentano, accendo il televisore e guardo l’incontro. Se invece giochiamo la sera, i bambini sono già a letto, io ne approfitto per rivedere tutto in tranquillità.» Come vive il rapporto con il tempo nella vita di tutti i giorni? Hai dei momenti nei quali riesci a staccare? «Bella domanda. Io non ho nessuna percezione del tempo, dei giorni, delle settimane, dei mesi. Nulla. Calcolo e organizzo il mio tempo in base alle partite: so che nella settimana corrente devo giocare tre partite, la successiva due, poi altre tre… In pratica si segue la stagione calcistica: i primi mesi dall’inizio del campionato, fino a dicembre, sono molto duri perché abbiamo una partita ogni 3-4 giorni. Più avanti si può programmare qualcosa: può capitare di avere una settimana per preparare la partita e si ha maggiore tempo a disposizione. Ma la norma è che si pensa a giocare e basta, com’è giusto che sia.» L’ora la guardi al polso oppure sul cellulare? «Devo essere sincero, se ho il telefono in mano mi viene quasi istintivo leggerci anche l’ora. Altrimenti la guardo sul mio orologio da polso.»

Quindi l’orologio al polso c’è sempre? «Sì, indosso sempre l’orologio al polso, anzi a questo proposito voglio raccontare una storia accaduta molto tempo fa e che ho condiviso con Giovanni Ferro e Giampiero Pocetta, i miei due agenti: mi ero da poco trasferito a Sassuolo, ero un ragazzo e non indossavo mai l’orologio al polso, mi dava fastidio, lo consideravo un peso inutile. Loro mi dicevano, al contrario, che era bello, che per un uomo era una caratterizzazione forte. Un giorno ho provato, e non me lo sono più tolto. Anzi, sono diventato un vero appassionato, mi documento, seguo le novità, ho una mia collezione, ho degli amici specializzati che mi aiutano a capire la storia e le caratteristiche dei pezzi più importanti.» A venticinque anni sei padre di Camilla e Thomas. Come riesce un calciatore di Serie A a trovare il tempo per la famiglia? «Un calciatore sa già che alcuni momenti privati li dovrà per forza perdere. Me ne sono accorto in questi anni, quando ritornando da un ritiro di preparazione alla stagione, da un viaggio con la Nazionale, sono tornato a casa e ho trovato i miei piccoli cambiati, cresciuti. Lì ti senti che ti sei perso qualcosa. Rimane il fatto che siamo comunque delle persone fortunate, che devono apprezzare la vita, dire grazie e cercare di trasmettere ai nostri figli questi valori: sapere che per ottenere quello che si vuole, bisogna fare dei sacrifici e cercare sempre di fare di tutto per raggiungere i nostri sogni.»

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CAPITOLO 1

THE BOOK

MAGISTER SPEEDMASTER IL LIBRO FIRMATO HM IL CRONOGRAFO DELLA LUNA, RACCONTATO SU OLTRE QUATTROCENTO PAGINE, RISCRIVE LA SUA STORIA ANDREA FOFFI CI RACCONTA IL DIETRO LE QUINTE

Di Mauro Girasole Foto di Fabio Santinelli

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MAGISTER DOPO 24 MESI di lavoro è finalmente pronto per essere letto, studiato, consultato, per diventare l’amico degli appassionati Omega, ma anche di tutti coloro i quali vosgliono scoprire una delle pagine più belle della cronografia moderna.

Ne parliamo con Andrea Foffi, che Magister lo ha prima sognato e studiato, poi fortemente voluto e infine creato assieme a Paolo Gobbi e al fotografo Fabio Santinelli. Come è nata la tua passione per gli orologi e da quando collezioni orologi? «Ho iniziato da giovanissimo. Già a 16 anni la mia passione era quella di andare nei mercatini alla ricerca di oggetti strani, soprattutto orologi. Mi affascinavano le casse strane, i quadranti complicati, le marche sconosciute. Ancora oggi porto con me i retaggi di quegli anni. Non è un caso se sono stato tra i primi a dare valore vent’anni fa a marche allora non valorizzate come Longines, Universal Genève e Omega

Oggi i modelli vintage di questi brand sono molto ricercati, io ho cominciato a farlo quando nessuno ci credeva e si cercava solamente Patek Philippe e Rolex.» Raccontaci qualcosa sulla tua collezione di orologi: ad esempio, quanti pezzi hai raccolto approssimativamente e quali modelli sono i tuoi preferiti? «Impossibile dire quanti pezzi ho raccolto in trent’anni di ricerche anche perché, per deformazione professionale, tengo sempre per me i modelli che mi colpiscono maggiormente. Comunque i miei preferiti sono sicuramente gli Speedmaster, ai quali ho dedicato tanto tempo sia di studio che “sul campo”, visionando centinaia, migliaia di modelli diversi. Amo i crono vintage degli anni ’50 e ’60, Longines, TAG Heuer, Universal Genève, Rolex, Tudor. Tra i moderni preferisco i piccoli marchi indipendenti, anche se ultimamente mi sono innamorato di Piaget.»

MAGISTER THE BOOK ANDREA FOFFI SPEEDMASTER SELECTION Il volume, bilingue italiano/inglese, è realizzato in tre differenti edizioni

2021 copie numerate e firmate Stampa di altissima qualità in esacromia con tecnologia UV a Led per la massima resa cromatica. La più alta qualità oggi possibile nella stampa d’arte. 416 pagine, oltre 350 fotografie Formato 240x330 mm Peso del volume circa 3,10 Kg In vendita a 399 euro FOLLOW US ON INSTAGRAM - FACEBOOK

250 copie esclusive per le boutique Omega Tiratura limitata formato XL in vendita da primavera 2022. www.magister-shop.com info@magister-shop.com Phone, WhatsApp e Telegram Italian +39 339 831 5887 English +39 375 728 8121

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CAPITOLO 1

Magister è stato finito di stampare in esacromia nel mese di dicembre 2021 a Loreto in Italia dalla Tecnostampa Pigini Group Printing Division. Andrea Foffi lo ha sognato, ideato, costruito in due anni di lavoro e in venti anni di assoluta passione e dedizione. Paolo Gobbi lo ha scritto e gli ha dato forma editoriale. Fabio Santinelli lo ha fotografato. Marco e Michele Moretti hanno pazientemente tessuto le fila dell’intera brigata.

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Se potessi scegliere un solo marchio di orologi, quale sceglieresti? Cosa ti piace di questo marchio? «Non potrei non scegliere che lo Speedmaster. Troppo legato a questo orologio. Troppi anni passati a collezionarne tutte le versioni. In Omega rispetto l’aver sempre scelto una strada qualitativa, non essere mai sceso a compromessi. Uno Speedy della fine degli anni ’50 è ancora oggi un orologio perfettamente attuale. Chi è riuscito a fare altro?» Perché hai deciso di realizzare il libro? «Ho deciso di realizzare il libro perché sentivo la necessità di lasciare un segno, di condividere con tutti i collezionisti la mia passione e gli anni trascorsi a ricercare i pezzi più rari. Nel libro ho cercato di unire tante tessere di un complesso mosaico, presentando assieme alle referenze più famose, anche i transizionali, le preserie, le serie limitate. In definitiva volevo dare uno strumento di passione e di conoscenza e per questo mi sono affidato all’esperienza editoriale di Paolo Gobbi e all’indiscussa maestria fotografica di Fabio Santinelli.» Cosa rende questo libro così speciale e perché le persone dovrebbero leggerlo? «Tutto è speciale in Magister. Le quasi quattrocento foto tutte originali, scattate ad altissima risoluzione e senza nessun compromesso tecnico. Abbiamo impiegato più di un anno per realizzare tutti questi scatti e non abbiamo attinto a foto di repertorio a bassa risoluzione, come capita spesso di vedere. È speciale perché tutte queste immagini sono raccontate con passione, con un testo veloce da leggere ma mai scontato. È speciale perché abbiamo utilizzato un sistema di stampa a sei colori che è tipico solamente dei libri d’arte più prestigiosi, quelli che normalmente costano diverse migliaia di euro. Sfogliare Magister diventa allora ogni giorno un’avventura e una scoperta. È così bello e coinvolgente che io stesso che l’ho voluto e costruito, rimango ogni volta affascinato quando lo sfoglio e mi perdo così tanto nella magia degli Speedy, da dimenticarmi che sono i miei…»

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CAPITOLO 1

BULGARI

L’ESPRESSIONE SENSORIALE DELLA BELLEZZA RIVOLUZIONANDO IL PARADIGMA DELL’OROLOGERIA MODERNA, IL MARCHIO ROMANO SI È AFFERMATO COME MAESTRO DELL’ESTETICA DELLA MECCANICA, BILANCIANDO IL SAVOIR-FAIRE E IL DESIGN INNOVATIVO DEI SUOI MODELLI ULTRASOTTILI IN CREAZIONI RIVOLUZIONARIE

Di Paolo Gobbi NATO A ROMA, Bulgari con sempre più forza ha deciso di investire nella Citta Eterna, ponendola al centro delle sue attenzioni sia dal punto di vista lavorativo che culturale. Ne parliamo con il ceo Jean-Christophe Babin.

Quanto deve Bulgari a Roma? «Bulgari deve tantissimo a Roma. Senza non avremmo lo stile che è stato il nostro successo, diverso da quello dei gioiellieri parigini o newyorkesi. È uno stile che ci ha reso unici e in grado di attrarre una clientela differente, senza rimanere all’ombra di altre scuole di gioiellieri».

Quanto deve Roma a Bulgari? «Sicuramente siamo uno dei suoi ambasciatori più famosi, un simbolo di eleganza romana e cerchiamo ovunque di dare un’esperienza unica dello stile di vita di questa città. A cominciare dall’ospitalità. I nostri alberghi rappresentano Roma all’estero: sono leader nelle loro città proprio perché offrono un’esperienza unica ai clienti. Sarebbe presuntuoso dire che Roma oggi debba a Bulgari un po’ della sua fama, però possiamo dire che la marca rappresenta la parte contemporanea di una Roma imprenditoriale, creativa e vincente»

Questo stile si è poi tradotto anche negli orologi? «Sì. Pensiamo a Serpenti, sicuramente il simbolo più importante, portato a Roma dalla Regina Cleopatra, ma anche a Octo, che deve la sua sagoma all’architettura dei templi romani; a BulgariBulgari, che si rifà alle monete imperiali con il nome dell’imperatore; a Diva, con i mosaici di Caracalla che ci hanno dato l’idea. Ci sono tantissimi segni romani indiscutibili nella creatività di Bulgari. Lo stesso vale per l’Alta Gioielleria, dove magari la “romanità” è un po’ meno “letterale”. Ma basta pensare al cabochon che è stato ispirato dalle domus romane, alla combinazione di colori che non trovi in un’altra città».

A Roma state realizzando un nuovo importante Bulgari Hotel. L’idea che Bulgari stia investendo sulla città, che stiate trasformando una piazza che era in abbandono totale in qualcosa che diventerà un gioiello, è il segno tangibile di questa vostra attenzione verso la città? «È sicuramente l’impegno maggiore che abbiamo mai avuto a Roma, al di là dei lavori di restauro che abbiamo svolto a Piazza di Spagna piuttosto che quelli che cominceranno a breve a Largo Argentina, o a Caracalla. Secondo me però l’albergo, oltre alle nostre attività storiche di gioielliere, sarà un po’ l’alfiere di Bulgari a Roma e in Italia, offrendo alla città un’ospitalità a livelli

NOI NON CI ISPIRIAMO AI MODELLI MASCHILI PER FARE GLI OROLOGI LADY; NOI PARTIAMO PROPRIO DALLA DONNA

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Jean-Christophe Babin ceo Bulgari

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CAPITOLO 1

«IL VOLO DELLA FARFALLA» OCTO ROMA PAPILLON CENTRAL TOURBILLON

Il volo di un lepidottero può provocare un battito di ali. Incredibilmente complesso nella sua costruzione, il nuovo Octo Roma Papillon Central Tourbillon offre una lettura infinitamente semplice delle ore e dei minuti. Una metafora ispirata al volo della farfalla e unica nel mondo dell’Alta Orologeria, questo meccanismo è dotato di due lancette a scomparsa e indipendenti a forma di diamante, posizionate su un disco di supporto. Ciascuna ruota a sua volta lungo un binario semicircolare di 180 gradi. Mentre l’ora saltante appare nella finestrella posizionata a ore 12, i minuti sono indicati successivamente da ciascuna delle due lancette. La prima è posizionata sul segmento e segnala l’andamento dei minuti, mentre la seconda rimane in posizione retratta per tutto il percorso del disco che le trasporta. Quando la prima lancetta raggiunge il 55° minuto sul segmento del display, l’altra lancetta farà gradualmente un quarto di giro per assumere una posizione parallela alla prima, sull’indicazione dei 00 minuti. La prima lancetta

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si sposterà quindi nella posizione retratta per i successivi 55 minuti. Ma Bulgari va ancora oltre, ed associa la più prestigiosa delle complicazioni orologiaie al suo brevetto Papillon. Il nuovo Octo Roma Papillon Central Tourbillon presenta infatti questo meccanismo di alta precisione integrato nel cuore dell’orologio, con indicazione delle 24 ore saltanti per mezzo di un disco su un cuscinetto a sfere in ceramica, visibile da un’apertura situata a ore 12. Alla fine dei 60 minuti indicati da una delle lancette “a farfalla”, il disco salta per visualizzare il nuovo orario nell’apertura. Il vantaggio del dispositivo Papillon è che consuma meno energia rispetto al tradizionale display dei minuti, con un impatto positivo sulla riserva di carica. I sofisticati meccanismi di questo modello sono mossi da un movimento meccanico di manifattura a carica automatica, Calibro BVL 332, interamente progettato e assemblato secondo la migliore tradizione dai maestri orologiai della Manifattura Bulgari. Esso presenta un’indicazione della riserva di carica di 60 ore sul retro della cassa Octo Roma in oro rosa.


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superiori rispetto all’offerta esistente. Cercheremo di renderlo il migliore di Europa, se non di più. Abbiamo messo insieme tutti gli elementi per creare un’esperienza eccezionale». I lavori sono già iniziati. «Sì, adesso piano piano si comincia a vedere. Abbiamo già iniziato i lavori di restauro della facciata. Come da programma, nonostante il Covid, la data di apertura ad oggi rimane il 22 ottobre del 2022». In un momento in cui tutti pensano a vendere e basta, Bulgari si è permessa il lusso di realizzare una Domus Aurea all’interno suo negozio più bello e più importante romano. Perché questa scelta controcorrente? «Credo che sempre di più i clienti, al di là della bellezza del prodotto, della fiducia nella marca, della consapevolezza della qualità, vogliano capire meglio cosa c’è dietro il prodotto in vendita: il backstage, che va dal disegno, dalla prima idea, alla realizzazione di prototipi a come sono fabbricati i vari componenti. Quindi tutto questo si trasforma in un aiuto molto potente alla vendita. Di spazio in boutique ne abbiamo già molto, perciò penso che anche una parte più pedagogica sia molto importante. Anche perché è un’affermazione dell’heritage della marca che legittimizza i prodotti commerciali». Si parla di una collezione Heritage per quanto riguarda la vostra gioielleria. Arriverà anche una collezione Heritage per l’Alta Orologeria? «L’Alta Orologeria fa già parte della collezione Heritage. In tutte le iniziative di Heritage, nelle mostre, coniughiamo sempre l’Alta Gioielleria storica con gli orologi storici più emblematici. A cominciare dai Serpenti Secret Watch, ma anche dagli orologi in platino e diamanti degli anni ‘20 piuttosto che i primi Tubogas degli anni ‘60». In un momento in cui il mondo sta ripartendo, l’arrivo dell’Octo Roma Ore del Mondo è un chiaro invito al viaggio. «Octo Roma è sempre stata la seconda gamma di Octo. Ovviamente noi tendiamo più a parlare di Finissimo, perché in termini di immagine e di record è campione quasi assoluto ed è una cosa che nessun altro marchio ha. Ciò detto, in modo più pratico e quotidiano, Roma si vende tanto quanto Finissimo e, di conseguenza, abbiamo deciso di allargare l’offerta. Non solamente un orologio solotempo ma anche con altre funzionalità interessanti e il worldtime ci è sembrato un modello particolarmente coerente: da una parte perché ce ne sono pochi sul mercato, poi perché, dopo un anno e mezzo di pandemia, la gente ha voglia di tornare a viaggiare. Comunque, a prescindere, è un orologio che ti fa già sognare solo leggendo i nomi delle città. Abbiamo infatti volutamente inserito luoghi che non ci sono sui worldtime classici. Puoi trovare Saint-Barthélemy, le Maldive, Capoverde... Tante destinazioni che corrispondono ai vari fusi orari che i marchi svizzeri tradizionali non oserebbero mai inserire. Anche l’Europa è definita da Roma».

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CAPITOLO 1

Per una volta non c’è più Parigi! «Infatti, è un orologio funzionale ma è anche originale, perché la scelta delle città rispecchia molto la Dolce Vita di Bulgari, coniugando luoghi da business ad altri molto più ricreativi e a destinazioni da sogno. È un worldtime molto Bulgari». L’orologeria oggi, a parte tutta la modellistica pseudo-vintage, sta lavorando tantissimo sui materiali, sul design, sulle pietre preziose.Voi continuate imperterriti a fare l’Alta Orologeria con le complicazioni. Octo Roma Carillon Tourbillon è un modello pluricomplicato come non se ne vedono più da tempo... «Se guardiamo alla storia di Octo nell’alto di gamma, vediamo che abbiamo un tourbillon con SuperLuminova che è ultra moderno, con dei materiali ultra avanzati. Poi abbiamo il tourbillon centrale molto sofisticato già nella scelta del movimento. È bello e la sincronizzazione delle lancette retrattili e retrograde è una meraviglia. C’è una magia in queste rotazioni che fa anche la bellezza e la purezza di questo orologio. È diverso da altri tourbillon che abbiamo in catalogo. Penso al Tourbillon Lumiere che è più moderno. Però questo ha la modernità di una cassa Octo che non è classicamente rotondo come quella di alcuni concorrenti». L’orologeria sta vivendo un altro momento interessante e divertente con Audemars Piguet, ad esempio, che utilizza Black Panther o con TAG Heuer con Super Mario,Voi invece da una vita, con Gérald Genta, avete Topolino, che è sempre stato sui vostri quadranti dagli anni 80. «Esatto, torna Topolino. Abbiamo fatto un nuovo accordo con la Walt Disney Company e ovviamente abbiamo ripreso la firma Genta come l’abbiamo definita tre anni fa. Ciò significa la cassa Arena Sport e, ovviamente, il movimento retrogrado, che è l’altra firma Gérald Genta. La differenza è che, anziché avere lancette classiche, ci siamo divertiti con Topolino, il cui dito fa da lancetta dei minuti. È un orologio estremamente gioioso e divertente e non è una coincidenza se esce post-Covid. Perché tutti quanti noi abbiamo desiderio di gioia, buonumore e allegria e penso che questo orologio sia il più allegro del mercato». Avete un sezione dedicata a Gérald Genta oppure è integrato nella produzione Bulgari? «È totalmente integrato in Bulgari, a parte la distribuzione, che avviene solamente attraverso l’e-commerce. Siamo ormai presenti in quasi tutti i mercati del mondo: abbiamo approfittato di questi ultimi anni per velocizzare l’apertura dei vari siti di vendita per Gérald Genta». Aluminium è stato una bella sfida da quando lo avete rilanciato. Tra l’altro in un momento un po’ complicato, nel 2020... «Volevamo portare verso l’orologeria di lusso dei clienti più giovani che non trovano

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nell’offerta Bulgari corrente prodotti per la loro generazione, che siano comunque seri e autentici ma altrettanto di forte carattere nel design. Da lì è nata l’idea di ripensare e rilanciare Aluminium ed è stato un grande successo, tanto è vero che siamo fuori stock in quasi tutti i negozi e abbiamo dovuto accelerare la produzione anche durante le vacanze estive. Ora abbiamo lanciato il nuovo Aluminium GMT, il quarto modello della famiglia dopo due solotempo e un cronografo. Quindi rimane una collezione estremamente limitata in termini di varianti, anche perché le ordinazioni sono tantissime». Oggi c’è un problema di clientela? È importante attrarre un cliente che sia diverso rispetto al vecchio appassionato? «Questo è stato un po’ lo scopo di Aluminium, Abbiamo pensato che potesse essere la risposta. E se quest’anno abbiamo avuto una crescita interessante negli orologi, la dobbiamo in parte anche a questa collezione, che non cannibalizza affatto Octo ma che ha un prezzo e un profilo cliente totalmente diversi». Le donne sono state protagoniste delle collezioni degli ultimi anni. «Il segmento donna sul mercato è minore di quello maschile. Però, fatta eccezione di due/ tre marche specializzate sulla donna, tra cui Bulgari, la maggior parte degli orologi donna sono dei modelli da uomo rimpiccioliti, con un po’ di diamanti e un po’ di madreperla. Noi non ci ispiriamo a dei modelli maschili per fare gli orologi lady; noi partiamo proprio dalla donna». Un esempio? «Lucea, Serpenti, Diva, ma anche il nuovo Divina Mosaica si inscrive in questa logica: un orologio totalmente femminile che, nel caso specifico, mette insieme tantissimi tagli diversi di diamanti, dal semplice pavé, alle baguette, ai diamanti rettangolari, per poter disegnare il motivo a ventaglio sul quadrante. Di solito gli orologi full diamond usano o un solo taglio delle pietre o qualche baguette. Il Divina Mosaica hai tutto ciò che si può fare con i diamanti. Inoltre all’interno batte un movimento ripetizione minuti che lo rende una grande complicazione». È innegabile che si tratta di savoir-faire che storicamente vi caratterizza: l’Alta Orologeria fa parte del vostro patrimonio e, tra l’altro, siete tra i pochi a esprimerla in maniera totalmente autonoma e verticale. «Abbiamo anche due versioni che non hanno la ripetizione minuti perché a causa dell’estrema complessità non siamo in grado di realizzare movimenti di questo tipo in larga scala. Presentano altri tipi di pietre: zaffiri rosa e tsavoriti verdi. Sono sempre meccanici e sempre con questo motivo Diva che risalta ancora di più quando usi le pietre colorate».


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L’Octo Roma WorldTimer è disegnato per il viaggiatore moderno: consente la lettura istantanea dell’ora in 24 città diverse, ovvero in 24 fusi orari.

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MERCEDES - HYPERMAREMMA

METTERSI A NUDO LE COMPLESSITÀ SI RISOLVONO CON CREATIVITÀ E RESPONSABILITÀ CULTURALE ED ECONOMICA. GENERAZIONI IMPRENDITORIALI A CONFRONTO: RADEK JELINEK E MATTEO D’ALOJA Di Bibiana La Rovere SULLA TERRAZZA del centralissimo The Pantheon Iconic Hotel, si avverte tutto l’abbraccio di una eterna Roma che non smette mai di incantare svelandoti con i suoi tramonti, l’ultima luce e le prime ombre della sera, la sua storia e la sua struggente bellezza. Ed è proprio qui che decido di incontrare, stavolta insieme, due uomini così diversi per generazione, provenienza ed esperienza ma così speciali nel manifestare i loro talenti, le loro passioni, la loro professionalità: Matteo d’Aloja co-founder di Hypermaremma e Radek Jelinek Presidente e ceo di Mercedes Benz Italia. Avendoli precedentemente coinvolti in “Conversazioni” e riascoltabili attraverso il QR Code sul numero precedente del magazine, sentivo che rivederli insieme avrebbe dilatato la visione di un poetare, vale a dire un fare insieme, che li ha visti protagonisti dell’avverare un futuro presente, unendo piani diversi per tipologie d’interesse culturale ed economico. Più che mai è necessario sottolineare che il fare impresa non prescinde da un agire etico e filosofico, in cui l’obiettivo profitto segue un’intenzionalità alta. Quella di mettere al centro la persona e la sua sfera emotiva percettiva. Condividere un progetto non è sempre facile, presuppone che dietro chi detiene le fila ci sia un esercizio fondamentale, quello di predisporsi all’ascolto dell’altro, senza pregiudizi o prevaricazioni o esplosioni di ego. Nel caso di Hypermaremma l’arte ha avuto come main sponsor Mercedes Benz ed è, così, possibile affermare che l’innesto ha prodotto un risultato da fuoriclasse, grazie all’intervento lungimirante di Matteo d’Aloja e Radek Jelinek.

Le alleanze non si basano su un gioco forza ma sul condividere la stessa visione. Qual’è la posta in gioco? (Radek Jelinek) «Molti marchi del lusso, come anche il nostro, hanno una visione un po’ fuori da quello che sono gli stereotipi. Vogliono sorprendere, alle volte provocare. È tipico di chi fa le cose con una visione. Da qui il collegamento con l’arte, con il design, con l’avanguardia. L’industria dell’automotive in generale non è così creativa, però noi stiamo tentando di fare delle cose diverse.

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Ho capito che oggi il cliente vuole un’esperienza sensoriale, capire il marchio e chi sono le persone che operano dietro le quinte. Pertanto penso che la maniera più sottile, più elegante e anche più bella è quella di creare un contatto con i clienti. Nell’esperienza, se c’è stile, se c’è eleganza, ti puoi identificare con il marchio e con coloro che ci lavorano.» Sono esperienze trasversali che però hanno un filo conduttore. (Matteo d’Aloja) «Con Radek ci siamo trovati perfettamente allineati: nel progetto Hypermaremma ha accolto un’estetica molto forte e un racconto fuori dagli schemi. Questo ci ha dato un enorme valore perché ha portato fisicamente delle persone a vivere un’esperienza attraverso i propri occhi e abilità, con un viaggio sia nell’arte, diffusa sul territorio della Maremma, che in quello di guida a bordo di una delle Mercedes a disposizione, main sponsor di Hypermaremma. I due racconti, insieme, hanno colto un pubblico trasversalmente molto diverso. Ormai puoi conoscere facilmente una macchina trovando tutte le informazioni su Internet, però in questo modo puoi coinvolgere gli appassionati facendogliela provare percorrendo un territorio già di per sé affascinante. Anche per quel che mi riguarda, è molto difficile portare nuove persone ad appassionarsi all’arte ed essere riusciti a trovare una sinergia è stata un’esperienza veramente unica.» Che è anche un’esperienza estetica e sinestetica. M.d’A. «Assolutamente sì: l’esperienza di guidare una macchina - tra l’altro parliamo di macchine sofisticatissime - goderne le qualità, scendere e vedere un paesaggio meraviglioso. Perché poi c’è tutto il contesto. Ci sono le esperienze nei luoghi: dove Mercedes si fermava, c’erano le nostre opere d’arte ma c’era anche la possibilità di scoprire le specialità eno-gastronomiche, quindi anche la promozione del territorio. Tutto questo insieme chiude completamente il cerchio di quello che deve essere una vera esperienza e soprattutto un’esperienza molto italiana.»


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R.J. «È importante il lato umano: con Hypermaremma abbiamo fatto una scelta di persone. Parlando di macchine, parlando di arte contemporanea, devi capire chi sono le persone che le creano. La nostra joint-venture è iniziata perché ci siamo conosciuti e ci siamo piaciuti. Abbiamo avuto delle idee e ne è nata una cosa bella, affascinante, come creare una grande opera con più voci.» Una sorta di continuità con quelli che sono piani diversi che però identificano una persona, la sua anima. La scelta che facciamo rispetto agli oggetti, una macchina piuttosto che un orologio o un abito.Tutto, in qualche modo, identificativo di una persona. M.d’A. «Poi c’è la parte tangibile che è l’esperienza fisica. In questo caso guidare, che sembra così semplice ma è una grande esperienza. Dopo c’è la condivisione: si formavano dei gruppi di amici nella stessa macchina, era un momento divertente anche per chiacchierare. Abbiamo avuto anche l’idea di collegare le macchine tramite dei vivavoce. La cosa più bella è stata che noi li abbiamo seguiti su Instagram e la parte social è esplosa.» Quando il dialogo accresce il valore etico sociale di fare impresa a cosa è necessario abdicare? M.d’A. «L’etica sociale è la spina dorsale del nostro progetto Hypermaremma. Abbiamo un approccio etico morale verso i maremmani, verso le persone locali e verso i turisti, ai quali offriamo un’esperienza d’arte che include lo sguardo e il

rispetto per il territorio. C’è chi già conosce l’arte e chi no e può approcciarsi in un modo diverso dal contesto museo, che può apparire più austero, respingente. Soprattutto la nostra missione è quella di lasciare opere d’arte sul territorio grazie a un partner come Mercedes. Un valore duraturo nel tempo che è pressoché impossibile da ricreare, è un unicum assoluto. Di solito, le committenze pubbliche sono strutture operative gigantesche, noi invece, siamo una piccola realtà che riesce a disseminare cultura, avendo a cura ogni dettaglio.» R.J. «Poter accrescere il valore del brand, significa riuscire ad unire diverse realtà con un comune denominatore: l’ascolto. Solo così si è in grado di dialogare e confrontarsi per permettere che qualcosa di nuovo venga alla luce, l’obiettivo è il coinvolgimento, poter rinunciare a qualcosa di piccolo per poter far spazio a qualcosa di molto più grande. Innovare attrae anche nuovi investitori» È importante il dialogo, il fatto di incontrare l’altro e quindi abbandonare un po’ quella che è la propria visione di fare impresa. Si crea un punto di incontro che diventa terreno fertile. M.d’A. «Devi guadare con gli occhi dell’altro per capire, intuire e anticipare di cosa può aver bisogno. Nel caso di Mercedes, hanno avuto la forza di proporsi con delle cose ancora più incredibili di quelle che noi potevamo offrirgli, dandoci così una grande forza di sponda, che si è trasformata per noi in un incredibile valore aggiunto. C’è un grande

A sinistra, Radek Jelinek, presidente e ceo di Mercedes-Benz Italia. A destra, Matteo d’Aloja, collezionista e manager, fondatore di Hypermaremma insieme a Carlo Pratis, Giorgio Galotti, Massimo Mininni e Lorenzo Bassetti.

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ritorno in questo dare e in questo caso Radek in prima persona, e il sistema Mercedes, sono stati estremamente generosi.» R.J. «Conta molto il rispetto per chi hai davanti, che spesso non è l’atteggiamento di chi sponsorizza un evento. Non si deve perderne l’essenza. Un evento come il nostro, paradossalmente, ha innalzato il valore della Maremma stessa, un territorio di per sé già di grande storia e incanto. Creare ed accrescere valore è un punto di forza, in una visione d’insieme.» M.d’A. «Era molto bella la dinamica poichè Mercedes si è messa al servizio di Hypermaremma per sostenere l’anima del progetto. Ma non ci ha divorato, nonostante il marchio Mercedes sia, uno dei più importanti al mondo.» Questo rientra nel concetto di rispetto reciproco e di saper valorizzare le altrui capacità. R.J. In generale l’Italia, è un paese culturalmente con un background decisamente maggiore, rispetto ad altri. E questo atteggiamento lo perseguiamo in tutte le nostre esperienze piuttosto che di sponsorizzazioni di eventi. Non basta mettere solo le bandiere Mercedes, le hostess, un parcheggio con le macchine. Diventa tutto emotivamente interessante solamente se dietro c’è un’esperienza, un’immersione sensoriale. Una ricerca nella qualità dell’approccio, nel vivere e creare un vissuto intorno all’oggetto, tale da intessere una storia che renda vivo il brand.» M.d’A. «È un messaggio più sottile e più a lungo termine. Nel senso che probabilmente durante Hypermaremma non venderai una macchina, ma l’idea è quella di interessare un pubblico colto e trasversale, a cui piace l’automotive ma anche l’arte, che vuole saperne di più, informarsi avendo una visione che contenga più elementi contemporaneamente.» R.J. «Abbiamo fatto provare le macchine senza dover mai dire che era una parte dell’esperienza e questo crea un flusso dinamico, senza il bisogno di separare le cose ma piuttosto unendo affinità e doti il risultato è motivante e arricchente.» Erano tutte auto elettriche? R.J. «Non tutte, una grande parte sì, in quanto abbiamo approfittato di questo evento per lanciare la nuova Classe C. Si poteva provare una macchina e intanto vedere delle opere d’arte, godere del paesaggio, percorrerlo. La conoscenza è un viaggio, un’esplorazione e quale miglior modo che

presentare l’ingresso di un nuovo modello attraverso una sinergia che ne amplifichi la prestanza.» M.d’A. «È stata l’unione di due team che hanno lavorato tantissimo. Si sono create delle dinamiche molto preziose anche a livello umano. Ci siamo trovati. Mercedes non è arrivata da noi con l’arroganza del grande marchio.» Le complessità si risolvono spesso con creatività, come avete anche appena illustrato. Creatività e responsabilità, naturalmente sempre culturale ed economica. Qual è la vostra visione? Fare delle scelte azzardate e rompere gli schemi o percorrere il già tracciato? R.J. «La creatività è importante. Oggi sta cambiando assolutamente tutto, a partire proprio dalla mia industria, l’automotive. Karl Benz ha inventato il primo prototipo di automobile nel 1886 e per 130 anni abbiamo fatto automobili termiche, adesso stiamo facendo praticamente degli “smartphone” con dentro un motore elettrico. Oggi devi trovare soluzioni a nuove sfide di prodotto, di commercializzazione, di distribuzione, che puoi risolvere solo se avrai un approccio aperto, creativo. Bisogna fare le cose in modo diverso e qui torna la parte umana di cui parlavamo, che è quella più difficile ma anche più valoriale in una azienda. Creare un processo virtuoso fa la differenza.» M.d’A. «È molto interessante tutta la parte di interdisciplinarietà. Lo vedo anche per l’azienda per cui lavoro “Ghella” una società leader nella costruzione di grandi progetti infrastrutturali, in tutto il mondo. Sono un architetto, penso sempre completamente fuori dagli schemi e questa si è rivelata la mia più grande fortuna: essere completamente diverso rispetto alle aspettative che l’azienda ha nei confronti dei suoi dipendenti, che sostanzialmente devono essere tutti in un certo modo. Se ce n’è uno diverso dal coro, se ha un minimo di idee, rompe completamente i ruoli ed è un vantaggio incredibile, sovvertire uno schema creando nuove dinamiche operative. L’arte è parte di questo innescare, perché ti instilla un dubbio su uno scenario già in essere e ti apre ad altre possibilità.» R.J. «Nel contesto dell’arte noi Mercedes abbiamo Daimler che ha una collezione pazzesca. Quindi l’arte, è parte integrante della cultura della nostra azienda e non può che accrescerne il valore, in una visione virtuosa e al contempo illuminante. Oggi, i paradigmi del fare impresa sono cambiati e per mantenere alta la propria reputazione, è necessario prendersi cura di territorio, società ed ambiente»

HYPERMAREMMA vuole innescare una nuova fruizione del territorio maremmano attraverso la contingenza contemporanea dell’iperattività, modalità che contraddistingue i nostri giorni e le nuove generazioni artistiche, volutamente in cortocircuito con una zona d’eccellenza che ha sempre fatto dei sui tempi dilatati e del vivere lentamente le sue bellezze la sua principale caratteristica. Il progetto si configura quindi su diversi piani in grado di bilanciare grandi progetti espositivi istituzionali con mostre e presentazioni in luoghi privati d’eccezione.

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Moira Ricci “Totem” (2021), ferro, vetroresina e materiali misti. Altezza 5 metri. Courtesy Hypermaremma

Innovazione tecnologica, spirito di squadra, talento, competenze, strategia. Questi sono gli ingredienti vincenti per fare lavoro di squadra in un’impresa. Manca qualcos’altro? R.J. «Sì, l’intuizione. Penso che con Hypermaremma abbiamo fatto poca strategia ma tanta intuizione. Per creare delle cose a volte non ci vuole la formula precisa ma è una questione di feeling, di energia, di percezione: non li conoscevamo, avevano fatto solo un’edizione precedente e non avevano un lungo curriculum….» M.d’A. «Radek ha amato questo progetto e ha trovato la chiave di lettura giusta. Lì c’è l’intuizione di qualcuno che sa entrare e vuole fare qualcosa di molto diverso, anche perché non siamo la Biennale di Venezia.» R.J. «La scommessa era che poteva andare anche male, certo. Quello che muove tutto è la parte intuitiva e puoi anche sbagliare ma difficilmente accade. Ad ogni modo è il prezzo che si deve accettare quando si assume un rischio, soprattutto quando scegli di tracciare e percorrere altre strade.» La capacità di sviluppare sinergie crea altrettante sinestesie in grado di influire su un futuro scenario di comunicazione e progettualità, è un’abilità non così scontata. R.J. «Sono rimasto sorpreso da quello che siamo riusciti a fare, perché la “vecchia scuola” di marketing tradizionalmente non faceva questo tipo di cose. Siamo entrati nella visione insieme e sono stati bravissimi. C’è da dire che nel tempo Mercedes ha avviato anche altri progetti che contemplassero altri sguardi. Ha all’attivo una importante campagna con progetti a sostegno delle donne “She’s Mercedes”. C’è una donna, famosa nella storia delle automobili, Bertha Benz, moglie e socia in affari dell’inventore dell’automobile Karl Benz, che è stata la prima persona al mondo a guidare un’automobile sulla lunga distanza. E poi Mercedes si chiama così perché era il nome della figlia di un famoso importatore di auto, che si fece produrre una serie speciale a cui diede il suo nome. Con queste auto vinse anche moltissime gare, acquisendo grande fama. Noi facciamo tesoro della storia per costruire il futuro, senza soluzione di continuità. Questo ci permette di dare maggiore identità al brand. M.d’A. «Credo che un valore sia stato anche il fatto che Mercedes è entrata nel progetto in punta di piedi, senza arroganza. Ovviamente a Hypermaremma c’era lo stand di Mercedes dove raccontavano la storia delle loro auto, però era completamente “integrato”. Anche noi ne eravamo orgogliosi, ci sentivamo a casa. Non era una cosa che ha stravolto il progetto, hanno rispettato gli equilibri: l’assaggio dei vini della cantina Terenzi, le opere d’arte. A questo proposito ha avuto un grande successo l’opera di Moira Ricci, un’artista figlia di contadini maremmani: un’installazione di un pugno alto 6 metri: non dobbiamo sottovalutare il fatto che sia una donna, perché quando si parla di sensibilità e arte le donne hanno una spinta 100 volte più incisiva rispetto agli uomini. E poi perché non vi è ancora un’accentuata visibilità femminile, rappresentativa, in questo settore. La cosa che più mi ha affascinato è che siamo riusciti a cogliere un pubblico che né noi né Mercedes potevamo mai immaginarci: i collezionisti di manga!.»

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ROLEX

UN PARTNER D’ECCEZIONE I GRANDI PALCOSCENICI OPERISTICI DEL MONDO HANNO OGNUNO UNA PROPRIA STORIA E UNA PROPRIA ARCHITETTURA MA CONDIVIDONO TUTTI UN IMPEGNO INCONDIZIONATO VERSO L’ECCELLENZA A TUTTI I LIVELLI. ROLEX È PARTNER DI QUESTE ISTITUZIONI

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Di Paolo Gobbi

MECENATE DI ARTISTI D’ECCEZIONE e sponsor di eventi esclusivi, Rolex promuove l’arte e la musica mantenendo viva una tradizione ispirata alla visione e ai valori del suo fondatore, Hans Wilsdorf. Dal suo spirito innovatore e dalla sua perpetua ricerca dell’eccellenza sono nati orologi di qualità straordinaria, divenuti simboli di eleganza e prestigio. Con la volontà di incoraggiare l’eccellenza nell’arte e di facilitare la trasmissione del sapere da una generazione

La Scala di Milano, Foto © Ambroise Tzenas

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all’altra, Rolex ha sviluppato sodalizi duraturi con gli eventi, con gli enti e con le orchestre più prestigiosi del mondo. Inoltre, il marchio ha stretto legami con generazioni di artisti di fama mondiale, incoraggiandoli a superare sempre i propri limiti per raggiungere i massimi livelli di eccellenza. La prima partnership di Rolex risale agli anni ‘70, con la Testimonial Dame Kiri Te Kanawa, soprano neozelandese, un sodalizio privilegiato tutt’ora in essere. Il celebre tenore spagnolo


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Plácido Domingo è Testimonial Rolex dal 1982. Ispirandosi a questi artisti, la marca ha esteso questi legami alle successive generazioni di giovani e talentuosi esponenti della musica e sostiene iniziative che incoraggiano cantanti, direttori d’orchestra e musicisti promettenti. Alle attività di partnership si aggiunge l’iniziativa Rolex Maestro e Allievo che associa giovani talenti e artisti di fama mondiale per un periodo di collaborazione all’insegna della creatività. Oltre a sostenere il talento individuale, Rolex è anche partner delle prestigiose istituzioni che lo ospitano, tra cui figurano quattro dei maggiori teatri d’opera del mondo, a Londra, Milano, New York e Parigi, e due punti di riferimento per la musica classica, il Festival di Salisburgo e la Filarmonica di Vienna. La promozione di questa ricca tradizione culturale tocca nuove frontiere, sia a livello geografico che attraverso le partnership con le maggiori piattaforme online che lavorano per rendere la musica di alta qualità accessibile al grande pubblico. Condividendo la sua passione per la perfezione e l’eccellenza, Rolex concorre a preservare nel tempo il patrimonio artistico e fornisce un contributo allo sviluppo a lungo termine della cultura in tutto il mondo.

Foto © Catherine Ashmore

LA SCALA DI MILANO è uno dei principali teatri lirici del mondo e il primo per importanza in Italia. È il tempio che ha dato splendore alla musica classica, che ha decretato il trionfo di grandi compositori come Rossini, Verdi e Puccini, e che ha accolto, nella Sala Gialla, le

prove del leggendario direttore d’orchestra Arturo Toscanini. Qui sono andate in scena le prime di molte opere celebri, tra cui la Norma di Bellini, l’Otello e il Falstaff di Verdi, la Madama Butterfly e la Turandot di Puccini.Ad affermarsi su questo prestigioso palcoscenico sono stati anche diversi Testimonial Rolex: la strepitosa interpretazione di Otello del tenore Plácido Domingo ha dominato una delle più grandi stagioni della storia della Scala, Cecilia Bartoli vi è ritornata di recente dopo tanti anni e Gustavo Dudamel vi ha diretto il suo primo Don Giovanni. La Scala attira anche i migliori registi teatrali, da Robert Wilson a Robert Lepage. Il Teatro alla Scala deve il suo nome al luogo su cui è stato edificato, il sito della chiesa gotica di Santa Maria alla Scala. Fu fondato nel 1776, all’epoca della dominazione asburgica di Milano, sotto gli auspici dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria per sostituire un precedente teatro distrutto da un incendio. Nel 1872 divenne di proprietà della città di Milano. La sua prima rappresentazione in assoluto fu l’opera di Salieri, Europa riconosciuta: una tragica storia di amore, violenza e discordie politiche articolata in trentotto scene. La Scala è rinomata soprattutto per il suo pubblico, senza dubbio uno dei più vivaci e più preparati al mondo.Il Teatro alla Scala, con la sua lunga e illustre storia, rappresenta il massimo del prestigio e dell’eccellenza, valori che condivide con Rolex, dal 2006 Orologio Esclusivo del teatro.

Placido Domingo, testimonial Rolex, in Simon Boccanegra alla Royal Opera House nel 2010.

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GMT

«LA RIVINCITA DEGLI INDIPENDENTI» GREAT MASTERS OF TIME, UNO DEI LUOGHI DI CULTO PER GLI APPASSIONATI DELLA BELLA OROLOGERIA SI SPOSTA IN VIA DELLA SPIGA 25, SEMPRE A MILANO

Di Paolo Gobbi

Sotto Jacopo Corvo. A destra Heritage Perpetual Calendar Midnight Blue Enamel di H. Moser & Cie.

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ANCORA UNA VOLTA MILANO è al centro del mondo delle lancette più elitarie. Questa volta la notizia è l’apertura di un nuovo tempio dell’Alta Orologeria indipendente, stiamo parlando di GMT Great Masters of Time, che ha spostato e notevolmente ampliato da Corso Magenta ad un più autorevole Via della Spiga 25. Un ambiente moderno, la cui definizione in alcuni particolari è ancora in itinere, ma che già da oggi riesce ad ospitare i cultori dei segnatempo unici e per molti versi introvabili. A Jacopo Corvo il compito di iniziare a raccontarcelo.

Iniziamo a capire del perché gli indipendenti hanno un prezzo più accessibile rispetto ai grandi brand: perché un rattrapante di F.P. Journe costa solamente 70.000 euro circa? «Perché gli indipendenti non hanno dei costi di marketing o comunque dei costi alternativi che vanno a influire sul prezzo finale dell’orologio. Per loro il marketing è il prodotto stesso. Perché si parla di F.P.Journe, di Moser, di MB&F? Perché sono prodotti diversi, sono particolari e sono eccezionali. Perché si parla di Hublot? Perché è al polso dei personaggi.»


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L’orologeria in una certa qual maniera torna protagonista? «Gli indipendenti non hanno un marketing budget da spendere, non possono avere testimonial e quindi devono produrre segnatempo eccezionali per poter essere notati. E questa è una cosa che alla lunga paga. Magari non all’inizio.» Magari alcuni erano troppo all’avanguardia? «Pensate anche agli anni ‘90: Daniel Roth, Franck Muller… all’inizio non li capiva nessuno. Se Daniel Roth non fosse stato comprato da The Hour Glass, che poi comprò anche Gerald Genta, cosa sarebbe diventato? Un fenomeno mondiale. Se non avessero snaturato quello che era Daniel Roth, sarebbe stato un fenomeno.» Questa passione per l’orologeria contemporanea non è anche il segno che stanno entrando delle nuove generazioni di appassionati? Ossia, che ci sono degli acquirenti che vanno dai 18 ai 35 anni che si stanno avvicinando al mondo delle lancette? «Sicuramente sì. Soprattutto all’estero: in Asia ci sono questi ragazzi che hanno a disposizione la collezione del padre, indossano quotidianamente il Nautilus e poi un giorno scoprono per caso che esiste qualcosa come l’Urwerk. Poi gli dici il prezzo e ti rispondono “Come mai costa così

tanto?” Tu inizi a raccontargli la storia degli indipendenti, tipo MB&F e li coinvolgi!.» Storie vere o sentito dire? «Ho conosciuto un ragazzino su Instagram: 17 anni, Thailandia, andava ancora in giro davvero con il Patek Nautilus fasi luna del padre. Io ero ancora a Dubai. Iniziamo a parlare. Inizio a fargli vedere dei modelli degli indipendenti e lui, che non li conosceva, rimane impressionato e mi dice che mi verrà a trovare. Presentano un nuovo MB&F serie limitata con la platina verde per il MET Gallery della Dubai Watch Week e glielo faccio vedere. A lui piace e mi dice che parlerà con il padre: entro in contatto con lui e inizia la contrattazione. Gli dico che mi dispiace, ma che non c’è sconto su una serie limitata di 12 o 13 pezzi. Nel frattempo passano i mesi, lui continua ad informarsi e studiare, compie 18 anni e arriva la prima Dubai Watch Week. Lo invitiamo. Viene a spese sue con suo padre, gli facciamo da guida turistica ed infine gli presentiamo l’orologio: è uscito indossandolo al polso, pagato dal padre a prezzo pieno. Sono passati 5 anni e mi ringrazia ancora.»

A destra, Tourbillon Souverain Édition Boutique con quadrante nero: il suo Tourbillon Vertical con remontoir d’égalité e secondi morti compie un’evoluzione completa in 30 secondi, una rotazione più veloce del minuto abituale. A sinistra, MB&F Legacy Machine 101 (LM101), incarna e accentua l’essenza stessa di ciò che è essenziale in un orologio da polso: il bilanciere, responsabile della precisione; la quantità di energia che indica quando dev’essere ricaricato; e, ovviamente, l’ora. Il suo Concept è di Maximilian Büsser / MB&F, il design del prodotto è di Eric Giroud / Through the Looking Glass, la gestione tecnica e produttiva è di Serge Kriknoff / MB&F , il design del movimento e le specifiche di finitura sono di Kari Voutilainen

Secondo lei per quali motivi si comprano questi orologi? Per investimento? «Assolutamente no. Queste persone lo fanno

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Accesso strettamente limitato: Autobahn (autostrada in italiano) è il nome di un orologio Nomos Glashütte. Questo modello da oggi è disponibile in un’edizione limitata che lascerà il segno: le versioni A3, A7, A9 prendono il nome da tre importanti autostrade tedesche. Tre nuovi colori, un nuovo bracciale. Questo pezzo da collezione che celebra i 175 anni dell’alta orologeria di Glashütte è anche il «Director’s Cut» di Werner Aisslinger.

per puro piacere. Tanti altri collezionisti che negli ultimi anni si sono avvicinati ai brand indipendenti, si rendono conto che all’asta o su Chrono24 fanno dei numeri che non facevano prima. Una volta molte marche venivano vendute usate, al 30% o al 40% in meno. L’altro giorno Christie’s ha battuto all’asta un Legacy Machine N. 1 a 15.000 USD più del listino. Una cosa che non succedeva mai prima. C’è più attenzione ora. È un bene che sai che un giorno puoi ritrasformare il tuo segnatempo in denaro. E non ci perdi. Prima succedeva con i brand affermati, ora anche con questi indipendenti. Quando iniziai a lavorare, nel 2007, giravo per i concessionari. le vetrine Patek Philippe erano vuote, c’erano le foto al posto degli orologi. Adesso sono piene. Non ci sono i Nautilus e Aquanaut, ma ci sono Le Ore del Mondo, i calendari, i Pilot, c’è tutto. Qualcosa evidentemente è cambiato.» Solo un problema di speculazione? «No. Per fortuna, non sempre.» C’è anche da dire che mentre un tempo eravate “venditori di orologi”, adesso siete degli allocutori, dei gestori… ora vi trovate a dire più no che sì. «Alle volte succede questo. Però altre volte entra un cliente che dice “ma che bel negozio…

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ma cosa avete? Ho sentito parlare di questo. Mi fa vedere come funziona?” Dopo un po’ dice: “magari a questi ci arriverò poi… di F.P. Journe cosa potrei riuscire ad avere?” Insomma, inizia a fare un percorso.» Voi avete una clientela molto alta, che vi segue da tanti anni. E il fatto che voi ci siete ingranditi è un segno evidente che state lavorando bene, che state investendo su voi stessi. «Investiamo tutto (sorridendo) infatti non stiamo diventando ricchi.» Però state mettendo le basi per una cosa sempre più solida e più grande. Quanto è importante la location? «Tanto ma può addirittura non essere necessaria. Uno dei miei migliori clienti non l’ho mai incontrato. L’ho conosciuto su IG tanti anni fa. Ha comprato 1 o 2 pezzi. Poi mi ha chiesto se conoscevo un certo orologiaio. E poi mi ha chiesto se poteva fargli un pezzo unico solo per lui. Iniziammo quindi a lavorare su questo progetto per circa 3 mesi. Finalmente dopo 8 o 9 mesi gli consegnai questo pezzo unico (in tempi ancora non sospetti, adesso ci vorrebbero 3 anni). E lui capii che ero una persona di cui si poteva fidare. Ha iniziato non solo a comprare molto orologi normali, ma ogni anno mi fa fare 3 o 4 pezzi speciali.»


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Come avete fatto a scegliere, in tempi non sospetti, i brand indipendenti? «In realtà il visionario è stato nostro padre. Quando si risolse il contratto di distribuzione con Jaeger-LeCoultre nel 2003, aveva già conosciuto Journe a Basila: a contratto terminato iniziò con lui in Italia. Poi conobbe Moser e Urwerk. Eravamo distributori di tutti e tre i marchi. Poi sono arrivati Chanel e Porsche Design. Siamo pian piano cresciuti. Ma comunque gli indipendenti di alta gamma erano difficili da vendere. Quindi mio padre si vide “costretto” a farsi un suo negozio, in modo da formare il personale di vendita per conto nostro. Sono marchi di nicchia ora, immagina ai tempi. Il negozio GMT è nato nel 2007. Da lì in poi, siamo entrati in contatto con i creatori, gli orologiai, artisti, designer. Loro hanno sposato la filosofia di GMT e noi abbiamo sposato la loro. Arriva Mattia Corvo, anche a lui qualche domanda: un tempo la vostra clientela era composta dal 90% stranieri e 10% italiani. Adesso come va? «Sono cambiati i tempi. Direi che gli italiani sono arrivati a un buon 30%. Forse anche di più. Ti direi che per F.P. Journe e Moser un 40% sono italiani. Quest’anno molti italiani anche con Ressence. Gli stranieri hanno comunque ancora

una maggior potenzialità di spesa. Tuttavia, è cambiato il “percepito estetico”. Un tempo un pezzo non capito, ora è apprezzato.»

Sopra, Mattia Corvo. Al suo polso Zürich ore nel mondo di Nomos Glashütte, quadrante blu e cassa 40 mm in acciaio.

GMT rimarrà esclusivamente a Milano? «Per ora sì.» Cosa ci dice della vostra ultima new-entry: Nomos Glashütte? «Grazie a Nomos gli ingressi in boutique si sono moltiplicati. Per la maggior parte si tratta di italiani, direi un 90%. Sono di solito clienti che sanno più di quello che sappiamo noi. Ricordo che è da quando ho fatto la mia prima Basilea che lascio il mio biglietto da visita da Nomos e dicendo sempre la stessa cosa: “Vogliamo i vostri orologi nel nostro negozio”. Dopo anni ci siamo riusciti.» Gli italiani si stanno sempre più appassionando? «Sì, anche perché riconoscono sempre di più l’orologio come un bene rifugio. Concezione giusto o sbagliata che sia, noi percepiamo questo fenomeno. Detto questo, quando entra un cliente in cerca di un modello da acquistare “per investimento” gli rispondiamo che ha sbagliato negozio. Noi non vendiamo orologi per il loro valore ma per pura passione tecnica, meccanica ed estetica.»

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HUBLOT

«LA NOSTRA SCELTA? ESSERE PRIMI DIFFERENTI E UNICI» PROTAGONISTA NELLA CHAMPIONS LEAGUE, AL POLSO DI KYLIAN MBAPPÉ E NOVAK DJOKOVIC, LA CASA SVIZZERA AUMENTA DI GIORNO IN GIORNO LA SUA NOTORIETÀ. NE PARLIAMO CON IL REGIONAL DIRECTOR AUGUSTO CAPITANUCCI

Di Paolo Gobbi MARCA A SUO MODO unica nel panorama dell’Alta Orologeria, Hublot da una parte è attenta a preservare i suoi savoir-faire tradizionali, guidata dalla filosofia dell’essere “primi, differenti e unici”, dall’altra è alla costante ricerca d’avanguardia, attraverso i suoi materiali innovativi (l’oro inscalfibile Magic Gold, le ceramiche dai colori vivaci e lo zaffiro), e la creazione di movimenti di manifattura. Oggi la marca collabora con i grandi eventi e brand del nostro tempo (Coppa del Mondo FIFA, Champions League) e con i più brillanti ambasciatori del momento: Chiara Ferragni, Pelé, Kylian Mbappé, Usain Bolt, Novak Djokovic. Vediamo di scoprire meglio il mondo Hublot grazie a Augusto Capitanucci, regional director della Casa.

Chiara Ferragni è la nuova brand ambassador Hublot e volto della campagna globale. Come mai questa scelta? «Chiara Ferragni è un personaggio conosciuto in tutto il mondo, anche in Asia, dove Hublot sta crescendo a vista d’occhio. Per cui, in un’ottica di globalizzazione, sicuramente è il personaggio che racchiude tutti i nostri codici e la nostra voglia di aprirci a un pubblico molto più ampio, pur mantenendo l’esclusività che ormai contraddistingue il marchio.» Il pubblico di Chiara Ferragni, in generale, non è un cliente Hublot. «Non è del tutto cosÌ: esattamente un po’ come è avvenuto nel calcio. In fondo cosa aveva in comune Hublot con questo sport? Se gli appassionati del pallone o coloro che seguono Chiara Ferragni fossero tutti clienti Hublot, dovremmo cambiare modello produttivo, invece all’interno del bacino così ampio che ha la Ferragni – che è vastissimo – ci sono quei prospect Hublot e amanti dei segnatempo che produciamo: orologi che creano emozione.»

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Quindi è più una scelta globale che italiana. «Totalmente globale. Non sarò di certo io a dover spiegare quanto si sia internazionalizzato il personaggio di Chiara Ferragni… Il fatto che lei sia italiana, poi, è solo la conferma del fatto che il design e lo stile sono di casa nel Belpaese.» Su quattro testimonial che avete “preso” negli ultimi tempi, tre sono donne: Chiara Ferragni, la chef stellata Clare Smyth e l’atleta svizzera Mujinga Kambundji. Un grande interesse per il mondo femminile? «Il fatto è che sono delle eccellenze e noi puntiamo sempre sulle eccellenze. In più, nel caso di Mujinga, il livello atletico e sportivo è tale da attrarre il pubblico maschile come quello femminile, intendo per prestanza e prestazioni. E ne sono un esempio il volley o il tennis; nell’atletica, dove quello che una volta veniva definito “gap” non ha pià motivo di esistere. Inoltre, le Olimpiadi sono un momento di grande visibilità e quando hai un’atleta - in più svizzera - che ottiene grandi risultati e in più è la migliore di sempre tra le rossocrociate nella sua specialità, poco importa che sia uomo o donna, quanto invece contano le sue performance che portano all’eccellenza, a cui punta di pari passo la marca stessa: in fin dei conti, le sue prestazioni vengono associate alla nostra immagine, per questo a volte dico che bisogna proprio possedere un gran fiuto anche nella ricerca degli Amici della marca e degli Ambassador. Poi è anche vero che l’altra metà del cielo nell’economia generale della marca Hublot è sempre più forte e impatta in maniera importante sulle scelte strategiche e commerciali.» Gli orologi femminili sono acquistati come regalo dagli uomini o autonomamente dalle donne? «Spesso accade che la donna accompagni il


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Augusto Capitanucci Regional Director Hublot

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compagno a comprare un Hublot, lo vede, le piace e lo spinge verso l’acquisto: l’ascendente è forte. Durante le visite in boutique mi è capitato comunque di vedere anche delle donne acquistare il proprio orologio: entrano sempre in due, a volte tre, quasi mai da sole e acquistano l’orologio facendosi consigliare dall’amica. Al contrario, raramente ho visto un uomo scegliere un orologio a sorpresa per la moglie.» Come è cambiata la distribuzione in questi due anni? «Radicalmente. Nella mia esperienza in Hublot, dal gennaio 2015 a oggi, si è ridotta quasi della metà, parlo ovviamente della zona di cui mi occupo, ma questa è una strategia a livello mondiale. Per l’esattezza non la definirei, dunque, riduzione ma ottimizzazione, per cui a livello qualitativo non si poteva che migliorare. In questo modo ci si riesce a concentrare meglio su quelle che sono le necessità della marca e quelle del suo pubblico. Un lavoro che viene fatto a quattro mani, dunque, con i nostri dettaglianti. Poi, ci sarebbe da aggiungere - ultimo ma non meno importante - il tema delle boutique monomarca: sono uno dei più grandi supporti alla vendita e creano notevoli visibilità ed emozionalità.» E la vendita online? «Funziona molto bene, purché controllata, proprio come facciamo noi, senza dare vita a un competitor in casa.» Un competitor nel senso che c’è chi compra gli orologi per poi rivenderli? «Quello è un fenomeno che stiamo già combattendo. In questa magnifica crescita attuata attraverso le idee del ceo Ricardo Guadalupe anche a livello di prodotto e di marketing, Hublot ha sempre più spesso, nella propria gamma, orologi che nel “secondo polso” raggiungono valori interessanti. Si tratta di serie limitatissime e quindi il rischio di trovarli in vendita presso quelli che sono stati battezzati “reseller” rimane alto, per questo cerchiamo di controllare attentamente i mercati e di seguire letteralmente la vita del segnatempo: dal momento in cui viene prodotto e lascia la manifattura fino alla consegna, cercando di canalizzare la vendita sul cliente locale.» Hublot e il calcio: continua a essere amore? «Sempre di più. Il legame con Fifa e Uefa è ancora più stretto, ma anche con i vari allenatori e giocatori e con le squadre, soprattutto Juventus e Chelsea. E poi c’è uno sviluppo di prodotto importante, soprattutto per ciò che riguarda gli orologi connessi, i Big Bang E.» Per il mondo del pallone avete realizzato un interessante versione dell’Unico Connected.. «Sì, ed è andato benissimo. Si tratta di un Hublot al 100%, con il modulo elettronico sviluppato da noi insieme a un gigante dell’elettronica. La cassa è quella dell’Unico 42 mm in ceramica, anche il cinturino e la chiusura déployante sono le stesse.

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Il programma di aggiornamento è quotidiano e avviene in automatico. È un orologio impermeabile fino a 30 metri, dotato del sistema One Click per sostituire facilmente il cinturino, come tutti i modelli della gamma Unico. Un vero successo commerciale devo dire, dal momento che si tratta di un segnatempo che racchiude tutti valori della marca aggiungendo il fatto di essere al passo coi tempi e quindi capace di assolvere alle necessità degli sportivi e dei manager.» Alcuni pensano che l’orologeria stia morendo perché rimasta appannaggio soltanto degli ultra cinquantenni. È così? «Assolutamente no! Per rimanere nel nostro campo, Hublot è richiesto anche tra i ragazzi: lo vedono indossato da Chiara Ferragni e da Novak Djokovic o nel calcio con la Juventus e il Chelsea oppure ai Mondiali, agli Europei... Numerosi giovani acquistano il Classic Fusion o i Big Bang tradizionali: è vero, poi, che si tratta di generazioni per cui l’orologio non è più indispensabile perché c’è il cellulare, il tablet, ma è altrettanto vero che un genitore quando deve fare un regalo importante regala un orologio e questa tradizione difficilmente sparirà.» Provi a mettersi dall’altra parte del bancone come se fosse un negoziante: come attrarrebbe una persona a comprare un Hublot? «Hublot è diverso, riconoscibile. Sotto certi punti di vista è unico, non solo come nome. Chi compra un nostro modello lo fa perché gli piace, come status non ha senso. Chi è appassionato e ama la bella orologeria, riconosce subito se qualcuno indossa un Hublot: si nota e ti distingue. È un orologio carico di contenuti e che esce dal coro: in conclusione, è esclusivo.» Che succede quando vede un Hublot al polso di qualcuno? «Mi piace e molte volte fermo chi li indossa per complimentarmi. Mi è capitato proprio l’altra sera a Ibiza, ma in Spagna è normale avere un Hublot, è quasi la regola. È l’orologio dei 18 anni, della laurea, del matrimonio... Appena iniziamo a parlare, si finisce quasi sempre per sentirsi raccontare una storia importante, un momento che resta indelebile nella memoria, durante il quale si è ricevuto l’orologio come regalo oppure raccontano cosa li ha spinti ad acquistarlo: un amore, una passione, un investimento ben riuscito…» Sono le motivazioni che si sarebbe aspettato? «C’è chi mi ha detto ad esempio di averlo comprato con il primo stipendio; oppure c’è stato un distinto signore messicano, che ho incontrato in volo dalla Grecia: era accompagnato tutta la sua famiglia, cognate e generi compresi, e indossavano Hublot. Lui, per essere precisi, un Big Bang in acciaio e ceramica ma poi parlando, una volta acquistata maggiore confidenza, ha confessato di possederne una sessantina e il nome del concessionario presso il quale li acquistava!.»


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BIG BANG UNICO BERLUTI ALUMINIO Annunciata nel 2016, la partnership tra la famosa Maison di moda maschile e il marchio di orologi più dirompente che ci sia svela una nuova interpretazione del Big Bang Unico. Insieme hanno fuso moda e orologeria, pelle e titanio, materia e forma. L’emblematica pelle patinata Venezia si trova nel cuore della lunetta in titanio lucidato e sul quadrante, dove si distinguono gli indici e la scritta “Swiss Made” realizzati in rilievo a fior di pelle. La pelle è stretta tra due superfici di vetro zaffiro, il cui taglio lascia vedere l’ingranaggio del movimento Unico, una vera prova di savoir faire tecnico. In collaborazione con Berluti, è stata sviluppata una tecnica di inserimento delle tinte naturali nella pelle che le cristallizza nel tempo: un modo di restituirne la bellezza e renderla immutabile nella sua autenticità.

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FORTELA MILANO

TUTTI I MIEI BRUTTI ANATROCCOLI «OGGI POSSO DIRE DI ESSERE UN APPASSIONATO DEGLI OROLOGI CHE TROVI NEI MERCATINI A CUI NESSUNO MAGARI DÀ UN VALORE E CHE INVECE SONO BELLISSIMI» ALESSANDRO SQUARZI SI RACCONTA

Di Paolo Gobbi Foto John Goldberger FANATICO DELLA SARTORIA ITALIANA, dei tessuti giapponesi e delle stoffe vintage di cui va alla ricerca con passione in tutto il mondo, Alessandro Squarzi è uno dei trend setter più interessanti e anticonformisti del momento. Classe sessantacinque, nato a Forlì, è imprenditore e talent scout. La sua attività nel fashion business è iniziata negli anni ’90. Prima responsabile di boutique, poi esperto commerciale, coltiva la sua passione per il prodotto moda. Non è solo un geniale venditore, ma capisce prima degli altri il potenziale di alcuni brand oggi molto noti, ma che ai tempi erano realtà ancora in via di definizione. Dai primi anni 2000 è ideatore di diversi marchi e ne tiene a battesimo altri tutt’ora di grande successo e commercializzati in tutti il mondo, tra i quali Fortela. Grande appassionato di vintage, è collezionista di auto, moto d’epoca e, naturalmente, orologi. I suoi ritratti, a firma dell’amico Scott Schuman, il più celebre ritrattista di street style, autore dei libri fotografici The Sartorialist, lo hanno reso un volto molto noto nella comunità fashion del web. Lo abbiamo incontrato a Milano, nella sua boutique Fortela.

Come è nata la passione per gli orologi? «È nata da un trauma da prima comunione. Quando ero piccolo ero già attratto da questo oggetto che era l’orologio. Lo vedevo al polso di mio padre, di mio zio che era un collezionista. Perciò si era creata questa aspettativa sull’orologio come regalo della comunione, che però è durato un giorno e mezzo: purtroppo si è rotto subito. Da lì è nata la passione per gli orologi buoni.» Lei ha vissuto gli anni ‘80/’90 dell’orologeria, il boom dei primi Daytona... Cos’è cambiato oggi? «C’è stato un cambiamento pazzesco. Io però sono più legato a tutta la parte vintage, anche se nel nuovo ci sono degli orologi bellissimi. Però secondo me il fascino che ha un orologio vintage, il nuovo non ce l’ha. Ho vissuto quei cambiamenti. Il Daytona tra l’altro è stato il mio primo orologio, anche se per una sorta di “sfortuna”. Io volevo il Submariner vetro plastica che costava 1.220.000 lire: lo andavo a vedere tutti i giorni nelle vetrine di Ricci a Forlì. Quando sono riuscito a racimolare tutti i soldi, il vetro plastica era andato fuori produzione e avevano solo il vetro zaffiro che

Alessandro Squarzi è considerato non solo un’icona di stile in termini assoluti, ma anche un interprete genuino del vero italian lifestyle foto © Handmade

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sarebbe arrivato qualche mese dopo con un prezzo di listino di 1.550.000 che io non avevo. Così mi hanno proposto il Daytona, che tra l’altro costava meno. È ancora in mio possesso.»

status. Una volta era un oggetto che serviva, adesso potremmo anche farne a meno visto che tutti i cellulari indicano l’ora. Una volta l’orologio era un oggetto elegante.»

Una bella soddisfazione... «Sì, anche perché poi negli anni ci sono stati momenti di up e down, in cui si comprava e si vendeva. Ma per fortuna quello non è mai stato venduto.»

Caratterizzava anche chi lo indossava… forse è così anche oggi. «Ho fatto un post scrivendo che ora vedi un Patek Philippe ai polsi anche di coloro che fino a ieri non sapevano neanche cosa fosse. Perché se le cose diventano di moda, a me non piacciono più. Ho parcheggiato tutti i miei Nautilus, Aquanaut e via dicendo, tirando fuori quelli con cinturino in pelle. Mi piace l’oggetto che è bello, non quello che compri per mostrarlo agli altri. Oggi io trovo eccessive le misure, poi non vuol dire che non indosso anche quel genere di modelli ma sento meno che mi appartengono.»

Lei è un collezionista “museale” che si mette a catalogare tutto, oppure ricerca la preda, l’oggetto bello? «Una parte della mia collezione l’ho ereditata da mio zio e poi negli anni ho sempre cercato di comprare quello che mi piaceva, che avesse una storia da raccontare, per dire l’orologio che aveva Maverick in Top Gun, l’orologio che c’era nel film Lo squalo. Non sono comunque il collezionista maniacale seriale di referenze, sono amante dell’oggetto di per sé. È chiaro che quando ci si approccia all’orologeria sei attratto dai marchi blasonati come può essere Rolex, perché è il primo che ti viene incontro. Poi però negli anni si matura e si allargano anche le vedute. Oggi posso dire di essere un appassionato dei “brutti anatroccoli”, che sono gli orologi che trovi nei mercatini a cui nessuno magari dà un valore e che invece sono bellissimi. Ho comprato un orologio con un termometro da 300 euro perché mi piaceva.» Compra ma è abbastanza restio a rivendere. «Qualche volta ho fatto dei cambi, generalmente preferisco non farlo perché prima o poi mi pento.» L’orologeria è un investimento? «Beh direi di sì. Poi è chiaro che dopo devi sempre poter rivendere e trovare l’acquirente. Negli anni, io ho preferito investire i soldi negli orologi.» Ottima decisione. Anche perché la deriva che ha preso oggi l’orologeria è quella di essere considerata moneta sonante. «C’è tanta gente che mi scrive e mi chiede cosa comprare. Io consiglio di comprare l’orologio solo se piace, non pensando all’investimento futuro. Se avessi comprato il 5711 di Patek Philippe oggi avrei triplicato il prezzo. Invece ho comprato questo cronografo Overseas di Vacheron Constantin perché mi piaceva. Oltretutto ha una bella storia: lo vidi al polso di una persona durante una riunione in Giappone. Mi piacque moltissimo e l’ho comprato.» Lei è un riferimento nel mondo della moda. «Non ho mai seguito o rincorso le mode. Ho sempre però rincorso degli stili. Negli anni ‘50 c’erano questi orologi con delle dimensioni discrete che mi piacciono tanto. La mia referenza preferita da indossare è la Referenza 96 di Patek Philippe per far capire le dimensioni. In quegli anni c’era questo tipo di orologi ed erano elegantissimi. Oggi molti comprano l’orologio per mostrarlo, per

Ad esempio il Nautilus negli anni ‘80 non era un oggetto di culto come avviene oggi: ora un quadrante verde si compra a 30 e si rivende a 400... «Lì scattano le speculazioni. Ma quello non è più l’amore per l’orologio. Fare il commerciante, fare il business sono cose che non mi appartengono. Per me l’orologio è un hobby, una passione, come possono esserlo i cavalli, le auto d’epoca. C’è poi chi ha bisogno di mostrare. Anche quando posto le foto con l’orologio, io non lo faccio perché devo mostralo, anche perché a 55 anni non devo dimostrare niente a nessuno. Ma è per rendere partecipi soprattutto i tantissimi ragazzi giovani che mi seguono che esistono degli oggetti di un certo tipo. Poi non non è che posto solo orologi che costano tanto. L’altro giorno ho postato un Casio G-Shock.» Lo stesso amore e la stessa passione per gli orologi si ritrova anche nella sua parte sartoriale. «Mi considero una persona sana, nel senso che se faccio una cosa, o la faccio con amore e dedizione o non la faccio.» Qual è l’orologio di cui è più orgoglioso? «L’orologio che non venderò mai è quello che avevo quando è nata mia figlia: un crono 3970 di Patek Philippe. Quello è un orologio che rimarrà sempre con me, come anche il primo Daytona.» Uno che è riuscito a trovare e le è piaciuto particolarmente? «In realtà un po’ tutti. A parte quelli ereditati, quando ho comprato un orologio era perché mi piaceva. Poi io sono una persona che quando decide che vuole una cosa la deve avere. L’altro giorno un ragazzo mi ha chiesto quale fosse l’orologio che desideravo. Oggi onestamente non c’è un orologio che desidero da impazzire. Nel 2001 comprai di getto a Forte dei Marmi un Daytona solo testa in oro. Oggi è un orologio che vale tantissimo. Se vedo un oggetto che mi piace e mi incuriosisce lo prendo. Ma in questo momento preciso non c’è un orologio che vorrei in particolare. Io corro dietro a quello che mi piace.»

In alto: Gruen Geneve Precision Power-Glide quadrante nero galvanico movimento automatico calibro 560. In basso: Rolex Cosmograph Daytona ref. 6262 bracciale Oyster movimento calibro 727.

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Nella pagina accanto: Zodiac Sea Wolf ref. 722-916 subacqueo movimento automatico A. Schild calibro 72. Bulova Accutron Spaceview ref. 2528 bracciale J.B. Chanmpion movimento diapason calibro 214 M6.

E l’orologio di cui si è pentito, su cui aveva tante aspettative? «Tanti anni fa ho comprato il Nautilus crono, ma l’ho messo una sola volta perché era troppo grande. L’ho scambiato con un 3970 in oro bianco e oggi il 3970 vale il giusto e il crono è invece raddoppiato. Però non mi interessa, ho fatto una cosa che mi piaceva.» I suoi clienti condividono la sua stessa passione? «Più che i miei clienti sicuramente mi seguono i miei follower perché si ritrovano in quello che posto. C’è uno scambio quotidiano e poi rispondo personalmente io a tutti.» Da dove nasce questa presenza social? «Dieci anni fa non sapevo nemmeno dell’esistenza dei social. Poi un giorno a New York un famoso fotografo di street style, Scott Schumann, mi fece una foto e mi creò un account Instagram per postarla. Dopo che anche lui la rispostò, mi arrivarono una marea di follower. Una cosa non voluta che però oggi è bella. Soprattutto se usata in maniera corretta e onesta. la gente ti segue.» La comunicazione è diventata parte del suo lavoro? «Un paio di ore al giorno me le porta via. Se non ci fosse stato Instagram, non avrei avuto la visibilità che ho oggi nel mondo. Il mondo cambia velocemente, probabilmente fra 2/3 anni ci sarà qualcosa di nuovo. C’è però un contro in

questo tipo di comunicazione: non sei più bravo per quello che realmente fai ma sei bravo per quanto bene sai comunicare. È venuto un po’ meno il valore della meritocrazia e è un cosa che mi infastidisce.» Secondo lei l’orologeria avrà un futuro anche tra i ragazzi giovani? Perché questo è un tema molto dibattuto adesso. «Credo che i giovani siano molto attratti dagli orologi. È l’unico oggetto che un uomo può indossare o rappresenta il ricordo della laurea, del matrimonio. Lo vedo quotidianamente su Instagram. Poi è chiaro che non tutti possono avere le possibilità di avere degli orologi importanti. Per esempio, secondo me Omega ha ora un prezzo troppo alto sullo Speedmaster. Anche se devo dire che è un orologio con una storia pazzesca.» L’operazione che Omega ha fatto con la riedizione del calibro 321 ha regalato allo Speedmaster una qualità meccanica straordinaria. «Certamente, sono un amante di Omega. Una volta ho avuto un colpo di fortuna. Un amico era a una fiera a Miami, mi ha mandato delle foto di alcuni orologi che avrei potuto comprare, tra cui uno Speedmaster bellissimo. Volevano 13.000 dollari e dopo una piccola trattativa sono riuscito ad averlo per 11.000 dolari. In seguito ho scoperto che si trattava di una referenza del 1962 che era rimasta in produzione solamente per sei mesi. Non era raro, di più.»

Le foto di queste pagine sono tratte dal volume Time to Wear di John Goldberger 182 pagine 32x24,5 cm - ISBN 978-88-905323-9-9 in vendita su www.fortela.it al costo di 170 euro

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VACHERON CONSTANTIN

IL SUONO DELLE ORE JEAN-MARC VACHERON CREÒ UNA SUONERIA COME PROGETTO FINALE PER IL SUO DIPLOMA DA OROLOGIAIO ALLA FINE DEL 1740, ANCOR PRIMA DI FONDARE LA MAISON CHE PORTA IL SUO NOME. QUI RACCONTIAMO LA STORIA DI QUESTI FANTASTICI SEGNATEMPO Di Paolo Gobbi

INVENTATI ALLA FINE DEL XVII secolo per permettere di conoscere l’ora di notte, gli orologi con suoneria rappresentano una complicazione orologiera intima per l’intensa emozione che suscitano, e al contempo poetica per la loro capacità di distillare un’espressione melodica del tempo. Un’altra particolarità è che, in assenza di funzioni aggiuntive, essi sono esteticamente quasi identici ai classici orologi con due o tre lancette, nonostante la loro grande complessità meccanica. Sin dai suoi esordi, Vacheron Constantin ha dimostrato un innegabile savoir-faire nella creazione di orologi con suoneria. LE ORIGINI

Nell’universo orologiero, gli orologi con suoneria sono spesso considerati dei capolavori che uniscono in sé scienza meccanica e qualità sonore degne degli strumenti musicali al fine di trasformare lo scorrere del tempo in suoni o addirittura melodie. All’epoca in cui l’elettricità era ancora un campo del tutto sconosciuto, gli orologi con suoneria furono creati per una ragione molto pratica: indicare l’ora al buio. Fra le più antiche creazioni con ripetizione troviamo un orologio con ripetizione dei quarti sviluppato verso la fine del XVII secolo. Tale prodezza fu resa possibile dall’invenzione, nel 1675, del bilanciere a spirale, che garantiva una maggiore precisione, nonché dall’introduzione della lancetta dei minuti. Gli orologi ormai non indicavano più solo le ore, ma anche i minuti o almeno i quarti. Pertanto gli orologiai poterono concentrarsi sul loro utilizzo al buio, una sfida che Vacheron Constantin raccolse distinguendosi, nel 1819, per la creazione di un segnatempo con ripetizione dei quarti che presentava anche i secondi morti indipendenti. Nonostante i primi orologi con ripetizione minuti fossero stati realizzati in Germania intorno al 1710, questa complicazione fu perfezionata verso la fine del secolo sostituendo i campanelli

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senza batacchi con molle sonore. L’uso di queste lamelle circolari, che si trovano ancora negli orologi a suoneria contemporanei, serviva a ridurre considerevolmente lo spessore delle casse e ad ottenere un suono più limpido. Tale abilità era perfettamente padroneggiata da Vacheron Constantin, i cui registri fanno menzione del primo orologio con ripetizione nel 1806. Gli orologi Grande Sonnerie, considerati l’esempio più completo di segnatempo con indicazioni sonore, nacquero due decenni dopo. Nel 1827 la Maison introdusse il primo segnatempo con Grande e Petite Sonnerie. L’orologeria raggiunse nuove vette con questi modelli, che furono apprezzatissimi sia dagli aristocratici che dalla borghesia, ma restarono molto rari data la grande difficoltà di realizzazione. L’invenzione del fiammifero nel 1845 (e il suo contributo alla visibilità notturna) rese la produzione di questi segnatempo ancora più rara, rafforzando la loro aura di orologi davvero leggendari. UNA COMPLICAZIONE NOTTURNA

Un orologio con ripetizione presenta un meccanismo che indica il tempo su richiesta, esattamente l’opposto della scansione dell’orario con una suoneria attivata automaticamente al passaggio delle ore o dei quarti in un orologio. In una ripetizione minuti tradizionale due martelletti percuotono due gong con tonalità diverse, che indicano le ore con note basse, i quarti con una doppia nota alta o bassa e i minuti con note alte. Un tale meccanismo è formato da un cursore scorrevole dedicato, un bariletto e un sistema regolatore, che in genere è indipendente dal meccanismo dell’orologio. L’attivazione del cursore scorrevole fa sì che un rastrello armi la molla del bariletto della sveglia, che a questo punto è pronto all’uso. Una volta attivato, l’energia è trasmessa attraverso un sistema di ingranaggi regolato da un volano al fine di


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TOUR DE L’ÎLE IN ORO ROSA (REF. INV. 11474) – 2005 Il Tour de l’Île, accoglie gli 834 componenti del calibro 2750. Solo sette di questi orologi sono stati messi in vendita fra il 2005 e il 2007, incluso il primo con quadrante nero, venduto in un’asta dedicata all’anniversario della Maison. All’epoca del suo lancio il Tour de l’Île era l’orologio da polso più complicato al mondo, con una cassa a due lati con 12 lancette per 16 complicazioni, fra cui una ripetizione minuti con un’indicazione del livello di suoneria.

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GRAND COMPLICATION KING FAROUK - 1946

Questo orologio da tasca con ripetizione dei quarti in oro rosso, caratterizzato da un quadrante smaltato e da lancette a serpentina, è dotato di lancetta dei secondi morti, una complicazione rara per l’epoca, che prefigura l’invenzione del cronografo.

mantenere un ritmo costante dei rintocchi. La suoneria consiste in un sistema di memoria meccanica a cui si aggiungono martelletti e gong. Mentre carica il bariletto della suoneria, il cursore scorrevole attiva simultaneamente tre sensori che prendono informazioni sull’orario dalle camme delle ore, dei quarti e dei minuti. Queste camme girevoli a forma di spirale servono per regolare il numero dei rintocchi che i martelletti devono scandire. La prima camma delle ore ha 12 gradini, la seconda ne ha quattro per i quarti e l’ultima, a forma di stella, presenta 14 gradini su ciascuno dei bracci per i minuti fra un quarto e l’altro. Al contempo, mentre prendono le informazioni dalle camme, i sensori posizionano i rastrelli all’altro capo del braccio a una distanza tale che, una volta azionati, attivano i martelletti in modo corrispondente al numero esatto di rintocchi spostandosi di un gradino ad ogni rintocco.

di quattro note ciascuna suonate a frequenze diverse. Per ottenere questo, il meccanismo richiede un numero maggiore di gong e martelletti da quattro o addirittura da cinque nei modelli più melodiosi. Il principio meccanico della Grande Sonnerie è sostanzialmente lo stesso della ripetizione minuti. Quest’ultima solitamente completa i meccanismi di Grande e Petite Sonnerie. La principale differenza sta nella gestione dell’energia. Diversamente dai meccanismi con ripetizione, dotati di un cursore scorrevole che serve a caricare la molla su richiesta, i modelli Grande Sonnerie devono sfruttare la forza del movimento per indicare l’ora 96 volte al giorno. Questo tipo di funzionamento è reso ancora più delicato dal fatto che i martelletti che battono sui gong devono avere un impatto sufficientemente forte da rendere il suono - ripetuto ben 366 volte al giorno - il più udibile possibile. Per tale ragione questi segnatempo sono generalmente dotati di due bariletti, uno per il movimento e il secondo per la suoneria. La qualità del suono di un orologio con suoneria dipende da una molteplicità di fattori, a partire dalla forma e dall’orientamento dei martelletti, dal materiale, dalla lunghezza e dalla forma dei gong, nonché dal loro punto di attacco all’interno dell’orologio. Altri elementi decisivi da prendere in considerazione sono il materiale e la struttura della cassa, che può accogliere una camera di risonanza o addirittura presentare aperture sul retro oppure una griglia metallica progettata per accentuare la propagazione del suono. Infine, la differenza la fanno la maestria e le conoscenze empiriche dell’orologiaio, che regola i componenti costitutivi del movimento, accorda il dispositivo

UNA QUESTIONE DI ENERGIA

La Grande Sonnerie è una delle complicazioni orologiere più difficili da creare. La sua caratteristica distintiva è la sua capacità di battere le ore e i quarti con un promemoria dell’ora a ogni quarto. La maggior parte di questi segnatempo hanno anche una funzione Petite Sonnerie, senza il promemoria dell’ora a ogni quarto, e una funzione silenzioso che serve a mettere in pausa il balletto meccanico dei martelletti. La melodia Westminster, il più complicato dei meccanismi Grande Sonnerie, fa riferimento alla melodia delle campane del Big Ben - la torre dell’orologio posta all’estremità nord dell’edificio che ospita il Parlamento britannico a Londra - formata da quattro battute

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RIPETIZIONE CON SECONDI MORTI - 1819

Vacheron Constantin ha creato uno degli orologi più complicati della sua epoca per il re Faruq d’Egitto. Questo modello imponente, dal diametro di 80 mm e dotato di 13 lancette, fu completato in oltre 5 anni. Il suo calibro include 820 componenti e 14 complicazioni.


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TRIBUTO A JOHANNES VERMEER – 2021

Progetto intrapreso per la prima volta nel 2013, è dotato di un nuovo calibro 3761 a carica manuale, formato da 806 componenti, con tourbillon, Grande e Petite Sonnerie Westminster con ripetizione minuti. Sul retro la Ragazza con orecchino di perla di Vermeer.

musicale, decora ogni singolo componente e assembla il calibro svariate volte per un risultato perfetto - il suo savoir-faire è insostituibile. Dato che la qualità del suono contribuisce a definire la personalità di un orologio, nel 2019 Vacheron Constantin ha incaricato gli Abbey Road Studios della registrazione di un suono unico per ognuno dei modelli che compongono la collezione “La Musique du Temps®”. Per la prima volta, questi orologi a ripetizione hanno ricevuto un’impronta sonora unica, registrata e certificata dagli Abbey Road Studios. UNA REPUTAZIONE DI LUNGA DATA

Gli orologi con suoneria sono parte del patrimonio di Vacheron Constantin sin dalla fondazione della Maison. Al termine del suo apprendistato, iniziato nel 1744, a Jean-Marc Vacheron fu chiesto, come progetto conclusivo del suo percorso, di creare un orologio portatile con sveglia - una prova necessaria per essere ammesso a esercitare la professione di orologiaio. Forse è proprio per questo che la Maison avrebbe poi mostrato una particolare inclinazione per la creazione di segnatempo con indicazioni sonore, inclusi gli orologi con ripetizione, i modelli Grande Sonnerie e gli orologi con sveglia. In ogni caso, nei suoi 266 anni di storia, Vacheron Constantin ha sviluppato una passione e di conseguenza una notevole abilità per la creazione di queste complicazioni, che sono considerate un traguardo cruciale nell’arte orologiera. In linea con la sua attenzione verso l’eleganza, la Maison ha messo il suo savoir-faire orologiero al servizio di movimenti ultrapiatti - una costruzione che implica ulteriori difficoltà tecniche - nonché

REFERENZA 57260 - 2015

Presentato il 17 settembre 2015 in occasione del 260° anniversario della Maison e commissionato da un collezionista appassionato, è l’orologio più complicato mai realizzato. La sua costruzione, con un totale di 57 complicazioni, ha richiesto otto anni di lavoro.

di orologi d’eccezione con complicazioni estremamente complesse. Così gli atelier della Maison hanno preso parte alla creazione delle prime generazioni di orologi con ripetizione e i registri dell’azienda mostrano una prima referenza datata 1806. Gli annali di Charles Constantin (1887-1954) riportano che nel 1811 la Maison consegnò in Francia “bellissimi orologi musicali con ripetizione” caratterizzati da “la più alta abilità artigianale e in grado di suonare due melodie su richiesta, ogni volta che lo si desidera”. Da allora la reputazione di Vacheron Constantin nella realizzazione di tali modelli non è mai stata smentita. Come mostra la corrispondenza conservata nei suoi archivi, la Maison è stata regolarmente sollecitata nella seconda parte del XIX secolo e nei primi anni del XX secolo per realizzare orologi con suoneria ordinati da clienti prestigiosi come la regina di Romania e l’Infanta Isabel. Fra queste creazioni vi sono anche modelli Grande Sonnerie, come il segnatempo del 1827 nella collezione privata di Vacheron Constantin. GRANDI COMPLICAZIONI

L’avvento dell’orologio da polso non ha portato alla riduzione del desiderio dei clienti di possedere modelli da tasca in grado di dire l’ora con una melodia. Tuttavia la domanda si fece più complessa man mano che Vacheron Constantin sviluppò una particolare abilità nella realizzazione di segnatempo con grandi complicazioni. La storia della Maison è punteggiata da diversi orologi d’eccezione, che vissero una vera e propria età dell’oro all’inizio del XX secolo. Fra questi troviamo l’orologio commissionato dalla colonia svizzera in Egitto come regalo per

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REFERENZA 4261 (REF. INV. 11420) - ANNI 1940

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PATRIMONY TRADITIONNELLE - 2007

Un’importante pietra miliare nello sviluppo degli orologi con suoneria dei primi anni Quaranta del XX secolo: Vacheron Constantin andò ben oltre la sfida di creare una ripetizione minuti, poiché si impegnò a creare un calibro ultrapiatto dallo spessore di appena 3,28 mm.

Questo segnatempo con tourbillon e calendario perpetuo, è la prima ripetizione minuti di Vacheron Constantin che presenta un regolatore di suoneria centripeto perfettamente silenzioso, la cui funzione è compensare il ritmo a cui battono i martelletti.

il re Fu’ad nel 1929, nonché quello acquistato nel 1946 da suo figlio, il re Faruq, attraverso suo cognato dopo una visita in Svizzera. Questo capolavoro in oro giallo ha necessitato di ben cinque anni di sviluppo a causa delle sue 14 complicazioni, fra le quali una ripetizione minuti con un carillon e un meccanismo Grande e Petite Sonnerie dotato di tre gong, nonché una sveglia, un cronografo rattrapante, un calendario perpetuo e un’indicazione delle fasi lunari e dell’età della luna. Due anni dopo, Vacheron Constantin ha lavorato ad un altro ordine prestigioso per il conte Guy du Boisrouvray: un grande segnatempo in oro giallo con cassa tipo cacciatore dotata di ripetizione minuti a tre gong con sveglia, calendario perpetuo e cronografo rattrapante. Fino al 2015 questo è stato il terzo orologio più complicato mai realizzato da Vacheron Constantin. Nel 2005, in occasione del suo anniversario del quarto di millennio, la Maison ha presentato l’orologio da polso Tour de l’Île animato da 834 componenti, una prima mondiale che comprende 16 complicazioni leggibili su due quadranti. Nel 2015, per il suo 260° anniversario, Vacheron Constantin ha presentato la referenza 57260, che all’epoca, con le sue 57 indicazioni, era l’orologio più complicato al mondo. Fra le tante funzioni relative all’ora, al calendario e alle indicazioni astronomiche di questi due segnatempo, il suono delle ore è mirabilmente riprodotto dalle ripetizioni minuti a cui nella referenza 57260 si aggiungono i meccanismi di Grande e Petite Sonnerie, con una melodia Westminster che batte cinque gong, e una

funzione sveglia. La secolare passione della manifattura per i segnatempo ultracomplicati è portata avanti in modo eccellente all’interno del dipartimento Les Cabinotiers, incaricato di creare i pezzi unici e gli orologi personalizzati firmati Vacheron Constantin. Nel corso degli anni, il dipartimento Les Cabinotiers ha progettato creazioni che incorporano funzioni con suoneria, come l’orologio da polso Astronomica del 2014, dotato di 15 complicazioni fra cui una ripetizione minuti e un tourbillon con indicazioni di tipo astronomico. Nel 2020, i maestri orologiai del dipartimento Les Cabinotiers hanno sviluppato diversi orologi con suoneria davvero unici sul tema “La musica del tempo”. Fra questi vi è il Symphonia Grande Sonnerie - L’orologio della Sesta Sinfonia, la cui carrure presenta un’incisione a basso rilievo di una partitura musicale tratta dalla Sesta Sinfonia di Beethoven. Questo modello richiama il Symphonia Grande Sonnerie 1860 lanciato nel 2017, il primo orologio da polso Grande Sonnerie nella storia di Vacheron Constantin. Per quest’ultimo modello la sfida è consistita nel mettere insieme i 727 componenti della Grande Sonnerie e del movimento ripetizione minuti all’interno di un calibro da 37 mm di diametro e 9,1 mm di spessore. ULTRAPIATTI DA RECORD La referenza 4261 rappresenta un’importante pietra miliare nello sviluppo degli orologi con suoneria della Maison. Con questa creazione che risale ai primi anni Quaranta del XX secolo, Vacheron Constantin andò ben oltre la sfida di creare una ripetizione


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REFERENZA 30020 IN PLATINO - 1993

LES CABINOTIERS: LA SESTA SINFONIA - 2019

Il calibro 1755 fu presentato in tre versioni: la referenza 30010 spessore di 3,28 mm, la referenza 30030 scheletrata e la referenza 30020 con modulo calendario perpetuo, proposto qui nella versione con cassa in platino da 36 mm con anse a goccia.

Nel 2019 Vacheron Constantin ha incaricato gli Abbey Road Studios della registrazione di un suono unico per ognuno dei modelli “La Musique du Temps”. Per la prima volta, questi orologi hanno ricevuto un’impronta sonora unica, registrata e certificata.

minuti, poiché si impegnò a creare un calibro ultrapiatto dallo spessore di appena 3,28 mm. Con la sua cassa spessa 5,25 mm e dal diametro di 36 mm e con le sue anse a goccia, questa creazione è uno degli orologi leggendari del brand, prodotto in appena 40 esemplari. Negli anni Novanta del XX secolo la Maison s’ispirò naturalmente alla referenza 4261 per progettare un nuovo modello dotato del Calibro 1755, che presentava anch’esso una ripetizione minuti spessa appena 3,28 mm (referenza 30010), disponibile anche con un modulo di calendario perpetuo (referenza 30020) o in una versione scheletrata (referenza 30030). Sono stati realizzati solo 200 segnatempo con queste tre referenze, la cui produzione è culminata nel record mondiale del movimento 1755 - all’epoca il più sottile della sua categoria. Nel 2007, prima di distinguersi nuovamente nel campo degli orologi con suoneria ultrapiatti, Vacheron Constantin ha presentato il Patrimony Traditionnelle Calibro 2755 ispirato alla ricerca portata avanti per l’orologio Tour de l’Île nel 2005. Questo segnatempo con tourbillon, che incorpora anche un calendario perpetuo, è la prima ripetizione minuti di Vacheron Constantin che presenta un regolatore di suoneria centripeto perfettamente silenzioso la cui funzione è compensare il ritmo a cui battono i martelletti. Questo sistema ingegnoso comprende due pesi ideati per agire come un freno sull’asse di rotazione del regolatore, distribuendo così in modo omogeneo l’energia dalla molla del bariletto. Tale invenzione si riflette nel movimento del Patrimony Contemporaine Calibro 1731, che ha stabilito un nuovo record di sottigliezza nel 2013 essendo alloggiato in una cassa da 41 mm

di diametro e 8,09 mm di spessore. Dotato di una riserva di carica di 65 ore, questo movimento ripetizione minuti, che nasce da quattro anni di sviluppo, era di poco più spesso del suo predecessore - 3,90 mm rispetto ai 3,28 mm del Calibro 1755 presentato nel 1992. GIOIELLERIA E SUONERIA Quasi tutti gli orologi contemporanei con suoneria presentano proporzioni generose in termini di diametro, così che la cassa può svolgere meglio il suo ruolo di tavola armonica. Tale necessità implica che questi modelli in genere non siano molto indicati per il polso femminile e per questo attraggono maggiormente i collezionisti uomini. Tuttavia non è stato sempre così nell’universo degli orologi da tasca e quindi nemmeno per i primi orologi con ripetizione. All’epoca, gli orologi da donna, spesso considerati orologi gioiello, erano indossati su lunghe catenelle o come pendenti, quindi non nascosti alla vista come accadeva per i modelli da tasca maschili. Questi orologi meccanici capaci di intonare l’ora erano senza dubbio attraenti per le amanti dell’Alta Orologeria, poiché permettevano loro di conoscere l’ora di notte e di indossare un magnifico ornamento di giorno, creazioni che incarnavano sia le conoscenze scientifiche che le arti decorative dell’epoca. Così Vacheron Constantin produsse una serie di orologi da tasca con meccanismi con suoneria destinati alla nobiltà e agli esponenti dell’aristocrazia finanziaria. Con le loro casse in oro inciso, i quadranti smaltati o in argento, movimenti con ripetizione o addirittura Grande Sonnerie, questi esemplari riccamente decorati erano custoditi fra i “tesori” delle donne dell’alta società.

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AUDEMARS PIGUET

ALLA «RICERCA» DEL COLORE IL ROYAL OAK CONCEPT FLYING TOURBILLON ARRIVA OGGI CON UNA PICCOLA SERIE DI SEI NUOVI MODELLI COMPOSTI DA POCHI PREZIOSI E NATURALMENTE RARI ESEMPLARI

Di Paolo Gobbi QUANDO L’ALTA OROLOGERIA incontra l’Alta Gioielleria è inevitable che si creino complessi segnatempo che riescono ad unire tecniche tradizionali e design all’avanguardia. Stiamo parlando del nuovo Royal Oak Concept Flying Tourbillon in oro bianco o rosa. Questi nuovi segnatempo sono impreziositi da una varietà di pietre preziose con taglio brillante o baguette. Quattro modelli presentano un pavé di zaffiri blu di varie sfumature, mentre gli altri due sfoggiano gemme colorate che creano un effetto arcobaleno. Combinare i colori e i contrasti giusti è stato cruciale nella progettazione di ogni creazione; un compito non facile per produrre questi segnatempo incastonati di ben 468 pietre preziose di varie sfumature con taglio brillante e 208 con taglio baguette. Per i due modelli “Rainbow”, sono stati meticolosamente scelti 12 diversi tipi di gemme colorate, tra cui rubini, tsavoriti, smeraldi, topazi, tanzaniti, ametiste e zaffiri di vari colori, per offrire tonalità vivaci e combinazioni dalle gradazioni uniformi. I toni progressivi del rosso, dell’arancio, del giallo, del verde, del blu e del viola mettono in risalto anche la geometria della cassa e della lunetta, riflettendo la luce per creare un’esperienza ottica unica, simile a quella di un arcobaleno. Mentre il primo modello associa una cassa e un quadrante incastonati di diamanti a una lunetta “Rainbow” taglio baguette, l’altro presenta un pavé completo di pietre preziose colorate taglio brillante.

L’INCASTONATURA Le pietre preziose colorate e i diamanti che decorano i nuovi modelli sono stati tagliati e lucidati individualmente per raggiungere la forma e la dimensione desiderate, prima di essere incastonati nell’oro dalla mano di esperti gioiellieri. L’incastonatura del quadrante ha rappresentato un’ulteriore sfida a causa delle dimensioni ridotte del design e dei componenti del movimento. Due nuovi modelli sono ricoperti da 208 zaffiri blu di varie sfumature taglio baguette. Gli zaffiri sono stati tagliati in 144 dimensioni diverse per adattarsi alle curve della cassa e all’architettura del quadrante e dei componenti del movimento. Piccole scanalature sono delicatamente incise nelle pietre preziose, che vengono poi meticolosamente inserite una per una su una guida nascosta montata nel componente in oro per dare l’impressione che si sorreggano da sole. Questa incastonatura invisibile, per ciascun segnatempo, ha necessitato di 150 ore di lavoro. La complessità risiede anche nel raggiungimento di un allineamento perfetto, un compito scrupoloso che richiede estrema precisione. La realizzazione del taglio delle pietre preziose è importante quanto la loro intrinseca qualità e trasparenza. Ogni baguette non deve solo presentare una visuale “pulita” (senza alcuna aggiunta visibile a occhio nudo), ma le sue linee e le sue sfaccettature graduali devono essere anche perfettamente simmetriche e allineate. A questo si aggiunge la sfida di raggiungere una gradazione omogenea tra le tonalità del blu. Una volta associati, gli zaffiri taglio baguette conferiscono

ROYAL OAK CONCEPT FLYING TOURBILLON Cassa in oro bianco e lunetta incastonata di 468 gemme colorate taglio brillante, vetro e fondello in vetro zaffiro con trattamento antiriflesso, corona incastonata con uno zaffiro taglio cabochon traslucido.

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ROYAL OAK CONCEPT FLYING TOURBILLON Cassa in oro bianco incastonata di 468 zaffiri blu taglio brillante di varie sfumature, lunetta incastonata di zaffiri blu taglio brillante, vetro e fondello in vetro zaffiro con trattamento antiriflesso, corona incastonata con uno zaffiro taglio cabochon traslucido.

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un look particolare alla creazione, esaltando ulteriormente l’effetto in 3D e il gioco di luce del movimento architettonico. Questi due modelli incastonati di zaffiri taglio baguette saranno disponibili in alcuni punti vendita Audemars Piguet selezionati nel 2022. MICRO-MECCANICA I nuovi segnatempo Royal Oak Concept Flying Tourbillon donano alla collezione un twist colorato. Il quadrante di questa nuova proposta risplende di piramidi sfaccettate che presentano un pavé di zaffiri blu, diamanti o pietre preziose “Rainbow”, rivelando parte del movimento che custodisce al suo

interno. Il cilindro scheletrato del calibro 2951 a carica manuale, visibile a ore 11, permette una visuale eccezionale sulla molla elicoidale, il cuore pulsante dell’orologio. I ponti satinati, che presentano angoli lucidati e decorazioni laccate bianche, visibili sullo sfondo del quadrante scheletrato, si possono ammirare anche attraverso il fondello in vetro zaffiro. Il flying tourbillon, che compensa l’effetto della gravità e aumenta la precisione dell’orologio, compie la sua rotazione a ore 6. Il tourbillon è incastonato di pietre preziose taglio brillante, un’arte in sé per un componente così piccolo e leggero.

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LONGINES

LO SPIRIT NELL’ERA DEL TITANIO CON I NUOVI ESEMPLARI IN TITANIO, LA COLLEZIONE FA UN PASSO IN AVANTI E RENDE OMAGGIO AL MONDO DELL’AVIAZIONE DA CUI TRAE LE PROPRIE ORIGINI. LO STRAORDINARIO CARATTERE DI QUESTI MODELLI È IL RISULTATO DELL’ESTETICA FORTE E DI CLASSE ABBINATA ALLA TECNOLOGIA D’AVANGUARDIA. LA RIPROVA CHE LO SPIRITO PIONIERISTICO ANIMA ANCORA IL MARCHIO DELLA CLESSIDRA ALATA di Patrizio Poggiarelli

Longines Spirit, la cassa in titanio satinata e lucida di 42 mm di diametro ospita un movimento automatico esclusivo (L888.4) dotato di spirale in silicio e di certificazione COSC. Il vetro zaffiro bombato protegge il quadrante antracite microbillé e il réhaut esterno nero satinato. I numeri arabi e le lancette dorate ricoperte di SuperLumiNova creano un elegante contrasto con i toni scuri del quadrante. Il cinturino in nylon antracite e nero tipo NATO, dotato di un esclusivo sistema di intercambiabilità Longines, garantisce il massimo comfort.

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Il bracciale in titanio satinato e lucido, è dotato di un esclusivo sistema di intercambiabilità Longines.

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LA COLLEZIONE Longines Spirit consacra l’era del titanio. Questa lega, più leggera e resistente dell’acciaio, nota con il nome di titanio grado 5 (titanio-alluminio-vanadio), dimostra come la robustezza non sia solo una questione di peso. Con il suo colore leggermente più opaco e scuro, conferisce ai nuovi segnatempo una dimensione contemporanea e inedita. Esteticamente, i nuovi modelli della collezione Longines Spirit si distinguono per la raffinatezza della loro esecuzione: finitura satinata-lucida della cassa e del bracciale, quadrante microbillé antracite e réhaut nero satinato. Come a ricordarci l’origine minerale del titanio, il Longines Spirit gioca con i contrasti tra le tonalità scure e la delicata lucentezza delle superfici. Le lancette, i numeri, le stelle e la clessidra esibiscono delicati riflessi dell’oro levigato (1N) ed esprimono il perfetto equilibrio tra tonalità e materiali, sostenuto dall’assenza del datario per consolidare ulteriormente la simmetria “aeronautica” dell’orologio. L’elevata precisione del Longines Spirit è garantita da un movimento automatico con spirale in silicio, un materiale leggero, amagnetico, resistente, inossidabile e insensibile alla dilatazione termica. Queste caratteristiche hanno permesso ai modelli della collezione di ottenere la certificazione di cronometria del COSC (Controllo Ufficiale Svizzero dei Cronometri), avvalorata dalle cinque stelle impresse sul quadrante che, storicamente per Longines, sono sinonimo di massima qualità e affidabilità. La garanzia di 5 anni dimostra l’eccezionale carattere di questa linea. Il nuovo Spirit è dotato di un bracciale intercambiabile in titanio o di un cinturino in nylon tipo NATO; quest’ultimo è stato sviluppato su misura secondo una particolare tecnica di tessitura che riprende i colori antracite e nero del quadrante e garantisce un comfort senza precedenti. Al polso, il Longines Spirit in titanio conferma la sua vocazione. Pur essendo più leggero degli esemplari in acciaio, non rinuncia alla sua presenza e vanta uno stile marcatamente sportivo oltre che di classe. Al buio, le lancette e i numeri rivelano la luminescenza quasi celestiale del SuperLumiNova “Blue Line”. Un dettaglio, tra i tanti, che celebra coloro i quali considerano l’aria come il proprio elemento. Il nuovo Longines Spirit crea un legame intramontabile tra la luce e l’ombra, il cielo e la terra, la storia e l’innovazione.

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ZANNETTI

LA CASA OROLOGIERA ROMANA CELEBRA IL SUO IMPORTANTE ANNIVERSARIO CON UNA EDIZIONE SPECIALE QUARANTESIMO DELLA COLLEZIONE REGENT

I MIEI PRIMI QUARANT’ANNI

In queste pagine tre versioni di colore del Regent serie limitata Quarantesimo, con quadrante in madreperla incisa e smaltata. 3.500 euro.

Di Claudia Gobbi Foto Leila Leam

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LA STORIA DEL MARCHIO e della famiglia Zannetti coincidono dal 1982 quando Riccardo Zannetti, fondatore e inventore del brand, creò i primi segnatempo originali, dando il via all’attività. Da allora ogni creazione che prende vita nell’atelier romano in Via di Monte d’Oro segna una tappa fondamentale di una straordinaria avventura all’insegna dell’eccellenza tecnica, della ricerca stilistica e del design. Con un numero limitato di poche centinaia di esclusivi esemplari l’anno, Riccardo Zannetti firma una produzione di orologeria che combina savoir-faire tecnologico con le più pregiate tecniche decorative. Un rinomato servizio bespoke accoglie le richieste di collezionisti e appassionati da tutto il mondo: la creazione di ogni orologio Zannetti inizia sempre con il disegno del bozzetto, a matita, pastello e carboncino, per poi dar vita a segnatempo unici, nel segno della massima personalizzazione. Pregiati strumenti da scrittura, collezioni di gemelli e gioielli completano la produzione per una proposta che unisce classe e funzionalità. Con un network selezionato di concessionari e boutique, è presente in Europa, Hong Kong, Medio Oriente e USA. Sullo sfondo da sempre Roma, custode di una preziosa tradizione orafa e culla della famiglia. A rimarcare l’orgogliosa provenienza e il legame inscindibile con la città, è riportata su alcuni segnatempo l’epigrafe “Hand Made Roma”, autentica portavoce della creatività nel mondo. Giunto oramai al traguardo dei 40 anni di attività, che si concretizzerà nel 2022, da autentico designer e creativo contemporaneo, oltre che maestro eccellente nell’arte orologiera, Riccardo Zannetti ha deciso di continuare ad esplorare, con il suo lavoro, la misura del tempo in tutte le sue molteplici sfaccettature. Primo orologio “celebrativo” è un’edizione speciale in edizione limitata Quarantesimo della collezione Regent, contraddistinta dalla cassa in acciaio, movimento svizzero automatico con finiture personalizzate, ma soprattutto da un inedito quadrante in madreperla, incisa e poi smaltata in giallo, arancione, blu, rosso e nero. «I nostri orologi sono il risultato di una manualità antica – ci dice Zannetti - di competenze artistiche ed emozionali che vanno ben oltre la pur complessa macchina del tempo, regalando all’acquirente la possibilità di indossare al polso un oggetto unico. In questo siamo simili ai grandi chef, che realizzano assieme al loro team di lavoro dei piatti straordinari e sempre diversi. Di conseguenza i nostri quadranti incisi e dipinti a mano sono simili a una composizione culinaria iconica, e come questa sembrano voler dire: io ci sono, io non sono uguale a nessuno».

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Regent serie limitata Quarantesimo quadrante in madreperla incisa e smaltata.

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L’EMOZIONE DI INDOSSARE AL POLSO UN’ICONA

L’OROLOGERIA DA COLLEZIONE AFFRONTA LE SFIDE DI QUESTI ANNI ‘20 CERCANDO LA MASSIMA QUALITÀ SENZA COMPROMESSI ESTETICI O QUALITATIVI. LO HANNO CAPITO MATTIOLI & STEFANI CHE PROPONGONO SOLAMENTE DEI PEZZI PARTICOLARMENTE RARI E IN CONDIZIONI IDEALI PER L’APPASSIONATO EVOLUTO. ALCUNI STRAORDINARI ESEMPI SONO PROTAGONISTI DI QUESTE PAGINE

di Patrizio Poggiarelli foto di Luca Garbati

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Longines Lindbergh “Angolo Orario” cassa acciaio Ø 47 mm orologio da aviatore anni ‘50.

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Audemars Piguet - Royal Oak cassa 39 mm in acciaio solotempo quadrante tropicale, Anni ‘70.

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Audemars Piguet - Royal Oak cassa 39 mm in tantalio e oro giallo calendario perpetuo, quadrante oro Anni ‘90.

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Rolex Explorer II ref. 1655 MK5 “Freccione” “Steve McQueen” cassa in acciaio, gmt 24 ore, fine Anni ‘70.

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Rolex Cosmograph Daytona “Paul Newman” ref. 6241 cassa in acciaio, cronografo Anni ‘70.

MATTIOLI & STEFANI Via Saragozza 130, 41121 Modena - Italia info@watchesforpassion.it, Tel. +39 059 214309

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TAG HEUER

«CARRERA, MONACO E AUTAVIA: I NOSTRI CRONO ICONICI» CON NICHOLAS BIEBUYCK, DIRETTORE DEL PATRIMONIO DELLA CASA SVIZZERA, ANDIAMO ALLA SCOPERTA DI COME VENGONO STUDIATI E RESTAURATI I PEZZI STORICI

Di Paolo Gobbi

CI SONO CASE OROLOGIERE che hanno fatto la storia della misurazione del tempo. Non sono molte, ma con le loro innovazioni hanno fatto sì che i segnatempo riuscissero a sopravvivere a qualsiasi tempesta tecnologica. Ad aprirci oggi le porte di casa è Nicholas Biebuyck, direttore del patrimonio di TAG Heuer. Nel suo bagaglio di esperienza troviamo un decennio della sua carriera professionale, passato lavorando per importanti Case d’aste internazionali a Londra e poi a Hong Kong, e con collezionisti privati nella gestione e nella cura delle loro collezioni.

Qual è il suo ruolo all’interno di una Casa orologiera che guarda costantemente al futuro? «Il ruolo del direttore del patrimonio è relativamente nuovo all’interno del settore e ancora non molto definito. Il mio primo impegno è ovviamente quello di gestire il museo e l’archivio aziendale. Ma fornisco anche approfondimenti su marketing, comunicazione, direzione e cura del prodotto. Stiamo anche riflettendo sulla strategia storica e su come proiettarla nel futuro. È un ruolo con molti e vari aspetti, ma è questo che lo rende così interessante ed emozionante.» Ci aspetteremmo archivi grandi e polverosi, migliaia di foto. È così? «Sì, anche se non è così pittoresco. I nostri archivi sono piuttosto interessanti perché provengono da un’azienda che ha avuto una storia piuttosto instabile, in particolare durante gli anni ‘80, quando TAG Heuer è passata di mano un certo

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TAG Heuer Autavia referenza 1163 “Viceroy” Cronografo automatico. Oltre al Monaco, questo è stato il primo modello ad essere dotato del nuovo Calibre 11.


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numero di volte e abbiamo perso una discreta quantità di archivi cartacei. Siamo stati fortunati che, nel corso degli anni, ciò che abbiamo trattenuto sia stato integrato da donazioni da precedenti dipendenti.» Avete anche molti pezzi storici? «Abbiamo creato una collezione di orologi molto consistente negli ultimi 15 anni, a seguito di una grande acquisizione all’inizio del museo nel 2008, che è stata completata negli anni successivi. Stiamo digitalizzando il nostro archivio cartaceo e verificando la nostra collezione di orologi per capire cosa abbiamo e cosa non abbiamo e rinforzare e costruire davvero su di esso. Il progetto è di condividerli in futuro il più possibile con gli appassionati di orologi e i clienti di tutto il mondo in futuro.» Archiviate fotograficamente tutti gli orologi prodotti? «Stiamo lavorando per avere un esempio di ogni SKU prodotto dall’azienda. Abbiamo le fotografie cartacee che ora vengono digitalizzate e c’è anche un enorme archivio digitale che stiamo cercando di riorganizzare. Quindi questa è un’altra parte del progetto, perché gli archivi oggi non sono solo oggetti fisici, ci sono anche risorse digitali da gestire.» Dove si è sviluppato di più il collezionismo TAG Heuer? «La cosa fuori dal comune della community di collezionisti TAG Heuer è l’essere estremamente internazionale. Abbiamo molti collezionisti negli Stati Uniti, in Europa, Medio Oriente, Asia, Australia, tutti molto impegnati, attivi e interessati alla storia del marchio. Siamo fortunati che non sia geograficamente circoscritto a poche nazioni.» Riuscite a restaurare i modelli vintage, anche i più vecchi e complicati? «Sì, assolutamente. È un’area in cui siamo molto forti. Abbiamo un laboratorio completo che si occupa del restauro di orologi d’epoca e anche un sostanzioso numero di orologiai che sono specificamente formati in quella disciplina. Usiamo il nostro Istituto TAG Heuer per la rigenerazione, la riqualificazione delle parti, insieme ad ArteCad, una delle nostre aziende partner all’interno di LVMH, per assistere nel restauro dei quadranti. Dall’inizio alla fine, possiamo eseguire lavori di restauro completo, ma il nostro obiettivo è sempre la conservazione degli orologi. Posso tranquillamente affermare che al momento disponiamo di alcune delle migliori capacità di restauro del settore.» Comprate mai all’asta i vostri orologi? «Lo abbiamo fatto in passato, abbiamo acquistato orologi all’asta per colmare alcune referenze mancanti. Ora ci prendiamo una piccola pausa perché stiamo davvero cercando di capire cosa abbiamo. Ma l’asta è sicuramente un ottimo canale da cui reperire gli orologi.» Nicholas Biebuyck, direttore del patrimonio di TAG Heuer.

Seguite in qualche modo il mondo del collezionismo che ruota intorno a Tag Heuer? «Sì, certamente. TAG Heuer è tutto dopo il

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1985, e in quel periodo abbiamo avuto alcuni modelli interessanti e da collezione. Quindi sì, non seguiamo solo orologi Heuer pre-1985, ma anche pezzi TAG Heuer» Crede che le aste siano ancora oggi importanti per qualificare l’interesse o meno rispetto ad una marca o ad un modello specifico? «Si. Che si tratti di auto, orologi, arte o vino, il mercato delle aste è molto importante, come una sorta di barometro vivente dove vengono evidenziati gli interessi e chi si sta concentrando su cosa nei diversi mercati. Le persone adorano i risultati delle aste, in particolare i collezionisti che hanno un background professionale nei mercati finanziari, poiché i dati e i modelli venduti possono essere elaborati in maniera simile. L’unico punto che vorrei sottolineare, in particolare quando si tratta di orologi vintage, è la sfumatura delle condizioni: come un orologio in condizioni perfette potrebbe valere diversi multipli di un orologio in condizioni inferiori. È sempre importante tenerlo a mente quando si osservano i risultati perché è necessario essere in grado di quantificarli.» Monaco, Carrera, Autavia: qual è la collezione preferita dai collezionisti? «Sono tutti ugualmente amati. Sono davvero tre icone del nostro passato. Non credo che ci sia un’area significativamente più forte quando si tratta di collezionisti vintage, perché sono tutti molto ricercati.» L’interesse per il modello vintage si riflette anche sull’interesse dello stesso modello nella produzione contemporanea, come ad esempio molti dicono sia successo al Monaco? «Sì, per noi c’è una linea rossa che unisce i modelli che producevamo in passato e le nostre collezioni contemporanee. Prenderemo sempre ispirazione da quelli, mantenendo una forte connessione: per il Monaco questa è più evidente, anche a causa della sua cassa realmente originale, ma anche sul Carrera c’è un legame fortissimo. Per i collezionisti invece è interessante scoprire i vari gusti: chi è affascinato dai Carrera d’epoca potrebbe comprare un Monaco moderno e viceversa.» I nuovi modelli TAG Heuer sono influenzati, nel design, da quelli vintage? «C’è un elemento di ispirazione dai modelli storici nella collezione contemporanea, perché è uno sforzo collaborativo tra i team di gestione del prodotto, sviluppo, design e marketing. È sempre un mix di elementi messi insieme per creare un nuovo prodotto, ma uno sguardo ai nostri modelli più iconici del passato può sempre contribuire» Qual è il suo TAG Heuer preferito? «Ho un grande debole per il Carrera referenza 1158 CHN in oro, perché è stato l’orologio che Jack ha presentato alla gara di Formula 1 Ferrari dal 1971 al 1979. Quindi, ovviamente, questo è un modello storico molto importante per noi. Ma oltre a questo, il primissimo Monaco, la referenza 1133, il cosiddetto “Chronomatic” è stato un altro orologio importante per noi, mentre per l’Autavia la mia preferenza è la referenza

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TAG Heuer Carrera Ref-1158 in oro giallo del 1972. Calibro 12 cronografo automatico.


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Una rivisitazione dell’iconico ultrararo Monaco “Dark Lord” in carbonio, che combina un design visionario d’avanguardia e materiali all’avanguardia con un eccezionale savoir-faire artigianale tradizionale. Si tratta del Carbon Monaco, pezzo unico battuto recentemente all’asta Only Watch per 290.000 franchi svizzeri.

2446, soprannominata “Jochen Rindt”. È difficile sceglierne uno, ma questi sono le mie scelte.» Cosa consiglierebbe a chi vuole avvicinarsi per la prima volta alla scoperta della vostra modellistica vintage e di quella contemporanea? «La buona notizia è che i nostri orologi vintage hanno un prezzo al momento inferiore rispetto ad altri marchi. Di conseguenza, puoi ancora acquistare un modello di un anno davvero eccezionale per circa 3.000-5.000 franchi svizzeri. Ci sono molti esempi della ref. 1153 Carrera e della ref. 1163 Autavia “Viceroy” che sono ancora relativamente economici. È un buon

modo per imparare e comprendere le sfumature della condizione e della qualità, poiché il prezzo che si pagherebbe commettendo un errore è relativamente basso rispetto alla maggior parte degli orologi vintage. Quindi, man mano che ti addentri nel viaggio e acquisisci un po’ più di sicurezza, puoi avvicinarti ad altri riferimenti iconici. Per la collezione contemporanea, consiglierei il Carrera da 39 mm, penso che sia un orologio fantastico. E oltre a ciò, il quadrante blu classico del calibro 02 Monaco con il movimento di manifattura rappresenta una straordinaria modernità meccanica con un accenno a uno dei nostri design classici.»

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emozioni CAPITOLO 2



CAPITOLO 2

MILITEM

FERŌX-T IL PRIMO SPORT UTILITY TRUCK Di Paolo Gobbi

Cosa desidera chi è appassionato del mondo dell’orologeria e quindi di quello delle quattro ruote? Possedere un oggetto unico, che sia davvero originale e distintivo rispetto a tutti gli altri. Lo ha ben compreso l’italiana Militem che realizza vetture “luxury premium” per accontentare i desideri dei clienti e superarne le più alte aspettative. Sua caratteristica è quella di lavorare esclusivamente su veicoli americani, con la visione, la passione, l’eleganza e la cura per il dettaglio tipicamente italiani. Veicoli dal design esclusivo, che uniscono il meglio dell’affidabilità americana all’artigianalità, classe e gusto inconfondibilmente Made in Italy,

info@militem.it www.militem.com

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garantendo una sicurezza totale e un piacere di guida senza confronti. Il brand nasce dalla visione e da un’idea di Hermes Cavarzan, imprenditore lombardo operativo nel settore automotive da 40 anni con il Gruppo Cavauto, la cui passione per le auto americane ha spinto ad iniziare nel 2003 l’importazione degli Hummer. Ultima nata in casa Militem è la Ferōx-T, massima evoluzione del pick-up come lo conosciamo oggi, in grado di reinventare il concetto attuale di SUV trasformandolo in SUT, ovvero Sport Utility Truck. Un veicolo adatto sia all’utilizzo quotidiano che a quello più avventuroso off-road, in grado di combinare


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MILITEM FERŌX-T è realizzato su base Gladiator Rubicon con motore a benzina 3.6 V6 da 285 CV, trazione integrale 4WD e trasmissione automatica a 8 marce, che su questo modello è comandata dalle comode paddle shift (palette) sul volante.

tutti i pregi di SUV e pick-up in un unico mezzo, armonizzandone ed esaltandone le rispettive caratteristiche: presenta così tanti upgrade tecnici e di contenuti, da trasformare ogni viaggio in un’esperienza unica. Si tratta di un pick-up premium-luxury, con un posizionamento di mercato di fascia alta e assolutamente di nicchia. Un modello che rispecchia e ripropone tutti i contenuti di eccellenza che contraddistinguono l’intera gamma Militem. Realizzato su base Gladiator Rubicon, si distingue per l’ineguagliata capacità all-terrain, le sue elevate funzionalità, la massima sicurezza e la sua versatilità. Ferōx-T ha un design grintoso e inconfondibile, che non rinuncia a praticità, robustezza e prestazioni uniche. Per perfomance e contenuti tecnici si pone come una vera e propria “supercar” dei pick-up. Già esteticamente balza all’occhio la sua personalità prorompente, data dalle linee decise della carrozzeria e dagli interni in materiali pregiati, rifiniti a mano in ogni dettaglio. Gli ingegneri e designer Militem

hanno sviluppato sviluppato questo muscoloso pick-up sia in termini di performance che di stile. Mantenendo gli stilemi che caratterizzano il “family feeling” di gamma, come la mascherina anteriore in tinta (disponibile anche in carbonio a vista) con griglia nera a nido d’ape ed emblema del brand, gli ampi passaruota ad effetto “wide body” in carbonio o verniciati, i grandi paraurti avvolgenti sempre in tinta, i cerchi personalizzati da 20”. Un elemento distintivo introdotto per la prima volta come optional, è il rivestimento del cassone in materiale nautico hi-tech personalizzabile nelle colorazioni. Un rimando diretto al mondo della nautica e degli yacht, dato che con la sua capacità di traino di 3.500 kg e il gancio montato di serie, si presta perfettamente al ruolo di tender e al rimorchio di potenti fuoribordo. Il doppio scarico Black Performance è anch’esso sviluppato internamente e dispone della funzione Dual-Mode in grado di enfatizzare ulteriormente la duplice anima di questo SUT, modulando la sonorità attraverso l’apposito tasto nella consolle centrale.

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718 CAYMAN GT4 RS DNA DA COMPETIZIONE Di Paolo Gobbi

Quando i 500 CV di potente motore centrale si uniscono alla sobrietà di un peso a vuoto di 1.415 kg, allora è giunto il momento di ridefinire il termine “piacere di guida”: la Porsche 718 Cayman GT4 RS è il nuovo modello di punta della serie 718, un’auto da guidare senza compromessi, progettata per sorprendere con la sua struttura leggera, un assetto del telaio estremamente versatile, un’aerodinamica sofisticata e un rombo unico. Che venga guidata su strade di montagna strette e tortuose o su circuiti dedicati alle competizioni, la 718 Cayman GT4 RS si impone come la regina della gamma di compatte a motore centrale. Sul Nürburgring

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Nordschleife ha surclassato la gemella, la 718 Cayman GT4, di oltre 23 secondi. Il motore piatto a sei cilindri ad aspirazione naturale, già noto alla 911 GT3 Cup da corsa e alla 911 GT3 di serie, costituisce il fulcro di una vettura sportiva concepita per offrire il massimo piacere di guida. L’unità raggiunge i 9.000 giri al minuto. Rispetto alla 718 Cayman GT4, la 718 Cayman GT4 RS ha 80 CV (59 kW) in più, con un conseguente rapporto peso/potenza di 2,83 kg/CV. La coppia massima è stata incrementata da 430 a 450 Nm. Tra le caratteristiche che colpiscono maggiormente della nuova 718 top di gamma


EMOZIONI

Il nuovo alettone posteriore fisso, il suo attacco a collo di cigno e i supporti dell’ala in alluminio sono elementi distintivi del design esterno. Anche le modifiche al telaio contribuiscono alle prestazioni più elevate del nuovo modello. I giunti sferici fissano saldamente il telaio alla carrozzeria per garantire un comportamento dinamico ancora più preciso e immediato.

figurano le prese dell’aria di processo poste dietro i finestrini del guidatore e del passeggero. Solitamente in questo punto la 718 Cayman presenta dei piccoli finestrini laterali. Le nuove prese d’aria migliorano il flusso dell’aria in ingresso, creando allo stesso tempo un elettrizzante fruscio di aspirazione proprio accanto alle orecchie degli occupanti. Le caratteristiche prese d’aria posizionate davanti alle ruote posteriori sono state mantenute e vengono utilizzate per raffreddare il motore. Come ogni moderno modello RS, la nuova 718 GT4 RS è disponibile esclusivamente con il cambio a doppia frizione Porsche (PDK). Si tratta di un cambio che passa da una all’altra delle sue sette marce alla velocità della luce, assicurando le massime prestazioni. I comandi al volante consentono al guidatore di mantenere il controllo dello sterzo anche quando cambia marcia manualmente. In alternativa, è possibile utilizzare la nuova leva di selezione sulla console centrale. La trasmissione PDK sportiva a basso rapporto

è il cuore dell’incredibile accelerazione di questa sportiva con motore montato centralmente. La 718 Cayman GT4 RS scatta da 0 a 100 km/h in soli 3,4 secondi (GT4 con PDK: 3,9 secondi) e raggiunge una velocità massima di 315 km/h (GT4 con PDK: 302 km/h) in settima marcia. Come è tipico di tutti i modelli RS, la nuova 718 Cayman GT4 RS si distingue per la sua struttura leggera. La biposto pesa solo 1.415 chilogrammi, con serbatoio pieno e in assenza del guidatore, come previsto dalla norma DIN, cioè 35 kg in meno di una 718 GT4 con PDK. Tale riduzione di peso è stata ottenuta grazie all’uso di plastica rinforzata con fibra di carbonio (CFRP) per componenti quali il cofano e le ali anteriori. Anche la moquette leggera contribuisce al risparmio di peso e con lo stesso obiettivo è stata ridotta la quantità di materiale isolante impiegato. Il lunotto posteriore è in vetro leggero. Completano lo sforzo di eliminare ogni grammo superfluo i pannelli delle portiere ultraleggeri con anelli apriporta in tessuto e le reti sui vani portaoggetti.

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CIRCOLO ANTICO TIRO A VOLO

UN ANGOLO DI PARADISO NEL CUORE DI ROMA Di Paolo Gobbi

Ubicato in uno dei posti più panoramici di Roma, ricco di una tradizione plurisecolare, l’Antico Tiro a Volo si pone nel solco dei prestigiosi circoli sportivi e culturali romani come uno tra i più blasonati, conosciuti e frequentati. Dopo una fase iniziale, tutta polarizzata sull’originaria attività sportiva, di cui si fregia ancora nel nome e di cui era la massima emanazione italiana, il Circolo grazie anche alla ricchezza e modernità dei propri impianti ha ampliato la sua vocazione sportiva in altre specialità tra le quali tennis, nuoto, calcetto ed è arrivato a conseguire lusinghieri risultati. Non minore rilievo hanno le attività culturali e

sociali, presenti nella letteratura, nella scienza, nell’arte, nel diritto, tutte seguite con grande partecipazione ed interesse dai Soci e condotte dai più qualificati esperti nelle relative discipline. Ma adeguato spazio viene anche riservato alle attività ludiche quali i giochi di carte, che vedono impegnati accanto ai Soci appassionati, amici ed ospiti, gli incontri conviviali, le proiezioni cinematografiche e i concerti, e “last but not least” la vita sociale ed i quotidiani simpatici incontri tra i Soci, condotti in allegria e amicizia. Fiore all’occhiello è il Ristorante interno dove i Soci e i loro ospiti possono gustare le migliori specialità proposte dalla gastronomia nazionale e non solo.

Circolo Antico Tiro A Volo Via E. Vajna, 21 - Roma Tel. 39 06 808 2367 segreteria@anticotiroavolo.it

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EMOZIONI

LE ATTIVITÀ CULTURALI Un Circolo sorto per la vocazione sportiva dei suoi fondatori, non può non aver conservato una forte finalizzazione in questa direzione. Ma la sempre più penetrante presenza nell’ambito economico e sociale della città, e non solo, ha esteso il tessuto connettivo dell’Antico Tiro a Volo a contenuti molteplici e sempre più articolati che ne arricchiscono la vita associativa e ne completano la già copiosa offerta di servizi e prestazioni destinata a Soci e Partecipanti. L’abbondanza delle proposte culturali attinenti al Circolo è ben evidente nel dettaglio specifico che segue, dal quale si evincono le varie direttrici nelle quali si articolano e che spaziano sui più attuali temi posti dalle evoluzione letteraria, artistica e scientifica. Ma ciò che preme sottolineare con particolare vigore è la cifra di un ruolo che, dall’ originaria funzione di completamento e integrazione di una vocazione originaria allo sport, ha oggi assunto un rilievo di tutta preminenza dando luogo, con le attività sportive, ad un insieme inscindibile e sostanzialmente unitario e che fa del Circolo Antico Tiro a Volo una realtà assolutamente originale nel contesto della vita cittadina.

LE ATTIVITÀ SPORTIVEI Il Circolo nasce dalla vocazione sportiva dei suoi Fondatori e di tale imprinting è rimasto permeato nel suo plurisecolare arco di vita. Abbandonata l’attività di tiro a volo nel sito originario, per l’ormai totale collocazione nel tessuto urbano cittadino, il Circolo si è orientato ad altre specialità largamente diffuse e praticate come tennis, nuoto, calcetto ecc... Ad esempio, il tennis vede impegnati un gran numero di Soci, così come le attività natatorie, ospitate nella struttura sottostante del Tiro a Volo Nuoto e da quest’ultima società gestite. In entrambe queste due discipline sono stati conseguiti livelli di preminenza, con lusinghieri risultati in campo agonistico, come testimonia il prestigio raggiunto dal Torneo Internazionale Femminile di Tennis e che vede partecipare le più qualificate giocatrici del ranking internazionale, mentre la squadra di nuoto ha raccolto importanti riconoscimenti in ambito nazionale ed internazionale. Da mettere in evidenza, infine, le altre discipline praticate, dal calcetto, al calciotto, al jogging, fino al paddle, che ha trovato nel Circolo e nei suoi campi, il luogo perfetto dove essere vissuto al meglio.

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CAPITOLO 1

WATCH PASSION

MODELLO VINCENTE PER FARE RETE VALORIZZAZIONE E TUTELA SONO I PRINCIPI FONDANTI DELL’ASSOCIAZIONE DEI COMMERCIANTI DI OROLOGI CONTEMPORANEI E VINTAGE Di Mauro Girasole

WATCH PASSION NASCE nel 2018 da una geniale idea di Roberto Verde, Presidente dell’Associazione, e dalla necessità pratica di risolvere i problemi organizzativi, giuridici e commerciali che quotidianamente vive una categoria molto articolata come quella dei commercianti di orologi, i cosiddetti “reseller”. Tante le iniziative che hanno lo scopo pratico di tutelare gli Associati e dare impulso alle loro attività come la stipula di specifici accordi con aziende ed enti pubblici o privati, la creazione di progetti speciali a carattere commerciale e lo sviluppo di azioni mirate al loro riconoscimento e promozione. Nel tempo l’associazione si è organizzata con un regolamento interno ed un codice etico, che hanno permesso di rendere il logo “WP” sinonimo di affidabilità e qualità. Ci spiega il suo funzionamento Giulio Chiossone, membro del Consiglio Direttivo.

Con che intento è nata l’associazione? «In questi anni siamo riusciti a creare un gruppo numeroso di commercianti selezionati e certificati che hanno l’interesse comune di offrire un prodotto di alta qualità al pubblico, sempre crescente, che compra sia per piacere che per investimento.» Su che tipo di iniziative vi focalizzate? «“WP” organizza anche iniziative interne per valorizzare ed implementare gli aspetti cognitivi e pratici dei propri associati, stipulando convenzioni, facendo webinar, riunioni e corsi in genere». Il settore dell’orologeria è in continua trasformazione. Cosa vi riserva il futuro? «Il futuro del settore merceologico di riferimento appare quanto più promettente ed in crescita, ma è evidente per tutti i commercianti che prevederà una naturale selezione qualitativa operata dalla clientela. Watch Passion è la risposta migliore per questa necessità.»

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Roberto Verde, di Goldfingers Orologi di Verona, presidente dell’associazione e membro del Consiglio Direttivo


IDEE

In alto: Rolex Daytona Ref.6263. A sinistra: Rolex Sea-Dweller Ref. 1665. A destra: Rolex GMT-Master Ref. 6542. In basso: Rolex Submariner Ref. 6002.

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CAPITOLO 2

ELISABETTA GNUDI

LA REGINA DEL SANGIOVESE UNA GRANDE PASSIONE CHE SI TRASFORMA IN VINI ECCEZIONALI Di Manlio Giustiniani

ELISABETTA GNUDI NATA A ROMA, ma di origini bolognesi, non avrebbe mai pensato che sarebbe diventata una produttrice di vino, ma secondo la legge universale questo era scritto nelle stelle, non a caso il cognome della madre è Uva, ed è nata a settembre, il mese della vendemmia. Appassionata sia di storia, che di arte e archeologia, ha da sempre coltivato la passione per la campagna, e dopo aver perso da giovane il marito, l’imprenditore farmaceutico Paolo Angelini, si è impegnata in diverse attività, da manager dell’azienda farmaceutica di famiglia a produttrice cinematografica e teatrale per dieci anni; ma a 40 anni ha capito cosa volesse fare da grande, e dopo aver seguito il corso di Sommelier

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a Roma, decise di cedere le quote dell’azienda familiare e realizzare uno dei sogni della sua vita: dedicarsi alla terra così acquista nel 1997 Borgo Scopeto nel Chianti Classico, “Un colpo di fortuna”, dice. “Il proprietario svizzero fu costretto a vendere e io ne approfittai per acquisire l’azienda”. La Gnudi ha anche restaurato l’antico borgo medievale, ricavando un relais de charme, talmente affascinante da essere scelto, anni fa come location per il film “Letters to Juliet”, con Vanessa Redgrave e Franco Nero. Nel 1998 acquista anche Caparzo, azienda storica di Montalcino a sud di Siena, dove produce il Brunello di Montalcino “Vigna La Casa”, considerato un vero gioiello enologico.


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CAPITOLO 2

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Ma il fiore all’occhiello fu l’acquisto nel 2002 della Tenuta di Altesino, che confina proprio con Caparzo. Elisabetta confessa che fu una pazzia “Quando morì il proprietario, il figlio decise di vendere tutto. Si presentarono i proprietari di Chateau Margaux, ma io non potevo accettare che a Montalcino, ci fossero i francesi, e così anche se non potevo permettermelo, decisi di acquistare Altesino” il cui top della gamma è Montosoli. Infine, nel 2000 acquisisce l’azienda Doga Clavule in Maremma e il 2003 è stato il primo anno di produzione del Morellino di Scansano. Oggi di aziende ne ha quattro: due a Montalcino, Altesino e Caparzo, una nel Chianti Classico, Borgo Scopeto, con annesso Relais de Charme e una in Maremma, Doga delle Clavule, che si estendono per oltre 1.100 ettari, dei quali 254 coltivati a vite, con una grande prevalenza di sangiovese, e a Borgo Scopeto possiede anche 7.000 piante di olivo.

Elisabetta ha due figli, Igino e Alessandra, che seguono le aziende di famiglia. Igino è un ingegnere ambientale e ha dotato Caparzo di pannelli fotovoltaici per la produzione di energia green. Alessandra segue, invece, l’aspetto commerciale delle aziende e dal 2020 si occupa dell’albergo di charme a Borgo Scopeto, ma malgrado abbia un aiuto da parte loro, ama essere sempre in movimento e gira il mondo per promuovere i propri vini, cercando di trasmettere la sua passione per il vino, ma ama soprattutto l’Italia e il suo patrimonio artistico, al punto da finanziare importanti restauri grazie al vino. Legge, soprattutto scrittori americani e sudamericani, e quando non è in giro per il mondo, vive in toscana, sua regione d’adozione, tra Montalcino e Siena, nella Contrada dell’Onda che ha scelto perché ha gli stessi colori della Lazio, la sua squadra del cuore! Il suo sogno nel cassetto è far rinascere lungo la Cassia, la Via Francigena, la via dei pellegrinaggi più importante di tutti i tempi.

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CAPITOLO 2

CASA DIVINA PROVVIDENZA

NELLA VITA TUTTO TORNA È SOLO QUESTIONE DI TEMPO. LO DIMOSTRA IL PERCORSO DELLA CANTINA PIÙ ANTICA DEL LAZIO UN’AUTENTICA STORIA DI MISERIA E NOBILTÀ Di Giulia Nekorkina

C’ERANO UNA VOLTA DUE SORELLE,

sig.ra Trovarelli Maria Rosa in Battistelli e Giulia, entrambe figlie di Giuseppe, che nel 1821 posarono la prima pietra su terreni incolti e sabbiosi in contrada La Seccia, nell’entroterra di Nettuno, in provincia di Roma. Dopo 200 anni esatti, questa cantina viene consacrata come una delle eccellenze del territorio laziale. Guarda caso, anche oggi è gestita da due sorelle, Adelaide e Piera. Sarà una coincidenza o una mano divina? Non lo sapremo mai, anche se la risposta potrebbe essere nel nome: l’azienda vinicola in questione si chiama Casa Divina Provvidenza. Durante i due secoli passati sono successe molte cose. Nel 1890 fu formalizzata la cessione della proprietà a Frate Orsenigo, fondatore dell’Ospedale Casa Della Divina Provvidenza a Nettuno, finanziata

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dalla sua attività odontoiatrica all’Isola Tiberina presso Fatebenefratelli. Questi 6 ettari di terreno servivano per assicurare un approvvigionamento alimentare all’ospedale e allo Stato del Vaticano. Fra Orsenigo vi fece piantare viti, ortaggi e alberi da frutta, scavare un pozzo e costruire una casa colonica a fianco del vecchio Casale Rosso, diventato in seguito un museo della proprietà, una piccola bomboniera piena di reperti unici. Oggi Casa Divina Provvidenza è un’azienda vitivinicola solida e affermata, che possiede 60 ettari di terreno tra diversi appezzamenti. La sua anima sono le due sorelle Adelaide e Piera Cosmi, due donne grintose e intraprendenti, che provengono da una famiglia di viticoltori in terza generazione. Grazie ai Cosmi l’azienda è tornata a splendere come una volta, producendo vini di


www.casadivinaprovvidenza.it

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qualità, applicando le tecnologie moderne, scegliendo i macchinari migliori, ma senza perdere di vista il passato. Ciò non sarebbe stato possibile senza puntare sulla tradizione, sulla storia di un territorio e sulla riscoperta dei vitigni autoctoni, il Cacchione in primis. Il Cacchione è un antico vitigno che pare derivi dalle stesse piante coltivate in questa zona in epoca romana, che, probabilmente, dava origini al vino bevuto da Cicerone, Caligola e Nerone. Plinio lo aveva addirittura citato come “pantastico”, ovvero, uva pane, visto che i contadini lo consumavano proprio con il pane. Il Cacchione nel calice sfoggia il colore giallo paglierino e profumi di frutta gialla e di agrumi, e regala al palato l’intensità e qualche nota salmastra. E di facile “beva” da giovane, ma si presta all’affinamento nelle barrique, acquisendo eleganza, inoltre è un’ottima base per le bollicine grazie alla giusta acidità. Per scoprire la storia di Casa Divina Provvidenza, la cosa migliore da fare sarebbe incontrare le sorelle Cosmi e il loro enologo Marco Delli Zotti direttamente sul luogo, in questa antica tenuta, circondata, come una volta, da sei ettari di vigneto, dagli ulivi e dai pini mediterranei. In una splendida giornata autunnale, quando il tepore del sole accarezza dolcemente la pelle e le vecchie vigne, mentre la brezza marina, appena percettibile, stuzzica l’olfatto con le note salmastre, una chiacchierata scorre liscia e piacevole, come un calice di vino.

Il vostro presente, invece, è scandito dal vino e dalle sue esigenze… (Enologo) «Se il tempo è tiranno, lo è anche il vino. I suoi tempi sono dettati ogni giorno dalla vite, dal momento che germoglia fino a quando produce, poi arriva alla maturazione, e alla raccolta. Ma anche in cantina, una volta ottenuto il vino, tra vari travasi e i affinamenti, anche essi sono tutti scanditi dal tempo che dobbiamo assecondare.»

Handmade è una rivista che parla del tempo in tutte le sue espressioni più particolari, e un’azienda vinicola come la vostra ne dovrebbe sapere qualcosa. Com’è il vostro rapporto con il tempo? (Adelaide) «Il nostro tempo è fatto dal passato e dal futuro. Il profondo legame con il passato fa parte della nostra storia, anzi, l’azienda è la storia stessa perché rappresenta il territorio, la storia, naturalmente, papale, perché era del Papa. Ed è anche la tradizione del luogo, dei nostri vigneti e della viticoltura che purtroppo per un periodo di tempo è stata abbandonata. Il futuro, invece siamo noi che cerchiamo di far rivalutare il territorio. Lo stiamo facendo un pezzettino per volta, sperando di riuscirci sempre di più.»

Non ci si riesce a credere che il Vaticano abbia venduto una sua proprietà, si può dire che è stato un piccolo miracolo? (Adelaide) «Forse è stato un percorso divino, è quando si dice che il destino esiste ed è tracciato in qualche modo. È stato mio padre a vedere per primo l’azienda. Arrivato per caso, l’ha vista, completamente abbandonata e in rovina e ha pensato a qualcosa di grandioso, perché conosceva il nostro sogno. E ha avuto la lungimiranza di capire che questa azienda potesse diventare qualcosa di speciale nel futuro.» (Piera) «Quando abbiamo iniziato il percorso, non avevamo neanche sperato di acquistarla, ma solo di capire cosa si può fare per tirarla su. E poi

Torniamo un po’ nel passato. La vostra avventura con la Casa Divina Provvidenza è iniziata poco più di 20 anni fa, esattamente nel 2000, com’è andata? (Adelaide) «Semplicemente è nato un sogno. Noi siamo viticoltori da tre generazione, ma sia mio nonno che mio padre hanno sempre prodotto l’uva per venderla ai terzi, ed era la nostra unica fonte di guadagno. Invece il mio sogno era mettere quell’uva in una bottiglia. E da quando eravamo piccoline, io, passando vicino alle grandi cantine, dicevo a mia mamma: “Un giorno diventerò come loro”. E lei, un po’ titubante, mi sorrideva e non ci credeva. Ma poi ci siamo riuscite per davvero, grazie ai nostri genitori che ci hanno sostenuto e grazie alla nostra squadra. È stato un percorso lungo, ventuno anni lunghissimi, anche se sono passati velocemente e intensamente, ed è così ancora oggi.»

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CAPITOLO 2

all’improvviso, dopo un salto del buio, il sogno si è realizzato. Quando abbiamo capito che presto l’azienda avrebbe compiuto 200 anni, ci siamo messe a fare le ricerche per studiare la sua storia, tornando indietro nel tempo. Arrivate al 1821, all’improvviso ci siamo rese conto che all’origine di tutto c’erano due sorelle che purtroppo non avevano eredi, e questo ha causato una successione delle persone che non avevano famiglia. Le due sorelle avevano venduto allo Stato del Vaticano, che ha mantenuto la proprietà fino al 2000, quando noi abbiamo fatto l’atto di compravendita con la Sua Santità Giovanni Paolo II.» Avete per caso trovato qualche bottiglia antica? Chissà com’era il vino dei Papi? (Piera) «No, purtroppo. Abbiamo trovato tanti altri reperti, soprattutto della guerra, e anche gli attrezzi per l’agricoltura, ma all’epoca nemmeno si usava il vino imbottigliato, solo sfuso. Ricordiamoci che questa azienda produceva per lo Stato del Vaticano, invece la vendita all’esterno, alla ristorazione, ha iniziato ad avvenire negli anni 70. Le prime bolle di accompagnamento che abbiamo trovato, erano datate 1978-1979, e il vino arrivata addirittura al Tripolino, un vecchio ristorante che si trovava all’ingresso del borgo di Nettuno, che ora non c’è più.» Com’è stato creare un’eccellenza nel Lazio, il territorio che nell’ultimo secolo è stato bistrattato, ma che per fortuna sta prendendo la rivincita grazie al terroir unico e alla qualità dei vini? (Enologo) «Al contrario di quello che si dice, il Lazio è sempre stato vocato alla viticoltura, lo sapevano già gli antichi romani. Il vino più

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conosciuto della regione è il Frascati. Purtroppo mentre a livello enologico tutta l’Italia cresceva, il Lazio era rimasto arretrato perché ancorato alle vecchie cantine sociali che davano priorità ai quantitativi e non alla qualità. Appena si è iniziato a capire che bisognava cambiare il modo di produrre, le cose sono cambiate. Qui i terreni sono molto fertili, ci sono terreni sabbiosi e terreni vulcanici, perché si va da mare alla montagna, e anche il clima è favorevole.» Insomma, il Lazio sta rinascendo? (Adelaide) Si, decisamente! Ed io posso azzardare un’ipotesi che nei prossimi 15 anni il Lazio supererà di gran lunga alcune regioni come l’Umbria o l’Abruzzo. Secondo me con la nascita di tantissime piccole aziende, se tutti lavoreranno della direzione della qualità, il Lazio può vivere una grande svolta.» Cosa volete comunicare ai vostri clienti? «Adelaide e Piera si guardano, sorridono e dicono insieme: «Come diceva Goethe, la vita è troppo breve per bere vini mediocri. Lo ripetiamo all’infinito. Non si può godere di qualcosa che non sia un’eccellenza, che non abbia valore, soprattutto nel nostro mondo che gira così in fretta.» È vero che ci vuole un po’ di educazione per distinguere il vino buono da uno meno buono? (Piera) «Abbiamo notato che negli ultimi anni c’è una bella crescita dalla parte del cliente. E più attento, più esigente. Sono soprattutto i giovani, forse perché sono più aperti, che hanno tantissima voglia di scoprire, capire, imparare.»


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(Enologo) «Comunque non c’è il vino buono e il vino cattivo, c’è il vino che piace o non. Quando apriamo una bottiglia, dobbiamo provare qualcosa, un sentimento, un piacere. Ed è sempre una questione di gusti, ma soprattutto di emozioni.» Di recente avete avuto tante soddisfazioni e riconoscimenti… (Adelaide) «Ultimamente siamo davvero pieni di premi! Dopo la pandemia, dopo quasi due anni durissimi, il nostro Cesanese è arrivato come il secondo miglior vino d’Italia secondo 5starwines The Book 2022, poi abbiamo ricevuto 4 grappoli al nostro Neroniano (Cacchione) e anche 3 tralci e mezzo (peccato non siano stati quattro!), sempre al Neroniano, e ora il premio dell’Award The WineHunter di Merano che va al nostro Cacchione base, ed è una soddisfazione enorme, perché sta diventando una nostra punta. Anche i 200 anni sono stati premiati, sia rosso che bianco. Possiamo dire che è stata un’annata favolosa.» È vero che il Cacchione viene spesso confuso con il Bellone? (Adelaide) «Questa è la mia battaglia personale che porterò fino alla fine, per il riconoscimento di questo vitigno e di questo territorio. Una DOC viene assegnata quando un vitigno ha delle determinate caratteristiche fisiche, chimiche e organolettiche date dal territorio, sia a livello di laboratorio, sia a livello gustativo ed olfattivo, esattamente come il Cacchione che nasce a piede franco nel nostro territorio e viene vinificato sempre qui. Due anni fa ho iniziato il percorso

con ARSIAL, ma la loro risposta è stata che il Cacchione è il fenotipo del Bellone, anche se non è la stessa cosa, è solo un ramo. Dunque, il mio prossimo obiettivo è la creazione di un Consorzio DOC Cacchione, così iniziamo a proteggere e a disciplinare il territorio di Nettuno e di Anzio, il nostro piccolo prezioso lembo di terra. Noi adesso siamo già in 3 cantine a produrre il Cacchione, vuol dire che il territorio c’è, si sta muovendo e sta crescendo. Speriamo solo che anche i giovani ritornano in campagna per dare ancora più valore alle nostre zone.» Che progetti avete per il futuro? (Enologo) «Punteremo sempre di più sul discorso del Cacchione a piede franco. La zona di Anzio e Nettuno ha i terreni sabbiosi, perfetti per il nostro vitigno autoctono, storico, che cresce solo qui, perché la coltivazione a piede franco avviene solo sui terreni sabbiosi, quindi, vicino al mare.» Si può dire che voi il vino ce l’avete nel sangue, cosa serve per farlo buono, oltre la passione e la materia prima? (Enologo) «Semplice: ci vuole l’uva buona, un po’ di tecnica di vinificazione, le attrezzature e una corretta gestione di tutto ciò. E anche il tempo, che decide la materia prima. L’interferenza umana deve stare ai ritmi della natura.» Dicono che per innamorarsi di una persona ci vogliono 7 secondi, quanto ci vuole per innamorarsi di un vino? (Adelaide) «Due secondi, il tempo di un sorso.»

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CAPITOLO 2

AGALÌA

IL PRIMO DISTILLATO CHE È ANCHE UNA START-UP Di Lara J. Mazza

L’Agave è una pianta straordinaria. Originaria dell’America centro-settentrionale, è soprattutto nota per le sue proprietà medicinali legate alla ricchezza di principi attivi presenti nelle foglie e nei fiori. Grazie a queste sue peculiarità, anche il suo distillato, di origini molto antiche, è diventato col tempo una bevanda sempre più diffusa, anche nel nostro paese. Infatti, non tutti sanno che, anche l’Italia, e in particolare la Sicilia, è un grande produttore di agave. Detta localmente zammara o zabbara, è una pianta capace di conferire una forte impronta distintiva al gusto ed è perciò riservata a un pubblico che ama i sapori

decisi e le altre gradazioni alcoliche. Il mercato offre una grande varietà di liquori ma l’ultimo prodotto nato nella nostra bellissima isola, Agalìa appunto, è un distillato unico che parla di Sicilia in ogni suo dettaglio, a partire dal nome dalla sonorità tipicamente “sicula”, nato dalla fusione tra “agave” e “Rosalia” (Santa Rosalia è Patrona di Palermo e Protettrice della Sicilia). Nato dieci anni fa dalla mente e dal cuore di quattro amici - Federico Vincenzi, Michele Di Carlo (unico custode della ricetta segreta), Davide Fregonese e Augusto Prusso, per la grande ricerca che ha definito il percorso

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di lavoro, Agalìa è oggi una società riconosciuta come “impresa start-up innovativa”. L’idea dei suoi fondatori era quella di dare vita ad un prodotto originale, totalmente inedito, arricchito di note aromatiche grazie alle botaniche di Sicilia come il limone verdello e le pale di fico d’India. Con i suoi 43,3 gradi e il suo primo lotto da 2876 bottiglie, questo distillato d’agave promette di diventare un vero successo internazionale. Da gustare liscio o miscelato a 16/18° C di temperatura, Agalìa presenta un colore giallo/ verdolino trasparente, toni che ammaliano nella loro purezza. Il profumo ricorda la frutta candita, la freschezza degli agrumi, l’imponenza dell’ulivo oltre ad altre botaniche di Sicilia mentre, al primo assaggio, la sensazione è quella di vedere il mare da Selinunte, le note olfattive si ritrovano nel gusto persistente, delicato, gentile. Un distillato di grande carattere e personalità che richiama il territorio a cui si è ispirato, da cui proviene e di cui evoca il grande e sensuale fascino. A questo processo unico si aggiunge lo stile di imbottigliamento molto artistico. Prodotto esclusivamente in Sicilia, il “distillato” è custodito

in una bottiglia atipica che ne rimarca la personalità eccezionale: vetro trasparente dai profili decisi, base quadrata e lati leggermente svasati verso il collo della bottiglia stessa. Inoltre ogni bottiglia da 0,50 litri, è decorata con il logo Agalìa serigrafato ed una piastrella di ceramica di Caltagirone numerata ed applicata a mano su ogni singolo contenitore. Su ogni piastrella compare - in blu - il profilo stilizzato della Sicilia avvolto da una raggiera di petali gialli e blu ispirati dalle foglie d’agave e dipinti nei colori del sole e del mare tipici di queste terre. Sul retro di ogni piastrella si trova scritto a mano il numero progressivo di ogni singola bottiglia. Questo spazio, inoltre, consente anche interventi di personalizzazione. La bottiglia di Agalìa è ulteriormente inserita in una scatola di latta decorata con gli elementi distintivi del brand, il logo e l’allegoria dell’isola siciliana immersa nelle sfumature che meglio la descrivono e che testimonia la lunga tradizione e cultura intrinsecamente legata alla bevanda, alle persone che la producono e alla regione in cui viene prodotta.

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CAPITOLO 2

ZANNETTI

PENNE D’ATMOSFERA UN MARCHIO LEGATO ALLE EMOZIONI PERFETTA COMBINAZIONE TRA ESTETICA E FUNZIONALITÀ

Di Lara J. Mazza IN QUESTA EPOCA freddamente pixellata, gli strumenti di scrittura più classici stanno facendo un significativo ritorno. La penna stilografica è stata messa in pericolo dall’avvento delle penne a sfera usa e getta degli anni ‘60 e successivamente, dagli anni ‘90 in poi, l’onnipresente tastiera, touch o meno che sia, le ha quasi dato il colpo di grazia. I pennini ricordano un’epoca in cui l’atto di firmare documenti prometteva legge e ordine, un tempo in cui personaggi come Thomas Jefferson usò la sua penna, si racconta fosse addirittura di metallo, modernissima per l’epoca, per redigere la Dichiarazione di Indipendenza del 4 luglio 1776 che sancì i diritti individuali degli americani e il diritto alla rivoluzione. È indubbio che la scrittura elettronica non trasmetta le stesse emozioni o stimoli la sensorialità dell’individuo come fa la scrittura a mano. Le creazioni Zannetti, che portano il cognome del suo creatore, sono

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riservate proprio a quelle persone che amano quel profondo senso fisico legato alla durabilità di un oggetto speciale, incontro tra gioiello e strumento, perché una penna stilografica, oltre a serbare una grande dignità, custodisce anche i segreti più intimi. Riccardo, cosa ti ha fatto amare le penne tanto da dedicarti a questo mondo e alla loro creazione? «È un progetto che parte da lontano, quasi trent’anni fa. A quell’epoca avevo realizzato alcuni modelli per altri marchi seguendone l’intero processo, dalla progettazione alla realizzazione finale. L’amore per la scrittura però è qualche cosa che rimane indelebile. Amante dei libri e anche del mondo della grafia, per me la penna e la matita rappresentano qualcosa di magico, come accade per i collezionisti di stilografiche che adorano il “graffio” fisico del pennino sulla


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carta. Nell’era digitale, il rituale di scegliere una penna, riempirla, decidere in quale stile scrivere ha un rinnovato romanticismo. Con questo spirito abbiamo deciso di creare il nostro brand e introdurre sul mercato le penne Zannetti che prima si facevano per pochi eletti.» Ti ricordi quali sono stati i tuoi primi manufatti? «Le mie prime penne erano realizzate in oro; solo qualche modello era fatto in argento. Il materiale principale era la giada. Erano delle vere opere d’arte. Alcuni collezionisti, miei clienti, se le contendevano, qualche volta litigavano pur di averle. Ricordo che cercavo le più belle e antiche giade, come quelle che si usavano per i bocchini, e costruivo le mie penne. Da lì è nato l’intero progetto di fare penne sempre più preziose. Il pensiero della penna mi ha sempre ammaliato.» Desumo che ci siano molti clienti che vogliono prodotti realizzati in esclusiva… «Assolutamente sì. Sempre. La nostra è una realtà che fuoriesce dall’ordinario, nella quale non si calcolano i tempi di esecuzione e si realizzano solo pezzi unici. La prima penna non sarà mai uguale alla seconda, né alla terza. Utilizziamo sempre materiali preziosi, lavorandoli artigianalmente, cosa abbastanza rara e complicata dato l’altissimo livello tecnico che raggiungiamo. È pressoché impossibile prodotti in serie – e non lo vogliamo nemmeno fare perché è la mano dell’uomo che lavora non la macchina.» Quali sono l’ispirazione e le tecniche con cui realizzate le vostre collezioni?

«L’ispirazione è molto similare a quella con cui produco i miei orologi, lo spunto proviene da lì, ovvero la volontà di creare qualcosa che ancora non esiste sul mercato, e poi evolve. Incise, smaltate, con le pietre, per le nostre penne ci avvaliamo della tecnica cloisonné che consiste nel creare, mediante sottili nastri d’oro, argento o rame, saldati al metallo di fondo, compartimenti (cloisons) da riempire con materiali vetrificabili; o lo champlevé che è un’antica tecnica di decorazione a smalto di Limoges, secondo la quale alveoli o cavità vengono scavati sulla superficie di un oggetto metallico e riempiti di smalto vitreo. Un altro esempio sono le penne in legno che intagliamo, intarsiamo con tecniche stravaganti, le affoghiamo nelle resine, le torniamo e per le quali utilizziamo anche pigne o chicchi del caffè.» A chi sono rivolte le tue creazioni? «La nostra clientela è tanto trasversale quanto esigente perché desidera possedere un oggetto unico, fuori dal coro, con caratteristiche esclusive che solo il fatto a mano può raggiungere. Personaggi di pubblica rilevanza, sportivi, presidenti e sultani e negli ultimi anni, con nostra meraviglia, anche giovanissimi che rimangono affascinati dalla creatività e dalla qualità del nostro lavoro. È proprio grazie ai millennial che si stanno rivolgendo alla scrittura a mano in cerca di una disintossicazione digitale che il revival delle penne stilografiche è stato reso possibile.» Bellezza o design? «Entrambi. Imprescindibili. Fuori dall’ordinario. Questa è la nostra forza, la nostra energia.»

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CAPITOLO 2

AURORA

DIETRO IL PENNINO A TU PER TU CON FILIPPO LOGHERO NIB MASTER E “CUORE” DELLA FAMOSA MANIFATTURA TORINESE Di Lara J. Mazza

CI SONO MESTIERI di cui si conosce poco o nulla: il Maestro del Pennino, o Nib Master, è uno di quelli. Figura fondamentale per una eccellenza che realizza e vende penne stilografiche in tutto il mondo come Aurora, Filippo Loghero è responsabile dell’intero ciclo produttivo dei suoi pennini. Con all’attivo più di 100 anni di storia, Aurora, guidata oggi dalla quarta generazione della Famiglia Verona, è l’unico autentico marchio italiano ancora in vita in questo settore. È lui che plasma le lamine d’oro o di acciaio, a seconda dei modelli, e ne cura il montaggio e il perfetto funzionamento in quelli che saranno veri e propri strumenti di scrittura. A distanza di pochi giorni dall’inaugurazione della prima Boutique monomarca in Via San Pietro all’Orto, all’interno del Quadrilatero della moda milanese, il cui progetto è stato seguito dall’architetto-designer Fernando Mosca, lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare i segreti del suo lavoro e del successo di Aurora.

L’apertura della boutique di Milano ha rappresentato un bellissimo traguardo per voi. Com’è nata la Capsule Collection in Edizione Limitata che avete dedicato a questo momento così importante? «Abbiamo voluto celebrare con 2 modelli iconici,

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la classica 88 di Marcello Nizzoli e la moderna Ipsilon, il nostro nuovo punto vendita utilizzando come incisione il logo AVRORA degli anni ‘20, che distingueva i suoi punti vendita. Abbiamo voluto unire passato e presente per celebrare un nuovo traguardo e proiettarlo nel futuro: l’apertura del nostro secondo monomarca in Italia dopo Roma.» “Since 1919”, un valore inestimabile. Il know how quanto conta oggi nel vostro settore? «È fondamentale. Il nostro know how ci ha permesso di arrivare a celebrare i 102 anni della nostra azienda, o meglio i primi 2 dei prossimi cento! Le penne Aurora nascono come dei veri e propri gioielli fatti a mano e ancora oggi dopo oltre un secolo sono il risultato di un fine artigianato accompagnato dalla tecnica e dall’uso di materiali pregiati, sempre in linea con i gusti del tempo.» Artigianalità e tecnologia: dove pende di più la bilancia? «Cerchiamo di mantenere un equilibrio. Artigianalità come emblema della Manifattura Italiana, tecnologia per rimanere competitivi e soddisfare al meglio i nostri clienti. Le lavorazioni realizzate con le tecniche tipiche della tradizione orafa, si affiancano alle fasi produttive condotte


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con tecnologie 4.0. La scelta di materiali e metalli pregiati come oro, argento e pietre preziose conferisce ad ogni penna il suo valore.» Oltre all’estetica, ciò che fa la differenza è il pennino. Come nasce un pennino? Quali sono le sue fasi di lavorazione? «Aurora è l’unica azienda italiana, e una delle poche al mondo, che si occupa interamente di tutte le fasi di produzione, incluso il pennino, vero cuore della stilografica. Ogni pennino Aurora si fregia del punzone 5 TO, uno dei primissimi punzoni rilasciati a Torino ed il più antico in attività continuativa. Oggi possiamo produrre oltre 20 tipologie di pennini adatti ad ogni tipo di pubblico: sono disponibili pennini Extra fini, Fini, Medi, Broad, pennini per destri o mancini e pennini per le diverse tipologie di scrittura come quella Cinese e quella del Medio Oriente.» Quali sono le sfide più grandi che dovete superare quando create un nuovo prodotto? «Cercare di creare sempre qualcosa di inaspettato e attraente per regalare al cliente la migliore esperienza di scrittura attraverso il colore e la qualità dei nostri prodotti con un’emozione unica. Infatti nelle nostre ultime collezioni il colore oltre la qualità è dominante: vogliamo regalare un’emozione attraverso la scrittura.» Quali parole vorreste che venissero scritte dalle vostre penne? «Qualità, Eccellenza, Made in Italy, Tradizione e Futuro, Eleganza, Artigianalità, Culto della Bellezza, Design ed Emozione.» A ognuno la sua penna: quanto conta e cosa racconta il tratto di chi scrive? «Come un abito sartoriale rappresenta la personalità di chi scrive. La penna, da semplice strumento di scrittura, si caratterizza come accessorio elegante e ricercato, segno inconfondibile della propria personalità, espressione di un piacere quotidiano.» Cosa rappresenta per lei “il tempo” nella scrittura? «Il tempo nella scrittura rappresenta il rapporto che si crea tra la persona e la penna. Inoltre per noi, azienda storica, il tempo ha permesso, attraverso le diverse generazioni, di tramettere la passione per la scrittura e per la Manifattura Italiana.» Come e quando ha deciso che sarebbe diventato un artigiano di pennini? «Da oltre 30 anni lavoro in Aurora e mi sono specializzato nella creazione dei pennini da quando ho iniziato a lavorare nel reparto Montaggio. Mi sono appassionato a questo lavoro perché il pennino è il motore e il cuore che porta avanti la penna stilografica. Inoltre mi piace vedere come ogni pennino viene scelto dal cliente per avere con sé un oggetto unico e personale. Insomma poi il cliente si porta nel taschino qualcosa di unico e “nostro”.»

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CAPITOLO 2

MONTBL ANC

VALORI CONDIVISI LA CONOSCIAMO TUTTI: ÈUNA DELLE POCHE MAISON IN GRADO DI ESPANDERE LA PROPRIA STORIA IN COSÌ TANTI AMBITI COME CI RACCONTA ALESSANDRA ELIA DIRECTOR WRITINGINSTRUMENTS & ACCESSORIES

Di Lara J. Mazza

MONTBLANC RAPPRESENTA UN UNIVERSO COMPLETO che parla a chiunque. Per gli

strumenti da scrittura il suo successo deriva dalla capacità di generare idee sempre nuove. La partnership con Ferrari nasce con la reciproca volontà di sostenere la passione di entrambe le aziende per l’artigianato, l’innovazione e le prestazioni. Il primo omaggio allo spirito fondatore della celebre azienda di Maranello, è l’introduzione della “Great Characters Enzo Ferrari Edition”, una collezione di strumenti da scrittura che celebrano la vita e l’eredità di Enzo Ferrari. Ho letto il suo cv e ha fatto un percorso molto interessante: come è arrivata al mondo degli strumenti da scrittura e della scrittura in generale? «Il mio background è nel settore della bellezza con marchi di cosmesi. Lavorare con beni di consumo così in rapida evoluzione potrebbe sembrare molto lontano dal lussuoso mondo degli

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strumenti di scrittura, ma in realtà ci sono incroci e somiglianze tra le mie esperienze professionali. Questo è particolarmente vero in termini di dinamiche di lancio e il modo in cui costruiamo una campagna a 360 gradi attorno al prodotto. Ad esempio, ogni anno creiamo un grande evento legato alla nuova Meisterstück che si tratti dell’edizione speciale con Unicef o di raccontare la storia del “Piccolo Principe” di Saint-Exupéry o la versione che omaggia il celebre romanzo di Jules Verne “Il giro del mondo in 80 giorni”. Ciò che era estremamente ambizioso per me e che mi ha portato in questo settore, è che tutto ciò che fa la Maison è di alto livello. Qui l’approccio del marketing è completamente diverso. In cosmetica, se lanci un profumo è molto importante semplificare il messaggio perché il cliente solitamente si trova in un grande department store e vedrà la tua fragranza tra tante altre. Mentre con gli strumenti da scrittura Montblanc, soprattutto per le edizioni da collezione, più storytelling raccontiamo più accendiamo la passione dei nostri collezionisti. Abbiamo storie affascinanti da raccontare sui prodotti e sulla nostra maestria artigianale. Nei miei tre anni in Montblanc, ho avuto la possibilità di lavorare con artigiani straordinari. Andiamo in tutto il mondo alla ricerca dei metiers d’art più qualificati nelle loro specificità; il premasking, l’intarsio del legno, la lavorazione delle pietre. Avere accesso a tali laboratori era e rimane una fonte di grande attrazione per chi vuole lavorare nella nostra Maison. La scrittura è universale, è la chiave numero uno per aprire la porta al cuore, tocca ogni generazione, ogni genere e ogni età. È un gesto così intimo, è un riflesso di chi siamo. La scrittura è una traccia di noi stessi che ci lasciamo alle spalle; ho pensato che l’argomento fosse estremamente affascinante e ho visto così tanto potenziale e così tante idee da poter sviluppare. Quindi, per riassumere, lo storytelling, l’artigianalità e il potenziale complessivo della scrittura è ciò che mi ha davvero portato in Montblanc e sono davvero contenta e estremamente soddisfatta del mio lavoro.»


EMOZIONI

Cosa significa essere “Director of Writing Culture” all’interno di una realtà come Montblanc? «Essere la responsabile della categoria degli strumenti da scrittura significa lavorare con il mio team per definire quale sarà il piano quinquennale della categoria. Ora stiamo lavorando a progetti che lanceremo tra tre o quattro anni. Una visione così completa e a lungo termine ci consente di pianificare al meglio la strategia. Cosa vogliamo rappresentare? Qual è la visione? Con chi vogliamo collaborare? Quali sono i segmenti che offrono un potenziale di crescita? Questo è il quadro generale. Nello specifico, lavoriamo con tutti i team dell’azienda, dal finance, alle vendite, al marketing, al reparto artigianale e quello tecnico. Siamo molto vicini ai nostri designer nella creazione del prodotto. Lavoriamo a stretto contatto con i nostri designer nella progettazione e nella realizzazione del prodotto in modo tale che possano ricevere i feedback corretti. La parola cultura è presente nel mio titolo poiché supervisiono ogni attività che la Maison realizza attorno al concetto della scrittura. Dalla collaborazione con l’heritage-team, a ogni mostra e ogni libro che creiamo su questo tema. La cultura della scrittura è un aspetto estremamente importante per Montblanc, perché il nostro scopo non è solo creare strumenti di scrittura, ma ispirare la scrittura stessa. Vogliamo spronare le persone a scrivere; e invogliarli ad usare una stilografica per farli innamorare del rituale che ne consegue. Questa responsabilità va oltre la Maison. Riguarda l’arte della scrittura a mano, la sua importanza e il suo futuro.» Come descriverebbe l’essenza dei prodotti Montblanc? E come si è evoluto il design Montblanc negli anni? L’essenza è nello storytelling. La ricchezza della narrazione è la vera essenza degli strumenti di scrittura Montblanc. “Quanta narrazione è possibile fare su una forma cilindrica?” Risponderei che solo il cielo è il limite. Ad ogni svolta, riveli un nuovo dettaglio, che si tratti di una data significativa, di un disegno o di un’incisione. Se chiedessi al nostro CEO qual è l’essenza di Montblanc nella sua totalità darebbe una risposta diversa. Ma per gli strumenti di scrittura, la narrazione è assolutamente fondamentale. Abbiamo spinto la narrazione a livelli sempre più dettagliati e questo ha portato a un’evoluzione del design della Maison nel corso degli anni. Quando

si guarda ad alcune delle nostre precedenti edizioni limitate, come la Montblanc Writers Edition Ernest Hemingway, lo storytelling ovviamente era presente, ma era più puro. Nei lanci più recenti invece la narrazione è più ricca e dettagliata. Ad esempio, nella Writers Edition dedicata a Rudyard Kipling il colore della penna riprende la copertina della prima edizione americana del libro con la clip ispirata al branco di lupi. Abbiamo spinto il design oltre la storia, ed è questo che entusiasma i nostri collezionisti, l’unicità di ogni pezzo. Ci piace usare il termine “andare oltre i confini” perché ogni edizione è una sfida completamente nuova.» In che modo la collezione “Montblanc Great Characters Enzo Ferrari Edition” si lega al patrimonio dell’azienda? «In Monblanc crediamo che chiunque possa lasciare un segno e che solo coloro che si lascino guidare dalle passioni siano dei veri e propri “Mark Maker”; Enzo Ferrari è un incredibile esempio di come inseguire le proprie passioni sia la chiave del successo. Alimentando il suo amore per la velocità è stato in grado di creare uno dei marchi più importanti nell’industria automobilistica. L’ambizione di essere i numeri uno nei propri settori, l’artigianalità, l’eccellenza ingegneristica e lo spirito di innovazione sono valori che accomunano entrambe le Maison. In sostanza, la collezione Great Characters Enzo Ferrari Edition celebra quelle personalità che hanno lasciato un segno nella storia alimentando le proprie passioni in qualsiasi campo, dalla musica al cinema all’arte e per questo motivo abbiamo dedicato un’edizione a Enzo Ferrari.» Guardando una Ferrari il primo aggettivo a cui si pensa è velocità. In che modo (se lo fa) la velocità si coniuga al mondo della scrittura? «La velocità della Ferrari è il risultato della loro dedizione all’ingegneria, della loro maestria e della loro voglia di essere i numeri uno, questi sono i valori che condividiamo. Quando si tratta di scrivere invece, la velocità è l’ultima cosa a cui potresti pensare. La scrittura celebra il tempo. Quando scrivi con una stilografica, la riempi, ascolti il suono che fa il pennino, devi pulirla. Sono azioni che richiedono tempo. È meditativo. Rappresenta un rituale, una pausa dalla frenetica vita quotidiana. Quindi direi che non è la velocità a legarci ma la passione di vincere e di essere i numeri uno in quello che facciamo.»

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CAPITOLO 5

POESIA

L’inabissarsi della Luce di Bibiana La Rovere

Le segrete di una partitura la minuzia di un dettaglio la parola non detta la ricerca del tuo nome l’inabissarsi della luce prima del suo manifestarsi. Prendersi per mano scomposti ad ammirare la vita in un giorno fosse anche un solo giorno con ogni cura tenersi ad ogni angolo esposto di un principio iniziando dalla fine nel dire vorrei per sempre. Quel sentire quotidiano e il vibrare in accordo con l’intima radice del vuoto dispiega quella continua vertigine un’astrazione dell’incedere con lo sguardo rivolto e l’accadere nell’annunciare: sono qui. Venire dal mare come se tutto fosse un battezzare d’onda fondale d’anime senza legare alcun ricordo il sottrarre i punti cardinali rintracciare nella meta il ritrovarsi. Il corpo al netto dei miei anni un pugno di semi senza terra frammenti assorbiti dall’aria e stelle inquiete dentro la voce memoria della memoria un eccesso di luce incarnato un tempio di preghiera un fare spazio a Dio

Bibiana La Rovere Artista Poeta Performer

Si occupa di scrittura e cultura della comunicazione. Con il Concept Design unisce comunicazione, scrittura e arte per realizzare progetti innovativi di brand identity per l’impresa, con eventi editoriali e allestimenti interdisciplinari, in un processo di narrazione multisensoriale, che va dall’arte al design, dalla fotografia alla scrittura, al sound design, comunicando, attraverso il marchio, la brand identity, l’identità imprenditoriale. www.bibianalarovere.it

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SHAHRAZAD ALLA SCOPERTA DELLA BELLA GIOIELLERIA


Mille notti, Mille invenzioni, Mille idee, Mille emozioni, Mille creazioni, Mille visioni Shahrazad conquista così il cuore del Sultano, non dandosi mai per vinta combattendo, creando ogni notte un sogno destinato all’eternità un sogno che maestri orafi, designer, incisori, incastonatori, trasformano ogni giorno in realtà


dedicato ad Antonio a Barbara e a tutti coloro i quali, ogni giorno ci aiutano a scoprire e a capire il mondo

Shahrazad ALL A SCOPERTA DELL A BELL A GIOIELLERIA I

IN COPERTINA Illustrazione di Barbara Brocchi tributo ad Alessio Boschi


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COME NEGLI ANNI 80 RITORNO AI MAXI VOLUMI Di Gaia Giovetti

Gli anelli a fascia tornano protagonisti delle nostre mani e saranno sempre più eleganti e vistosi

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1 Boglietti Anello a fascia in oro giallo con diamante centrale e diamanti fancy laterali - 2 Cartier Anello “Trinity” modello classico in oro bianco, oro giallo, oro rosa, ornato da pavé di diamanti taglio brillante - 3 Dior Joaillerie Anello della collezione “Gem Dior” in oro giallo e diamanti con motivo geometrico verticale - 4 Piaget Anello a fascia Possession della capsule collection Ceramic, in oro rosa con diamanti e fascia di ceramica bianca che ruota su se stessa. - 5 Pomellato Anello “Iconica” in oro rosa con diamanti.

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COME ACQUA BELLEZZA LIQUIDA

Orecchini dalle forme fluide e preziose giocano con i colori della natura tra narrativa e maestria artigianale

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1 Dior Joaillerie Della collezione Dior Rose orecchini con rose in oro bianco, diamanti e zaffiri multicolor - 2 Palmiero Della Wave Collection, orecchini in diamanti bianchi, diamanti colorati, zaffiri e perle su oro bianco - 3 Cartier Orecchini di Alta Gioielleria, in platino con diamanti, smeraldi e 2 opali - 4 Chopard Orecchini “a foglia” della Red Carpet Collection 2021 in titanio e tsavoriti taglio rotondo, zirconi e zaffiri colori pastello - 5 Emmanuel Tarpin Orecchini Orchid, a orchiedea in oro bianco e giallo e alluminio colorato con diamanti, tormaline namibiane e paraiba - 6 Piaget Dalla collezione Limelight Sunlight Escape, orecchini unici in oro bianco con diamanti e smeraldi e tormaline rubelliti

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SUPER SOLITARI

AUDACIA E SENSUALITÀ: ELOGIO ALL’ESSENZIALE

Anelli che catturano lo sguardo e seducono con la loro forma, brillantezza e opulenza, al di là di ogni aspettativa di stile

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1 Faraone Gioielli Della collezione “One Of A Kind” anello in oro bianco con diamante centrale taglio marquise 3,54ct con pavé di paraiba taglio brillante e diamanti 2 Tiffany&Co. Anello della collezione “Blue Book 2021” in platino con diamante centrale fancy greenish blue e diamanti - 3 Boucheron Anello realizzato in oro bianco con diamante goccia da 5,27 ct su un pavé di diamanti e lacca nera - 4 Sabbadini Anello in oro bianco con diamante taglio cuscino carati 8.02 Fancy yellow con due diamanti Fancy yellow taglio pentagonale e diamanti taglio baguette - 5 Messika Paris, Anello a due dita in oro bianco con diamante taglio goccia e diamante taglio smeraldo per un totale di 16,85 ct – Collezione “Voltige” Alta Gioielleria - 6 Chantecler Gioielli Anello contrariè Joyful in oro bianco 18Kt, diamanti, zaffiro blu, spinello blu e agata milky

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DESIGN DEL GIOIELLO

BARBARA IN WONDERLAND «IL GIOIELLO TI FA LEGGERE CHI HAI DAVANTI RIESCI A PERCEPIRE LA PERSONA, COSA VUOLE RACCONTARE E COSA VUOLE TRASMETTERE». BARBARA BROCCHI RACCONTA IL SUO MONDO PREZIOSO DOVE CARTA E MATITA DANNO VITA AI SOGNI

Di Claudia Gobbi

DI PROFESSIONE “crea il bello”: Barbara Brocchi è illustratrice di gioielli, insegnante, scrittrice, art director e molto altro. Da oltre trent’anni nel mondo del design, ha fatto del segno e del colore i suoi tratti distintivi, tramandando il suo know how ad alunni in tutto il mondo, plasmando e inventando letteralmente la materia partendo da un semplice foglio di carta, con il solo utilizzo della gestualità manuale. L’abbiamo catturata a Roma, di passaggio tra un continente e l’altro.

Chi è il creativo? «Generalmente si identifica il creativo come quello che ha idee pazze, illuminato da un fuoco interno. In realtà la parola creativo ha un senso completamente diverso.»

Barbara Brocchi grafica e illustratrice project designer jewels designer, è Coordinator Jewelry Design allo IED Istituto Europeo di Design di Roma.

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Quale? «Prima di tutto dobbiamo fare differenza tra artista e creativo. L’artista lavora per se stesso in una sua dimensione e vive della necessità di raccontare il suo percorso e la sua dimensione creativa, il suo essere un tutt’uno con l’arte. Il creativo mette le sue capacità a disposizione del mondo, della collettività, ma la parola creativo è talmente ampia e varia che potrebbe confondere: è un concetto che appartiene ad ognuno in maniera diversa ed è solo grazie al percorso che decidiamo di intraprendere che riusciamo a canalizzarla e farla esplodere.» Si considera una creativa? «Sono tante cose, tra cui una creativa, ma anche tanto altro: dipende tanto da cosa mi viene proposto. Sono una “creativa intellettuale” quando mi si chiede di fare, sono una “creativa pazza” quando mi trovo in ambiti come il Messico, dove la mia parte super dinamica ed empatica è più potente.»


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Non è facile adattarsi con facilità a situazioni diverse. «La mia fortuna è quella di possedere una visione a 360 gradi della mia creatività, avendo lavorato in molti settori: a 21 anni ho iniziato a insegnare e a lavorare nelle agenzie di comunicazione, nella moda, nel design, a scrivere libri. Riuscire a spaziare in ambiti diversi mi permette di aiutare gli altri a capire la loro creatività e nello stesso tempo a canalizzare la mia.» Si può essere creativi per lavoro? Si può inventare a comando? «Dobbiamo esserlo se vogliamo intraprendere questo lavoro. La nostra carriera di designer, creativi e artisti, ci impone un preciso metodo di lavoro.» C’è differenza con gli artisti? «L’artista è creativo nel momento in cui riesce ad esprimere il “fuoco interno”. Il creativo come indica la parola stessa, grazie a quello che ha studiato e alla sua metodologia di lavoro, riesce ad ottimizzare in tempi brevi quello che un artista farebbe in tempi molto più lunghi. Chiunque faccia il nostro mestiere deve avere metodo, perché solo questo permette la finalizzazione di un progetto.» Un esempio? «Nel tempo ho avuto l’opportunità di lavorare per aziende e brand importanti. Bulgari, ad esempio, mi chiese di fare per le collezioni Musa, Festa, Cinemagia o Barocko, dei bozzetti che toccassero la sfera emozionale del cliente o di chiunque entrasse in contatto con la collezione. Un bozzetto vuol dire pensiero, vuol dire ricerca, vuol dire “questo pezzo l’ho disegnato per te”: chi avrebbe letto il libro doveva essere certo che quel pezzo era stato disegnato per arrivare a lui.»

Adatta la creatività al lavoro? «Quando decidiamo di essere creativi “per lavoro” dobbiamo trovare i canali giusti, la tecnica giusta e soprattutto capire quale parte della tua creatività potrebbe funzionare meglio con il lavoro proposto. Nel caso di Bulgari ho trovato una tecnica che metteva in gioco un acquerello molto “vero” ma nello stesso tempo fresco: somigliava più a un bozzetto che un disegno estremamente finito. Questo mi ha permesso di raccontare la collezione in anticipo rispetto all’uscita dei pezzi reali, che i clienti, in alcuni casi, hanno acquistato addirittura solo sfogliando il libro. Ecco che l’illustrazione diventa comunicazione diretta, mezzo espressivo anche per raccontare cosa c’è dietro la creazione di un gioiello: un grande team di lavoro, tutti i designer, che io ringrazio tantissimo, perché è grazie loro che ho avuto la possibilità di illustrare questi pezzi ed ho avuto la possibilità di entrare, attraverso il mio disegno nella loro dinamica di segno progettato, che poi io ho tradotto con il mio segno.» Ci racconta com’è nato il suo lavoro? «Fondamentalmente è sempre stato molto chiaro nella mia testa: fin da bambina ero una “mangiatrice” di favole per bambini, una che guardava minuziosamente il dettaglio dei disegni per ore. Avevo solo tre anni quando ho cominciato a disegnare, far diventare le mie idee, segno. Da allora ho capito che ci sono tante cose nella mia testa e questo da una parte può spaventare e dall’altra mi rende ancora più aperta verso il mondo. Poi, quando finalmente mi sono resa conto che ero “tanto”, l’ho accettato e mi sono messa in discussione, entrando nel mondo del design.»

In queste pagine tre disegni realizzati per Bulgari.

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Il risultato? «Posso dire che sono un contenitore di informazioni e capacità, che metto a servizio degli altri, aiutandoli, soprattutto gli studenti, nel trovare la loro strada. È la cosa che mi piace di più: entrare nella testa degli studenti, cercare di capire chi ho davanti, cosa posso fare con quella persona e che strada può intraprendere. Amo riconoscere i talenti, metterli in contatto con le persone giuste e indicare le strade da poter percorrere.» Perché questo? «Perché non ho avuto la fortuna quando ero piccola di avere avuto persone che mi dessero una mano a farlo. Ho iniziato nel 1983 a fare lo IED, quando ero ancora una bambina e mi sono dovuta fare da sola, non ho avuto nessuno che mi dicesse “Barbara ti do una mano”. Ho cominciato studiando Illustrazione Grafica, il gioiello l’ho scoperto per caso: ho realizzato dei disegni in cui erano presenti dei gioielli: da lì è nato questo amore. Mi hanno proposto di insegnare a illustrare. Il coordinatore di corso, che si chiamava Franco Zeri, mi disse che a loro interessava avere qualcuno che insegnasse illustrazione, così mi sono messa alla prova, ho fatto un corso d’estate per capire il mondo del gioiello e sono stata la prima nel 1986 a portare l’illustrazione del gioiello nel mondo.» Quanto sono cambiate da allora le cose? «Sono cambiate tantissimo, solo una è rimasta invariata: si deve partire sempre dal tratto manuale, solo dopo si può passare al digitale.» Cosa è cambiato quindi? «La tecnologia! Quando ero giovane non esisteva la tecnologia, se sbagliavamo dovevamo rifare tutto. Sapevamo che ogni lavoro andava portato a termine nei tempi giusti, dovevamo eseguire un “processo di ottimizzazione” in testa, bisognava avere ben chiaro in mente tutto il suo percorso.» Non è facile il mestiere del designer. «Averlo in mano vuol dire sacrificio, studio, applicazione e impegno, andare oltre quello che ti viene detto, avere il coraggio di mettersi in discussione, non avere mai paura, buttarsi, sbagliare e ricominciare da capo.» Elemento fondamentale per riuscire? «Riconoscere il proprio segno. Il segno è identità, rivela il dna della persona, la sua forza personale e se questo segno non viene formato nel periodo giusto, rimarrà sempre uguale. Quando ho cominciato io mi sono dovuta inventare, letteralmente. Non c’era modo per rimanere in contatto come può succedere adesso con i social, allora tutto era più complicato.» Le nuove leve asiatiche e americane: pericolo o arricchimento per la nostra cultura e creatività? «Sono molti anni che lavoro con il mondo. Ho iniziato tantissimi anni fa in Corea, ma insegno anche in Messico, Perù, Cina. La cosa bella è che l’internazionalità ti porta ad avere un’apertura incredibile: vieni a contatto con persone, mentalità e culture completamente diverse. Al contempo tu stai insegnando un “know how”, una conoscenza che poi viene riutilizzata: è il destino di chi fa questo mestiere.»

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Difficile in questa maniera insegnare. «In realtà non puoi insegnare il nulla, devi trasmettere conoscenza, una conoscenza che sai che verrà condivisa con altri. Bisogna avere anche la consapevolezza che sta allo studente aggiungere il proprio segno, non copiare di sana pianta. In Asia, per esempio, sono delle macchine da guerra: prendono e copiano tutto, in maniera quasi ossessiva, stanno cominciando in questo periodo ad aggiungere un tocco personale. L’America invece, perlomeno quella dove insegno io, per ora ha ancora un profilo un po’ più basso in questo campo ed un gusto molto differente rispetto a noi, ha ancora molto da crescere.» Segno distintivo sono le direttive dettate dal cliente? «Partiamo dal presupposto che se il cliente sceglie te, lo fa perché gli piaci, perché pensa che tu possa essere la persona giusta. C’è anche molta psicologia nel portare il cliente verso di te, è un venirsi incontro a vicenda. Ma può succedere che il cliente abbia bisogno di personale che produce, senza ulteriori richieste, lavorando come vuole lui: come progettista devi cogliere la sfida che è quella di arrivare al loro obiettivo.» Il digitale, opportunità positiva? «Io amo tutte le forme di espressione e il digitale è un’opportunità assolutamente positiva, in quanto accorcia le distanze, velocizza le modalità di progettazione che prima richiedevano mesi. Il digitale fa parte ormai anche del percorso della vita, fa parte del nostro mondo e non possiamo vivere senza, non possiamo neanche pensare senza, perché ci permette comunque di contaminarci con il mondo, di relazionarci con realtà completamente diverse dalla nostra nel giro di pochi secondi. La tecnologia ci permette di accorciare tempi di consegna e realizzazione: a Rhinoceros ai 3D agli Showreel, After Effects, ci sono un tanti programmi che hanno cambiato radicalmente il modo di progettare e comunicare.» Anche l’animazione? «Sì, ha fatto passi da gigante. Ricordo nel 2001 ho realizzato “L’apetta Giulia”, il primo cartone animato italiano in 3D. Feci tutti i disegni a mano, fu una cosa lunghissima, due anni di lavoro. Si trattava dei primi motion picture, realizzati con i Silicon Graphics: attraverso dei sensori riuscivamo a far muovere i personaggi e le immagini. Cose comuni adesso, all’epoca avveniristiche. La cosa fondamentale è non dimenticarsi mai di quello che siamo, della nostra parte manuale. Se non lavori sulla carta non saprai mai cosa vuol dire la tridimensionalità, il segno, la figura, il progetto.» Qual è il ruolo dell’insegnante nell’epoca dei social? «L’insegnante che vive nell’ era dei social deve essere social. Io vivo i miei social non per parlare di me stessa, ma per parlare agli altri, per arrivare agli altri. Per esempio vado ad una mostra e pubblico delle immagini perché gli altri capiscano, si interessino. Ho studenti in tutto il mondo e il mio

Instagram è una condivisione di quello che faccio, vedo e non vedo. Parlo poco di me, ma parlo molto di quello che faccio, provo a essere uno stimolo, cosicché anche chi guarda scelga di mettersi in gioco, di provare a fare quello che faccio io. Quindi, nell’era dei social il ruolo dell’insegnante al di fuori dei social, è quello di far capire ai ragazzi che prima bisogna guardare fuori, guardare oltre, imparare a leggere quello che hai davanti, imparare a capire quello che ti circonda, capire che da una cosa si possono creare altre soltanto attraverso gli occhi, e poi tradurre tutto questo in comunicazione.» Nel rapporto con i suoi alunni c’è solo un passaggio di conoscenze o qualcosa di diverso? «Una scuola come lo IED non forma soltanto a livello progettuale, creativo e intellettuale, ma forma soprattutto persone che entrano realmente in contatto con le altre. Ti permette di conoscere chi hai a fianco, condividerlo nella quotidianità, capire “chi sei”. È una continua verifica se stai facendo la strada giusta, perché hai accanto chi ti dice “ma che fai? Stai sbagliando…”. Il rapporto con i docenti è un rapporto molto personale, diretto e unico, che ti può anche dare le chiavi di volta della vita, la possibilità di aprire quelle porte che non sai aprire altrimenti.» Cosa consiglierebbe ad un ragazzo o una ragazza che volesse avvicinarsi al mondo del gioiello? «Partiamo dal presupposto che il gioiello è un mondo a parte, sempre più trasversale con quello della moda. Il gioiello è uno status symbol, determina l’appartenenza ad un determinato target, è iconico, trasmette un’identità ben precisa di chi lo indossa. Non solo. Il gioiello ti fa leggere chi hai davanti, riesci a percepire la persona, cosa vuole raccontare e cosa vuole trasmettere. Non va considerato il mondo solo attraverso i bijoux e le collanine. Il mondo del gioiello va oltre perché dietro ogni creazione, dietro ogni collezione c’è uno storytelling.» Ogni tipologia racconta qualcosa di diverso? «La spilla è un’icona di stile, attraverso la quale narriamo un’identità di ben precisa. L’indosso di un anello ti racconta chi è la persona. Perché in una relazione sentimentale si regala un gioiello e non un sasso oppure una gonna? Perché quella gonna non sarà mai per sempre invece quell’anello lo sarà, perché appartiene ad un preciso momento, alla tua vita, a qualcosa che tu vuoi ricordare per sempre. Per cui chi si vuole mettere nel mondo del gioiello sa già dove vuole andare e sa già che dovrà amarlo dal primo momento, capire che ogni passaggio sarà propedeutico all’altro, ogni studio della materia, ogni emozione, ispirazione o progettazione, porterà a toccare delle parti di se stesso che non pensava di avere, Nello stesso tempo la realizzazione lo porterà a far diventare un oggetto reale un idea che era su carta. Certo, anche la moda promette questo, ma il gioiello è un oggetto reale, è tridimensionale, è scultura, è una cosa che possiamo indossare sempre e per sempre.»

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COLLECTION N°5 REINVENTA L’ALTA GIOIELLERIA

L’UNICITÀ DI UNA FRAGRANZA, IL MINIMALISMO DI UN FLACONE, LA FORZA DI UN NOME «ESSENZIALE» Di Claudia Gobbi

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PER CELEBRARE il centenario del profumo N°5, Patrice Leguéreau, direttore del Fine Jewelry Creation Studio di Chanel, ha immaginato la Collection N°5, la prima collezione di Alta Gioielleria mai dedicata a un profumo. Dal flacone al sillage (termine tecnico che definisce “la scia che un profumo lascia nell’aria: per questo motivo il sillage è detto anche potere diffusivo di un profumo, che può essere più o meno intenso, inoltre, è ciò che rende un profumo riconoscibile), questi centoventitré pezzi straordinari esprimono

le diverse sfaccettature della più celebre tra tutte le fragranze. Ma andiamo per ordine. Nel 1921, questa “fragranza femminile dall’odore femminile”, rivoluzionaria nella composizione, nel nome e nella presentazione, è frutto dell’incontro tra Gabrielle Chanel e il parfumeur Ernest Beaux. La modernità della fragranza, la purezza del flacone e il mistero del nome: il profumo N°5 è stato a dir poco una rivoluzione. Passa qualche anno e nel 1932, presso il suo hotel particulier al n° 29 di Faubourg Saint-Honoré,

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Gabrielle Chanel infrange i codici dell’alta gioielleria francese con la sua prima collezione in platino e diamanti. Questi quarantacinque “Bijoux de Diamants” hanno introdotto nuovi modi di indossare gioielli e li hanno portati in un nuovo universo… quello del fascino. Quest’anno, Patrice Leguéreau ha deciso per la prima volta di unire questi due mondi con la Collection N°5: «Gabrielle Chanel si è avvicinata a questi universi con gli stessi valori visionari, puntando sull’audacia e sulla ricerca dell’eccellenza. Ho voluto riscoprire quel gesto creativo con questa collezione, che è stata concepita come un viaggio nei meandri dell’anima del profumo N°5, dall’architettura del flacone all’esplosione olfattiva della fragranza. Il clou di questa collezione senza precedenti è una collana emblematica ed eccezionale con un diamante da 55,55 carati». In definitiva, solamente la Maison Chanel poteva avere l’audacia di dedicare una collezione di Alta Gioielleria al “perfume” più famoso al mondo.

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Creatività, materiali nobili e una femminilità accentuata insieme a un carattere intimo e una potente atemporalità, la “Collezione N°5” riflette le caratteristiche principali dell’iconico profumo. Attraverso i 123 gioielli flessibili e architettonici, la Casa parigina ha deciso di mostrare la sua personale visione del contrasto tra il design grafico del flacone e la sensualità della fragranza. The Creation Studio esalta cinque degli elementi identificativi del profumo N°5 attraverso composizioni di gemme rare ed eccezionali. IL TAPPO Il taglio smeraldo, la forma rettangolare ricorda la place Vendôme. Squisitamente realizzato in cristallo di rocca o incastonato con diamanti, onice, perle e zaffiri gialli, il prezioso ottagono è al centro delle parure grafiche eleganti e sofisticate. Attraverso un sapiente gioco di trasparenze, gli anelli ornati di cristallo di rocca rivelano letti di diamanti che sottolineano i profili più puri. Su altri anelli in oro, Chanel esalta la bellezza di gemme


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simboliche come questo diamante da 5,21 carati sull’anello Diamond Stopper. Reso ancora più femminile da un nastro di diamanti, il tappo simboleggia l’inizio di un mondo immaginario del profumo N°5. LA BOTTIGLIA Immediatamente riconoscibile, la sagoma geometrica della bottiglia può essere vista attraverso le linee di diamanti bianchi, diamanti gialli e zaffiri gialli che cadono su collane sautoir, spille e orecchini pendenti. Proprio come la collana N°5 Abstraction, i cui tenui colori sfumati rivelano un perfetto abbinamento di diamanti gialli e bianchi. Da questi flaconi dalle linee eteree fuoriescono lacrime di diamanti a forma di pera e morganite rosa che scorrono sulla pelle come goccioline di un profumo divino. In bianco e nero, Chanel rivela il corpo del profumo N°5 in onice, fluttuante su un morbido plastron di diamanti. Al contrario, la silhouette del flacone è nascosta dietro uno squisito piccolo orologio in

madreperla e filetto di lacca ceramica nera con un decoro floreale di gelsomino, rosa e ylangylang. IL NUMERO Spinto da una linea potente e sensuale, il contorno del numero ‘5’ diventa una delle firme della collezione disegnando una linea gioiosa tra i pezzi con un tratto di penna. Si trova maliziosamente fuori centro su un girocollo in oro giallo e diamanti con una goccia di berillo dorato. Nella versione XL, il 5 accresce l’ardore della collana Eternal N°5 che può trasformarsi in girocollo, e il cui 5 può essere indossato anche come spilla. Questo spettacolare design composto da una sublime cacofonia di diamanti rotondi, a goccia, navette e ovali è completato da un diamante taglio smeraldo da 10 carati. Mescolato con zaffiri gialli e in modo contemporaneo il numero è aureolato alla luce dei diamanti. Avvolto in nastri di diamanti su collane e bracciali, il 5 possiede la stessa voluttà che ricorda l’elisir profumato.

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I FIORI Nel cuore della fragranza, il gelsomino, la rosa di maggio e l’ylang-ylang sbocciano sui colorati set di gioielli. Lavorati in volume, i fiori conservano tutta la loro delicatezza, mentre il loro aspetto a forma di stella, luna e sole, riprende i simboli della collezione in platino e diamanti del 1932. La freschezza del gelsomino – che ricorda una stella – profuma una nuvola di diamanti. Quanto alla rosa di maggio, Chanel la interpreta generosamente attraverso un fiore rotondo, simile alla luna, con i suoi numerosi petali immersi in zaffiri rosa. Le gemme brillano in tutta la loro bellezza su una lunga collana di perle sautoir e una catena di diamanti. Intricato come un sole, l’ylang-ylang risplende al centro di collane luminose con una spruzzata di diamanti simile a rugiada. Infine, un bouquet asimmetrico di fiori bianchi rappresentanti il gelsomino, la rosa e l’ylang-ylang adornano il plastron Absolu N°5 tempestato di una moltitudine di diamanti. Un

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diamante da 5 carati che evidenzia il motivo centrale può essere indossato anche come spilla. IL SILLAGE Per tradurre la rivoluzione olfattiva che è il profumo N°5, Chanel ha immaginato pezzi con motivi astratti che luccicano e si addolciscono sul corpo come un profumo. I colori solari e ambrati di un sontuoso abbinamento di 350 carati di topazi imperiali donano un’aria incandescente, quasi barocca alla collana Golden Burst. Nelle armonie rosa, Chanel gioca la carta della femminilità con i gioielli Blushing Sillage incastonati in diamanti, rubini, granati, zaffiri gialli e spinelli rosa e rossi che formano una gradazione di colori che ricorda il jus dorato del profumo N°5. Per quanto riguarda il lato monocromo, una nuvola di diamanti illumina la composizione a forma di stella della collana Diamond Sillage impreziosita da una pietra impeccabile da 10 carati, mentre le gemme circostanti formano scintillanti rimbalzi sulla scollatura.


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LE FONTI DI ISPIRAZIONE sono sia visive che sensoriali, e la “Collection N°5” è come un viaggio, dalla scoperta visiva della bottiglia all’esperienza sensoriale della fragranza. Poi arriva l’ispirazione sensoriale per esprimere il profumo invisibile in un gioiello. Insieme presentano il contrasto tra: purezza e opulenza; rigore di linea e ricchezza di materiali; linee decise e sensualità delle forme. Una vera espressione dello stile senza tempo di Chanel.Come detto in precedenza, la “Collezione N°5” di Alta Gioielleria è composta da 123 pezzi, tra cui più di 20 pezzi unici e pezzi unici nel colore: 27 collane, tra cui la collana da 55,55 che rappresenta il flacone di profumo N°5 con un diamante DFL Type II a taglio smeraldo da 55,55 carati; 26 paia di orecchini; 10 spille; 19 bracciali; 3 orologi gioiello; 37 anelli; un “oggetto”. La collezione, inoltre, ruota attorno a 5 colori principali ispirati agli elementi identificativi del

profumo: il bianco è rappresentato dai diamanti; il giallo è rappresentato da diamanti gialli, zaffiri gialli e berilli; l’arancione è rappresentato da topazi imperiali e zaffiri arancioni; il rosa è rappresentato da zaffiri rosa, morganiti, spinelli rosa, tormaline e granati rosa; il rosso è rappresentato da rubini e spinelli rossi. Infine, il nero appare come una filigrana per rappresentare gli elementi identificativi della bottiglia come l’etichetta o il nastro. Per rappresentare un’ampia gamma di colori, in questa collezione sono state utilizzate un gran numero di pietre diverse: diamanti bianchi e gialli, zaffiri gialli e rosa, spinelli rosa e rossi; rubini, topazi imperiali, berilli, granati, tormaline, morganite. In definitiva, l’unicità di una fragranza, il minimalismo di un flacone, la forza di un nome essenziale: N°5 ha imposto una nuova definizione della modernità, anche nell’Alta Gioielleria.

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FINE JEWELRY

MILONGA

LA SEDUZIONE DELL’ALTA GIOIELLERIA NEL TEMPIO DEL TANGO. PEZZI UNICI, DIAMANTI, PIETRE PREZIOSE E UNA LOCATION SPECIALE, PER INIZIARE A SOGNARE

di Gaia Giovetti foto di Lucio Convertini ha collaborato Costanza Maglio Modella Alexane Delalè Si ringrazia El Porteño Darsena per la location

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CHANEL HAUTE JOAILLERIE Collier Signature Dangling in oro bianco e diamanti e pendente. CHRISTIAN LOUBOUTIN Decolleteè Pigalle in vernice nera

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VAN CLEEF & ARPELS Dalla collezione di Alta Gioielleria, collana Liane in oro rosa con chiusura e nappe di ametiste, agata bianca e diamanti. Bracciale Perlée in oro rosa e pavè di diamanti. JIMMY CHOO Scarpe in vernice e pelle scamosiata con tacco alto e sottile. BALDE Abito in pizzo e crinolina con bustier e maniche a sbuffo staccabili.

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RUBEUS MILANO Collana Red Lion, in oro giallo con grande citrino brasiliano da 86 ct centrale, e fili di oro giallo con diamanti e zaffiri gialli e citrini, e fili di perle. BALDE Abito in pizzo e crinolina con bustier e maniche a sbuffo staccabili.

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LJ ROMA Dalla collezione Diva, bracciali in oro giallo con pavè di diamanti bianchi e in oro rosa con pavè di diamanti fancy. Anello in oro rosa con diamanti bianchi e fancy. BALDE Gonna in seta e crinolina. RENE’ CAOVILLA Sandalo Cleo in raso nero ricoperto di micro strass in tinta, molla alla caviglia e terminale a testa di serpente.

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PISA DIAMANTI Anello a fascia e bracciale alto in maglia morbida d’ oro bianco con punte brunite e diamanti fancy. Di fianco anello Eternè in oro bianco con doppio contorno di diamanti anche laterali, e collana in oro bianco con diamanti dégradé. Sul tavolo, collana tennis in oro rosa con zaffiri multicolor e diamanti e collana in oro bianco con diamanti dégradé. AQUAZURRA Sandalo Nude Sandal 105, in pelle nera con inserti in pvc trasparente.

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ZANNETTI Anello Acquamarina Brasiliana taglio cuscino 18 ct. Oro bianco 9,35 gr. Pavè di diamanti 0,35 ct. Rubellite taglio a triangoli 8,0 ct. Orologio collezione Ovum modello Animalier Coccodrillo cassa in oro giallo lunetta e quadrante in madreperla movumento Svizzero automatico SELF-PORTRAIT Abito in pizzo nero vintage.

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GUCCI HIGHT JEWELRY Collana Hortus Deliciarum con pendente e bracciale morbido a 3 fili in oro giallo con diamanti e pietre di colore. BALDE Abito con spacchi e cinturini in pitone nero. ROGER VIVIER Decolleteè I Love Vivier in raso nero e tacco sagomato.

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VHERNIER Collana Trottola in titanio nero ed elementi centrali con pavè di diamanti. GIANVITO ROSSI Decolleteè Plexi con punta e tallone in pelle scamosciata nera e inserti laterali in pvc trasparente.

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BUCCELLATI Collana Tulle in oro giallo con lavorazione effetto pizzo e 1081 diamanti. ROGER VIVIER Sandalo Vivier Marlène in suede nero e tacco con dettaglio gioiello.

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GIAMPIERO BODINO

ARTE PURA Di Lara J. Mazza

Pittore, scultore, designer e gioielliere, per Giampiero Bodino l’arte è un’espressione essenziale della sua personalità, modi diversi di penetrare e comprendere la medesima realtà. Artista da sempre, iniziò a disegnare quando era solo un bambino e da allora non ha mai smesso. Nato e cresciuto a Torino, Giampiero Bodino studia architettura nella sua città natale dove incontra il suo primo grande maestro e colui che lo aiuta a scoprire la sua vera passione ed esprimere il suo grande talento per il design: Giorgetto Giugiaro. Inizia così la sua collaborazione all’Italdesign dove progetta automobili e sviluppa il suo fascino per i volumi aerodinamici e le forme belle e funzionali che ancora oggi punteggiano lo stile di tutti i suoi progetti. Successivamente è l’incontro con Gianni Bulgari a segnare l’inizio della sua grande avventura con il mondo della gioielleria. Dal

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2002 è Direttore Artistico presso il gruppo Richemont, colosso del lusso per il quale si occupa in esclusiva del patrimonio stilistico di alcune delle più importanti realtà di alta gioielleria e orologeria del mondo. Nel 2013 fonda la Maison che porta il suo nome e nella quale, costantemente ispirato dal bello, dalla natura e dall’architettura, dà libero sfogo al suo infinito ed eclettico estro creativo. Manifestazioni di pura bellezza, creatività e profonda abilità artigianale, i suoi gioielli e i suoi orologi, come le sue opere pittoriche, sono sempre presenti quotidianamente nella vita di Giampiero Bodino, sempre in relazione tra loro senza però mai incontrarsi veramente. Due universi paralleli ma indipendenti nei quali l’artista coniuga e silenziosamente esalta il senso del sempre, del tempo, della scultura, della luce e del bello inteso come “Vero”.


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RUBEUS

LA PERSISTENZA DELL’ARTE NELLA GIOIELLERIA ESSERE INNOVATIVI, NON ABBRACCIARE NESSUNA REGOLA O TENDENZA, SEGUIRE SOLO CUORE E INTUIZIONE: FRÉDÉRIC MANÉ JEWELRY DESIGNER DELLA MAISON Di Lara J. Mazza

COSA VUOLE ESATTAMENTE LA DONNA

moderna da un gioiello? È una domanda che assilla la maggior parte delle Maison e per la quale non esiste una risposta univoca. Rubeus, marchio italiano di alta gioielleria nato dalla volontà di Nataliya e Viktor Bondarenko di innovare il mercato del lusso cercando di trasformarlo in una vera e propria esperienza artistica nella quale coinvolgere la sua clientela, ha una sua chiara visione di ciò che le donne desiderano indossare, arrivando a proporre collezioni come la Alexandrite Imperial Collection, entrata nella storia della gioielleria. Secondo Frédéric Mané i veri intenditori si rivolgono a Rubeus perché desiderano un marchio non anonimo, caratterizzato dall’unione di un team di rinomati esperti internazionali accomunati dagli stessi valori e dal dna del brand. Collezionare un gioiello Rubeus è un’esperienza infinita di lusso estremo, la

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sensazione di essere il proprietario di un talismano significativo, una vera opera d’arte. Quando hai capito per la prima volta che volevi intraprendere la carriera di designer di gioielli? «Sono cresciuto davanti al Mar Mediterraneo dove ho trascorso la mia infanzia. Le sue culture sono le mie radici. La mia famiglia ha fondato un negozio di giocattoli nel sud della Francia ed ho trascorso la mia fanciullezza circondato da un’atmosfera affascinante, piena di racconti, leggende e arte. Sono nato artista e trascorrevo il tempo dipingendo personaggi pieni di gioielli. Mi piaceva creare universi fantastici e trasformare i miei disegni in oggetti reali, sculture ricoperte di pietre. Quando avevo 18 anni, ho capito che i gioielli e gli oggetti d’arte erano il mio destino, così ho deciso di trasferirmi a Parigi per studiare design. Ho appreso nella prestigiosa scuola “Haute


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École de Joaillerie”, la più antica e prestigiosa d’Europa, tutte le tecniche di pittura su gioielli, di cui ora sono Ambassador. Più che poeta e pittore, sono designer ed esperto di gioielli. Subito dopo la mia borsa di studio ho ricoperto per sei anni il ruolo di Head of Design, per importanti atelier di Place Vendôme e storiche maison francesi. Nei successivi sette anni ho avviato il mio studio ed ho collaborato con importanti gruppi del lusso, mantenendo un profondo rapporto con gioiellieri parigini e firme internazionali, grazie ad una forte e vasta esperienza nel design, in particolare nella gioielleria e nella progettazione di oggetti e accessori preziosi. La ciliegina sulla torta? La mia attuale collaborazione con Rubeus Milano, con Nataliya e Victor Bondarenko, i fondatori di Rubeus, con i quali creiamo capolavori esclusivi e allo stesso tempo collezioni trendy e contemporanee. Sono un uomo felice!» Che significato ha per te disegnare gioielli? «Considero l’alta gioielleria come il massimo del lusso, perché è più di un prodotto, un gioiello è una vera opera d’arte. Artigianato e laboratori sono un universo affascinante, mi piace condividere il mio progetto con un team di veri esperti. Considero la gioielleria come l’unione sinergica di una collettività in cui ogni membro dell’orchestra fa la sua parte ed esprime l’eccellenza della sua arte. Il culmine del lavoro è il frutto di una simbiosi unica, dove ognuno è ugualmente importante. La tecnica e la precisione del gesto si esprimono nella loro massima aspettativa per rivelare un pannello di emozioni. Da solo, sono solo un artista, con la mia squadra posso creare più di un disegno!» Chi sono stati i tuoi più grandi mentori? «Sono cresciuto in una famiglia di artisti, mia madre e mia nonna sono state le mie muse, mio ​​padre e mio nonno i miei mentori. Sono cresciuto al loro fianco, sono così grato per averli

avuti nella mia vita. Ho un profondo rispetto per loro che hanno sempre creduto in me. Anche i più grandi pittori rappresentano i miei punti di riferimento: quando ammiro un dipinto di Boticcelli o di Leonardo da Vinci, la loro eredità è fonte di insegnamento, al di là dei loro favolosi dipinti e delle loro abili tecniche cerco sempre di decodificare il loro scopo e la loro filosofia nascosta. Rubeus Pomegranate Ring, ispirato alla “Madonna della Melagrana” di Sandro Botticelli, 1487, incarna questo approccio intrinseco di un’opera d’arte con molteplici significati profondi.» Quali sono le sfide più importanti che affronti quando crei un gioiello? «Le sfide più grandi per me sono il modo per trovare la parte migliore del mio processo creativo, ogni brainstorming, in cui l’ambizione è ipnotizzare il mondo, lo è: queste sono le esperienze più eccitanti della mia vita. L’incontro con i titolari di Rubeus Milano, Nataliya e Viktor Bondarenko, mi ha permesso di esprimere questa grande arte in un progetto molto impegnativo e sfidante: la creazione di Imperial High Jewelry Collection, la prima e unica collezione esclusivamente dedicata all’alessandrite, la preziosa gemma proveniente dalla Russia. L’alessandrite è una pietra misteriosa e rara scoperta nel 1834 in una miniera della regione montuosa degli Urali. Questa collezione comprende 47 gemme di alessandrite, eccezionali e di varie dimensioni e qualità. Un lavoro molto complesso che ha richiesto molti mesi e un intero team di esperti. Ogni elemento è stato creato a mano dai migliori maestri gioiellieri. Il Collier Imperial è straordinario, realizzato con una unica gemma di alessandrite di 69,37 carati, la più grande del mondo. È una collana trasformabile che consente sei trasformazioni. Il colore di questa gemma è sorprendente: verde di giorno, viola di notte e rosso se esposto ai raggi ultravioletti. Le pietre

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PASSATO, PRESENTE E FUTURO NON ESISTONO QUANDO PENSI ALL’ARTE E LO FAI ATTRAVERSO IL TUO CUORE.

sono incredibilmente preziose, non solo per la loro rarità ma anche per la loro eccezionale caratura. Nataliya e Viktor intendevano esprimere il loro amore per questa pietra degli Zar attraverso la creazione di una meravigliosa collezione per preservare questi tesori della natura ed essere esposta nei più importanti musei del mondo. La collezione è stata presentata nel 2019 al Museo delle Arti Decorative di Parigi, la casa dei Re francesi, il Palazzo del Louvre.» Cosa vorresti che provassero le donne quando indossano i tuoi gioielli? «Unicità, potere, seduzione e sicurezza di sé, alcuni gioielli sono armature di seduzione o velo di protezione. Come raccontavo prima, i gioielli sono oggetti di lusso per eccellenza, simboli universali carichi di significati che attraversano le epoche! La Collezione Fortuna incarna questa visione piena di saggezza attraverso un simbolo ed amuleto prezioso facile da indossare tutti i giorni!» Cosa guida lo stile di Rubeus e delle sue creazioni? Quali aspetti del design, dello stile e dell’identità? «La grande sinergia tra i fondatori di Rubeus Milano, Nataliya e Viktor Bondarenko, e il loro team di esperti è il risultato di una corrispondenza di sentimenti, ideali e anche di una forte empatia che porta i suoi frutti in tutte le collezioni. Il nostro obiettivo è quello di unire il meglio dell’artigianato in Italia, Francia, Russia intorno a esclusivi capolavori e collezioni dalla forte personalità, pieni di significati. Una ricca personalità ha sempre molte sfaccettature, ecco perché Rubeus è abile e sicura nel saper unire diversi esperti in un’unica azienda. Non ho mai visto un modo simile di strutturare un’azienda di questo livello, è davvero unica nel campo del lusso.» Quali sono i materiali e le pietre con cui preferisci lavorare? «Sogni senza confini, condividere emozioni illimitate nei miei quadri sono i miei materiali

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“astratti” preferiti! Ma nel campo della gioielleria amo giocare con pietre dalle sfaccettature insolite, tagli su misura come il taglio Rubeus signature “Lion Cut”, una testa di leone tagliata in modo molto moderno.» Quali sono le tue fonti di ispirazione? «Le mie prime ispirazioni sono le mie radici mediterranee e naturalmente, le sue antiche leggende. L’universo gemmologico è una grande ispirazione, tutte le pietre grezze trovate nelle cave, anche il fenomeno del movimento delle placche tettoniche è affascinante. Recentemente ho convertito questa insolita ispirazione in un capolavoro chiamato Rubeus Toi&Moi, un pezzo unico che mescola cristalli di rocca, diamanti e bellissimi smeraldi dello Zambia.» Come reinventare il gioiello e mantenere il suo design sempre attuale? «Passato, presente e futuro non esistono quando pensi all’“Arte” e lo fai attraverso il tuo “Cuore”. Quando vedo un’icona dipinta nel XIV secolo o una moderna scultura di Jeff Koons per me sono entrambe senza tempo. Suggerisco sempre di collegare radici profonde e messaggi timeless a materiali innovativi. Mai seguire tendenze superficiali. Il tempo non conta davanti alla grande bellezza e ai tesori dell’umanità. Probabilmente il mio miglior motto è: segui i tuoi sogni più folli, non dimenticare le tue radici, migliora le tue abilità e sii sempre connesso al resto del mondo.» Progetti futuri? «Stiamo lavorando su diversi nuovi progetti! Abbiamo avviato il progetto dei gioielli Rubeus con la spettacolare collezione in alessandrite, abbiamo scosso il settore con essa. Lo scorso anno abbiamo realizzato collezioni iconiche indossate dai più noti influencer e personalità del cinema, il prossimo passo sarà più di quanto tu possa sognare... Stay tuned...»

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L J ROMA 1962

LINEE AVVOLGENTI CHE RIFLETTONO LA LUCE ESPRIMI TE STESSA TROVANDO LA TUA COMBINAZIONE CON QUESTI FANTASTICI ANELLI IN ORO CON DIAMANTI FANCY

Di Claudia Gobbi

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Gioielli unici in oro con diamanti fancy tagli cushion, goccia e ovale: la collezione Seta di LJ Roma 1962.

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BOGLIETTI GIOIELLI 1886

PRESENTE E FUTURO: DUE GENERAZIONI A CONFRONTO INTERVISTA A ROBERTO BOGLIETTI E GUGLIELMO GADDI SOCI, CO-AMMINISTRATORI E IMPRENDITORI DI SUCCESSO CI RACCONTANO LE DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA Di Lara J. Mazza

IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO è costituito prevalentemente da imprese familiari che rappresentano nella nostra realtà economica un modello operativo che incarna i caratteri tipici della cultura imprenditoriale italiana, vale a dire capacità creativa, forza di volontà, determinazione e voglia di emergere. Il salto generazionale all’interno di una azienda di questo tipo non è mai semplice ma il futuro delle imprese familiari è fortemente legato all’impegno di entrambi gli amministratori di favorire l’organizzazione interna verso un “sistema” che sostiene la modernizzazione della gestione aziendale. Boglietti Gioielli, rinomata Boutique biellese e rivenditore ufficiale di brand orologieri come Rolex, Patek Philippe e Breguet, ne è un fortunato esempio. Roberto Boglietti è divenuto alla fine degli anni ’70, a soli 23 anni, l’ultimo vero gioielliere di Biella. Artista e designer, sia di gioielli che di orologi, racconta il presente del suo atelier, e la sua grande inesauribile passione per questo mondo, e ci presenta ufficialmente Guglielmo Gaddi, la “next generation” oggi al suo fianco.

Nel 2022 saranno 50 anni che lavori, un passato fiorente. Come ti impegna il presente? «Il presente per me è cercare strategie per

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garantire il futuro all’attività e condividerle con Guglielmo che sarà il futuro dell’azienda.» Qual è esattamente la tua visione del futuro rispetto alle dinamiche del vostro settore? «La specializzazione per quanto riguarda i brand del mondo orologiero e l’artigianalità per quanto riguarda il lavoro nell’ambito della gioielleria. Per quest’ultima, in particolare, faccio riferimento a una nicchia di persone che non vogliono prodotti massificati ma preferiscono la personalizzazione. Come il sarto realizza l’abito su misura, l’artigiano crea il gioiello tailor-made. Per pochi e bravi professionisti questi sono momenti duri ma, nel momento in cui viene massificato un prodotto, un mercato, di conseguenza esiste un pubblico che vuole farsi riconoscere per unicità e irripetibilità.» Parlando della tua passione, cosa ti ha spinto a scegliere il gioiello per esprimere la tua creatività? «Non ho fatto lo stilista o il designer di altre categorie perché in realtà non ho potuto scegliere, mi sono ritrovato giovanissimo a lavorare nella bottega di mio padre. Ho iniziato nel 1972, in pieno movimento Beat prima e nel fermento della generazione Hippie poi. Inizialmente creavo semplici bijoux in argento e cuoio e li vendevo alle studentesse liceali che passavano davanti al negozio: vedevano queste creazioni e, incontrando


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il loro gusto e il loro stile, le acquistavano senza indugio. A 25 anni insegnavo già alle signore di 35-40 anni come indossare i gioielli. Ho sempre avuto un dono innato.» Quali sono per te le caratteristiche o aggettivi che definiscono un gioiello? «Deve essere bello, punto. E per essere bello deve racchiudere un design importante, nel senso di armonioso, e una esecuzione all’altezza del design. Un oggetto può essere bello e costruito male, oppure può essere costruito bene ma non avere un bel design. Quando raggiungi la capacità di fondere entrambe le caratteristiche in un oggetto, allora è facile che tu sia in grado di realizzare un prodotto iconico, come lo sono i nostri. Mentre nella moda i prodotti devono cambiare ogni sei mesi, nella gioielleria questa necessità non c’è.» I tuoi gioielli sono tutti esclusivamente realizzati a mano… «Assolutamente sì. Ho scelto di realizzare gioielli handmade perché c’è una sostanziale differenza da quelli industriali. Secondo me è preferibile avere una mano nuda e cruda, senza indosso nulla, piuttosto che avere un anello che non sia di piacevole bellezza.» Le tue clienti cosa vogliono dalle tue creazioni? Un messaggio, uno stile o altro? «Un oggetto da indossare liberamente.

È possibile creare tanti gioielli, da quello più importante a quello da indossare quotidianamente. È la discrezione a fare la differenza nel portarlo tutti i giorni. Io parto da forme portanti semplici ma al contempo importanti, in questo modo riesco a creare un oggetto senza tempo.» Il concetto di tempo senza tempo è interessante. Cosa rappresenta per te il tempo? «La contrapposizione del tempo senza tempo anche se il tempo è una questione relativa, seppur assoluta, come diceva Einstein. Il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo e che purtroppo non possediamo mai.» Dove ha inizio il processo creativo? «Di base governano sempre le pietre perché sono loro a “comandare” le forme. Per me queste ultime devono essere sempre lineari, semplici, essenzialmente morbide, anche quando parliamo di linee rette. L’essenziale è l’armonia che deve dominare l’intera creazione.» C’è una collezione o un oggetto al quale sei più affezionato? «È un materiale: l’oro, giallo. Torniamo al 1983 quando ho realizzato il primo anello per un solitario. Solitamente pensiamo alla classica montatura sottile in oro bianco con il quale si mette in evidenza il diamante. Con un’ottica

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completamente differente io realizzai una fascia molto grande con un diamante centrale rotondo e la madreperla come pietra d’ornamento. Questo anello pesava più di 40 grammi, cosa molto rara. Fu un tale successo che lo replicai molte volte e, nel 1985, ha dato il via ufficiale alla prima collezione di gioielli a firma Boglietti Design.» Hai citato molte volte il bello: quanto sono importanti la bellezza e l’arte nella tua vita? «È fondamentale. Il bello lo scopri ovunque, non lo ritrovi solo in un oggetto. La natura è bella. Anche un cartello stradale può esserlo. Faccio riferimento a tutto ciò che ci circonda. Dobbiamo volgere lo sguardo nella direzione giusta e imparare a distinguere. Indubbiamente anche le persone che non conoscono il bello, a furia di essere circondate da quello riconoscono ciò che lo è da ciò che non lo è. Il nostro cuore quando vede il bello è armonioso e lo è nel passato, nel presente come nel futuro.» PASSIAMO LA PAROLA A GUGLIELMO GADDI

al quale Roberto Boglietti ha tramandato non solo la sua grande passione ma anche resilienza, lungimiranza e spirito innovativo. Guglielmo, possiamo dire il nuovo che avanza? «È importante pensare al futuro per una azienda che ha origini così lontane e allo stesso tempo è “romantico” pensare che una realtà nata il 1886 possa non avere fine. Tramandarla di generazione in generazione è un aspetto che da una parte infonde sicurezza al cliente finale e dall’altra comunica una caparbietà imprenditoriale non indifferente.» Cosa ti ha spinto ad entrare a far parte del mondo Boglietti? «Sono cresciuto tra gli orologi: sin da quando ero piccolo mi piaceva girovagare all’interno della Boutique per curiosare. Mi ricordo ancora i primi orologi che ho preso in mano e le sensazioni che mi hanno suscitato. Sono rimasto talmente affascinato da quel mondo che ne sono rimasto irrimediabilmente legato. Ho mosso i primi passi con Roberto nel 2012, quando avevo soli 19 anni. Ora ne ho 28. È stato un iter naturale quello che mi ha portato

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oggi a partecipare attivamente alla società, un percorso graduale iniziato quando ero ancora un ragazzino. Sono entrato in punta di piedi, facendo la classica gavetta, con la consapevolezza di immettermi in un settore molto tradizionale, ancora poco incline ai cambiamenti. All’epoca c’erano pochissimi giovani. Col tempo ho cominciato a mettere in pratica quello che avevo appreso e poi, con un po’ di spirito imprenditoriale, ho voluto dare il mio contributo fino all’ingresso in società a giugno del 2020. È stato il coronamento di un sogno.» Ad un certo punto si smette di imparare? «Assolutamente no, non si smette mai. Crescendo ho capito quanto sia importante darsi da fare, puntando sempre al miglioramento. In questi anni è cambiato molto il mio modo di lavorare, così come sono cresciute le responsabilità. Sono partito da zero, sistemando i banchi, studiando ogni brand con il quale venivo in contatto, affiancando i colleghi più esperti sino a diventare un imprenditore. Nel mondo dell’orologeria e della gioielleria, Boglietti è un nome riconosciuto e sono sicuro che acquisirà ancor più notorietà. Per me è una responsabilità importante.» Qual è l’aspetto che ti appassiona di più del tuo lavoro e quali sono oggi le sfide del mercato che devi affrontare? «L’aspetto sul quale mi sto concentrando maggiormente ora è quello gestionale. Roberto è un artista dell’orologio, e del gioiello soprattutto. Gli piace definirsi un gioielliere, uno di quei pochi che è rimasto. Io non lo sono, mi occupo maggiormente di questioni più pratiche. Quando una azienda cresce, evolve e vuole ampliare il suo raggio di azione, come stiamo facendo noi, è necessario acquisire un orientamento diverso, fortemente orientato all’innovazione. Mi sto anche dedicando al rapporto con i marchi che rappresentiamo e a quello imprescindibile con i nostri clienti. Le sfide sono tante ma credo sia necessario avere sempre un atteggiamento positivo anche di fronte a eventi eccezionali come quello che stiamo vivendo in questi ultimi due anni. Lo dimostra il fatto che,


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nonostante la pandemia, abbiamo apportato delle modifiche alla nostra Boutique storica, aprendo uno shop-in-shop Rolex di circa 50 metri quadrati; abbiamo ampliato il laboratorio nel quale sono presenti tre tecnici, sempre Rolex; abbiamo aperto un nuovo negozio, di fronte al primo, dedicato ad un target più giovane, al cui interno si trovano uno spazio Tudor, un shop-in shop Breitling - il primo in Italia -, uno spazio Dodo e altre vetrine personalizzate. Infine, stiamo pianificando l’apertura di un terzo punto vendita a Novara che inaugurerà nella prima metà dell’anno prossimo.» Qual è stato uno degli insegnamenti che più ha segnato il tuo lavoro e che ancora segui? «In realtà ce ne sono tanti e credo sia importante coglierli sempre. Se devo citarne qualcuno, è bello pensare ai primi che ho ricevuto. Mi ricordo in particolare il primo obbiettivo che ricevetti quando entrai in azienda, ovvero imparare la storia dei brand del mondo orologiero e di quelli che abbiamo l’onore di rappresentare. Questa è stato il mio punto di partenza. Ora guardo con attenzione al futuro della nostra attività.» Secondo te, in un mercato fortemente competitivo come quello di oggi, come ci si può distinguere? «La competizione esiste nel mondo dell’orologio come nel mondo del gioiello. Se penso al mondo della gioielleria quello che può contraddistinguerci in questo momento è la possibilità di progettare e realizzare un prodotto su misura, e in questo Roberto è eccezionale. Ma in realtà in entrambi i mondi abbiamo la possibilità di rappresentare brand che sono eccellenze a livello mondiale e distinguerci offrendo professionalità, attenzione al rapporto con la clientela, servizi impeccabili e ambienti sempre in linea con il messaggio che vogliamo comunicare al nostro interlocutore finale. Non dimentichiamo inoltre il mondo digital, che fino a qualche anno fa era tabù. Oggi ci viene chiesto sempre di più di implementarlo ed è un altro di quelli aspetti sui cui mi sto concentrando e sui cui c’è molto da fare. Ce lo ha insegnato il Covid: in un momento in cui il cliente non poteva muoversi, abbiamo dovuto imparare a stare vicino al nostro cliente in un altro modo.»

Il web, il mondo dei social network è diventato parte integrante della nostra vita. Com’è mutata l’esperienza di acquisto? «Si deve fare una distinzione tra ieri e oggi. Le nuove generazioni hanno una spiccata propensione all’uso di internet e dei social network, come ben sappiamo, perciò acquistano più facilmente online. È importante offrire un servizio di questo tipo, perciò mi sto occupando anche dello sviluppo del nostro sito nel quale verrà implementata la sezione riservata all’e-commerce, ora dedicata solo ai prodotti Tudor. Sono convinto però che l’esperienza online non potrà mai sostituire il negozio fisico, soprattutto nel nostro settore. Poter indossare un gioiello, poter sentire al polso un orologio, potersi confrontare con noi su prodotti di fascia alta come quelli che rappresentiamo è fondamentale e, inoltre, rappresenta una sicurezza per chi li acquista. Perciò entrambi i mondi dovranno evolvere insieme per creare un servizio sempre migliore, sia attraverso l’innovazione dei nostri negozi fisici sia con la garanzia di un’esperienza digitale unica e coinvolgente.» Qual è la tua più grande aspirazione per il futuro? «Il primo passo è mettersi sempre in gioco. In questi anni ho raggiunto tanti obbiettivi ma bisogna continuare a guardare avanti. Credo che l’apertura del nuovo punto vendita sia l’esempio lampante della direzione che l’azienda vuole intraprendere: ampliarsi, strutturarsi, poter rappresentare questi meravigliosi brand in una pluralità di punti vendita. Io ho una visione precisa; non so se è quella corretta, se è condivisibile, ma se guardo il mondo e quello che sta succedendo credo che sia indispensabile strutturarsi. Per il futuro io credo in player del settore più grandi, magari numericamente inferiori ma più organizzati. Per me questa è una grandissima sfida perché dobbiamo partire da Biella, piccola città di provincia ma molto importante nel mondo per la sua imprenditoria tessile di altissima qualità. Sì, abbiamo una grande storia, però questa grande storia va perpetuata. In un mondo così competitivo, in un mondo che muta e cambia così velocemente, la mia sfida è quella di rimanere al passo e riuscire a portare questa azienda verso grandi traguardi.»

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ZANNETTI

UNA PICCOLA RANA «RE» PER CERCARE LA FORTUNA LA FORMA CREA NUOVE EMOZIONI DEDICATE A UNA DONNA CONSAPEVOLE ED ESTROVERSA

Di Mauro Girasole Foto Flavia Castorina

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Zannetti Regent Rana Re oro, corallo, rubini

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GISMONDI 1754

QUESTIONE DI VALORI IL RISPETTO DELL’INDIVIDUO È LA FILOSOFIA CHE CONTRADDISTINGUE LA STORICA MAISON ITALIANA CHE SOSTIENE COSI’ UN NUOVO APPROCCIO DEMOCRATICO ALLA GIOIELLERIA Di Lara J. Mazza

NATA A GENOVA più di 260 anni fa, Gismondi 1754 rappresenta una vera eccellenza nel settore della gioielleria che ha portato alla ribalta il Made in Italy nel mondo. Oggi l’azienda è impegnata in un piano di espansione worldwide che coinvolge tutta l’Europa e, da quest’anno, anche l’Italia. Massimo Gismondi, CEO e Creative Director della Maison, ci svela l’identità del marchio e i prossimi obbiettivi di crescita.

Quali sono oggi i vostri mercati di riferimento? «In primis c’è l’America e continua ad esserlo. Performa così bene tanto da poter affermare di avere avuto una sostanziale crescita negli ultimi anni. È il primo mercato anche in termini di timeline perché è stato aperto nel 2017, all’inizio della nostra fase di internazionalizzazione, e quindi quello nel quale cominciamo ad essere più riconosciuti. Siamo infatti presenti da Neiman Marcus tra i brand italiani: il più noto nel mondo della gioielleria, anche in termini di vendite. Degno di nota è anche il Middle East che abbiamo aperto in piena pandemia.» Coraggiosi… «Per noi il 2020 è stato un anno molto soddisfacente perché, pur avendo le location chiuse e pur vivendo tutte le difficoltà che hanno coinvolto tutti, abbiamo chiuso l’anno con un +16%.» Qual è esattamente il vostro core business? «Il nostro messaggio è “Non creiamo gioielli ma disegniamo emozioni”. Al momento le collezioni Gismondi 1754 sono otto e, ogni anno, ne lanciamo una o due abbinate a diversi spin off. Il 53% del nostro fatturato è rappresentato dal tailor made, il su misura: il core consiste nella personalizzazione dei nostri prodotti su specifiche richieste dei nostri clienti. Questo per noi è un messaggio davvero importante perché crediamo che sia quello che ci permette di essere differenti rispetto agli altri. Con un attributo in più: l’esclusività del tailor made ma alla portata di tutti. Quindi realizziamo prodotti su misura non solo per chi ha la possibilità di spendere 50, 100, 200 o 500 mila euro ma anche per chi vuole accedere al mondo Gismondi 1754 con un entry level più basso.» La fiducia per voi è un valore essenziale…

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«Secondo noi è un concetto molto democratico, molto rispettoso e molto coerente con quelli che sono i nostri valori fondanti, tra cui il rispetto dell’essere umano. L’individuo deve venire prima di ogni cosa. Se un cliente ha un piccolo budget, perché non fargli vivere l’esperienza del tailor made? Noi lo facciamo, anche con progetti molto challenging. Sviluppare ingegno e creatività nel piccolo ci permette poi di fare grandi cose. A noi piace coccolare i nostri clienti, portarli al centro di quella che è l’azienda. Fa parte del nostro modo di vivere e lo facciamo sia con i nostri final consumer, sia con i nostri clienti interni: il nostro staff. Il nostro messaggio è mirato all’individuo, alla cura della persona, che viene prima ancora del gioiello. Lo dimostra il fatto che reinterpretiamo le nostre stesse creazioni. L’idea di riportare alla luce e far rivivere la figura dell’antico gioielliere è quello che oggi può fare una grande differenza. È un lavoro capillare che però, attraverso i nostri negozi, riusciamo a fare molto bene. La formazione che riserviamo ai nostri retailer è molto attenta e la cura del cliente passa anche attraverso questo approccio.»


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Utilizzate tecnologie moderne come le stampanti in 3D? «Assolutamente sì. La prototipazione rapida ci consente di vedere il modello, chiamato in gergo estetico, in tutte le sue angolazioni e valutare se procedere. Una volta approvato, gli step successivi sono molteplici e il lavoro da fare è molto lungo. A volte sono necessari mesi. Potete immaginare perciò come una progettazione fatta attraverso questo tipo di tecnologie, riduca i tempi di produzione. Con l’estetico, realizzato in semplice resina e non in oro, e sul quale è possibile ricreare anche i pattern finali, possiamo facilmente valutare gli ingombri, le ampiezze, il peso ed eventuali punti che potrebbe dare fastidio durante l’indosso. È un lavoro che faccio fianco a fianco con i nostri orafi. La tecnologia ci aiuta proprio ad agevolare il loro lavoro, aiutandoci a capire in prima battuta quali modifiche fare per rendere la produzione e la manifattura più fluide. Successivamente inizia

il vero lavoro manuale, imprescindibile, dell’orafo che li realizza a mano, dettaglio per dettaglio.» Artigianato: patrimonio e futuro… «La nostra scelta infatti è stata quella di esternalizzare la produzione. Ciò ci permette di lavorare con le migliori manifatture del nostro territorio. Ci sono realtà specializzate nella lavorazione a filo, chi ha un expertise sulla lavorazione a lastra, chi nella ceramica. Sono tutte tecniche diverse per le quali sono necessarie capacità e skills differenti. Questo è il vero segreto del Made in Italy perché ci distingue da tutti gli altri paesi. Il nostro patrimonio sono proprio queste identità che rendono unica la nostra nazione in tutto il mondo. Noi siamo molto demanding con i nostri orafi. Alcuni dei laboratori con cui collaboriamo, e che contano massimo venti orafi, sono piccole realtà che hanno autonomamente deciso di non lavorare per i grandi marchi per mantenere una libertà creativa che altrimenti non avrebbero. Per un orafo che ha indubbie capacità artistiche entrare in una catena di montaggio è veramente demotivante. Chi ha le competenze e la possibilità per dire di no, sposando invece progetti dove vengono valorizzate le loro qualità, allora in noi trovano l’azienda perfetta con cui collaborare perché diamo l’opportunità di seguire l’intero processo di produzione, dall’inizio alla fine.» Torniamo un attimo al passato, al momento in cui ha deciso di voler far crescere l’azienda. Quando ha avuto inizio la vera trasformazione? «Il percorso di internalizzazione è partito tra il 2015 e il 2016. Sin dall’inizio la mia fortuna è stata quella di far parte di una realtà con ben sette generazioni di storia ma, nonostante ciò, la mia idea è sempre stata quella di portare Gismondi 1754 alla ribalta internazionale perché un marchio che è vivo da più di 260 anni è qualcosa di veramente unico. Il mio avo iniziò a lavorare nel 1763, a soli 9 anni, come argentiere, producendo lampade votive per le chiese, antiche cartaglorie

Foto © erdna

Potremmo definire la sua una creatività da outsider. Dove prende l’ispirazione? «Le emozioni sono il secondo elemento fondamentale del nostro DNA, del nostro modo di fare gioielli. I nostri prodotti nascono da emozioni realmente vissute. Per me la gioielleria è una forma d’arte tanto quanto dipingere un quadro o scrivere una canzone. L’esempio calzante è “Il cielo in una stanza” scritta da Gino Paoli e cantata da Mina, la versione più celebre: una grandissima interprete, una voce meravigliosa; cantata da Gino Paoli, la stessa canzone arriva al cuore perché è la rappresentazione di una sua personale emozione, è il suo messaggio. Come “Il cielo in una stanza” racconta una storia d’amore, le collezioni Gismondi 1754 raccontano le mie emozioni, vissute in prima persona. Ho appena terminato di lavorare su un paio di orecchini nati guardando un tramonto a Cervinia. Sono rimasto affascinato dai raggi del sole dietro la Grandes Murailles di Valtournenche, una vera esplosione di luce, e li ho voluti ricreare in un gioiello. Faranno parte di una nuova collezione che lanceremo l’anno prossimo.»

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o preziose icone - ne abbiamo una bellissima esposta all’interno dei Musei Vaticani. Eravamo conosciuti soprattutto in ambito clericale. Grazie a famiglie come Doria Panfili, poco dopo, ci vennero commissionati i primi gioielli. Il passaggio da argentieri a gioiellieri è avvenuto in quel momento, a cavallo tra la fine del ‘700 e i primi dell’800. La nascita del primo laboratorio di famiglia risale al 1775, in piena rivoluzione industriale, che ci permise di diventare in pochissimo tempo tra i primi fornitori in ambito clericale e un punto di riferimento delle rinomate famiglie genovesi dell’epoca. Nonostante il trascorrere del tempo e le guerre che si sono avvicendate, la mia famiglia è stata in grado di mantenere la propria identità attraverso un grande lavoro di conservazione - la nostra bottega storica è ancora oggi a Genova, nello stesso luogo dove è nata. Proprio per questo grande patrimonio ricevuto in eredità, mi rendevo sempre più conto che avrei voluto anche io lasciare un mio segno in questo percorso. E cosa fare di più? Farla conoscere al mondo. Quindi sono uscito da Genova e nel 2011 abbiamo aperto a Portofino il primo negozio multibrand. A quel tempo la linea di gioielli che producevo rappresentava ancora una piccola nicchia, non avevo idea di come internazionalizzarla. Ci tenevo ad avere una mia identità ma non avevo ancora la forza, la capacità e soprattutto la conoscenza di quali fossero gli step a livello manageriale per aprire una boutique monomarca. Gli anni dal 2011 al 2016 sono stati cruciali perché ho compreso quali fossero gli strumenti attraverso i quali avrei potuto intraprendere il mio percorso di marchio. Così, nel 2016, consapevole che senza un radicale cambiamento non avrei fatto alcun passo in avanti, ho deciso di strutturare la nostra società, di ingaggiare i giusti manager

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che mi aiutassero a definire tutti quei passaggi utili per trasformare una azienda di famiglia in un marchio internazionale. A cavallo del 2017 ci fu l’ingresso di Stefano Rocca, il nostro attuale Direttore Generale, uno dei sette manager che hanno fatto grande Bulgari. Lui sapeva come fare. Mi ricordo ancora il primo giorno di lavoro, a casa mia: è stato il momento in cui abbiamo scritto le fondamenta sulle quali Gismondi 1754 doveva nascere e crescere perché senza, prima o poi, tutto implode. Quindi il primo step è stato definire i nostri valori, ovvero cosa dovesse rappresentare Gismondi 1754 per me, come Massimo Gismondi, e per la mia famiglia. Sulla base di questi cardini abbiamo creato quello che oggi è il nostro mondo.» Ci può dire quali sono questi valori? «Il driver principale è la famiglia, intesa nel senso più ampio del termine; come pietra miliare della società moderna, come una cellula dentro la quale nascono le relazioni personali. Anche una famiglia lavorativa è una famiglia a tutti gli effetti, all’interno della quale si è tutti coinvolti. C’è un interscambio continuo. E qual è il primo valore perché una famiglia funzioni? Il rispetto. Questo è coerente con il nostro messaggio: un gioiello nasce solo se è basato sui nostri valori. Attenzione all’individuo, umiltà, sapere ascoltare, mettersi sempre nei panni gli uni degli altri sono solo alcuni di essi.» Potremmo chiamarlo “Manifesto Gismondi 1754”… «Sì perché, ogni cosa che facciamo, compresa la comunicazione, è sempre coerente con quei valori. Sono perfettamente conscio di aver intrapreso il percorso più difficile, il percorso più lungo, ma il mio è un percorso che sarà portato a termine


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dalle prossime generazioni. Secondo me la vera ricchezza è quella di saper creare qualcosa che passi alla storia, non il denaro fine a sé stesso, non il semplice raggiungimento dei budget prefissati. Questi sono assolutamente importanti altrimenti l’azienda non potrebbe crescere e, visto che siamo anche quotati, dobbiamo raggiungere obbligatoriamente obbiettivi di fatturato. Ripeto, non siamo gli unici bravi gioiellieri ma tutto il valore aggiunto sta nel fatto che chi compra Gismondi 1754 compra una famiglia, un’azienda e un messaggio. Avrei potuto raggiungere fatturati più alti scendendo a compromessi ma non sarebbe stato coerente con quello che voglio fare, ovvero trasmettere le mie emozioni, il mio vissuto, la mia famiglia e la mia storia. Tutto nasce da qui. Anche la nostra filosofia di lavoro, come noi operiamo, nasce da quel concetto, dal rispetto dell’individuo. Dopo l’ingresso di Stefano Rocca, è entrato in azienda Alberto Gaggero, il mio CFO, perché mi sono reso conto che la parte amministrativa era fondamentale tanto quanto la parte creativa. Poi è giunto il momento di concentrarsi sulla Direzione Commerciale nella quale abbiamo coinvolto Francesca Ventura, in modo che mi aiutasse a canalizzare la nostra grande creatività in una direzione specifica e instradare al meglio le collezioni a livello distributivo. Oggi il nostro piano di sviluppo ha come focus la distribuzione whole-sale, eccezione fatta per il nuovo accordo quadro che abbiamo siglato con la catena Carlton Baglioni che prevede l’apertura di negozi diretti all’interno delle sue esclusive location. Il primo è stato inaugurato la scorsa estate a San Teodoro, in Sardegna. Abbiamo le idee molto chiare sul nostro futuro, vedremo il feedback che ci darà il mercato, al momento è straordinario.»

È stato un grande atto di umiltà da parte sua riconoscere i sui limiti? «Io credo nella bellezza dell’individuo, nelle sue molteplici capacità. Ognuno di noi è speciale per qualcosa. Secondo la mia opinione dobbiamo avere anche l’umiltà di accettare i nostri limiti, riconoscerli e affidarsi all’esterno, delegando alcuni compiti a persone più brave in quel determinato segmento. Io ho imparato tantissimo dai miei manager. Ho capito dove devono essere investiti i soldi, dove convogliare le energie; ho capito che è sbagliato produrre mille cose diverse. Grazie a Stefano Rocca ho imparato ad analizzare i mercati, a capirne gli elementi distintivi e comprendere quali sono le ragioni del successo di Gismondi 1754 nei singoli paesi. Mi sono messo in discussione. Per mia natura sono una persona che si pone mille domande. Sono convinto che sia essenziale crescere come persona e, di conseguenza, maturare quel senso di rispetto e di stima e di autorevolezza che i tuoi collaboratori hanno nei tuoi confronti. Un vero leader è una persona che sta sempre un passo indietro, è capace di chiedere scusa, delega e sprona le persone di raggiungere i propri obbiettivi. Un altro modo di dire che abbiamo in azienda è che i sogni dei nostri collaboratori sono i sogni della mia azienda, sono in primis i miei. La mia azienda è una sorta di locomotiva di sogni attraverso cui, al raggiungimento del mio sogno, ogni mio collaboratore può raggiungere il suo. Gismondi 1754 è un progetto comune, qualcosa che condividiamo tutti insieme. È un modo di vivere la vita, un concetto di business che è molto diverso dagli altri. Sono convinto che scindere il lavoro dalla famiglia è impossibile. Il principio dei vasi comunicanti influisce su tutto.»

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CHANTECLER

CREATIVITÀ ICONICA Di Lara J. Mazza

Ci sono storie meravigliose che nascono anche in momenti bui, come quella di Chantecler. Era il 1944, anno in cui si stavano decidendo le sorti del secondo conflitto mondiale e l’alba di quello che sarebbe stato uno dei periodi di rinascita più importanti per il nostro paese. Sotto questa stella, a Capri, tutto ebbe inizio. Pietro Capuano prima, con Salvatore Aprea poi, e Maria Elena, Costanza e Gabriele con la moglie Teresa, oggi, portano avanti con successo una delle più effervescenti realtà italiane dell’intero panorama della gioielleria di questi ultimi anni. Fu Pietro Capuano ad avere l’intuizione di realizzare una campana di bronzo da regalare al Presidente Franklin Delano Roosevelt come portafortuna per la fine della guerra. Fonte d’ispirazione la leggenda caprese di San Michele, in cui un

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giovane pastore ritrova la sua pecorella smarrita grazie al tintinnio della campanella donatagli dal Santo. Da allora, la Campana è diventata un talismano riconosciuto come simbolo di pace e fortuna e, a tutt’oggi, uno dei prodotti iconici della Maison che ha conquistato tutto il mondo. Dal 1950, con l’apertura della prima boutique, fu una continua escalation: personaggi come Jacqueline Kennedy, Audrey Hepburn, Ingrid Bergman Rossellini, principesse ed aristocratiche di tutto il mondo hanno scelto di indossare i gioielli Chantecler, ritrovando in ognuno di essi corrispondenza di valori e una grande “joie de vivre”. Coralli, giade, diamanti, zaffiri, turchesi, smeraldi, smalti, sono i protagonisti indiscussi di questi coloratissimi gioielli, sempre connotati da una grande portabilità.


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BY ORLOV

LE NUOVE FRAGRANZE “HAUTE COUTURE” Di Lara J. Mazza

Non è facile pensare ad un legame diretto tra profumeria e mondo dei gioielli, a meno che non si faccia riferimento al packaging spesso rappresentato da un flacone dalle straordinarie fattezze o realizzato con materiali pregiati. In realtà il profumo può essere esso stesso un gioiello: avvolgente, prezioso, seducente, lussuoso, coinvolgente. In pochi altri ambiti come nella profumeria vi è una così forte correlazione tra forma ed essenza, tra materiale e sensoriale. Nel 2015 Ruth e Thomas Méaulle, da sempre appassionati dalle affinità che accomunano le gemme preziose e le fragranze di lusso, fondano Orlov Paris, il cui nome è la contrazione delle parole «our love» e riferimento diretto al celebre diamante Orlov, vero tributo d’amore e unica testimonianza storica dell’amore tra l’imperatrice di Russia, Caterina la Grande, e il conte Grigori Orlov, attualmente esposto al Cremlino, dove decora lo scettro imperiale russo. Un giorno Ruth, esperta gemmologa e amante dei profumi tanto quanto i diamanti, perse una pietra preziosa mentre lavorava alla sua linea di gioielli. Thomas, dopo lunghe ricerche, trovò la gemma sulla sua scrivania, nascosta sotto un profumo. Prendendo questo come un segno del destino, Ruth e Thomas decisero di creare la loro prima linea di fragranze ispirata al loro amore per i diamanti e per le pietre preziose, la Diamonds Collection. Ognuna delle fragranze nasce infatti dalle suggestioni evocate da una pietra leggendaria, le cui affascinanti storie sono divenute fonte di ispirazione per la scelta delle materie prime.

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Catturare l’energia preziosa delle gemme e infonderla nelle fragranze per trasmettere emozioni è diventata la mission di Orlov Paris che, in questo modo, si connota immediatamente sul mercato come pura espressione di opulenza, ricercatezza e altissima qualità dei suoi ingredienti. By Orlov è la naturale evoluzione della collezione Diamonds, per la quale, ad ispirare Ruth e Thomas questa volta sono le pietre preziose. L’illuminazione che ha guidato la creazione di questa linea è potente come un mantra: amare noi stessi attraverso la forza della natura e il potere rigenerante delle pietre preziose, vero DNA della Madre Terra. Ma come farlo? Nella loro azienda vicino a Parigi, un rituale metodico tiene la coppia francese impegnata ogni qualvolta che c’è la luna piena: il processo prevede il posizionamento delle singole gemme open-air, su un altare al chiaro di luna, in modo che possano caricarsi di quella vibrante e unica energia che emana il pianeta bianco. In questo modo, ogni cristallo, colmo di buone vibrazioni, viene poi posizionato nel concentrato del profumo che ha ispirato e lasciato ad infusione dando vita ad una vera e propria comunione tra le pure essenze del profumo e le energie del cristallo. La maturazione prosegue così per diverse settimane prima che il concentrato venga aggiunto definitivamente all’alcol. È così che le fragranze By Orlov lasciano sulla pelle la firma energetica delle pregiate gemme, che si trasforma in vibrazione positiva per chiunque le indossi.


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CONTRASTO CONTRAPPOSIZIONE RISALTO: ANTI SVILUPPA IL MACROTEMA DEI CONTRASTI ED HA COME OBIETTIVO QUELLO DI CREARE UN GIOIELLO VERSATILE, ACCATTIVANTE, IN GRADO DI ABBRACCIARE TRE DIVERSI STILI NEL MONDO DEI PREZIOSI: QUESTO È ANTI, LA PRIMA COLLEZIONE DI CLAUDIA GOBBI. IL FINE È QUELLO DI TROVARE UN MOMENTO D’INCONTRO TRA L’OREFICERIA CONTEMPORANEA, LA DEMI-FINE JEWELRY E IL GIOIELLO MODA

di Patrizio Poggiarelli

www.claudiagobbi.com

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Nell'esatto istante in cui ci rapportiamo con la realtà che ci circonda creiamo un contrasto. Eppure quanto è affascinante pensare che in un singolo oggetto possano coesistere due forze contrastanti? Anti è eccesso, Anti è equilibrio. Anti è tutto e niente, bianco e nero, luce ed ombra. Anti vive di contaminazione, di sovrapposizione e contraddizione. Anti vive di morbidezza, di leggerezza e di fluidità. Tra attrazione e repulsione. Tra piacere e fastidio, tra forma e non forma. Anti è vivere per sempre in un solo corpo ma con una doppia anima

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NON HO NESSUNA PERCEZIONE DEL TEMPO, DEI GIORNI, DELLE SETTIMANE, DEI MESI. NULLA. CALCOLO E ORGANIZZO IL MIO TEMPO IN BASE ALLE PARTITE CHE DOVRÒ GIOCARE!

Lorenzo Pellegrini, capitano della Roma e centrocampista della Nazionale indossa il nuovo Omega Speedmaster Chronoscope.

www.handmade-mag.com

Date:

15 euro Trimestrale 10 Dicembre 2021 nr. 08


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