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Confesserò i miei peccati così lassù saranno contenti. Poi cammineremo sereni io e te mio angelo sul bordo del mare color del vino. Tu mi dirai Questa è tutta la pace che puoi avere... Io ti dirò Mi sembra sufficiente angelo. Grazie di essermi stato vicino. Sono stato un uomo difficile e complesso cui stare al fianco? E tu dirai Sei stato un uomo. Ho visto di peggio Giovanni Gastel Filicudi 2020
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INCIPIT
PREFAZIONE: NOTA PER IL LETTORE
QUANDO HO PENSATO per la prima volta a Handmade, oggi giunto al suo secondo anno di vita, mi sono immediatamente posto un problema: come dev’essere un giornale che parli di Alta Orologeria e di tutto il mondo delle passioni che gli ruota attorno?
Se un orologio di alto livello deve rispettare delle specifiche tecniche ed estetiche ben precise, per essere accolto e scelto dai compratori più esclusivi, quale può o meglio quale deve essere il media che lo comunica? Facciamo un esempio: cosa penseremmo vedendo una grande complicazione esposta in una botteguccia polverosa, all’interno di una vetrina sconclusionata assieme ad orologi – o presunti tali – che paiono appena pescati in regalo da un fustino di detersivo in polvere? Come farebbe l’appassionato a scegliere di spendere cifre a cinque o sei zeri, se l’esperienza di acquisto si concretizzasse in un luogo disadorno, caotico, con personale poco preparato e ancor meno interessato, che puntasse solamente a raggiungere quanto prima la strisciata del Bancomat o, meglio ancora, il passaggio di un pugno di violoni? Lo stesso vale per la comunicazione. Come si fa a parlare di oggetti unici, di segnatempo dalla meccanica raffinata, frutto di anni di lavoro e di sperimentazione, mettendoli al polso di improbabili influencer (parola che per giunta oggi evoca brutte sensazioni), oppure all’interno di oggetti cartacei che poco o nulla, anzi nulla hanno da spartire con quello che vorrebbero o dovrebbero trasmettere ai lettori? FORMA E CONTENUTO , su questo lavoriamo: una forma che sia bella più che mai, un contenuto che sia perfettamente in linea con la qualità e le aspirazioni di chi crea i segnatempo e di chi legge il nostro magazine. Questo è Handmade. Potrei dilungarmi sui nostri collaboratori, sull’editing, sulla qualità della carta oppure sugli inchiostri speciali. Ma sarebbe solamente una perdita di tempo. La realtà è che non sappiamo esprimerci altrimenti se non cercando il bello, l’originale e l’interessante. Che siano gli altri ad accontentarsi.
Paolo Gobbi
E se per sopravvivere, qualunque porcheria, lasciate che succeda e dite: non Ë colpa mia! Sorridete, gli spari sopra sono per Noi (Rossi Vasco)
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Pres s - di S . r. l. - V ia Mondadori, 1 Segrate (Milano) 2 0 0 9 0 HANDMADE® è un marchio registrato R egistrazione del T ribunale di R oma n. 1 4 6 / 2 0 1 9 del 0 7 .1 1 .2 0 1 9
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INTRODUZIONE
Foto Aldo Sodoma
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SUGGESTIONS
RAFFAELE TOVAZZI
EREDITARE LA TERRA “In tempi di continuo cambiamento, coloro che non sono stanchi di imparare erediteranno la terra” scriveva Eric Hoffer sul finire degli anni Settanta, e la sua affermazione ci appare quanto mai attuale. In primo luogo perché il continuo cambiamento sembra essere diventato la nuova costante; in secondo luogo perché il periodo storico che stiamo vivendo ci ha condotti a rimettere il tempo al centro delle nostre riflessioni, filosofiche ed esecutive. Il tempo che rappresenta uno dei pochi assoluti, il tempo che qualcuno sente di aver perduto nell’ultimo anno, il tempo che può essere il più grande dei maestri. Qual è lo scopo della vita in fin dei conti? Tanto negli organismi unicellulari quanto negli esseri umani, il senso della vita sembra ridursi al disperato tentativo di guadagnare tempo e ciò può avvenire in due modi: attraverso la via della riproduzione o attraverso quella dell’immortalità. Se l’habitat è favorevole alla riproduzione, una cellula trasmette conoscenza alla cellula successiva, con saperi e apprendimenti che vengono tramandati di generazione in generazione. Se invece l’habitat non è favorevole, la cellula sceglierà l’immortalità, l’auto-sussistenza, l’autogestione. Il tempo rallenta, sembra fermarsi, le giornate sembrano tutte uguali e, nella noia del
quotidiano, ci siamo concessi a ben guardare una scorpacciata di immortalità. Scrivo queste parole mentre mi trovo a Londra e sto facendo la mia quarantena, l’ennesimo periodo di autoisolamento, l’ennesimo assaggio di immortalità che è ormai divenuto un dazio doganale per concedersi il lusso di viaggiare o semplicemente, come nel mio caso, tornare a casa. Molti lo percepiscono come tempo perso e qui mi viene in mente Marcel Proust, che nel suo capolavoro si chiedeva “qual è il tempo perduto della vita?”. È forse il passato, che non torna? Ma come potrebbe essere perduto il tempo passato se nel raccontarlo ci dona ancora emozioni? Il tempo perduto della vita è quel tempo che, pur avendo vissuto, non riusciamo a ricordare. La lezione più importante che ho imparato nell’ultimo anno non è stata come guadagnare tempo o come far passare più velocemente il tempo, bensì come ricordare il tempo che sto vivendo. Ancora una volta, Eric Hoffer sosteneva che “coloro che non sono stanchi di imparare erediteranno la terra”. Ed io ho capito che per ereditare la terra siamo chiamati ad imparare a rendere ogni giorno degno di essere ricordato. Perché l’immortalità non è qualcosa di spirituale, ma il primordiale tentativo terreno di far sopravvivere il proprio ieri al proprio domani.
Raffaele Tovazzi (per gli amici TOVA) è il primo Filosofo esecutivo in Italia, l’equivalente americano di chief philosophy officer. Una figura che può rivelarsi strategica in un mondo sempre più tecnologizzato, dove le imprese innovative tornano a riscoprire il loro lato più “umano”. Quando non è impegnato a salvare il mondo facendo finta di essere una persona seria, è in live su Twitch per coronare il suo sogno più grande: fondare una radio pirata.
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INTRODUZIONE
REGAL A UN ALBERO
L’IMPORTANZA DEL PAESAGGIO Regala Un Albero è un progetto di salvaguardia ambientale attivo in Italia che ha come obiettivo quello di riforestare una porzione di suolo sulla nostra penisola, attraverso la piantumazione e la crescita di nuovi alberi al fine di compensare le emissioni di CO2 prodotte dalle attività inquinanti. Oltre a favorire la riforestazione per l’assorbimento dell’anidride carbonica, il progetto Regala Un Albero è pensato per proteggere il polmone verde della Sila, area meno inquinata d’Europa e riconosciuta come Biosfera Mondiale dell’Unesco dal 2014. A capo di questo progetto c’è Nicoletta Foti -project manager- che ci racconterà qualcosa in più. Nicoletta, come è nata l’idea di Regala Un Albero? Regala Un Albero è un’iniziativa che nasce con l’obiettivo di coniugare ad un regalo unico e personale, la responsabilità per la salvaguardia dell’ambiente e la tutela della biodiversità.
Cosa ti ha spinto ad entrare a far parte di questa iniziativa? La grande intuizione di unire un’idea innovativa alla tutela dell’ambiente per mantenere in vita costante una delle più preziose aree del nostro Paese, per promuovere una cultura di armonia con l’ambiente e al tempo stesso dare una risposta e una soluzione concreta alla crisi climatica. Dove si piantano gli alberi? Gli alberi vengono piantati in Sila Piccola (Località Spineto), il più grande polmone verde d’Europa, che nel 2014 è divenuta la decima Riserva della Biosfera italiana MaB (Man and the Biosphere) nella Rete Mondiale dei siti di eccellenza dell’UNESCO. Si tratta dell’area con il minore inquinamento del nostro continente ed è caratterizzata da un paesaggio bellissimo ed incontaminato, che un autore ha così descritto: «immaginate i boschi del Nord Europa, ma con la luce del Mediterraneo».
COME SI REGALA UN ALBERO? Sul sito web www.regalaunalbero.com si può scegliere la specie di albero da piantare (Quercia-Quercus Cerris, Abete Bianco-Abies Alba Mill, Pino Laricio-Pinus Nigra Laricio, Faggio-Fagus Sylvatica, Frassino-Fraxinus Ornus) tutte specie autoctone della zona, e fare così un regalo originale e duraturo nel tempo. Il destinatario del regalo riceverà a casa un kit con una dedica, l’attestato con il codice identificativo dell’albero e le emissioni di CO2 compensate grazie alla sua crescita. Il packaging viene realizzato dalle sapienti mani di un artigiano romano. Il contenuto interno viene rigorosamente realizzato su carta riciclata con certificazione FSC.
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SUGGESTIONS
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INTRODUZIONE
MB&F
AUTOMOBILE? AEREO? NO: OROLOGIO! Presentata per la prima volta nel 2018, l’Horological Machine N°9 - soprannominata HM9 “Flow” - è un omaggio allo straordinario design automobilistico e aeronautico degli anni ‘40 e ‘50. Il risultato? Una cassa senza precedenti che rievoca le linee fluide e aerodinamiche dell’epoca. Nonostante il suo sorprendente aspetto esteriore, il fondatore di MB&F, Maximilian Büsser, ha descritto il movimento interno dell’HM9 come “il più bel movimento mai creato finora”. Il passaggio successivo è stato naturalmente quello di racchiudere il movimento in una scocca trasparente in vetro zaffiro: curva, bombata e montata con precisione in tre parti, è sigillata con una combinazione collaudata, basata su una guarnizione tridimensionale brevettata e un processo di incollaggio di alta tecnologia. Due bilancieri a sbalzo completamente indipendenti incanalano i dati in un differenziale che trasforma due battiti in un unico impulso temporale coerente. Gli ingranaggi conici ultra precisi
azionano in modo efficace l’energia del movimento e la corrente di informazioni attraverso un angolo di novanta gradi per fornire l’indicazione dell’ora su un quadrante in vetro zaffiro, segnata con SuperLumiNova. Sul rovescio, sotto ciascun bilanciere sono presenti delle eliche coassiali: turbine gemelle che ruotano liberamente come elemento di puro interesse visivo, in attesa dell’inizio di un nuovo tipo di esplorazione. Le leggi della fluidodinamica rimangono dominanti nel suo design, sebbene la centralità dell’idrodinamica consenta all’HM9-SV di adottare uno stile più morbido rispetto agli angoli acuti interni e alle curve paraboliche delle precedenti versioni Flow. Da un punto di vista tecnico, la rielaborazione delle dimensioni era necessaria per giustificare le differenze nelle proprietà del materiale del vetro zaffiro che, sebbene sia estremamente duro, rischia di rompersi bruscamente sotto pressione, mentre un metallo può al massimo deformarsi.
Nell’Horological Machine N°9, l’assemblaggio tridimensionale di ruotismi, ingranaggi, placchette e ponti assume forme inaspettate che animano la dinamica cassa esterna, creando un’unione pulsante di viscere meccaniche ed endoscheletro in un corpo cristallino.
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INTRODUZIONE
GUCCI
L’ALTA OROLOGERIA PUNGE COME UN’APE Dopo aver affermato con sempre maggior forza e originalità per decenni il suo ruolo nel mondo della misurazione del tempo, Gucci ha deciso “finalmente” di entrare dalla porta principale anche in quello dell’Alta Orologeria. Lo fa introducendo una tecnologia di altissimo livello nell’iconico G-Timeless: un calibro con il ponte del tourbillon impreziosito da diamanti, prodotto in Svizzera in esclusiva per la Casa fiorentina. A carica manuale, il movimento ha una riserva di carica di 110 ore. Oltre alla maestria tecnologica, questo orologio rende omaggio a una tradizione cara all’Alta Orologeria, che predilige la decorazione di eccezionale qualità artistica e presenta una stella con diamanti al centro del tourbillon. Anche l’ape, uno dei motivi più amati di Gucci, raggiunge qui nuovi e inusuali livelli: l’incastonatura produce un prezioso turbinio di insetti, realizzati in oro bianco, che brillano
e si muovono delicatamente sullo scintillante quadrante in avventurina blu notte. Il G-Timeless Tourbillon in oro bianco è inoltre impreziosito da oltre 800 diamanti incastonati sul bracciale, sulla cassa, intorno alla gabbia del tourbillon sul quadrante e persino sul ponte del tourbillon, per un totale di quasi 14,74 carati. Anche la corona, particolarmente gradevole al tatto, è incastonata di diamanti. L’attenzione ai dettagli per cui la Maison è famosa non trascura il fondello dell’orologio, realizzato in oro bianco e riccamente decorato con 21 api, anch’esse in oro bianco. Come il nome suggerisce, il tourbillon appare sul quadrante dell’orologio come un piccolo “mulinello” che ruota in una minuscola gabbia dorata. In realtà, la gabbia compie una rotazione al minuto ed è il bilanciere al suo interno che si muove in maniera così rapida, oscillando avanti e indietro quattro volte al secondo.
Il G-Timeless Tourbillon rispetta la tradizione dell’Alta Orologeria ma arricchisce questo dispositivo con diamanti per sedurre ulteriormente chi lo indossa, già consapevole di avere al polso un segnatempo al vertice dell’arte orologiera.
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SUGGESTIONS
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INTRODUZIONE
ZANNETTI
IL CIELO AL POLSO Il dibattito è di lunga data ma sempre appassionante: le serie limitate hanno realmente una valenza collezionistica e – magari – anche economica? La prima risposta possibile, e anche quella più razionale in quanto basata su dei dati certi, è che effettivamente molti pezzi in serie limitata sono particolarmente amati dal mercato collezionistico. Lo dimostrano le tante aggiudicazioni nel corso delle aste internazionali, che da qualche decennio hanno più e più volte premiato proprio i modelli unici nel loro genere. In molti però obiettano che il proliferare incontrollato di serie speciali e limitate di fatto sta rendendo meno importante di un tempo questo piccolo elemento aggiuntivo di originalità.
In realtà questi sono discorsi “accademici”, validi esclusivamente per quegli orologi dove la limitazione è solamente una scelta produttiva, ovvero quella di fare meno pezzi. Discorso ben diverso è quando la manualità entra nella costruzione stessa dell’orologio, rendendo ogni singolo pezzo unico e al contempo originale. Lo ha ben compreso Zannetti, che impreziosisce i suoi orologi grazie all’aiuto di veri e propri maestri dei mestieri d’arte. Come nel caso del Regent “Full Sky” di queste pagine, dove il quadrante in madreperla è stato prima inciso a mano e quindi dipinto con smalti policromi. Un piccolo capolavoro di savoir faire, destinato ad una clientela particolarmente esigente.
Tutti gli orologi Zannetti sono realizzati in serie limitata. I quadranti, fatti a mano sono sempre diversi uno dall’altro e garantiscono l’originalità una volta indossati al polso.
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SUGGESTIONS
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INTRODUZIONE
HAMILTON
ANIMA STELLESTRISCE Direttamente ispirato ai Chronograph A e B Hamilton del 1968, questo modello si integra perfettamente nei design esistenti, pur mantenendo una raffinata personalità. L’Intra-Matic Chronograph H di Hamilton è pensato per l’interazione con chi lo indossa: per caricarlo e per attivare il cronografo. Al suo interno un nuovo movimento crono a carica manuale: il calibro Hamilton H-51. Dotata di una riserva di carica di 60 ore, la nuova meccanica dona un tocco estremamente moderno all’apprezzato modello vintage ed è
inserita in una sottile cassa in acciaio. I dettagli in SuperLumiNova sul quadrante “panda” bianco e nero richiamano il colore patinato che il radio acquisisce con il tempo e il vetro zaffiro bombato evoca ulteriormente le caratteristiche tipiche degli impareggiabili cronografi Hamilton degli anni Sessanta e Settanta. Con un diametro versatile, ridotto a 40 mm, e la cassa in acciaio con cinturino in pelle nera o bracciale in maglia, l’Intra-Matic Chronograph H è un segnatempo dedicato ai veri appassionati dell’orologeria meccanica.
Il nuovo Intra-Matic Chronograph H riporta in auge l’epoca d’oro degli orologi sportivi con l’audace ritorno di un cronografo a carica manuale nelle collezioni Hamilton.
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SUGGESTIONS
BAUME & MERCIER
UN ATTESO RITORNO
Nato nel 1973, l’orologio Riviera risveglia quest’anno lo spirito di un’epoca ispiratrice dell’orologeria. Icona della Maison, conserva la particolarità della lunetta e le linee pure ed essenziali della cassa in acciaio che l’hanno reso celebre. La quinta generazione di questo leggendario segnatempo non gioca la carta del revival, ma quella di un’autentica rinascita. Baume & Mercier cambia rotta, non filosofia, continuando ad esprimere il savoir-faire della Maison in fatto di design, forma e competenza orologiera. Per il ritorno sulle scene, è proposto in acciaio in tre
dimensioni diverse: 36 mm, 42 mm e 43 mm di diametro. Fedele all’originale, il Riviera automatico “Swiss Made” da 42 mm rivisita le caratteristiche fondamentali del modello leggendario: l’imprescindibile lunetta dodecagonale a 12 lati, un quadrante a decoro unico (blu, nero o argentato) simbolo dell’incontro fra montagna e oceano (il contrasto fra acqua e pietra), e bracciali intercambiabili in acciaio o cinturini in caucciù blu per una versione “total blue”. Assolutamente riconoscibili le linee del modello originale del 1973, ma adattate al gusto contemporaneo.
Più di qualsiasi altra, la collezione Riviera rimane a tutt’oggi quella che rivela il savoir-faire di Baume & Mercier nell’ambito degli orologi di forma.
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esplorazioni CAPITOLO 1
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CAPITOLO 1
COVER STORY
AVVICINARSI AL LIMITE IL RE DEGLI AVVENTURIERI, L’UOMO CHE HA SCALATO TUTTI GLI OTTOMILA, CHE HA AFFRONTATO I GHIACCI DEL POLO E LA SABBIA DEL DESERTO, REINHOLD MESSNER RACCONTA LE SUE AVVENTURE E IL MONTBLANC GEOSPHERE
Di Paolo Gobbi RICORDO LA PRIMA VOLTA che ho visto il Geosphere di Montblanc: immediatamente l’ho immaginato al polso di un esploratore, di un viaggiatore al di fuori dall’ordinario. Nessuna meraviglia, quindi, quando è arrivata lo scorso anno la prima serie dedicata a Reinhold Messner, uno degli alpinisti più celebri al mondo. Difficilmente un segnatempo poteva immedesimarsi meglio in una persona e viceversa. Oggi questa “unione” continua, con un secondo modello se possibile ancora più coinvolgente del primo, il Geosphere Limited Edition 1858, che trova la sua ispirazione nei colori del deserto. Si tratta di un omaggio all’impresa dell’avventuriero altoatesino, che nel 2004 ha percorso duemila chilometri, attraversando in solitaria il deserto
del Gobi con le sue temperature estreme, gelide d’inverno e torride d’estate. Abbiamo incontrato Messner in una fredda giornata di fine inverno e le sue parole non sono passate senza lasciare un segno. Quando si parla di Montblanc vengono subito in mente i suoi sistemi di scrittura, gli accessori da viaggio, i segnatempo, oppure semplicemente il suo logo “montanaro”. Per uno scrittore abituato a viaggiare, mi sembra che la vostra partnership sia più che naturale. Com’è nata questa unione tra voi? «È già da tempo che lavoro con Montblanc. La prima volta è stata un anno fa in occasione del lancio del 1858 Geosphere Limited Edition. Devo ammettere che come alpinista, già solamente
Per raffigurare il deserto del Gobi sul retro del Geosphere Limited Edition 1858 con un autentico effetto tridimensionale, Montblanc impiega una tecnica speciale che conferisce una profondità e un realismo pari a quelli di una fotografia. Per prima cosa, il motivo viene tracciato sulla superficie in titanio: la decorazione viene incisa al laser tenendo conto del rilievo del disegno. Successivamente viene applicata, sempre al laser, la finitura desiderata (opaca o lucida). L’ultima fase è quella della colorazione. I colori vengono creati mediante un processo di ossidazione al laser. È il livello di ossidazione a determinare il colore finale ottenuto (e desiderato). Montblanc è una delle prime Maison svizzere a utilizzare questa tecnologia su una superficie così ampia.
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ESPLORAZIONI
Reinhold Messner
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CAPITOLO 1
il nome è evocativo di ricordi importanti: sono salito più volte sul Monte Bianco e per me è una montagna fondamentale. C’è poi anche la chiave evocativa del 1858.»
elevate prestazioni, un vero e proprio strumento, essenziale per qualunque avventuriero che decida di partire per una spedizione in qualche posto remoto del nostro pianeta.»
La storia ha una sua importanza anche per la montagna? «Una delle mie passioni è da sempre quella di studiare e raccontare le storie degli alpinisti dello scorso secolo e anche più in là. È stato quindi naturale iniziare una collaborazione basata prima di tutto sulle vicende passate, dell’orologio e delle persone.»
Lo indossa normalmente? «Sì, lo indosso sempre, anche in questo preciso momento. Mi piace che sul fondello siano ricordate le sette cime più alte che ho scalato, poi l’Antartide che ho esplorato più volte.»
Lei più di una volta ha dichiarato “io sono ciò che faccio”. Quindi, nel momento in cui ha scelto Montblanc, lo ha fatto credendo realmente in quello che rappresentava? «Sì. A me già basterebbe il solo nome per lavorare con loro (sorride). C’è poi il tema dell’esplorazione che per me rimane cruciale e che con loro posso sviluppare.» Il Geosphere è perfetto al suo polso, per una persona che vive sostanzialmente senza un confine preciso. «Sì, volevo un orologio affidabile e con delle
L’orologio è quindi importante anche da un punto di vista storico? «Sì. Ad esempio in questo periodo sto trattando l’acquisto per il mio museo di un orologio appartenuto a Hans Meyer, che nel 1889 raggiunge per primo la cima più alta del Kilimanjaro. Quel segnatempo ha un valore speciale, perché fu utilizzato per calcolare l’altezza esatta della cima della montagna. Il suo valore storico, ma anche quello economico, è decisamente elevato. Penso che un segnatempo abbia un valore completamente diverso se si riesce a farlo vivere in uno storytelling, in una narrativa interessante.»
Con la corona estratta completamente in posizione 2, si regolano prima gli emisferi rotanti, allineando la linea GMT/UTC all’ora di Londra (rappresentata come una linea nera sui globi), successivamente i minuti. I due globi sono così sincronizzati. L’emisfero settentrionale ruota in senso antiorario, quello meridionale in senso orario.
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Il passaggio successivo è quello di allineare la lancetta delle ore all’ora locale (posizione 1 della corona con il sistema rapido di regolazione degli incrementi orari / i globi non ruotano); in questo modo si regola anche la data. Infine, il secondo fuso orario, utilizzabile per l’ora del proprio paese, è collocato a ore nove e può essere impostato con un correttore a ore 10.
ESPLORAZIONI
Quanto c’è di Messner nel nuovo Geosphere Limited Edition 1858? «Questo orologio è fortemente legato alla mia vita di esploratore e di alpinista. Ci sono incisi i nomi delle Sette Vette che ho scalato e che sono considerate la più impegnativa delle sfide legate al mondo della montagna. Il fondello però racchiude al suo interno anche l’incisione delle “Rupi Fiammeggianti” di Bayanzag, nel deserto del Gobi, che ho incontrato nel 2004 durante il mio percorso attraverso l’Asia settentrionale. Queste sono celebri per il ritrovamento di alcune uova fossili di dinosauro e i resti di velociraptor scoperti dal paleontologo Roy Chapman Andrews negli anni ’20. (n.d.r. fu proprio lui a coniare il soprannome “Flaming cliffs”, riferendosi alle sfumature di rosso e arancio delle rocce di arenaria che sembrano accendersi con la luce del tramonto). Sul fondello è inoltre raffigurata una bussola con la rosa dei venti, decorata con motivi ispirati alla Mongolia.» Lei indossa quotidianamente l’orologio? «Sì, lo indosso sempre, specie durante le mia passeggiate quotidiane nei boschi» Andiamo indietro nel tempo, agli anni ’70. Quanto è importante il tempo durante una scalata? «Io sono stato il precursore di un tipo di alpinismo che rifiuta la tecnologia: niente ossigeno e niente elettronica. L’orologio era il mio strumento più importante, perché mi permetteva di fare la logistica del viaggio: partenza alle due del mattino, arrivo prima di mezzogiorno e il restante del tempo per scendere.» Tutto nell’arco di un giorno? «Sì e tutto calcolato alla perfezione. Il pericolo è quello di non raggiungere il campo la sera ed essere costretto a dormire fuori, che significa una morte quasi certa.» Non è una bella prospettiva. «L’arte dell’alpinista sta nel sopravvivere laddove la morte è una seria possibilità. L’orologio mi ha sempre aiutato nei calcoli per riuscire a programmare al meglio le ascensioni.» Riuscirebbe comunque ad avere una percezione del tempo senza l’orologio al polso? «Il tempo nella psiche, durante un’esplorazione, spesso differisce da quello reale. Se mi arrampico sulla roccia entro in un flow, in un flusso temporale, dove quando giungo sulla cima, non ricordo neanche se ho fatto un’ora o cinque di ascensione. Quando sono stato sull’Antartide, dopo due settimane di cammino e di fatica per portare la slitta, non sapevo più quando ero partito, se erano trascorsi cinque giorni oppure un anno.» Come fa a ritornare alla realtà? «Si vive una vita nella vita ed è l’orologio che mi riporta alla realtà, mi costringe a fermarmi, scandisce la giornata, decide che è arrivato il momento di fermarsi, per preparare la cena e il campo dove dormire. In pratica, il tempo sentito è una cosa, il tempo misurato è indispensabile per la logistica.» Ha ancora un senso oggi essere un esploratore? «Probabilmente no, perlomeno per come noi intendiamo l’esplorazione. Tutte le grandi montagne, come pure i due poli, sono state
raggiunte molte volte: i grandi esploratori nelle zone polari hanno svolto la loro attività circa 110 anni addietro; sulle grandi montagne, ancora negli anni ’50 e ’60, si entrava nello sconosciuto. Ad esempio, nessuno era mai salito sull’Everest oppure sul K2.» Tempi sostanzialmente recenti. «Ad esempio, risale al 1895 il primo tentativo di scalare il Nanga Parbat, compiuto da parte dell’inglese Albert Mummery, che morì in quella spedizione assieme ai suoi due portatori Gurka. Dobbiamo però aspettare il 1953 prima che qualcuno raggiunga la sua vetta e ritorni poi indietro vivo.» Gli anni ’50 furono importanti per gli ottomila. «Sì. Fino al 1950 erano considerate vette inviolabili ma poi, in soli quindici anni, furono scalate tutte. Poi abbiamo imparato a salire le pareti più difficili.» Alle volte l’impresa non è arrivare primi, ma seguire delle precise modalità di salita? «Sì, io sono stato il primo a salire un ottomila in solitaria, con solamente l’ausilio dell’orologio, della piccozza, di un po’ di viveri e di un fornelletto per sciogliere il ghiaccio. La difficoltà stava tutta nel ridurre al massimo gli aiuti.» In queste sue avventure in solitaria, se si sbaglia qualcosa si può morire: la paura è una compagna di viaggio? «La paura fa parte del gioco e va eliminata, o perlomeno una sua gran parte, prima di partire. Bisogna prepararsi bene, allenarsi, controllare gli attrezzi, la logistica. Però una piccola parte di paura rimane sempre, perché il rischio è sempre insito in quello che facciamo. Tanto più che la natura non rimane sempre uguale, ma cambia in continuazione, si sviluppa, è creativa.» Il coraggio? «Il coraggio è il contrario della paura, sono facce differenti della stessa medaglia e l’uno non esisterebbe senza l’altra e viceversa.» Il panico? «Non deve mai esistere. Bisogna sempre ragionare su quello che si fa. Personalmente, da giovanissimo e prima di affrontare gli ottomila, sulle Ande ho imparato il “passo lento”. È stata la mia fortuna, la maniera giusta per affrontare le vette più alte.» La sua storia non è stata solamente vissuta, ma anche descritta, anzi scritta in tanti suoi libri. «Ho scritto parecchi libri, sia avventure vissute, che libri storici o filosofici legati sempre allo stesso argomento.» Quale? «L’impossibile. Se noi lo distruggiamo, ad esempio in montagna, immediatamente decretiamo la morte anche dell’alpinismo. La sua vita è nel tentativo di realizzare, da parte delle giovani generazioni, quello che le vecchie generazioni hanno definito impossibile. Bisogna sempre crescere, superarsi, avvicinarci all’impossibile definitivo.» I libri non sono il suo unico mezzo per fare cultura della montagna. «Il progetto più grande che sono mai riuscito a
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FLAMING CLIFFS
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Questo modello è un omaggio alla traversata in solitaria di cinque settimane del deserto del Gobi che ha compiuto nel 2004. Riproducendo la palette di colori del terreno roccioso, questo segnatempo abbina magistralmente una cassa in bronzo con finitura satinata ed una speciale incisione sul fondello, una lunetta bidirezionale in ceramica marrone lucido, un quadrante laccato marrone che sfuma nel beige e un cinturino coordinato in pelle di vitello marrone sfumato in stile vintage. Per richiamare la spedizione di Reinhold Messner del 2004, il fondello presenta una suggestiva incisione che raffigura le famose “Rupi Fiammeggianti” di Bayanzag, nel deserto del Gobi, che Messner ha incontrato nel suo itinerario attraverso l’Asia settentrionale. Queste formazioni rocciose sono celebri per alcuni importanti rinvenimenti, primi fra tutti i fossili di uova di dinosauro e i resti di velociraptor scoperti
dal paleontologo americano Roy Chapman Andrews nel 1920. Fu proprio Roy Chapman Andrews a coniare il soprannome “Flaming cliffs” (Rupi Fiammeggianti), riferendosi alle sfumature di rosso e arancio delle rocce di arenaria che sembrano accendersi con la luce del tramonto. Sul fondello è inoltre raffigurata una bussola con la rosa dei venti, decorata con motivi ispirati ai tradizionali ornamenti della Mongolia. È stata prestata particolare cura anche al quadrante, di una tonalità marrone che sfuma nel beige. Il design di questo moderno orologio multifunzione è completato dalla finitura laccata e dagli elementi placcati in caldo oro rosa, come le lancette e gli indici applicati. Per un’ottima leggibilità, l’indicatore della fascia diurna/notturna, le lancette a cattedrale, gli indici, le indicazioni della bussola e gli emisferi sono tutti rivestiti in SuperLumiNova di colore beige applicato a mano. Costa 6.100 euro
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Il Geosphere Limited Edition 1858 monta un calibro automatico di manifattura MB 29.25. Questa particolare complicazione presenta due emisferi che consentono di leggere diversi fusi orari con la massima semplicità. Il segnatempo include due emisferi rotanti bombati a ore 6 e ore 12, circondati da una scala fissa con i 24 fusi orari, ed è dotato di un indicatore della fascia diurna e notturna.
Foto Lucio Convertini per HANDMADE
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realizzare, sono i miei musei. Si tratta di un’idea ambiziosa: mostrare anche ai neofiti, cosa succede quando noi umani ci incontriamo con la grande montagna.» I suoi musei hanno ricevuto l’attenzione che si aspettava? «Sì. Hanno funzionato sin da subito molto bene. Si tratta di sei musei, in realtà sei case, racchiusi sotto lo stesso tetto. Oggi vengono gestiti da mia figlia. Siamo autosufficienti e non prendiamo neanche un euro di sovvenzioni statali, neanche in questo periodo difficile. Inoltre siamo considerati, a livello mondiale, il museo che meglio esprime lo spirito dell’alpinismo.» Quindi niente più ascensioni? «Le montagne, specie le montagne Sacre, rimangono sempre nel mio cuore. Dopo le scalate sono passato alle esplorazioni in orizzontale, poi i musei. Oggi faccio anche dei film, racconto così delle storie legate alla montagna.» Il suo ultimo ottomila è stato il Lhotse. Quanto le mancano queste scalate? «Non mi manca. Non mi manca neanche scalare le pareti rocciose delle Dolomiti. Oggi, quando ne vedo una, magari attraversando un passo in macchina, le guardo e ancora godo al ricordo. Anche se so bene che non potrò mai più salire. Lo scorso anno sono stato nel Nepal: ero felice, ricordavo dei momenti molto intensi e di esserne uscito vivo.» Deve essere orgoglioso di questo. «No, non c’è nessun orgoglio. C’è la gioia di aver vissuto e di portare in me queste avventure, che oggi condivido all’interno del mio museo.» Riesce a condividere questo in un museo? «Sì, le mie esperienze, le mie emozioni, sono state necessarie per riuscire a raccontare l’intero alpinismo.» Lei cosa consiglierebbe ad un ragazzo che volesse vivere delle avventure come le sue? «Gli direi: se veramente sei entusiasta, se lo senti forte nel tuo animo, se hai voglia di prepararti molto bene, in due decenni potrai essere pronto
per affrontare le cime più alte del mondo. Però gli ricorderei anche che la morte è una possibilità quando si scalano delle vette estreme. La metà degli alpinisti più importanti sono morti in montagna. Io sono sopravvissuto non perché sono stato bravo, ma perché ho avuto fortuna. Ci sono stati due o tre momenti in cui sono stato al limite della vita.» Quando si è messa a serio rischio la propria vita, come si fa a trovare la forza per tornare a scalare? «Con il mio primo ottomila ho perso mio fratello, ho perso sette dita dei piedi per congelamento… Per sei mesi sono rimasto fermo, non sapevo cosa fare. Poi ho capito che il mio entusiasmo era per l’alpinismo, avevo già molti progetti in piedi che erano stati pensati assieme a mio fratello ed ho capito che lui avrebbe voluto che continuassi. Ero ad un bivio: fare l’architetto oppure continuare con l’alpinismo. Ho scelto il secondo, Günther avrebbe voluto questo e io al posto suo lo stesso.» Lei ha vissuto tante vite diverse: scalatore, esploratore, scrittore, creatore di musei… Potendo viverne una sola, quale sceglierebbe? «Oggi, da settantasettenne, tornerei a vivere il periodo dai dieci ai vent’anni. Una montagna dolomitica bastava per avere davanti una grande sfida. Cercare delle vie mai percorse dove nessuno era mai passato mi ha costruito come persona prima che come alpinista. Mi ha dato la sicurezza in me stesso, dovevo solo migliorare le mie capacità. Il futuro era aperto, potevo solamente crescere. Il bello è avvicinarsi al limite, non raggiungerlo oppure averlo dietro le spalle.» Avvicinarsi sempre al limite? «La mia vita è un’unica salita, gradino dopo gradino, puntando sempre a nuovi limiti» Ancora adesso riesce a vivere in questa maniera? «Sì, sono pieno di idee. Mi sento come un artista che fa cose nuove, alle volte vanno bene, altre sbaglio, ma va bene comunque. Soprattutto non cerco di fare cose impossibili, ma mi adeguo alle mie capacità di oggi. Sarei un folle a tentare un ottomila metri alla mia età. L’unica cosa che non farò, sarà di ritirarmi e godermi la pensione guardando dalla finestra.»
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L’ESTREMO E OLTRE TREDICI RECORD MONDIALI, PRIMO UOMO AD AVER ATTRAVERSATO L’EMPTY QUARTER: MAX CALDERAN SI RACCONTA
Di Lara Mazza
DOPO WILFRED THESIGER si sono succeduti tanti esploratori o semplici avventurieri nell’aridità di quelle dune ma solo uno può affermare di averle conquistate: Max Calderan. L’esploratore desertico conosce intimamente questa sensazione. Dall’età di sette anni, quando per la prima volta ha visto una fotografia del Quarto Vuoto, ha sognato di diventare la prima persona ad attraversarlo in tutta la sua lunghezza, dall’ovest all’est, a piedi. Da quel momento tutta la sua vita è diventata una lunga preparazione per la realizzazione di questo sogno. Sogno che è diventato realtà il 2 febbraio 2020. Diversi celebri esploratori hanno attraversato piccole parti del deserto con cammelli o con fuoristrada, ma nessuno lo aveva mai percorso, da solo, per 1.200 chilometri, di cui almeno 800 totalmente incontaminati. Il Quarto Vuoto è una frontiera piena di pericoli e misteri. È il più grande
deserto di sabbia del mondo. Ricopre la parte più meridionale della Penisola arabica. Dune instabili, alte fino a 300 metri e accecanti tempeste di sabbia rendono la sua navigazione quasi impossibile. Persino gli uccelli migratori volano con centinaia di miglia di distanza dal deserto per evitarlo. Per questa ragione, in un’epoca dove praticamente ogni angolo della Terra è stato meticolosamente esplorato, il deserto rimane un enigma. Partito col suo team il 16 gennaio, Max Calderan ha portato a termine la sua straordinaria impresa in 18 giorni, fatica mai riuscita a nessun essere umano prima di lui. L’esplorazione non ha prodotto scoperte rilevanti di carattere scientifico ma l’atleta ha marcato oltre 100 punti d’interesse lungo il percorso e per questo motivo è stato rinominato la Calderan Line in suo onore ed inserito nelle cartine geografiche dell’Arabia Saudita.
Max Calderan.
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CAPITOLO 1
“
NESSUN UOMO PUÒ VIVERE QUESTA VITA E RIMANERE UGUALE. PORTERÀ CON SÉ, PER QUANTO DEBOLE, LA TRACCIA DEL DESERT E AVRÀ DENTRO DI SÉ LA BRAMA DEL RITORNO. PERCHÉ QUESTA SPIETATA TERRA PUÒ INCANTARTI COME NESSUN CLIMA MITE PUÒ FARE
”
L’intrepido esploratore britannico Wilfred Thesiger scrisse queste parole sessant’anni fa, riflettendo sul suo viaggio nel più vasto deserto di sabbia sulla Terra - Il Quarto Vuoto, conosciuto in arabico come Rub’ al Khali, Empty Quarter in inglese.
1974, a 7 anni apri l’enciclopedia, ti soffermi sul deserto del Rub Al Khali e decidi che la tua missione sarebbe stata esplorarlo. Come sei arrivato a compiere questa prodezza? La forza del pensiero è sicuramente un’alleata ma probabilmente non basta «La cosa è molto più semplice in verità. Secondo il mio punto di vista quando si entra nel mondo delle esplorazioni, ovvero di fare qualcosa che nessun uomo ha mai fatto prima di te, quindi non delle imprese sportive (infatti sono due cose completamente differenti), quando senti dentro questa spinta a voler dare risposta ai tuoi punti di domanda che magari potrebbero rimanere tali per tantissimi anni, secoli, forse millenni, devi mettere in preventivo il sacrificio più grande, cioè che potresti non tornare mai più a casa. E quando metti in gioco la tua vita è chiaro che il pensiero non ha più nessuna forza perché quello che ti spinge ad andare avanti è immensamente molto più grande. Quindi il pensiero lo utilizzi solo per le cose più banali come le pratiche burocratiche da espletare, che tipo di gps o telefono satellitare devo usare, come mi devo alimentare, l’organizzazione, il team, etc… Perché di fatto avere la pretesa e l’arroganza di pensare di poter piegare un deserto del genere con la sola forza del pensiero significa essere completamente fuori strada. Ti starai domandando perché dal 1974 solo oggi – ho aspettato 46 anni – tutto questo si è realizzato? Forse perché c’era
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ancora un po’ troppo pensiero, cioè era venuta meno la parte forse più fanciullesca, più innocente del sogno che potevo avere quando ero bambino. Capita infatti che quando un bambino ha un sogno e su questo sogno le persone che stanno vicino cominciano a metterci dei limiti, diventerà quello che semplicemente definiamo una sciocchezza fanciullesca e, con il passare del tempo, lo si dimenticherà. Ma la passione del mio sogno è sempre rimasta viva e ho avuto la fortuna di aver avuto una madre che mi ha sempre lasciato stare nella natura. Da quando avevo 7 anni il primo pensiero quando mi svegliavo e l’ultimo prima di dormire era quel deserto. E oggi che sono stato io ad attraversarlo, ma che ancora non mi rendo conto di averlo fatto, il primo pensiero è, per assurdo, ancora quello di conoscere la persona che ce l’ha fatta.» Secondo la tua opinione ha ancora senso o c’è ancora spazio oggi per l’esplorazione assoluta? «L’esplorazione che io ho concluso in Arabia rappresenta di fatto l’ultima esplorazione possibile sulle superfici emerse. Non c’è più nulla da esplorare sul pianeta Terra, se non piccolissime porzioni. Rimangono le imprese sportive, ovvero ripercorrere le stesse imprese ma in modalità differenti. Adesso rimangono le profondità marine, le grotte, i cieli ma il concetto di esplorazione inteso come qualcosa che non si è mai fatto prima
IDEE
di fatto si può considerare conclusa. Ma perché è utile l’esplorazione? L’esplorazione è utile perché quando l’essere umano ha deciso di investire del proprio, mettendo a rischio anche la propria vita, avviene la cosa più importante: l’evoluzione della specie umana. Se perdiamo il concetto dell’esplorazione che è compreso nella parola curiosità, ci estingueremo. Affermo serenamente che per me essere andato nel Quarto Vuoto è come aver raggiunto il pianeta Marte.» Allora quale sarà la tua prossima esplorazione, se ce ne sarà una? «Fermo restando che ho tre figli, l’ultimo di 8 mesi ed ho percorso l’Empty Quarter mentre mia moglie era incinta, la prossima esplorazione sono loro quattro (ride). Fermo restando poi che il Quarto Vuoto è stata l’esplorazione più importante della vita, sono arrivato al momento del cosiddetto “give back”. Per quanto la si possa girare, un professionista, parlo di quello sportivo esplorativo in questo caso, è sempre un egoista. Io sono sempre stato un egoista, chi arrampica è un egoista, chi vuole andare in cima all’Everest è un egoista. Siamo tutti egoisti. Non ce ne frega nulla, siamo disposti a sacrificare tutto e tutti pur di soddisfar il nostro ego. Ed è un dato di fatto. Ed è umano, ci mancherebbe. Io adesso sono pienamente soddisfatto, ho fatto tante traversate record, ho fatto di tutto, d’estate, d’inverno, senza acqua, senza
cibo, senza dormire… Mi reputo un miracolato. Adesso è giunto il momento di restituire. Restituire alle persone ciò che c’è di buono nel mondo e migliorare ciò che si può. Il primo è insegnare a rispettare l’ambiente, rispetto che passa prima dal rispetto di noi stessi. Ci vuole coerenza. Dire di rispettare l’ambiente quando poi ti fumi un pacchetto di sigarette al giorno, oppure dire di voler cambiare le cose nel mondo quando poi ti ingozzi di cibo, di zucchero e di junk food, non va bene. Il secondo è creare ambienti dove i bambini possano imparare a stare in mezzo alla natura, giocare con le balle di fieno, con le foglie degli alberi, con i tronchi, il tutto con personale qualificato che li segua e dia loro delle indicazioni, luoghi in cui i genitori stessi possano essere coinvolti a stare con i propri figli e godere della reciproca compagnia. È un progetto molto ambizioso.» La sfida più grande per un esploratore allora qual è? «La scelta. In una esplorazione si giunge prima o poi al punto in cui si deve scegliere se sei ancora in tempo per poterti fermare oppure se puoi continuare. È un po’ come l’apneista: scende, scende, scende, da solo e deve fare l’esatto calcolo per capire se sarà in grado di risalire. Provo ad andare ancora un pochino più giù? Non so…e se non ce la dovessi fare? Morirei felice però farei qualcosa che nessuno ha mai fatto prima. Almeno ci ho provato. È molto sottile. La scelta è quella.»
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Hai raccontato che spesso nelle tue traversate hai rischiato di non fare più ritorno, a causa delle tempeste di sabbia per esempio. Cosa ti spinge a dire vado avanti? «È l’inverso. Mi spiego. La prima scelta è decidere se fermarti oppure proseguire. Poi ne segue un’altra, la più difficile. Quando raggiungi determinati luoghi anche fisici, in cui, per differenti motivi, sei stanco, sei circondato da uno scenario incredibile - pensa ai primi esploratori dei mari, ai primi che andavano sugli 8 mila, ai primi esploratori del deserto millenni fa - arrivi a porti la domanda più grande: ha senso uscire? O è meglio fermarsi? Spogliarsi completamente “nudi” e dire io rimango qui. Tolgo l’acqua, tolgo i vestiti, tolgo il cibo…Perché è come accedere, complici la disidratazione e le allucinazioni, a un livello di realtà dove percepisci di aver compreso probabilmente il punto di domanda che tutti si pongono in questo nostro viaggio terreno, da dove vengo, dove andrò, cosa ci sarà dopo. Accade che ci siano dei momenti in cui tutto questo lo cogli perfettamente e, quando avviene, il rischio è quello di dire è fatta. Che senso ha tornare indietro? Nei record precedenti mentre ho rischiato di rimanerci per scelta, nell’Empty Quarter la posta in gioco era troppo grande perché gli affetti più vicini, mia moglie e i miei figli, sono stati il richiamo più forte. Probabilmente se fossi stato da solo in una situazione di difficoltà estrema forse sarebbe
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potuto accadere. Non si può sapere. La scelta più grande è quindi scegliere di voler uscire.» Queste esperienze ti hanno profondamente cambiato «Sì, perché una parte di te rimane laggiù, è inevitabile. Se pensi che il primo pensiero lasciato nel mezzo del Quarto Vuoto è stato il mio, a memoria d’uomo... Perciò quello che ho visto, non l’ha visto nessun uomo prima. E quando sei lì e urli, accade che non ti senta nessuno. La voce cade, viene assorbita. Ma la cosa più impressionante è sentirsi all’origine di tutte le cose. Quando si dice che all’origine c’era il verbo, lì non c’è neanche quello. All’origine. Punto. Fine. Arrivato a metà dell’Empty Quarter, mi è successa una cosa che non mi era mai capitata, rappresentata benissimo dal film Interstellar. È stato come entrare in uno Stargate, in una dimensione spazio temporale diversa. Mi sono guardato attorno e mi sono detto: io questo posto l’ho già visto. In lontananza c’era il bambino sopra la cassapanca con l’enciclopedia in mano. Allora mi sono chiesto: sono il bambino che sogna l’esploratore dentro la fotografia o sono l’esploratore che ha ripreso in mano una foto e vede sé stesso bambino? In quel momento sono andato letteralmente in cortocircuito, non sapevo dove collocarmi. Non sapevo se fossi di là o fossi di qua, con il dubbio che se una delle due l’avessi esclusa si sarebbe azzerata l’altra. Questo è il fascino dell’esplorazione dell’Empty Quarter.»
ESPLORAZIONI
Hai dichiarato che il deserto è un luogo arido, non c’è anima, non c’è amore, non c’è vita, non c’è nulla. È come se fosse tutto il momento prima del big bang. Allora perché sceglierlo? «Perché nessuno l’ha mai fatto prima e si pensava che fosse impossibile fare quella linea. Altri esploratori hanno fatto i bordi esterni, da nord a sud hanno esplorato qualcosa ma in quella direzione nessuno. Perché il deserto, come dicono i beduini, è un posto bello fino a quando non decide di esserlo più. Con il Quarto Vuoto ci devi parlare, ci devi comunicare. Ci deve essere una sorta di dialogo, devi essere umile, remissivo. I deserti sono respingenti verso l’arroganza dell’essere umano. Non verso l’essere umano in sé perché noi veniamo dalla natura. Il problema nasce quando si pensa che si possa conquistarli solo con la tecnologia, con i mezzi, con la preparazione, con la sua scienza. Ecco perché l’Empty Quarter è un luogo molto arido e terribilmente affascinante. Avete presente la scena di quel film dove l’astronauta si stacca dal cavo che lo tiene legato alla base spaziale e vaga con la sua tuta nel buio e si allontana, lui urla e non si sente nulla. È la stessa identica cosa.» Noi siamo abituati a parlare del silenzio con appellativi come assordante o imbarazzante, ma nel deserto diventa un buon compagno? «Il silenzio in sé è accompagnato da una sorta di risucchio totale non solo perché non percepisci
rumori. Il vero silenzio è quello in cui anche i tuoi pensieri vengono assorbiti in una sorta di buco nero. Tu non esisti più, tu non sei più un corpo umano. Sei qualcos’altro che si è affidato a qualcosa di più grande di te. All’improvviso ti ritrovi alla fine della traversata, ti giri indietro e dici “cazzo ma l’ho già fatta. Ma se sono partito ieri?”. Il concetto del silenzio è questo. Per me il silenzio all’interno di miliardi di tonnellate di sabbia non è altro che essere avvolti nel liquido del ventre materno. Tutto ovattato, tutto molto fluido.» Il tempo nel deserto? Ha un altro tempo? «Ho fatto mio un proverbio arabo, una sura del corano che mi è stata insegnata da un beduino molto amico: la Sura del Sabr. Il tempo… In verità l’uomo sarà sempre in perdita nei confronti del tempo. Il tempo scorre, va avanti, un giorno tutto questo sarà finito e di noi non rimarrà traccia eccetto che per due sole condizioni: il tempo si ferma con te, quindi non sarai in perdita nei confronti del tempo, quando tu e un’altra persona vi fermerete e vi raccomanderete vicendevolmente il bene, l’amore, la felicità, la salute, non i soldi; quindi quando due persone si raccomandano il massimo di tutto ciò che si può avere bisogno per essere felice e stare bene. L’altra condizione è quando questo tempo tu lo impieghi per raccomandarti la pazienza, saper aspettare che tutte queste cose accadano.»
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CON L’EXPLORER AL POLO NORD DOPO AVER AFFRONTATO UN FREDDO DI -59° CON UN VENTO DI 50 KM/ H LE INSIDIE DEI CREPACCI E IL PERICOLO DELL’ORSO POLARE, IL 9 APRILE 1987 CARLO BONDAVALLI RAGGIUNGE IL POLO NORD GEOMAGNETICO
Di Paolo Gobbi “UN PUNTO LONTANO e inesplorato all’estremo nord-est della Groenlandia, a 1200 metri. di altezza nell’immenso altopiano ghiacciato dell’Ice Pack: cosi viene riportato sulle cartine scientifiche il Polo Nord Geomagnetico, il punto in cui passa l’asse del campo magnetico terrestre. Un punto remoto e inaccessibile che Carlo Bondavalli, giovane esploratore, decide di raggiungere per primo” Così iniziava una celeberrima pagina pubblicitaria della Rolex, che alla fine degli anni ’80 raccontava l’impresa in solitaria di un giovane esploratore italiano: Carlo Bondavalli. Lo abbiamo incontrato a Modena e con lui abbiamo ripercorso la sua avventura (vera, non mediatica come la maggior parte di quelle che vediamo oggi) con un Rolex al polso e una meta da raggiungere.
Nel 1987 esce una pubblicità Rolex e tutto il mondo scopre che c’è un certo Bondavalli che calcola la rotta con un Explorer al polso. Ci racconti come è andata?
«Innanzitutto mi vorrei soffermare su come ho fatto a tracciare la rotta. Nelle vicinanze del Polo Nord magnetico la bussola non può funzionare. Dalla carta geografica sai il punto da dove parti, sai i chilometri che percorri ogni giorno ma devi sapere anche la rotta. Avevo quindi utilizzato un goniometro solare che, sfruttando proprio il sole, mi dava praticamente la direzione. Con l’ora esatta del giorno solare riuscivo a trovare i parametri per avere la rotta.» È lo stesso sistema usato nella navigazione in mare? «Esatto. Ed era lo stesso metodo che avevo utilizzato nell’84, quindi tre anni prima, per il Polo Nord magnetico. Perché sono stato sia al Polo Nord magnetico che geomagnetico. Il Polo Nord magnetico è quello dove tutte le bussole “mirano” per via delle masse fluide di ferro all’interno del globo. Il Polo Nord geomagnetico invece è quello dove partono le linee del campo magnetico
Carlo Bondavalli
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terrestre. C’è questo campo magnetico che è sempre messo in funzione da questa massa fluida all’interno della Terra e impedisce al vento solare di poter entrare in collisione direttamente con la Terra stessa. Ed è uno dei motivi per cui si è anche formata la vita sulla Terra. Se vogliamo metterla in modo più semplice e diretto, posso dirti che è dove nascono le aurore polari, boreali al Nord e australi al Sud. Il vento solare riesce a entrare e va in collisione con le particelle subatomiche dei gas presenti nell’atmosfera e di lì si colorano i gas in modo diverso. Per esempio l’ozono è tendente al verde e altri gas sono tendenti al rosso. Che io sappia al Polo Nord geomagnetico non c’era arrivato ancora nessuno. Nella spedizione eravamo in due, io e Fulvio Mariani, cameraman della televisione svizzera italiana, che poi è stata anche lo sponsor dei due film che abbiamo realizzato: uno sugli eschimesi e uno sulla spedizione stessa.» Il Rolex Explorer ti era stato fornito prima della spedizione? Ha fatto il suo dovere? «Sì me lo avevano dato prima e ha funzionato benissimo. L’unica cosa che posso dire, tornando indietro, è che essendo tutto in acciaio e facendo molto freddo, avrei dovuto rivestirlo con della gomma all’interno. Perché ovviamente l’orologio rimaneva quasi sempre all’esterno, anche con i guanti. Di conseguenza trasferiva il freddo direttamente sul polso. Però, una volta che indossavi i guanti andava meglio. L’orologio comunque non ha avuto nessun problema: siamo arrivati anche al di sotto dei -43 gradi su un’altezza di 2.000 metri e ha funzionato sempre benissimo.» Oggi ci sono i GPS mentre allora non c’era niente. Il vostro strumento era solo l’orologio? «Si, l’orologio. Oppure, come per i primi esploratori del 900 come Cook, Shackleton o Scott, c’era il sestante. È stato verso l’89/’90 che sono usciti i primi satelliti rudimentali che ti davano il punto esatto di dove eri, come un GPS, se vogliamo chiamarlo così.» Hai iniziato giovanissimo? «Sì a 21 anni, in Groenlandia da solo. Sono sempre stato attratto dalle regioni polari. Avevo letto molti libri e soprattutto mi interessavo di eschimologia. Volevo conoscere delle popolazioni che ancora preservavano uno stato di vita primordiale e l’Artico l’ho girato tutto. Gli eschimesi della Groenlandia sono quelli che vivevano più di tutti come un tempo che non esiste più. Poi sono stato anche tra i Ciukci in Siberia. Dopo la spedizione di Amundsen (nel 1916, n.d.r) prima della rivoluzione bolscevica, sono stato il primo occidentale a raggiungerli nel ‘90 quando si era appena un po’ aperta l’Unione Sovietica.» Come è stato il primo contatto con gli eschimesi? «Mi ritengo fortunato perché ho potuto vivere un’esperienza unica. Sono partito con pochissimi soldi. A un certo punto dovevo rientrare perché non avrei potuto permettermi di rimanere un mese. Ma l’elicottero che mi doveva riprendere non è potuto atterrare per il brutto tempo. Non avendo più soldi, gli eschimesi mi hanno fatto rimanere con loro, andavamo insieme a caccia e a pesca. Ho potuto apprezzare la loro cultura. In Groenlandia non è come in Alaska dove se non hai i soldi non
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puoi fare niente. Lì veramente il denaro non conta nulla. Poi, soprattutto nell’84, quando ho fatto 250 km in kayak nel sud della Groenlandia e andavo di paese in paese lungo la costa, ho veramente vissuto proprio con loro.» Che lingua parlavate? «Avevo studiato l’eschimese.» Poi, sei anni dopo, nell’87, sei tornato in Groenlandia per la spedizione del Nord geomagnetico? «Si ma nel frattempo ho fatto altre cose: nell’82 la Groenlandia; nell’83 le isole Svalbard, che è un arcipelago a nord della Norvegia, nell’84 il Polo Nord magnetico, nell’85 l’Antartide, nell’86 l’Alaska. Ne facevo una all’anno.» Avevi già uno sponsor? «Nella prima spedizione (chiamiamola così anche se non era una spedizione ma un viaggio) dell’82 in Groenlandia ero da solo. In quel caso la CS Piumini mi diede il materiale per fare quell’esperienza. Nell’83 feci tutto a mie spese, mentre nell’84 abbiamo trovato qualcuno che ci ha dato fiducia. Nella spedizione dell’85 in Antartide, invece, eravamo un gruppo di 7 persone di 3 nazionalità diverse. Abbiamo trascorso 3 mesi in barca a vela e abbiamo raggiunto Capo Horn. E io non ero mai salito su una barca a vela. Poi ho fatto la salita del monte Scott che non era molto alto, 1.500/2.000 metri, però tutto in solitaria.» Perché tutti questi viaggi in solitaria? «Perché penso che sia tre volte più complicato che farli in più persone, Ci sei solo tu e se sbagli qualcosa puoi anche morire. Ero molto attratto da questo tipo di imprese. Poi ci sono state delle spedizioni che non aveva senso fare in solitaria e altre in cui devi dare anche un risultato allo sponsor. Perciò devi portare una documentazione fotografica, dei filmati. A volte li facevo io e consideriamo che allora non esistevano le webcam. Ho cominciato a fare le prime esperienze nell’86 con le prime Handycam Sony. Già allora sapevi che il futuro sarebbe stato il video e non il 16 millimetri, anche se poi l’ho utilizzato ma era un peso e costava tantissimo. Ad esempio in Ecuador ho girato la riduzione della Tsantsa (antico rituale delle teste rimpicciolite, n.d.r.) sia in 16 millimetri che in video. Perché ancora, nel ‘92, Canale 5 voleva la pellicola e non il video che non aveva una qualità ottimale. Ho girato sia in 16 mm che in pellicola Super 8. Ma stiamo parlando di “preistoria”. Pensa che in Alaska nell’86 il filmato l’ho girato quasi tutto in video, che ha tenuto anche a temperature basse quando invece la cinepresa si era bloccata. Fulvio Mariani nell’87 ha girato invece tutto in pellicola. Ma erano altri tempi. Siamo arrivati in Antartide con una barca a vela che non aveva il GPS: il capitano slegava il pennone e poi faceva il punto con l’orizzonte artificiale, con il sestante. Abbiamo fatto tutta la spedizione senza neanche una stufa e al ritorno la barca ha anche preso fuoco.» E la paura, come si gestisce? «Beh, la paura deve essere sempre insita nell’uomo. Se no sei un incosciente. Devi sempre calcolare il rischio, che non vada oltre quello che tu ti aspetti. Anche per quanto riguarda l’alpinismo, nessuno ti può dire se cade la valanga. Però cerchi di eliminare
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tutto ciò che può comportare un rischio. La paura è una costante ma è una cosa che fondamentalmente ti aiuta. Il panico, invece, non l’ho vissuto quasi mai. Ricordo solo una volta che avevamo fatto un campo nella giungla e un amico si è svegliato in preda a un incubo per aver sognato che ci attaccassero gli indigeni Wahorani che avevano già ucciso altre persone in quell’area (io non ci sarei mai andato, mi ci hanno portato). Sul momento c’è stato un vero panico. Poi ci sono stati anche momenti di paura ma mi è andata anche bene. D’altronde, quando fai un mestiere come questo, se vogliamo chiamarlo mestiere, va messo in conto.» Anche Felix Baumgartner, che si è buttato dalla stratosfera, in un’intervista mi ha detto la paura è un’ottima compagna, è quella che ti aiuta a non fare stupidaggini. La stessa cosa, in tempi diversi, me l’ha detta anche Marc Márquez, il campione di Moto GP: la paura è una costante, è quella che ti fa fare l’ultima staccata ma ti evita di cadere per terra e di ammazzarti... «È tutto un gioco di adrenalina. Se però per Marquez la paura è limitata a un tempo molto più compresso per me è molto più dilatata nel tempo. Ma ci deve essere sempre. Ci sono quei momenti che sono determinanti.» Secondo te oggi ha ancora senso il ruolo dell’esploratore? «No, perché non c’è più nulla da esplorare. Soprattutto per l’avvento di internet: Google Maps e Google Earth ci portano ovunque. Sicuramente l’esplorazione non ha più senso da un punto di vista geografico. Poi però ci sono altre forme di esplorazione. Penso, ad esempio, agli oceani che non sono mai stati visitati. Ma in quel caso non è più un singolo che può fare la differenza. Ora esistono anche altri modi di considerare l’esplorazione, ma secondo me sono più da uomo della strada che fa un viaggio che viene raccontato nei minimi particolari anche in televisione. Magari c’è quello che ha fatto a piedi tutta la catena himalayana, ma non c’è più nessuno - a parte Mike Horn- che abbia fatto delle imprese eccezionali. Anche perché poi c’è rimasto ben poco da esplorare.» Adesso si sta usando una chiave ecologica... «Sì, fortemente ecologica e vorrei ben sperare. Però il problema è globale.» Nei tuoi viaggi trovavi plastica ovunque come succede adesso nei fiumi o nei mari? «Per fortuna non ho assistito al cambiamento epocale che c’è stato, soprattutto nell’Artico. Se qui la temperatura è aumentata di un grado, là è aumentata di 10. Quindi dove c’erano i ghiacci ora non ci sono più. Io invece ho avuto la fortuna di vederlo come era ancora agli inizi del Novecento. Adesso invece sta cambiando completamente tutto. L’unica cosa che ti posso dire di aver visto, perché non ho fatto solo spedizioni polari, è stato in Ecuador, dove avevo letto dello scempio delle compagnie petrolifere americane tipo Amoco o Texaco e tutte quelle che prelevavano il petrolio nelle foreste ecuadoregne. Purtroppo ho visto personalmente come quello scempio fosse peggio di quello che avevano descritto. C’erano laghi
di petrolio ovunque in mezzo alla giungla e queste compagnie facevano il bello e il cattivo tempo a proprio piacimento. In Tibet, invece, quando sono tornato la seconda volta nel 2006 dopo undici anni, ho visto proprio come la presenza cinese, enorme e schiacciante, abbia oppresso sempre di più questo popolo.» Parlando di tempo, in alcuni dei tuoi viaggi sei stato in posti dove c’era il sole 24 ore al giorno. Come ti gestivi la giornata? «Il Rolex Explorer ha la lunetta con le 24 ore che ti dava sempre il riferimento. Quando ti rendevi conto che era notte andavi a dormire. Sempre con riferimento all’ora locale. Ma quello non è stato mai essenzialmente un grosso problema, anche in estate quando c’è luce tutto il giorno e il sole non cala mai.» E i tempi durante la giornata? «Devi avere dei tempi determinati. Devi camminare circa 8/10 ore al giorno, fermarti, fare il campo per il quale ci vogliono circa 2/3 ore. Poi mangi e dormi fino al mattino e poi ricominci. Però devi avere delle cadenze fisse. Non puoi andare oltre un certo limite se no il giorno dopo sei distrutto e non ce la fai.» Pericoli? «Diversi, a seconda delle spedizioni che ho fatto. Per esempio una volta nelle isole Svalbard, dove ho fatto 150 km con un cane, mi sono trovato, per passare da una parte all’altra, davanti a un dislivello di 30/40 gradi. Non avevo né ramponi né piccozza e sotto c’era il mare ghiacciato. A un certo punto sono scivolato: cadere nel mare significava morire. Ero attaccato al cane che è riuscito ad aggrapparsi non so come con le zampe al ghiaccio. Io allora mi sono levato le scarpe per fare più grip con le calze di lana e sono riuscito a saltar fuori.» Forse a volte è meglio un cane che un uomo come compagnia? «A volte sì (ride). Quando eravamo in barca a vela abbiamo litigato tutti, ma dopo tre mesi in pochi metri quadrati succede. Eravamo tre italiani con dei francesi e uno svizzero, che aveva un carattere particolare. E poi i francesi si credevano sempre al di sopra di tutti, e magari lo erano anche... Però è stata una gran bella esperienza.» Hai risalito anche dei fiumi in canoa? Un’esperienza totalmente differente... «Sì, però, a parte in Tibet, di esplorazioni sul fiume ne ho fatte poche. Secondo il National Geographic ci sono poche zone della Terra che sono rimaste non mappate e tra queste ci sono i fiumi in certe aree. Quindi, in alcuni casi, seguendo il corso di un fiume hai la possibilità di andare in posti che nessuno ha mai visto prima.» L’Explorer della tua avventura che fine ha fatto? «È andato all’asta a Ginevra da Antiquorum.» È una soddisfazione anche quella che un oggetto che tu hai usato diventi un patrimonio comune? «Assolutamente sì.»
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IL SIGNORE DEI PROFESSIONALI L’ OYSTER PERPETUAL EXPLORER II HA RAGGIUNTO IL TRAGUARDO DEI 50 ANNI DI VITA Di Giovanni Titti Bartoli Foto Andrea Chiabai “PERCHÉ IL TUO OROLOGIO ha una lancetta in più del mio?”, ero un giovane ragazzo e alla vista di quell’orologio molto particolare non seppi resistere a fare questa domanda. Oltre la lancetta delle ore, dei minuti e dei secondi c’era una quarta lancetta, anzi c’era una freccia arancione e non capivo a cosa potesse servire ma aveva attirato la mia attenzione. “Questa freccia arancione indica le ore come l’altra lancetta, ma mi dice se sono le 04.00 oppure le 16.00. Sulla lunetta ci sono impresse 24 ore, la lancetta delle ore esegue due volte il giro del
quadrante come sul tuo orologio, mentre la freccia arancione compie solo un giro e mi dice se siamo di giorno o di notte.” La risposta di quel signore aumentò ancora di più la mia curiosità e da quel giorno iniziai ad appassionarmi agli orologi professionali, come l’Explorer II studiato per gli esploratori, il Submariner per gli amanti delle profondità, il Daytona utilizzato per cronometrare le gare di velocità oppure il GMT - Master realizzato per i piloti degli aerei di linea che, nei voli transoceanici, avrebbero potuto tenere sia l’orario della città di partenza che quello della città
In questa pagina, Rolex Oyster Perpetual Explorer II ref. 216570 con le lancette a effetto “fantasma”. Nella pagina accanto, Rolex Oyster Perpetual Explorer II ref. 216570 versione RRR con rehaut inciso. Collezione Bartoli
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Rolex Oyster Perpetual Explorer II ref. 216570 con quadrante chiamato “Polar” richiamo alle imprese polari che hanno reso celebre questo modello. Collezione Bartoli
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di destinazione. L’orologio che vidi quel giorno con la freccia arancione era un Rolex Explorer II referenza 1655 che Rolex presentò nel 1971 su derivazione del GMT - Master già in uso dal lontano 1953, diametro 39 mm, lunetta fissa graduata 24 ore, datario con lente Cyclope e sfera supplementare delle 24 ore grazie al collaudato ed affidabile calibro 1575 automatico. Questa seconda sfera delle ore, che compie una rotazione completa nelle 24 ore, permetteva di conoscere inequivocabilmente se fossero ore antimeridiane o pomeridiane. Proprio per la tipologia di questa lancetta, questo modello, è conosciuto come il “Freccione”. Diventò presto uno strumento molto utile a chi fosse costretto a passare lunghi periodi in posti senza la luce come esploratori delle regioni polari, sommergibilisti, vulcanologi, speleologi, ecc. Questa referenza fu prodotta solamente con cassa e bracciale Oyster in acciaio, spallette di protezione alla corona di carica, vetro plastica, quadrante nero opaco, grafiche bianche e indici al trizio. Impermeabile fino a 100 metri. Da subito è stato compagno di imprese “no limits”, adatto ad ambienti estremi. Infatti, l’esploratore inglese Oliver Shepard, impegnato tra il 1979 e il 1982 nella Transglobe Expedition, una spedizione scientifica capitanata da Ranulph Fiennes e Charles Burton che si prefigge di visitare entrambi i poli terrestri, ha utilizzato un Explorer II che, su sua esplicita richiesta, montava quadrante e gioco sfere del GMT-Master referenza 1675 per una più facile ed immediata leggibilità. Tra gli appassionati del “Freccione” c’è sempre stata la convinzione che fosse l’orologio abitualmente usato da Steve McQueen, ma è priva di fondamento: infatti, non c’è nessuna prova che l’attore pilota l’abbia mai portato al polso. Nel 1983 Rolex presenta il nuovo Explorer II con la referenza 16550, calibro 3085 automatico, cassa e bracciale Oyster in acciaio, vetro zaffiro, diametro 40 mm, datario con lente Cyclope, lunetta fissa graduata 24 ore, sfere Mercedes. Questo modello, al posto di quelli stampati, adotta gli indici “bicchierini” che sono contornati in oro bianco con luminescenza al trizio, la lancetta delle 24 ore con regolazione indipendente è simile a quella del GMT - Master e non più il “Freccione” arancione della referenza precedente; per questo motivo sarà chiamato “Freccino”. Disponibile con quadrante bianco o nero e, per un viraggio cromatico, anche la versione “panna”, oggi molto ricercata dagli appassionati in quanto più rara delle altre versioni. Nel 1987 l’esploratore italiano Claudio Bondavalli insieme al cameraman Fulvio Mariani della televisione svizzera, raggiunse il Polo Nord Geomagnetico. Percorsero 180 Km a piedi e 530 Km su slitte trainate da cani, durante questa impresa l’esploratore era equipaggiato di un Explorer II referenza 16550 con quadrante bianco “Polar”. Nel 1989 Rolex sostituisce la referenza 16550 con la 16570 con calibro aggiornato, il 3185 automatico con riserva di carica di 48 ore, e
lunetta fissa graduata 24 ore, questo nuovo movimento permette alla lancetta delle 12 ore di muoversi in maniera indipendente con la possibilità di avere un secondo fuso orario, disponibile con quadrante bianco o nero, indici a bicchierini contornati in oro bianco e materiale luminescente al Trizio, che venne utilizzato fino alla fine del 1998 quando fu dichiarato fuori legge in quanto radioattivo e sostituito dal Superluminova che garantiva anche una durata maggiore. Con questa referenza l’Explorer II aveva la possibilità di essere equipaggiato di un bracciale Fliplock, cioè con la chiusura di sicurezza, che poi divenne di serie. Dal 2003 la referenza acquista la lettera T che indica “trous borgnes” che in francese significa “fori ciechi”, infatti spariscono i fori sulle anse della cassa. “Possiedo un Rolex Explorer II che ho ricevuto nel 1994, quando avevo già scalato tre delle vette oltre gli 8.000 metri, e avevo appena cominciato a pensare di scalarle tutte e 14. Ho indossato il mio Explorer II tutti i giorni a partire da quel momento, durante tutte le mie scalate, e continuo a indossarlo ancor oggi. In occasione dell’ascensione dell’Annapurna, l’ultima montagna della lista, sono arrivato in cima esattamente alle 14:00, me lo ricordo benissimo: avevo raggiunto la vetta nel momento perfetto per me e avevo con me il mio orologio”. Ed Viesturs (Rolex Ambassador, unico alpinista statunitense ad aver scalato tutte le quattrordici vette del mondo sopra gli 8.000 metri senza ossigeno supplementare). Nel 2011, in occasione della famosa manifestazione orologiera Baselworld, Rolex, per celebrare i 40 anni della nascita del modello, presenta il nuovo Explorer II referenza 216570. Utilizza il nuovo calibro 3187 automatico, la cassa diventa 42 mm di diametro, lunetta fissa graduata 24 ore con finitura satinata, vetro zaffiro, datario con lente Cyclope, torna la lancetta di colore arancione per ricordare il primo modello del 1971, il quadrante è disponibile nero satinato o bianco laccato, appare la scritta Explorer II in arancione. Una grande novità è l’utilizzo della sostanza luminescente Chromalight a emissioni di lunga durata. La luminescenza Chromalight sul quadrante e lancette è un’innovazione che permette una leggibilità maggiore negli ambienti con bassa luminosità. In questo caso la luminescenza è blu, mentre prima era verde, ha una durata di circa otto ore, praticamente il doppio rispetto ai materiali luminescenti tradizionali, come si leggeva sul sito ufficiale della Rolex. Una particolarità, di questa referenza nella versione con il quadrante nero, è l’effetto “fantasma” creato dalle lancette che hanno la base nera che si fonde con il colore del quadrante: sembrano galleggiare e richiamano la versione del 1971. Quest’anno l’Explorer II compie 50 anni e sono sicuro che Rolex non deluderà le aspettative degli amanti di questo modello iconico lanciando sul mercato una nuova referenza oppure una variante alle versioni già in commercio.
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Max Sirena, skipper e managing team director di Luna Rossa.
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MEZZO SECONDO FA LA DIFFERENZA «IN REGATA IL TEMPO È L’UNICA COSA CHE NON SI PUÒ COMPRARE» MASSIMILIANO “MAX” SIRENA RACCONTA LA SUA LUNA ROSSA
Di Paolo Gobbi STRAORDINARIA L’AVVENTURA di Luna Rossa, una barca, un team, che ha dimostrato delle altissime capacità tecnologiche e umane. Per la terza volta nella storia, un team italiano ha partecipato all’America’s Cup. Due i precedenti: nel 1992 con il mitico Moro di Venezia guidato da Raul Gardini con Paul Cayard al timone e nel 2002, con la prima Luna Rossa, affidata a Francesco De Angelis. Questo notevole traguardo è stato raggiunto attraverso la passione e un training ad alta intensità, ma anche grazie al supporto di una formidabile base tecnologica, radicata nelle capacità creative e ingegneristiche che sono inseparabili dalla percezione dell’identità italiana riconosciuta nel mondo. Per Panerai essere al tempo stesso Official Timekeper e marchio italiano leader della regina delle regate a supporto di un team italiano è certamente un onore ma anche un privilegio. Lavorare con Max Sirena e tutto il sailing team Luna Rossa Prada Pirelli ha permesso a Panerai di
creare una collezione di orologi dalle prestazioni superiori, ispirati alle tecnologie e ai materiali utilizzati in America’s Cup, come il Carbotech, basato sulla fibra di carbonio e noto per essere stato utilizzato per costruire il monoscafo AC755 di Luna Rossa. Proprio Max Sirena abbiamo incontrato pochi giorni prima che iniziasse la parte finale della competizione. Con le vostre regate, la vittoria nella Prada Cup, ci avete fatto emozionare. «Qui ad Auckland c’è un’atmosfera strana: non ci sono altro che neozelandesi. In passato, invece, quando uscivamo dal porto al ritorno dalla regata, c’erano migliaia di italiani. Quindi fa piacere sapere di avere risvegliato in Italia la passione per il mare e per la vela. Per la prossima sfida ce la metteremo tutta, non sarà facile ma ci proveremo, venderemo cara la pelle. Loro vanno molto forte ma andiamo molto forte anche noi. Ci sarà da divertirsi.»
Panerai Submersible Luna Rossa, subacqueo professionale impermeabile fino a 300 metri (30 bar) con cassa in Carbotech, innovativo materiale a base di fibre di carbonio introdotto da Panerai nel mondo dell’alta orologeria. Per le sue doti di leggerezza, resistenza alle sollecitazioni esterne e alla corrosione, la fibra di carbonio è il materiale utilizzato anche per la costruzione del monoscafo AC75, la cui sagoma è incisa sul fondello in titanio dell’orologio, insieme al logo di Luna Rossa e al profilo dell’America’s Cup. Costa 21.000 euro
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L’AMERICA’S CUP È LA PIÙ ANTICA COMPETIZIONE SPORTIVA DEL MONDO CONTEMPORANEO E UNA DELLE PIÙ INNOVATIVE. PANERAI È SPONSOR UFFICIALE DI LUNA ROSSA, CHALLENGER OF RECORD a PER LA 36 EDIZIONE DI QUESTA REGATA 59
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QUESTA SFIDA TUTTA ITALIANA ALLA COPPA AMERICA NON SI BASA SOLAMENTE SULLA CREAZIONE DI OROLOGI AD ALTE PRESTAZIONI, MA È RADICATA NELL’INNOVAZIONE TECNICA, NELL’ECCELLENZA ITALIANA E NELL’AMORE PER IL MARE E L’AVVENTURA, VALORI DA SEMPRE ASSOCIATI A PANERAI E CONDIVISI ANCHE DA LUNA ROSSA PRADA PIRELLI
”
Luminor Luna Rossa GMT – 44 mm (PAM01036) Cassa e lunetta in titanio con rivestimento DLC nero, diametro 44 mm, spessore 15,65 mm. Dispositivo proteggicorona Safety Lock. Vetro zaffiro ottenuto dal corindone. Fondello dodecagonale avvitato, in titanio con logo Luna Rossa, monoscafo Luna Rossa AC75 e raffigurazione del trofeo America’s Cup incisi. Movimento meccanico a carica automatica, calibro P.9010/GMT, 13¾ linee, spessore 6,0 mm, 199 componenti, 31 rubini, 28.800 alternanze/ora, bilanciere in Glucydur, dispositivo antiurto Incabloc, due bariletti. Interamente realizzato in manifattura da Panerai. Costa 10.900 euro
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IDEE
Luna Rossa sta dimostrando che l’innovazione tecnologica non ha scalfito lo spirito che è alla base di una regata: costruire un’imbarcazione più veloce e portarla meglio in mare rispetto a quelle dei rivali. È così, oppure la tecnologia ha snaturato questo sport? «L’elemento umano è importantissimo e la tecnologia non gli porta via né spazio né valore, anche perché bisogna ricordarsi che dietro a ogni tecnologia c’è sempre l’uomo: per crearla e poi utilizzarla al meglio. Queste barche non potrebbero viaggiare senza l’uomo, nemmeno il mezzo più sofisticato al mondo riuscirebbe a farlo. È sempre l’uomo che gestisce tutto ed è il modo in cui lo fa a fare la differenza. L’esempio più semplice può essere quello di un cellulare, che racchiude una tecnologia che normalmente è utilizzata al 10% rispetto alle sue reali potenzialità. La tecnologia è a disposizione di tutti ma poi dipende tutto da chi la sa usare al meglio.» Quindici anni fa Max avrebbe mai immaginato di regatare con una barca così veloce come l’odierna Luna Rossa? «Se dopo la Coppa America a Valencia nel 2007 con barche “convenzionali” mi avessero detto che da lì a 10 anni saremmo passati da 10 nodi a farne più di 50, probabilmente non ci avrei creduto. Ma lo sviluppo, la ricerca, l’innovazione e la tecnologia fanno parte del Dna della Coppa
America. Era arrivato il momento di fare un profondo cambiamento: le barche erano molto belle ma erano lente e parallelamente invece la tecnologia “nel mondo” avanzava. Ne facevamo un utilizzo di “routine”, mentre nel nostro sport, specie ad alto livello, quando inizia a mancare un po’ di eccitazione o la voglia di andare sul mezzo, vuol dire che c’è un serio problema. La Coppa America aveva bisogno di questa transizione. È un po’ come se un pilota di oggi di Formula Uno andasse su una macchina degli anni ‘70: dopo un po’ si stancherebbe perché vuole andare più forte.» Il tempo nella partenza in bolina torna ad essere protagonista. Come riuscite a scandire i secondi per arrivare con la massima precisione sulla linea di partenza evitando le penalità? «Abbiamo un software a bordo con una schermata che ci dà la posizione delle boe e la linea di partenza. Su questo monitor non vedi però l’avversario ma solamente la tua barca all’interno del box di regata. La partenza è una fase importante, dove il tempo è fondamentale: devi partire allo 0, né a -1 né a +1. La partenza perfetta è quando parti a -0.5 secondi dentro la linea, che vuol dire un po’ meno di un metro dalla stessa: quando parti a un metro dentro una linea con una barca che fa 40 nodi vuol dire che hai spinto tanto alla partenza.»
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L’orologio è importante? «Assolutamente fondamentale. È uno strumento di lavoro e non semplicemente un oggetto bello da portare al polso e che ti dice che ora è. C’è un detto in Coppa America che ne esprime bene la sua essenza: “l’unica cosa che non si può comprare è il tempo”. Che poi vale anche nella vita in generale. Il tempo non lo compri e devi saperlo usare al meglio. Io per esempio indosso il Regatta: mi piace controllare quello che sta facendo la barca anche quando facciamo le simulazioni di partenza. Certo, poi abbiamo anche sistemi molto più complicati però l’orologio è uno degli oggetti che tutti noi velisti portiamo al polso in regata, perché rappresenta proprio uno strumento di lavoro.» Rimaniamo su Panerai. La sua collezione dedicata a Luna Rossa è piena di contenuti tecnologici ed emozionali. C’è anche qualcosa di suo, del team, nella realizzazione di questi orologi? «Premesso che io sono un appassionato di orologi fin da piccolo, Panerai rappresenta esattamente quello che cercavamo per Luna Rossa: un marchio italiano, famoso a livello mondiale, con una storia importante. Per questo motivo, quando ho incontrato Jean-Marc Pontroué (n.d.r. Ceo della Casa fiorentina), che tra l’altro era da poco entrato in Panerai, a Porto Santo Stefano durante una regata di barche d’epoca, gli ho espresso quello che per me era fondamentale: che la nostra non
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fosse solo un’operazione di marketing o di normale sponsorizzazione ma che ci fosse qualcosa di “vero” dietro. Fortunatamente anche lui aveva la mia stessa visione e abbiamo iniziato a costruire un progetto insieme. C’è stato un grande scambio con l’engineering del brand, sia di informazioni che di tecnologia. Allo stesso tempo abbiamo voluto creare un prodotto insieme a Panerai che raccontasse realmente Luna Rossa, non solo semplicemente mettendogli il nome sopra. Ad esempio il fondo è fatto con le vele della nostra barca, mentre per la cassa in carbonio sono stati utilizzati pezzi provenienti dalle stesse lavorazioni dello scafo. C’è stato uno scambio di tecnologie e idee ma soprattutto abbiamo realizzato un prodotto insieme, studiato nel minimo dettaglio. Anche semplicemente la grafica. Sono felice che ci sia stata questa partnership al di fuori dell’aspetto puramente commerciale.» Durante la gara sentite la pressione del tempo? Vorreste che accelerasse oppure, al contrario, vorreste avere in alcuni momenti, qualche secondo in più? «Quando sei dietro vorresti avere sempre più tempo (ride). È lo sport: devi crearti tu il tempo giusto per essere davanti: fa parte non solo della regata ma anche della fase di progettazione e di sviluppo della barca. Vorresti sempre avere più tempo ma, come dicevamo, non si può comprare. Devi essere perciò bravo a fare un programma e soprattutto a rispettarlo.»
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Panerai Luminor Luna Rossa Regatta - 47 mm (PAM01038) Costa 23.500 euro
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BREITLING
IL FILO CHE DIVENTA ECOLOGICO RICICLO E SOSTENIBILITÀ SONO ALLA BASE DELLA PARTNERSHIP TRA BREITLING E OUTERKNOWN, MARCHIO DI ABBIGLIAMENTO DAL RIDOTTO IMPATTO AMBIENTALE
Di Carlo Brighi
SEMPRE PIÙ SPESSO anche nel mondo del lusso e degli orologi si parla di sostenibilità ambientale, di sviluppo nel rispetto del pianeta. La coscienza ecologica, la riduzione dell’impatto sull’eco-sistema, è ormai ai primi posti nelle preoccupazioni di molte marche non solo a parole ma anche con azioni concrete, tra numerose iniziative green in termini di materiali riciclati, responsabilità dei processi produttivi, certificazioni
e attività di salvaguardia dell’ambiente. L’orologeria sostenibile e consapevole è diventata una realtà a tutti gli effetti grazie anche a un potere di acquisto che vede sempre più coinvolte le nuove generazioni di millenial, molto attente all’impatto ambientale e sociale dei loro acquisti, alla ricerca perciò di marche che possano condividere questi valori. Tra quelle che fanno della sostenibilità uno dei propri obiettivi c’è sicuramente Breitling,
In queste pagine il surfista statunitense Kelly Slater, campione del mondo per 11 volte, sponsorizzato dalla Quiksilver dal 1999, è considerato una vera leggenda vivente. Apparso anche nel popolare serial televisivo Baywatch, è il surfista che ha vinto più titoli e contest individuali in assoluto ed è l’unico atleta dell’ASP world tour ad essere stato il più giovane campione del mondo di surf nel 1992 a 20 anni e successivamente il più vecchio nel 2011 a 39 anni.
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Breitling Superocean Heritage ‘57 orologio nato in collaborazione con Outerknown, azienda produttrice di abbigliamento sostenibile co-fondata dal surfista Kelly Slater. Il cinturino Nato è realizzato in Econyl, un materiale proveniente da nylon di scarto riciclato dalle reti da pesca. Costa 4.120 euro
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Si comincia con il recupero e la pulizia dei rifiuti in nylon provenienti dalle discariche e dagli oceani di tutto il mondo. I rifiuti vengono rigenerati attraverso un processo unico al mondo. Nasce così il nylon Econyl.
ECONYL IL FILO INFINITO Il sistema di rigenerazione Econyl trasforma quello che era un rifiuto, come le reti da pesca, i vecchi tappeti e gli scarti di produzione tessile, in una nuova fonte di opportunità. Il nylon Econyl ha le stesse caratteristiche qualitative del nylon da fonte primaria, ma un impatto ambientale molto minore.
Il nylon Econyl viene trasformato in un filato per l’industria dell’abbigliamento, dei tappeti e della pavimentazione tessile. Il nylon rigenerato Econyl è riciclato all’infinito, senza mai perdere le sue qualità.
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attiva nel mondo green con un impegno fattivo nella salvaguardia degli oceani. A partire dalla partnership con Ocean Conservancy, un’organizzazione non governativa in prima linea nella lotta globale a favore di oceani salubri e spiagge pulite, incentivando programmi di pulizia dei litorali in tutto il mondo e lavorando in stretta collaborazione con esperti per riciclare i rifiuti raccolti nei modi più efficaci ed ecologicamente responsabili. Proprio l’idea dell’utilizzo di materie prime riciclate, per abbandonare qualsiasi tipo di lavorazione ad alto impatto ambientale, è alla base della collaborazione siglata con Outerknown, marchio di abbigliamento etico fondato dal surfista americano Kelly Slater. Slater è una vera e propria leggenda della tavola tra le onde: “The King”, il re, si è laureato per ben 11 volte campione del mondo (l’undicesimo titolo, nel 2011, è arrivato che aveva 39 anni, il primo invece a soli 20). Da icona del surf a celebrity televisiva (sul piccolo schermo nella famosa serie tv “Baywatch” ha interpretato – ovviamente – un surfista, a fianco della prosperosa bagnina Pamela Anderson), Slater è diventato in seguito un imprenditore responsabile, mettendo a frutto il suo costante impegno nella conservazione degli oceani e della biodiversità marina: “Nel corso degli anni, ho sognato di sviluppare un marchio che combinasse il mio amore per un modo di vivere clean, la responsabilità e lo stile”. Il brand Outerknown, fondato insieme al designer John Moore sotto l’egida del gruppo Kering, è nato infatti con l’obiettivo di esplorare la relazione tra stile e sostenibilità, realizzando capi di abbigliamento dal design funzionale e dal ridotto impatto ambientale, che impiegano materiali riciclati recuperati dagli oceani, come le reti da pesca. La collaborazione con Breitling è stata anche una conseguenza logica e naturale, visto che Slater, insieme alle surfiste australiane Stephanie Gilmore e Sally Fitzgibbons, è uno dei membri della Breitling Surfer Squad, un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune lavorando in squadra: in questo caso la salute del mare, degli oceani e delle spiagge. Il nuovo frutto orologiero della collaborazione con Outerknown è il subacqueo Superocean Heritage ’57, terzo modello di una fortunata serie inaugurata già nel 2018. Perché se è vero che il binomio più scontato nell’immaginario collettivo è quello di Bretiling con i cieli e il mondo dell’aviazione, è pur vero che anche nella modellistica diver la marca ha detto la sua fin dagli anni Cinquanta, come dimostra la longevità di un esemplare come il Superocean, ancora oggi uno dei suoi orologi più emblematici. A caratterizzare anche questa nuova versione Outerknown a basso impatto ambientale è l’adozione di un cinturino Nato, nato in collaborazione con il brand di Slater e realizzato in filo Econyl. Si tratta di un materiale prodotto dal nylon di scarto riciclato, in parte proveniente da reti da pesca abbandonate o smarrite. I rifiuti di nylon recuperati vengono elaborati attraverso un sistema di rigenerazione all’avanguardia: le reti vengono scomposte, combinate con altri tipi di rifiuti pre e post-
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consumo e il filato risultante viene poi convertito nei tessuti di nylon impiegati dall’azienda anche nei suoi capi di abbigliamento. Più che un processo di riciclaggio, si tratta propriamente di un processo di rigenerazione circolare: il nylon può essere scomposto e rinascere in un nuovo filato all’infinito, senza alcuna perdita di qualità e per fabbricarlo non viene estratta neanche una goccia di petrolio. Un risultato notevole se consideriamo che il 70% dell’impatto ambientale di un’azienda è causato proprio dalle materie prime. A produrre questo avveniristico filato è un’azienda italiana, la Aquafil di Arco, in provincia di Trento, che nasce da una geniale intuizione di Giulio Bonazzi, attuale Presidente e Ceo. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) e l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), ci sono attualmente più di 640.000 tonnellate di reti da pesca abbandonate negli oceani che causano il problema della “pesca fantasma”: rimaste alla deriva, le reti abbandonate catturano balene, tartarughe, uccelli e altri animali marini uccidendoli. “Georges (Kernes, CEO di Breiling, n.d.r.) e il suo team - ha dichiarato Slater - hanno dimostrato di condividere con noi la stessa passione per mantenere puliti oceani e spiagge. Inoltre, creare orologi con i cinturini in filo Econyl da noi progettati con Breitling è un bel messaggio e il nostro emblema in nome di un ambiente più salubre nelle fasi di sviluppo dei prodotti”. Se poi al basso impatto ambientale aggiungi un’estetica accattivante e un’ottima fattura si può dire che la quadratura del cerchio è perfettamente riuscita. Perché “riciclato” non è sinonimo di qualità o stile grossolano, non adatto a un prodotto di alto livello: il cinturino Nato Outerknown montato sul Breitling Superocean è invece bello da vedere, confortevole al polso, molto ben rifinito e lavorato, curato nei dettagli. I fili sono lisci e i colori vividi. E nel caso di questa versione, dall’appeal retro in cui domina la nuance del bronzo, la scelta cromatica si è indirizzata su una bella tonalità marrone con strisce di colore nero. L’orologio è disponibile in due versioni: tutta in acciaio o in acciaio con la ghiera girevole in oro rosso, in questo caso in edizione limitata a 500 esemplari. Per entrambi i modelli il quadrante è color bronzo con indici sovradimensionati e lancette luminescenti, la ghiera è dotata di anello in ceramica nera resistente ai graffi e agli urti con punto centrale al 12 luminescente e il movimento è il calibro automatico Breitling 10, che garantisce una riserva di carica di circa 42 ore ed è certificato cronometro dal Cosc. Sul fondello è inciso il logo Outerknown. I cinturini Outerknown possono essere montati su qualsiasi orologio Breitling perché la collaborazione tra i due marchi ha portato alla realizzazione già dal 2019 di un’intera collezione di cinturini innovativi e coloratissimi in Econyl, realizzati in una gamma di 6 vivaci tonalità, a cui si aggiunge ora la nuova nuance marrone montata su questo nuovo modello. Le fibbie e i passanti sono disponibili in due finiture: acciaio inossidabile e acciaio inossidabile con rivestimento DLC nero. E in quattro diverse opzioni di dimensioni che vanno da 18 a 24 millimetri.
ESPLORAZIONI
Il Superocean Heritage ‘57 Outerknown, impermeabile fino a 100 metri, è disponibile in acciaio o in acciaio (4.120 euro) con lunetta in oro rosso (4.950 euuro), in questo caso in edizione limitata a 500 esemplari.
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DAVIDE CERRATO
POST TENEBRAS LUX L’orologeria come tutto il lusso vive un momento di grande difficoltà. Non voglio entrare nei dettagli della crisi economica che stiamo vivendo, voglio concentrarmi invece sul dopo, sulle condizioni della ripartenza e sugli asset che la permetteranno. L’orologeria ha vissuto delle ere aziendali molto intense. Siamo passati attraverso l’era della Manifattura a tutti i costi e del premio assoluto della tecnica, con una costruzione isterica di impianti e manifatture orologiere fino all’eccesso di capacità che il mercato stenta oggi a digerire e che non verrà forse mai veramente utilizzato. Al di là delle pressioni paventate e mai realizzate di una fornitura interrotta da parte di ETA, l’illusione di una potenza totale data alla tecnica e di un’importanza vitale dei movimenti di manifattura nei segnatempo ha dimostrato essere più un fantasma degli ingegneri che una vera richiesta dei clienti. La prova del nove, l’arrivo degli smartwatch che hanno ormai preso una quota di mercato e di desiderabilità sempre più importante e messo in ginocchio tutto il segmento accessibile dell’orologeria meccanica. L’era successiva è stata quella del primato totale dato alla vendite cavalcando la ripresa folgorante che ha seguito la crisi finanziaria del 2008 e la vera esplosione del mercato e dei turisti cinesi. Il risultato è un eccesso di stock presso i dettaglianti, una focalizzazione totale su azioni tattiche a non su strategia a lungo termine, aperture di boutique monomarca a “go-go” e soprattutto un’omologazione terrificante a livello prodotto, con la copia sistematica di tutto quello che funziona eretta ad arte ed un impoverimento globale di creatività mai visto prima. La crisi economica che stiamo vivendo ha accelerato i problemi esistenti e ha portato
ad una caccia ai costi senza fine. Cosi niente più saloni, niente più eventi, investimenti in Marketing e Comunicazione ridotti al minimo. La riduzione dei costi in periodo di forte crisi è un’evidenza economica ma un’altra evidenza è che, per esistere nella mente e nei desideri dei clienti, una categoria deve proporre approcci creativi, far sognare, sorprendere, creare desiderio, mantenere viva una discussione e uno scambio appassionato, ascoltare e partecipare. Ed eccoci, dunque alla terza era, quella a venire: l’era de Design. Solo le marche che sapranno reinvestire massivamente nel Design si equipaggeranno degli strumenti utili a ripartire dopo la crisi. La creatività sarà il vettore principale per uscire dalla crisi e il Design ne sarà lo strumento. Un Design ispirato alla storia delle marche e alla loro identità unica ma anche proiettato nel futuro. Un Design alla ricerca professionale di nuovi segni, di nuovi materiali, di nuove complicazioni o funzioni, inclusivo dei temi della trasparenza e della sostenibilità, un design olistico e che ispira tutta l’attività aziendale. Un Design che mostra la sua intelligenza come attività di sintesi e di espressione a 360 gradi del valore di una marca. Un Design che sarà capace di ridare desiderabilità, sensualità, lucidità, utilità, intemporalità ai segnatempo meccanici. Un nuovo valore ricco e complesso ben al di là delle speculazioni borsiere di rivendita al doppio, triplo o multiplo del prezzo boutique a causa della scarsità pilotata. E i professionisti del Design e i CEO che ne sono gli artigiani, saranno gli attori di questo cambiamento fondamentale di paradigma, di questo rinascimento della creatività e dell’orologeria.
Davide Cerrato aka The Design Kid, è un alchimista creativo con una grande passione per le auto e il mondo del vintage. Membro della GPHG Academy e dell’Horological Society di New York, innovatore rivoluzionario e pensatore strategico, è specialista in design e marketing digitale. Black Bay e Geosphere le sue creazioni più conosciute tra gli appassionati delle lancette.
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A. L ANGE & SÖHNE
«HO SEMPRE AMATO GLI OROLOGI» WILHELM SCHMID RACCONTA IL MIRACOLO DELL’ALTA OROLOGERIA TEDESCA
Di Paolo Gobbi
UNO DEGLI UOMINI più interessanti e seri del panorama orologiero odierno, Wilhelm Schmid, guida uno dei marchi più amati e ricercati dai grandi appassionati: A. Lange & Söhne. Lo abbiamo intervistato a qualche giorno dall’apertura di Watches & Wonders.
Iniziamo con il vostro modello oggi sugli scudi, l’Odysseus: ci dice il primo feedback di questa nuova collezione sportiva? «Come ben sapete, abbiamo lanciato la prima versione, quella in acciaio, il 24 ottobre del 2019. Immediatamente si è acceso un appassionato dibattito sul suo gradimento e gli appassionati si sono divisi tra i favorevoli e i contrari. Di una cosa sono certo: non potremo mai creare un orologio che piaccia a tutti, ma d’altronde non è quello che vogliamo. Non ho problemi ad accettare il fatto che a qualcuno possa non piacere il suo design, ma sono stato altrettanto chiaro che lo stesso sarebbe dovuto “essere” incontrovertibilmente un A. Lange & Söhne, fino all’ultimo dettaglio. Questa è la nostra missione.»
Dovete essere molto sicuri del vostro lavoro, se accettate così le critiche. «Lo siamo. Devo anche ammettere, mio malgrado, che molti dei primi “non mi piace” si sono poi trasformati in “mi piace molto” e questo dimostra che spesso anche i giudizi più severi, quando sopraggiunge la consapevolezza di quello che si valuta, possono cambiare radicalmente.» Quindi le vendite sono decollate o no? «Le richieste, sia per la versione in acciaio che in oro, sono quotidianamente in salita. Ma, soprattutto, crescono più in fretta rispetto alla capacità di produzione e questo credo sia il segnale più forte.» Qual è il suo Progetto per l’Odysseus? Lo crede un orologio elitario oppure, in futuro, uno dei leader nel segmento degli sport-watch? «Come ben sapete, noi produciamo solo poche migliaia di pezzi l’anno e non abbiamo alcun programma per farli diventare “decine di migliaia”. La nostra produzione per questo modello non
LANGE 1 CALENDARIO PERPETUO Questo orologio si concentra completamente sull’omonima complicazione. La sua integrazione nello straordinario design del LANGE 1 è stata resa possibile da un anello dei mesi periferico appositamente sviluppato. Il nuovo modello è disponibile in oro rosa con quadrante in argento grigio oppure – limitato a 150 pezzi – in oro bianco con quadrante in oro rosa massiccio. Tra le peculiarità, spicca l’indicazione della fase lunare con indicazione giorno/notte integrata.
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Wilhelm Schmid, CEO A. Lange & Söhne.
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sarà di molte unità, non c’è alcuna intenzione di raggiungere i numeri che probabilmente osserviamo guardando quelli dei nostri competitor. Non è mai stato l’obiettivo di questo orologio e mai lo sarà.» Il fatto che non sia facile trovare l’Odysseus nelle vostre boutique, non è da assoggettare ad una strategia commerciale, ma ad una pura e semplice necessità costruttiva? «Si tratta esclusivamente di questioni legate alla capacità produttiva. Abbiamo lanciato il modello ad ottobre 2019, abbiamo attraversato la fase di “stabilizzazione” del prodotto ed infine è arrivato il Coronavirus, il quale ci ha fortemente destabilizzati per sei mesi. Fornitori chiusi, le nostre sedi di produzione con personale insufficiente, dipendenti in quarantena. Praticamente ci siamo ritrovati a gestire molte incertezze e questo di certo non è stato il massimo. Le richieste sono arrivate, ma noi non abbiamo potuto soddisfarle. Al momento, la situazione è nettamente migliorata. Siamo quasi tutti rientrati in sede e quindi lavoriamo praticamente a pieno ritmo. In ogni caso, quello che arriva in boutique è già destinato ad una lista di clienti in attesa. Il nostro obiettivo è quello che nelle boutique ci sia sempre almeno uno dei due modelli, così i futuri proprietari, che non potranno acquistarlo in quel preciso momento, potranno avere la gioia di provarlo al polso. In definitiva, confermo che si tratta di capacità di produzione e non di marketing. Non intendiamo affatto cambiare il ritmo, bensì procediamo in maniera stabile ed organizzata.» Quanto tempo è necessario per “costruire” materialmente un Odysseus? «Si tratta della domanda più difficile in assoluto. Se vedeste il nostro processo di produzione… Naturalmente non procediamo mai con un singolo pezzo, bensì gestiamo lotti di componenti per poi procedere all’assemblaggio. Inoltre, come per qualsiasi movimento Lange, il doppio assemblaggio richiede molto tempo, lo stesso impiegato ad esempio per un Lange 1. Non si tratta di un movimento banale, pensato per una produzione di massa.» Ci sono anche dei limiti “fisici” per il lavoro manuale? «Assolutamente sì. Un orologiaio può lavorare concentrato otto ore al giorno, a volte possono arrivare forse anche ad un massimo di nove ore, ma non in maniera permanente, perché si tratta di un impegno che richiede un alto grado di concentrazione e cura.» Non deve essere facile per lei gestire una produzione così complessa e con numeri così ristretti. «Sì, ma preferisco seguire questa linea piuttosto che avere più orologi e meno clienti.» Quali sono i motivi per i quali un appassionato dovrebbe scegliere l’Odysseus piuttosto che un modello della concorrenza? Come per esempio, un Royal Oak, un Nautilus oppure un Overseas? «Si tratta di ottimi orologi, tutti sul mercato da tanto tanto tempo, pertanto chi sono io per suggerire quale scegliere? Parlando agli appassionati del Lange, non riesco a quantificare le volte che nel passato mi hanno detto “indosso l’orologio tutta la settimana, ma quando arriva il week end o durante le festività ho paura e non voglio indossare
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Il Lange 1 Calendario Perpetuo ha una cassa con diametro di 41,9 millimetri e un’altezza di 12,1 millimetri ed è disponibile in due versioni: in oro rosa con quadrante in argento massiccio grigio, e in un’edizione in oro bianco limitata a 150 esemplari con quadrante in oro rosa massiccio. Le lancette e le applicazioni in oro rosa o oro rodiato, coordinate tra di loro e luminescenti nella versione in oro rosa, completano l’armonioso design. La versione in oro bianco è dotata di un cinturino in pelle marrone scuro, il modello in oro rosa di un cinturino in pelle marrone rossiccio.
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orologi in metallo prezioso. Gioco con i miei ragazzi, parto, mi trovo in particolari situazioni ambientali”. Quindi ecco il motivo del modello, costruito come risposta alle richieste dei nostri clienti.» Cambiamo argomento. Lei è il grande vecchio tra tutti i ceo del gruppo Richemont: onore oppure onere? «Non è che mi faccia tanto piacere sentire la parola Grande, preferisco Senior. Battute a parte: mi piace molto lavorare con i miei colleghi, molti ci sono da tanto tempo, come Jean-Marc Pontroué di Panerai, Cristoph Grainfer-Herr di IWC e Chabi Nouri di Piaget, che ormai conosco bene. Ma io mi focalizzo nel dirigere la mia Maison nel miglior modo possibile e non mi vedo come il saggio del gruppo.» Negli anni ’90 tutti gli uomini dell’orologeria, me compreso, all’idea della rinascita dell’alta orologeria a Glashütte, pensarono: impossibile realizzare modelli di alto livello in Germania. La storia ci ha raccontato qualcosa di diverso. «Sì. Siamo sempre stati molto chiari sul fatto che i movimenti sono completamente “nostri”. Non produciamo i rubini, pertanto li dobbiamo acquistare dai fornitori specializzati presenti sul mercato. Non produciamo casse, come già saprete, non lo abbiamo mai fatto. E come già detto prima, produciamo poche migliaia di pezzi l’anno. Per alcuni componenti bisognerebbe investire sull’attrezzatura e sul personale qualificato, pagando un costo non giustificato rispetto al risultato. Per questo motivo preferiamo collaborare in modo molto stretto con fornitori di altissimo livello. Le casse non sono componenti che vogliamo produrre. Per quanto riguarda il resto, come lo sviluppo, il design, il movimento e i suoi pezzi è tutto realizzato in Glashütte dai nostri sviluppatori, costruttori e designer. Se poi ci addentriamo nel processo di manifattura, aggiungerei i nostri orologiai.» Il giovane Schmid avrebbe mai immaginato di diventare il ceo di un marchio storico dell’alta orologeria? (sorridendo) «No!» Cosa immaginava quando era giovane? «Ho sempre amato gli orologi. Ho comprato il mio primo modello importante all’età di 17 anni. Ricordo le prime riviste specializzate in orologeria, uscite in Germania nel 1989, erano dei trimestrali. Sono sempre stato attratto da questo mondo, era il mio hobby, la mia passione. Inoltre, ero anche appassionato di auto. Se mi avessero detto che sarei diventato CEO di A. Lange & Söhne e che mi sarei trasferito nella Germania orientale, avrei risposto: “Sei matto”. Ma così è la vita. Tu sei convinto di avere un piano, ma lassù c’è qualcuno che decide per te.» Come lo vede il suo futuro? «Mi sento ancora giovane nello spirito. Mi piace andare a lavorare, ogni giorno. E fino a quando mi sentirò così, farò tutto nel migliore dei modi e farò tutto quello che mi darà gioia. Non riesco a pensare a nessun’altro lavoro se non a quello che ho ora. E conto di farlo il più a lungo possibile, fino a quando sarò in grado di dare il mio contributo in Lange. Poi, dopo, spero di impiegare il mio tempo nella maniera più utile. Per ora, sono felice dove sono.»
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La situazione sociale odierna ha cambiato il modo e i tempi di indossare l’orologio. Non si tratta più di esibire, quanto invece di instaurare un rapporto intimo con il proprio segnatempo: guardo il mio orologio, ma lo faccio da solo e lo faccio perché mi piace. «Innanzitutto, concordo in pieno. Il mercato offre segmenti diversi, per clienti diversi. Ci sono persone che acquistano l’orologio o un altro prodotto di lusso per dimostrare la loro importanza sociale, altri invece acquistano l’orologio o altri prodotti di lusso perché ne apprezzano la manifattura. Anzi, oserei dire che anche il loro approccio è diverso: apprezzano ancora di più se il mondo circostante non riconosce il prodotto immediatamente. Direi che noi ci rivolgiamo più a quest’ultima categoria, piuttosto che alla prima.»
Quest’anno esporranno anche Rolex, Patek Philippe, Bulgari… «Sì.»
Quindi si può dire che la situazione per Lange non è poi così cambiata, visto che crea per le persone e non per esibire oggetti come status symbol sociale. «No… ma direi che in verità non siamo cambiati da 30 anni a questa parte. O comunque, non abbiamo cambiato i nostri valori. Oggi abbiamo introdotto Odysseus, che per noi è una grande innovazione. Dieci anni fa abbiamo presentato Zeitwerk, un altro modello per noi iconico. Certo, si va verso un mondo sempre digitale e oggi il cliente può chiamarci e ordinare un orologio al telefono. Quindi, tutto sommato, noi abbiamo cambiato alcuni aspetti esterni, di comunicazione, ma non abbiamo mutato il nostro modo di produrre, disegnare, concepire gli orologi e la nostra cura nei dettagli. Tutto questo non lo vogliamo cambiare, perché sono i motivi per cui gli appassionati ci amano. Ma, ripercorrendo gli ultimi 10 anni, se penso agli altri aspetti allora sì, dico che di cambiamenti ce ne sono stati. E sicuramente ce ne saranno altri ancora nel futuro.»
Nel futuro di Watch & Wonders la presenza non sarà prevista oppure si tornerà a una dimensione tradizionale? «Domanda difficile. Io rappresento un partecipante, non sono nell’organizzazione. C’è indubbiamente una gran voglia di esserci. Una volta che si potrà, sarei molto sorpreso di vedere il contrario. Tutti non vedono l’ora di poter partecipare, hanno tutti il desiderio di tornare all’interazione: siamo esseri sociali e desideriamo il contatto. Speriamo quindi che potrà avvenire prima piuttosto che poi.»
Si vedono sempre più vendite online.Voi state cambiando qualcosa nella distribuzione oppure continuerete a seguire la vostra strada? «La nostra strategia si è sempre focalizzata sulla presenza diretta nei luoghi d’eccellenza. Non ci troverete mai nei duty free. Abbiamo le nostre boutique e serviamo per primi i nostri clienti locali. Questo ci ha consentito di lavorare in questi tempi così impegnativi senza sostanzialmente dover mutare il nostro sistema commerciale.»
Rappresentano un valore aggiunto per il salone oppure un pericolo? «Ammetto di essere un grande fan dell’orologeria. Quindi non c’è idea più bella che vederli tutti insieme uniti nello stesso luogo. Da anni non andavo più a Basilea, mi ero abbastanza stufato. Non riuscivi a vedere nulla, assomigliava più a un bazar cinese. Ora che invece so che potrò vederli tutti insieme, sarà bello! So che succederà l’anno prossimo. Non la vedo come una minaccia: nella competizione bisogna raccogliere tutte le sfide, ed è quello che faremo.»
Molti collezionisti amano gli orologi A. Lange & Söhne, che abbiamo visto venduti anche all’asta con ottimi risultati. Crede che la vostra passata produzione, i pezzi vintage rappresentino un valore aggiunto? «Non si possono produrre orologi concepiti per durare in eterno e non tenere in considerazione i modelli del passato. Abbiamo molti collezionisti che hanno iniziato qualche anno fa e sono tutti interessati ai primissimi modelli. Credo sia naturale. Non è solo la collezione attuale ad interessare. Non è una moda.»
Watches & Wonders a Ginevra. Ci siamo quasi. Quest’anno sarà totalmente tutto in digitale. «Come l’anno scorso!»
Acquistare un Lange è un investimento? «La storia ci insegna che si compra prima di tutto quello che è di nostro gusto, quello che desideriamo. Nel nostro caso, quello che acquisti manterrà il suo valore in futuro. Certo, non c’è garanzia, quindi un collezionista non acquista sulla base dell’investimento. Io spero sia sempre la seconda o la terza motivazione. Colui che investe appartiene a un’altra categoria. Il collezionista è motivato dalla passione e pensa sempre al prossimo modello da possedere.»
Cosa si aspetta in termini di marketing e comunicazione? «Questa volta abbiamo molto più tempo per prepararci, rispetto alla volta precedente. Inoltre, un’altra grande differenza è data dal fatto che la gente è già preparata e quindi accetta il cambiamento. L’anno scorso tutto era una novità, non si sapeva quanto sarebbe durato e si affrontava tutto in digitale perché farlo diversamente non era semplicemente possibile. Ora invece ci siamo tutti adeguati e cambiati.»
Oggi, molte boutique indipendenti o di vostri competitor hanno un loro angolo dedicato al secondo polso. Cosa ne pensa? Crede possa essere un modo per avvicinare il pubblico giovane al mondo della bella orologeria? «Quando dice “giovane” penso immediatamente ad un pubblico che non ha ancora le risorse economiche per poter acquistare un nuovo orologio importante. Nel portfolio Richemont abbiamo watchfinder.it, un sito specializzato proprio nelle vendite di orologi di secondo polso.
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FASE LUNARE CON INDICAZIONE GIORNO/NOTTE La combinazione di fasi lunari e indicazione giorno/notte è strutturata su due livelli. È composta da un disco del cielo in oro massiccio con una sfumatura di colore blu che ruota attorno al proprio asse una volta ogni 24 ore. Su questo sfondo, in oro bianco o rosa, a seconda della versione, la luna passa attraverso il periodo di rivoluzione sinodica di 29 giorni, 12 ore, 44 minuti e 3 secondi con una precisione tale da richiedere la correzione di un giorno dopo 122,6 anni. Nell’indicazione combinata, realizzata per la prima volta nel 2016 nel Lange 1 Fase Lunare, la luna si trova di giorno sullo sfondo di un cielo monocromatico celeste e la sera su un cielo stellato blu scuro.
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BULGARI
LAVORARE SULLE EMOZIONI «ABBIAMO CAPITO CHE CI SONO CLIENTI DIVERSI CHE HANNO ESIGENZE TOTALMENTE NUOVE» FABRIZIO BUONAMASSA SI RACCONTA
Di Paolo Gobbi TUTTI PENSANO che il designer sia una sorta di estroverso sognatore, che immagina degli oggetti futuribili che poi qualche ingegnere renderà utilizzabili. La realtà è ben diversa. Il designer è l’unico elemento determinante tra il prodotto e il suo utilizzatore, tra il produttore e il mercato, tra l’idea e la materia. Il designer è un uomo con i piedi ben piantati in terra, che semplifica e rende più bella la vita di chi poi andrà tutti i giorni ad indossare (in questo caso) il suo orologio. Fabrizio Buonamassa, che per inciso non si considera un watch designer, è in Bulgari dal 2001 e ne dirige il design center a Neuchâtel dal 2007.
Bulgari non si è mai fermata in questi mesi... «L’anno scorso siamo stati costretti a chiudere la manifattura per un certo periodo. Successivamente ci siamo organizzati in modo diverso, con dei turni e facendo in modo che la produzione andasse sempre avanti. Per quanto riguarda la parte
creativa o gli uffici, con zoom si riesce a fare quasi tutto. I prototipi però li devi vedere e toccare fisicamente.» Secondo te, in questo periodo, è cambiata la maniera di pensare gli orologi? «È chiaro che ti fai delle domande diverse: ma quando tutto questo finirà, il cliente cosa cercherà? L’impressione è che ci sarà una specie di “dopoguerra”. Ci sarà un fermento, una voglia di divertirsi e di fare dopo un anno e più in cui siamo stati “rinchiusi”. Però è ovvio che nel frattempo delle cose sono cambiate. Penso ai mercati che vivevano di un acquisto un po’ forsennato da parte di clienti asiatici, che hanno sofferto perché gli asiatici sono rimasti a casa.» I mercati stanno trovando un nuovo equilibrio? «Il travel retail, ad esempio, non esiste più perché gli aeroporti sono sostanzialmente vuoti. Allora
SERPENTI SPIGA Traendo ispirazione da un orologio vintage del 1957 con cassa e quadrante quadrati e un bracciale avvolgente a costruzione modulare, quest’ultima interpretazione di Serpenti arricchisce la collezione come vero e proprio capolavoro di artigianato, incarnando audacemente tutto quello che un orologio-gioiello può essere. Come nuovo volto di Serpenti, il design di queste creazioni innovative intreccia l’elegante motivo matelassé all’arte orafa e all’eccellente vestibilità emblematica del segno, per un risultato che sprigiona tutto il potere di seduzione di Serpenti.
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Fabrizio Buonamassa Stigliani, Product Creation Executive Director Bulgari Horlogerie
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devi riadattarti e riorganizzarti. Abbiamo venduto molti orologi sulla piattaforma online, anche modelli che prima non abbiamo mai venduto usando questo mezzo. Ti rendi conto che ci sono clienti diversi che hanno esigenze totalmente nuove.» Le vendite online sono aumentate? «È vero, si è comprato tanto online in questo momento, ma prima o poi si ritornerà nelle boutique. D’altra parte è anche vero che ci saranno delle persone che ormai hanno ricevuto questa sorta di imprinting dell’acquisto da casa, per cui ci vorrà più tempo per ritornare all’esperienza di shopping come era prima. Quindi, più che pensare al prodotto bisogna immaginare come cambia il gusto e come cambia l’economia, perché il design è molto legato agli aspetti economici come pure il gusto.» Questo impone dei cambiamenti? «No, non dovrebbe. Può accadere che una marca venga tirata un po’ da tutte le parti, però è importante continuare a essere quello che si è sempre stati. Se cambi troppo rapidamente il cliente ti segue meno, soprattutto in questo momento in cui c’è minore disponibilità economica: se compro da Bulgari compro il Serpenti, il Bulgari-Bulgari, l’Alluminium o il Finissimo perché sono unici. Ma se poi l’identità della marca cambia il cliente ti riconosce meno.» In un momento come questo, nel quale la mobilità è ridotta, da designer riesci ad avere la sensazione di quello che desiderano le persone, pur non avendo con loro nessun contatto? «Il design è molto legato agli aspetti economici e sociologici. Compri un oggetto perché ti piace e perché in quel momento hai quell’esigenza. Bisognerà capire quali saranno le esigenze quando usciremo da questa situazione. In genere, quando ci sono dei periodi di forte costrizione, quello che succede è di tornare a un’esplosione del suo completo opposto.» Come descriverebbe la situazione odierna? «Atipica, in quanto non abbiamo mai vissuto prima nulla del genere. È importante allora reagire in maniera agile e molto in fretta e Bulgari, da questo punto di vista, è un’azienda estremamente agile: ad esempio, riusciamo a cambiare un quadrante perché non ci piace anche solamente ad un mese e mezzo dalla presentazione. Abbiamo un’agilità nello sviluppo del prodotto, nel design e nella manifattura che possiamo sostenere in quanto sono tutti passaggi realizzati “in casa”. Certo, se devi comprare i componenti e cambi idea, non è possibile farlo, quello che è fatto è fatto.» Quindi la reattività è importante? «La nostra è un’azienda estremamente reattiva. Quindi facciamo continuamente comitati di direzione e ci adattiamo di volta in volta alle esigenze che ci troviamo davanti.» Le tendenze della moda sono importanti? «Teoricamente un po’ andrebbero seguite. Nella realtà, per quanto riguarda il mio lavoro, le guardo e me le dimentico immediatamente dopo. Il Finissimo nasce così: a noi non interessava di
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SERPENTI SPIGA I primi orologi Serpenti Spiga hanno debuttato nel 2014. Questo segno è radicato nell’illustre patrimonio culturale della Maison ed è stato portato in vita per la prima volta in un gioiello attraverso l’omonima collezione di successo negli anni ’90. Infine, abbracciando il mondo degli orologi, il motivo spiga ha preso forma in una nuova collezione di orologi Serpenti. Il suo disegno caratteristico è ispirato ad uno stelo di grano, un affascinante simbolo di fertilità che ha attraversato tutta la mitologia e l’antichità, e un tema che nella Roma e Grecia antiche era spesso legato al matrimonio.
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come facessero gli altri l’ultrapiatto. Se guardi troppo il mercato alla fine sei condizionato a disegnare quello che c’è già. Io mi faccio una mia idea in base a quello che ho vissuto e visto, poi quella immagine a volte rimane per tutto il progetto a volte invece è la prima che abbandono.» Su cosa lavora il designer? «Sulle emozioni. Prima, ad esempio, nei corridoi della nostra sede a Neucâtel ho visto un disegno attaccato a un muro, in cui c’era una pietra di forma ogivale e mi è venuta in mente una cosa: mi sono messo a disegnare un tourbillon fatto con delle pietre che girano. Magari non lo faremo mai. Però è bastato il flash di un’immagine vista di sfuggita, per far nascere nella mia mente un’idea.» Prima della pandemia, per l’Alta Orologeria si era imposto il concetto di show off, di mostrare l’orologio al polso nella socialità. Adesso che la socialità è quasi scomparsa, non pensi che sia cambiato anche il tipo di utilizzo che si fa del segnatempo? Che non sia diventato per il puro piacere personale? «Nel mondo del lusso lo show off continuerà sempre ad esistere: quando non è visibile nella “realtà”, comunque esisterà sui social network. Comunque ci sarà sempre un cliente che avrà delle esigenze particolari. Ancora oggi riceviamo richieste per orologi gioiello, dei pezzi unici. Però, nella media, il grosso del mercato va piuttosto in una direzione di un tipo di show off diverso, un understatement mai visto prima.» Oggi non è facile da gestire il lusso. «È chiaro che siamo in un periodo molto complicato, dove ci sono persone che sono più ricche di prima e altre che sono invece molto più povere di prima. Ci sarà quindi una contrazione anche per quanto riguarda il manifestare apertamente quelle che sono le proprie capacità di spesa. Questo è possibile che accada. In periodi come questo la gente torna a comprare degli oggetti che sono iconici all’interno di un marchio.» Dal punto di vista del designer, un oggetto invecchia? «Sì, ci sono degli oggetti che non posso più vedere. Anche dei disegni che non posso più vedere, perché cambia la tecnica: oggi disegno in modo totalmente diverso rispetto a quando avevo 20 anni. La testa cambia, cambiano i gusti: non hai più voglia di fare degli oggetti leziosi ma vuoi comunicare solo quello che hai in mente senza compromessi. Il Finissimo 20 anni fa non lo avrei mai fatto.» I disegni invecchiano? «Sì, soprattutto se sono molto decorati e in genere lo sono quando c’è poca sostanza. Quando ce n’è tanta di sostanza non usi il decoro: è una cosa che invecchia perché è fermo in un preciso momento storico.» Un esempio? «L’Art Deco è diversa dal razionalismo in quanto erano momenti storici culturalmente diversi. Fontana non sarebbe mai esistito se non nei suoi anni e nella sua epoca. Il design è un insieme di mestieri: è come una spugna in cui ci sono la tecnologia, l’evento culturale, il fenomeno sociale, l’estetica. Quindi è difficile estrapolare un oggetto
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dal suo periodo storico. Se guardi una Porsche 356 e una 911 GT3, noti immediatamente che è lo stesso oggetto, ma uno sembra un Maggiolino buono per andare a fare le corse nel weekend, l’altro è un’automobile che serve a fare il chilometro lanciato. Le estetiche sono diverse, le tecnologie sono diverse.» Nessuno, quindi, vince il giudizio del tempo? «Solamente gli oggetti che hanno una vera idea dietro, privi di qualsiasi elemento decorativo, passano indenni il giudizio del tempo. Il Finissimo era bello già 5 anni fa, poi il designer sta sempre lì che cerca di togliere, di migliorare, ossessionato da concetti che a volte sono solamente suoi. Però la qualità è qualcosa che hai nella testa come modus operandi non qualcosa che applichi alla fine del processo. Quindi un progetto deve essere di qualità fin dall’inizio: se è scarsa genererà un prodotto scarso. Poi lo puoi migliorare, ma la qualità deve essere a priori.» Prendiamo ad esempio un orologio particolarmente riuscito, il nuovo Serpenti Spiga con il bracciale a decoro matelassé: dove finisce il lavoro di designer e dove inizia quello del gioielliere? «Questa è la domanda perenne sul Serpenti. La risposta è: non finisce mai, perché è un prodotto Bulgari. Quindi, dove inizia la gioielleria finisce l’orologio e dove inizia l’orologio finisce il gioiello. Per me Serpenti, disegnato nel 2009, è sia un orologio che un gioiello.» Un segno italiano? «Bulgari è un marchio che ha sviluppato un’incredibile creatività dagli anni ‘40 ai ‘70, una cosa tipica dello spirito italiano. Basta semplicemente pensare alla Fiat che nel mondo dell’automotive ha fatto cose diversissime rispetto ad altre marche, che storicamente hanno mantenuto sempre lo stesso family feeling, la stessa calandra, gli stessi fari... In Fiat invece avevi la 500 che era diversa dalla 127, che era diversa dalla 128, che a sua volta era diversa dalla 130. Perché c’era ogni volta un fermento creativo: ci annoiamo a fare sempre le stesse cose.» Lo stesso vale per Bulgari? «Sì, negli anni Bulgari ha fatto tante cose diverse: Gianni Bulgari è stato il primo a realizzare il Tubogas. Il decoro matelassé del Serpenti viene da un oggetto del 1950, visibile in un’immagine del nostro archivio: bellissimo, con questa sua rotondità e una ricchezza nei dettagli che mi ha fatto venire l’idea di realizzare una cosa diversa. Ed è nato un Serpenti con i diamanti e con l’oro. Infatti, nel Tubogas non potevamo mettere i diamanti e anche il precedente Spiga era in ceramica: anche in quel caso sarebbe stata una scommessa inserire i diamanti.» Bracciale complesso quello del Serpenti Spiga «Per realizzarlo abbiamo impiegato quasi due anni: non volevamo deformare le losanghe e al contempo era importante ottenere lo spessore giusto per mettere le pietre, in quanto comincia in un modo e finisce in un altro. Quindi è molto complicato, però a noi le cose complicate piacciono.»
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OCTO ROMA CARILLON TOURBILLON Una sinfonia è un intermezzo orchestrale all’interno di una grande opera vocale in cui il maestro coordina tutti gli strumenti. È un trionfo di precisione e tecnica, un movimento che genera un’esperienza di clamorosa bellezza. Nel creare questo modello, Bulgari assume il ruolo del maestro, scegliendo, rifinendo e assemblando centinaia di micro parti per creare il suono perfetto. Questi orologi possono richiedere fino a 1.200 componenti nel caso della Grande Sonnerie a 4 martelletti, una vera e propria Sinfonia della Meccanica.
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OCTO FINISSIMO S CHRONOGRAPH GMT Unendo la praticità sportiva alla complessità meccanica, quest’orologio ultramoderno è disponibile in acciaio satinato lucido con un nuovo quadrante blu soleil abbinato a contatori in argento, per un look sportivo e al contempo raffinato. Il suo ingegnoso meccanismo permette di visualizzare un secondo fuso orario sul contatore a ore 3. La cassa ottagonale (8.75 mm di spessore) presenta un diametro di 43 millimetri, ed è completata da un bracciale integrato in acciaio spazzolato verticalmente con parti lucide. Riaffermando il carattere più sportivo della linea Octo Finissimo S, l’orologio presenta una corona a vite più grande rispetto ai precedenti modelli sabbiati per garantire l’impermeabilità fino a 100 metri.
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I DISEGNI INVECCHIANO QUANDO SONO MOLTO DECORATI E IN GENERE LO SONO QUANDO C’È POCA SOSTANZA. QUANDO DI SOSTANZA CE N’È TANTA, NON USI IL DECORO
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Fabrizio Buonamassa Stigliani
L’ispirazione viene dalla storia di Bulgari? Dal suo archivio? «L’archivio è una fonte d’ispirazione straordinaria. Io ogni volta lo guardo e poi me lo dimentico. Perché altrimenti il rischio è quello di disegnare sempre le stesse cose. La marca è completamente autorigenerante in ogni sua manifestazione.» Parliamo di Octo Roma Carillon Tourbillon. Generalmente quando si fa un orologio pluricomplicato chi comanda non è il design, ma il movimento. Qui sembra sia accaduto il contrario. «L’idea e il progetto di un nuovo movimento cambiano continuamente in corso d’opera, in quanto devono adeguarsi ai concetti estetici che vogliamo esprimere in un determinato modello. È un lavoro in cui l’orologiaio segue il designer e viceversa. Non sono due entità separate.» Mettere d’accordo designer e orologiaio non è certo impresa semplice. «Sì, è molto complicato da gestire perché, ripeto un mio concetto che mi accompagna da sempre, siamo molto dinamici. Ma questo dinamismo è duro da digerire per chi poi materialmente deve fare gli orologi. Però riusciamo sempre a farlo. Nel caso particolare, il movimento dell’Octo Roma Carillon Tourbillon deriva da una base Daniel Roth, che abbiamo completamente reingegnerizzato.»
Vale anche per gli orologi gioiello? «Sì, è la mia ossessione: rendo il lavoro più difficile possibile perché, attraverso un prodotto, voglio che venga espresso il massimo savoir faire di questa azienda. Ad esempio, in Serpenti Pallini volevo che i pallini fossero inseriti uno a uno e che si muovessero e volevo poter cambiare un pallino con un castone. Nella mia idea i pallini erano per me dei pixel che si accendevano e si spegnevano. E il risultato è stato che hai dei pixel di forma quadrata che ti permettono di avere o meno dei diamanti su un orologio totalmente diverso. Il risultato sono degli oggetti che permettono la massima espressione del nostro savoir faire.» Il design va comunicato? «Dal mio punto di vista un oggetto non ha bisogno di essere spiegato, altrimenti vuol dire che mi sono perso qualcosa. Dal punto di vista del cliente però è diverso: potrebbe essere affascinato dalla storia che gli racconti e potrebbe volerla sentire quando ha tra le mani per la prima volta un orologio. Il lavoro che c’è dietro, il valore di un oggetto va comunicato anche per cambiare la percezione della clientela.»
Cosa c’è di nuovo? «Abbiamo rifatto i timbri, ora circolari, ridisegnato i ponti e aperto il più possibile alla vista la meccanica. È un pò com’era accaduto al motore della Ferrari F40, troppo bello per poter essere nascosto sotto ad un cofano, ed infatti venne lasciato in vista coperto da un plexiglass. Questo vuol dire che per noi italiani la meccanica ha una sua precisa visione estetica.»
Il potere della comunicazione? «Oggi viviamo nell’era della comunicazione e il suo potere è inimmaginabile: bisogna quindi raccontare le cose, ma è necessario avvere l’avvedutezza di raccontarle bene, per non distorcere il messaggio stesso. Ci vuole quindi una coerenza nella comunicazione ma anche un contenuto di innovazione, perché altrimenti il rischio è quello di annoiare. Allo stesso tempo però, devi realizzare degli oggetti che siano anche in grado di spiegarsi da soli. Vedi il Finissimo, che al primo impatto deve farti dire “wow”, a prescindere da tutto e solo dopo, girandolo, ci si deve accorgere di quanto è sottile.»
L’estetica della meccanica è un concetto che gli appassionati sicuramente gradiscono. «Certo. Quando la meccanica è realmente importante non va coperta ma esaltata e noi facciamo di tutto per esaltare il lavoro dei nostri orologiai, oltre ad aumentare la complicazione in modo tale che possano esprimere meglio il loro savoir faire.»
Hai nostalgia di disegnare una automobile, magari realizzata da Bulgari? «All’inizio, tanti anni fa, parlavo sempre con Paolo e Nicola Bulgari di fare un’autovettura, ma era veramente troppo complicato, eccessivamente complesso. Lo scorso anno con Fiat abbiamo realizzato una particolare versione della 500 Elettrica: il riscontro è stato incredibile.»
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JAEGER-LECOULTRE
I QUATTRO VOLTI DEL TEMPO IL PRIMO OROLOGIO DA POLSO AL MONDO CAPACE DI OFFRIRE UNA LETTURA DETTAGLIATA DEL COSMO. NE PARLIAMO CON CATHERINE RENIER CEO DELLA “MANUFACTURE”
Di Paolo Gobbi
NON ERA CERTAMENTE FACILE riuscire a pensare e realizzare un modello che potesse celebrare degnamente i novant’anni di storia del Reverso. Jaeger-LeCoultre ha scelto di farlo percorrendo la strada più difficile, ovvero presentando il segnatempo più complicato mai creato di questa emblematica collezione. Il Reverso Hybris Mechanica Quadriptyque Calibro 185 è il risultato di oltre sei anni di sviluppo, che hanno permesso di associare nuove, innovative indicazioni astronomiche alle competenze chiave del savoir-faire di della Casa: il primo orologio da polso al mondo con quattro quadranti funzionanti. Incorporando tre visualizzazioni relative alle indicazioni lunari sul quadrante interno della parte centrale del Reverso (il ciclo sinodico, il ciclo draconico e il ciclo anomalistico), l’Hybris Mechanica Quadriptyque è in grado di prevedere la cadenza dei prossimi eventi astronomici mondiali, come Superluna ed eclissi. Si tratta del primo orologio da polso al mondo capace
di offrire una lettura così dettagliata del cosmo. Un tema così affascinante meritava un approfondimento. Lo abbiamo fatto con Catherine Renier, CEO di Jaeger-LeCoultre. Il primo pensiero del mattino quando arriva in ufficio? «Solitamente ho dei pensieri molto rilassanti, rivolti allo splendido paesaggio che ho la fortuna di incontrare sulla strada verso la Manufacture.» Qual è la sfida più difficile di questo 2021? «Ripensare il nostro modo di lavorare, il nostro modo di interagire e continuare a condividere emozioni con i nostri clienti.» Il mercato è cambiato, si parla di global market. Realtà o utopia? «Adattiamo il nostro marketing e i nostri canali, ma il nostro messaggio è lo stesso, siamo autentici e rimarremo fedeli a noi stessi. Abbiamo un
l’Hybris Mechanica Quadriptyque è in grado di prevedere la cadenza dei prossimi eventi astronomici mondiali, come Superluna ed eclissi.
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Foto @JohannSauty
Catherine Renier CEO Jaeger-LeCoultre
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approccio internazionale nelle nostre attivazioni e nelle nostre campagne.» REVERSO HYBRIS MECHANICA QUADRIPTYQUE CALIBRO 185 Il primo orologio al mondo con quattro volti. Il segnatempo Reverso più complicato mai realizzato. 11 complicazioni in totale, tra cui calendario perpetuo, ripetizione minuti e indicazione dei cicli sinodico, draconico e anomalistico (prima assoluta per un orologio da polso), 12 brevetti Connubio di savoir-faire ineguagliabili per la creazione di suonerie per orologi, meccanismi di precisione, complicazioni astronomiche e strutture ultra compatte. Grazie al design e alla costruzione intuitivi, il Reverso più complicato al mondo è anche il più semplice da indossare
In un mondo che va alla velocità della luce, hanno ancora senso orologi con una storia lunga novant’anni come il Reverso? «Grazie al Reverso, i nostri segnatempo sono eterni, sin dal 1931. Hanno visto diversi periodi storici, correnti artistiche, la rivoluzione industriale e persino delle guerre, ma sono sempre qui: per il Reverso, sia il design che il concept rimangono fedeli alle sue origini.» Oggi l’orologeria sta vivendo un grande cambiamento. Riguarda la distribuzione o la produzione? «È un mix: il savoir-faire e le doti dei nostri maestri orologiai sono rimasti immutati, ma abbiamo bisogno di un approccio moderno alla produzione che al contempo garantisca la durata nel tempo. Vediamo cambiamenti anche nella distribuzione, una forte richiesta per esperienze uniche, narrazioni autentiche e prodotti con un carattere ben definito.» Le vendite online sono una risorsa aggiuntiva, oppure un problema per la distribuzione tradizionale? «I nostri canali, sia fisici che digitali, sono tutti complementari e offrono vantaggi differenti ai nostri clienti. Ci assicuriamo di offrire esperienze simili, così che i nostri clienti sappiano sempre che diventeranno parte della nostra famiglia e che inizierà per loro un viaggio speciale con la Grande Maison.» Reverso Hybris Mechanica Quadriptyque: una prova di savoir-faire nell’Alta Orologeria o una maniera per comunicare il prestigio della marca? «Mi verrebbe da dire entrambe le cose, un po’ come quando si crea una concept car. L’intero team si riunisce ed insieme investiamo energie, pensiero, creatività ed innovazione per realizzare un nuovo modello. Il Quadriptyque è sostanzialmente una sfida, rappresenta una vera e propria “raccolta” di complicazioni. Esempio di quando si porta l’innovazione al suo estremo, e oltre, e così anche nel design» Pensa che sia un segno di continuità rispetto al primo, iconico Reverso? «È sicuramente un modo gentile per dirci che noi ci scegliamo i clienti... anche se è vero che si tratterà di una produzione di soli dieci pezzi e quindi un pezzo estremamente esclusivo. Io credo che sapremo “trovarci”: i futuri possessori di questo Hybris saranno collezionisti e grandi estimatori delle complicazioni presenti in questo segnatempo e dell’innovazione che porta con sé. Sono anche appassionati… Un orologio da indossare che ti offre tre cicli lunari sul tuo polso. In un modo o in un altro, tra la diffusione delle vostre riviste, il mondo internazionale e i collezionisti che conosciamo, sono sicura che ci troveremo e che dieci futuri possessori avranno al polso il Quadriptyque.» Come vede il futuro di Jaeger-LeCoultre? «Quest’anno presenteremo molte novità sul tema del Reverso. Poi prevediamo delle complicazioni ma degli aggiornamenti per i Mestieri Rari (Métiers Rares), sia per il pubblico maschile che femminile. Quindi sarà un anno pieno di innovazione e di segnatempo interessanti.»
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LA SUONERIA
Il secondo quadrante della cassa del Quadriptyque è un tour de force di virtuosismo che omaggia il patrimonio di Jaeger-LeCoultre in qualità di maestro e innovatore degli orologi con suoneria. Mediante lo scorrimento della slitta situata appena sopra la corona, l’orologio intona la sua melodia. Prima una serie di note basse, correlate al numero di ore. Poi un distico alternato di note alte e basse, corrispondenti ai quarti d’ora. E per concludere la melodia, una successione di note alte, che indicano il numero di minuti da aggiungere ai quarti dora trascorsi. Insieme, la suoneria ore-quarti-minuti riproduce l’ora corrente in codice musicale. Le peculiarità del Quadriptyque sono in bella vista a fianco a una seconda visualizzazione del tempo, che indica lo stesso orario del primo quadrante, ma in formato saltante per le ore e a scatto per i minuti. Quando suona l’ora, mettendo in moto una sinfonia di molle, camme, martelli e gong, il loro messaggio acustico conferma la visualizzazione del quadrante secondario. Attraverso le aperture sulla platina del movimento decorata a mano con il motivo guillochage noto come Clous de Paris, si ammirano gli elementi del meccanismo dei rintocchi. Tra questi, il regolare silenzioso dei rintocchi brevettato dalla Manifattura nel 1895 per eliminare il ronzio del precedente sistema ad ancora. Tra le innovazioni più recenti presenti in questo modello, troviamo i gong in cristallo (apparsi per la prima volta nel Master Minute Repeater Antoine LeCoultre del 2005) che fissano i gong delle ripetizioni direttamente al vetro zaffiro per sfruttare le proprietà acustiche del materiale, il profilo con sezione trasversale quadrata dei gong stessi che amplifica al massimo la superficie di contatto e la trasmissione dell’energia tra i martelli e i gong (uno degli elementi principali dei segnatempo con ripetizione dal 2006) e i martelli trébuchet articolati (sviluppati per l’Hybris Mechanica Duomètre à Grande Sonnerie del 2009) che colpendo i gong emettono un suono pulito e potente. Nel complesso, queste innovazioni consentono alla Manifattura di realizzare gli orologi da polso con ripetizioni minuti dai suoni più forti e chiari disponibili sul mercato. Lanciata per la prima volta in questo modello, un’inedita meraviglia ingegneristica di componenti acustici permette di ottenere una suoneria senza soluzione di continuità, senza pause tra le ore, i quarti d’ora e i minuti. Il tradizionale meccanismo di ripetizione minuti si serve di cremagliere rotanti che leggono il tempo da una serie di camme e poi procedono all’attivazione di ogni gruppo di note che viene suonato a turno. Questo si traduce spesso in intervalli di silenzio tra i gruppi di note suonate, specialmente quando ci sono solo ore e minuti da rintoccare, senza quarti d’ora intermedi. L’Hybris Mechanica Master Ultra Thin Minute Repeater Flying Tourbillon (2014) e il Master Grande Tradition Gyrotourbillon Westminster Perpétuel (2019) hanno compiuto passi da gigante
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dal punto di vista dei rintocchi riducendo questi momenti di silenzio, ma è il Reverso Quadriptyque che ha raggiunto le vette di know-how più elevate in questo campo. Perfezionando e invertendo alcuni passaggi specifici in questa sequenza meccanica, infatti, il segnatempo è riuscito a eliminare completamente i silenzi. LA LUNA
Per la prima volta nella storia dell’orologeria meccanica, Jaeger-LeCoultre riunisce tre indicazioni lunari: il ciclo sinodico, il ciclo draconico e il ciclo anomalistico in un solo orologio da polso. Questa combinazione micromeccanica di indicazioni unica, visibile sul volto interno della parte centrale del Quadriptyque, consente di determinare eventi come le ellissi (sia solari che lunari), nonché rari fenomeni lunari come le Superlune. Sulla metà superiore del volto interno della parte centrale svetta un’imponente rappresentazione delle fasi lunari nell’emisfero settentrionale. Un disco mobile in lacca blu con decorazioni con paillette dorate copre e svela progressivamente una Luna incisa al laser, per indicare l’età della Luna nel ciclo sinodico. Mentre le visualizzazioni convenzionali delle fasi lunari accumulano un giorno di errore dopo 32,5 mesi, quella del Reverso Quadriptyque deve essere corretta una volta sola dopo 1111 anni. Appena sotto alle fasi lunari, sulla sinistra, spicca un contatore con un Sole in oro rosa micro-scolpito in 3D attorno al quale orbita una piccola Luna emisferica. Il contatore mostra il ciclo draconico, che precisa quando il percorso della Luna incrocia l’orbita della Terra attorno al Sole (detto anche eclittica). Tale intersezione avviene due volte in ogni ciclo ed è indicata dall’allineamento orizzontale sul contatore della Luna e del Sole. In questo momento, la Luna, la Terra e il Sole sono tutti sullo stesso piano; tuttavia, possono non essere allineati. Affinché si allineino, dando vita a un fenomeno noto come sizigia, un’ulteriore condizione deve essere soddisfatta: la Luna deve trovarsi nella fase nuova o piena. Quando ciò accade, sulla Terra si verifica un fenomeno di eclissi, lunare se la Luna è piena, o solare se la Luna è nuova. Tuttavia, l’effettiva visibilità dell’eclissi dipende da vari fattori, come la posizione geografica dell’osservatore. A destra del contatore del ciclo draconico si staglia una rappresentazione a cupola della Terra, realizzata in smalto con la tecnica della micropittura, con una Luna emisferica che disegna attorno ad essa un’orbita eccentrica. Questo contatore rappresenta il ciclo anomalistico, che mostra la distanza variabile tra la Terra e la Luna. All’apogeo, la Luna è nel punto più lontano dalla Terra ed è più vicina al suo perigeo. Quando la Luna è piena, vicina o al perigeo, si verifica un fenomeno noto come Superluna, in cui il corpo celeste può apparire fino al 14% più grande della norma. La visualizzazione del ciclo sinodico, draconico e anomalistico in un unico segnatempo da polso è una prima assoluta nel settore orologiero. Le ultime due indicazioni sono inoltre protette da un brevetto.
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UN PICCOLO SEGRETO Il segreto dei quattro volti funzionanti del Reverso Hybris Mechanica Quadriptyque è racchiuso in una soluzione utilizzata per la prima, nel Reverso Hybris Mechanica Grande Complication à Triptyque del 2006. Ogni giorno a mezzanotte, un perno fuoriesce dal movimento principale della cassa per attivare un correttore meccanico nella parte centrale, il quale fa avanzare le visualizzazioni della parte centrale. Il meccanismo che aziona queste indicazioni è direttamente inserito nella parte centrale stessa, senza ulteriori platine che aumenterebbero lo spessore dell’orologio. Il savoir-faire di Jaeger-LeCoultre nel campo dell’orologeria ultra compatta rende il Quadriptyque, nonostante le numerose indicazioni e complicazioni, uno degli orologi con grandi complicazioni più facili da indossare della nostra epoca.
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AUDEMARS PIGUET
IL MOVIMENTO PIÙ AMATO IL PRIMO ROYAL OAK 41 MILLIMETRI FLYING TOURBILLON AUTOMATICO Di Paolo Gobbi NEL 1997 in occasione del 25esimo anniversario del Royal Oak, per la prima volta questa collezione riceveva in dote la complicazione, anzi il dispositivo meccanico più amato dagli appassionati: il tourbillon: «Oggi, la sua naturale evoluzione con un flying tourbillon e meccanismo automatico – ha detto Michael Friedman, responsabile design delle Complicazioni regala una seconda giovinezza a questo classico moderno grazie a un’estetica riattualizzata per la
nuova decade». Per questa speciale occasione, la manifattura di Le Locle ha lanciato tre referenze da 41 mm, rispettivamente in acciaio, titanio e oro rosa, tutte valorizzate da un raffinato design del quadrante. La referenza 26530TI totalmente in titanio, si caratterizza per l’elegante quadrante sabbiato grigio ardesia, con finitura periferica colimaçonnage, offrendo un’alternativa al motivo Tapisserie, tratto distintivo del Royal Oak stesso.
ROYAL OAK FLYING TOURBILLON AUTOMATICO REF. 26530ST Cassa in acciaio, vetro e fondello in vetro zaffiro con trattamento antiriflesso, corona avvitata. Impermeabile fino a 50 metri. Quadrante blu fumé con motivo “Tapisserie Evolutive”, indici applicati e lancette Royal Oak in oro bianco con rivestimento luminescente.
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Quadrante grigio fumé con motivo “Tapisserie Evolutive”, indici applicati e lancette Royal Oak in oro rosa con rivestimento luminescente.
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ROYAL OAK 2021: ARRIVA IL VERDE Arriveranno presto in vendita i Royal Oak impreziositi da quadranti di colore verde. Le nuove proposte comprendono: un Royal Oak “Jumbo” Extra-Piatto in platino 950 con quadrante verde fumé e finitura soleil, un’edizione limitata del Royal Oak Cronografo Automatico con cassa in oro giallo 18 carati e quadrante verde “Grande Tapisserie” e infine tre varianti del nuovo Automatico con Flying Tourbillon in titanio o oro rosa, caratterizzate sempre da tonalità verdi.
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ROYAL ROYAL OAK FLYING TOURBILLON AUTOMATICO REF. 26530OR Cassa in oro rosa 18 carati, vetro e fondello in vetro zaffiro con trattamento antiriflesso, corona avvitata. Impermeabile fino a 50 metri. Quadrante grigio fumé con motivo “Tapisserie Evolutive”, indici applicati e lancette Royal Oak in oro rosa con rivestimento luminescente.
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Le sue sfumature grigie e gli indici e le lancette in oro bianco richiamano in modo sottile il flying tourbillon, che effettua la propria rotazione a ore 6. Rievocando altri modelli della collezione, la versione in acciaio con referenza 26530ST, presenta un raffinato quadrante con motivo Tapisserie blu fumé. La sua avanguardista finitura soleil presenta un’evoluzione dalla gabbia del flying tourbillon a ore sei. Queste particolari tonalità di blu donano profondità al movimento, fungendo al tempo stesso da elegante sfondo per le lancette e gli indici in oro bianco. Il terzo modello in oro rosa con referenza 26530OR, offre un contrasto assolutamente contemporaneo. Particolarmente riuscito il suo quadrante naturalmente con motivo Tapisserie ma questa volta grigio fumé con finitura soleil, arricchito con indici e lancette in oro rosa, e bracciale sempre in oro rosa. La gabbia del flying tourbillon aggiunge una delicata lucentezza ancora una volta grazie all’oro rosa. In tutte le tre versioni acciaio, titanio o oro rosa, la cassa e il bracciale sono stati rifiniti a mano con l’emblematica alternanza del brand tra smussature satinate e lucidate, creando un piacevole contrasto di finiture opache e lucide. SOTTILI STRATI D’ORO Altra novità stilistica del Royal Oak Flying Tourbillon Automatico è quella di proporre la firma Audemars Piguet applicata in oro ventiquattro carati, una novità
per questa collezione. Creata con sottili strati d’oro, è ottenuta grazie a un processo chimico simile alla stampa in tre dimensioni, noto come accrescimento galvanico. Ogni lettera è unita all’altra con sottili collegamenti, quasi invisibili a occhio nudo. La firma viene poi posizionata a mano sul quadrante tramite minuscoli piedini. Questo tipo di firma è stata sviluppata originariamente per decorare i quadranti laccati lisci della collezione Code 11.59 . IL FLYING TOURBILLON All’interno di questo nuovo Royal Oak troviamo il Calibro 2950, un movimento automatico lanciato nel 2019 che unisce un flying tourbillon e un rotore centrale. In realtà il primo modello da polso con flying tourbillon della casa di Le Brassus fece la sua apparizione nel 2018 nella collezione Royal Oak Concept. Visibile sia dal lato del quadrante sia da quello del fondello, la gabbia del flying tourbillon rifinita a mano offre una splendida visuale su alcuni dei componenti di regolazione dell’orologio che ne consentono la rotazione. Il fondello rivela anche le raffinate decorazioni del movimento quali “Côtes de Genève,” smussature satinate e lucidate a mano, nonché l’apposita massa oscillante scheletrata in oro rosa o in oro rosa color rodio. Realizzato con estrema accuratezza sia all’interno che all’esterno, il Royal Oak Flying Tourbillon Automatico coniuga un design contemporaneo con un savoir-faire ancestrale.
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ZENITH
MISSIONE ANTAGONISTA PIÙ VELOCE, ELEGANTE E SPORTIVO CHE MAI, IL NUOVO CHRONOMASTER SPORT MONTA UNA VERSIONE EVOLUTA DEL CALIBRO EL PRIMERO, IN GRADO DI MISURARE INTERVALLI DI TEMPO DI 1/10 DI SECONDO
Di Mauro Girasole
LA NUOVA COLLEZIONE Chronomaster Sport segna l’inizio di una nuova era per il cronografo Zenith sport-chic per eccellenza. Ancora una volta, il Chronomaster Sport si spinge oltre i limiti della precisione ad alta frequenza ed è la massima espressione del patrimonio ineguagliabile di cronografi automatici che unisce lo spirito del calibro El Primero A386, la forma del Chronomaster De Luca e le prestazioni ad alta frequenza fornite dal calibro da oltre 50 anni, in un cronografo sportivo unico nel suo genere per stile e funzionamento. Il nuovo calibro El Primero 3600 offre ancora più prestazioni e precisioni del suo predecessore: l’indicazione dell’ora con una precisione di lettura al 1/10 di secondo è direttamente impressa sulla lunetta in ceramica nera, una caratteristica unica di questo orologio. Degna discendente della collezione Chronomaster a tutti gli effetti, questa linea di cronografi rivela il suo esclusivo patrimonio attraverso un quadrante più raffinato, un bracciale integrato in acciaio dal comfort ottimizzato, finiture enfatizzate al massimo, la ricerca ancora più accurata delle proporzioni e una lettura a un decimo di secondo estremamente precisa. Caratterizzato da una cassa elegante e robusta in acciaio del diametro di 41 mm con pulsanti a pompa, il nuovo Chronomaster Sport si distingue dai suoi predecessori per la lunetta in ceramica nera lucida. Graduata su 10 secondi, il suo contrasto audace offre una leggibilità eccezionale sul bordo del quadrante. Questo cronografo è disponibile in due referenze. A prescindere dal colore del quadrante (nero o bianco), entrambe presentano i caratteristici contatori cronografici El Primero di tre colori - blu, antracite e grigio chiaro - proprio come il modello A386 del 1969. Ogni contatore è graduato su 60 per una lettura intuitiva ed
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Zenith Chronomaster Sport, cronografo automatico El Primero con ruota a colonne in grado di misurare e mostrare una precisione di lettura a 1/10 di secondo. Indicazione di 1/10 di secondo sulla lunetta in ceramica. Riserva di carica aumentata a 60 ore. Data a ore 4:30.Meccanismo di arresto dei secondi. Cassa 41 mm in acciaio, lunetta in ceramica, impermeabilità 10 atmosfere. Costa 9.700 euro
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La nuova era del leggendario Zenith Chronomaster è appena cominciata. La linea Chronomaster è una delle collezioni più emblematiche di cronografi del XXI secolo che rientra nella tradizione Zenith di cronografi automatici. Il nuovo Chronomaster Sport presenta un’estetica completamente rinnovata, abbinata all’evoluzione del celebre calibro El Primero. Pensato per chi vuole realizzare i propri sogni, per chi considera ogni momento essenziale, Chronomaster Sport è in grado di misurare e mostrare con precisione il 1/10 di secondo
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TIME TO REACH YOUR STAR È tempo di puntare alle stelle, una filosofia che Zenith segue sin dalla sua fondazione; si tratta di realizzare il proprio potenziale e seguire i sogni più audaci, rendendoli realtà. In quest’ottica, la Maison Zenith ha annunciato la collaborazione con il quarterback della NFL Aaron Rodgers, incarnazione di questa filosofia. Dopo decenni di duro lavoro, passione, perseveranza e disciplina, Rodgers è all’apice della sua carriera. Considerato il quarterback numero 1 nella NFL, Rodgers ha conquistato molti traguardi, tra cui il titolo di Miglior Giocatore in questa lega e la vittoria del Superbowl XLV con la sua squadra, i Green Bay Packers.
IO E IL MIO TEAM SIAMO LIETI DI POTER FINALMENTE CONDIVIDERE IL PROGETTO SU CUI LAVORIAMO DA MOLTO TEMPO – UNA VERA E PROPRIA EVOLUZIONE DI UN PEZZO ICONICO ZENITH! CHRONOMASTER SPORT STABILISCE NUOVI STANDARD DI PRECISIONE, PERFORMANCE E DESIGN PER IL CLASSICO CRONOGRAFO AUTOMATICO ZENITH. NON VEDIAMO L’ORA DI PRESENTARE QUESTO OROLOGIO SUI MERCATI, PER FARVI TOCCARE, SENTIRE E PROVARE PERSONALMENTE UNO DEI LANCI PIÙ SIGNIFICATIVI DEL 2021
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Julien Tornare - CEO di Zenith
istantanea del cronografo. Il Chronomaster Sport è disponibile con un bracciale integrato in acciaio simile a quelli ideati da Gay Frères, creatore in passato di molti bracciali in metallo per Zenith, che ben si addice all’estetica moderna e senza tempo di questo eccezionale cronografo. Inoltre, è disponibile anche l’opzione con cinturino in caucciù testurizzato effetto “Cordura” con fibbia déployante in acciaio. All’interno dell’orologio troviamo una nuova versione del movimento più celebre della Manifattura, ovvero il calibro El Primero 3600. Grazie all’esperienza maturata in cinquant’anni, Zenith è in grado di offrire un’indicazione dell’ora con una precisione di lettura al 1/10 di secondo tramite lo scappamento da 5 Hz (36.000 A/ora), nonché una riserva di carica estesa a 60 ore. Visibile attraverso il fondello in vetro zaffiro, la nuova struttura è sorprendentemente chiara e rivela una ruota a colonna di colore blu e un rotore aperto caratterizzato dalla stella a cinque punte di Zenith.
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CREATIVITÀ
STORIA DI UN PREDESTINATO IMPRENDITORE, DESIGNER DI GIOIELLI E DI OROLOGI: ROBERTO BOGLIETTI CI RACCONTA LA SUA PASSIONE, LA SUA POLIDERICITÀ E LA SUA FILOSOFIA
Di Lara Mazza DIVENUTO L’ULTIMO GIOIELLIERE di Biella alla fine degli anni ’70, a soli 23 anni, designer di preziosi e orologi e artista a tutto tondo, Roberto Boglietti ci racconta in questa intervista come, durante la pandemia, ha coraggiosamente inaugurato il suo secondo punto vendita nel capoluogo dell’omonima provincia piemontese. I suoi successi sono innumerevoli: a partire dall’orologio Ghost, disegnato per Kienzle nel 1984, passando per altre creazioni originali come la Parure Collezione Rb del 1985, l’Anello Fedeltà del 1988, l’Anello Valentine del 1994 e il celebre Twenty~4, orologio disegnato da Roberto per Patek Philippe nel 1997 e destinato al pubblico femminile. Una creazione che in pochissimo tempo batterà ogni record di vendita e che porterà Roberto a curare anche la creazione dell’orologio Calatrava nel 1999. Oggi la firma di Roberto Boglietti fa parte della storia mondiale del design e la sua passione è stata tramandata a Guglielmo Gaddi, presente e futuro dell’atelier.
La tua è una storia di successo e, nonostante l’emergenza di questi ultimi due anni, non ti sei mai fermato, aprendo addirittura la tua seconda boutique nel cuore di Biella.
«Il progetto di aprire un nuovo punto vendita era in progetto da molto tempo. La nuova boutique si trova esattamente di fronte alla prima, basta attraversare la strada. La nostra prima boutique ha sempre incusso timore, impedendo di fatto l’ingresso a molte persone. Questo in una grande città non accade ma in un piccolo comune di provincia sì. Non è una questione economica, è una questione di sentirsi a proprio agio o meno. C’è chi è abituato ai negozi di quartiere. È da questa riflessione che è nata l’idea di inaugurare un negozio con ben 9 vetrine, per un totale di 27 metri espositivi. All’interno la clientela potrà scoprire il corner della Tudor, uno shop-in-shop della Dodo, un corner Longines, uno di Seiko, di Nomos e di Oris; inoltre, a breve, ci sarà uno shop-in-shop della Breitling. Avremmo dovuto aprire a novembre del 2019 ma poi, a causa dei vari lock-down e delle chiusure forzate, abbiamo dovuto aspettare ben 11 mesi.» Che tipo di riscontro sta ottenendo il nuovo negozio? «C’è molto interesse. Una parte della clientela è quella che ha sempre frequentato la nostra prima boutique perché prodotti tipo Tudor, Breitling, Longines, Recarlo erano già presenti, li
Roberto Boglietti
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abbiamo solo spostati. Dall’altra parte ce ne è una completamente nuova che deve formarsi, quella che non frequentava più il nostro punto vendita e quella che non è mai venuta da noi. Con un layout di questo tipo, la maggior parte dei prodotti, sia di gioielleria che di orologeria, è esposto: siamo sicuri attirerà molte persone, anche dalle provincie limitrofe.» Ci racconti la storia di questo bellissimo negozio? «La boutique ha due storie. Nel lontano 1886 il Signor Ottavio Cucco, fratello di un noto banchiere dell’epoca, decise, dopo aver fatto una esperienza di alcuni anni a Torino presso una gioielleria molto importante (Gramaglia, fornitori ufficiali della Real Casa di Savoia che ora non esiste più), di tornare a Biella e aprire nel 1886 questa gioielleria con Patek Philippe. Ottavio Cucco ebbe sei figli, quattro maschi e due femmine: due medici, un ingegnere e un gioielliere. Uno dei due medici partecipò ai primi esperimenti di trapianti di organi nei primi del ‘900; anche l’altro medico si distinse per le sue capacità - mi pare ci sia ancora una borsa di studio a suo nome in un ospedale di Torino; l’ingegnere partecipò alla progettazione dei tunnel e cunicoli sulle Dolomiti durante la prima Guerra Mondiale. Dei geni. Fu il quarto figlio a portare avanti l’attività del padre, Leonzio Cucco. Dei maschi nessuno ebbe figli e delle due figlie femmine solo una si sposò ed ebbe un erede. Leonzio, deciso a far crescere la notorietà del negozio di famiglia, nel 1930, accanto a Patek Philippe, inserì Rolex. Non avendo avuto figli, come anticipato prima, nel 1945
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lasciò tutto ai coniugi Albonico, sfollati a Biella nel 1943, durante la seconda guerra mondiale. Lui era un orologiaio che lavorava presso la Famiglia Gobbi, della nota Gobbi1842 di Milano, lei era figlia di gioiellieri milanesi. Nella metà degli anni ’50 la famiglia Albonico trasferisce l’attività nell’attuale boutique di via Italia 11. Nel 1978 il Signor Albonico, non avendo avuto figli, lo lasciò a me. Io avevo iniziato a lavorare in bottega da mio padre e mio zio, che erano orafi e incisori, solo sei anni prima. Il mio estro proviene dal mio Dna, non c’è dubbio. Entrambi erano anche pittori, ritrattisti, scultori, come mio nonno. All’inizio avevano aperto un laboratorio in paese che prestava la sua opera a diversi negozi della zona, successivamente, nel 1953, diedero vita a una bottega artigianale che lavorava per i privati. La prima volta che mi sono rivolto alla famiglia Albonico chiedendogli di vendermi il negozio era il 1976. Sono tornato nel ‘77 e, finalmente, nel ‘78 me lo hanno ceduto.» Perché hai voluto acquisire un negozio piuttosto che continuare a lavorare nel laboratorio di famiglia? «Le botteghe artigiane di quel periodo non erano considerate come un patrimonio da preservare. Si trattava proprio di quel brutto momento dell’artigianato italiano nel quale le persone buttavano via il tavolo di noce che avevano in casa per comprare il tavolo in formica. Ricordo che le persone entravano in bottega da mio padre chiedendo un preventivo per realizzare un anello e, dopo aver sentito il prezzo, declinavano la proposta dicendo che se avessero aggiunto qualcosa in più lo
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avrebbero comprato già fatto. Fatto a mano doveva costare molto meno rispetto al fatto in serie. Erano gli anni in cui l’artigianato fu quasi distrutto. Gli artigiani come i grandi pittori, gli artisti, facevano molta fatica. Oggi d’altro canto è molto difficile trovare un incisore, si contano sulle dita di una mano. Negli anni ’70 andavano già di moda le boutique di abbigliamento e le botteghe erano in disuso.» Qual è stata la cosa più importante che hai imparato dalla tua famiglia? «La prima cosa che mi ha insegnato mio papà, quando avevo 17 anni, fu, prima di tutto, di guardare i gioielli ruotandoli e di concentrare l’attenzione sulla loro costruzione interna. La maggior parte dei clienti non lo fa perché non conosce le tecniche utilizzate per costruire un gioiello. Io ho sempre impiegato molto del mio tempo a insegnare alla mia clientela come si deve guardare un gioiello e, grazie a questo, ho conquistato la loro fiducia realizzando per loro oggetti molto belli e preziosi. Oggi il mercato è in sofferenza, il momento non è dei più semplici. Io ho sempre realizzato dei gioielli che parlano ed è difficilissimo far parlare un gioiello.» In che modo fai parlare un gioiello? «Ho creato un anello che si chiama Valentine, un altro che si chiama Anello della Fedeltà, un modello che si chiama Famiglia e ho ideato un bracciale che si chiama Due cuori e una capanna. Tanto per dire, ti ricordi quei ciondoli con la fisionomia di un bambino e di una bambina abbelliti da piccole
pietre? Ecco sono nati a Biella, li facevano mio padre e mio zio. Io li ho ripresi nei primi anni ’80 e a furia di farli qualcuno li ha visti, li ha prodotti in massa e distribuiti ovunque. Le spille da uomo che si indossavano nei secoli scorsi le ho rilanciate a metà degli anni ’70: andavo alle fiere con lo spillone sulla giacca e girando tra gli stand mi hanno visto in decine e centinaia di espositori, riprendendole e riproducendole nuovamente. Da ragazzo portavo il ferma-colletto: fece così tendenza che ne vendetti diverse centinaia solo nel mio comune. Ma torniamo agli anelli che parlano…Ti racconto il pensiero che sta dietro a quello che si chiama Famiglia: a una visione laterale, in sezione, questo anello ha la forma di un uovo; è una fascia piatta con una bombatura alla cui sommità viene inciso, tramite incastonatura di diamanti, il nome della donna; all’interno della struttura invece viene fatto un traforo dove viene apposto il nome dell’uomo; sul fianco dell’anello vengono incassati un numero di diamanti corrispondente al numero dei figli, pietre che hanno l’obiettivo di riflettere la luce della loro bellezza di bambini. Tutto spiegato in una pergamena che lo accompagna e ne racconta la storia. L’Anello della Fedeltà invece è composto da due fasce, una d’oro rosso e una d’oro bianco, una dentro all’altra che sono bloccate da due perni, da una parte da un fermo invisibile e dall’altra una vite. Cosa significa? Da una parte c’è la donna che con la sua bellezza, la sua sensibilità, la sua dolcezza “trattiene” il proprio compagno; dall’altra parte c’è l’uomo che “tiene” la propria compagna con la forza del suo carattere. I due anelli si muovono
Boglietti 1886 Gioielliere in Biella Rivenditore autorizzato Rolex e Patek Philippe, Via Italia 11/D 13900 Biella
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In queste due pagine le nuove versioni del Twenty~4 di Patek Philippe con ref. 4910/1200A
ma tornano sempre nella stessa posizione come due innamorati, tornano sempre nella stessa casa. Sono gioielli che vogliono comunicare messaggi importanti. Infine, l’anello Valentine è un solitario dove la pietra è incastonata su quattro punte, ma sorretta da due gambi anziché uno. In questo caso i due gambi rappresentano la coppia, le quattro punte rappresentano le braccia - perciò l’uomo e la donna sono uno vicino all’altra che alzano entrambi le braccia al cielo - e trattengono un diamante che è per sempre.» Sicuramente sei stato capace di dare libero sfogo alla creatività creando qualcosa di indimenticabile. Il mercato ha premiato le tue intuizioni? «Assolutamente sì e quando posso disegno ancora. Essendo la creatività una pulsione innata, non la si può fermare. Pensa che vivo in una casa che le persone credono che sia una ristrutturazione invece è nuova. Acquistai la mia casa che era un rudere e, per vari motivi, non mi fu permesso di ristrutturarla; anzi, fui costretto ad abbatterla. Così quando la rifeci costruire la volli come fosse una casa vecchia. Ogni luogo richiede una certa visione. Ti faccio un altro esempio: il sogno di mio papà, amante della pesca, era quello di avere un ruscello personale in casa con le trote e io l’ho costruito. Ancora oggi, tutti sono convinti che questo corso d’acqua che affianca la mia proprietà per ben 300 metri ci sia sempre stato. Quindi puoi comprendere come la creatività possa essere impiegata nella costruzione di una casa, di un ruscello, di un
gioiello o di un orologio. La mia è anche legata ad altri fattori fondamentali, che sono il buon gusto, lo stile e la capacità di fare in modo che ogni cosa sembri che sia sempre stato così. Il senza tempo.» Come nasce questa facilità a creare oggetti timeless? «Dalla conoscenza del bello, saper distinguere ciò che lo è da ciò che non lo è. È un dono di natura di cui io ho preso reale coscienza solo pochi anni fa. Mio padre, che era un uomo lungimirante, se ne accorse quando avevo 19 anni. Lavoravo in bottega da appena due anni e mi annunciò che mio zio sarebbe andato in pensione. Mi disse: “Visto che tu conosci il bello e visto che in questa bottega non ce n’è, se vuoi andare a fare il rappresentante di gioielleria, ti cerchi un’azienda che venda le cose belle e così puoi vivere quotidianamente in mezzo al bello. Se invece vuoi rimanere con me, prendo il negozio del fiorista e te lo affido perché io devo mandare avanti il laboratorio”. In quel momento ho commesso l’errore più grade della mia vita perché ho scelto di stare con mio padre. Se avessi scelto la prima opzione oggi rappresenterei un brand di gioielleria di successo internazionale.» Disegnare gioielli ti regala ancora soddisfazioni? «Io non ho mai disegnato per me, disegno per i miei clienti. Tutto ciò che è creativo mi piace, mi regala grandi soddisfazioni. Accade sempre quando faccio una cosa bella, qualunque essa sia, anche fare una semplice vetrina.»
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NOMOS GL ASHÜTTE
PERFEZIONE TEUTONICA «I NOSTRI OROLOGI FUORI DAI DETTAMI DELLA MODA, SONO E SARANNO SEMPRE MODERNI.» RICCARDO FISSI RACCONTA LA SUA SFIDA MADE IN GERMANY
Di Paolo Gobbi
IL MIRACOLO DELLA BELLA orologeria tedesca, passa sempre e solamente da Glashütte. È qui che nascono alcuni dei segnatempo più interessanti dell’orologeria contemporanea ed è qui che Nomos realizza le sue collezioni. Riccardo Fissi, general manager per l’Italia, ci guida nel viaggio alla scoperta di questi modelli, sempre più apprezzati da un pubblico esigente e anticonformista.
Da quanti anni è il “front end” di Nomos in Italia? «Ho iniziato nell’ottobre 2017, quindi sono passati quasi tre anni e mezzo: per la precisione, da uomo dell’orologeria, circa 3.700 ore.» All’inizio erano in pochi a conoscere la marca? «Questo non è del tutto vero. Gli appassionati più attenti conoscevano già allora Nomos e Glashütte. Chi conosceva il mondo degli orologi ci conosceva, forse non nel dettaglio, ma la crescente attenzione internazionale per il marchio era già evidente. Per i meno informati, è stata una bella sorpresa scoprirlo.»
Oggi la situazione è cambiata? «Siamo ancora all’inizio, ma abbiamo fatto progressi importanti! Oggi possiamo dire che il mercato italiano si sta sviluppando positivamente e ha raggiunto il livello di cui il marchio solitamente gode a livello internazionale. La rete di concessionari si è espansa notevolmente, così come la consapevolezza del brand. E, cosa più importante per noi: il gruppo target ne è a conoscenza.» Qual è stato il momento più bello e quello più difficile in questo cammino? «Ci sono stati molti momenti belli, tra cui le reazioni positive di molti rivenditori importanti quando hanno conosciuto Nomos Glashütte alla fiera di Baselworld 2018. Ricordo anche con piacere le visite dei rivenditori alla manifattura di Nomos Glashütte, dove hanno potuto conoscere tutte le fasi della produzione dei nostri calibri e dei nostri orologi. Vedere l’ottone
LAMBDA In matematica, la lettera Lambda è il simbolo utilizzato per esprimere “valori intrinseci”. Anche l’orologio Lambda in oro di Nomos Glashütte è espressione di un grande valore. Una grande opera di ingegneria, realizzata con amore secondo la tradizione dell’orologeria di Glashütte. 13.800 euro
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TANGENTE SPORT NEOMATIK 42 DATARIO Tangente Sport, qui nella versione con quadrante blu nero, è il più robusto degli orologi Nomos. Il calibro con funzione datario neomatik DUW 6101 resiste a urti, colpi e liquidi grazie alla cassa extra-robusta, alla guarnizione e al vetro zaffiro. Il nuovissimo cinturino in metallo in acciaio inossidabile, realizzato a mano e dotato di un’elegante chiusura déployant rappresenta il perfetto tocco finale. Cassa 42 mm in acciaio, bracciale in metallo sport, movimento automatico di manifattura. Costa 3.980 euro
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CALIBRO ALPHA Realizzato totalmente in manifattura, meccanico a carica manuale ha un diametro di 23,3 mm, 17 rubini, riserva di carica di 43 ore
e l’acciaio trasformarsi in parti di orologi mi stupisce ancora oggi. Momenti difficili? A volte il lavoro è stato molto, ma onestamente non ci sono stati momenti veramente difficili.» Nessun subacqueo professionale e neanche un cronografo: li vorrebbe nel catalogo Nomos? «Nel 2019 abbiamo presentato Club Sport e Tangente Sport, i primi orologi Nomos con bracciale in metallo. Due classici sportivi di Nomos, piuttosto grandi con cassa da 42 millimetri, estremamente robusti e resistenti all’acqua fino a 1.000 piedi. All’interno di entrambi i modelli ticchetta il calibro neomatik data DUW 6101. Nomos neomatik è sinonimo per calibri automatici estremamente sottili e innovativi, ideati per le prossime generazioni di prodotto. Naturalmente, gli amanti degli orologi possono essere certi che in futuro presenteremo altri modelli con questo splendido calibro. Ricerca e sviluppo sono di notevole importanza per Nomos Glashütte, quindi mai dire mai.» I modelli più richiesti dal mercato italiano? «Tangente è probabilmente l’orologio di manifattura più noto della Germania e l’icona mondiale di Nomos Glashütte, e anche in Italia è il modello più ricercato. Anche Metro, Orion e Club sono molto popolari e da non dimenticare Zürich Ore nel Mondo.» Nel suo contatto con il cliente finale, è riuscito a capire cosa cercano i nostri appassionati di orologeria, a parte un utopico investimento? «Preferirei non commentare il tema delle
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opportunità d’investimento! Un vero amante cerca un orologio che soddisfi più desideri. Chi ama la meccanica di un orologio e i calibri di manifattura, chi è interessato alla storia della nostra marca e ama gli orologi vintage, tra le altre cose... Per quanto riguarda gli amanti dei nostri segnatempo, molti di loro apprezzano il design chiaro e ridotto dei nostri modelli, i calibri proprietari Made in Glashütte, e, ultimo ma non meno importante, il rapporto qualitàprezzo.» In realtà, ci sono anche in Nomos dei modelli fuori dalla norma, in grado di aspirare ad un futuro importante anche dal punto di vista della valutazione economica? «Nel mondo degli orologi, il tema dell’investimento ha assunto una grande importanza, soprattutto negli ultimi anni, anche se questo riguarda poche (pochissime) marche ed alcuni modelli specifici. Generalmente, gli orologi Nomos offrono un buon rendimento. Il motivo per l’acquisto di un nostro orologio è soprattutto la vera passione, piuttosto che la speranza in valore aumentato.» L’industria orologiera tedesca ormai vive di vita propria o è ancora condizionata da quella svizzera? «Conduce chiaramente un’esistenza indipendente, e lo fa da 175 anni a Glashütte! In entrambi i Paesi si coltivano diverse scuole di orologeria, con caratteristiche diverse. Glashütte è il centro d’eccellenza dell’industria orologiera tedesca, e i produttori con sede a Glashütte coprono una quota importante del mercato mondiale dell’orologeria di lusso.»
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CALIBRO DUW 1001 Realizzato totalmente in manifattura, meccanico a carica manuale regolato su standard cronometrici, ha un diametro di 32,1 mm, 29 rubini, riserva di carica di 84 ore
Il design “teutonico” degli orologi Nomos potrebbe diventare un limite alla loro diffusione. «Teutonico? Divertente chiamarlo così. Ma è anche vero: Tangente è un orologio molto tedesco. Lo è però nel senso migliore della parola: forme ispirate dal Bauhaus, qualità nel rispetto della tradizione di 175 anni Glashütte. I nostri orologi sono fuori dai dettami della moda, sono e saranno sempre moderni. “Senza tempo” è un concetto utilizzato in maniera eccessiva, ma per Nomos è corretto dirlo.» Il movimento Alpha a carica manuale è il primo movimento realizzato negli Atelier Nomos. «Sì. Alpha è il nostro classico tra i calibri a carica manuale e ticchetta in quasi tutte le famiglie di orologi; funziona in modo molto affidabile e, sebbene sia il nostro calibro meno costoso, ha tutti i vantaggi e le caratteristiche di qualità Glashütte.» Spesso, anche dagli operatori di settore, viene distorto il termine “movimento di manifattura”. Provi a darcene una spiegazione compiuta e ci dice come Nomos riesce a realizzare questo tipo di meccaniche? «Nell’industria orologiera, per manifattura si intende generalmente un produttore che non acquista i movimenti per i suoi orologi, ma li produce direttamente. Nomos Glashütte produce undici movimenti, tutti nella propria manifattura di Glashütte, e la maggior parte del lavoro è fatto a mano, come da tradizione. Anche la costruzione dei calibri avviene internamente. Siamo quindi una manifattura al 100%. Ma anche l’origine è importante per noi. Glashütte è per gli orologi ciò che è Parma per il prosciutto.
Per 175 anni, i migliori orologi meccanici sono stati costruiti a Glashütte, la denominazione d’origine è strettamente protetta e gli standard sono più alti qui che altrove. Il nome “Glashütte” può essere utilizzato solo da chi produce in loco almeno il 50 per cento dei componenti del calibro. In Nomos Glashütte il grado d’integrazione verticale, tuttavia, è molto più alto: fino al 95%. Ciò è importante per noi, perché è l’unico modo in cui possiamo avere un totale controllo di qualità. La manifattura si vanta di vari brevetti, tra l’altro per vari meccanismi di data, come il datario del calibro DUW 6101 o per l’indicazione della riserva di carica.» Chi pensa che l’orologeria tedesca sia tutta nel solco della classicità, forse non vi conosce: ci spiega cos’è il regolatore DUW con il Nomos Swing System? «È estremamente raro nel mondo dell’alta orologeria: dal 2014, Nomos Glashütte produce in serie il proprio scappamento Swing System. All’epoca, abbiamo rotto il quasi-monopolio dei produttori svizzeri rendendoci tecnologicamente indipendenti. Sette anni di ricerca sono stati dedicati allo sviluppo di questo piccolissimo ma estremamente complesso e delicato componente.» A proposito: cosa vuol dire DUW? «La sigla DUW sta per “Nomos Glashütte Deutsche Uhrenwerke” (produzione tedesca di calibri) ed evidenzia la qualità della manifattura: un movimento che porta questa distinzione è costruito a Glashütte secondo tutte le regole dell’artigianato tradizionale, con grande passione e basato sulle tecniche più avanzate.»
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TETRA INNO ALLA GIOIA Il classico squadrato si esprime in nuove tonalità: l’orologio a carica manuale Tetra Inno alla gioia si presenta con un elegante quadrante verde oliva e rende omaggio a uno dei vertici assoluti del Made in Germany: Beethoven, l’artista che tradusse in musica l’«Inno alla gioia» di Schiller, oggi anche inno dell’Unione europea nonché espressione della gioia in musica per eccellenza. Costa 1.660 euro
TANGENTE NEOMATIK 41 UPDATE L’iconico segnatempo Nomos in versione aggiornata con una inedita visualizzazione della data. L’anello del datario, situato attorno al bordo del quadrante, include due punti rossi che racchiudono la data odierna. Cassa 40,5 mm in acciaio, movimento di manifattura a carica automatica calibro DUW 6101. Costa 3.200 euro
CLUB SPORT NEOMATIK 42 DATARIO NERO Una versione completamente nuova di Club, con un tocco avventuroso: questo Nomos resiste sott’acqua fino a 1. bracciale in metallo. Cassa 42 mm in acciaio, movimento automatico di manifattura. Costa 3.220 euro
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Perché un calibro di manifattura è migliore (se lo è) di un movimento di tipo industriale? «Un calibro di Nomos Glashütte è costruito a Glashütte secondo tutte le regole dell’artigianato tradizionale, ed è costruito in loco con l’esperienza di generazioni e le conoscenze di oggi. È preciso, durevole e mantiene il suo valore. Costruttori, attrezzisti, orologiai, regolatori e designer cooperano per raggiungere questo obiettivo. Grazie alle massime prestazioni in tutti i settori, è possibile realizzare dei segnatempo che accompagnano chi li indossa in tutto il mondo per una vita intera. Ma oltre a tutti i vantaggi qualitativi, offre semplicemente una sensazione diversa a chi lo indossa: i nostri calibri sono costruiti da orologiai, con cuore e anima, esperienza e amore. Un buon esempio è il calibro DUW 1001 che alimenta il nostro modello Lambda. Un ampio calibro sottile con doppio bariletto e 84 ore di riserva di carica, 29 rubini assicurano il buon funzionamento, sei dei quali sono montati in chaton d’oro avvitati e lucidati a mano proprio come negli orologi storici. Tutti i bordi e le singole parti in acciaio sono lucidati a mano. La rifinitura a raggi di sole che impreziosisce la platina a tre quarti è ben visibile: una rifinitura di design unico Nomos Glashütte. Il sistema di regolazione dell’orologio Nomos - con il bilanciere a vite e regolazione fine a collo di cigno – è regolato su standard cronometrici e trova risconto nella storia. La molla del sistema di regolazione si appoggia elegantemente sul ponte del bilanciere su cui è inciso “Realizzato con amore a Glashütte”. Un altro capolavoro.» L’indicazione Glashütte accanto al nome Nomos è un semplice vezzo per ricordare dove ha sede l’azienda, oppure ha un significato supplementare? «Glashütte è il luogo che alimenta l’immagine di Nomos e ci sentiamo grati della sua fama. Da 175 anni questa piccola città rappresenta il centro d’eccellenza dell’arte orologiera tedesca. Qui, da decenni, l’ingegneria e l’artigianato, la precisione e l’attenzione ai dettagli è stata coltivata e curata; infatti, da Nomos Glashütte il concetto del Made in Germany è seguito al massimo. Quale denominazione d’origine, Glashütte è rigorosamente protetta in tutto il mondo ovviamente questa indicazione è molto importante per noi.» Ritorniamo sui vostri segnatempo: il loro design così Bauhaus, la loro estrema linearità sono un limite oppure un valore aggiunto? «La nostra gamma offre modelli per quasi ogni tipo di polso. Naturalmente il nostro design è un valore aggiunto e una caratteristica distintiva! Non abbiamo la pretesa di piacere a tutti. I nostri clienti classici sono architetti, designer, ma anche medici e avvocati. Persone che amano un linguaggio di design senza tempo, compiuto, ma sobrio e che non vogliono indossare un orologio troppo pretenzioso. Nonostante tutta questa modestia: gli orologi Nomos sono
riconoscibili, spesso anche a grande distanza. Anche questo è sempre stato un grande vantaggio per noi come marchio.» Le donne amano e scelgono i vostri orologi? «Certo! È anche vero che ancora vendiamo la maggior parte dei nostri modelli a clienti maschili. Per le donne, tuttavia, il buon orologio sta diventando sempre più importante. La collezione Nomos Glashütte comprende 11 famiglie di modelli con circa 80 varianti: orologi da polso meccanici con cassa in acciaio, alcuni a carica manuale, altri automatici. La Serie 33, Duo, e la famiglia di orologi Tetra si rivolgono soprattutto alle amanti di orologi femminili. Ogni anno, nuovi colori di quadrante completano la collezione.» Le vendite online, che anche voi effettuate sul vostro sito, sono una risorsa aggiuntiva oppure un problema per il sistema di vendita tradizionale? «Per noi la vendita online è una risorsa aggiuntiva. Siamo un’azienda indipendente, di proprietà privata; la vendita online ci ha offerto e ci offre ancora il vantaggio di raggiungere i nostri fan in tutto il mondo, fornendo loro un’opzione di acquisto sicura. Internet, ormai, fa parte della nostra vita. La questione non è più se, ma come dobbiamo combinare abilmente online e offline a beneficio di tutti.»
Riccardo Fissi, general manager Nomos Glashütte per l’Italia
Come è possibile vendere online un oggetto così complesso come un orologio? «Oggi è estremamente facile ottenere informazioni complete sui prodotti, e le generazioni più giovani sono particolarmente abili nello shopping online. Noi siamo del parere che tutti debbano avere la possibilità di acquisto, sia online che in negozio, e ciò deve essere garantito anche a chi non ha la possibilità di rivolgersi direttamente ad un rivenditore ed in qualsiasi parte del mondo.» In un mondo che va alla velocità della luce, ha ancora senso comunicare la tradizione piuttosto che l’innovazione? «Sì, perché abbiamo bisogno di entrambi. L’essenza di 175 anni di perfezione orologiera è contenuta in ogni singolo orologio Nomos; ogni pezzo testimonia la storia e l’importanza dell’alto artigianato. Preciso, prezioso e bello, l’orologio dimostra il suo valore che rimane nel tempo. Tutto sommato, un pezzo di meccanica legato alla storia ci dà anche una sensazione diversa.» Cosa pensa quando vede un Nomos Glashütte al polso di qualcuno? «Potrei innamorarmi al momento! Beh, quasi: comunque, ne sono sempre molto contento. Anche per i clienti - hanno preso la decisione giusta. Un orologio di Nomos Glashütte conserva la sua precisione e la sua bellezza, diventa un pezzo di chi lo indossa, acquista individualità e valore. In tempi in cui molti hanno troppo, è sempre più importante per tante persone di possedere meno, ma l’oggetto giusto.»
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IWC SCHAFFHAUSEN
INSEGUIRE L’ECCELLENZA «PER ME È UN ONORE COLLABORARE CON UN BRAND CHE AMMIRO DA MOLTI ANNI PER IL DESIGN, LA MINUZIOSA INGEGNERIA E LA CURA DEI DETTAGLI» TOM BRADY, QUARTERBACK DEI TAMPA BAY BUCCANEERS
Di Paolo Gobbi CON UN PALMARÈS straordinario di sei Super Bowl, quattro titoli Super Bowl MVP, tre premi NFL miglior giocatore dell’anno e 16 titoli nella Divisione, Tom Brady è l’emblema dell’eccellenza. IWC e Brady rappresentano entrambi la punta di diamante nella loro categoria e i loro principi condivisi di perfezione e stile intramontabile rendono la collaborazione più che mai azzeccata. Brady è un campione che insegue da sempre l’eccellenza. Dopo essere stato scelto dai New England Patriots nella 199a chiamata del Draft NFL del 2000, ha conquistato sei campionati Super Bowl insieme al team, più di qualsiasi altro quarterback nella storia del football. Nella straordinaria carriera di Brady vengono annoverati numerosi record NFL: è il primo giocatore della storia ad aver accumulato 80.000 yard totali, è il quarterback che ha ottenuto il maggior numero di vittorie di sempre ed è il leader incontrastato per numero di yard passati e touchdown lasciati rispetto a qualsiasi altro giocatore. Nella sua carriera, Brady ha sempre cercato di adottare una visione olistica per la salute e il benessere attraverso la preparazione, le prestazioni e il recupero. Nel 2014, ha co-fondato TB12, un brand di lifestyle e performance che mira a diffondere in tutto il
mondo la sua idea e i suoi principi di benessere. TB12 integra concetti rivoluzionari con un lavoro di flessibilità muscolare in profondità, idratazione, alimentazione, forza e allenamento funzionale, e salute cognitiva. Oltre 150 anni fa, anche F.A. Jones lavorava infaticabilmente per condividere le sue idee lungimiranti e realizzare i suoi sogni. Nel 1868, l’orologiaio e ingegnere americano andò in Svizzera con un ambizioso progetto imprenditoriale: il suo obiettivo era coniugare le abilità artigianali degli orologiai svizzeri con i moderni metodi produttivi che aveva sperimentato nella Howard Watch & Clock Company di Boston. Decise di scegliere Schaffhausen, una cittadina della Svizzera tedesca, dove fondò la International Watch Company. Sfruttando l’energia idrica proveniente dal vicino fiume Reno, creò un’infrastruttura in grado di produrre diverse migliaia di movimenti per orologi da tasca all’anno. Oggi, IWC pone ancora grande attenzione ai valori che sono stati parte integrante della sua visione fin dalle origini: realizzare orologi eleganti e altamente precisi che vantano una produzione a regola d’arte e una funzionalità impeccabile, oltre a racchiudere l’insostituibile lavoro di artigiani di grande esperienza.
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TOM BRADY È CON OGNI PROBABILITÀ IL MIGLIOR QUARTERBACK DELLA STORIA, MA ANCHE UN IDOLO DA AMMIRARE. SUL CAMPO, IL SUO UNICO OBIETTIVO SONO LE ALTE PRESTAZIONI E LA PRECISIONE, MENTRE FUORI DAL CAMPO È UN VERO E PROPRIO GENTILUOMO, UN PADRE E UN MARITO STRAORDINARIO CHE INCARNA ELEGANZA E STILE Christoph Grainger-Herr, CEO di IWC Schaffhausen
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HO AMATO QUESTO PROGETTO FIN DALL’INIZIO. È UNA DELLE COSE PIÙ ESCLUSIVE CHE ABBIA MAI FATTO, E MI HA PERMESSO DI RIVIVERE DIVERSE EMOZIONI E RICORDI. LA PRODUZIONE È STATA INCREDIBILE E IL PARALLELISMO CON LA STORIA DEL BRAND IWC HA FATTO EMERGERE MOLTE IDEE IN CUI CREDO. F.A. JONES È RIUSCITO A REALIZZARE IL SUO SOGNO CON L’AIUTO DI ALTRE PERSONE MA, IN FONDO, DENTRO DI SÉ SAPEVA CHE SAREBBE RIUSCITO A TRADURLO IN REALTÀ A QUALUNQUE COSTO. HO SEMPRE SOSTENUTO CHE SE NON SEI TU A CREDERE IN TE STESSO, NESSUN ALTRO LO FARÀ
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Tom Brady
Nel cortometraggio Born of a Dream: A boy from San Mateo (a destra un’immagine rubata durante le riprese) il regista danese Rune Milton conduce lo spettatore in un’avventura visiva unica e affascinante, illustrando alcuni dei traguardi più significativi della vita e dei primi anni della carriera di Brady. Partendo dalle umili origini di quel ragazzino con un grande sogno nel cassetto nato a San Mateo, California, il film segue Brady nella sua carriera di giocatore di football americano, dagli inizi all’Università del Michigan fino ad arrivare ai vertici della National Football League.
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LA SUA STORIA
Tom nasce il 3 agosto 1977 a San Mateo, in California. Fin da ragazzo praticava insieme al padre vari sport, dal baseball alle 6 del mattino fino ai tornei di golf nel fine settimana, dando prova già allora di quella disciplina e determinazione che ne hanno fatto uno dei massimi campioni di tutti i tempi. Come ha fatto un ragazzo di San Mateo a diventare uno dei più grandi giocatori di football di tutti i tempi? È cresciuto con tre sorelle maggiori, molto note nella sua città natale per essere atlete eccezionali. Per lui, molto più giovane, non era facile dimostrarsi alla loro altezza. Da piccolo, suo padre lo portava spesso allo stadio Candlestick Park a fare il tifo per i 49ers, dove giocava il suo idolo Joe Montana. Tom registrava le partite e se le riguardava a casa per imparare – una cosa che fa anche oggi. Alla scuola superiore, le materie preferite di Tom erano geometria e architettura. Anche oggi, spesso descrive il football come un modello statistico, in cui si tratta di calcolare infinite possibilità. Con grande disciplina si sottoponeva agli interminabili allenamenti di atletica del suo insegnante di sport, secondo il metodo dei cosiddetti «cinque punti». È risaputo che Tom all’inizio non era molto bravo; ma voleva migliorare e per questo si alzava prestissimo per fare pratica prima delle lezioni. Anche nel football, alla scuola superiore non era considerato un grande talento. Ma grazie alla sua ben nota determinazione, ha insistito e insistito fino a dimostrare a tutti di cosa era capace. Tom Brady ha frequentato l’Università del Michigan. Al terzo anno, pensava di essere nominato primo quarterback della squadra di football. Ma con sua grande delusione non fu così. Per un momento pensò anche di mollare, ma non voleva abbandonare il suo sogno. Era ben deciso a «farla vedere» all’allenatore e a cogliere qualsiasi opportunità per dimostrare di essere il miglior quarterback in assoluto. LA PASSIONE DI TOM PER GLI OROLOGI
Già durante gli anni universitari, Tom era appassionato di orologi meccanici. Basti dire che il suo salvaschermo riproduceva un IWC Spitfire. Nonostante un inizio difficile, alla fine l’Università del Michigan è stata il trampolino di lancio della sua carriera... In quel periodo si allena in modo quasi ossessivo, curando meticolosamente la sua tecnica. Questo però gli impediva di godersi la tipica vita dello studente: andare alle feste o uscire con gli amici era praticamente impossibile. Tom sacrificava gran parte della sua vita sociale per amore della squadra e dello sport. Ma ne è valsa la pena, considerato l’enorme successo che è riuscito poi ad ottenere. UNA VALUTAZIONE SBAGLIATA
Dopo i primi successi in Michigan, sembrava che Tom Brady fosse destinato a una carriera lampo. Invece lo aspettavano altre delusioni. Durante l’esame da parte degli osservatori delle grandi squadre, le sue qualità nascoste non vennero comprese. Molti osservatori si limitarono a confrontare le sue doti fisiche con quelle di altri giocatori. Brady stava perdendo ogni speranza e, non sapendo se sarebbe riuscito a diventare
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giocatore professionista, decise di cercare lavoro in un’azienda. Accettò quindi uno stage come assistente di vendita presso una società finanziaria. Ma poteva la storia di una leggenda del football come Tom Brady finire così? LO SPETTACOLO COMINCIA
Il 20 aprile 2000 Tom Brady e famiglia si riunirono nella loro casa di San Mateo per seguire in TV il «Draft», la procedura di selezione per la National Football League. Si aspettavano che Tom sarebbe stato scelto entro il terzo turno. Invece passarono i primi tre turni, e poi il quarto, il quinto e il sesto, senza che il suo nome venisse chiamato. Tom era talmente deluso che decise di uscire a fare un giro. Prese una mazza da baseball e si mise a fare qualche battuta vicino a casa. Sembrava che il suo sogno fosse davvero finito – ma poi arrivò una chiamata dall’allenatore del New England. Lo avevano preso, anche se solo al 199° posto in ordine di selezione. Ce l’aveva fatta. IL SUCCESSO
Durante il suo primo anno in squadra, Brady partecipò a tutti gli allenamenti fuori stagione, anche quando non era richiesta la sua presenza. Voleva dimostrare ai coach di essere una persona seria e pronta per il ruolo di titolare. Alla fine, gli dettero fiducia – e non se ne pentirono. Alla fine Brady ha ottenuto il meritato riconoscimento delle sue grandi qualità sportive. Ma nessun giocatore è immune dalla sconfitta. Su un totale di venti stagioni disputate, solo sei si sono concluse con la vittoria nel campionato. Ma perdere, secondo Brady, è una grande opportunità di imparare e di migliorarsi per lo scontro successivo. Tom Brady è una vera leggenda. Ma non sarebbe dove è oggi se non avesse alle spalle una squadra capace e motivata. A farne un grande leader è il suo talento nell’individuare i punti di forza di ciascuno e nell’armonizzarli nell’azione sul campo. LA FORZA DEGLI AFFETTI
Senza una famiglia amorevole e pronta a sostenerlo, Tom Brady non sarebbe mai riuscito a vivere il suo sogno. Sua moglie, che ha sposato nel 2009, ha avuto un ruolo fondamentale nel permettergli di realizzare i suoi obiettivi. Sempre presente a ogni partita, disponibile a occuparsi dei figli quando lui è impegnato e attenta a ogni sua esigenza, è una risorsa essenziale per la sua vita. Tom Brady ha due famiglie: la squadra con cui si allena ogni giorno e le persone che lo aspettano a casa e gli permettono di vivere il suo sogno. PILOT’S WATCH CHRONOGRAPH TOP GUN EDITION SFTI IWC Schaffhausen arricchisce la linea Top Gun dei Pilot’s Watches con un modello che trae ispirazione dall’orologio “Strike Fighter Tactics Instructor”, creato nel 2018 in onore della US Naval Aviation Community ed è disponibile soltanto per coloro che hanno completato il programma Top Gun. Grazie alla combinazione della cassa in ceramica nera con pulsanti e fondello in Ceratanium, questo crono presenta un design nero opaco dal carattere tattico. Costa 10.100 euro
CON IWC UN’ABBINATA PERFETTA
Con il suo amore per la precisione e la sua meticolosa disciplina, Tom Brady si inserisce perfettamente nella famiglia IWC. Il campione possiede una notevole collezione di orologi, tra cui un Portugieser donatogli dalla moglie, che ama moltissimo. Alcuni pensano che Tom Brady dovrebbe ritirarsi, ma lui è abituato a superare i propri limiti e le aspettative degli altri. Prima o poi arriverà il momento di dire addio allo sport, ma per il momento non è disposto a «chiudere questo capitolo» – perché lo sta ancora scrivendo...
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SEIKO
IL PRIMO «WATERPROOF» DA CINQUANTA A CENTOCINQUANTA METRI IN IMMERSIONE, GLI IMPERMEABILI DEL SOL LEVANTE ANTESIGNANI DEI DIVER
Di Manuel Maggioli STORICAMENTE, rispetto alle Maison Svizzere, Seiko si avvicinò tardi alla tematica degli orologi waterproof e più nello specifico a quella dei subacquei. Su questo ritardo si possono ipotizzare una serie di ragioni. Probabilmente i fattori principali sono legati alla situazione economica del Giappone del secondo dopoguerra, uscito sconfitto e gravemente indebolito sul piano industriale. In questa fase storica la popolazione giapponese non era certamente propensa a dedicarsi agli sport acquatici: si doveva ricostruire un paese e non si percepiva il bisogno di produrre orologi sportivi. A questo stato di cose si devono aggiungere le restrizioni commerciali, imposte dagli Stati Uniti durante tutta l’occupazione (1945-1952), che limitarono fortemente sia le esportazioni che le importazioni. Negli anni ‘50 Seiko produceva prevalentemente orologi sobri, utili ai lavoratori della classe operaia e a quella dei professionisti, in sostanza dei dress watch, dei solotempo, senza tanti fronzoli. Nel 1956 iniziò la commercializzazione del suo primo orologio totalmente realizzato in house, il Seiko “Marvel”, a carica manuale. Nel 1957 commercializza il primo semplare con movimento
automatico, equipaggiato con un calibro di derivazione svizzera marcato Seiko, il cosiddetto calibro Type11 (fonte il Museo Seiko di Tokyo) o calibro 11A (su alcune pubblicazioni specialistiche giapponesi). Nel 1959 produrrà sempre in manifattura il suo primo orologio automatico, il “Gyro Marvel” con all’interno un calibro 290. IL WATERPROOF
Sono segnali di una volontà precisa, quella di voler ampliare e aggiornare la gamma dei prodotti per essere sempre più competitivi, sia sul mercato interno (dove le Case svizzere erano fortemente presenti, si pensi ad esempio a Longines) sia su mercato dell’export. Nel 1958/59, in pieno contesto evolutivo della produzione, Seiko realizza il primo orologio dichiarato “waterproof”, con tenuta stagna di 50 metri. Si tratta del Seiko Cronos “Sea-Horse” a carica manuale. Ne abbiamo documentazione fotografica nel catalogo del 1960 (purtroppo non tutti i cataloghi sono reperibili). La peculiarità di questo modello risiede nel tipo di serraggio del fondello, costituito da due elementi: un anello con filettatura che, avvitandosi, comprime il fondello appoggiato
Pagina accanto Seiko Cronos “Sea-Horse”, primo orologio waterproof. In questa pagina, il suo movimento Seikosha a carica manuale.
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sulla guarnizione di gomma, un sistema analogo a quello adottato dai Vostok prodotti in Russia e da alcuni Bulova, ma non solo da loro. Il fondello riporta l’emblema del cavalluccio marino, che simboleggia la peculiarità dell’orologio, ovvero la buona tenuta stagna. Questi modelli esprimono la loro essenzialità, con un quadrante molto semplice, senza complicazione data. Per certi versi l’assenza del datario ha permesso di realizzare quadranti perfettamente simmetrici, che si fanno ammirare ancora di più. Naturalmente vennero realizzate diverse referenze, con casse e quadranti differenti, ma tutte con il tipico fondello a due pezzi. Si ritiene che la prima prodotta sia la J13028. Le referenze successive riportano anche la tenuta stagna sul quadrante, con la dicitura “water 50 proof ”. La linea Seiko Cronos contemplava orologi a carica manuale di buona qualità, dal design sportivo o elegante. Fu introdotta nel 1958 e durò fino al 1964. Era progettata e realizzata dalla fabbrica Daini. Questa collezione ha di fatto anticipato i più pregiati King Seiko. I Cronos Sea-Horse pertanto furono i primi Seiko waterproof e non escludo anche a livello di produzione giapponese. I primi para-water di Citizen risalgono al ’59 e avevano tenuta stagna di 30 metri. ANNI SESSANTA
Nel 1961/62 e fino al 1964, la Casa nipponica inizia a commercializzare una versione tipicamente sportiva: il Seikomatic SilverWave Water 50 Proof, referenza J12082. Questo modello montava un calibro di ottima fattura, il Seikosha 6201B, dotato di 20 rubini. I collezionisti lo identificano come Seiko 62SW. Questo rimase in produzione neanche tre anni, complice probabilmente l’elevato costo, pari a 11.000 yen. A partire dal 1964, l’anno delle Olimpiadi di Tokyo, e fino al 1966, Seiko inizia la produzione del fratello “minore”, lo Sportsmatic SilverWave Water 30 Proof, referenza 697990. Questo modello era più economico (8.200 yen) e volutamente indirizzato ad un’utenza giovane, come gli studenti delle scuole intermedie e gli universitari. L’orologio monta al suo interno un calibro meno pregiato, ma robusto e funzionale, il Seikosha 2451, dotato solo di 17 rubini. Entrambi i modelli sono corredati di una ghiera interna girevole, in materiale plastico, che riporta i 60 minuti, manovrabile con la corona posta ad ore quattro, elemento che li avvicina moltissimo al concetto di diver. Sul fondello di queste due referenze appare per la prima volta il simbolo dell’onda, lo Tsunami, che ancora oggi campeggia sul fondello di quasi tutti i diver della Maison nipponica (dagli entry-level alle serie professionali). Si giunge infine al 1965, l’anno in cui Seiko commercializza il suo primo diver (oggi con questo termine si contraddistingue una tipologia ben precisa di orologi con caratteristiche tecniche codificate e stringenti). Nasce il cosiddetto 62MAS, ovvero la referenza 6217 8000/1, 150 metri waterproof , il primo subacqueo giapponese. Da qui in poi inizia la storia dei modelli da immersione Seiko, un’avventura ancora oggi in pieno svolgimento.
A sinistra, Seiko Cronos Water50Proof, carica manuale. In basso, Seiko Cronos Waterproof “Sea Horse” sempre a carica manuale. Nella pagina accanto, Seiko Sportsmatic SilverWave Water 30 Proof a carica automatica.
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CHANEL
ESCALE À VENISE «SONO TORNATO CON DISEGNI ESTREMAMENTE COLORATI, ISTANTANEE DELLA VITA VENEZIANA» PATRICE LEGUÉREAU RACCONTA LA NUOVA COLLEZIONE DI ALTA GIOIELLERIA DELLA MAISON
Di Paolo Gobbi
QUANDO IL DIRETTORE dello studio della Création Joaillerie di Chanel Patrice Leguéreau, nel 2018 andò a Venezia con il suo sketchbook per iniziare ad immaginare la collezione di alta gioielleria Escale à Venise, mai avrebbe creduto che questa sarebbe stata lanciata solamente nel gennaio del 2021. Pre-pandemia, la Venezia che vide era una città incantata e baciata dal sole, molto più vicina a quella in cui Gabrielle Chanel cercò conforto nel 1920 dopo la morte del suo amore Arthur “Boy” Capel. “Sono tornato con disegni estremamente colorati, istantanee della vita quotidiana veneziana”, scrive. Divisa in quattro temi, questa collezione di settanta pezzi rende omaggio all’architettura di Venezia, ai suoi canali, alle sue isole lagunari e al leone che si trova in molti dei luoghi più famosi della città, oltre ad essere il simbolo del segno zodiacale di Gabrielle Chanel. LA SÉRÉNISSIME
Celebrando la ricchezza architettonica di Venezia, la parure di gioielli Eblouissante è composta da disegni geometrici bianchi e rosa, in un’interpretazione unica delle facciate dei palazzi e dei pavimenti in marmo policromo delle chiese. Su una struttura in oro rosa e platino, la collana presenta un motivo sfalsato, con diamanti
baguette che riecheggiano le trame preferite da Gabrielle Chanel. In stile neobarocco, l’insieme delle Sérénissime fa rivivere lo spirito bizantino dei mosaici della Basilica di San Marco in una luce assolutamente contemporanea. Come il “plastron” composto da quadrati di onice e diamanti, tessere di zaffiro rosa, giallo e arancio e granati spessartine che riflettono la luce su uno zaffiro mandarino ovale, a sua volta circondato da una pioggia di diamanti. GRAN CANALE
Quattro set dalla particolare fluidità, rispecchiano l’eleganza del mondo della navigazione e traggono ispirazione dai pali di ormeggio, bianchi e blu, utilizzati dalle gondole. In queste creazioni troviamo lapislazzuli e diamanti, che punteggiano ad esempio una collana sautoir a tre fili composta da perle e maglie in oro giallo. Nella stessa armonia cromatica e di volume, Gran Canale presenta anche un pendente di lapislazzuli e diamanti sospeso su una montatura a binario di stelle di diamanti che sembra simboleggiare i colori della laguna. ISOLE DELLA LAGUNA
In un’ode ai Métiers d’art, le Isole della Laguna hanno ispirato ben tre set dedicati al fiore preferito
Chanel High Jewelry, anello Ruban Canotier ispirato ai cappelli dei gondolieri in paglia intrecciata e doppio raso di guarnizione, oro bianco, giallo e rosa, diamanti, smalto nero e rosso.
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Chanel High Jewelry, collana Constellation Astrale in oro bianco, oro giallo, diamanti, zaffiri gialli e lapislazzuli. Nel riquadro, il disegno originale di Patrice Leguéreau.
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Chanel High Jewelry collezione Escale à Venise, Eblouissante collana trasformabile e orecchini in oro rosa, platino e diamanti. Un diamante taglio asscher (combinare il taglio smeraldo con il taglio rotondo, in una forma caratterizzata da estrema simmetria) da 10,41 carati; due diamanti taglio asscher per un totale di 10,52 carati.
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Chanel High Jewelry, Collana Camelia Byzantine in oro giallo, diamante giallo, diamanti, zaffiri gialli, corniola, opali, granati tsavorite, giada nefrite e onice. Un diamante giallo taglio radiante da 10,07 carati.
di Gabrielle Chanel, la camelia. La Camélia Byzantin celebra gli antichi mosaici presenti sull’isola di Torcello, con una collana mozzafiato realizzata con pietre dure. Il loro profilo irregolare esalta la bellezza di una camelia rossa in corniole e opali di fuoco. Il suo pistillo è composto da un diamante giallo da oltre dieci carati. SPIRITO DI VENEZIA
Lo spirito di Venezia si esprime attraverso la personalità del leone, che regna sovrano sulla città. Dopo la prima collezione di alta gioielleria del 2013 dedicata al segno zodiacale di Gabrielle Chanel, il felino compare ora in cinque distinti set. La collana monocromatica Lion Secret mostra il profilo di due felini in oro bianco. Lion Secret gioca invece la carta dei colori su una collana sautoir a tre fili: combina perle di spinello rosso e perle di lapislazzuli, con due leoni sovrani il cui perlage è costituito da zaffiri gialli. Questa collana è accompagnata da uno splendido bracciale che riflette fluidità e forza con il medaglione del leone barocco. Infine, il cielo in cui appare il leone alato sulla facciata della Basilica di San Marco, è trasposto da Chanel sul set della Costellazione Astrale. Il risultato è una collana notturna scolpita da un potente mosaico di lapislazzuli. ESCALE À VENISE
A raccontarci la storia e l’ispirazione della collezione è proprio Patrice Leguéreau, direttore dello studio creativo della gioielleria Chanel. A lui il compito di narrare l’aspetto scultoreo di questi gioielli, di queste pietre straordinarie, che la sua creatività e l’opera di abili gioiellieri hanno trasformato in pezzi dall’estetica tanto preziosa quanto potente.
Come è nata questa collezione? «Nel 2018, quando abbiamo iniziato a riflettere su questo tema, volevamo davvero mostrare la Venezia del XXI secolo. Così sono andato lì con il mio blocco degli schizzi, mi ci volevo perdere, percepire l’energia di questo luogo unico. Sono tornato con disegni pieni di colore, istantanee della vita quotidiana veneziana che mi hanno ispirato a creare gli acquerelli per questa nuova storia. Potremmo dire che Escale à Venise è la visione contemporanea che Gabrielle Chanel avrebbe oggi di questa città, da lei scoperta nel 1920 dopo la morte improvvisa del suo grande amore, Boy Capel. Fu affascinata dalla città dei dogi, dall’architettura bizantina e dall’atmosfera barocca. La Serenissima le permise di rinascere. Edmonde Charles-Roux dirà poi ne L’Irrégulière che Tra il museo e la vita, la scelta fu presto fatta: scelse la vita.» È la seconda collezione di Alta Gioielleria che Chanel dedica alla città lagunare… «Sì, ma questa volta l’approccio è molto diverso. Nel 2013, “Sous le signe du lion” rendeva omaggio ai simboli della città celebrandone uno in particolare: il leone, che è anche il segno zodiacale di Gabrielle Chanel. Otto anni dopo, questa collezione riflette la Venezia di oggi accostando la storia, l’architettura e l’artigianato a elementi di vita veneziana, quali le paline di legno dove sono ormeggiate le barche, le figure dei gondolieri, i gelati comprati agli angoli delle strade... Questa collezione è una passeggiata lungo i canali, nei vicoli fiancheggiati da palazzi segreti, in cui si cela l’anima del luogo. Volevo che la città fosse immediatamente riconoscibile. Era fondamentale che ogni gioiello facesse riferimento a uno o più elementi veneziani, che il collegamento fosse
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È LA PRIMA VOLTA CHE UNA COLLEZIONE DI ALTA GIOIELLERIA PRESENTA TANTI SIMBOLI IN UNA PALETTE CROMATICA COSÌ AMPIA. OGNI GIOIELLO INCARNA E RACCONTA UNA PARTE DELLA STORIA DI VENEZIA, CHE ABBIAMO UNITO A QUELLA DELLE ICONE DI CHANEL
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Patrice Leguéreau, direttore dello Studio de Création Joaillerie di Chanel
immediato. La figura di Gabrielle Chanel appare solo implicitamente.» Da un punto di vista stilistico, come definirebbe Escale à Venise? «Se la firma grafica di Chanel è certamente presente, questa collezione, con la sua grande ricchezza di motivi, colori e dettagli, si ispira al patrimonio culturale unico della città di Venezia. È la prima volta che una collezione di Alta Gioielleria presenta tanti simboli in una palette cromatica così ampia. Ogni gioiello incarna e racconta una parte della storia di Venezia, che abbiamo unito a quella delle icone di Chanel. Questi due universi entrano in forte risonanza. È il mio modo di tradurre il barocco veneziano in chiave contemporanea. Come nel plastron Camélia Byzantin, con zaffiri gialli montati a mosaico intorno a un fiore con petali di pietre dure. La parure Éblouissante riprende i motivi geometrici in marmo rosa e bianco della facciata di uno dei più celebri palazzi veneziani e ricorda, in chiave onirica, il tessuto matelassé tanto caro a Mademoiselle. Gli ornamenti di diamanti di alcune collane ricordano quelli degli specchi veneziani presenti nell’appartamento di rue Cambon. Per quanto riguarda le strisce delle paline veneziane, in bianco e blu, ricreate con lapislazzuli e diamanti in sautoir a più giri, sono un omaggio al motivo marinière degli abiti Chanel. I colori sono anche una sorta di filo conduttore.» Senza dimenticare le pietre, che sono più che mai protagoniste. «Certo, dopotutto sposano perfettamente il tema di questa collezione! La ricchezza e l’abbondanza delle pietre utilizzate sono direttamente legate alla Venezia bizantina, a quell’Oriente sofisticato che tanto ha ispirato Chanel. Abbiamo puntato sulla diversità dei materiali e dei colori, utilizzando sia gemme ornamentali, come lapislazzuli, cornalina, opale di fuoco, giada nefrite, sia pietre preziose
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quali rubino, zaffiro, smeraldo e spinello. Ci sono pietre di una qualità straordinaria che risaltano immediatamente, come ad esempio lo straordinario zaffiro del Madagascar di oltre 30 carati montato ad anello, oppure il diamante giallo da 15 carati con un meraviglioso riflesso arancio. I diamanti bianchi invece sono sontuosi e abbondanti: tre dei pezzi contano ciascuno oltre 20 carati di pietre centrali, tutte classificate DFL/ DIF….» Per quanto riguarda la fabbricazione, sono state utilizzate tecniche particolari? «Il design di un gioiello deve basarsi su una struttura solida, perciò ci siamo concentrati particolarmente sulla fluidità, per una maggiore morbidezza e leggerezza sulla pelle. Le montature delle collane sono interamente articolate; diversi elementi sono stati smaltati uno a uno per accentuarne la morbidezza, mentre la parte posteriore di alcuni bracciali è stata arrotondata per una maggiore ergonomia. Sul retro di alcuni gioielli è stato messo a punto un trattamento di superficie particolare per ottenere un effetto più morbido e confortevole una volta indossati. Sia alla vista che al tatto, anche i modelli più complessi da realizzare devono suscitare nelle donne il desiderio di sfoggiarli immediatamente. Infine, la scelta dei colori delle pietre è stata fondamentale per ottenere sfumature e nuance armoniose. Allo stesso tempo, il lavoro di taglio è stato cruciale, in particolare per le parure Constellation Astrale e Camélia Byzantin dove il lapislazzulo, la cornalina, l’opale di fuoco e la giada sono stati tutti tagliati direttamente sul pezzo.» Cosa le piacerebbe venisse ricordato di questa collezione? «Abbiamo cercato di unire l’estrema ricchezza del tema a una grande fluidità nella creazione gioielliera. Abbiamo voluto tradurre la bellezza senza tempo di questa città.»
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Chanel High Jewelry, Collana Volute Venitienne in oro bianco, oro giallo, diamanti, lapislazzuli, perle coltivate.
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CAPITOLO 12
ALTA GIOIELLERIA
PROVE TECNICHE DI RIVOLUZIONE HA SAPUTO REGALARE UNA NUOVA VITA AI DIAMANTI, CONFERMANDO CHE LA BELLEZZA RISIEDE AL DI LÀ DELLE APPARENZE: VALÉRIE MESSIKA SI RACCONTA
Di Lara Mazza SI PUÒ ANDARE OLTRE i limiti della creatività? La risposa è sì e Messika ne è un esempio eclatante. Spinta dal desiderio di creare gioielli di moda di indiscutibile bellezza, sin dal 2005, Valérie Messika, figlia del famoso commerciante di diamanti André Messika, è stata capace di reinventare una pietra tanto preziosa quanto classica come il diamante in un oggetto di innegabile fascino, concependo gioielli tanto esclusivi quanto sorprendenti. Nelle sue mani questa meraviglia della natura prende vita: si muove, balla, si diverte e, soprattutto, non è mai noiosa. Le creazioni firmate Messika sono gioielli di carattere che riflettono profondamente la femminilità e la modernità della designer francese. Trend-setter e visionaria, ha saputo traslare il suo estro creativo in una estetica mai scontata lavorando sul simbolo per eccellenza del lusso senza tempo. Grazie al suo talento artistico, Valérie Messika, nel corso degli anni, ha raggiunto e conquistato personaggi come la famosa modella Gigi Hadid, con la quale la Maison ha co-progettato due capsule collections tra il 2017 e il 2018, mentre nel 2019
Bracciale collezione Messika by Kate in oro giallo, diamanti e malachite
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ha scelto ben tre muse per impersonare il suo stile: Kate Moss, Joan Smalls e Sylvia Hoeks. Ma l’elenco delle celebrities che hanno scelto il brand per le loro apparizioni pubbliche è davvero lungo. Gioielli disegnati da una donna per le donne; più di semplici accessori; manufatti e pezzi di Alta Gioielleria che esaltano i diversi tratti della personalità di chi li indossa. Le donne oggi possono scegliere di essere quello che vogliono: cool, rock, retrò, punk, bohémien, conservatrici, progressiste, classiche, appassionate, potenti, discrete, estroverse, maschili, femminili, pop o anticonformiste. Qualunque sia la propria scelta, Messika guarda alle donne come muse stimolanti da cui trarre ispirazione e, grazie a specifiche ed esclusive tecniche di lavorazione, rifugge ogni rigido classicismo dando vita a un gioco di forme e accostamenti totalmente innovativi dove anche i diamanti sono liberi di muoversi all’interno della stessa architettura dei gioielli. Né congelato nel tempo né nello spazio, il diamante diventa finalmente qualcosa di nuovo, vivace, ed estremamente desiderabile.
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Making of Collezione Messika by Kate Moss
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CAPITOLO 2
Making of Collezione Messika by Kate Moss
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Come è iniziata la sua avventura nella gioielleria? E quanto è contato il tuo background familiare? «Quando ho fondato Messika 16 anni fa, c’era una vera e propria paura e apprensione intorno ai diamanti e la maggior parte delle donne sceglievano di indossarli unicamente sui loro anelli di fidanzamento o durante gli eventi da sera più tradizionali. Molte donne hanno sempre pensato ai diamanti come pietre da indossare esclusivamente in età adulta, a causa della convinzione che queste pietre le avrebbero invecchiate. Per questo motivo ho creato Messika Paris, perché volevo sradicare questa idea e rompere ogni tipo di barriera di stile legata all’idea di età che fino ad allora si era instaurata. Sento che Messika è riuscita a farlo. Oggi, Messika si può considerare come una Maison fashion di lusso. Se mio padre non avesse lavorato nel mercato dei diamanti, credo non sarei qui. La sua passione rappresenta l’inizio di questa bellissima storia. Fin da piccola, ricordo che portava a casa diamanti incredibili e mi ci lasciava giocare. Negli anni mi ha spiegato e trasmesso la sua passione in modo estremamente naturale. Amavo lavorare con mio padre e condividere con lui la nostra comune passione per i diamanti. Mi ha insegnato come guardare dentro ogni pietra e mi ha insegnato tutto quello che so. Da questo deriva la mia attenzione per i dettagli e l’attenta osservazione dei particolari.» Il suo è stato un successo travolgente. A cosa pensa sia dovuto? «La mia più grande sfida lavorativa è stata quella di trasformare i diamanti in gioielli. Il mio obiettivo è stato ed è quello di creare un nuovo modo di indossarli. Ho questa visione: il diamante deve essere rock’n’roll, innovativo e facile da indossare.» Possiamo parlare di una vera innovazione nell’uso dei diamanti, com’è riuscita a reinventarli? «Mi piace spingere i limiti della creatività gioielliera
oltre i confini. Sono sempre stata fortunata di poter lavorare con i diamanti con spirito libero e audace. Ed è per questo che provo sempre ad immaginare pezzi innovativi e originali, come il piercing orecchino-naso o la maschera di diamanti “Born to Be Wild”, presentata in una delle mie collezioni di Alta Gioielleria.» Qual è la filosofia di Messika? «Amo il fatto che non ci siano più regole – la gente aveva così tanto timore persino di combinare oro giallo e oro bianco insieme oppure di indossare un set di gioielli che non fosse coordinato, mentre ora si pensa solo ad abbracciare il proprio stile e percepire la gioielleria come ‘personale’. Questo è lo spirito che volevo infondere nelle mie collezioni. Quando si parla di gioielleria non esiste più l’approccio di una misura che si adatti a tutti. La gioielleria rappresenta l’opportunità di esprimere la propria personalità. Questa sensibilità si trova in molte delle mie creazioni, sia nella gioielleria che nell’Alta Gioielleria. Il diamante diventa rock’n’roll e accompagna le donne in tutti i momenti della loro vita. Less is more (meno è meglio) è il mio credo e immagino le mie collezioni basate su quattro valori essenziali: leggerezza, libertà, purezza e sensualità. A partire dall’incondizionata purezza dei diamanti, al design minimale atto ad esaltarli, Messika è sempre alla ricerca dell’essenziale. Desidero che le mie creazioni siano molto comode; la donna dovrebbe vivere la sua vita senza essere infastidita da gioielli eccessivamente pesanti.»
A sinistra Orecchini della collezione Messika by Kate Moss in oro bianco e diamanti A destra Collier della collezione Messika by Kate Moss in oro bianco e diamanti
Mi parli dell’ispirazione creativa: come nasce un gioiello Messika? «Mi ispiro a tante cose, per tutto il tempo – sono costantemente alla ricerca di cose nuove! Cerco sempre ispirazioni durante i miei viaggi, attraverso l’architettura, l’interior design (di cui vado matta), camminando per le strade e osservando gli stili e
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Collier Plastron collezione Messika by Kate Moss in oro bianco impreziosito da diamanti taglio goccia, triangolo, smeraldo e brillante
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le attitudini delle persone. I nomi delle collezioni invece vengono scelti dopo la creazione dei gioielli. Il gioiello è sempre il punto d’inizio.»
diverse collezioni in un unico look. Amo anche impilare i miei bracciali, sovrapporre le mie collane, gli orecchini, e gli anelli – è divertente!»
Come si creano gioielli senza tempo? «È mia opinione che l’eternità di un pezzo, che si tratti di un gioiello o di un mobile, stia nella semplicità e nella purezza di un design capace di attraversare i secoli, nella perfetta esecuzione e nell’equilibrio tra le proporzioni. Accade la stessa cosa quando vedo alcuni pezzi, alcuni tavoli o divani, che non hanno età sebbene siano stati disegnati molti anni fa.»
In termini di distribuzione, siete molto attivi anche attraverso l’e-commerce? La tecnologia sta gradualmente cambiando il modo di distribuire i vostri prodotti? «Oggi abbiamo siti e-commerce in Europa, nell’area Schengen, così come nel mercato americano. Non intendiamo fermarci. Sono attualmente in corso nuovi progetti legati ad altri mercati.»
Qual è la sua vera definizione di lusso? «Per me, il lusso è il tempo. Il tempo dei momenti preziosi con la propria famiglia e vedere le mie due figlie crescere. Con la passione e un duro lavoro, il tempo ti permette di avere successo sia nella vita familiare che in quella professionale. Inoltre, nella mia carriera, il tempo è il mio miglior amico in termini di design, produzione, e tanto altro...»
Quale beneficio trae il brand dalle sue interazioni con i social media? «Il digitale è un canale essenziale in tutto il mondo. La pandemia ha avuto il merito di accelerare questa trasformazione.»
A che tipologia di donna pensa quando disegna le sue collezioni? «Una delle mie più grandi ispirazioni sono le donne. Quindi quando disegni gioielli, li immagino per ogni tipo di donna. Può essere minimalista, ma anche rock n’roll.»
Ci sono mercati particolari a cui sta puntando in termini di espansione distributiva? «Oggi, Messika è presente in 55 paesi con 450 punti vendita, incluse 30 boutique monomarca. Auspichiamo di aprire quest’anno altre dieci boutique. Nonostante la pandemia e diversamente da altri players, Messika ha scelto di portare avanti il suo piano di espansione, soprattutto in Asia.»
C’è una collezione che ha amato più delle altre? «No. Mi piace mixarle tutte. Spesso le alterno, le combino tra di loro e, a volte, indosso più di tre
In un momento storico in cui alcune tradizioni manuali stanno via via scomparendo, come valuta il futuro degli artigiani e il loro recruitment?
Photo by Chris Colls
IDEE
«Quando le tradizioni manuali sono in declino, il know-how di un gioielliere è ancora più importante, perché non dobbiamo dimenticare che un gioiello è interamente fatto a mano, anche se c’è un computer a definirne la fase legata al design. Ogni pezzo può essere realizzato solo a mano, come lo sono il montaggio e la lucidatura. Questo processo sarà maggiormente valorizzato visto che il know-how sarà ancora più raro e prezioso. La Francia è uno di quei paesi dove queste conoscenze verranno preservate il più possibile, perché il lusso ed il know-how francesi si basano sull’opera di queste preziose mani. Sono importanti per noi, nella gioielleria così come nella Haute Couture.» Secondo lei è mutato l’approccio verso la gioielleria? «Le regole della gioielleria sono cambiate, sia per le donne che per gli uomini. I diamanti si possono indossare tutti i giorni, per andare al lavoro, per personalizzare il proprio stile, e non solo per i momenti più sacri di una coppia. I tempi in cui solo gli uomini regalavano diamanti sono passati. Oggi, anche le donne regalano i diamanti ai loro amati! Allo stesso modo l’immagine di come indossare il diamante è cambiata. Questo vuol dire che non è necessario che una persona abbia un carattere “forte” per indossare diamanti perché non sono più percepiti solo come gioielli sfarzosi ma, al contrario, di assoluta tendenza.» Mi potrebbe citare due icone di stile che ammira? «Kate Moss per la sua estetica e per la sua
femminilità audace che apprezzo molto. Per me è una musa e vera icona di stile! Altrimenti, Grace Kelly, per la sua bellezza interiore ed eleganza.» Qual è l’oggetto più “prezioso” della sua collezione personale? «Quando ero giovane, mia nonna, una delle donne più incredibili che io abbia mai conosciuto, mi regalò uno dei suoi anelli, un diamante a pera di 9.30 carati. È il mio gioiello preferito. Ha un forte valore sentimentale per me perché le ero molto affezionata.» Qual è la cosa che non ha ancora realizzato e che vorrebbe fare? «Da qualche anno sto pensando di creare un diamante-orologio.» Progetti futuri? «Sta andando tutto così in fretta.... Spero che Messika continui ad evolversi: siamo un brand ancora giovane e le cose da fare sono molte. Abbiamo iniziato ad essere presenti nel mercato asiatico. Vorremmo dialogare con altre aree, specialmente nel segmento dei matrimoni.» Se non fosse diventata una disegnatrice di gioielli cosa immagina avrebbe fatto? «Nel mio settore avrei fatto il direttore artistico, lavoro molto con l’immagine; se non fossi diventata designer di gioielli, avrei lavorato nella pubblicità o nella comunicazione. Sarei potuta diventare anche un interior designer.»
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FERRARI - MASERATI
IL ROMBO DELLA CITTÀ ETERNA DA OLTRE MEZZO SECOLO, I VERI DRIVER ACQUISTANO I LORO BOLIDI DA SAMOCAR. OGGI QUESTA REALTÀ PARTE DA ROMA, PASSA DALLA TOSCANA, POI DALLA CAMPANIA E ARRIVA FINO IN SARDEGNA, ADEGUANDOSI AI TEMPI MODERNI DEL MONDO AUTOMOTIVE. LUCA LUCHESCHI CI RACCONTA COME
Di Carlotta Mancini gentlewomandriver.com
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MOTORI
CLASSE 1981, appassionato di sport, montagne e motori, Luca Lucheschi è general manager della storica Samocar, concessionaria esclusiva Ferrari e Maserati per Toscana, Lazio, Campania e Sardegna. Fondata da Vincenzo Malagò e dalla sua famiglia, l’imprenditore ci racconta cosa c’è dietro la conduzione di un’azienda che vanta più di sessant’anni di esperienza tra responsabilità, impegno e famiglia come parole chiave.
Ci racconta la sua storia? «Sono entrato nel mondo dell’automobile di recente e quasi per caso. Ho sempre avuto un debole per auto e moto; fin da piccolo ho armeggiato con motorette da cross, trattori, go kart e poi motociclette e macchine sportive, ma i miei studi universitari si sono concentrati sulla comunicazione: ero certo che “da grande” avrei fatto il giornalista. Finiti gli studi, invece, sono entrato nel mondo del lavoro attraverso un’altra mia passione, la nautica, dove per tredici anni ho operato nel dipartimento marketing e come direttore commerciale per Nautor’s Swan, successivamente per il Gruppo Ferretti. Tuttavia non ho mai abbandonato la passione per le auto e
per i viaggi in moto, che si è trasformata in lavoro quando, per un’importante scelta di vita condivisa con mia moglie, abbiamo deciso di tornare a vivere a Roma e da qui l’occasione di entrare nell’azienda di famiglia, Samocar appunto.» Come mai questa scelta? «È stata un’opportunità della quale sono felice per tanti motivi. Il primo è di far parte di una realtà commerciale bellissima per spirito ed etica del lavoro, attiva in un ambito anche molto divertente. Un altro aspetto che mi rende orgoglioso è quello di essere all’interno di un gruppo leader nel proprio settore che ha fatto la storia delle concessionarie ufficiali Ferrari, Maserati, BMW e Rolls Royce. Posso dire che è una scelta maturata a “cuor leggero”, con curiosità e convinzione, perché sapevo che sarebbe stato un mondo per me nuovo e stimolante. Inoltre la possibilità di coniugare famiglia e lavoro è altrettanto importante. La mia precedente carriera mi portava all’estero per lunghi periodi di tempo ed avendo ora due figli piccoli era forte il desiderio di poter tornare la sera a casa quanto più possibile.»
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Luca Lucheschi, General Manager Sa.Mo.Car
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Ha usato la parola “bellissima” per descrivere Samocar. Può spiegarci con più precisione in cosa? «Samocar è un’azienda molto particolare, è da più di sessant’anni leader del suo mercato di riferimento e non ha mai perso di vista la propria identità ed i propri valori. Mai, neppure nelle crisi più feroci di questo difficile mondo dell’automobile. Quando sono entrato, ho trovato da subito un calore ed un affetto rassicuranti ed uno spirito di “grande famiglia” che è poi emanazione del modo di vivere la sfera privata in casa Malagò. Qui è facile percepire il legame di squadra, il far fronte comune verso gli obiettivi prefissati per le differenti aree nelle quali operiamo. La maggior parte dei nostri dipendenti è cresciuta con noi, siamo tutti molto uniti. Inoltre, abbiamo la capacità e l’onore di poter essere considerati una realtà “solida” dalle case costruttrici di cui siamo mandatari, il che ci dà la possibilità di lavorare con fiducia e serenità non comuni. È importante sottolineare che i brand che rappresentiamo sposino la nostra stessa filosofia: c’è un filo comune tra Ferrari e Samocar che costituisce parte integrante del nostro essere e che traspare in tutte le nostre attività.» Come si trova nel segmento automotive? «Sono qui da circa due anni e ne sono entusiasta. È un mondo commercialmente simile a quello vissuto in passato, anche se sicuramente più dinamico. Ferrari e Maserati hanno due diversi approcci al mercato ma fanno parte di uno stesso filone che ben si lega alla mia precedente esperienza con le barche: impersonificano sportività, eleganza e sono marchi mossi dalla passione. Per me è un contesto motivante, i numeri sono alti e le sfide di questo mercato in continua evoluzione mi entusiasmano.» Essere un famoso punto di riferimento rende il suo lavoro più semplice? «Sicuramente la storicità e la forza del marchio Samocar danno maggiore serenità ai nostri clienti, impegnati in un investimento importante come l’acquisto di una Ferrari o di una Maserati. Ma la gestione dell’attività rimane complessa anche per le caratteristiche dei diversi servizi che offriamo: dalla vendita all’officina, dal restauro di automobili classiche alle competizioni in pista.» Una così forte eredità la sente come un onere o un onore? «Per mio carattere lo percepisco come un grande impegno. Essendo un’azienda storica ho l’enorme fortuna di gestire una roccaforte costruita negli anni e di conseguenza sento la responsabilità di continuare a guidarla al meglio. Il pensiero che mi stimola ogni giorno è di come possa crescere ed evolversi Samocar nei prossimi anni. Mi chiedo come si trasformerà l’industria dell’automobile e quale modello di business sarà più efficace adottare. Sono curioso rispetto al futuro del settore automobilistico anche perché l’auto è parte integrante e spesso imprescindibile della quotidianità di molte persone.» Cosa cercava negli anni ’90 il vostro cliente e cosa cerca oggi? «Credo che il fascino di una Maserati o
l’emozione che può dare una Ferrari siano rimasti invariati nel tempo, anche se il prodotto è molto evoluto. Lo stile sofisticato, lo spirito sportivo e l’italianità si confermano tre qualità fondamentali.» Qual è la prima domanda che vi sentite rivolgere da chi viene da voi per acquistare un’auto? «I nostri clienti sono davvero preparati, conoscono il prodotto e sanno cosa vogliono. Sia per Maserati che per Ferrari le domande sono per lo più tecniche. Ma non le nascondo che la curiosità sui tempi di attesa è molto frequente.» Un’auto importante si acquista seguendo il cuore o la ragione? «Entrambi. La componente emozionale è forte, ma segue sempre un processo decisionale molto razionale. Ogni nostra autovettura ha una sua unicità, una sua ragion d’essere e l’acquisto viene valutato con attenzione, insieme ai nostri consulenti.» Com’è il rapporto con la clientela? «In Samocar una stretta di mano è un impegno inderogabile, è cosi dagli anni ’50 con i nostri clienti, i nostri collaboratori e con i fornitori. Oltre alla passione comune per le automobili, per noi è importante stabilire una relazione basata sulla fiducia, viste le somme e le emozioni in gioco. Al di fuori della vendita offriamo diversi servizi accessori. È in crescita il numero di Ferrari classiche sulle quali effettuiamo lavori di manutenzione ordinaria o restauri completi, così come è in aumento l’attività sportiva (Ferrari Challenge e Competizioni GT) che gestiamo per quei clienti che amano gareggiare in pista durante i fine settimana.» Vi è capitato di vendere dei modelli senza il “contatto” con la persona, online oppure al telefono? «No, per ora no. L’acquisto di una vettura del genere è anche emozionale e a noi piace poter mantenere un rapporto stretto con i clienti. Durante il 2020 ci siamo impegnati nel rendere i nostri showroom dei “salotti” sicuri dove potersi incontrare e discutere del prossimo acquisto; puntiamo tanto sulla relazione umana. La tecnologia ci è di supporto nel descrivere in modo virtuale una personalizzazione su un veicolo di gamma o nel mostrare in esclusiva un’edizione limitata. Tuttavia, la vicinanza e la presenza rimangono i nostri valori fondamentali.» Ferrari e Maserati: due mondi simili ma diversi, come li valorizzate? «È una giusta osservazione: Ferrari e Maserati hanno molti punti di contatto ma la clientela è diversa. Entrambi i marchi fanno della sportività la loro caratteristica principale, ma questa viene vissuta in maniera differente dall’acquirente Ferrari che ha in prima persona il piacere e la voglia di guidare e provare quelle emozioni estreme che una di queste automobili può dare, mentre il cliente Maserati ha il piacere di condividere l’esperienza di guida, magari in famiglia o con amici o colleghi di lavoro durante un viaggio. Maserati rappresenta vetture di una bellezza senza tempo, raffinate e con un forte richiamo alla propria storia. Ferrari è simbolo di prestazioni
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senza compromessi, con le fondamenta nel mondo delle corse che ne hanno celebrato la sua storia, dalla Formula 1 moderna alle sfide di Le Mans negli anni ‘60. Vale per entrambe che, una volta parcheggiate, ci si giri sempre per guardarle ancora.» Come gestite le liste d’attesa per le versioni di punta? «Sono fisiologiche per il modello di business operato da Maserati e Ferrari. Non sono “volute” ma dovute alla naturale capacità produttiva delle due fabbriche. Anche Maserati, che produce più unità rispetto a Ferrari, rimane sempre un costruttore di nicchia e quindi esclusivo. Non nego che la gestione delle richieste di mercato rispetto all’allocazione assegnataci per alcuni modelli più richiesti sia a volte difficile, ma fa parte della complessità di alcuni processi. Anche le “Serie Speciali”, indirizzate a collezionisti o clienti consolidati, vengono gestite secondo un piano di sviluppo specifico che le fabbriche affiancano alla produzione di gamma.» Sfatiamo un luogo comune: anche trent’anni fa era difficile acquistare alcune Ferrari? «Ogni Ferrari è una vettura sofisticata e complessa, che sia di gamma, un modello speciale o da competizione. Siamo abituati a vedere l’automobile finita, su strada o in circuito, ma
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le difficoltà per arrivare al prodotto come lo immaginiamo ci sono. Il ciclo produttivo per esempio, è più lungo rispetto alle fabbriche orientate alle grandi serie: bisogna considerare l’artigianalità, la preferenza per le tecniche del “fatto a mano” e, spesso, la personalizzazione richiesta dal cliente. Inoltre il numero di unità prodotte è comunque contenuto e da qui il “mito” della difficile accessibilità al prodotto. Come si dice, una Ferrari va desiderata ma dietro l’attesa ci sono motivi pratici.» Il futuro delle concessionarie passerà dalla rete o il vostro ruolo è destinato a cambiare nel tempo? «I modelli in serie speciale vengono venduti prima di essere presentati al grande pubblico, anticipati ai clienti durante le presentazioni vis-a-vis. Quando arrivano sulla rete il processo di assegnazione è già compiuto. Oggi internet ed i social media sono canali di marketing fondamentali, imprescindibili, ma la vendita avviene ancora nei nostri saloni. L’esperienza di acquisto di una nostra automobile è fisica, per il forte impatto emozionale che si prova nel trovarsi di fronte o a bordo di una Ferrari o di una Maserati.» L’auto elettrica: un’opportunità? «Un’opportunità senza dubbio. Entrambi i marchi offrono già delle soluzioni ibride e a breve vedremo
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su Maserati, una prima vettura del tutto elettrica. Sia sulle granturismo che sulle sportive il supporto elettrico accentua le qualità dell’automobile e lo ritengo un valore aggiunto. È altresì importante rimanere coerenti con la filosofia del proprio brand e quindi integrare la componente elettrica come rafforzativo del carattere di ogni vettura. Maserati ha agito sulla fluidità di guida che la rende grintosa, ma morbida ed efficace sia in città che nelle lunghe percorrenze. Ferrari invece con la nuova SF90 Stradale ha enfatizzato la sua anima estrema, integrando al motore termico tradizionale un’ulteriore riserva di potenza data dalla propulsione elettrica ottenendo delle prestazioni inimmaginabili. Una curiosità: è possibile guidarla unicamente in modalità elettrica il che è molto piacevole nel traffico delle grandi città.» Come sarà la Ferrari del futuro e quali saranno le eventuali difficoltà che il pubblico si troverà ad affrontare? «Riallacciandoci a quanto sopra, le prossime Ferrari saranno ibride e credo che da qui a cinque anni potremmo vedere anche la prima vettura completamente elettrica. L’iconico motore a 12 cilindri rimarrà ma sarà probabilmente utilizzato solo su vetture speciali, con produzione limitata. Capisco la perplessità di molti amici e clienti nel perdere, quantomeno in parte, il famoso sound dei
motori aspirati Ferrari ma i vantaggi in termini di prestazioni e fruibilità dei nuovi propulsori turbo ed ibridi sono talmente evidenti che sicuramente questa nostalgia per le Ferrari “analogiche” verrà meno. Ci sarà sempre spazio per le Ferrari classiche, o per le più recenti “youngtimer” anni ’90 o primi 2000, ma è giusto guardare al futuro, che poi parlando di produzione Ferrari è ormai il presente.» Le nuove generazioni si avvicinano al settore delle auto di lusso? «Sì, il segmento 30-40 anni è per noi una fascia di mercato molto importante anche perché rappresenta il futuro dell’azienda ed è in forte crescita. È una clientela più sportiva ma non meno esperta o preparata.» Qual è il modello che l’ha emozionata più di tutti gli altri? «Sicuramente la Ferrari F40. È una macchina con trent’anni sulle spalle ma con una grinta molto attuale. È veloce anche per gli standard di oggi e provarla è sempre un evento straordinario, con il suo motore turbo, la sua meccanica estrema e l’assenza di controlli elettronici. Guidandola ti rendi conto di quanto fossero capaci i piloti dell’epoca. Da quando la vidi da bambino per la prima volta è rimasta il mio mito, come del resto per molti giovani della mia generazione.»
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ROLEX
IO SONO LA CORSA AFFASCINANTE, COINVOLGENTE E IMPEGNATIVA, LA ROLEX 24 H AT DAYTONA È UNA DELLE PIÙ FAMOSE E LEGGENDARIE GARE DI ENDURANCE AL MONDO
Di Carlotta Mancini gentlewomandriver.com
Quadrante grigio fumé con motivo “Tapisserie Evolutive”, indici applicati e lancette Royal Oak in oro rosa con rivestimento luminescente.
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«VELOCITÀ, SONO PURA VELOCITÀ: un vincitore, quarantadue (49 in questo caso) perdenti» Come Saetta McQueen, protagonista del film d’animazione Cars - Motori ruggenti, ripeteva prima di una gara, viene da chiedersi se i concorrenti di una delle più celebri prove di endurance americane pensino lo stesso. Oppure se siano concentrati sul tracciato, sulle condizioni meteo o ancora, sull’affidabilità della vettura. Al momento non lo possiamo sapere, ma conosciamo di certo chi, sfidando un caleidoscopio di emozioni contrastanti, si è aggiudicato l’edizione 2021 del Rolex 24h di Daytona. È il Wayne Taylor Racing Team ad aver
alzato la coppa della storica corsa grazie ai piloti Alexander Rossi, Hélio Castroneves, Ricky Taylor e Filipe Albuquerque. I driver hanno dimostrato cosa vuol dire fare gioco di squadra, alternandosi alla guida della numero 10 Konica Minolta Acura ARX-05 Dpi, durante le lunghe e sfiancanti ore di gara. Il WTR ha vinto per il terzo anno consecutivo, ottenendo anche il primo successo per il marchio Acura nella Rolex 24. Sono loro, i piloti a bordo del bolide blu e nero, ad aver compiuto il maggior numero di giri in 24 ore e a ricevere da Rolex, il Title Sponsor della corsa da ben 29 anni, i modelli di Oyster Perpetual Cosmoghraph Daytona con incisione dedicata.
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I MIGLIORI PILOTI SONO ATTRATTI DA QUESTO EVENTO CHE SFIDA CONTINUAMENTE I LIMITI DI RESISTENZA E AFFIDABILITÀ DELL’AUTOMOBILISMO MODERNO CONFERMANDOSI UN LABORATORIO D’ECCELLENZA PER METTERE ALLA PROVA DRIVER E VETTURE
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PARTNER STORICO A DAYTONA BEACH ROLEX È TITLE SPONSOR DI QUESTA CELEBRE SFIDA AUTOMOBILISTICA CHE DAL 1992 SI SVOLGE SU DUE GIRI COMPLETI D’OROLOGIO Attenzione, sono modelli in acciaio e oro, perché se l’appassionato che nei suoi vaneggiamenti sognava di appropriarsi di un introvabile modello in solo acciaio, pensando che l’unico modo per farlo fosse quello di partecipare e vincere la competizione, adesso anche quella flebile speranza è stata spazzata via: Rolex ha consegnato ai vincitori solo modelli nel doppio materiale. Insomma, c’era un solo modo per impossessarsi dell’acciaio non passando per le liste d’attesa delle concessionarie, un modo
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davvero improbabile, e ora nemmeno più quello. Tuttavia, orologi irreperibili e collezionisti sognanti a parte, la storia della Rolex 24 ore di Daytona non ha eguali negli Stati Uniti; essa unisce driver provenienti dalla NASCAR, IndyCar e Formula1, affermando così un alto livello competitivo. Una prova di endurance per vetture prototipo e Gran Turismo che incanta il pubblico di tutto il mondo: un test di resistenza che vede alternarsi quattro piloti al volante della stessa auto sfidando
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stanchezza umana, affidabilità meccanica, strategie del team e pure capacità di guida. Ma è il mix di emozioni che rende la Daytona uno spettacolo entusiasmante: momenti di tensione assoluta, fiato sospeso, sollievo e infine pura gioia. Il palcoscenico che mette in scena questi sentimenti contrastanti è il Daytona International Speedway situato in Florida. È qui che nasce nel 1923 e, fino al 1966, la durata complessiva della Daytona sarà di tre ore. In seguito, la necessità di avere un degno campo di prova per la più ambita 24h di Le Mans ha reso necessario un cambio di regolamento, arrivando alle famose 24 ore. Del tracciato francese si perde l’utilizzo delle strade pubbliche, infatti nel circuito americano ci troviamo all’interno di una pista chiusa con curve sopraelevate e porzioni ad alta velocità. In aggiunta, Le Mans, si svolge storicamente durante il periodo estivo mentre l’endurance americana nella stagione invernale: questo comporta
È IL MIX DI EMOZIONI CHE RENDE LA DAYTONA UNO SPETTACOLO ENTUSIASMANTE: MOMENTI DI ALTA TENSIONE FIATO SOSPESO SOLLIEVO E INFINE PURA GIOIA
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differenti condizioni meteo che influiscono sul ritmo di gara in notturna. Nonostante tutto, la partecipazione è sempre ampia anche grazie all’assenza di costruttori ufficiali. Ciò ha permesso l’instaurarsi di competizioni combattute senza una supremazia tecnica determinata da fondi più consistenti: quello che conta sono le capacità dei piloti ed una forte strategia del team. Questi sono solo alcuni dei fattori che hanno portato all’aggregazione ogni anno di un ricco parco di partenti, provenienti da diverse e importanti categorie, entusiasti di mettersi alla prova su un terreno ad alta intensità emozionale. Brividi e colpi di scena che non sono mai mancati nella Rolex 24h at Daytona. Come quando nel 1962 Dan Gurney, pilota di Formula1, NASCAR e 500 miglia tanto per citarne alcune, decise di fermarsi e spegnere la vettura a pochi metri dal traguardo. Questo perché la sua Lotus stava riscontrando dei problemi al motore. Allo scoccare del minuto e
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quaranta secondi, tempo necessario per arrivare alle tre ore e quindi per terminare la gara, Gurney taglia il traguardo grazie alla spinta del motorino di avviamento, vince e festeggia spruzzando dello champagne sul team, inaugurando così la ormai famosa tradizione. L’episodio del motorino di avviamento fece cambiare le normative, da quell’anno in poi sarà richiesto di attraversare la dirittura d’arrivo per mezzo della potenza del motore. Un problema che certamente non si sono posti i piloti vincenti dell’edizione 2021, come ampiamente dimostrato durante i giri finali dominati senza nessun timore o problema. L’ingrediente segreto però proviene dal lato umano più che da quello meccanico: la squadra intesa come un singolo organismo, che collabora in sincrono per un obiettivo. È questo l’elemento principe che emerge da una delle più frenetiche edizioni della Daytona. Il proprietario della scuderia, Wayne Taylor, ha saputo condurre
un team vincente, motivato e dedicato. I suoi piloti lo descrivono come una persona precisa, appassionata, speciale: chiaramente un uomo competitivo che ama vincere ma allo stesso tempo una persona che ha creato un’atmosfera familiare nella quale si lavora insieme come un unicum, pur rimanendo all’interno di un contesto fortemente agonistico. L’unione delle forze ha dato dei risultati che parlano da soli, annoverando adesso quattro vittorie in cinque anni per la WTR. In una competizione come questa, un gruppo solido e la concentrazione sono fondamentali: la professionalità e la preparazione devono essere di altissimo livello. Un successo, in una prova storica e dal forte valore emotivo ed emozionale, raggiunto anche grazie alla fiducia maturata nel team. A conferma del fatto che, riprendendo le parole di Tex, una Cadillac del film Cars: «Nelle corse si può fare molto più che vincere». E in questo caso i piloti della Acura lo hanno fatto.
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DIEGO DALL A PALMA
LA BELLEZZA DEL NUOVO MONDO In quest’ultimo tempo, nonostante si vivano situazioni sociali al limite del tollerabile, il mio spirito è ringalluzzito fino a farmi sentire ancora al timone del mio veliero esistenziale, navigante combattivo anche di cause perse. Cos’è accaduto? Ci sono state due scosse di terremoto nel settore cosmetico: una, la prima, estremamente prevedibile; l’altra, la seconda, improvvisa come le trombe d’aria. Già da tempo coltivo pensieri pessimistici sul mondo della bellezza. Mi tornano quotidianamente in testa. E il mio cervello pulsa, a volte, di indignazione. Mi chiedo sovente: “Come è possibile che il convoglio della bellezza e tutto il suo circo stiano andando verso il castello di Dracula convinti di far visita ad un convento di suore Carmelitane?”. Il motivo del mio disappunto nasce dalla visione di una bellezza esibita, ostentata, tronfia, che ogni santo giorno mi viene propinata sui social e in ogni dove. Mi rendo conto che molte (troppe!) aziende cosmetiche immolano il loro prestigio, la loro storia, i loro significati sull’altare dell’ovvio, dello scontato, dell’omologazione, della volgarità, della provocazione femminile più becera e godereccia. Mi domando quali donne si possano identificare in femmine esibizioniste e insolenti. Ad essere sincero, il mio pensiero è
ancora più drastico: non riesco ad immaginare come certe presenze femminili amanti della cultura, dell’arte, del singolare e della bellezza oltre la bellezza ovvia, si possano paragonare a donne belle e basta. Questa, la mia domanda: “Ma di queste prostitute di regime (i regimi sono infiniti e di ogni genere), cosa penseranno le donne intelligenti, le donne eleganti nel pensiero e nell’animo?”. Non trovando né risposte né pace, scaccio questi pensieri per non alimentare il mio disappunto. Quando ero solo un ragazzotto pieno di sogni e vivevo di pane e pane ho cercato, nella cosmetica, messaggi rassicuranti per qualsiasi tipologia femminile. Qualcuno ricorderà che ho sempre scelto la strada più scomoda per comunicare il mio concetto di bellezza: innovazione, azzardo e coraggio. Ma da poco, improvvisamente, c’è stato uno “scandalo”: migliaia di “benpensanti” si sono scagliati sulla donna “più brutta del mondo”, la modella armena Armine Harutyunyan, scelta da quel genio di Alessandro Michele, per rappresentare il brand Gucci nel mondo. Ebbene, l’esultanza mi sta investendo come una promozione al paradiso. Perché? Perché il mondo nuovo reclama ad alta voce ogni tipo di bellezza, compresa quella scomoda.
Scrittore, truccatore, imprenditore e personaggio televisivo italiano, Diego Dalla Palma è un’icona inconfondibile dello stile, della bellezza e dell’immagine italiana nel mondo. Il New York Times lo ha definito «Il profeta del make up Made in Italy»
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AESOP
SCULPT HAIR POLISH Sculpt Hair Polish di Aesop è un gel non appiccicoso che, oltre a modellare e strutturare le ciocche di capelli, aggiunge volume e lucentezza grazie alla sua miscela rigenerante di oli essenziali: Lime, scorza di Bergamotto e bocciolo di Chiodo di Garofano che, insieme all’Avena idrolizzata e al Pantenolo, idratano e nutrono i capelli, assicurando al contempo un elevato livello di tenuta e definizione. Gel per capelli per modellare e strutturare la maggior parte dei tipi di capelli e donare volume ai capelli fini o piatti. Dona lucentezza e un delicato aroma. www.aesop.com
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CHANEL
BOY DE CHANEL La bellezza non è una questione di genere; è una questione di stile. Gel viso idratante, correttore, matita occhi 3 in 1 e gli smalti firmati Boy de Chanel sono gli elementi essenziali di un nuovo guardaroba maschile da usare istintivamente, con formule impercettibili e un risultato naturale. Una linea dal packaging blu notte, un design sobrio e un’eleganza senza tempo. La linea make up e skincare da uomo. Prodotti facili da usare per creare un look personale, dal più naturale al più intenso. Idratate e rivitalizzate la pelle, uniformate il colorito e intensificate lo sguardo. www.chanel.com
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GEO F. TRUMPER
THE SHAVING CREAMS Il marchio inglese Geo. F. Trumper nasce a Londra nel 1875. Insignito con il prestigioso Royal Warrant of Appointment dalla Regina Victoria e successivamente da ognuno dei monarchi che si sono a lei succeduti al trono fino ad oggi, Geo. F. Trumper propone una lussuosa linea dedicata alla rasatura ed alla cura della persona. Prodotti realizzati con ingredienti di alta qualità e fragranze uniche che hanno reso celebre il brand in tutto il mondo. www.trumpers.com
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SISLEY PARIS
SISLEŸUM FOR MEN Sisleÿum è un trattamento globale anti-età rivitalizzante per la pelle dell’uomo. La sua formula è stata specificamente ideata per aumentare la resistenza cutanea alle aggressioni quotidiane. Questo trattamento rassoda, contrasta rughe e segni di stanchezza, idrata, attenua le irritazioni causate dalla rasatura. Grazie agli estratti naturali e agli oligo-elementi, giorno dopo giorno, la pelle ritrova luminosità e tono ed è visibilmente rinvigorita, rivitalizzata e dall’aspetto più giovane. www.sisley.com
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MODA 01
AFTER PARTY COSA SUCCEDE QUANDO SI SPENGONO LE LUCI? UNA NOTTE AL THE YARD HOTEL A MILANO di Gaia Giovetti foto di Lucio Convertini ha collaborato Costanza Maglio
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PART YMODA TIME
Bracciale e collana in oro bianco, diamanti e zaffiri rosa. Orecchini in oro bianco, diamanti, opale e graniti. Anello in oro bianco con diamanti e berillo. Hortus Deliciarum GUCCI HIGH JEWELRY Secret watch in oro bianco con diamanti, quadrante in pietra turchese, cinturino in alligatore nero. GUCCI HIGH WATCHMAKING PAGINA PRECEDENTE Orologio Twenty-4 Automatic in oro rosa, diamanti sulla lunetta, movimento meccanico a carica automatica, PATEK PHILIPPE Bracciale in oro giallo e brillanti “Collezione Ductus”. Anello in oro bianco Quarzo Fumè e brillanti brown “Collezione Maharaja” , Anello grande in oro giallo e brillanti “Collezione Ductus” e Fedina in rosa e brillanti brown “Collezione Cromia”, HAUSMANN & CO. Sandalo in satin e piume, MALONE SOULIERS
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Anello in oro bianco con diamanti laterali e zaffiro cabocon. Anello in oro bianco con diamanti e rubino cabocon. PISA DIAMANTI Orologio Classima 10546, quadrante in madreperla con diamanti BAUME & MERCIER Penna stilografica collezione Gladiatore, argento e onice nero con diamanti incastonati ZANNETTI HANDMADE IN ROME A destra, Bangle “Coco Crush” con motivo matelassé in oro bianco e diamanti. Anello doppio “Coco Crush” in oro bianco e oro giallo con diamanti e disegno matelassé, CHANEL JOAILLERIE. A sinistra, Orologio “Code Coco” con cassa in acciaio, due quadranti neri laccati con diamante taglio princesse, lunetta di diamanti e movimento al quarzo. Bracciale in acciaio e ceramica nera ad alta resistenza. Orologio “Code Coco” con cassa e bracciale in acciaio, due quadranti neri laccati con diamante taglio princesse e movimento al quarzo, CHANEL HORLOGERIE . Anelli “Coco Crush” a fascia in oro bianco e pave di diamanti com decoro matelassè, CHANEL JOAILLERIE. Coulotte shaping nera a vita alta, YAMAMAY
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Anelli Coco Crush Toi Et Moi in oro bianco e oro beige e diamanti, motivo matelassé Anello con charm Extrait De Camélia in oro giallo e diamanti. Collana Impression De Camélia in oro giallo e diamanti Bracciale Impression De Camélia in oro giallo e diamanti. CHANEL JOAILLERIE Orologio Mademoiselle Privé Bouton Perle bottone in oro giallo con mezza perla bianca Australiana coltivata, bracciale in tweed, movimento al quarzo. CHANEL HOLOGERIE
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Orologio “Serpenti Seduttori” con bracciale a scaglie in acciaio lucido, cassa con lunetta di diamanti e quadrante bianco con indici e numeri romani, BULGARI. Dalla collezione “Mondo” anelli “Versailles” in oro bianco e diamanti più “Spine” in pavé di smeraldi, e in oro giallo e diamanti più “Spine” di rubini. Sull’altra mano da sinistra, sempre dalla collezione “Mondo”, anello “Versailles” in oro bianco e diamanti e “Spine” di pavé di zaffiri blu, anelli “Luxor” in oro giallo con “Spine” di diamanti bianchi e in oro bianco con “Spine” di Rubini, FARNESE GIOIELLI. Decollete “Angel Eye” in pelle e tacco Blade in acciaio brunito, CASADEI
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Bracciale e anello Trottola in titanio nero e diamanti Eyeliner pavè. VHERNIER Orologio Tambour Slim Monogram Dentelle quadrante madreperla impreziosito da fiori realizzati con diamanti. LOUIS VUITTON Abito in pizzo rosa. SELF PORTRAIT PAGINA PRECEDENTE Orologio Élégante ref. EL Calibre 1210 cassa flat Tortue in oro rosso e 38 diamanti cinturino Karung snake. F.P JOURNE Bracciale, anelli e orecchini della collezione Camelia in oro rosa con disegni effetto pizzo a motivi floreali e diamanti pavè. LJ ROMA 1962
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Orologio Regent in oro giallo e full pavé di diamanti su cassa e lunetta. Movimento automatico, quadrante madreperla inciso a mano con motivo onda. ZANNETTI Sandalo alla schiava infradito in pelle con tacco alto rivestito e passante in metallo dorato. GIANVITO ROSSI Sapone liquido Compagnie de Marseille distribuito da OFFICINA PARFUME
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Collana Bulgari Serpenti Alta Gioielleria in oro bianco e diamanti. Orologio Bvlgari Serpenti Tubogas tre giri in acciaio con quadrante bianco e diamanti sulla lunetta. BULGARI
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Earcuff Twisted Wave in oro bianco, con diamanti taglio smeraldo e brillante. Collier Toi & Moi in pavé di diamanti, impreziosito da un diamante taglio goccia e un diamante taglio carrè. Tutto Collezione di Alta Gioielleria Messika by Kate Moss. MESSIKA
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Il back stage del servizio fotografico realizzato da Gaia Giovetti, Lucio Convertini e Costanza Maglio per HANDMADE all’interno del The Yard Hotel a Milano.
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MODA 02
BACK TO HOTEL DOVE VA A FINIRE IL NOSTRO OROLOGIO QUANDO SI TORNA IN CAMERA?
di Gaia Giovetti foto di Lucio Convertini ha collaborato Costanza Maglio
Orologio Hampton ref. 10528 cassa acciaio, movimento svizzero meccanico a carica automatica. BAUME & MERCIER Armadietto Lixhult in metallo nero. IKEA Dentifricio, spazzolini e forbici di SCARAZZINI MILANO Sapone liquido Compagnie de Provence distribuito da OFFICINA PARFUM
Orologio Luminor Marina - 44mm movimento automatico calibro P.9010 cassa acciaio 316L da 44 millimetri quadrante satiné soleil blu PANERAI Orologio Gladiatore Lady cassa in bronzo con finitura satinata, quadrante in madreperla incisa e colorata, movimento automatico svizzero. ZANNETTI da sinistra Sapone da Barba AESOP. Profumo Jus, Profumo Etat Libre D’Orange, profumo Robert Piguet, sapone liquido Compagnie De Provance, tutto distribuito da OFFICINA PARFUM. Spazzolini e dentrificio di SCARAZZINI MILANO. Armadietto Lixhult in metallo nero, IKEA
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Orologio Chronomat B01 42 cassa acciaio, movimento automatico bracciale acciaio. BREITLING Dentifricio e spazzolino e schiuma da barba e rasoio di SCARAZZINI MILANO Sapone liquindo Compagnie de Provance distribuito da OFFICINA PARFUM. Armadietto Lixhult in metallo bianco, IKEA
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Gemelli Meisterstück in acciaio pregiato con finitura PVD color oro rosso e inserto in madreperla MONTBLANC Orologio Montblanc 1858 Geosphere Limited Edition 1858 con cassa in bronzo, quadrante laccato marrone con sfumatura sul beige e due globi rotanti bombati. MONTBLANC Orologio Tambour Street Diver Black Blaze cassa in acciaio 44 mm PVD nero e oro rosa. Movimento automatico. LOUIS VUITTON Profumo Nicolai, sapone liquindo Compagnie de Provence, sapone da barba con pennello, profumo e rasioio di Geo F. Trumper, tutto distribuito da OFFICINA PURFUM. Forbicine, pettine, dentrificio e spazzolino di SACARAZZINI MILANO. Armadietto Lixhult in metallo grigio. IKEA
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THE YARD HOTEL MIL ANO
L’OSPITALITÀ È UNA COSA SERIA AMBIENTE INTIMO, NON CONVENZIONALE E ACCOGLIENZA FUORI DAL COMUNE: L’ECCELLENZA RISIEDE ANCHE NEGLI ALBERGHI INDIPENDENTI
Di Lara Mazza
Alessandro Cesario, fondatore e proprietario del The Yard di Milano, lo straodinario albergo nel quale è stato realizzato il servizio moda delle pagine precedenti.
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SITUATO A DUE PASSI dal Naviglio Grande e a soli 5 minuti da Porta Genova, il The Yard Hotel è collegato ai punti più strategici della città grazie alle numerose fermate di tram e alla comoda linea 2 della metropolitana di Milano. Concepito come una “casa” e organizzato con tutti i servizi di una classica struttura alberghiera, questo luxury Hotel a 4 stelle offre un ambiente raffinato e discreto nel quale i clienti, durante tutto il soggiorno, possano godere di spazi raffinati e aree dotate di tutti i comfort. A partire dalla reception: uno spazio polifunzionale nel quale i clienti sono accolti e dove possono sentirsi immediatamente a proprio agio, proprio come nella propria abitazione. È questo il fulcro centrale di tutta la concept-house, studiata per adattarsi con la massima flessibilità alle diverse esigenze degli ospiti e trasformarsi in luogo ideale per brunch, aperitivi e appuntamenti di lavoro. Caratterizzato da un forte tratto distintivo e dall’unicità della sua estetica non convenzionale, il design di ogni ambiente è curato non solo nella
forma ma anche nello stile e nel colore. I divani in pelle e l’arredamento caldo ed elegante si mescolano a trofei originali e attrezzature d’antan: dalle racchette da tennis in legno al cuoio imperfetto di un pallone da football, in una fotografia che regala sprazzi di una vecchia Londra. L’intero progetto è legato proprio alle discipline sportive, ma con un tocco creativo e inedito, un melting pot unico e assolutamente originale. Il The Yard è un contenitore di esperienze e per questo è concesso a chi ci vive di farne collezione, anche attraverso l’acquisto di alcuni degli oggetti esposti al suo interno. La struttura propone suite e appartamenti ultramoderni, dotati di tutti i comfort che si possano desiderare. Ogni stanza è unica e diversa da tutte le altre; questo perché ogni ambiente è specificamente ispirato a uno sport e ogni sport ha una, e una sola, camera di riferimento, che sia polo, nuoto o skateboard. Cosa significa soggiornare in un boutique hotel? Ce lo racconta il fondatore, Alessandro Cesario.
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Come è nato il progetto TheYard? «Il The Yard Hotel Milano nasce a settembre del 2011 con dimensioni molto più contenute rispetto alle attuali. Inizialmente era una piccola guest house al primo piano di Piazza XXIV Maggio n. 8, edificio che oggi è diventato un complesso alberghiero nella sua interezza. L’idea è venuta alla luce durante i miei innumerevoli viaggi in giro per il mondo. Volevo portare a Milano un concept che ho sempre amato e ricercato, e che qui ancora non c’era. Il mio modello sono state appunto le guest house e i boutique hotel in Sud Africa o nel sud est asiatico, strutture accoglienti e dal fascino particolare. Siamo partiti con poche camere e, col tempo, avendo a disposizione una maggiore quantità di spazio, siamo riusciti ad ingrandirci pur rimanendo fedeli a quella filosofia di ospitalità che ci ha contraddistinto sin dall’inizio.» Cos’è l’ospitalità secondo lei? «Dal mio punto di vista è un dare il benvenuto in un modo autentico e genuino all’ospite che arriva da noi, cercando di farlo sentire il più possibile a casa. Chi viaggia, in particolare la clientela business,
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cerca di ritrovare in qualche modo quel calore che ha lasciato e da noi apprezza il fatto che il The Yard è un luogo che può vivere come se racchiudesse il proprio salotto e la propria camera da letto.» Che tipo di clientela avete? «È molto trasversale: abbiamo una buona percentuale di clienti business con un’altrettanta percentuale di clientela leisure. Chiaramente parliamo di periodi ben diversi da quelli che stiamo vivendo oggi. È trasversale anche per età: ci scelgono sia i giovani che una clientela più matura; sicuramente di respiro internazionale, tra cui moltissimi repeater che sono le persone che ci danno più coscienza del fatto che stiamo mantenendo sempre alto il livello qualitativo degli spazi e dei servizi. Rispetto ad un hotel standard c’è molta più familiarità anche con il personale con cui gli eccessivi formalismi tipici di strutture più grandi sono stati messi al bando. A fare la differenza è l’accoglienza.» Una delle vostre particolarità è la presenza di una moltitudine di oggetti meravigliosi che arredano gli
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spazi comuni e che possono essere anche acquistati. Da dove provengono? «Dalla mia passione e dalla mia curiosità, e indubbiamente dai miei viaggi.» Il momento è molto difficile per il settore.Voi avete scelto di chiudere o rimanere aperti? «Noi siamo aperti. Nel nostro piccolo abbiamo lavorato, con ospiti sia italiani che di nazionalità straniera. Solo per la parte relativa all’hotel chiaramente… Una clientela prettamente business. Bene o male il passaggio di questa clientela lavorativa non ci è mancato. Lavoriamo a un 35-40 per cento di occupazione rispetto al totale. È ovvio che le persone si muovano di meno e manchi il normale flusso turistico. Ad ogni modo, oggi come oggi, aver raggiunto questa percentuale a Milano è un ottimo risultato.» Quali sfide e opportunità vede per Milano quando finalmente usciremo dall’emergenza pandemica? «Sono convinto che Milano avrà la capacità di ripartire molto velocemente. Nel momento in cui ci sarà nuovamente la possibilità di
viaggiare e di muoversi con maggiore libertà, sia la clientela business sia quella leisure ritornerà immediatamente. È indubbio, la clientela business tornerà perché Milano in realtà non si è mai fermata. A livello immobiliare c’è sempre stato fermento, anche a livello finanziario. Credo che la nostra città abbia la capacità di risollevarsi più in fretta rispetto a qualsiasi altra città europea. È piccola, elastica, aperta, internazionale, veloce. Ha dunque tutte quelle caratteristiche che le consentono di poter ripartire in fretta. Sono sicuro che per Milano ci sarà un futuro ancora più roseo. Nel frattempo noi non ci fermiamo, infatti abbiamo appena iniziato ad investire sulla struttura: avremo una palestra di 300mq circa; daremo inizio ai lavori di sviluppo della parte di roof-top con piscina e zona solarium di cui prevediamo l’apertura a primavera del 2022. Invece di frenare abbiamo deciso di dare un’accelerata sperando di raccoglierne i frutti nei prossimi anni. Infine verranno aggiunte altre sei camere e rifaremo il maquillage a tutta la parte ristorante e giardino. Inizieremo i lavori tra aprile e maggio. Sarà una bella trasformazione.»
The Yard Hotel Piazza Ventiquattro Maggio 8 20123 Milano
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KRUG
IL VINO DEI RE LO CHAMPAGNE È SOPRATTUTTO «PIACERE» JULIE CAVIL, LA CHEF DE CAVE, LO RACCONTA AD HANDMADE
Di Manlio Giustiniani
DONNA SENZA DUBBIO STRAORDINARIA
Julie Cavil: la Chef de Cave della Maison Krug da fine 2019, proviene dal mondo del marketing e della comunicazione, ma il suo sogno era creare il miglior champagne. Così nel 2002, dopo essere stata manager di un’azienda di pubblicità parigina, seguì il suo desiderio e si trasferì a Reims dove si laureò in enologia e, nel 2006, entrò alla Maison Krug come enologa dove per 13 vendemmie ha lavorato a fianco con il suo predecessore, Éric Lebel. Oggi riperpetua il sogno che fu di Joseph Krug, un idealista con una filosofia di vita che non ammetteva compromessi, Fondatore della omonima Maison nel 1843, nel famoso diario, scritto cinque anni dopo, spiegava la filosofia della Maison Krug, spinto dal pensiero che la vera essenza dello Champagne fosse il puro piacere, sognando di poter offrire il meglio anno dopo anno, indipendentemente dalle variazioni climatiche, sostenendo che una: “Maison de Champagne avrebbe dovuto creare solo due
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Cuvée della medesima qualità”. La Cuvée N.1 identifica oggi la Grande Cuvée e la Cuvée N.2 il millesimato. La prima era quella che meglio incarnava l’idea di eccellenza ed era “multimillesimata”, poichè riteneva impossibile produrre uno champagne perfetto tutti gli anni con l’uva di una sola vendemmia, ma lo si poteva ottenere solo selezionando con cura le migliori uve dei migliori Cru delle ultime annate. Julie, per creare la Grande Cuvée si comporta come una direttrice d’orchestra, segue la partizione e apporta il suo tocco e la sua personalità, facendo una vera e propria “audizione” dei 250 vini dell’annata e di 150 vini di riserva, ognuno dei quali incarna l’essenza di una singola parcella per creare l’assemblaggio di una nuova edizione di Krug Grande Cuvée, espressione tridimensionale dello stile che incarna il più profondo spirito Krug, rendendo omaggio al sogno di Joseph per offrire la
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migliore espressione di eccellenza della Champagne. L’arte di assemblare vini così diversi provenienti da annate differenti conferisce una sfaccettatura di aromi capaci di regalare allo Champagne una perfetta armonia, in grado di suscitare ricordi o emozioni. La Cuvée N. 2, oggi nota come Krug millesimato, viene creata da Julie solo nelle annate quando le condizioni climatiche permettono un ottimo livello qualitativo e consentono di dare vita a uno champagne con il medesimo stile, ma con le uve di una sola annata. Ogni Millesimato è diverso, con la sua melodia irripetibile, esprime il carattere unico di una determinata annata, sublimata da Krug ed esaltata da un lungo tempo di affinamento nelle cantine della Maison a Reims. Un principio cardine della filosofia produttiva è l’individualità, ovvero l’arte di trasformare la vendemmia di ogni parcella in un singolo vino e quindi seguirne il suo carattere specifico prima di creare l’assemblaggio. Ciò permette a Julie di individuare e distinguere i singoli vini che potranno arricchire le creazioni dell’annata e di conservarne altri come vini di riserva. La concezione del tempo è sempre in costante mutamento in base all’evoluzione artistica, culturale e scientifica, e se per noi il “tempo” è sia quello atmosferico che quello che scorre sulle lancette dell’orologio, definito Chrónos dagli antichi Greci, con Kairós intendevano qualitativamente il momento preciso, opportuno, adatto, conveniente. Questo movimento del tempo nelle varie fasi della creazione di una cuvée è fondamentale alla Maison Krug e coincide con la creazione eterna di una Grande Cuvée o di una cuvée millesimata. Julie in qualità di Chef de Cave convive con il Kairos, termine che sfugge alle definizioni perché si trova sempre al centro di due elementi: l’azione ed il tempo; la competenza e la possibilità. Questa indeterminazione è legata al suo potere di decisione. È lei che decide il tempo di riposo nelle cantine che è ciò dona a questi Champagne la loro esclusiva raffinatezza ed eleganza. «Come Chef de Cave - sostiene Julie - il mio ruolo è triplice, è legato al presente, al passato e al futuro. Inizia nel ricreare ogni anno la nuova Édition di Krug Grande Cuvée, un atto che implica la responsabilità di presevare la nostra eredità culturale trasmessa dai nostri predecessori e ho anche un dovere verso le generazioni future di proteggere la longevità della Maison, e nel preparare i giovani membri del team; ecco perché ci prendiamo cura dei nostri vigneti attraverso delle pratiche sostenibili e continuiamo la trasmissione dei nostri valori.» Conclude affermando che ama spendere il suo tempo libero con la sua famiglia e con gli amici, poiché non vi è cosa più importante nella vita di coltivare i rapporti interpersonali. E in questo ultimo anno comprendiamo bene il significato di questo pensiero, sperando di potere al più presto degustare insieme alle persone care un calice di Krug Grande Cuvée.
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dolce vita CAPITOLO 5
CAPITOLO 5
ZODIACO DEL TEMPO
UN BUFALO «COSTANTE E AFFIDABILE» L’OROSCOPO È UNA COMPONENTE IMPORTANTE DELLA CULTURA E DEL FOLKLORE CINESE
Di Mauro Girasole
COS’HANNO IN COMUNE Vincent van Gogh, Robert Redford, Margaret Thatcher e Walt Disney? Semplice, sono tutti nati nell’anno del Bufalo, quello che secondo l’oroscopo cinese inizia proprio oggi 12 febbraio. Il simbolo scelto, il bufalo appunto, esprime bene l’idea di una prosperità, stando a quello che racconta la tradizione, raggiunta grazie alla forza d’animo e al duro lavoro. L’IMPERATORE
Secondo la leggenda, gli animali del ciclo zodiacale sono stati selezionati dall’Imperatore di Giada attraverso una gara. Il bue arrivò secondo portandosi sulla schiena il Topo, il quale riuscì a vincere grazie a questo stratagemma. Da allora, il bue è associato a qualità come la costanza
e l’affidabilità. L’animale si caratterizza per la sua resistenza agli elementi, la perseveranza e la riflessività. Forza pacata e paziente, sarà la garanzia di applicazione e onestà per i nati sotto il suo segno. Per le donne, il bue simbolizza la costanza, la protezione della famiglia e la sua educazione. Tradizionalmente, ogni animale dello zodiaco è associato a un elemento: quest’anno è il metallo. La connessione con il bue ne rafforza le qualità, la capacità di mantenere i propri obiettivi, raggiungere il proprio scopo servendosi di tutti i mezzi necessari per avere successo. LA CULTURA
L’oroscopo cinese è una componente importante della cultura e del folklore cinese. Per millenni ha influenzato la vita quotidiana
Jaquet Droz, Petite Heure Minute Buffalo Miniatura su quadrante in smalto, cassa in oro, 232 diamanti, movimento meccanico a carica automatica. 8 esemplari prodotti. Prezzo su richiesta
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Zannetti Gladiatore Bufalo micropainting su corozo, cassa in acciaio 43 mm Quadrante in corozo, inciso e con micropittura in smalto policromo eseguita a mano. Serie limitata a 3 pezzi, 5.100 euro
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delle persone, guidando tutte le scelte importanti della vita. Secondo le antiche tradizioni, infatti, l’oroscopo cinese è consultato per verificare la compatibilità tra due persone, la fortuna, il momento migliore per investire, le professioni più adatte... Ad ogni anno del calendario tradizionale cinese, che inizia con il Capodanno cinese, è associato uno dei dodici segni zodiacali: Topo, Bufalo, Tigre, Coniglio, Drago, Serpente, Cavallo, Capra, Scimmia, Gallo, Cane, Maiale. Questi dodici animali non sono stati scelti casualmente, ma sono legati alla cultura tradizionale (ad esempio il Drago) o alla vita contadina della Cina rurale antica (ad esempio il Bue e il Maiale). L’anno di nascita determina il vostro segno zodiacale. Ad esempio, se una persona è nata nel 1972, 1984, 1996, 2008 è del segno cinese del Topo. Il calendario tradizionale cinese è diverso dal calendario gregoriano. Il nuovo anno inizia con
il Capodanno cinese (o Festa di Primavera), una data che cade tra metà gennaio e metà febbraio di ogni anno, in base ai cicli lunari: ogni anno zodiacale è associato a uno dei Cinque Elementi (Oro/Metallo, Acqua, Legno, Terra e Fuoco). Ad esempio, il 2020 è stato un anno del Topo d’Oro e il 2021 è un anno del Bue d’Oro. Secondo l’astrologia cinese, ci sono diversi gradi di compatibilità predestinata tra i segni zodiacali. Nei tempi antichi, l’oroscopo cinese era usato per decidere addirittura se due persone erano compatibili per il matrimonio. Anche al giorno d’oggi alcune persone valutano la compatibilità zodiacale prima di sposarsi o scegliere un fidanzato. Ad esempio, le persone nate sotto il segno del Gallo sono più compatibili con i nati nel segno del Bue, del Drago o del Serpente, ma sono meno compatibili con chi è nato nell’anno del Coniglio, del Topo o del Cane. Secondo le credenze popolari, alcuni segni
Pagina accanto Zannetti Regent Bufalo Micropittura su quadrante in madreperla, cassa in acciaio, movimento meccanico automatico. 8 esemplari prodotti, 6.100 euro. Sotto l’orologio il coperchio della sua scatola, realizzato con un intarsio in legni pregiati eseguito a mano.
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Zannetti Regent “Bufalo Gladiatore” Micropittura su quadrante in madreperla, cassa in acciaio, movimento meccanico automatico. 8 esemplari prodotti, 6.100 euro
zodiacali sono più fortunati di altri e ancora oggi molte coppie scelgono con attenzione l’anno zodiacale in cui avere un figlio. C’è un detto cinese che dice: “9 capre su 10 sono inadeguate” (letteralmente “10 capre 9 incomplete”), che significa che la maggior parte delle persone nate in un anno della Capra sono destinate alla sfortuna. Sebbene questa sia una superstizione, ha un effetto reale sulla società cinese. La maggior parte dei cinesi credono anche che le persone nate nell’anno della Capra non sono adatte a ricoprire posizioni di leadership. Un esempio di anno fortunato? L’anno del drago. A differenza delle tradizioni occidentali, il drago in Cina è un simbolo di potere, forza e ricchezza. Tutti sperano di avere un figlio nato sotto il segno del drago. Jack Ma, il fondatore di Alibaba è del segno del drago: i suoi genitori saranno stati felicissimi quando è nato: nell’anno del drago 2012 il tasso di natalità di Hong Kong
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e di Taiwan è aumentato del 5%! Ci sono stati un milione di neonati in più rispetto agli altri anni. Come se tutto questo non bastasse, i segni zodiacali sono associati anche ai mesi, ai giorni della settimana e alle ore: l’ora di nascita ha un’influenza molto forte sulla personalità e sulla vita di una persona. Gli astrologi usano l’ora di nascita, il giorno della settimana, il mese e l’anno zodiacale per stabilire l’oroscopo di una persona. Partendo dall’anno di nascita è comunque possibile avere un’idea generale delle tendenze della fortuna.In antichità, la giornata era suddivisa in 12 periodi di due ore ciascuno, ognuno dei quali era associato a un animale dello zodiaco cinese. L’associazione deriva dal momento della giornata in cui l’animale corrispondente è più attivo. Ogni segno zodiacale quindi rappresentava un lasso di tempo di due ore. Ad esempio, l’ora del Cane era dalle 19 alle 21.
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Piaget Altiplano Zodiac Quadrante in smalto cloisonné, cassa in oro con 78 diamanti, movimento extrapiatto, 38 esemplari prodotti. 71.000 euro
GLI OROLOGI
Non è un caso, quindi, se alcuni produttori orologieri di alto livello e con la necessaria flessibilità per creare piccole collezioni dedicate a clienti fuori dall’ordinario, abbiano deciso di presentare, proprio in questi giorni, dei modelli speciali dedicati a questa ricorrenza. Ad aprire le danze è Piaget, che su di un iconico Altiplano ha immortalato il bufalo con la tecnica dello smalto cloisonné “grand-feu”, grazie alla maestria della smaltatrice Anita Porchet. Questa arte decorativa, utilizzata già 4.000 anni fa, prevede che il disegno venga riportato sul quadrante stesso utilizzando dei sottilissimi fili d’oro, che creano le partizioni e quindi i cloison, in cui vengono collocati i diversi pigmenti di smalto, poi cotti tra gli 820 e gli 850 gradi centigradi. Quattro sono invece i modelli che Jaquet Droz ha
pensato per associare a questa ricorrenza, con il più interessante (visibile in foto) che raffigura sul quadrante un bufalo dipinto che, maestoso e placido, si erge davanti a un paesaggio montano avvolto nella nebbia in un’atmosfera rurale mite e serena. Il più irriverente è il romano Zannetti, che ritrae l’animale in tutto il suo vigore e temperamento combattente, dipingendolo con la tecnica della micropittura sul quadrante del suo Regent. Caratteristiche sono le sue grandi e possenti corna: un vero e proprio gladiatore, armato e difeso da uno scudo, pronto al combattimento. In ogni caso, se al bufalo preferite la bufala e il suo latte, tra i pezzi realizzati a mano da Zannetti ne troverete anche uno con effigiata sul quadrante una bella mozzarella, sicuramente poco zodiacale, ma decisamente più golosa.
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L A RÉSERVE GENÈVE HOTEL
FUGA SUL LAGO Il Lago di Ginevra è il più grande lago naturale dell’Europa condiviso tra Francia e Svizzera, tra sublime e bello. Al tempo stesso cosmopolita, sportiva, artistica, storica, naturale, tranquilla e vibrante, Ginevra è la città che ha dato i natali al filosofo Jean-Jacques Rousseau e ad alcuni dei più grandi orologiai del mondo. Incastonato in questa splendida cornice, come una gemma di rara bellezza, La Réserve Genève è un hotel a 5 stelle concepito come un lodge in una dimensione oltre il tempo, un luogo che ricorda un paradiso perduto sui confini esterni di un’Africa leggendaria. Una spa, quattro ristoranti, 29 suite e 73 camere che raccontano una storia di un viaggio meraviglioso, lontano da tutto il resto del mondo; un’atmosfera calda e rilassata, con una vista magica sulle acque del lago e sul meraviglioso parco che lo circonda.
Che sia per una notte o per pochi giorni, La Réserve Genève assicura quella deliziosa sensazione di sentirsi come a casa, fin dal primo momento e dato che, ora più che mai, i viaggiatori cercano di combinare le proprie vacanze o i viaggi di lavoro con tutto ciò che concerne salute e benessere, Michel Reybier promette un ambiente idilliaco nel quale potersi disconnettere completamente dallo stress del business e della vita quotidiana, invitando i suoi ospiti ad accompagnarlo nella sua ricerca di un’eleganza discreta, per vivere un’esperienza esclusiva, sempre diversa e infinitamente raffinata. In un mondo dove si è alla ricerca continua della perfezione, solo piccoli tocchi inaspettati hanno la capacità di rendere ogni secondo veramente straordinario. E sono proprio questi
La Réserve Genève - Hotel & Spa Route de Lausanne 301, Bellevue Ginevra, Svizzera www.lareserve.ch
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segni, semplici ma sublimi, che conferiscono a La Réserve un’atmosfera unica, calda e sempre intima. Una firma che si riscopre con gioia ad ogni nuovo soggiorno, dove il puro piacere di lasciarsi andare in un’atmosfera raffinata diventa una priorità, autentica e incredibilmente rara. Hotel, terme, ristoranti, tutto nel cuore delle Alpi Svizzere, a poca distanza dal Massiccio del Giura. La Réserve invita i suoi ospiti a entrare in contatto con la propria interiorità e con il proprio corpo e, attraverso i sensi, assaporare il ritmo lento delle cose e l’arte di vivere come privilegi assoluti. In questo contesto esclusivo nasce la Spa Nescens, una delle destinazioni benessere migliori in Europa, che offre sinergie uniche tra trattamenti, nutrizione e attività fisica, pensati per ottenere risultati visibili e duraturi nel tempo. Basata sul know-how Nescens della Clinic de Genolier, fondata dal professor Jacques Proust, pioniere nella biologia della medicina cellulare e preventiva anti-invecchiamento, la Spa de La Réserve adotta un concetto di salute a 360° gradi. Per Michel Reybier la ricerca dell’equilibrio
interiore è un obiettivo universale. Immerso nel cuore di un parco paesaggistico di 10 acri, questo tempio offre agli ospiti la possibilità di prendersi realmente cura di sé, affiancando attività per la gestione delle emozioni e ottimizzazione del capitale energetico. Al suo interno il benessere è ovunque. Mente e corpo si rigenerano anche grazie a programmi speciali come Nescens Better-aging, sviluppati per individuare e correggere gli squilibri che accelerano l’invecchiamento come sovrappeso, stress, affaticamento, consentendo di comprendere meglio i fattori di rischio e sviluppando la capacità di attuare un piano di prevenzione su misura. I servizi sono forniti da un team multidisciplinare di terapisti, coach e specialisti medici con esperienza specifica nella medicina preventiva e con un particolare approccio health & beauty. Un universo di standard qualitativamente elevati dove il meglio che la natura ha da offrire sulla tavola si abbina all’ultima avanguardia scientifica nel regno dei trattamenti. L.M.
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SPIRITS
BELVEDERE HERITAGE 176 Heritage 176 è la new entry della famiglia Belvedere: un distillato di malto di segale, unico nel suo genere, che attinge agli albori della tradizione polacca quando si parla di vodka. Ce lo racconta Flavia Di Giustino, Brand Manager del portafoglio Distillati di Moët Hennessy Italia, azienda leader mondiale nel settore Wine & Spirits ultrapremium, presente in oltre 140 Paesi. «Heritage 176 nasce da una sfida: Belvedere, prima vodka di lusso al mondo, punta al futuro ispirandosi al suo passato; nel farlo, giunge a una visione completamente nuova che si sintetizza nella formula “Beyond Vodka”.
A ben vedere, l’approdo è il risultato di un percorso che parte ancora più lontano, scritto nella storia e nell’identità della Distilleria. Secondo la definizione dello U.S. Bureau of Alcohol, Tobacco and Firearms, la vodka è un “neutral spirit, without distinctive character, taste or colo”. Insapore, incolore e inodore? Decisamente non è lo stile polacco. E nemmeno quello di Belvedere, profondamente legata alla sua terra d’origine e alle sue tradizioni, che si distingue da sempre per la sua unicità e il suo carattere deciso. Questo profilo distintivo è il risultato della scelta della materia prima alla base dei distillati
Flavia di Giustino, classe 1994, da 4 anni si muove nell’industria dei distillati sul panorama italiano. Dopo 2 anni in Pernod Ricard Italia come Luxury Business Consultant, responsabile dei marchi prestige, si sposta in Moët Hennessy Italia nel marzo 2019 come Brand Manager del portfolio Spirits (Ardberg, Belvedere Vodka, Hennessy, Glenmorangie, Volcán de Mi Tierra). Moët Hennessy è parte del gruppo lusso numero uno al mondo: LVMH.
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firmati Belvedere: la pregiata segale polacca. In Belvedere, non ci definiamo “vodka producers”, ma “masters rye distillers”. Per questo motivo, abbiamo deciso di sfruttare la qualità massima della segale di cui disponiamo e l’esperienza delle persone che lavorano in distilleria per realizzare un prodotto unico al mondo. Nasce così Heritage 176, un blend di Belvedere Vodka Pure con un distillato di malto di segale. Con il suo carattere forte, deciso, ottimo per essere gustato liscio, on the rocks, ma anche in miscelazione, Heritage 176 nasce dalla volontà di riportare in auge un’antichissima tecnica operata in Polonia per produrre vodka già nel XV secolo: la maltazione della segale prima della distillazione. Questo consente di liberare gli aromi più profondi e intensi del cereale. Heritage 176 recupera dunque un sapere antico e ce lo dice già con il suo nome.
176 è invece la temperatura (in gradi Fahrenheit) raggiunta dai forni nell’ultima parte del processo di maltazione: il kilning. Un metodo di produzione dimenticato per secoli, mentre i produttori di birra e whisky hanno continuato ad utilizzarlo nelle loro ricette per via dei sapori unici che si possono ottenere. Heritage 176 è coerente con la scelta fatta da Belvedere, già nel 2018, di lanciare le Single Estate Rye applicando un inedito concetto di terroir al mondo della vodka. Nel segno della continuità con una tradizione antichissima, che non rinuncia alla ricerca e all’innovazione mentre fa tesoro del proprio patrimonio di savoir-faire, Belvedere esalta natura e territorio, sublimati nella sua straordinaria materia prima, 100% polacca, per proporre agli intenditori una nuova esperienza sensoriale e prodotti letteralmente Made With Nature.»
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MIXOLOGY
APOLLO BY LIVIO MORENA «Ho provato a “cucire” addosso a Belvedere Heritage 176 una veste che ben “abitasse” le note speziate date dalla segale maltata e i sentori di miele e noci. Il tutto con una visione proiettata al futuro, nello stile di Drink Kong, ma nel
solco della tradizione tipica della produzione di Belvedere Heritage 176 e dello sherry fino. Il nome è un omaggio al dio del sole e dell’intelletto. Natura ed ingegno. Uomo e terra. Passato, presente e futuro».
Cocktail Apollo Ingredienti: 4,5 cl Belvedere Heritage 176 1,5 cl Lustau sherry fino 2,0 cl Brine 1,5 cl Kong cordial 0,5 cl Rich syrup Tecnica: Stir and Strain Bicchiere: nick & nora
Livio Morena fa parte del Belvedere Collective
Livio Morena: classe 1979, Livio ha iniziato a fare il barman nel 2004. Dichiara di essere “inciampato” in questo lavoro mentre seguiva la sua carriera musicale come bassista e chitarrista, e dopo una laurea in giornalismo, cinema, sociologia e mass media. Da allora ha avuto la fortuna di lavorare in tanti ottimi bar, come Micca Club e Caffè Propaganda, e con grandi barman. Nel 2016 è stato il rappresentante italiano alla finale mondiale della Bacardi Legacy a San Francisco. Dal 2018 è Bar Manager per Drink Kong, cocktail bar che in due anni ha conseguito numerosi riconoscimenti, tra cui 45mo posto nella lista 50 Best Bars dei migliori bar al mondo, e migliore cocktail bar d’ Italia del 2020 secondo Bargiornale.
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DOLCE VITA
DRINK KONG Piazza San Martino ai Monti 8 - Roma www.drinkkong.com
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CAPITOLO 5
POESIA
Di Un Miraggio di Bibiana La Rovere
Questo mio tenermi in equilibrio sulla vita con le ossa in controluce nella confidenza di un dettaglio. Undici volte il tempo perduto al risveglio nel riprendere il destino scalando la rincorsa di un respiro tutte le mutevoli forme ho intrapreso per giungere a piedi fino a te. Chiamo poesia la bellezza che ci invade vorrei leggerti cesellando nel volto le innumerevoli linee di una città abitata sull’acqua con l’appartenenza di un grembo che tutto dilata geografie sospese dimore del tacere. Lo spazio si traduce agli odori di buono come il mordere una mela col mio nuovo nome tu allora baciami solo per questo senza alcuna misura esatta che indichi Oriente e Occidente o il gesto lieve di un sole sapiente che il cercatore brama e orienta a sé. E quanto d’altro prospera all’orizzonte s’appella a me come un’invenzione vira l’andatura saggiando il fianco. Creare l’origine di ogni cosa è legge non scritta sulla tua schiena la punta di un iceberg fuori rotta la virescenza che disgrega luce nel seno di un miraggio. Ogni ramo d’innesto distanzia l’abisso più dell’innocenza che la parola ricompone nel descrivere la trasparenza di fioriture d’aria. La voce impalpabile ha qualcosa in sé d’indicibile d’inconsolabile vuoto la riconoscibilità di un suono primordiale il richiamo alla nascita e quanto resterà di impenetrabile da trasformare in domani. La primizia divina di una bocca fosse un fiore da calpestare conterrebbe coordinate vedresti intatto il cielo e le sue radici la mappa di un amore da rivelare come un gioco di stelle come canti di foglie. Di un mare remoto che non dispera ha sete il miracolo l’alfabeto di un’antica alleanza senza dire addio riaffiora l’esilio di così trattenuta luce migra l’incantesimo e il corso degli astri che traccia di me il territorio di un corpo all’amato. L’intuizione segue docile il suo cammino l’energia della scoperta è il suo innamoramento che s’imprime nelle cellule più sottili sottopelle la forma più estrema che solca la mia libertà
Bibiana La Rovere Artista Poeta Performer Si occupa di scrittura e cultura della comunicazione. Con il Concept Design unisce comunicazione, scrittura e arte per realizzare progetti innovativi di brand identity per l’impresa, con eventi editoriali e allestimenti interdisciplinari, in un processo di narrazione multisensoriale, che va dall’arte al design, dalla fotografia alla scrittura, al sound design, comunicando, attraverso il marchio, la brand identity, l’identità imprenditoriale. www.bibianalarovere.it
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CANCELLARE IERI E DOMANI, VIVERE SOLO IL PRESENTE, L’ESSERE IN MOVIMENTO IN QUELL’ATTIMO, SENZA LA NOZIONE DEL TEMPO: COME SU UN ALTRO PIANETA
Reinhold Messner
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Date:
15 euro Trimestrale 07 Aprile 2021 nr. 05
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