HANDMADE The Magazine of Watchmaking Excellence VOL.7

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Boutique LJ • via Condotti 33

ROMA

www.ljroma.it | ig lj_roma | fb @ljroma1962



Metro neomatik 41 Update. Lo straordinario anello datario brevettato di NOMOS Glashütte arancio fluorescente è facile da impostare – in avanti e indietro. Lo rende possibile il calibro di manifattura DUW 6101 particolarmente preciso, con ricarica automatica e meccanismo datario, anch’esso brevettato. Disponibile presso i migliori rivenditori, ad esempio qui: Ancona: Ibis; Bari: Mossa; Battipaglia: Casella; Bergamo: Torelli; Biella: Boglietti; Bolzano: Oberkofler; Brunico: Gasser; Civitanova Marche:


Ibis; Cremona: Torelli; Firenze: Tomasini Francia; Flero: iGussago; Follonica: Perpetual; Gradisca d’Isonzo: La Gioielleria; Lecce: Mossa; Lignano: Bastiani; Mestre: Callegaro; Roma: Bedetti, Grande; Rovato: Baggio; Salerno: Ferrara; San Giovanni Valdarno: Horae; Saronno: Angelini; Seregno: Angelini; Siena: The Watch Gallery; Siracusa: Zimmitti; Spoleto: Tomasini Francia; Taranto: Ripa; Terni: Tomasini Francia; Treviglio: Torelli; Trieste: Bastiani; Verona: Concato, Saylon e qui: nomos-glashuette.com




tieniti la Terra uomo io voglio la Luna


Helter Skelter HANDMADE 7


AUDEMARS PIGUET®

BORN IN LE BRASSUS

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INCIPIT

PREFAZIONE: NOTA PER IL LETTORE

COSA STA SUCCEDENDO oggi all’orologeria? Sta vivendo come in uno scivolo in un parco giochi: si sale una scaletta, si raggiunge la cima, ci si lascia andare e in un attimo si è giù in terra. Poi si ricomincia daccapo.

Nel mondo delle lancette sta accadendo qualcosa di simile. Negli anni ’90, ma anche nel decennio successivo, si viveva di grandi progetti, studiando per anni le complicazioni meccaniche, supportando per interi lustri ogni nuova collezione in maniera tale da garantire agli acquirenti la giusta sicurezza nel tempo su quello che avrebbero messo al polso. Oggi non è più così. Si inanellano serie limitate su serie limitate, il turn over della modellistica, tranne qualche rara e piacevole eccezione, è così alto da far desistere tanti nuovi acquirenti dall’acquisto: si vedono sopraffatti dall’incontrovertibile mancanza di chiarezza, non sanno cosa realmente è nuovo e interessante, quanto durerà un singolo modello. Acquistare l’orologio dei desideri è divenuto spesso quasi impossibile, tra le troppe richieste, la scarsa offerta, i giochi non sempre chiari che ci fanno trovare, ancora una volta come un tempo (e pensavamo davvero che non sarebbe più successo), il nostro ambito segnatempo del desiderio in vendita nel negozietto dietro l’angolo – a prezzo più che maggiorato – invece che nel rivenditore ufficiale dove ambiremmo tutti trovarlo. Nessuno poi è disposto a prendersi la responsabilità. L’iper controllo della distribuzione ha mostrato delle falle non da poco, specie quando è servito a tarpare le ali a chi voleva interpretare in maniera “normale” la passione per le lancette. Cosa ci resta da fare? Vivere questa disordinata confusione, questa helter skelter che è poi il titolo di questo numero di HANDMADE, in maniera positiva, riuscendo a sentire con il nostro gusto e la nostra esperienza quali sono gli oggetti degni di attenzione, ma soprattutto piacevoli da indossare. Perché in fondo è proprio a questo che dobbiamo pensare, vestire qualcosa durante le nostre giornate, che ci diverta, ci incuriosisca, ci tiri fuori dalla massa. Basta con l’investimento. Basta con le copie. Basta con il confrontare materiali e movimenti. Basta con lo schifo degli hommage. Riprendiamoci il tempo, quello bello, quello che ci piace, scegliamo con la nostra testa, e mettiamocelo al polso.

Paolo Gobbi

When I get to the bottom I go back to the top of the slide Where I stop and I turn and I go for a ride Till I get to the bottom and I see you again (The Beatles)

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CONTENTS

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CAPITOLO 1

Idee

JAEGER LE COULTRE

CHANEL

PANERAI

BREITLING Lavorare solo con passione

PARMIGIANI FLEURIER Il nostro obiettivo la qualità assoluta

ONLY WATCH

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INTRODUZIONE HANDMADE selection

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Innata Eleganza

L’orologio si mette a nudo

Una visione differente

Solo pezzi unici

LJ ROMA 1962 62 Artitudine

REBEUS Tutto è prezioso

MELANIA CROCCO I miei gioielli vanno scoperti

FRANCESCA NERI ANTONELLO

66 70 76

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Un’anima imperfetta fatta di emozioni



CONTENTS

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CAPITOLO 2

MERCEDES-BENZ ITALIA

82 84

Motori

Con la Classe C sulle strade di Hypermaremma EBERHARD & CO.

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Velocità e precisione LUZZAGO 1975 - ZANNETTI

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Le passioni più belle PHOTOSHOOTING

POP IT UP

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BACKSTAGE Dietro l’officina CAPITOLO 3

Emozioni

DALLA PALMA

FORBICI D’ORO

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Il covid dell’ignoranza

Stile Sartoriale 2021 - L’evento romano

JAZEEL PERFUMES Il profumo della perfezione

LOCHERBER MILANO Celebra la città eterna

PAOLO MARICONTI

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Quando scoprite ciò che sapevate

EVERYTIME, EVERYWHERE

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www.handmade-mag.com



CONTENTS

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Un viaggio lungo 40 anni DAVIDE OLDANI Siamo inclusivi non esclusivi

D’O

RAFFAELE TOVAZZI Il futuro del food

IL GRAND SIÈCLE LES RÉSERVES

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TONINO LAMBORGHINI

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Il design che abbatte tutte le barriere

Ricreare l’annata perfetta

T<25 ROMA Lancette vintage

PHILLIPS - BACS & RUSSO

MAGISTER THE BOOK Speedmaster sugli scudi

POESIA

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Sulla cresta dell’onda

Come fiorire

®

DIRETTORE RESPONSABILE

Paolo Gobbi ppgobbi@handmade-editore.com HANNO COLLABORATO:

Lara Mazza, Naomi Ornstein Massimiliano Cox, Giovanni Titti Bartoli Alessandro Fanciulli, Camilla Giusti Mauro Girasole, Claudia Gobbi, Manlio Giustiniani, Marco Valerio Del Grosso, Manuel Maggioli, Andrea Foffi Matteo Zaccagnino, Bibiana La Rovere PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Gianpiero Bertea ILLUSTRAZIONI

Domenico Condello

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MANAGING DIRECTOR

Mauro Girasole mauro.girasole@handmade-editore.com Tel. + 39 333 8681656 SERVIZIO MODA

Gaia Giovetti Lucio Convertini Costanza Maglio

DISTRIBUZIONE

Press-di S.r.l. - Via Mondadori, 1 Segrate (Milano) 20090 HANDMADE® è un marchio registrato Registrazione del Tribunale di Roma n. 146/2019 del 07.11.2019

SEGRETERIA

Abigail Canta info@handmade-editore.com ARRETRATI E ABBONAMENTI:

tel. +39 06 8777 3314 info@handmade-editore.com STAMPA

Color Art Spa - Via Industriale, 24/26 25050 Rodengo Saiano BS

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L’etichetta FSC garantisce che la carta utilizzata proviene da una foresta e da una filiera di approvvigionamento gestita in modo responsabile. La carta utilizzata da Handmade: copertina: Arena White Smooth interno: Magno Natural Sappi schede: Fedrigoni GSK moda: Fedrigoni Patinata lucida



INTRODUZIONE

RICHARD MILLE

RM 029 AUTOMATIC LE MANS CLASSIC L’RM 029 Le Mans Classic Automatico nasce con dimensioni esterne di 40,10 x 48,15 x 13,10 mm. La parte centrale della cassa di questa nuova edizione limitata è stata lavorata da un unico blocco di Quartz TPT® bianco, poi compresa fra lunetta e fondello in Quartz TPT® verde. La lunetta ostenta le caratteristiche doppie strisce di Le Mans, realizzate con inserti di Quartz TPT® bianco, applicate nel Quartz TPT® verde a ore 12 e ore 6, una lavorazione inedita per il marchio. La vivacità di questa classica combinazione di colori è sicuramente evidenziata da un cinturino sportivo, traspirante, in caucciù bianco, che garantisce un

eccellente comfort per lunghi periodi di utilizzo. Il movimento scheletrato RMAS7 con datario sovradimensionato a ore 4 e un esclusivo sistema di ricarica automatica con un rotore a geometria regolabile che lavora su due bariletti, costituiscono il cuore del nuovo RM 029 Le Mans Classic Automatico. Un contatore dedicato su 24 ore, facilmente individuabile, posizionato a ore 2, rende omaggio non solo alla durata caratteristica della competizione stessa, ma anche alle centinaia di auto e ai piloti che si danno il cambio durante le 24 ore di gara, a partire dalle 16:00 (indicate sul quadrante da una freccia azzuro).

Che sia giorno o notte, questo orologio in edizione limitata riporta il pensiero di appassionati e piloti a un solo luogo: il circuito, con la leggendaria bandiera a scacchi bianchi e neri di Le Mans sventolata in perfetto orario.

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SUGGESTIONS

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INTRODUZIONE

TUDOR

BLACK BAY BRONZE BOUTIQUE EDITION Forte della sua esperienza con l’uso del bronzo, Tudor continua a esplorare questo emblematico materiale e il caratteristico aspetto che assume con il passare del tempo. Questa volta il marchio sceglie un look “total bronze”. Una nuova gamma cromatica, basata sulla sontuosa tonalità “marrone-bronzo”, impreziosisce il quadrante e la lunetta di questo orologio subacqueo, la cui vocazione nautica traspare in ogni dettaglio. Un segnatempo dal design senza compromessi, disponibile solo in una cinquantina di boutique Tudor in tutto il mondo (in Italia solamente a Roma in Via

Condotti), il Black Bay Fifty-Eight Bronze offre anche alte prestazioni tecniche grazie al movimento di manifattura MT5400. Questo modello è poi il primo ad avere un bracciale realizzato interamente in bronzo. Le sue maglie satinate richiamano lo stile dei bracciali Tudor rivettati degli anni ’50 e ’60, e sono coordinate con la cassa in modo che entrambe sviluppino col tempo una patina uniforme. Una nuova chiusura ridisegnata in bronzo satinato con sistema Tudor “T-fit” per la regolazione rapida della lunghezza completano il look “total bronze” di questo segnatempo.

Movimento di Manifattura MT5400, certificato dal Controllo Ufficiale Svizzero dei Cronometri (COSC) con spirale del bilanciere in silicio e un’autonomia di 70 ore

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INTRODUZIONE

NOMOS GL ASHÜTTE

IL CLUB DEI TRENTA Un orologio meccanico può sembrare perfetto sotto molti punti di vista: l‘esclusivo design del quadrante, il colore giusto, la cassa armoniosa, così come la possibilità di osservare la meccanica del movimento e la maestria artigianale attraverso il fondello. Anche gli elementi più semplici come il cinturino e la fibbia si integrano alla perfezione. Esteticamente e tecnicamente, quindi, sulla carta il modello è perfetto. C’è una sola nota che stona: la dimensione. Sì, e questo succede perché ogni persona ha un polso diverso. E se il diametro non è quello giusto, l’intero orologio risulta «sbagliato». La misura, infatti, è decisiva sia per l‘estetica che per la vestibilità. Se l‘orologio sporge troppo dal polso, può impigliarsi

o subire degli urti. Se è troppo piccolo, il polso rischia di apparire «vuoto», oppure, a causa delle proporzioni sbagliate, più massiccio di quanto sia in realtà, correndo il rischio di sembrare un orologio per bambini. Ecco allora un suggerimento: scegliendo un orologio di dimensioni classiche, questo rischio può facilmente essere evitato. Perché i modelli del «Club dei Trenta», quelli con un diametro fino a 40 millimetri, sono perfetti sempre. Sobri da indossare, ideali per l‘ufficio. Nelle versioni sottili a carica manuale o con tecnologia neomatik (neomatik sta per automatico e innovativo, sottile ed elegante), scivolano discreti sotto ogni polsino, mettendo in evidenza il carattere di chi li indossa senza risultare eccessivi.

Stile classico: gli orologi con un diametro tra i 33 e i 40 millimetri sfidano le tendenze imposte dalla moda, e quasi sempre si rivelano ideali per la maggior parte dei polsi.

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IDYLIO BY APREDA

ESTRO TECNICA EQUILIBRIO The Pantheon Iconic Rome Hotel non è semplicemente un cinque stelle. È un’esperienza offerta ai suoi ospiti per vivere Roma in maniera diversa, al suo meglio, respirare la Città Eterna, entrare nel suo cuore, godendo di un’ospitalità curata sin nei minimi dettagli. È evidente come, in questo contesto, l’aspetto gastronomico ricopra un ruolo di primo piano: immergersi nei piaceri del gusto significa scoprire appieno un luogo, capirne la storia e la cultura. Il ristorante Idylio by Apreda, recentemente insignito di una stella Michelin, è una vera e propria enclave gourmet, intima e riservata. Qui i sapori mediterranei si fondono alla perfezione con lo spirito internazionale tipico di una metropoli da sempre al centro del mondo. Per questo è stato scelto uno chef di straordinario livello, interprete di una cucina in grado di soddisfare anche i palati più esigenti. Stiamo parlando di Francesco Apreda, uno dei talenti più cristallini del panorama gastronomico tricolore. Estro, tecnica, equilibrio, radici italiane ed eleganti pennellate di Oriente: queste le caratteristiche che compongono la sua cifra stilistica. The Pantheon Iconic Rome Hotel si trova in via di Santa Chiara, 4/A a Roma. www.thepantheonhotel. com/idylio-by-apreda

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INTRODUZIONE

GERALD GENTA

ARENA RETROGRADE MICKEY MOUSE Conosciuto in tutto il mondo, il Topolino delizia milioni di bambini e adulti da oltre 90 anni. Quest’anno, Gerald Genta e il celebre personaggio della Disney tornano con il nuovo Arena Retrograde con il sorridente “Disney Mickey Mouse”. L’ultimo orologio nato è un modello dall’aspetto ludico, seppur celando al suo interno un classico dell’orologeria. Questo nuovo modello è in tutto e per tutto fedele allo spirito del marchio. Il celebre personaggio, che sembra saltare sul quadrante rodiato a motivo soleil, con un braccio indica

i minuti retrogradi su un settore di 210 gradi e indica l’ora saltante alle 5 in punto. Questo movimento automatico mono-retrogrado ha una riserva di carica di 42 ore, ed è alloggiato nella storica cassa in acciaio inossidabile lucido Gerald Genta Arena, dal diametro di 41 mm. Gerald Genta fa parte del Gruppo Bulgari dal 2000. Alla versione commemorativa in platino in edizione limitata del 50° anniversario del marchio, presentata nel 2019, è succeduta nel 2020 una nuova versione in titanio, che si è aggiunta alla collezione Arena.

Gerald Genta Arena Retrograde with smiling Disney Mickey Mouse sarà disponibile in un’edizione limitata di 150 pezzi. In vendita esclusivamente online.

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SUGGESTIONS

MONTRE FOR CHEF BY ZANNETTI

IL GUSTO DEL TEMPO Si chiama Montre for Chef by Zannetti ed è la prima inedita linea di orologi dedicata esclusivamente ai più grandi cuochi contemporanei. Un omaggio alla grande cucina, ma anche alla misurazione del tempo nella sua forma più bella e soprattutto originale. Tra i piatti più significativi all’alta cucina ci sono indubbiamente quelli di Ernesto Iaccarino Don Alfonso 1890 a Sant’Agata sui Due Golfi con il suo “Vesuvio di Rigatoni” e sono resi eterni grazie a dei quadranti interamente realizzati a mano. Sulla loro superficie il maestro incisore e l’artista della micropittura, si incontrano creando delle rappresentazioni uniche ed inimitabili. L’alta cucina si fonde ai complessi meccanismi che regolano lo scorrere del tempo. Le lancette

si muovono sul piatto dello chef che diviene piccolo capolavoro d’arte. Ogni dettaglio è leggibile e reale. La materia pittorica si confonde nella memoria con la materia edibile, in un gioco di rimandi continui tra i sensi che crea sinestesia. Il maestro nell’arte dell’alta orologeria che ha saputo magistralmente cogliere l’essenza di un progetto unico come questo è Riccardo Zannetti: designer e produttore degli omonimi segnatempo. Non è certamente un caso se tutti i Montre for Chef siano realizzati rigorosamente a mano nell’Atelier romano: pezzi unici che nascono dalle materie prime e i movimenti automatici più pregiati e dalle tecniche più originali ed efficienti, come l’uso di una base naturale per il quadrante.

Dalla profonda passione per l’orologeria e la cucina di alta gamma, nasce una prestigiosa collezione di segnatempo unica al mondo, dove ogni quadrante viene inciso e dipinto a mano.

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CAPITOLO 1

idee

CAPITOLO 1

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IDEE

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CAPITOLO 1

JAEGER-LeCOULTRE

INNATA ELEGANZA IL TEMPO DEL CINEMA RACCONTATA DA AMANDA SEYFRIED UNA DELLE ATTRICI PIÙ AMATE DI HOLLYWOOD Di Paolo Gobbi AFFERMATASI COME una delle giovani attrici più interessanti di Hollywood, Amanda Seyfried, cantante di talento, è stata anche protagonista degli adattamenti musicali di Mamma Mia!, Mamma Mia 2! e Les Misérables. Da ricordare Mank, nominato in ben dieci categorie agli Academy Awards, tra le quali quella come Miglior attrice non protagonista grazie alla sua interpretazione. Siamo riusciti ad incontrarla assieme a Jaeger-LeCoultre.

Il tempo nel cinema è una variabile importante, spesso fondamentale. Come gestisce i tempi delle sue battute? Dote innata oppure anni di studio? «Più materiale ottengo prima della produzione del film, meglio riesco a capire le battute e farle mie e quindi ad entrare nel personaggio che reciterò. La parte più importante della recitazione è il tempo delle battute e il modo di interagire tra noi attori. A volte mi viene chiesto di velocizzare in modo da creare il pathos, altre volte mi viene detto di affidarmi al “mio tempo”. Di conseguenza il

tempo può diventare davvero fondamentale per dare vita a risultati completamente diversi tra di loro». Come gestisce i tempi durante le riprese: le pause interminabili, la ricerca della luce, del sonoro perfetto. «Di solito uso ogni secondo libero per l’uncinetto, il ricamo oppure per un audio libro. Alle volte controllo tutte le mie e-mail. Infine, sono costantemente su FaceTime con la mia famiglia».

REVERSO ONE DUETTO MOON Eleganti linee allungate definiscono il Reverso One Duetto Moon in oro rosa, gioiello da indossare al polso grazie alle preziose finiture. Animato dal concetto Duetto, offre due volti per assecondare il desiderio del momento di colei che lo ha scelto. Costa 25.500 euro.

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IDEE

Amanda Seyfried fotografata da Alique indossa Jaeger-LeCoultre Rendez-Vous

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CAPITOLO 1

IL DISCOVERY WORKSHOP DEDICATO AL REVERSO

Il nuovo Discovery Workshop dedicato al Reverso, disponibile al pubblico a partire da novembre 2021 all’interno dell’offerta proposta dall’Atelier d’Antoine, offrirà la possibilità di comprendere come lo stile Art Déco dell’orologio e l’ingegno tecnico alla base della sua iconica cassa ribaltabile siano una conseguenza naturale del contesto socioculturale degli anni Trenta, epoca a cui risale lo storico design dell’orologio. Ripercorrendo l’evoluzione del Reverso, il Workshop consentirà al pubblico di osservare questa creazione orologiera sia in qualità di vera e propria tela di espressione artistica e personalizzata che come punto di partenza per l’introduzione di complicazioni di Alta Orologeria e ulteriori innovazioni tecniche. I partecipanti avranno inoltre la possibilità di immergersi negli archivi del Reverso, consultando il brevetto originale, bozzetti e altri contenuti inediti. Il Workshop si concluderà con un’esperienza unica nel suo genere: la possibilità di assemblare una cassa Reverso, operazione normalmente riservata esclusivamente alle mani esperte degli artigiani della Manifattura Jaeger-LeCoultre. Guidati da un esperto della Manifattura per un totale di non meno di 50 componenti da assemblare, i partecipanti potranno mettere alla prova la propria abilità e pazienza. Durante la Visita alla Manifattura dedicata al Reverso, i partecipanti avranno l’opportunità di osservare con i propri occhi le varie fasi di produzione e il savoir-faire tecnico e creativo necessario per la realizzazione di un orologio Reverso. Dalla trasformazione iniziale del metallo grezzo in sbozzi di movimento e componenti della cassa, i partecipanti ripercorreranno tutto il processo di realizzazione di questa creazione orologiera straordinaria passando dalla finitura decorativa dei componenti tecnici fino all’assemblaggio dell’intero movimento, della cassa e del quadrante. La visita offrirà inoltre l’opportunità di scoprire una serie di movimenti con grandi complicazioni realizzati in esclusiva per l’orologio Reverso e visitare l’Atelier des Métiers Rares® di Jaeger-LeCoultre in cui smaltatori, incisori e incastonatori trasformano le tradizionali casse del Reverso in vere e proprie opere d’arte in miniatura. Il nuovo programma dell’Atelier d’Antoine regalerà un’esperienza indimenticabile a tutti coloro che desiderino approfondire il processo di creazione di un orologio Reverso moderno e la storia dal suo design unico, dotato di caratteristiche eccezionali che rendono questo segnatempo un’icona dell’orologeria.

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IDEE

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CAPITOLO 1

Ci sono state delle scene talmente belle che le girerebbe di nuovo, magari al rallentatore, per goderle per più lungo tempo? «Sono fortunata se il più delle volte riesco a girare una scena per più di 5 volte. Non ricordo di aver posato per una scena e di averla poi voluta rigirare al rallentatore!». Al contrario, avrebbe voluto, qualche volta, che il tempo procedesse a velocità doppia, per far finire prima le riprese di un film o di una serie televisiva? «Odio girare le scene nell’acqua o comunque attorno all’acqua. Già so che starò malissimo. Non ci sono altre scene che desidero girare più velocemente di quelle!». Si rivede volentieri? Al cinema oppure in televisione? «Mi rivedo volentieri nei film. Sono leggermente critica, quindi non è che sia sempre un’esperienza divertente, ma le posso guardare alle Première». Le poche sere che non ha nulla da fare, cosa sceglie: cinema, televisione, libro o seduta da qualche parte a guardare l’orizzonte? «Televisione. Amo perdermi nelle storie degli altri. Lavorando all’uncinetto tutto il tempo». Torniamo al tempo: nella vita di tutti i giorni indossa l’orologio? «Lo indosso anche adesso. Amo il mio JaegerLeCoultre. Mi piace connettermi al tempo in modalità analogica. Mi fa percepire il tempo più lentamente quando indosso un orologio così. Posso “sentire” l’artigianalità, la precisione, la meccanica classica». Quale Jaeger-LeCoultre indossa? «Il Master Ultra Thin Moon» Gestisce il suo tempo guardando l’ora al polso, sullo smartphone oppure ha qualcuno che le scandisce ore e minuti? «Leggo l’ora sul mio orologio oppure al cellulare. Se ho un giorno libero, programmo tutto in anticipo avendo cura di coordinarmi con i tempi dei miei figli». Com’è iniziata la sua “amicizia” con JaegerLeCoultre? «La nostra amicizia è iniziata durante l’edizione 2019 del SIHH. Ho avuto modo di passare un paio di giorni con loro a Ginevra: l’atmosfera, l’allestimento, una meraviglia. Capolavori ovunque. Mi piace vedere il processo di lavorazione, anche del modello che ho avuto la fortuna di indossare durante l’evento. Vedere

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come ogni diamante viene incastonato mi ha impressionata, e la pazienza che ci vuole per inserire ogni singolo diamante mi ha tolto il fiato. Mi hanno colpita gli artigiani, la loro dedizione e il loro amore per il loro lavoro». Cosa l’affascina di più in un orologio? La meccanica che è al suo interno oppure il disegno esterno, spesso reso importante da pietre preziose? «Il modo in cui è realizzato. È senza tempo. È perfetto. La pazienza e l’ispirazione che ci vuole per realizzare ogni singolo modello. La loro complessità, crearli con una perfezione assoluta… Centinaia e centinai di bellissimi piccoli pezzi, pezzi così minuscoli messi insieme come in un puzzle: tutto questo mi affascina. Inoltre amo le cose noiosamente ripetitive, quindi apprezzo veramente l’arte dell’orologeria eseguita in questo modo, perché ci sono talmente tanti elementi diversi, così tanti artisti differenti che lavorano insieme per creare queste meraviglie, specie in Jaeger-LeCoultre. È come se incorporassero piccolissimi dipinti in questi segnatempo, mi fa impazzire». Durante le riprese sceglie lei quale orologio indossare? «Solitamente indosso qualsiasi modello scelto da Jaeger-LeCoultre. Amo scoprire nuovi modelli, stili e colori diversi, come appaiono e come si esprimono». Le piacerebbe “mettere del suo” da punto di vista creativo, nella realizzazione di un orologio? «Come vorrei essere una mosca durante la realizzazione di un orologio! Sono stata fortunata ad incontrare alcuni artigiani ed osservarli al lavoro. Vorrei poter passare più tempo con loro in Vallée de Joux». Più in generale, quanto è cambiata la Hollywood degli anni ’30, che lei conosce in quanto sicuramente l’avrà studiata prima di interpretare il film, rispetto quella di oggi? «Le donne hanno più opportunità paragonato agli anni Trenta. Siamo nel mezzo di un cambiamento serio nella cultura Hollywoodiana, la gente si sta esprimendo di più in merito ai loro desideri e necessità, senza il timore di essere messi nelle liste nere o di essere considerati “problematici”». È vero che lei si allena spesso assieme al suo pastore australiano? «Sì! Un addestratore mi ha insegnato come ammaestrare il mio Finn. Posso ancora insegnargli nuovi trucchetti anche a 12 anni!»


IDEE

Amanda Seyfried fotografata da Alique indossa Jaeger-LeCoultre Reverso One Duetto Moon

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CAPITOLO 1

CHANEL

L’OROLOGIO SI METTE A NUDO IL BOY-FRIEND SKELETON X-RAY COMBINA A PERFEZIONE LA REALIZZAZIONE TECNICA CON IL DESIGN NEL PIÙ PURO RISPETTO DELLO SPIRITO DELLA MAISON PARIGINA

Di Claudia Gobbi

Lo Skeleton X-Ray di Chanel è il primo orologio Boy-Friend con cassa in zaffiro completamente trasparente, prodotto in edizione limitata di 100 pezzi.

CORREVA L’ANNO 1987 quando, con innegabile garbo e raffinatezza, Chanel faceva il suo ingresso nel regno delle lancette d’alta gamma, rimanendo in perfetta sintonia con le proprie iconiche collezioni d’abbigliamento e di accessori-moda. Ma il salto di qualità, che ha lasciato molti appassionati e addetti ai lavori davvero sbalorditi, è stato tanto inatteso quanto ben riuscito: risale infatti all’anno 2000 il lancio del primo modello di J12, un orologio interamente realizzato in ceramica nera che, da allora ai giorni nostri, si è dimostrato di grandissima vitalità, declinandosi in innumerevoli varianti, preziose o tecniche, più sportive o d’alta orologeria. Una nuova piccola rivoluzione avviene nel 2015, quando viene presentato il Boy-Friend, con il quale vengono riconsiderati i codici androgini dell’orologeria femminile: in pratica si tratta di un modello dall’allure maschile totalmente dedicato alle donne. «Quando l’ho visto la prima volta, era evidente. Bello. Chic. Grande. Soprattutto non pretenzioso. Discreto. Discreto, sì, ma non troppo: è bene

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che si sappia che stiamo insieme! Perfetto con i jeans, ottimo con una giacca, stupendo in abito da sera. Con lui, il tempo scorre né troppo veloce né troppo lento. Semplicemente il ritmo ideale». Queste le parole utilizzate da Chanel al momento della sua presentazione. Immediatamente si comprese che si trattava di un instant-classic dalle forme decise ma eleganti, in grado di riscuotere consensi in tutto il mondo, riuscendo anche ad attirare l’attenzione dei puristi più esigenti. Oggi Chanel torna ad interpretare questo modello nella sua collezione di Alta Orologeria, proponendone una versione Skeleton X-Ray, che pur mantenendo la purezza delle linee, l’equilibrio delle misure, e la perfezione delle forme che caratterizza l’intera collezione, la trasforma in un pezzo straordinario, dedicato ai puristi della tecnologia, ma in grado di affascinare anche l’osservatore più inesperto, imponendo una nuova allure e abolendo le frontiere tra maschile e femminile. Elemento distintivo è la sua straordinaria cassa, composta da tre blocchi di zaffiro (fondo, carrure e lunetta) che vengono


IDEE

IL BOY-FRIEND SKELETON X-RAY DI CHANEL È DOTATO DI UN MOVIMENTO DI MANIFATTURA AD ALTA PRECISIONE CALIBRO 3

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CAPITOLO 1

BOY-FRIEND SKELETON X-RAY Edizione limitata di 100 pezzi. Cassa e lunetta in zaffiro. Corona in oro bianco con 5 diamanti taglio baguette (~ 0,12 carati). Cinturino in pelle di vitello nera lucida con motivo alligatore con chiusura pieghevole in oro bianco. Calibro 3: movimento a carica manuale scheletrato nero di manifattura. Riserva di carica: ~ 55 ore. Impermeabilità: 30 metri. Funzioni: ore, minuti, secondi. Dimensioni: 37 x 28,6 x 8,4 mm. 5 diamanti taglio baguette (~ 0,12 carati) posti sulla corona di carica.

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IDEE

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CAPITOLO 1

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IDEE

lavorati su una fresa diamantata e assemblati a mano: la produzione di ogni pezzo richiede oltre cento ore di lavoro e l’utilizzo di mani sapienti in grado di rendere unico ogni singolo segnatempo. Da ricordare che lo zaffiro è il materiale più duro al mondo, dopo il diamante (sulla scala di Mohs viene valutato 9, rispetto al diamante che raggiunge il 10). È quindi realmente antigraffio, o per meglio dire può essere graffiato esclusivamente da un diamante: l’orologio manterrà quindi la sua superficie perfettamente lucida nel tempo. Come se tutto questo non bastasse, lo zaffiro è anche un materiale leggero. Per fare un confronto, è 1,5 volte più leggero della ceramica e 4 volte più leggero dell’oro bianco. Naturalmente, come per il diamante, andrà protetto dagli urti contro i materiali duri, come le piastrelle oppure il marmo. Come ha detto Arnaud Chastaingt, direttore creativo dell’orologeria Chanel: «Il Boy-Friend Skeleton X-Ray è un vero “capriccio”, una creazione libera, nella quale il quadrante mette a nudo tutto. L’orologio non ha alcun senso del decoro: rivela le sue curve, è quasi erotico. Concettualmente è una sorta di vero e proprio strip-tease, in realtà già idealmente iniziato quando abbiamo realizzato il movimento scheletrato, che raggiunge ora il suo apice creativo. Il suo movimento Calibre 3 è disegnato come un prezioso merletto, con finiture impeccabili ricamate con ponti e ruote dentate. È un abito su misura bordato d’argento, tagliato per lasciare in vista solo l’essenziale».

A proposito di meccanica, il Calibro 3 è il terzo movimento di manifattura progettato e sviluppato da Chanel. Interamente scheletrato, è stato progettato dal Creation Studio per essere bello sia dal davanti che nella parte posteriore e nel caso del Boy-Friend Skeleton X-Ray sembra fluttuare all’interno della carrure. Per il suo sviluppo sono stati necessari tre anni. Per soddisfare le aspettative dei designer, ad esempio, sono state sviluppate delle ruote dentate solide, una caratteristica del tutto insolita nell’orologeria. Tradizionalmente, infatti, le ruote dentate devono essere il più leggere possibile e quindi vengono scheletrate, riducendo l’inerzia e aumentando l’efficienza del movimento. In questo caso, gli artigiani orologiai hanno raccolto la sfida di realizzare la visione del Creation Studio e hanno sviluppato un processo per produrre ruote dentate solide attraverso la crescita galvanica. Anche le finiture dei ponti, e in particolare della platina base, hanno richiesto un notevole lavoro di sviluppo: colorarli nero carbone (con rivestimento ADLC), lucidare a specchio i bordi smussati per massimizzare i giochi di luce, e colorare la smussatura al centro del guarda l’oro beige, è stato un complesso lavoro realizzato tra ingegneri e orologiai. In definitiva, il Boy-Friend Skeleton X-Ray combina a perfezione la realizzazione tecnica con il design nel più puro rispetto dello spirito della Maison Chanel, dove la competenza tecnica è messa al servizio dell’estetica.

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CAPITOLO 1

PANERAI

UNA VISIONE DIFFERENTE FARE IN MANIERA TALE CHE OGNI NUOVA CREAZIONE RISPETTI L’INCONFONDIBILE IDENTITÀ DELLA CASA FIORENTINA. UN LAVORO COMPLESSO, NE PARLIAMO CON ALESSANDRO FICARELLI Di Paolo Gobbi

FIN DAL SUO DEBUTTO sul mercato internazionale, Panerai ha scelto la dicitura “Laboratorio di Idee” per indicare il suo impegno alla ricerca continua di soluzioni tecniche innovative che elevino ai massimi livelli gli standard e le prestazioni dei suoi orologi. La parola “laboratorio”, di origine latina, evoca l’ingegnosità della famiglia Panerai, nativa di Firenze, che non solo fondò il primo laboratorio orologiero della città nel 1860, ma trasformò un’attività familiare in un’azienda lungimirante in grado di creare prodotti innovativi e rivoluzionari, diventati poi veri e propri classici nella storia dell’orologeria. Il Laboratorio di Idee fa parte del Dipartimento di Ricerca e Sviluppo, dove tutti i progetti tecnici vengono creati e perfezionati grazie a orologiai e

ingegneri. Questi 50 artigiani altamente specializzati lavorano a stretto contatto con il dipartimento di design, ubicato in Italia: in questo modo si assicura che ogni nuova creazione rispetti l’inconfondibile identità Panerai. Per farci raccontare il presente e il futuro di Panerai, abbiamo incontrato a Santa Margherita Ligure, a bordo di Eilean, il ketch di 70 piedi varato nel 1936 e oggi simbolo della casa orologiera, Alessandro Ficarelli, Direttore Sviluppo Prodotto. Ci racconta il suo ruolo in Panerai? «Sono in Panerai dal settembre 2005, sedici iniziati con il ruolo di marketing product manager. Dal 2011 sono direttore della strategia del prodotto, parte del comitato direzionale della

Caratterizzato da un quadrante sandwich e dal ponte di protezione della corona sul lato destro del quadrante, elementi per eccellenza di Panerai, il Luminor Chrono si distingue per l’originale collocazione a sinistra dei pulsanti del cronografo e per le lancette blu dedicate a tale funzione

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Alessandro Ficarelli Direttore Sviluppo Prodotto Panerai

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marca, lavorando a stretto contatto con il CEO. In tutti questi anni ho contribuito all’evoluzione e alla crescita del brand.» Le tappe più importanti? «Nel 2005 abbiamo presentato il primo calibro di manifattura, riuscendo poi a realizzare una manifattura integrata con il 100% dei calibri sviluppati in-house. C’è stata un’evoluzione del brand e anche una sua trasformazione in quattro pillar ben definiti in altrettante collezioni: Luminor, Luminor Due, Submersible, Radiomir. Un panorama completamente diverso da quello che c’era nel 2005.» Cosa c’era di così completamente diverso? «C’era un orologio iconico, il Luminor Marina, il Luminor 44 mm, qualche Special Edition Radiomir di carattere storico. Successivamente abbiamo cominciato a usare la cassa Luminor 1950, utilizzata sempre di più con i calibri in-house: è diventata la cassa degli orologi manifattura. Per sintetizzare, vent’anni fa Panerai era un orologio, adesso è un brand a tutto tondo.» Cosa è cambiato per determinare questa trasformazione? «Panerai era un orologio con una forte storia, valori legati al mondo del mare, a un’italianità, alla Marina Militare. Tutte qualità che adesso vengono messe in evidenza con una nuova accezione di lusso. Perché nel frattempo è cambiato il cliente, è cambiato il mondo del lusso. Stiamo assistendo per esempio ad una sua democratizzazione, che porta anche a un cliente diverso, più aperto, con un nuovo modo di vivere. Anche il nostro brand è cambiato, e il nostro obiettivo non è più solamente vendere un orologio.» Come fa a conciliare una marca così fortemente storica e iconica con un prodotto che deve fare innovazione, che deve confrontarsi con il mondo? «È una domanda che mi piace molto. Panerai è sempre stata partecipe al rinnovamento tecnologico, dai brevetti storici sui materiali luminescenti, al suo iconico ponte proteggi corona. Il fatto di essere un brand pioniere nel mondo della micromeccanica ci ha portato negli ultimi anni a presentare materiali innovativi e anche nuovi movimenti.»

Dopo il suo debutto ufficiale nel 2011, il bronzo torna deciso protagonista delle collezioni Panerai, per la prima volta proposto in un modello da 42 mm. Il Submersible Bronzo Blu Abisso (PAM01074). destinato alla vendita esclusiva presso le boutique Panerai, è realizzato in soli 1.000 esemplari l’anno e si contraddistingue per il blu opaco del quadrante, perfettamente in sintonia con il caldo tono del metallo. Un bronzo ottenuto da materie prime pure che escludono tracce di inquinamento o di elementi proibiti, come il piombo (<90 ppm).

Sempre interpretati secondo la vostra filosofia? «Sì. A esempio quando abbiamo presentato il tourbillon, non ne abbiamo voluto realizzare una versione “standard” e tradizionale, bensì un “alla Panerai”. Abbiamo sempre pensato i nostri segnatempo come degli strumenti, con alcuni punti fermi come la funzionalità, la visibilità del quadrante, la luminescenza. Tutti elementi caratteristici dei nostri segnatempo sin dal secolo scorso.» È importante seguire la vostra storia? «L’importante è avere una profonda conoscenza della storia, da dove arriviamo, il design, riprendere questi elementi e utilizzare una chiave moderna: nuovi materiali e nuovi colori. Far evolvere l’assortimento cercando sempre di rispettare i codici estetici della marca.»

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SUBMERSIBLE eLAB-ID L’orologio è un risultato senza precedenti nella storia dell’industria orologiera. Il 98,6% del suo peso totale proviene da materiali che integrano un alto tasso di elementi riciclati. La sua cassa, il quadrante sandwich e i ponti sono realizzati in EcoTitaniumTM, una lega di titanio riciclato, metallo leggero di derivazione aerospaziale composto per oltre l’80% da puri elementi riciclati. Submersible eLAB-IDTM è il primo orologio a utilizzare SuperLuminovaTM riciclata al 100% sul quadrante e sulle lancette, e silicio riciclato al 100% per la realizzazione dello scappamento del movimento. Entrambi sono ottenuti attraverso processi di riciclaggio su piccola scala che riutilizzano scarti di materie prime. Dal vetro zaffiro alle lancette in oro, la maggior parte dei componenti principali è ottenuta da materiale riciclato.

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Il suo è un ruolo importante. «In questi anni avendo vissuto e partecipato all’evoluzione del brand, mi sento un po’ il guardiano del faro. Il nostro obiettivo è stato quello di rimettere il cliente al centro, mantenendo una forte identità di prodotto.» Un cambiamento visibile nelle vostre collezioni? «Abbiamo un assortimento di quadranti che finalmente vanno oltre il tradizionale nero, su tutti il bianco e il blu Panerai, con quella sua luce particolare. Anche per i metalli non c’è solo acciaio, ma anche titanio, il carbotech, uno dei nostri best-seller, poi il bronzo, che ha una particolare ossidazione che lo porta a “invecchiare” con il proprietario.» Quando si parla di orologeria italiana viene sempre alla mente Panerai: vi considerate una marca italiana? «Confermo che è complesso perché l’italianità è molto importante. Lavoro per un brand dalle origini fiorentine, sono l’unico italiano presente nel comitato direzionale, orgoglioso di partecipare alla crescita del marchio. Noi, parlo del mio team che va dal product manager al design, dalla comunicazione ai creativi, siamo tutti basati a Milano e passiamo dal design degli orologi alla comunicazione, che facciamo nelle boutiques e negli eventi.» Panerai è una marca Swiss Made? «Nell’orologeria è chiaro che lo Swiss Made è sinonimo di qualità, un must. Ma negli anni ci stiamo aprendo a tecnologie che non sono solo d’oltralpe, come il concetto dei nuovi orologi, il Subermsible eLAB-ID, ecosostenibile, realizzato quasi al100% con prodotti riciclati, dove lavoriamo con fornitori che non sono solo svizzeri. Tuttavia il savoir-faire, il know-how e la tecnicità svizzera sono fondamentali per l’orologeria di lusso. Aggiungo anche che Panerai è l’unico player dell’orologeria puramente italiano. Inoltre siamo uno dei pochissimi produttori orologieri che non ha mai montato un quarzo. Anzi, abbiamo una parte delle nostre collezioni dedicata al carica manuale proprio in virtù di quel richiamo storico alla tradizione.» L’orologeria tradizionale è sempre vissuta senza fare movimenti in casa. Il concetto di manifattura, che voi avete sposato, è sostanzialmente moderno, in quanto storicamente l’orologeria ha sempre

utilizzato meccaniche prodotte da fornitori terzi. C’è stato un momento in cui, dopo aver progettato e messo in movimento la vostra manifattura, avete pensato “Ma chi ce l’ha fatto fare”? «In realtà no. Perché la manifattura ti permette di essere autonomo. È chiaro che per la fornitura di componenti ci appoggiamo ad altri, come è anche chiaro che non abbiamo i volumi di produzione – e non li vogliamo nemmeno avere – che potrebbero avere altri gruppi. Tuttavia, ci permette di essere autonomi e di avere degli standard qualitativi differenti. Per quanto riguarda il movimento, per altri la riserva di carica non è basica, per noi sì. Questo vale anche per le finiture: abbiamo una storia con richiami militari, quindi noi non siamo per delle decorazioni barocche, ma cerchiamo finiture satinate e lucide. Tutto questo ci ha permesso di differenziarci dagli altri brand. Qualunque cosa facciamo, la facciamo alla Panerai.» Ci racconta il concetto di seconda vita che è alla base del Submersible eLAB-ID? «Si tratta sostanzialmente di un segnatempo dove il 98,6% i componenti sono riciclati. Non lo sono al 100% solamente perché riciclare alcune parti del movimento sarebbe stato talmente costoso e inquinante che saremmo andati contro la filosofia del prodotto.» Non si tratta del solito orologio riciclato. «No, il nostro è un concetto green. Per portarlo a compimento abbiamo cominciato a ragionare sotto il profilo di quello che abbiamo chiamato il “Panerai ecologico”, che non è solo al livello di prodotto, ma coinvolge l’intera organizzazione. Tutti e 700 i dipendenti del mondo di Panerai sono chiamati a ragionare green: usare meno plastica e comunque solo riciclata, stampare il meno possibile, non andare in macchina al lavoro. Io ho una macchina pug-in perché nella policy aziendale abbiamo cercato di abbandonare il motore termico alimentato a benzina o diesel. Nella produzione degli orologi abbiamo eliminato il libretto delle istruzioni dalle scatole, inoltre il 30% delle scatole è realizzato con materiali riciclati. In ogni caso non utilizziamo più plastica, e nel packaging abbiamo ridotto le dimensioni per ridurre le emissioni di Co2 dovute al trasporto. La nostra manifattura è green.»

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BREITLING

«LAVORO SOLO CON PASSIONE» GEORGES KERN RACCONTA LA SUA VISIONE DEL MONDO DELL’OROLOGERIA Di Paolo Gobbi AI PURISTI POTREBBE sembrare quantomeno singolare, eppure l’ultima creazione per questa stagione di Breitling è una collezione dedicata al pubblico femminile, un’originale e riuscita rivisitazione di un modello classico. Nato negli anni ’50 come orologio da sub, il Superocean Heritage ’57 Pastel Paradise si è evoluto oggi in un segnatempo alla moda, pronto ad eguagliare il successo dei suoi “fratelli” da uomo. Di questo e tanto altro parliamo con Georges Kern, il CEO della Casa svizzera, incontrato a Milano durante la presentazione al mercato italiano.

Lei è in debito con il mondo dell’orologeria oppure è il mondo dell’orologeria ad essere in debito con Kern? «A me piace l’industria orologiera! Era destino. Non avevo “programmato” di farne parte, ci sono

entrato per caso. Ero nel settore alimentare: formaggi, caffè, cioccolato... Poi ricevetti una telefonata da TAG Heuer e sono entrato a far parte del mondo dell’orologeria. Da quel giorno solo passione.» Chi entra nel mondo dell’orologeria quasi sempre non ne esce più. «L’orologio è un oggetto bellissimo, che attrae belle persone ed è come il calcio: la gente si appassiona. Non è un argomento neutrale, bensì appassionante. E mi ci trovo a mio agio.» Quando ha iniziato a lavorare in Breitling cosa si aspettava da questo brand? «Molto meno di quello che è successo. Ciò di cui non ero consapevole era la collezione fenomenale dei pezzi storici e il Superocean Heritage 57

Il modello più spettacolare della capsule collection Superocean Heritage ’57 Pastel Paradise è la versione arcobaleno color mandarino. Con indici e lancette delle ore rivestiti di Super-LumiNova, riprende le sfumature del giallo, del verde, del blu, dell’indaco, del viola, del rosso e dell’arancione. Il prezzo è di 4.350 euro.

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è un esempio. Conoscevo il marchio Breitling degli ultimi 20 anni, ma non ero consapevole del marchio Breitling degli anni ’40, ’50 e ’60. Questi esemplari sono così belli. Come il Premier, il Top Time, il Superocean. Usiamo questo patrimonio storico come anello di congiunzione, come ponte tra le due community: da un lato quello Breitling degli ultimi 20 anni e dall’altro quello degli anni Quaranta e Cinquanta, rappresentati da due diverse tipologie di clienti.» Ha ottenuto il risultato che si era prefissato? «Ben oltre le aspettative! Abbiamo fatto relativamente bene durante il periodo Covid. Siamo stati operativi e attivi nei social media, presentando molti prodotti e abbiamo guadagnato quote di mercato. Quindi direi che il marchio è molto resiliente e i pregi che ha – come il suo stile “casual” – sono inclusivi in termini sportivi: surf, sci, ciclismo. Tutto questo ci ha aiutato molto.» Ci racconta qualcosa sull’orologio che ha sul polso? «Oggi indosso il Premier Heritage Rattrapante, uno degli esemplari che ho scoperto quando sono entrato in Breitling. Non sapevo che Breitling avesse creato un modello del genere, voluto da Willy Breitling in persona. Abbiamo deciso di “onorarlo” con un tributo moderno, proponendolo con un movimento fantastico, uno splendido design e sta andando benissimo. Ne siamo molto felici.» Qualche giorno fa un mio amico italiano, peraltro grande collezionista principalmente di Patek Philippe e Audemars Piguet, mi ha inviato un whatsapp mostrandomi fiero il suo nuovo Premier Heritage Rattrapante, lo stesso che lei ha al polso. Una bella vittoria per voi. «Ne sono molto orgoglioso. Si tratta di un movimento prodotto internamente dalla Maison. Inoltre, credo il prezzo sia molto ragionevole per uno split-second. Si offre artigianalità, storia, un design bellissimo. Credo racchiuda tutti gli elementi per avere successo e sono molto felice che ora raggiungiamo anche questo tipo di cliente, ossia collezionisti e conoscitori.» Lei è un collezionista? «Sono nel settore da trentacinque anni, quindi ovviamente possiedo diversi orologi. Ma è la prima volta nella mia vita che acquisto un vintage, naturalmente un Breitling. Oggi ho quattro orologi vintage e anche dei moderni. Tra l’altro quelli d’epoca stanno guadagnando continuamente in termini di valore, i prezzi stanno salendo.» Quanto è cambiata la produzione Breitling odierna rispetto a quella del passato? «Stiamo aumentando i numeri. Oggi produciamo 180.000/190.000 pezzi l’anno ed è aumentato il prezzo medio, grazie a Super Chronomat e Premier Heritage. Tuttavia siamo anche ben lieti di essere nel segmento del “lusso accessibile” con il Superocean e il Top Time, con prezzi a cominciare dai 3.000 euro.» Per tanti anni gli orologi da donna sono stati un tabù per Breitling. Ora lei ha cambiato tutto con la nuova collezione Superocean Heritage ’57 Pastel Paradise ma anche con il Chronomat. Perché?

Georges Kern, CEO Breitling, fotografato a Milano all’interno della Boutique presso La Rinascente.

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La capsule collection Superocean Heritage ’57 Pastel Paradise punta tutto sui colori, sulle proporzioni e, naturalmente, sulla sostanza. La cassa in acciaio inossidabile da 38 mm presenta una lunetta girevole e indici ben evidenti. L’essenza stessa dello stile estivo. La palette è declinata nei colori bianco estivo, acquamarina, verde menta e caffelatte – ogni modello con quadrante, lunetta e cinturino tono su tono. Il prezzo è di 4.350 euro per tutte le versioni.

PREMIER HERITAGE DUOGRAPH L’orologio si presenta in versione con quadrante blu e cassa in acciaio inossidabile (in foto, 9.350 euro) oppure con quadrante nero e cassa in oro rosso (19.200 euro), entrambi di diametro 42 mm. La sua funzione rattrapante – una delle più elaborate nell’orologeria – consente a chi indossa l’orologio di misurare simultaneamente due intervalli di tempo, grazie alle due lancette del cronografo sovrapposte. Al suo interno, il calibro di manifattura Breitling B15 a carica manuale, ispirato al calibro di manifattura Breitling B03.

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Il Premier Heritage Chronograph è dotato di carica manuale, proprio come i suoi predecessori degli anni ‘40. È alimentato dal calibro di manifattura Breitling B09, ispirato al calibro di manifattura Breitling 01, ed è disponibile in due versioni: con un accattivante quadrante verde pistacchio racchiuso in una cassa in acciaio inossidabile (7.400 euro), oppure con un sofisticato quadrante argento racchiuso in una cassa in oro rosso (16.200 euro).

«Perché il 50% del mercato è rappresentato dalle signore! Perché non dovrei esserci? Verso la fine degli anni ‘90 Breitling era già in questo segmento, che tra l’altro è enorme. Come ho già detto in precedenza, noi vogliamo essere l’alternativa cool per le signore come siamo l’alternativa cool rilassata per un pubblico più conservatore per gli uomini. Credo che la collezione Pastel Paradise rifletta perfettamente lo stile che cerchiamo.» Un tempo, le donne raramente sceglievano gli orologi e i gioielli poiché erano gli uomini ad acquistarli per regalarli. Credo sia cambiata la situazione? «Sì e no. Di sicuro ora le donne sono completamente indipendenti e sanno quello che vogliono. Tuttavia agli uomini piace fare regali, quindi credo coesistano entrambe le situazioni. Come se non bastasse, oggi abbiamo una splendida collezione con il Navitimer, il Superocean Heritage e il Chronomat, che sta avendo un successo incredibile anche come linea femminile.» Non teme di lanciare un messaggio negativo per coloro che considerano Breitling come un marchio maschile? «Assolutamente no. L’uomo che acquista orologi Breitling ha sufficiente fiducia in sé stesso da non essere disturbato dalla collezione femminile. Inoltre, hanno anche l’opportunità di fare regali alle loro compagne.» Quanto è cambiata l’orologeria negli ultimi due anni? «Molto. Innanzitutto il senso di euforia che molte persone hanno avuto nei confronti degli orologi digitali è scomparso. Oggi le persone acquistano molti più modelli analogici. Per me rappresentano la nuova forma del lusso. È una forma d’arte, uno stile di vita e non ha niente a che fare con leggere l’orario, perché puoi leggere l’ora sul tuo iPhone

o altro. Si tratta di uno stile di vita, di branding e di artigianalità. È come una scultura o un dipinto, dove la funzionalità non ha la valenza che aveva in passato. I valori e l’immagine di un marchio sono due elementi che hanno un’importanza forte più che mai.» Forse il cambiamento più grande si è visto nella distribuzione? «Certo. Durante il Covid l’e-commerce è aumentato, ma non penso che sia accaduto nei cosiddetti prodotti emozionali, dove è necessario un’esperienza tattile come indossarli sul polso. Sono andati meglio i tradizionali, ad esempio per quelli con i cinturini in pelle le vendite sono cresciute molto. In ogni caso, credo che dobbiamo essere polivalenti nei canali che offriamo, quindi debbano esserci entrambi: e-commerce e boutiques monomarca. Quest’ultime stanno acquisendo importanza e abbiamo bisogno di averne di più in Italia, non solo a Milano, ovunque. Come vede Breitling nel suo futuro? «Siamo molto fiduciosi. L’informalità rilassata di Breitling è molto importante in questo mondo. I prodotti che abbiamo in cantiere sono pazzeschi, quindi siamo fiduciosi in una crescita sia nei numeri che nelle quote di mercato. Vogliamo entrare nei top brand in Italia come ai tempi di Gino Macaluso. Ora abbiamo un portfolio personalizzato per il pubblico italiano, che rappresenta il mercato più sofisticato al mondo.» E nel suo futuro? «Nei prossimi mesi abbiamo fantastici segnatempo in arrivo. Il progetto più incredibile in cui mi sono ritrovato a far parte della mia intera carriera. Quindi lo vedo bello!»

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PARMIGIANI FLEURIER

IL NOSTRO OBIETTIVO LA QUALITÀ ASSOLUTA L’ARRIVO DI NUOVI MODELLI, PRIMO FRA TUTTI IL TONDAGRAPH GT, HA AMPLIATO IL PUBBLICO E RINGIOVANITO LA COLLEZIONE DELLA CASA SVIZZERA,ANDANDO INCONTRO A GUSTI PIÙ MODERNI. NE PARLIAMO CON LUCA CASTELLANI Di Paolo Gobbi

PARMIGIANI FLEURIER ha portato l’eleganza e la raffinata artigianalità dei suoi orologi, in un nuovo e più sportivo segmento del lusso. Lo ha fatto lo scorso anno con il lancio della collezione Tonda GT: immediato il suo successo e ampio il riscontro da parte della comunità degli appassionati per il suo design senza tempo, che ha portato il look lussuosamente raffinato della collezione Tonda in un contesto maggiormente quotidiano. Parliamo di questo e del mercato italiano con Luca Castellani, direttore commerciale della Casa svizzera.

Chi è Luca Castellani? «Con quasi ventidue anni di esperienza, comincio a sentire qualche peso sulle spalle. Da tre anni sono il direttore commerciale mondo di Parmigiani Fleuerier. Mi occupo anche del Medioriente ma non dell’Asia, che rimane il mio obiettivo futuro.»

L’evoluzione sottile ma significativa per una maggiore chiarezza di lettura è stata una priorità di Parmigiani Fleurier; il Tondagraph GT Steel Silver Black ne è un esempio: i numeri arancioni e i dettagli apparsi sul quadrante nero del suo predecessore sono stati sostituiti con elementi a contrasto in bianco.

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Si potrebbe definire un globetrotter? «Sì, un globetrotter da oltre cento voli all’anno: tanti alberghi, la valigia sempre pronta... Mi divido tra Svizzera e Germania e poi, a seconda di dove c’è bisogno, vado. Il mio è un lavoro di supervisione sulle filiali che abbiamo nel mondo, seguo i distributori.» Come vede il mercato orologiero a livello mondiale? «Sta andando a due velocità, nel senso che abbiamo dei mercati che in generale (non parlo nello specifico di Parmigiani) funzionano. Il Giappone, ad esempio, va molto bene, anche per quel che riguarda la nostra offerta. Negli Stati Uniti erano già abituati a comprare online e non ad andare in negozio e con la pandemia questa abitudine si è rafforzata. I mercati europei sono in grande sofferenza: senza i turisti stranieri, soprattutto i cinesi, la Svizzera e la Francia sono in difficoltà.

La Germania invece sta andando molto bene: qui la netta diminuzione del cliente straniero è stata compensata da una crescita della clientela locale. Anche in Italia lavoriamo molto bene: abbiamo una crescita a doppie cifre ogni mese.» Il vostro mercato italiano? «Stiamo crescendo, poco, ma con l’obiettivo di arrivare a dieci punti vendita: oggi ne abbiamo sei. L’Italia è un mercato molto particolare. L’italiano cerca prima di tutto - ahimè - l’investimento. Ciononostante c’è un crescendo di clienti che vogliono comprare per il piacere di indossare ma soprattutto di poter raccontare. Questi sono i nostri clienti e, ancor prima, i nostri dettaglianti. Cerchiamo quei retailer che hanno voglia di raccontare il prodotto e di presentarlo. Quando troviamo quel tipo di concessionario, diventa decisamente più facile. Poi quest’anno c’è stato un prodotto come il Tonda GT, che piace molto.»


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Luca Castellani, Chief Commercial Officier Parmigiani Fleurier.

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Il prodotto è fondamentale. «Sicuramente. Nel passato abbiamo pagato la mancanza di un prodotto che guardasse al pubblico e alle sue esigenze. Quando abbiamo cominciato ad aprirci alle indicazioni del mercato, piano piano abbiamo fatto un prodotto che piace e che funziona. Ad esempio il Tonda GT è un bel prodotto, quando te lo metti al polso ti trasmette delle sensazioni.» Qual è il vostro target? «Il nostro è un cliente che ha delle disponibilità economiche, se pensiamo che il Tonda GT nella versione più economica costa circa 13.500 euro e per il crono calendario annuale tocchiamo i 18.500 euro. La sua età rispetto a qualche anno addietro si è leggermente abbassata, ma partiamo sempre dai 40 anni in su. È un cliente che già conosce l’orologeria, conosce il marchio, quello che fa e che non ha bisogno di avere un orologio che sia subito fortemente riconoscibile, che sia uno status o appartenga a un marchio noto a chiunque. Però allo stesso tempo è una persona che ha voglia di raccontare e scoprire quello che ha al polso.» Il fatto di non essere troppo conosciuto o troppo visibile, di non sbandierare l’etichetta del prezzo al polso non trasforma Parmigiani Fleurier in una sorta di status “al contrario” rispetto alla media? «Sarebbe già un bel risultato. Però quello su cui stiamo lavorando è proprio la riconoscibilità del prodotto, in quanto in passato avevamo troppe referenze differenti tra di loro. Oggi la cassa del Tonda GT non ti dice subito: è un Parmigiani. Però se l’analizzi nello specifico, se vai a guardare bene, ha molti legami con le casse del passato, con quella del Tonda 1950 con le anse create da Michel Parmigiani in persona. Vi abbiamo inserito alcuni elementi tipici delle nostre collezioni e stiamo lavorando perché diventi l’icona del marchio.» Cosa fa quando vede “per caso” un Parmigiani indossato al polso? «Come prima cosa sorrido e sono contento, ma questo ormai succede da quindici anni a questa parte, da quando ho cominciato a lavorare per i marchi di nicchia. In ogni caso, quando accade è sempre una bella soddisfazione. Mi piace poi chiedere il motivo dell’acquisto e le risposte che ricevo sono sempre più o meno simili: “quando lo ho messo mi è piaciuto, si è creato un feeling, lo posso indossare sia con i jeans che con l’abito elegante...”. Questo secondo me ci dimostra che stiamo lavorando bene.» Per ampliare la conoscenza e affermare un’icona bisogna lavorare sulla comunicazione. «Sì e lo stiamo facendo. Il marchio è piccolo, con piccoli budget. Però abbiamo dei concessionari – e non parlo solo in Italia ma in generale in Europa– che si sono innamorati del marchio e lo vendono molto bene. Ci siamo resi conto che il retailer ha ancora la forza di far scegliere il cliente, di aiutarlo e consigliarlo nella scelta.» Con le grandi catene è più complicato? «No, non ho riscontrato grandi differenze: ad

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esempio con Wempe è stato importante soprattutto il rapporto che abbiamo instaurato con le persone che lavorano all’interno del negozio.» Ha parlato dell’importanza del retailer ed in effetti qualsiasi vendita si risolve in 70 centimetri: questa è circa la distanza che c’è tra venditore e acquirente. Ora provi a mettersi dall’altra parte del bancone e spieghi al nostro lettore perché potrebbe acquistare un Parmigiani. «Gli direi che un Parmigiani Fleurier è prima di tutto un prodotto di qualità assoluta. Lo dimostra il fatto che abbiamo una produzione verticale e realizziamo in manifattura il 90% dei componenti di ogni singolo segnatempo. Le uniche due cose che acquistiamo esternamente sono il vetro e i cinturini, che quasi sempre sono realizzati da Hermès, che detiene anche il 25% di Vaucher.» Essere diversi dalla massa è un valore? «Sì, è quello che noi vorremmo essere. Parmigiani Fleurier è una nicchia: produciamo tra i 2.000 e i 2.500 orologi all’anno, che sono pochissimi rispetto a tutto il resto del panorama orologiero di alta gamma.» Sempre più marche comunicano e vendono online. Voi come usate la rete? «Abbiamo cominciato l’esperienza online negli Stati Uniti. Nel mio lavoro preferisco la vecchia scuola: viaggiare, vedere il dettagliante, proporre l’orologio. Sono ancora convinto che il retailer avrà sempre un ruolo fondamentale. È per quello che dobbiamo lavorare sempre di più sulla qualità dei nostri dettaglianti.» La vostra filiera corta, tra la produzione e la commercializzazione, vi permette anche di avere un feedback diretto da parte dell’acquirente? Ascoltate le richieste e le indicazioni degli appassionati della marca? «Sì. Quando abbiamo iniziato a pensare al Tonda GT lo abbiamo “condiviso” prima con i nostri colleghi e poi con alcuni player mondiali importanti. Bisogna dire che siamo molto più aperti ora a delle critiche costruttive rispetto a prima. Non siamo un marchio taylor made, non facciamo delle cose specifiche. Se il mercato oggi dice che il verde è il “the new blue” e quindi tutti vanno verso il verde, noi non lo utilizziamo se pensiamo che non rispecchi il nostro prodotto… anche se abbiamo avuto delle richieste. Dobbiamo andare per la nostra strada e verso quello che abbiamo creato.» Non fate orologi tailor made? No, li facciamo ma non deve diventare il core business dell’azienda: un collezionista può chiedere un orologio personalizzato e lo abbiamo fatto più volte: è il grande vantaggio della verticalizzazione nella produzione.» Riuscite a personalizzare anche la meccanica? «In parte sì. L’unica cosa che fondamentalmente non promuovo sono le casse su richiesta. Deve rimanere tutto nell’ambito di una collezione che abbiamo già e dove possiamo fare delle modifiche.»


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TONDAGRAPH GT STEEL SILVER BLACK Questo modello presenta una cassa da 42 mm, in acciaio inossidabile lucido e satinato e con una resistenza all’acqua di 100 metri. Il quadrante argento e nero decorato con texture clou triangulaire ha indici rodiati trattati con un rivestimento luminescente nero. Come il suo predecessore con quadrante nero, l’orologio ospita il calibro automatico PF043. Sebbene il nome dell’orologio indichi che si tratta di un cronografo, in realtà è qualcosa di molto più speciale, poiché il calibro PF043 permette l’unione di un cronografo con un calendario annuale. Le iconiche lancette a forma di Delta con rivestimento luminescente nero mostrano l’ora mentre la data appare in una grande doppia apertura alle ore 12. I quadranti secondari posizionati alle ore 9 e 6 ospitano le letture del cronografo e il quadrante secondario alle ore 3 svolge le due funzioni di indicatore dei secondi di corsa e di un display del mese. Come in tutti i calendari annuali, questo indicatore richiede un aggiornamento una sola volta all’anno, da febbraio a marzo.

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F.P. JOURNE

FRANCIS FORD COPPOLA “BLUE” LE DITA MOBILI SEGNANO LE ORE. UN CAPOLAVORO DESTINATO A FARE LA STORIA. UN PEZZO CHE I COLLEZIONISTI PIÙ AVVEDUTI TENTERANNO DI PORTARE A CASA NEL CORSO DELL’ASTA ONLY WATCH 2021 Nel 2021, F.P. Journe celebra il 20° anniversario dell’Octa Calibre 1300 automatico. Oggi per Only Watch propone la versione definitiva di un modello leggendario, con un automa alimentato esclusivamente dalla molla principale del movimento Octa. Come ci si potrebbe aspettare, non è stato un compito facile. I minuti sono guidati da un disco rotante posto a ore 12, mentre le dita mobili appaiono o scompaiono istantaneamente, indicando le ore con la loro posizione. Queste sono state ispirate da una mano meccanica creata da Ambroise Paré (1509-1590), il padre della chirurgia moderna.

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“Questo orologio è nato nel 2012 mentre cenavamo a casa di Francis Ford Coppola nella Napa Valley. Mi ha chiesto se fosse possibile leggere l’ora con una “mano” posta sul quadrante. Risposi che l’idea era interessante e richiedeva un attento studio. Ma come visualizzare 12 ore con 5 dita? Non è stata una cosa facile e questa sfida complessa mi ha ispirato e motivato. Una volta capito, Francis ha inviato immediatamente gli schizzi per la posizione delle dita. Dopo più di 2 anni, ho potuto finalmente concentrarmi sul “Fecit”. Dopo 7 anni di sviluppo, sono orgoglioso di presentare il prototipo FFC”.


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AUDEMARS PIGUET

ROYAL OAK “JUMBO” EXTRA-THIN ONLY WATCH QUESTO OROLOGIO SARÀ L’ULTIMO 15202 ALIMENTATO DAL CALIBRO 2121, IL MOVIMENTO AUTOMATICO PIÙ SOTTILE DELLA SUA EPOCA CON ROTORE CENTRALE E INDICAZIONE DELLA DATA, INTRODOTTO PER LA PRIMA VOLTA SUL ROYAL OAK NEL 1972 Per la prima volta, la Manifattura integra il titanio con il Vetro Metallico, una lega a base di palladio particolarmente utilizzata nella microelettronica. Grazie a un raffreddamento rapido, questa lega a base di palladio condivide diverse caratteristiche con altri tipi di vetro, tra cui amorficità ed elevata resistenza, che la rendono altamente resistente all’usura e alla corrosione. La sua natura non cristallina si traduce in un gioco di luce unico creato dalla rifinitura a mano. Il Vetro Metallico lucidato a mano viene utilizzato per la lunetta, la parte

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esterna del fondello in zaffiro e i perni del bracciale, offrendo così un forte contrasto con la cassa in titanio e le maglie del bracciale. La cassa in titanio sabbiato, arricchita da smussi lucidi, è completata da un bracciale decorato con sabbiatura (sopra), satinatura (sotto) e smussi lucidi sui bordi. È anche la prima volta che la Manifattura presenta un bracciale in titanio sabbiato. Il fondello zaffiro in Vetro Metallico reca l’incisione “Unique Piece”, mentre il marchio “Pd500” attesta la composizione della lega con oltre il 50% di palladio.


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PERRELET

“TURBINE HOPE”

IL FAMOSO QUADRANTE A 12 PALE, CODICE DISTINTIVO DI TUTTI I MODELLI TURBINE DI PERRELET, PROTETTO DA UN VETRO ZAFFIRO, GENERA CON LE SUE LAME UN SINGOLARE EFFETTO 3D DANDO L’IMPRESSIONE DI TUFFARSI NEL CUORE DEL QUADRANTE Pensato espressamente per Only Watch, “Turbine Hope” si presenta con una innovativa cassa con lunetta in acciaio inossidabile rivestita con PVD nero ed un corpo centrale in policarbonato e fibra di carbonio. Una prima assoluta per Perrelet l’utilizzo della fibra di carbonio, le cui proprietà vantano una ottimale capacità di isolamento termico, resistenza agli agenti chimici e agli sbalzi di temperatura. Inoltre, essendo un materiale molto leggero, è particolarmente confortevole al polso. Con un diametro di 44 mm ed uno spessore di 13,82 mm, la cassa ha uno stile casual-chic, sportivo

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ma al tempo stesso raffinato grazie alla lunetta piatta e liscia e alla carrure scanalata, una tra le note caratteristiche distintive del marchio. Osservando attentamente il fondello, l’anello in acciaio inossidabile PVD nero che circonda e fissa l’oblò in vetro zaffiro riprende le stesse scanalature decorative presenti sul fianco della cassa. Gli incavi convessi sono allineati esattamente nella stessa posizione degli stessi presenti sulla cassa. Una piccola ma sofisticata finezza che sottolinea la meticolosa cura ed attenzione che Perrelet dedica a ogni singolo dettaglio dei suoi segnatempo.


IDEE

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CAPITOLO 1

GIRARD PERREGAUX

CASQUETTE ONLY WATCH EDITION BAMFORD WATCH DEPARTMENT

IN OCCASIONE DELLA NONA EDIZIONE DI ONLY WATCH, GIRARD-PERREGAUX È TORNATO AGLI ANNI ‘70 E HA REINTERPRETATO UN MODELLO PRESENTATO PER LA PRIMA VOLTA NEL 1976 Al momento del suo lancio il Casquette di Girard-Perregaux ha immediatamente manifestato il suo design futuristico. In effetti, il suo stile d’avanguardia ha attinto allo spirito del tempo dell’epoca, un momento in cui l’orologeria tradizionale era stata temporaneamente accantonata a favore dei movimenti al quarzo. Il linguaggio del design a tema spaziale di Casquette era inequivocabilmente di tendenza. Il display digitale a LED presenta le informazioni con numeri rossi vividi. Osservando la cassa di lato, l’utilizzatore è in grado di apprezzare l’insolito

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profilo affusolato, la sua forma elegante apparentemente levigata in una galleria del vento. Per il pezzo unico che verrà battuto a Only Watch, la Casa svizzera ha scelto di collaborare con il Bamford Watch Department. Le due società hanno già lavorato insieme di recente al Laureato Ghost. In questo caso si è deciso di reinterpretare la Casquette del 1976 con un interessante twist. Il movimento è contenuto in una carrure in carbonio forgiato, mentre il fondello e i pulsanti sono realizzati in titanio grado 5. Sul fondello è inciso il logo Only Watch.


IDEE

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AR CAPITOLO 1

L J ROMA 1962

ARTITUDINE

L J Roma 1962 Collezione DIVA oro rosa 18 kt con diamanti bianchi e fancy

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RT IDEE

LJ Roma 1962 Collezione MIELE bracciale in oro rosa 18 kt con diamanti

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LJ Roma 1962 Collezione MIELE anelli in oro 18 kt rosa e bianco con diamanti


LJ Roma 1962 Collezione DIVA orecchìni oro rosa 18 kt con diamanti

ARTITUDINE È LA CAPACITÀ DI ESPRIMERSI ARTISTICAMENTE, DI PENSARE IN MODO CREATIVO.


CAPITOLO 1

RUBEUS

TUTTO È PREZIOSO INTERVISTA A NATALIYA BONDARENKO FONDATRICE E CREATIVE DIRECTOR DEL BRAND ITALIANO CHE HA FATTO DIVENTARE COUTURE ANCHE I PROFUMI

Di Lara J. Mazza

IL LUSSO PUÒ TRASCENDERE UN MARCHIO? La risposta è sì se diventa una

esperienza artistica in cui potersi immergere completamente e se i suoi significati intrinsechi travalicano ampiamente il valore economico dei prodotti realizzati. Rubeus, come racconta la sua creatrice, è stato concepito con un obiettivo chiarissimo: essere un’esperienza di lusso che testimonia l’eccellenza dell’artigianato Made in Italy e della nostra bravura artistica. Temi quali raffinatezza, artigianalità ed eredità del patrimonio artistico-culturale italiano sono i cardini sui cui si è sviluppato l’intero progetto creativo e mette in evidenza la sconfinata dedizione alla ricerca e alla progettazione di ogni singolo prodotto – accessori, abbigliamento, gioielleria e profumeria – con il chiaro intento di esaltare l’individualità di chi li sceglie. Cosa è nato per primo? «Il progetto Rubeus è nato nel 2013 ma ci sono voluti alcuni anni per poterlo vedere “messo a terra”. Le borse sono state il mio primissimo amore. L’abbigliamento è arrivato in un secondo momento, nel 2017, quando è nata la collaborazione con Luigi Bevilacqua che mi ha portato a reinterpretare i suoi meravigliosi tessuti storici veneziani, alcuni dei quali intessuti con fili d’oro e d’argento, realizzati ancora a mano con telai originali del ‘500. La collezione si chiama “Venetia Eternity” ed è una capsule continuativa che viene arricchita ogni stagione di nuovi capi. Poi sono giunte le calzature con Riccardo Polidoro, designer anche per Dolce & Gabbana e Roberto Cavalli. Il passo alla piccola pelletteria è stato breve. Il profumo invece è nato nel 2018 mentre a luglio del 2019, al Museo del Louvre a Parigi, abbiamo presentato l’alta gioielleria. Tutto quello che facciamo nasce con il concetto di Atelier perché rivolto a una clientela molto alta e ad alcune famiglie reali.» Come nasce il brand? «Finiti gli studi di architettura ho deciso di fare un Master di architettura e design e ho scelto Firenze perché volevo venire in Italia. In quel momento non sapevo che sarei diventata

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una designer di accessori di lusso. Finito anche il Master abbiamo deciso di rimanere in Italia perché sentivo che questo era il mio paese. Mi sono innamorata letteralmente della lingua italiana. Dopo tanti anni ho scoperto di avere anche sangue italiano… È stato così che io e la mia famiglia abbiamo deciso di trasferirci a Milano. Durante i primi mesi continuavo a domandarmi cosa avrei fatto della mia vita. Durante l’estate, mentre eravamo a Capri e a Positano da alcuni nostri amici napoletani e parlavamo di moda italiana, della sua cultura contrapposta alla realtà francese, ci è venuta in mente l’idea di creare un nuovo brand di lusso. Eravamo dispiaciuti di constatare che i brand francesi producono in Italia e che in Italia mancava un vero brand di lusso, come lo intendevamo noi. All’inizio per me ha rappresentato solo un hobby perché non avevo chiarezza su dove mi avrebbe portato questo progetto. Ho cominciato dagli accessori: non immagino oggi una donna senza una borsa, perciò ho voluto iniziare da qui. Dopo una partenza cauta e dopo l’apertura dello show room in San Pietro all’Orto a Milano siamo cresciuti molto velocemente. Dalle borse siamo passati agli accessori; poi sono arrivato gli abiti per avere il total look e infine si è concretizzato un sogno, cioè avere il nostro profumo. Oggi siamo un brand di lusso a 360° gradi. È molto complicato perché bisogna avere tante persone brave con cui lavorare, veri professionisti per

ogni singolo dipartimento. Non è facile perché ci sono tanti competitor, anche storici, ma è molto bello.» È una visione molto positiva la tua… «Sì, mi dà gioia. Ma è importante anche avere coraggio e un pizzico di fortuna che non guasta mai.» Ci racconti come è nato il nome Rubeus? «Sin dall’inizio abbiamo pensato di creare una linea di gioielli. Ci piace lavorare con le pietre e il rubino è una di quelle che amiamo di più. Da qui la traslazione in latino: Rubeus.» Oggi ti senti più designer o imprenditrice? «Decisamente più Creative Director e imprenditrice. All’inizio non era questo il mio obbiettivo perché sono partita come designer ma oggi ho assunto completamente il ruolo di imprenditrice perché parte tutto da me. Seguo ogni singolo aspetto, il controllo è importante.» Secondo te oggi qual è la sfida più grande per una imprenditrice come te? «Avere il proprio DNA, la propria identità e riconoscibilità che rappresentano gli obbiettivi più impegnativi da perseguire. Trovare la propria strada è un lavoro molto complicato. Possiamo dire anzi che è un “capolavoro”. Alla fine tutto si riduce a una competizione, bisogna avere carattere.»

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Qual è l’identità di Rubeus, in tre parole? «Esclusività, diversità, stile nuovo» Hai avuto dei mentori o delle guide a cui ti sei ispirata? «Mi sono ispirata a tutta la cultura italiana, partendo da Firenze. In ogni nostro singolo progetto, per categoria di prodotto, è chiara l’ispirazione all’architettura che è anche la mia base di partenza.» Se tornassi indietro, al 2013 quando hai iniziato a lavorare su Rubeus, c’è qualcosa di particolare che ti diresti? «Alla me stessa di allora direi “Brava Nataliya, sei coraggiosa, vai avanti!” Anche se non avessi mai immaginato di lavorare così tanto (ride). Oggi non mi posso più fermare, è come fare continue maratone. Inoltre ho la mia famiglia e due figli di 11 e 12 anni che vanno seguiti.» Qual è la tua fonte di ispirazione per le tue collezioni? «I viaggi. Mi trasmettono innanzitutto felicità. E poi tutto ciò che è italiano.» Ci sono delle donne che rappresentano delle icone per te e sulle quali ti piacerebbe vedere un gioiello o un capo di abbigliamento Rubeus? «Mi piacerebbe vedere le mie creazioni indossate da Sophia Loren e Monica Bellucci. Due donne che mi ispirano tantissimo per ciò che rappresentano, per la loro bellezza e il loro carisma unico. Secondo me oggi manca l’eleganza, quella più classica del termine. Tra le più giovani invece stimo Chiara Ferragni, nella sua veste di imprenditrice. Secondo me ha fatto tantissimo per questo paese durante il Covid, e non solo. Reputo la sua una bella famiglia. Rappresentano la nuova generazione attiva e c’è sempre più bisogno di esempi così. Abbiamo necessità di cambiamenti e loro sono l’espressione di un mondo in movimento.»

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Cosa ti piacerebbe che le donne provassero quando scelgono di indossare le tue creazioni? «Felicità e fortuna.» Interessante il concetto di fortuna… «Sì, per me la fortuna esiste e aiuta gli audaci. Ovviamente bisogna crederci. Proprio durante il lockdown è nata la collezione che porta questo nome: oggetti porta fortuna, talismani che possano aiutarci e ci regalano vibrazioni positive. Jashi in giapponese, Nazar in hindi, malocchio in italiano: indicano tutti una delle superstizioni più diffuse. Noi abbiamo reinterpretato l’Evil Eye e l’Occhio che tutto vede facendoli diventare l’Occhio dell’Amore, un gioiello pensato perché in un momento così difficile tutto il mondo ha bisogno dell’amore divino. Il nostro designer, Frederic Mane, ha deciso così di unire due potenti simboli che sottintendono la ricerca della verità nascosta, che richiede saggezza e coscienza, ed è la fonte di tutto nell’esistenza, il bene perfetto e il trionfo sul male. Tre codici colore, sei combinazioni vibranti di materiali e texture. Oro bianco, giallo e rosa abbinato a diamanti, gemme colorate come gli zaffiri e pietre semipreziose tra cui lapislazzuli, tormaline e rubeliti. Ed è solo l’inizio: la collezione “Fortuna”verrà ampliata con nuovi pezzi, nuove combinazioni di colori e nuovi talismani. Oltre ad anelli, bracciali e ciondoli, la collezione comprende anche i sautoir.» Cos’è il lusso per te? «Il lusso innanzitutto è personale, ovvero rappresenta quel qualcosa di esclusivo per te, unico. Quell’oggetto che, quando una persona te lo vede addosso, lo puoi raccontare. Ecco, questo mi ispira. La nostra non è una grande produzione, non lo vuole essere proprio per questo motivo.» Quante clienti ti chiedono le personalizzazioni? «Moltissime! Vogliono avere la garanzia di avere creazioni realizzate esclusivamente per loro. Vi faccio un esempio: per i matrimoni mi chiedono,


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più spesso di quanto non si creda, di realizzare anelli ad hoc. Quando ami una persona non vuoi il gioiello più bello che c’è? Nelle borse personalizziamo le fodere interne, la metallerie e spesso le arricchiamo di gioielli, di diamanti o pietre preziose. Noi lavoriamo con quell’1% del mondo che sono stanchi dei soliti nomi blasonati, offrendo loro un universo di possibilità con una miriade di scelte esotiche di materiali rari e gemme leggendarie. Si annoiano a vedere sempre le stesse cose, vogliono nuovi marchi. E di sicuro, per diventare un nuovo brand è necessario avere una strategia chiara e ben definita, oltre ad una buona capacità economica per affrontare questo percorso.» Che rapporto hai con il colore? Le tue collezioni ne sono ricche. «Trovo il colore nero particolarmente banale. Amo molto di più l’idea di poter raccontare delle storie attraverso il colore. Io vedo l’Italia come un paese molto colorato e questo per me è fonte di ispirazione. Venezia, Firenze e tante altre. Avete presente la Dolce Vita? Ecco, a colori. Uno dei nostri punti cardine è trasmettere ai nostri clienti lo stile italiano perché l’Italian Style, ambito e desiderato in tutto il mondo, non è solo moda e design ma anche e soprattutto un modo di vivere fatto di bellezza e felicità.» Come è nato il profumo? «Era uno dei nostri sogni realizzare una fragranza che portasse il nostro nome. L’idea di “vestire” la donna Rubeus è un concetto che la coinvolge a 360 gradi, anche con il profumo. Che poi si sono moltiplicati. Per me rappresenta ciò che rimane dopo un incontro. Sappiamo che per noi non è importante solo la vista ma lo è altrettanto l’olfatto. Il nostro odore ci definisce e rimane impresso nella memoria esattamente come il resto. In fondo il nostro lato animale - quello più naturale, istintuale - esiste e la chimica fa il suo corso. Il profumo ti racconta la personalità e il carattere di chi lo indossa e ti lascia un messaggio, che sia un incontro di

lavoro, di amicizia o per amore. Sono molto sensibile a questo aspetto, in positivo e in negativo. Viviamo di prime impressioni. Ve la immaginate una persona senza?» Hai accennato al fatto che ci sono più fragranze Rubeus… «Il primo nato, “Rouge”, ha preso ispirazione dalla borsa “Midas”, ricalcandone le fattezze sulla bottiglietta. Le sue note di testa sono ribes rosso e Champagne. Una fragranza molto fresca, agrumata grazie anche alle note di mandarino. Perfetta per l’estate. Poi è arrivato “Vert”, nato per il mercato arabo: più intenso, con spiccate note legnose e infine “Bleu” dove gli agrumi, l’iris e le erbe si fondono con il talco e la pelle. I nostri profumi non sono mai banali, come non lo è il mondo Rubeus. Per la prima linea poi, abbiamo voluto creare un packaging davvero prezioso con tappi gioiello – veri gioielli! che possono essere usati anche come spille. Siamo usciti dalla logica di avere un tappo che, per quanto prezioso, rimanesse unicamente sulla bottiglietta. Il gioiello è il leit-motive di tutte le nostre collezioni e in questo modo assume un doppio significato.» Dove siete distribuiti? «In tutto il mondo, Emirati Arabi compresi. A seconda della categoria merceologica abbiamo diversi punti vendita o siamo posizionati nei migliori Department Store come Mercury o Harrods. Stavamo iniziando a lavorare con l’Asia ma la pandemia ci ha bloccato impedendoci di andare in loco a presentare le nostre creazioni. Abbiamo rimandato all’anno prossimo. Al momento siamo presenti in Cina con un canale dedicato, così come in altri paesi attraverso siti specifici per la vendita online. Ma non ci fermiamo. Per questo secondo semestre e per il 2022 avremo tante altre sorprese.» Puoi anticiparci qualcosa? «Vi dico solo che il nuovo progetto si chiamerà “Giardini di Venezia” e sono sicura vi piacerà!»

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MELANIA CROCCO

I MIEI GIOIELLI VANNO SCOPERTI REALIZZANDO I SUOI GIOIELLI RAFFINATI E TRASCENDENTI DAL DISEGNO ALLA PRODUZIONE FINALE, NEL SUO LABORATORIO NEL QUARTIERE DEI NAVIGLI A MILANO, LA STILISTA HA TRATTO ISPIRAZIONE DAI SUOI VIAGGI IN INDIA E CINA

Di Paolo Gobbi

UN’ARTISTA DALL’ANIMA VERDE-ORO che si immerge in una tavolozza di colori, quella delle pietre, ricca di mondi fantastici e incantati. I suoi gioielli, riempiti di simboli di diverse culture, di miti, di racconti, di animali e fate, sopravvivono alla futilità e alle mode passeggere e così facendo riempie anche il suo cuore. Stiamo parlando di Melania Crocco, creatrice di gioielli e fondatrice dell’azienda che porta il suo nome nel 2000. S’ispira da subito all’Asia accostando l’antico al moderno, l’Oriente all’Occidente. Tutto di tendenza senza tuttavia seguire l’orientamento della gioielleria classica, abbina beads di preghiera tibetani con pietre tagliate e montate su misura o infilate su luminosi e colorati fili di seta, monete, giade, netzuke e pezzi antichi di scavo con pietre preziose e semipreziose dai tagli morbidi o moderni, diamanti grezzi o fancy all’oro 18kt nelle sue declinazioni del rosa, del grigio e del nero ma anche ultimamente al bronzo con le sue innumerevoli e affascinanti patine.

Come prima cosa le chiedo di raccontarmi chi è Melania Crocco. «Solitamente non parto con quello che sto per dirvi, data la mia riservatezza e timidezza, ma vedendo la rivista scelgo di fare uno strappo alla regola: sono una “figlia d’arte”, seppure il campo non è lo stesso poiché mio padre si occupava di orologi...» Suo padre è Carlo Crocco, l’uomo cha ha inventato Hublot. Portare un’eredità del genere penso sia un grande onore, ma anche un onere. «Sono certamente orgogliosa di quello che è riuscito a realizzare. Quello che mi rende vicino il suo lavoro per creare Hublot, è il fatto che la filosofia con cui è nato sia stata assolutamente low profile: un orologio estremamente raffinato, ma da utilizzare nel quotidiano. L’innovazione del caucciù lo rendeva poi ancora più innovativo e easy. Poi ci sono state varie fasi fino a giungere ad oggi, con orologi di alta gamma.»

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Parliamo di Melania. «Fin da giovanissima grazie ai miei genitori ho sempre frequentato le fiere internazionali di gioielleria e orologeria, scoprendo e osservando pietre e segnatempo straordinari. Questo mondo mi ha rapita ed è stato naturale frequentare una scuola di design vicino a Ginevra, pur non avendo come obiettivo quello di disegnare né orologi né gioielli. Poi, per una serie fortuita di coincidenze, mi sono avvicinata a questo mondo.» Cosa la ispira quando realizza un gioiello? «Parto quasi sempre dalla ricerca di una pietra, che sia il più particolare possibile, e su di essa costruisco il mio gioiello.» Parliamo di pietre molto importanti? «Dipende. Ho montato dalle tormaline di grandezze veramente importanti o brillanti a dei quarzi rutilati. Quello che mi affascina dalla pietra non è la sua importanza o preziosità, ma piuttosto quello che può dare a livello emozionale, che può trasmettere. I miei prodotti non sono mai realizzati in serie.» La non serialità li rende sicuramente fuori da quello che vediamo comunemente? «Essendo di nicchia, non tutti li capiscono. Sono gioielli particolari che utilizzano materiali anche a volte un po’ ricercati, con texture insolite.» Il suo è un approccio interessante, decisamente alto, quasi “raw” per via dei metalli grezzi. Il gioiello lo lavora anche lei personalmente? «Sì. Dopo la scuola di design ho fatto un corso di gemmologia e oreficeria, perché ho pensato che bisognava partire proprio dal concepimento materiale dell’oggetto: quindi parto sempre dal plasmare cera. A volte sono semplicemente dei modelli che poi mando al laboratorio da portare avanti, altre volte sono delle realizzazioni fatte e finite, che fondo con il procedimento della cera persa.»


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L’architetto Francesca Neri Antonello con la designer di gioielli Melania Crocco.

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Sono pezzi unici? «Dipende. Una volta realizzavo solamente pezzi unici. Poi, anche per esigenze di mercato, ho fatto delle collezioni più commerciali. Quindi non ho potuto non fare delle gomme e mi sono dovuta adeguare. In ogni caso i pezzi a cui sono più legata sono quelli che nascono spontanei e quindi diventano unici.» Dove trova lo spunto per le sue creazioni? «I viaggi mi hanno sempre aiutata a trovare non solo spunti ma anche materiale da montare e utilizzare. Oggetti antichi, inusuali che utilizzavo per creare dei contrasti.» Mi incuriosisce la consecutio temporum: il gioiello viene realizzato e poi proposto al cliente, oppure si parte da una richiesta del cliente stesso? «Entrambe le cose. Alla base di tutto c’è però un concetto: sono io a ideare le mie collezioni. Creare è il mio motivo di vita quindi non potrei fare solo gioielli personalizzati. Tuttavia mi lascio trasportare dalla pietra: il mio flusso proviene da me stessa oppure arriva la cliente con una sua pietra o un suo spunto. A volte arriva la cliente e quindi la conosco, altre volte invece sono le gioiellerie a chiedermi un oggetto sulla base di una pietra portata da una loro cliente e questo mi rende la vita molto difficile! Perché ho bisogno di conoscere le mie clienti. I miei

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oggetti devono “parlare”, trasmettere. Deve esserci del mio, quel particolare che lo rende unico ma anche riflettere il desiderio della cliente.» Il cliente può vedere il disegno del gioiello prima che venga realizzato? «A volte capita che la cliente mi lascia fare. Tuttavia, ho comunque l’esigenza di interpretarla e di conoscerla e di sapere un po’ di lei. Rare volte mi è capitato di dover poi modificare un gioiello dopo averlo realizzato.» Cosa prova quando vede un suo gioiello indossato? Quando incontra una sua cliente che indossa una sua creazione, magari dopo sei mesi, un anno o due anni? «Quando accade, la cosa che mi sorprende è vederlo in maniera totalmente nuova: indossato e vissuto dalla cliente, si trasforma in una nuova creatura. Non è più mio. In definitiva la mia reazione è sempre piacevole e sorpresa.» Realizza anche gioielli da uomo? «Per gli uomini faccio poco, è un mio limite. La donna riesce a dare qualcosa di suo al mio gioiello, a reinterpretarlo e metterci del suo: lo rende più unico di quello che era già» Una volta indossato, un suo gioiello mantiene l’idea e la personalità che gli aveva impresso nella fase creativa?


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«Alle volte basta la personalità della cliente a far sì che io lo veda diverso. È un oggetto animato, con dentro l’anima dentro e mi sorprende sempre. Alle volte lo vedo addirittura stravolto, molto diverso da quello che avrei immaginato: lì mi spiazza molto, ma lo accetto comunque. Non è più la mia creatura e quindi deve essere interpretato da chi lo indossa: in fondo, le mie creazioni devono sempre acquisire l’anima e la personalità della cliente.» Il designer teoricamente è un facilitatore. Prende un oggetto e lo rende fruibile alle persone. L’orafo no, fa un altro lavoro: porende un oggetto e lo fa il più fastoso possibile. Lei è designer o orafo? «Dal design puro mi sono staccata subito, perché ho capito che la mia vena era più creativa, più spontanea e meno limitante. Il design era più riflessivo, incanalato e molto più studiato. Il gioiello mi ha permesso immediatamente di sviluppare quella vena creativa e non scendere a compromessi. Creare le mie creazioni come le sentivo io, in maniera molto più spontanea. Lo paragono a quello che fa un pittore. Ti lasci ispirare da un colore, da una pietra, dai vari materiali come l’oro, il platino, il titanio. Riesci a fare le creazioni in libertà, che non saranno mai una produzione in serie.»

C’è l’ambizione di aumentare la produzione e raggiungere le migliaia di pezzi? «No! Ad esempio, non vendo neanche nei siti di e-commerce. Primo perché li odio, secondo perché il mio gioiello non può essere capito guardando una foto. Il mio gioiello deve essere toccato, sentito. La foto, per quanto bella, non ti farà mai “vivere” l’esperienza. Sono forse ancora old-style e il contatto materico è ancora il mio stile.» Parliamo del suo atelier, questo luogo delle meraviglie, che non ha nulla a che fare con le gioiellerie tradizionali «Esatto. È uno showroom atelier. L’ho voluto come un luogo in cui i clienti vengono sempre su appuntamento, ma non a comprare, bensì a vivere una piccola esperienza. A scoprire degli oggetti, dei gioielli. Scoprire i gioielli? Non ci sono le tradizionali vertine? No, non sono esibiti classicamente, così come la struttura del mio atelier non è concepita classicamente. Il primo input che ho dato al mio architetto Francesca Antonello appena ho scoperto questo posto – che per me è magico – è stato quello di creare un luogo che desse a chi entrava la sensazione di vivere un momento di tranquillità. Molto spesso quando entrano i clienti, fanno un

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sospiro e dicono: “Ma che pace che c’è qui”. Un luogo magico in Milano, volutamente dislocato in una zona un po’ appartata, vicino ai Navigli. Francesca è bravissima a cogliere quello che vogliono i clienti. È stato come un gioco!.» Il gioiello è un oggetto piccolo e anche delicato. Non hai paura che questo suo atelier possa sovrastarlo? Che il contenitore possa diventare più importante del contenuto. «Vero, nel senso che molto spesso il cliente viene qui e si lascia ammaliare dall’atmosfera: alle volte è già contento così! Ma è il mio punto di forza. Se il cliente si trova bene e si sente accolto, si sente predisposto e si sente invogliato a sedersi: io sono l’antitesi del commercio. Però penso, molto umilmente, che questa situazione invogli il cliente a comprare, gli piace essere coccolato in un ambiente piacevole. Per sintetizzare: il mio atelier è un luogo piacevole, protettivo, di scoperta e d’ispirazione per me come per il cliente. Non ha paura che questo luogo sia eccessivamente protettivo? Un guscio che la tenga lontana dal mondo? «No. Sicuramente rappresenta un guscio per me, ma nel momento in cui capisco che c’è troppa limitazione è un attimo prendere la mia collezione di gioielli e andare dai clienti. Questo luogo mi ha sempre aiutato e non è mai stato un limite. L’unica cosa, forse, è che assomigliando un po’ a una fortezza, ad un castello, si trova a piano terra e quindi non c’è luce. Dentro è tutta luce artificiale. Però poi compenso con le mie fughe nella natura e con la piccola corte interna su cui ti affacci appena apri la porta, una sorta giardino segreto.» Nonostante la sua italianità, nelle sue crezioni c’è una forte influenza del mondo orientale «Vivo quest’affinità con l’Oriente da sempre. Come se la mia vita precedente fosse stata in quei luoghi. I viaggi sicuramente mi hanno aiutata a scoprire questo mondo, ma ho sempre avuto questa attrazione, che si riflette nelle mie creazioni. L’Asia è in assoluto una delle mie mete di viaggio preferite.» In maniera del tutto singolare, le sue creazioni non si rivolgono a un pubblico orientale. «No. Tuttavia, ultimamente una mia collezione dalle linee molto particolari, ma che comunque non sono orientali, è piaciuta molto ai giapponesi. Probabilmente per l’ispirazione alla natura, per i dettagli, per la scelta delle pietre, le linee raffinate. In realtà in quel periodo ero stata molte volte

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proprio in Giappone e forse inconsapevolmente avevo assorbito il loro mondo e l’ho reinterpretato.» Si immagina un suo atelier a Osaka, oppure a New York? «Francesca Antonello vorrebbe! Siamo amiche da tanti anni e lei mi aiuta molto a scoprire quel lato che non ho: alle volte mi lascio anche trasportare da questa sua visione, da questo suo entusiasmo. Lei è utopista e allo stesso tempo pratica. Capisco che sarebbe bello creare questi piccoli luoghi magici in altre parti del mondo, però cadrebbe un po’ quello che in cui credo. Gli stessi motivi per cui non vendo sui siti e-commerce, per l’importanza che accordo al contatto fisico, materico e tattile del mio gioiello. I giapponesi sono venuti qui perché altrove non mi trovano: non vado nel mondo, è il mondo che viene da me. Devo dire che quello che mi interessa è soddisfare un certo tipo di cliente: per esempio i giapponesi, nel Made in Italy o nel Made in Milano, trovano un valore aggiunto.» Dove e come si vede nel futuro? «Bella domanda. Per riprendere il discorso da cui siamo partiti, in questo periodo sto seguendo la fondazione benefica creata da mio padre. Da tempo sentiva il bisogno di avere qualcuno che accompagnasse da vicino i suoi progetti, che avesse la sua visione. Li sto seguendo e mi stanno dando tanto. Un mondo totalmente contrapposto a quello dei gioielli, del lusso. Non dico che non farò più gioielli, però la situazione attuale mi ha dato la possibilità di dedicare del tempo a qualcosa che mi sta dando molto. Non so come e dove mi vedo nel futuro. Sicuramente la realizzazione dei gioielli è la mia vita. Così come questa collaborazione con la fondazione. Questa parte umanitaria o ancora meglio “umana”, fa sicuramente parte della sua vita. Riesce a trasmetterla anche attraverso i suoi gioielli? «Dovrei intervistare io i clienti! Comunque per ora nessuno si è accorto di nulla. C’è anche da dire che le mie creazioni cambiano sempre, ogni anno, perché sono un’evoluzione continua, perché cambio io. Certo, trasmettere un valore così profondo come l’aiuto umanitario attraverso un gioiello è un po’ ambizioso, sebbene sia anche vero che la gente è ben disposta ad aiutare. Gratificarsi con un gioiello fa piacere, ma quando si parla di aiutare, come il fund-raising, lo è ancora di più. Riuscire a trasmetterlo attraverso i miei gioielli è sicuramente un obbiettivo audace, ma che mi piacerebbe raggiungere.»


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FRANCESCA NERI ANTONELLO

UN’ANIMA IMPERFETTA FATTA DI EMOZIONI RISTRUTTURARE, RIQUALIFICARE, DEMOLIRE E COSTRUIRE, ADATTARE PEZZI ANTICHI A MOBILI SELEZIONATI O DISEGNATI SU MISURA. LA FONDATRICE DEL GRUPPO FNA CONCEPT RACCONTA IL SUO RAPPORTO CON MELANIA CROCCO

Di Paolo Gobbi

ARCHITETTO D’INTERNI E DESIGNER, cresciuta tra il Perù, l’Italia, la Svizzera e gli Stati Uniti, Francesca Neri Antonello vive a Lugano e riflette nel suo stile un gusto eclettico e cosmopolita. Ristrutturare, riqualificare, demolire e costruire, adattare pezzi antichi a mobili selezionati o disegnati su misura sono caratteristiche ricorrenti dei suoi progetti.
La sua esperienza, dalle collaborazioni con Alessandro Mendini e Martin Wagner per progetti nel pubblico e nel privato sino alla linea hospitality del gruppo Frette, la porta a padroneggiare tutti i materiali che danno forma alla costruzione di un progetto architettonico, da quelli edili al tessile, alla costruzione di mobili e finiture, con grande enfasi posta nello studio di nuove soluzioni. Ha fondato il gruppo FNA Concept nel 2009 insieme a un’équipe di professionisti da lei scelti con cui segue e realizza progetti a 360 gradi: architettura, architettura d’interni, design e paesaggio. Ha progettato e realizzato l’atelier di Melania Crocco, a Milano.

Il gioiello è un oggetto piccolo che normalmente soffre di tutto ciò che c’è intorno, riuscire a trovare un ambiente corretto dove mostrarlo e valorizzarlo è una vera sfida. Com’è nata l’idea dell’atelier di Melania Crocco? «Di base io amo i pezzi di Melania e ne possiedo più di uno. Da un punto di vista operativo tutto ha avuto inizio quando sono riuscita a trovare uno spazio sui Navigli, che un tempo doveva essere stato un magazzino per la farina o qualcosa del genere. Ho scelto di lasciare tutti i mattoni a vista perché Melania necessitava di uno spazio protettivo, un rifugio, una grotta. Con lei è divertente perché non hai limiti, qualsiasi cosa proponi fuori dal normale va bene.» Nei gioielli di Melania Crovvo è ben visibile la sua cultura latina, ma anche orientale. «Sì, direi molto orientale: non è un mistero la sua passione per l’India. Prima di questa situazione sanitaria Melania andava spesso in Asia e lì trovava le pietre da inserire nei suoi gioielli.

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Il risultato sono dei pezzi unici, esattamente come unico è l’atelier che ho disegnato per lei: irreplicabile!.» Non era più facile utilizzare uno dei tanti format che si usano nel mondo della gioielleria? «No, scegliere un format è una cosa che non ho mai fatto. Tutti i miei progetti sono assolutamente originali, disegnati ex-novo» Riesce ogni volta a inventare qualcosa di diverso? «Sì, non riesco a “replicare” i lavori e questo è molto frustrante. Perché alla fine andrei più veloce e guadagnerei di più, però non riesco a farlo. Ogni cliente e ogni sua casa ha una sua storia: come fai a replicare? Io faccio tantissima ristrutturazione e amo il recupero… non riesco a non reinventare tutto ex-novo, è un mio limite.» Non è un limite, ma forse l’unica maniera per essere creativi. Anche il nostro Handmade, ormai giunto al suo settimo numero, è impostato come un libro, ogni volta con un suo titolo, capitoli sempre diversi e una poesia a chiudere ogni numero. Lei ha un’idea di bellezza poetica dell’architettura? «Questo è quello che dicono di me chi ha commentato i miei lavori. Personalmente faccio molta fatica ad auto-descrivermi, a raccontare l’inizio e la fine di un progetto. Sono molto spontanea.» Merito della sua storia? «Sono nata in Sud America e cresciuta nel Pacifico, poi a 12 anni sono andata a vivere sulle Alpi. Con la mia famiglia abbiamo viaggiato tantissimo, vivendo anche negli Stati Uniti. In tutto questo viaggiare ho assorbito tante culture, che mi rendono in grado di vedere le cose in modo naturale. Per tornare alla domanda precedente, forse lì c’è la vera poesia. È evidente che il mio occhio ha viaggiato tantissimo e quindi la mente continua sempre a viaggiare. Penso che sia un mio percorso innato, naturale. Non l’ho studiato o me l’hanno insegnato.»


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CAPITOLO 1

In pratica lei sposa la professionalità con la spontaneità di un progetto? «Sì. Dico sempre: “Never stop dreaming”. I miei lavori sono un percorso fatto assieme al cliente. Non è un caso se consegno delle case “finite”, addirittura piene di libri. Il mio è un viaggio e spero che loro continuino anche dopo la consegna.» Difficile separarsi dal progetto alla fine del lavoro? «È buffo. Sarebbe lecito pensare che dopo aver fatto 90 progetti questa filosofia un pò svanisca e invece no. Ogni progetto è un mio bambino.» Lo abbandona perché altri, i clienti, continuino il sogno? «Glielo lascio perché ad un certo punto quando consegno, taglio il cordone.» Le è capitato di vedere i suoi progetti anni dopo? «Assolutamente sì. Mi capita spesso di essere ospitata in casa dei miei clienti e trovo sempre che nulla di quello che avevo disegnato è stato cambiato, è sempre tutto uguale ed è bellissimo!.» Nel gioiello, come nell’orologio, la forma è preponderante. Ha mai pensato di disegnare un gioiello? «Il mio primo lavoro è stato da Alessandro Mendini quando era direttore creativo Swatch (n.d.r. Mendini è stato l’art director dell’azienda

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negli anni ‘90 ed ha creato modelli di culto come Metroscape, Cosmesis, Lots of Dots, Fandango). Entrai nello studio nel 1993 e in quel momento per lui era attiva anche la collaborazione con Alessi, anche se lo Swatch era un oggetto senz’altro divertente. Stavamo lavorando ad un progetto al Museo di Groningen e lui voleva disegnare una serie di spille. Appena arrivai mi disse “Guarda Francesca – dava del tu a tutti i suoi collaboratori anche se eravamo gli ultimi arrivati – dobbiamo sviluppare delle spille - e mi fa vedere delle forme - e vedi tu come svilupparle”. Mi dicevo tra me e me “Sono venuta qui per fare l’architetto e mi fa fare le spille?”. Lui mi disse: “Ricordati che i dettagli più grandi sono nelle cose piccole”.» Inizio straordinario. «Sì. Tutto è iniziato così ma non è il mio mondo. I gioielli li amo, mi piacciono gli oggetti per loro storia ma preferisco indossarli, cambiarli, non crearli. Ho un marito e un figlio e con loro condividiamo gli orologi che abbiamo in casa: spesso indosso quelli scelti da loro, perché ogni volta che vado da Bucherer a Lugano, non trovo mai niente di quello che vorrei al polso!.» Nei suoi progetti lei usa molto il colore: una scelta non usuale, in quanto nell’immagginario collettivo le creazioni degli architetti sono immaginate sempre in bianco e nero, al massimo in grigio.


IDEE

«Devo ancora una volta tornare alle mie origini: sono nata in Sud America e lì ero circondata dal colore! Dal tessile all’architettura al cibo. Il colore è andino e il Perù è molto diverso dal resto del continente. Nasci con il colore e non ti fa paura.» Cosa ne pensano i clienti? «Partiamo dal principio che il bianco e il nero sono più forti, ad esempio, di un arancione. È impressionante, tutti i clienti vogliono il colore ma quando lo proponi hanno paura. Perché quando pensano al colore, hanno paura di sbagliare. Quindi alla fine, il modo più facile di inserire il colore sono i muri e il tessile. Se poi ti stufi, chiami il pittore. Certo, alcune zone, tipo le stanze da letto, devono essere molto chiare; mentre nei corridoi e nelle cucine il colore ci sta.» La Svizzera è un freno o un moltiplicatore per una persona creativa? «Forse è un valore aggiunto. Ti insegna l’ordine, nella burocrazia e nella programmazione. Non a caso grandi creativi sono nati in Svizzera.» Tornando all’atelier di Melania Crocco: il design che ha creato a Milano può essere esportato in altre città o nazioni? «No, sarebbe falso. Puoi replicare gli elementi, i colori, ma non è un format.»

Lei utilizza oggetti fatti a mano, pezzi unici realizzati da artigiani. Come riesce a trovarli? Li va a cercare o ha delle persone che la aiutano in questa ricerca? «L’Italia è veramente straordinaria per quel che riguarda il fatto a mano ed è facile qui fare il mio mestiere. Non è un segreto che letteralmente “porto in Svizzera” gli artigiani italiani: falegnami, pittori, fabbri, gli stessi impresari. In fondo storicamente il cantiere in sé non ha mai fatto nessuna evoluzione. Noi continuiamo a fare le case come si faceva anni o decenni addietro. Certo, tecnologicamente le cose sono più veloci, riesco a presentare digitalmente le mie idee prima che vengano realizzate, ma il cantiere è identico a come era un tempo: è fatto di mani e di persone.» Cerca la perfezione nel suo lavoro? «Mai, anche se il mondo la vuole. Io dico sempre: “se cerchi la perfezione comprati un orologio”. Non cercate la perfezione in una casa che verrà vissuta da un’anima imperfetta, fatta di emozioni: tutti vogliono le case perfette, perché nessuno è perfetto.» Il motivo? «Manca il contatto con la natura. Chi ha contatti con la natura capisce di più la vera imperfezione della vita: io non sono per tutti, non tutti sono per me. La bravura di un cliente è saper scegliere il suo architetto.»

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motori CAPITOLO 2







CAPITOLO 2

Mario Peserico, amministratore delegato Eberhard & Co. Italia.

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MOTORI

EBERHARD & CO.

VELOCITÀ E PRECISIONE CRESCE IL FERMENTO, I PILOTI STUDIANO IL ROADBOOK DA CIMA A FONDO, LE AUTO SONO ALLE FASI FINALI DI MESSA A PUNTO PER RAGGIUNGERE IL VIA: IN STRADA PER LA 26ESIMA EDIZIONE DE LA LEGGENDA DI BASSANO

Di Mauro Girasole SI È SVOLTA all’inizio dell’estate una delle gare di regolarità riservata alle auto Sport-Barchetta costruite fino al 1960. Stiamo parlando della 26esima edizione de La Leggenda di Bassano – Trofeo Giannino Marzotto. Eberhard & Co. per l’ottavo anno consecutivo ha sostenuto in qualità di Partner e Official Timekeeper questa affascinante manifestazione, che riunito oltre 70 equipaggi provenienti da 3 continenti con 13 paesi diversi rappresentati, tra i quali Inghilterra, Germania, Spagna, Austria, Olanda, Lussemburgo, Argentina, Israele, Ecuador, Canada, USA. Autovetture uniche hanno sfilato per i più spettacolari passi delle Dolomiti in un percorso ad anello con base a San Martino di Castrozza per un totale di oltre 480 km. Bassano del Grappa è stata la cittadina protagonista di partenza e arrivo della gara come di consueto, ma il tragitto variato rispetto alle precedenti edizioni ha previsto una prima tappa di 140 km per salire in quota attraversando la Valsugana e approdare in serata a S. Martino di Castrozza. La seconda tappa, la più impegnativa da 230 km, ha messo alla prova i piloti che hanno dovuto superare la Val di Fiemme con il Passo Pampeago, Cavalese, lambendo la

città di Bolzano, Castelrotto, Selva di Val Gardena, Canazei e rientrare nella notte a S. Martino. Il ritorno a Bassano domenica è transitato per Pedavena, Cornale e Valstagna, per terminare con la tradizionale passerella fino a Piazza Libertà, dove le auto sono state esposte per farsi ammirare in tutto il loro splendore. Gioielli su quattro ruote sono sfrecciati tra le strade di Veneto e Trentino-Alto Adige, come ad esempio l’Alfa Romeo BC 2900 A “Botticella” del 1936 (ex Scuderia Ferrari) e la rarissima BMW 328 Frazer-Nash del 1939, oltre a importanti esemplari di Bentley, Ferrari e Maserati e la presenza di O.S.C.A. tra le quali una TN 1500 del 1955 e una MT4 1500 del 1955. Da ricordare che la Leggenda di Bassano è iscritta al neonato Circuito Tricolore ASI, che riunisce 10 importanti manifestazioni del motorismo storico nazionale con l’obiettivo di promuovere la conoscenza e la valorizzazione dei territori sotto il Patrocinio del Ministero del Turismo. Un evento che rappresenta per Eberhard & Co. un momento di grande rilievo dove poter incontrare gli appassionati di auto d’epoca, sia piloti che pubblico e poter così rinsaldare nuovamente il forte legame con il mondo.

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CAPITOLO 2

EBERHARD & CO. «EXTRA-FORT» La collezione Extra-fort è la più antica tra le collezioni realizzate da Eberhard & Co. ed ha sempre avuto una posizione di rilievo all’interno delle creazioni della Maison, contribuendo ancora oggi alla riconoscibilità del marchio. I primi orologi Extra-fort risalgono agli anni Quaranta e durante una storia di oltre ottant’anni questa collezione simbolica è stata arricchita costantemente di modelli in linea con le innovazioni tecniche ed estetiche, mantenendone inalterato il fascino. La versione Solotempo di Extra-fort viene proposta in una nuova colorazione blu, in omaggio al colore ufficiale di Eberhard & Co., declinata sul quadrante, con lavorazione “frappée” a linee verticali per la zona centrale e lavorazione “azurée” per la zona esterna, e sul cinturino in alligatore blu. La cassa in acciaio ha diametro 40 mm e racchiude un movimento meccanico a carica automatica calibro 11 ½ SW200 soigné.

Sul podio è salito l’equipaggio formato da Maurizio Piantelli e Paola Montaldi su Bentley Speed Model del 1926, che si sono aggiudicati gli orologi della collezione Champion V. L’edizione 2021 ha messo a dura prova i partecipanti, e da un meteo alterno con pioggia battente durante la prima tappa, che ha lasciato spazio a un magnifico sole per la seconda giornata e per l’arrivo a Bassano del Grappa. Gli equipaggi hanno percorso oltre 480 km con 36 prove cronometrate, ammirando panorami stupendi, affrontando in particolare il passaggio sulla P.S. Valstagna-Foza, nota agli appassionati come “l’Università del Rally”, e assaporando scorci unici tra le suggestive strade che attraversano le Dolomiti per arrivare a San Martino di Castrozza, ai piedi delle Pale di San Martino. Il circuito, ad anello, si è sviluppato con partenza e arrivo a San Martino di Castrozza, con passaggi a Passo Lavazè, Selva di Valgardena e Caprile. Al secondo posto si sono classificati la coppia Gianmarco Rossi e Manola Antonelli sulla Singer Nine Sport del 1933, mentre sul terzo gradino del podio sono saliti Bruno Roma e Nicoletta Ider sulla Riley 9 Hp Imp Sport del 1935.

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MOTORI

EBERHARD & CO. «SCIENTIGRAF»

Il magnetismo è senza dubbio la bestia nera di qualsiasi movimento meccanico. Lo avevano capito già negli anni ’50, quando tecnici e ingegneri si trovavano a lavorare all’interno di centrali elettriche e vedevano i loro segnatempo fermarsi inesorabilmente. Lo abbiamo capito oggi, circondati da apparecchi elettronici e magneti di tutti i tipi, da quelli più semplici usati per chiudere le borse, a quelli complessi generati da strumenti elettrici. L’industria orologiera svizzera affrontò proprio settant’anni fa questo problema, risolvendolo brillantemente con l’adozione della Gabbia di Faraday, basata su di un principio semplice e geniale: più un metallo è dolce, più è alta la sua capacità di assorbimento delle onde magnetiche, di conseguenza basta realizzare una struttura in ferro dolce (la gabbia appunto), posta a protezione del movimento, perché le onde elettromagnetiche vengano sostanzialmente assorbite, impedendo così che queste raggiungano il meccanismo. Eberhard & Co. fu tra i primi marchi in grado di offrire un segnatempo che rispondesse perfettamente alla nuova esigenza: lo Scientigraf del 1961, divenuto immediatamente uno dei riferimenti per questa categoria. Oggi la Casa svizzera torna a proporre questo modello, mantenendo l’estetica vintage ma introducendo criteri costruttivi assolutamente contemporanei. Il “nuovo” Scientigraf ha un diametro di 41 mm, è impermeabile fino a 100 metri e adotta un movimento meccanico a carica automatica che offre la lettura di ore, minuti e piccoli secondi al centro. La cassa in acciaio è lavorata con doppia finitura lucida e satinata, il fondo a vite è personalizzato con il logo d’epoca e la scritta che riconduce ai test effettuati con successo presso il centro specializzato di La Chaux-de-Fonds che verifica la corrispondenza alla norma ISO 764 2020 relativa al magnetismo. Il vetro zaffiro è scavato e bombato, con trattamento antiriflesso e i due quadranti offerti sono in colore nero opaco, arricchiti dalla lavorazione galbé e da due diverse versioni di luminescenza degli indici, vintage o arancione. Lo Scientigraf è disponibile con un cinturino in pelle nera con inserto in cordura beige e fibbia personalizzata, oppure di un bracciale in acciaio tipo Chassis.

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CAPITOLO 2

LUZZAGO 1975 - ZANNETTI

LE PASSIONI PIÙ BELLE QUANDO SI HA UN MOTORE NEL CUORE, CHE SIA QUELLO DI UNA SPIDER O QUELLO TICCHETTANTE DI UN CRONOGRAFO NON SI PUÒ NON SEGUIRE LE EMOZIONI CHE REGALA

Di Mauro Girasole

Lancia - Flaminia Sport Zagato 2.5 S1 - Collezione LUZZAGO La vettura è la prima serie con faro carenato e motore 2500 ad un carburatore costruita in soli 99 esemplari dal 1959 al 1960. Da sempre italiana, oggi possiede targhe di seconda immatricolazione per cambio provincia. La Flaminia si presenta in condizioni eccellenti di carrozzeria, meccanica ed interni. Monta sedili in pelle di tipo corsa avvolgenti dell’epoca.

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Zannetti Time of Drivers “Luzzago Edition” quadrante interamente incisio e dipinto a mano con smalti policromi. Movimento cronografo automatico.

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COME SI ARRIVA A REALIZZARE un orologio bello? Le strade sono diverse, ma comunque tutte interessanti. C’è chi si lancia alla ricerca delle meccaniche esasperate, chi anella complicazioni su complicazioni, chi infine predilige la forma esterna per esprimere i suoi contenuti. In tutti i casi però, a farla da padrone ma soprattutto a segnare la differenza con la “massa” è sempre l’intervento dell’uomo. La manualità infatti rimane ancora oggi un elemento determinante per distinguere un segnatempo globalizzato da una piccola opera d’arte moderna. Zannetti da anni ha scelto la strada della personalizzazione e della manualità, realizzando dei modelli assolutamente unici ed originali nel loro genere. Come nel caso dei nuovi modelli con quadrante in micropittura della collezione Time of Drivers. La loro particolarità più eloquente è il quadrante, una vera e propria piccola opera d’arte da portare sempre con sé al polso. Di alto livello anche le specifiche tecniche: la cassa, interamente in acciaio, è tornita dal pieno e realizzata su disegno originale di Zannetti. Particolari distintivi sono il pulsante alle 4 per il reset del cronografo a forma di cloche del cambio e la corona che riproduce un battistrada automobilistico. Meccanicamente il cuore dell’orologio è un classico movimento crono Valjoux, personalizzato appositamente per la Casa romana.

EDIZIONE SPECIALE LUZZAGO Cosa unisce la Luzzago, azienda ai primissimi posti a livello mondiale in quel difficile e complesso mercato che riguarda l’auto d’epoca e da collezione, e la Zannetti, uno dei più importanti e innovativi produttori italiani di alta orologeria? Tanto, per certi versi tutto! La passione per la velocità e per la precisione, l’amore per il bello, la ricerca del pezzo unico, la voglia di distinguersi e di uscire da qualsiasi globalizzazione. Un’auto Luzzago, un orologio Zannetti, si riconoscono sempre, perché esprimono prima di tutto l’originalità di chi li ha scelti, perché il loro essere fuori dal comune regala sensazioni non ripetibili. Un felice connubio tra il mondo dell’orologeria e quello delle auto di classe. LUZZAGO SI RACCONTA Tutto cominciò nel lontano 1968. Questa è la storia di due vite parallele. Di Valerio Luzzago e della sua leggendaria “Numero Uno” una MG TD del 1951 inconfondibilmente inglese; nella cui collezione ancora oggi primeggia incontrastata ed inalienabile. Valerio era alle prese con l’università e con i codici, ma il “Sessantotto” fece sentire la sua influenza e la sua rivoluzione. Valerio si ribellò ai conformismi e decise che la “Numero Uno” sarebbe diventata la sua prima auto, la prima di una intera collezione. La inseguì nei sobborghi

Ottavio e Nicolò Luzzago accanto ad una Aston Martin DB4 MKII del 1960. La Luzzago 1975 si trova al 65 di via Mandolossa, a Roncadelle in provincia di Brescia. Tel 030/2411531 luzzago.com

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In alto, il fianco sinistro dello Zannetti Time of Drivers “Luzzago Edition”, con in evidenza la targa incisa. Nella pagina accanto, un particolare incisio e dipinto a mano con smalti policromi dello stesso orologio.

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di Londra arrivando all’officina “Toulmin & Toulmin” dove l’acquistò. Giorno dopo giorno, pezzo dopo pezzo la smontò e la rimontò. Le diede un corpo ed un’anima nuova. E un bel giorno di primavera del 1969 la “Numero Uno” tornò a correre come ai vecchi tempi. Solo cinque anni più tardi si saldarono tra loro la passione e la scelta di vita di fare dell’auto d’epoca il proprio lavoro quotidiano. Dopo avere intrapreso vari viaggi in Inghilterra alla ricerca di altre auto da aggiungere alla collezione, che già vantava 18 pezzi, si rese conto che sarebbe stato troppo oneroso ed impegnativo mantenerla. Cercò un meccanico, un carrozziere, attrezzature adeguate ed infine un’auto officina. A sua insaputa stava dando forma alla prima azienda del settore. Valerio Luzzago inventò così il collezionismo dell’auto d’epoca come fenomeno commerciale. Fenomeno che ancora non esisteva sul mercato e non solo in Italia. Nel 2010 arrivò il momento di dare spazio alla nuova generazione per garantirne la naturale prosecuzione e l’avvicendamento futuro. A Valerio si affiancarono i figli Ottavio e Nicolò, nella prospettiva che nuove idee e l’entusiasmo

dei loro vent’anni sapessero meglio interpretare anche il mondo dei giovani appassionati e ancor più sviluppare la Luzzago srl. Nel 2012 valutazioni di carattere personale suggerirono alla proprietà della Luzzago srl scelte diverse. Se la crisi economica aveva pesato profondamente sul settore in Italia, il mercato internazionale era rimasto molto dinamico ed il valore di un marchio storico e conosciuto in tutto il mondo come “Luzzago” non poteva sfuggire all’attenzione di investitori stranieri. Da qui la decisione di questi di acquisire il marchio e di fare propria la una azienda che rappresentava la prima ed ineguagliabile realtà del settore. Nacque così la Luzzago 1975 srl. NUMERI UNO IN ITALIA e non solo… Grazie all’esperienza ottenuta nell’arco di oltre quaranta anni l’azienda è diventata un punto di riferimento per collezionisti ed appassionati del settore sia in Italia che nei paese esteri. Luzzago si è di fatto specializzato nella compra-vendita e intermediazione di vetture storiche e da collezione vantando uno showroom tra i più grandi del mondo con oltre 200 automobili disponibili.


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di Gaia Giovetti foto di Lucio Convertini


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NELLA PAGINA PRECEDENTE DOLCE&GABBANA ALTA GIOIELLERIA Collana con maglie grosse rettangolari in oro bianco e pavé di diamanti, con pendenti di acquamarine taglio cuscino, ovale e quadrato, kunziti taglio rettangolare, morganiti taglio cuscino e brazilian, 2 berilli gialli a cuscino e 1 berillio verde rotondo e con diamanti. Anello in oro bianco con diamante centrale taglio rettangolare da 2,06 carati contornato da diamanti trapezoidali, rotondi e a brillante.

IN QUESTA PAGINA TIFFANY&CO. Collana lunga Circlet con cerchi di platino e diamanti, e cocktail watch con movimento al quarzo in oro bianco diamanti e zaffiri.

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ZANNETTI HIGH JEWELERY ROMA Anello maxi in oro bianco con importante acquamarina centrale di forma rettangolare da 33 carati e diamanti. Di fianco Anello in oro bianco con acquamarina a cuscino da 28 carati, due rubelliti a cuore laterali e diamanti.

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LJ ROMA 1962 Maxi anello in oro bianco con grosso smeraldo da 13.09 carati taglio ottagonale e baguette di diamanti.

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FOPE Da sinistra in alto: bracciali Flex’it in oro rosa e diamanti con barrette alternate e tutto in oro rosa full pave. Di fianco bracciali Flex’it in oro rosa a tre fili con elemento centrale in oro bianco e diamanti e in oro rosa monofilo con diamanti al centro. Sotto, orologio in oro bianco 18 carati e diamanti sulle anse, con cinturino Flex’it. Parete atrezzatta @IKEA

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RUBEUS MILANO Mega anello The Peacock Eyes con due rubelliti contrarier da 3,45 e 3,39 carati, circondate da rubini diamanti e tormaline, tutto su oro bianco con diamanti a pavè.

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HORTUS DELICIARUM COLLECTION GUCCI HIGH JEWELRY Da sinistra Orecchini oro bianco, tormaline, berilli e diamanti; di fianco girocollo in oro bianco, tormaline, rubelliti e diamanti. Infine collana in oro bianco, zaffiri viola, spinello rosso e diamanti con pendente/spilla staccabile.

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CHANEL HORLOGERIE Da sinistra: Orologi Première Electro con movimento al quarzo ad alta precisione, cassa in acciaio con rivestimento nero e bracciale triplo giro a catena intrecciato con nastro in pelle rosa neon e di fianco, con nastro in pelle giallo neon. Impermeabili a 30 metri. A destra: Orologi J12 Electro33 mm e J12 Electro 38 mm entrambi in ceramica nera ad alta resistenza e acciaio. Lunetta con indici multicolor e quadrante laccato nero con indici arcobaleno. Movimento al quarzo ad alta precisione per il 33 mm e movimento meccanico a carica automatica per il 38 mm; impermeabilità 200m. Parete atrezzata @IKEA

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DIEGO DALL A PALMA

IL COVID DELL’IGNORANZA Entrando in qualsiasi luogo pubblico durante questo tempo amaro, torna alla mente il testo di una bella canzone di Sergio Endrigo: “Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Allora, si cantava: “C’è nell’aria qualcosa di freddo che inverno non è…”. Sì, ora gravita nell’etere qualche cosa di greve, di inspiegabile. È come se fosse venuta a mancare quella fiducia nel futuro che risulta indispensabile per procedere verso la vita. È come se mancasse il significato del futuro stesso. È come se tutti noi umani (umani?) del pianeta, anziché guardare avanti con saggezza e buon senso, stessimo ad attendere eventi funesti e cupi. È come se non riuscissimo a lasciarci alle spalle ciò che abbiamo vissuto, ciò che abbiamo sofferto. Ma in tutto questo gravitare di pensieri pesanti, ecco pronto qualche stupido a lanciare petardi in mezzo alla folla, spacciandoli per luminosi e colorati fuochi d’artificio. Piccola e povera gente miserabile che non ha imparato un fico secco dalla recente (recente?) e drammatica esperienza terrena. Figurette, insomma. Così, un dottore (dottore!) esperto in virologia,

davanti alle telecamere Rai, in relazione al calo dei contagi, squittisce insensatezze di questo tipo: “Siamo stati più intelligenti (sì, ha usato proprio questo termine!) del virus”; un esperto (esperto?) di bellezza e di trucco miagola stupidaggini del tipo: “Questo è il momento di usare quattro mascara, in colori diversi, per dare valore allo sguardo”; una pupattolona televisiva, del genere “prostituta di regime”, barrisce la sua idiozia: “Ho comprato una deliziosa mascherina firmata, pagandola duecentocinquanta (duecentocinquanta!) euro”. E così via, di stoltezza in stoltezza, è arrivato il fatidico dopo. Quel dopo tanto atteso dei buoni propositi. Quel dopo del presunto miglioramento. Quel dopo che doveva regalarci belle lezioni di vita e di saggezza. Non dovevamo uscire illuminati da tanto buio? Non dovevamo capire che l’esistenza umana è solo un tragitto ad ostacoli agognando una vacanza, purtroppo breve? E la bellezza, col suo potente e seduttivo significato, non doveva compensare tanta bruttezza, tanta bassezza intellettiva, tanta barbarie, venduta biecamente come modernità?

Scrittore, truccatore, imprenditore e personaggio televisivo italiano, Diego Dalla Palma è un’icona inconfondibile dello stile, della bellezza e dell’immagine italiana nel mondo. Il New York Times lo ha definito «Il profeta del make up Made in Italy»

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FORBICI D’ORO

STILE SARTORIALE 2021 L’EVENTO ROMANO Si è tenuto a Roma lo scorso settembre Stile Sartoriale 2021, manifestazione ideata per celebrare la tradizione sartoriale Made in Italy, rappresentata dai Maestri dell’Accademia Nazionale dei Sartori. Le giornate romane, ricche di appuntamenti dedicati all’analisi della situazione attuale del mestiere del Maestro Sarto, oggi profondamente trasformato e divenuto più complesso, hanno trovato un momento celebrativo nella fase finale del concorso Forbici d’Oro, il più importante riconoscimento italiano del settore, nato nel 1951: si sono ritrovati nella Città Eterna i giovani sarti provenienti da tutta Italia dopo aver passato severe selezioni regionali, per contendersi il premio Forbici d’Oro. In questa edizione così speciale il tema scelto per i maestri del futuro è stato “Tecnica ed Eleganza: la sartoria del domani”. I lavori ultimati sono stat valutati, oltre che da una delegazione interna, anche da una

giuria d’eccezione composta da alcuni grandi Maestri della sartoria internazionale. L’Accademia Nazionale dei Sartori si pone come ponte tra un passato di tradizione e un futuro di innovazione. Il mestiere del Maestro Sarto si è profondamente trasformato, diventando più complesso e dinamico. L’Accademia vuole formare i Maestri del futuro, che avranno nella sartoria non solo un mestiere ma una professione, in cui abbinare doti manuali ad attitudini manageriali. Per far questo ha creato una scuola di formazione, di anno in anno migliorata e al passo con le istanze del mercato, in modo da offrire ai giovani un futuro gratificante e di successo. Inoltre, organizza eventi che valorizzano l’attività artigianale e la scuola sartoriale italiana, una delle più antiche e rinomate a livello mondiale. Sono iscritte all’Accademia oltre 110 sartorie, da uomo e da donna, in rappresentanza dell’intera Penisola.

ACCADEMIA NAZIONALE DEI SARTORI Via Francesco Crispi, 115 - 00187 Roma (RM) - accademiasartori@libero.it

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JAZEEL PERFUMES

LA FRAGRANZA DELLA PERFEZIONE Di Lara Mazza

Cosa hanno a che fare poesia e profumi? A volte nulla. A volte tutto, come in questo caso. I pensieri del poeta Nizar Qabbani hanno ispirato Ali Alzaabi, CEO & Founder of Jazeel Perfume House, attraverso le sue famose opere. Jazeel Perfumes, distribuito in esclusiva in Italia da Officina Parfum, è oggi un marchio di profumeria di lusso con cui fare i conti. Fondata nel 2018, sotto la spinta del desiderio di soddisfare il bisogno di profumi orientali esclusivi e genuini che piacessero sia agli uomini che alle donne, Jazeel Perfumes è una rara confluenza di tradizione e modernità. La profonda connessione emotiva con i profumi fin dai primi anni di vita di Ali Alzaabi ha fatto sì che potessero nascere fragranze radicalmente nuove che evocano ricchezza e sensualità, qualità e purezza, unicità e valori di fiducia nel tempo. «Il mio amante mi ha chiesto: “Qual è la differenza tra il cielo e me?” Ho risposto: “la differenza, amore mio, quando vedo te, dimentico il cielo”», recita Ali Alzaabi, incontrato a Milano durante uno dei suoi soggiorni in Italia. Come nascono le tue fragranze? Hai uno stile o un approccio particolare nel crearli? «Sono stato appassionato di fragranze sin da bambino, mio padre ​​ era un amante e collezionista di fragranze di nicchia. Possiede una collezione privata di oli vintage di Agarwood e Oud nella sua libreria, alcuni dei quali sono molto rari o hanno addirittura più di 50 anni. Ho iniziato acquistando materie prime da diverse aziende in tutto il mondo e le mescolavo creando così le mie prime fragranze. A quel tempo era solo un hobby e mi divertivo a realizzarle unicamente per me. Con la sperimentazione e con il passare degli anni ho imparato alcune basi da uno dei miei amici e il resto è stata diligenza personale. Ricevevo molte domande sulle mie creazioni: erano così diverse, attraenti e speciali. Quindi ho deciso di condividere la mia passione con il mondo intero dando vita al mio marchio. Così nel febbraio 2016 ho iniziato a creare i profumi Jazeel mentre prima della fine di ottobre 2019 ho lanciato ufficialmente il brand con i rivenditori più luxury d’Europa.»

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Qual è la tua filosofia e come la traduci negli ingredienti che selezioni per le fragranze? «La mia filosofia è creare la perfezione che si possa indossare come espressione di una emozione interiore, perché la fragranza non è solo qualcosa che si indossa per avere un buon odore. Secondo me la fragranza è uno strumento che usiamo per mantenere un ricordo, è una chiave per i nostri ricordi. Proprio tre giorni fa mi trovavo nel centro commerciale di Dubai per fare shopping e sono passato da uno dei negozi di profumi di nicchia per scoprire cosa proponesse di nuovo il mercato. Mentre stavo provando alcune fragranze ho sentito un profumo che mi ha portato 9 anni indietro, al 2013, quando ero a Miami per una vacanza di Capodanno. Quel giorno mi ha riportato alla memoria molti bei momenti trascorsi in quella città. Questo è il potere delle fragranze, potrebbe portarci in città diverse e in tempi diversi. Uso sempre la massima qualità delle note per le fragranze Jazeel, alcune sono rare e alcune sono molto difficili da ottenere: ad esempio l’assoluta di rosa indiana e l’oud Kalakassi di 18 anni che abbiamo nel profumo Ghala, o il patchouli di Singapore che abbiamo nel Sunrise Ruby. Mi piace sempre essere diverso, anche rispetto agli altri.» Tutti i progetti creativi hanno le loro sfide. Qual è la sfida più grande per te? «La mia più grande sfida è stata quella di procurarmi note rare e di altissima qualità. Come sappiamo, ci sono migliaia di aziende e case essenziere diverse in tutto il mondo che forniscono oli e materie prime, quindi la sfida era come trovare la migliore, quella con le materie prime di più alta qualità e la più adatta alle mie creazioni. A volte è necessario ricreare la formula così tante volte per far sì che tutte le note danzino armoniosamente insieme... Ho visitato molti paesi per ottenere la migliore qualità di note e ho partecipato ad alcuni processi come l’estrazione dell’olio assoluto di rosa indiana o l’olio di rosa turca, e la gente non può immaginare quanto sia difficile il processo di ottenimento dell’olio filtrato dalla rosa che attraversa diverse fasi come l’ebollizione, il filtraggio e alla fine il passaggio al


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controllo di qualità che può distruggere l’intero insieme se non fosse perfetto al 100%.» Hai una fragranza preferita nella tua collezione? «Nella collezione Jazeel ho la mia preferita per ogni stagione. Ad esempio in inverno, ed esattamente a dicembre e gennaio, adoro indossare Ghala, di notte per un appuntamento o eventi speciali: l’incredibile Oud, l’assoluta di rosa e l’ambra grigia si adattano molto bene e possono riempire un’intera stanza di 75 metri quadrati. Ma in estate, per esempio, il mio preferito è Wid, è fresco e fruttato e mi fa sentire davvero attivo; adoro indossarlo mattina e pomeriggio. Invece Heyam & Shouq posso usarli tutto l’anno, nel quotidiano.» Cosa ispira il tuo processo creativo? «Mi ispiro a tutto ciò che è lusso, tutto ciò che è raro e diverso. Le mie prime quattro creazioni facevano parte della “Love Collection” ispirata una storia d’Amore. Wid, Heyam, Ghala e

Shouq, nomi diversi per un unico significato, tutti indicano l’Amore nelle sue diverse fasi. Wid indica la prima fase dell’Amore, il primo appuntamento, il primo sguardo. Le prime cose sono sempre speciali, ecco perché abbiamo concepito Wid per essere una fragranza speciale: melone, arancia, mango, magnolia, rosa e muschio; tutte queste note evocano vibrazioni fresche e fruttate di un amore romantico. Heyam è il secondo stadio dell’Amore, l’approfondimento del legame romantico, il donare disinteressatamente il cuore l’uno all’altro, una fragranza molto calda di note di cuoio e tabacco. Ghala è lo stadio più alto dell’Amore: mistico poema d’Amore, quando la tua anima si unisce a un’altra, le dimensioni indescrivibili di un piano di esistenza celeste dove tutto è possibile. Shouq è l’anelito, che evoca il desiderio di stare con il tuo amante e di fare un passo verso l’eternità. Se colleghi tutti i nomi insieme, il risultato è una bellissima storia d’Amore.»

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CAPITOLO 3

LOCHERBER MIL ANO

CELEBRA LA CITTA’ ETERNA Di Lara Mazza

I profumi sono come viaggi. Ci sono fragranze capaci di trasportare la mente in luoghi da sogno, a volte vicini, a volte lontani. “Dolce Roma XXI”, la nuova fragranza firmata Locherber Milano, ci conduce nel cuore della capitale attraverso un viaggio olfattivo, e non solo, che invita a esplorare un luogo senza tempo, dove caos e bellezza danzano insieme sin dall’antichità. Una passeggiata inebriante fra vicoli silenziosi, in cui risuonano gli echi di un passato glorioso e leggendario, circondati dalla bellezza ricca e sontuosa di palazzi e fontane, di chiese e vestigia millenarie, ma anche dalle tentazioni della “dolce vita”, e che ci conduce così a pochi passi dal celebre Ponte Milvio, nella nuovissima Boutique che il brand ha inaugurato pochissimi mesi fa, a giugno. La vocazione al design e all’artigianalità minuziosa che caratterizza la filosofia di Locherber Milano ha ispirato anche il progetto di interior, pensato per ricreare uno luogo sofisticato che rivisita in chiave contemporanea elementi dello stile déco. Elegantissimo il pavimento in marmo bardiglio blu a motivi esagonali con posa a casellario ispirato alla pavimentazione di Santa Tecla, la basilica paleocristiana che in epoca romana tardoimperiale, quando Mediolanum era la capitale dell’Impero Romano d’Occidente, sorgeva dove ora si trova il Duomo di Milano. Di grande impatto scenografico il fondale in quarzite verde e l’onice bianco retroilluminato utilizzato a parete nelle nicchie espositive, dotate di scaffalature in ottone naturale spazzolato e in armonico contrasto con le boiserie laccate

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in colore nero, la cui particolare lavorazione ondulata riesce a sintetizzare perfettamente l’unione tra materia e design. Con lo stesso spirito, la fragranza “Dolce Roma XXI”, intensa e inebriante, sensuale e voluttuosa, celebra l’identità di una delle città più belle al mondo: aristocratica e popolana, spirituale e terrena. In una parola: eterna. Aromi fruttati di ananas, mela e uva rossa, dolce preludio a note agrumate di bergamotto e ribes le donano freschezza e vigore, in un’elegante architettura aromatica che evolve in sentori di legni di rosa, fico e ulivo. Il Mediterraneo si accende poi d’Oriente quando ai sensi arrivano l’ambra e il patchouly, per lasciare infine spazio al finale caldo, dolce e avvolgente di muschi e vaniglia. Anche i flaconi in cui è racchiuso il profumo celebrano l’eleganza e la raffinatezza della sua essenza. Realizzate da maestri vetrai italiani in vetro fumé scuro, ogni boccetta è impreziosita dall’iconico tappo T2 in legno, marmo o pietra con cui è possibile personalizzare il diffusore. Tra i materiali disponibili, come Travertino, Marmo Rosso Francia, Onice Miele e Petra, antichi marmi e pietre semipreziose rendono omaggio alla magnificenza dell’Urbe, in una collezione di tappi rari plasmati da mani che testimoniano l’eccellenza del nostro made in Italy. Autentici capolavori che coniugano unicità, lavorazione artigianale e design. La collezione “Dolce Roma XXI”, oltre ai classici diffusori d’ambiente con bacchette, comprende anche l’Eau de Parfum, il diffusore spray e i sacchettini in lino con sale marino per cassetti e armadi.


PART EMOZIONI Y TIME

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CAPITOLO 3

PAOLO MARICONTI

QUANDO SCOPRITE CIÒ CHE SAPEVATE Di Paolo Gobbi

Paolo Mariconti, anestesista, terapista del dolore e psicoterapeuta.

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Conservare a lungo serenità e salute è il desiderio che ha accompagnato l’uomo fin dalle sue origini. Un’idea che si è radicata nel corso dei secoli, alimentata dai racconti mitologici di personaggi che sono riusciti a sconfiggere gli effetti del passare del tempo ricorrendo a elisir di lunga vita, fonti miracolose e pietre filosofali. La moderna Medicina dell’aging agisce in prevenzione e considera l’uomo come la sintesi di componenti fisiche e psicologiche individuali. Nel progetto di cura è dunque indispensabile considerare quanto i ritmi frenetici della vita moderna sollecitano senza sosta l’organismo che è perennemente sottoposto agli effetti dello stress, perchè l’organismo ne risulta logorato e poi esposto a invecchiamento precoce. Il termine stress descrive una reazione primordiale sostenuta dalla parte più antica del sistema nervoso. È la base dell’istinto di sopravvivenza, che innesca una serie di processi di allerta che preparano l’organismo ad affrontare situazioni potenzialmente dannose. Si tratta di un meccanismo programmato per l’urgenza, del tutto inadatto per gestire nel tempo situazioni di fatica o tensione psicologica. Quando genera una buona e controllabile sensazione di energia, lo stress diventa essenziale nella vita di tutti i giorni. È lo stress positivo, l’eustress. Invece il distress, contraltare dello stress utile e positivo, si manifesta con un eccesso di attivazione o con uno stato di apatia e demotivazione: saper mantenere una costante serenità emotiva consente di non scivolare nella malinconia o in debilitanti stati ansiosi. Le cause del distress moderno sono molteplici e fortemente soggettive: lavoro, salute, desiderabilità di un avvenimento o incapacità a intervenire sul corso degli eventi. Ma una problematica personale o professionale viene percepita dagli antichi meccanismi cerebrali pericolosa quanto l’aggressione fisica di un nemico. L’organismo si mette in guardia riesumando con prepotenza lo schema motorio degli antichi progenitori del genere umano reagendo come in


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tempi remoti si reagiva contro un animale feroce. In questo modo le modificazioni fisiche in un lontano passato necessarie per il combattimento ora generano un inutile logorio dell’organismo. Il distress spesso si associa ad abbassamento delle difese immunitarie, ansia o depressione, ipertensione e problemi cardiocircolatori, problemi digestivi, posture sbagliate, patologie della pelle, malessere diffuso e continuo. É stato inoltre recentemente dimostrato quanto le emozioni positive incrementino i livelli di DHEA, l’ormone che favorisce il rinnovamento cellulare, mentre le emozioni negative ne impediscono la secrezione. L’attività mentale è anche in grado di modificare il patrimonio genetico individuale perchè lo stress prolungato accelera i processi di invecchiamento rendendo inefficienti i meccanismi di protezione del DNA, mentre alti livelli di stress inibiscono l’ormone Klotho, correlato al mantenimento di uno stato psicofisico ottimale. Klotho deve l’origine del suo nome alla mitologica figlia della Notte e la più giovane delle Parche, le divinità che stabilivano il destino degli uomini. Fin dalle epoche più remote, gli uomini sono sopravvissuti a disastri naturali, guerre e a ogni sorta di carestia perché l’essere umano è capace di reazioni e comportamenti adatti a resistere alle avversità, e superarle. Affrontare con successo le inevitabili problematiche di ogni giorno prevede un’abilità nota come resilienza. Si tratta in sostanza della capacità di far fronte, di resistere, di riuscire a riorganizzare positivamen-te la propria vita. La resilienza e le tecniche di gestione delle emozioni possono essere imparate e potenziate. Padroneggiare le tecniche mentali che controllano le emozioni è sempre parte del percorso che garantisce una longevità giovane e attiva. Spesso si utilizzano mezzi efficaci in modo del tutto inconsapevole, come l’arte e la musica. La musica classica, in particolare, inattiva i circuiti cerebrali e ormonali dello stress, migliora l’umore e induce il rilassamento. È comunque possibile intervenire con tecniche

strutturate e mirate. La meditazione Mindfulness consiste nel “porre attenzione in modo intenzionale al momento presente, accettando senza giudicare”. Il termine è la traduzione di sati che in lingua pali, il linguaggio utilizzato dal Buddha nei suoi insegnamenti, significa “consapevolezza della mente”. La pratica della Mindfulness ha le sue radici nel buddismo, ma differenti sono le forme di culto che invitano ad apprezzare il momento e a sviluppare una più ampia prospettiva sull’esistenza. La concentrazione sul “qui e ora” allontana le preoccupazioni per il futuro e i rimpianti del passato. L’ipnosi, dal greco ὔπνος (upnos), che significa “sonno”, è antica quanto l’uomo. Con nomi diversi e diversamente impiegata, non fu sconosciuta a nessuna grande civiltà del passato. Per secoli Zen, Buddisti, Tibetani, Yogi, Sufi, Shamani e Mistici cristiani hanno utilizzato diverse pratiche di meditazione che includevano un mantra cantato o la focalizzazione dell’attenzione su un oggetto. La ripetitività dei rituali genera lo sviluppo di alterati stati di coscienza, sempre simili fra loro. Lo stato di trance è un fenomeno del tutto naturale che si manifesta quando l’attenzione è catalizzata a tal punto da ignorare tutto ciò che succede intorno. Entrano nello stato di trance gli artisti quando si calano nel mondo interiore del personaggio da interpretare e gli sportivi per migliorare la concentrazione e la qualità delle prestazioni atletiche. Attraverso la completa gestione dello stress e dello stato emotivo, l’ipnosi è in grado di migliorare in ogni età la qualità della vita. Inoltre, con l’autoipnosi ognuno genera in se stesso, e quando necessario, lo stato di trance, e mediante l’autocontrollo viene raggiunto un persistente benessere. Come spiega Milton Erickson, il padre della ipnosi moderna, «C’è qualcosa che sapete, ma che non sapete di sapere. Quando scoprite ciò che sapevate, ma che non sapevate di sapere, sapete di poter incominciare.»

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CAPITOLO 3

TONINO L AMBORGHINI

UN VIAGGIO LUNGO 40 ANNI COME SI FANNO LE GRANDI RIVOLUZIONI? LO ABBIAMO CHIESTO A FERRUCCIO LAMBORGHINI, VICE PRESIDENTE E CEO DELL’AZIENDA, AL RAGGIUNGIMENTO DI UN OBBIETTIVO COSÌ IMPORTANTE

Di Lara J. Mazza

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PER PARLARE DI TONINO LAMBORGHINI

e raccontare le quattro decadi della sua storia è necessario concentrarsi sul nucleo familiare che rappresenta le sue fondamenta e che ne ha costruito il successo anno dopo anno. Spesso grandi imprese nascono da piccole opportunità o da piccoli passi che si sono rivelati con il tempo grandi scelte. La capacità di visione e un modello di business coraggioso, di Tonino Lamborghini prima, di Ferruccio Lamborghini oggi, hanno assicurato all’azienda una crescita continua e hanno permesso che molti progetti, come la pelletteria o l’orologeria, diventassero trampolino di lancio per consolidare la sua internazionalità. Oggi la sfida continua. 40 anni rappresentano un traguardo importante. Qual è il consuntivo? «Una scoperta, mi sento di dire, costante. Aver realizzato un libro fotografico che racconta la storia del brand per festeggiare questo obiettivo ha portato una ondata di novità ed è stato sicuramente un’operazione che ci ha fatto capire quanta creatività sia passata attraverso il marchio. E non solo: la visione lungimirante di mio padre, soprattutto pensando a ciò che è accaduto durante la pandemia, ci ha dato e ci dà la possibilità di reggere l’urto. Aver diversificato in una maniera così marcata, ma sempre con una logica che io chiamo di eco sistemi di prodotti, più che di categorie merceologiche, è stato vincente e non posso che ringraziarlo di avere avuto questo coraggio. Recentemente ho potuto osservare alcune iniziative di altri marchi che, per determinati aspetti, mi hanno fatto capire che l’intuito non è mai mancato. Noi siamo un’azienda familiare, andiamo avanti esclusivamente con le nostre gambe e con le nostre forze. Se grandi gruppi, con ben più disponibilità e opportunità, replicano qualche spunto sul quale noi abbiamo già lavorato, non dico anni fa, ma anche decadi fa, beh, questo è motivo di grande orgoglio. Non posso che essere orgoglioso di quanto mio padre abbia fatto e di quanto mi abbia lasciato. Anche se, ovviamente, è ancora più che attivo, il

95% delle attività sono completamente in mano mia. Quindi il consuntivo è altamente positivo.» Da un grande potere derivano grandi responsabilità (cit.)… «Sì, una grande responsabilità e insieme un grande stimolo perché sapere che è stato fatto così tanto ti regala quella carica necessaria per trovare nuove idee anche quando non le si hanno. A volte può capitare. Sapere però che, in un modo o nell’altro, nella nostra storia si è sempre andati avanti e che non ci siamo mai fermati a un solo campo di azione, mi dona serenità anche in momenti in cui mi sento scarico di idee. Solitamente il mese dopo in cui questo accade, tutto riesplode. Una sorta di rollercoaster.» Immagino che ci sia la voglia di non disattendere le aspettative della tua famiglia. Quali pensi siano le sfide che dovrai affrontare d’ora in avanti? «Oggi sento forte il bisogno di essere sempre più indipendente riguardo la supply chain e trasversalmente su tutti i prodotti. Tocchiamo tanti mondi, tocchiamo tante necessità di mercato, per il cinquantesimo vorrei poter dire che siamo molto più autonomi. Capire cosa è giusto far partire per primo quando si ha una moltitudine di prodotti e rapporti ben consolidati con fornitori, partner e così via, non è facile ma è strategicamente rilevante. Perciò voglio continuare a studiare e realizzare un progetto che renda possibile la creazione di qualche cosa di più corposo in Italia. Credo molto nel Made in Italy ma mi piacerebbe farlo in maniera diversa. La mia idea è di creare un polo produttivo che sia trasversale quantomeno per tutti i nostri prodotti. Mi piacerebbe che la Tonino Lamborghini diventasse una design house ancora di più di quanto non lo sia adesso. Ne sento l’urgenza. Voglio tenere il know how in Italia perché, più vado all’estero, più rimango sbalordito da quanto viene percepito di valore il nostro Made in Italy. Ci sono grandi possibilità industriali nel nostro paese, serie. I nostalgici direbbero “come si faceva una volta”. Mi piace pensare che sia possibile. Secondo il mio avviso la pandemia dovrebbe accendere qualche avvisaglia.»

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Un progetto” visionario” che, conoscendoti, sicuramente ne abbraccerà altri. «Allo studio ce ne sono sempre tantissimi. Devo dire che in questo anno e mezzo di pandemia abbiamo fatto un lavoro di analisi e studio per dotarci delle giuste competenze per essere più pronti a livello internazionale. Nella mia testa è già una idea che esiste da tempo ma verrà processata in maniera completamente nuova rispetto al passato. Saremo più pronti, e in maniera trasversale, a recepire le necessità del mercato. Saremo più digital. Insomma, abbiamo dovuto accelerare tutti i processi e ora siamo pronti a sbloccare il freno a mano che la pandemia ci ha obbligati a tirare.» Cosa vi sta chiedendo attualmente Il mercato? «Ci sta chiedendo di puntare più in alto, di essere ancora più esclusivi e, per certi aspetti, anche più “affordable”. Il prossimo anno proporremo sicuramente una distinzione più netta fra il quarzo e l’automatico. La fascia media di prezzo non funziona più. Noi, per primi, abbiamo dovuto rivedere le nostre logiche di sviluppo prodotto. È una scelta obbligata dal momento che siamo un brand percepito come aspirazionale. I nostri consumatori hanno anime differenti e non è possibile ragionare senza pensare a ciò che il nome Lamborghini evoca.» In questa fase qual è la linea di business che ti sta dando più soddisfazione? «In questo momento siamo in una fase di estremo equilibrio tra tutte le nostre categorie merceologiche. Tenendo presente che al di là di orologi, occhiali, pelletteria e food & beverage, gli altri prodotti sono in licenza, guardando ai fatturati di ciascuna linea, siamo molto omogenei. Questo per me è un ottimo risultato, soprattutto pensando a questo anno pandemico. Per esempio il Real Estate e l’arredamento ci hanno dato ottimi risultati. Al momento le percentuali dei ricavi sono così ripartite: 25% prodotti core (occhiali, orologi e pelletteria), 25% arredamento, un altro 25% viene dal Real Estate e hotellerie, e l’ultimo 25% viene dal food & beverage. In questo momento siamo molto contenti. Questo equilibrio ci dà la possibilità di essere abbastanza elastici nelle decisioni e

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nell’immediatezza di esecuzione. Quindi, anche dal punto di vista degli investimenti durante la pandemia, non abbiamo dovuto stravolgere completamente il nostro assetto, si è resa necessaria solo una limatura seppur minima.» Anche sulle tue scelte di innovazione e di prodotto tendi a mantenere questo tipo di equilibrio? «Secondo me i prodotti core dovrebbero rappresentare un costante 40% a partire dal 2022, mentre il restante 60% dovrebbe essere suddiviso in maniera equilibrata sulle altre categorie merceologiche. Questo è l’obiettivo e ci stiamo andando abbastanza vicini. Per me concettualmente è come la pagella: fatto 10, arrivare almeno al 6 deve essere l’obiettivo imprescindibile. L’importante è che ci sia una buona base di partenza. Quando si ha una azienda familiare è la conditio sine qua non. Mi soffermo molto a fare proiezioni, sia disastrose che positive: tendenzialmente ne preparo almeno 5 ogni volta che ho una nuova idea. Purtroppo basta un anno e mezzo, massimo due, per rischiare una crisi a cui è difficile porre rimedio.» Nel 2016 sei stato nominato Vicepresidente e nel 2018 CEO: qual è stata e qual è la rivoluzione più grande che stai portando avanti? «La rivoluzione vera è quella di aver riportato in casa il core business della Tonino Lamborghini, partendo dall’orologio sino ad arrivare agli occhiali. Il mio desiderio è di fare in house il maggior numero di prodotti possibili. In questo senso la considero una rivoluzione perché ho voluto cambiare il business model dopo quasi 30 anni in cui l’azienda, eccezion fatta per alcune capsule e il food & beverage, lo portava avanti sempre allo stesso modo. Aumentare il grado di rischio imprenditoriale non è stato né automatico né tantomeno facile da proporre al proprio padre. Non è stato tanto una questione di numeri e di proiezioni di crescita, piuttosto si è trattato di affermare che il modello che, fino ad allora aveva funzionato e ci aveva permesso di vivere in tranquillità, fosse diventato obsoleto per certi prodotti e categorie. Oggi anche mio padre, a cui riconosco un grande fiuto, know-how da vendere e una grande creatività, lo ha sposato e ha compreso


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che sono un uomo di numeri più di quello che non sia stato lui.» Quanto dell’estetica Tonino Lamborghini viene apprezzata a livello internazionale e quanto è stata modernizzata oggi? «Come si può vedere dal libro che abbiamo realizzato per i nostri 40 anni, il fil rouge è l’ispirazione meccanica dell’automotive, per alcuni aspetti più racing, per altri più industrial. Secondo me si possono individuare due o tre epoche e una quarta che stiamo iniziando adesso. La prima epoca era caratterizzata da un’estetica spiccatamente tradizionalista: prodotti classici con quel quid in più dato dall’elemento meccanico. Successivamente, a partire dagli anni ‘90 e primi 2000, questa estetica è stata stressata, abbandonando per scelte strategiche la donna che invece necessitava di maggior rigore stilistico. Il focus era: meno elemento meccanico più design spinto. Purtroppo, come accaduto ad altre realtà, questo approccio ci ha portato a caricare il prodotto in maniera eccessiva. Infatti, nella parte finale di questa seconda fase, era tutto estremamente appesantito. Nel momento in cui sono subentrato io, che sono molto meno eclettico di mio padre, i prodotti hanno acquisito uno stile più regolare. Ho iniziato a fare un lavoro di grande pulizia e a riportare in auge linee pulite da estremizzare unicamente attraverso il giusto dettaglio. Sono convinto che non dobbiamo avere l’ansia di rendere le nostre creazioni più aggressive. Per me una linea dritta può essere più aggressiva di mille tagli. Il mercato ci sta dando ragione e, più in generale, questa volontà di essere un po’ più puliti e di cercare di enfatizzare solo un elemento stilistico viene apprezzata molto. Per il futuro mi piacerebbe adottare una linea estetica ancora più morbida, magari sfruttando le linee curve ma ci concentriamo su una rivoluzione alla volta.» Se tornassi all’inizio della tua carriera cosa diresti al tuo alter ego di quell’epoca per affrontare meglio il futuro? «Gli suggerirei di concentrarsi per capire subito il concetto di priorità. Questo penso che sia ciò che fa fare il giro di boa nella crescita di un

manager. La pandemia mi ha portato a capirlo ancora di più. Uno dei miei idoli sportivi, Ayrton Senna, diceva: “un uomo che non ha sogni non ha più senso di vivere; sognare è importante ma nel sogno va intravista la realtà”. È uno dei miei principali mantra. Da questo punto di vista, prima comprendi il concetto di priorità all’interno dell’azienda, prima non farai perdere tempo a nessuno né lo perderai tu.» Sostenibilità. Oggi se ne parla tanto. Ci state pensando? «Purtroppo essendo dipendente da logiche legate ai fornitori esterni non posso fare altro che essere il più attento possibile e affidarmi ai loro comportamenti, ma le mani sono legate. Non posso ancora annunciare qual è il settore di pertinenza ma credo che a breve sigleremo una iniziativa con una bella Accademia che avrà un output di prodotto low emission ad aprile 2022.» “Tonino Lamborghini Over the Years. 1981-2021”, perché proprio un libro in edizione limitata? «Eravamo in piena pandemia, intorno a fine marzo, e stavo già iniziando a pensare a come avremmo potuto festeggiare questo anniversario. L’ideale per me sarebbe stato celebrare il quarantesimo il 9 gennaio per festeggiare contemporaneamente i miei trent’anni. Sappiamo che per fare le cose bene, senza fretta, ci vogliono sei mesi per prepararsi e noi eravamo ancora bloccati dalla pandemia. D’altra parte sarebbe stato un grande peccato non fare nulla. Parallelamente stavo pensando che forse era arrivato il momento di fare una bella cernita dei best off e organizzare un archivio a regola d’arte di tutto il materiale Tonino Lamborghini. Quando ho preso coscienza che non avremmo potuto portare avanti l’idea di organizzare un evento in presenza, abbiamo deciso di combinare le due cose e realizzare un libro. Questo è l’anno della ripartenza, è un anno di festeggiamenti, è un anno di concretizzazione del passaggio “all in house” dell’occhiale, dell’orologio e della pelletteria, perciò meritava la giusta attenzione con qualcosa che non rappresentasse solo un’autocelebrazione ma fosse anche una sorta di omaggio a mio padre.»

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DAVIDE OLDANI

SIAMO INCLUSIVI NON ESCLUSIVI «LA MIA CUCINA POP È NATA DAL DESIDERIO DI AMALGAMARE L’ESSENZIALE CON IL BEN FATTO, IL BUONO CON L’ACCESSIBILE, L’INNOVAZIONE CON LA TRADIZIONE»

Di Paolo Gobbi IDEATORE DELLA CUCINA POP, fatta di alta qualità e accessibilità, Davide Oldani ha aperto nel 2003 il suo ristorante, il D’O, a Cornaredo, in provincia di Milano, suo paese d’origine. Dopo un anno di attività, le più autorevoli guide gastronomiche lo annoverano fra i grandi chef della cucina italiana, tanto da essersi guadagnato due stelle Michelin e una stella verde per la gastronomia e sostenibilità Le esperienze precedenti l’apertura del D’O, lo avevano visto a fianco di Gualtiero Marchesi, Albert Roux, Alain Ducasse, Pierre Hermé. La sua attività di designer, nata dall’osservazione quotidiana dell’ospite, rispecchia quella di cuoco: tavoli, sedie, piatti, posate e bicchieri sono ispirati al POP: semplici, funzionali, eleganti. Lo abbiamo incontrato a Cornaredo, in una caldissima giornata di luglio. Queste le sue parole.

Handmade parla del tempo e della sua creazione, perciò iniziamo proprio con questo argomento: com’è il suo rapporto con il tempo, quello privato e quello nel lavoro? «Come per tutti, purtroppo il tempo “passa”. Bisogna perciò scandirlo bene, anche nella cucina. Ad esempio, i napoletani quando parlano della pizza ti dicono che dev’essere di tot centimetri larga, con il cornicione, per fare in modo che nel tempo che te la servono e che la mangi rimanga fino alla fine ancora calda e buona. Per cui il tempo per poterla mangiare è relativo alla dimensione. Questo è un esempio per dire che il cibo, nel tempo che tu impieghi a mangiarlo, deve avere sempre la stessa la qualità. Nel caso del mio lavoro, il tempo più importante è quello da quando ti siedi a quando inizi a mangiare.» Sembra una cosa semplice. «Quindici anni fa scrissi un libro, “Cuoco andata e ritorno”, dove parlavo del tempo che devi dare alle persone da quando si siedono a quando servi il primo piatto per far sì che non si annoino. Il tempo è tutto e niente, però se lo scandisci bene diventa tutto, diventa la cosa più importante. Per cui bisogna impegnarlo bene: una delle cose che a me non piace quando sei a tavola è aspettare tanto il cibo. Una cucina che impiega tanto tempo a mandar fuori un piatto fa scomparite tutta la

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poesia che c’è dietro a ogni momento che noi condividiamo sulla tavola.» C’è una regola? «Ho calcolato che il tempo giusto tra un piatto e l’altro è di otto minuti, almeno per la mia esperienza: è il minutaggio giusto per poter godere del tuo momento. Poi il tempo è fondamentale per il mio lavoro, perché tu sai che in una cucina di precisione hai bisogno del tempo per poter cucinare una cosa piuttosto che un’altra. È un tempo un po’ astratto, molte volte determinato dal buon senso di chi fa la cucina, perché cambia a seconda che si tratti di carne, pesce, verdure, pasta, riso o dolci. Hai determinati timing da rispettare.» Anche perché gli ospiti di ogni tavolo devono essere serviti contemporaneamente. «Se su un piatto ci sono quattro persone che ci lavorano, tra la guarnizione, la salsa, il prodotto, le cotture, se non prendi il tempo giusto per poter arrivare insieme al pass (il piano sopra al quale vengono posati i piatti, prima che siano serviti in sala, dove lo chef dà l’ultimo sguardo o l’ultimo tocco, n.d.r.) si raffredda tutto e devi rifarlo. È tutto un meccanismo da orologio svizzero. La sincronizzazione è alla base della nuova cucina.» Una volta era diverso? «Mia madre di novant’anni, ad esempio, viene da una cultura secondo la quale il cibo era una necessità per vivere, lo condividevi in famiglia come segno di stare tutti insieme a tavola, un momento di crescita e di educazione. Adesso il cibo non è più pura necessità per vivere: siamo in una società ricca ed è diventato quasi un di più. Questa è una cosa che io non accetto perché il cibo è l’unica cosa che ci permette di essere vivi. Oggi è visto più come esperienza. Ci sono tanti aggettivi che vengono utilizzati, secondo me anche a volte in maniera errata, per definire il cibo. Ma il cibo rimane primario perché l’uomo ne ha bisogno. Una volta prima di mangiare si faceva il segno della croce per rispetto, per fede, per educazione: era un momento veramente sacro. Adesso con la scusa che puoi aver tutto, anche online, secondo me, da artigiano


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Foto Andrea Rinaldi

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cuoco, un po’ di qualità si è persa. Per questo motivo, quando si parla di cibo, bisogna farlo in una maniera seria, anche perché il cibo è come dicevo l’unica cosa che ci permette di essere vivi. Allora più lo rispetti, più hai il senso di quello che è realmente: lo devi studiare, devi rispettare le stagioni.» Venire al D’O a pranzo o a cena è comunque un’esperienza... «Questo lo deve dire lei, non io. Io do da mangiare, punto. Voglio far mangiare bene e servire il piatto nei tempi giusti. Dopo a tavola ci si può stare delle ore, ma quello è un altro tempo, che è il divertimento. Quando devo mangiare, devo mangiare. Non posso sedermi a tavola e aspettare un’ora un piatto. Poi viene la convivialità, che arriva subito dopo aver mangiato non quando stai mangiando realmente. Stai bene quando mangi, non puoi parlare di lavoro se hai fame. Se mangi bene ti metti in pace con te stesso e con i tuoi commensali. Dopodiché concludi gli affari. Si fa tutto a tavola, ma secondo me c’è una scaletta delle tempistiche.» Sono d’accordo, tra l’altro il suo è oggi un punto di vista non certo convenzionale. Altri chef avrebbero detto che quella che offrono è un’esperienza. «Il più bel complimento che io possa ricevere è quando la gente ti dice che ha mangiato bene. Mi basta quello, perché è quello che devo fare.» Si è sempre detto che si mangia prima negli occhi. Lei hai inserito questo concetto del design del cibo e del design della tavola. «I fondamenti della mia cucina POP si sono tradotti in oggetti di design. Ho disegnato per Artemide una lampada, ho disegnato per Kartell e per Riva 1920 dei tavoli. Tutto questo l’ho fatto per far sentire la tavola più comoda, non per fare il designer.» Fabrizio Buonamassa, il responsabile della creatività dell’orologeria Bulgari, dice che il designer è un facilitatore, ossia colui che ti rende un oggetto facile da utilizzare senza che tu neanche te ne accorga... «Tu stai seduto comodo su una sedia e devi pensare a mangiare. La sedia però deve essere ergonomica per non farti venire il mal di schiena, poi i tavoli devono avere sotto dei vani contenitori porta borse, porta cellulari e chiavi, oggetti che non sai mai dove mettere. Così la tavola è libera. Questo è il mio concetto di design.» Ritorniamo sul tempo. Chi è che scandisce il tempo in cucina? «Ovviamente il timer serve a determinare i tempi di uscita di una comanda, poi ci si regola anche con un lavoro di squadra. Ora la cucina è di precisione, devi sapere come trattare i prodotti, che hanno determinate cotture e tempistiche a seconda dell’annata. Ogni anno il vino è diverso, il riso cambia a seconda del tempo per cui lo devi adeguare ogni volta, così la farina. L’anno scorso, ad

esempio, abbiamo avuto dei piccoli problemi con la farina e siamo dovuti intervenire con le cotture e con i tempi di lievitazione, perché era diversa dal raccolto dell’anno prima.» Per Franco Cologni, un grande guru dell’orologeria, uno dei diktat era quello del lusso accessibile, il lusso democratico. Lei parla invece di una cucina buona e accessibile. Nell’immaginario collettivo se si pensa a Oldani si immagina un grande chef e di conseguenza dei costi alti. Come fa la tua cucina a essere accessibile? «Chi conosce Oldani sa che ha mantenuto la coerenza con la qualità e l’accessibilità. Anche un tartufo bianco può essere accessibile. Anche una cipolla buona per qualcuno può essere costosa e per qualcun altro no. Quello che intendo è che l’insieme del buono non dev’essere paragonato a un prezzo, la qualità non sono i soldi.» Nella sua cucina ci sono tanti ragazzi... «Sono i ragazzi che fanno la qualità. Cinque anni fa abbiamo iniziato un progetto statale con l’istituto professionale Olmo di Cornaredo per la formazione dei giovani. Abbiamo un programma didattico invertito: prima della ricetta i giovani imparano a conoscere i prodotti.» Lo chef è un mestiere di passione? «Non conosco nessun mestiere in cui raggiungere le soddisfazioni senza il sacrificio, senza la passione e la condivisione. È il fatto di essere inclusivi e non esclusivi. Io faccio un lavoro di inclusività, un lavoro identitario.» Ha disegnato dei tavoli, delle forchette, dei bicchieri, dei piatti... Le piacerebbe disegnare un orologio? «Bella domanda. Pensi che sto aspettando il prototipo di scarpe che ho disegnato con un’azienda di Napoli. Ma ho fatto anche delle penne con Montegrappa. Nasce tutto da un feeling con le persone. Non disegno su commissione perché non sono un designer. Sarebbe bello fare un orologio, però dovrebbe essere qualcosa di diverso.» Quando nasce la sua passione cper l’orologeria? «Il primo orologio importante l’ho avuto a 19 anni.» Si considera un collezionista? Non so cosa voglia dire essere un vero collezionista. Possiedo e indosso prevalentemente dei Cartier.» L’orologio è un oggetto assolutamente tradizionale. Come il Santos che ha al polso, che ha una storia che parte dagli anni Venti, all’interno della quale poi arriva l’innovazione. Come fa nella sua cucina a innovare rispettando la tradizione? «La rispetti per prima cosa se la conosci e poi se l’hai praticata. Se hai i pilastri, se le fondamenta sono solide puoi fare quello che vuoi, perché quando fai il nuovo parti già con una base.»

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D’O

IL DESIGN CHE ABBATTE TUTTE LE BARRIERE Di Lara Mazza

Ci sono spazi in cui ci si sente subito a casa, come al D’O. Già ad un primo sguardo si percepisce subito l’intensa volontà di accogliere, nel senso vero del termine, e, come piace pensare al suo creatore Davide Oldani, anche di voler dare “nutrimento” ai suoi ospiti. Il contesto in cui si trova la location, di fronte alla Chiesa vecchia di San Pietro, che, con il suo passato e la sua tradizione rappresenta una bella pagina di storia, è un chiaro segnale di quanto le origini e le tradizioni siano davvero importanti. Soprattutto in cucina. San Pietro infatti era una chiesa sulla strada che collegava Milano a Torino e sulla sua facciata sono murate delle patere, scodelle in maiolica o ceramica invetriata, che avevano una duplice funzione - decorativa e segnaletica - perché indicavano che lì, il pellegrino, poteva trovare ospitalità e consumare un pasto caldo. Per questo motivo, invece di un classico ristorante, Davide Oldani ha realizzato una casa, quella della Milano alla quale è più legato, con la suddivisione su due livelli in zone dalle caratteristiche inconfondibili: la cucina, il tinello, il soggiorno, il salotto, la galleria, la veranda, la cantina e lo studio. Parte integrante del progetto di architettura, curato da Piero Lissoni, riconosciuto internazionalmente come uno dei maestri del design contemporaneo, è la vetrata incorniciata da un profilo di metallo traforato e coperta da una pensilina che si affaccia sulla piazza, con una superficie vetrata grande abbastanza da far sì che la piazza possa “entrare in casa” e che la casa possa “entrare nella piazza”. Il progetto è stato reso possibile grazie al sapiente lavoro cdi Piero Lissoni con la matrice dell’architettura, tagliando gli spazi e “regolamentando” gli ingredienti architettonici, come fa appunto un cuoco. E tra gli ingredienti di questa ricetta sublime vanno annoverati la trasparenza verso la piazza, la luce, la connessione tra il luogo dedicato alla ricerca e il ristorante, la cucina vera e propria e le differenti stanze, che si rincorrono una nell’altra. «Desidero che la porta del ristorante sia aperta, in tutti i sensi, che una parte della preparazione del menu avvenga davanti agli ospiti», commenta Davide Oldani. «L’obiettivo è coinvolgerli

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EMOZIONI

a trecentosessanta gradi, in un ambiente esteticamente bello ma anche accogliente. L’idea di bellezza del mio amico Piero si è perfettamente combinata alla mia idea di praticità, realizzando il mio desiderio di un’estetica che non rinunciasse alla comodità. Ho voluto ingrandirmi in senso fisico, di metrature intendo, anche se non era questo lo scopo principale. L’ho fatto con l’obiettivo di realizzare una cucina più “grande”, capace di evolvere, di confrontarsi con altre cucine nel nostro Paese e anche fuori; e nello stesso tempo per razionalizzare gli spazi e rendere tutto più funzionale oltre che, naturalmente, confortevole, esteticamente gradevole. Diciamo che ho effettuato un Piccolo spostamento fisico - sono andato a pochi metri dal primo D’O - per realizzare una Grande evoluzione nella semplificazione, nell’organizzazione e nella funzionalità. Ma non ho cambiato il numero di coperti della sala.» Se è vero che un designer dovrebbe inventare soluzioni che ancora non esistono per soddisfare

esigenze moderne che invece sono già presenti nel nostro quotidiano, allora possiamo definire Davide Oldani, oltre che uno chef, anche un designer, a cominciare da tavoli e sedie, che ha disegnato lui stesso, realizzando concretamente alcune idee che inseguiva da tempo. E cioè la creazione di elementi di arredamento che - pur nell’eleganza - fossero essenziali, lineari e funzionali. La comodità, a suo parere, si traduce in tranquillità e rilassatezza, ma anche nel favorire - attraverso una forma ergonomica degli arredi nata dall’osservazione quotidiana degli ospiti - una digestione corretta, che comincia quando ci si siede a tavola e non quando ci si alza. Anche il piano interrato ha una sua precisa funzione, ovvero quella riservata a ricerca e sviluppo, con un insieme di aree diverse e comunicanti in uno spazio sempre fluido. Qui si trova una cucina a isola attrezzata per creare e sperimentare nuovi piatti e nuove idee, una parte destinata allo sviluppo del brand D’O e dei suoi prodotti, una cantina a temperatura controllata aperta alle degustazioni.

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CAPITOLO 3

Foto Giulia Adami

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EMOZIONI

RAFFAELE TOVAZZI

IL FUTURO DEL FOOD Fast Food & Slow Food: non è singolare constatare come il cibo vada a braccetto con il tempo? Quasi come se, nella società della forsennata misurazione, per comprendere la nostra filosofia del cibo avessimo bisogno di sapere quanto tempo ci richiede la sua consumazione. “Noi siamo ciò che mangiamo” scriveva il filosofo Ludwig Feuerbach, per sostenere la tesi che ciò che viene introdotto nel nostro organismo non influenza soltanto il corpo, ma anche processi energetici, psicologici e spirituali. Forse però sarebbe meglio aggiungere che noi siamo anche come mangiamo, perché il tempo che dedichiamo alla consumazione di un pasto dice molto del nostro stato di benessere. Consumare il cibo velocemente, talvolta in piedi, magari mentre consultiamo il nostro social preferito o in compagnia di colleghi cercando di risolvere l’ultima grana verificatasi al lavoro. Chi siamo noi veramente, se questo è il nostro modo di mangiare? Chi continua a fare sesso “mordi e fuggi” perde la voglia di fare l’amore; e mangiare, bene, è un pò come fare l’amore: ci si deve prendere il tempo.

Alcuni futurologi si sono impegnati ad immaginare quale sarà il futuro del food arrivando ad ipotizzare che arriveremo a nutrirci di pastiglie, con tutto il nostro fabbisogno giornaliero. La giusta quantità di carboidrati, grassi, proteine, vitamine e sali per mantenere la linea, non soffrire la fame e aumentare le nostre possibilità di avere un corpo in salute. Utilizzano la parola “nutrire” non “mangiare”. Perché mangiare è un’esperienza ed ecco che i ristoranti avranno ancora senso di esistere, ma saranno dei templi in cui vivere un’esperienza, sensoriale in primo luogo ma anche sociale. In cui il telefono lo lasceremo spento, perché saremo impegnati a percepire profumi, colori, sapori e contrasti di ciò che ci viene presentato. In cui la compagnia sarà importante, almeno quanto il sapore del cibo che il grande cerimoniere, lo chef, avrà preparato per noi. Perché mangiare, bene, è essenzialmente comprarsi tempo. Tempo per godere, tempo da ricordare.

Raffaele Tovazzi (per gli amici TOVA) è il primo Filosofo esecutivo in Italia, l’equivalente americano di chief philosophy officer. Una figura che può rivelarsi strategica in un mondo sempre più tecnologizzato, dove le imprese innovative tornano a riscoprire il loro lato più “umano”. Quando non è impegnato a salvare il mondo facendo finta di essere una persona seria, è in live su Twitch per coronare il suo sogno più grande: fondare una radio pirata.

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CAPITOLO 3

IL GRAND SIÈCLE LES RÉSERVES

RICREARE L’ANNATA PERFETTA Di Manlio Giustiniani Foto di Alessandro Roversi

Laurent-Perrier è una grande Maison di tradizione familiare fondata nel 1812 e situata a Tours-surMarne. Bernard de Nonancourt l’ha guidata dal secondo dopoguerra animato da un formidabile spirito pioneristico indipendente e con una grande creatività enologica ha creato una gamma di cuvée uniche, dove ciascun Champagne si distingue per una storia e una personalità propria. Sono Champagne unici per la loro elaborazione, gusto, ma anche per la costanza e la qualità, con uno stile che seduce per la freschezza, la finezza e l’eleganza. Oggi la Maison è rappresentata dalle figlie di Bernard, Alexandra Pereyre e Stéphanie Meneux de Nonancourt che conservano i valori e la filosofia della Maison nel tempo: il rispetto della natura e l’amore per la qualità soprattutto. La “Cuvée de Prestige Grand Siècle”, fu lanciata nel 1959 da Bernard de Nonancourt, ed è l’incarnazione di un sognodi un uomo e l’incontro di un terroir con la sua visione. Questa Cuvée, prodotta da uve Pinot noir e chardonnay, di 3 annate differenti la 1952, 1953,

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1955, provenienti da 12 villaggi prestigiosi, fu la prima cuvée de Prestige a non essere frutto di vini di una sola annata, ma una sintesi di 3 annate che insieme racchiudono intensità ed eleganza, e per la quale venne scelta una particolare bottiglia dal collo di cigno ispirata ad un’antica foggia dell’epoca di Enrico IV, che permette il contatto del vino con l’aria evitando l’ossidazione, ma anche come sostiene Stepahnie: “provoca una piacevole musica al momento in cui si versa.” L’idea del Grand Siècle si basa sull’osservazione che la natura non ci donerà forse mai l’annata enologica perfetta, ma grazie all’arte dell’assemblaggio, Laurent‑Perrier può crearla in ogni nuova iterazione, andando ben oltre le annate. È la fusione di tre annate straordinarie dichiarate come millesimi da Laurent-Perrier e scelti per i loro tratti complementari: Un’annata per la struttura, una per la finezza, una per la freschezza. Sin dalla prima uscita della cuvée de Prestige nel 1959, un limitato numero di bottiglie sono


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state conservate “sur pointe” nella cantina della Maison, denominata “Galerie des Moines”, e nel 2012 in occasione del bicentenario della nascita della Maison, e per rendere omaggio a Bernard de Nonancourt, creatore della cuvée Grand siècle, la Laurent-Perrier decise di condividere il suo Champagne più prezioso ed emblematico del suo stile: “Les Réserves Grand Siècle” Risultato di 3 annate eccezionali risalenti all’inizio degli anni ’90 e “mise en cave” nel 1996. Les Réserves testimoniano la meravigliosa capacità di affinamento e durata nel tempo della cuvée Grand siècle e rappresentano l’eccellente sintesi tra le qualità organolettiche e la freschezza imprescindibile dello stile della maison. Un sigillo d’acciaio applicato sul collo di ogni singola bottiglia attesta la cura meticolosa con cui vengono realizzate e sopra al sigillo il numero della iterazione, (l’iterazione è l’azione di ripetere, di farlo nuovamente. In informatica è la procedura di un calcolo ripetitivo di un’operazione o di un ragionamento) e ad avvolgere ogni esemplare del prezioso Champagne, una velina raffigurante la Reggia di Versailles e posto in una elegante e raffinto cofanetto di legno a proteggerlo. Il dégorgement delle bottiglie, prodotte in tiratura limitata e solamente nei formati Magnum e Jeroboam, di Les Réserves Grand Siècle per pregio e rarità avviene di volta in volta su richiesta, lasciando le altre chiuse con il bouchon liège (tappo di sughero bloccato con una graffe), sur pointe (a testa in giù dopo il remuage, a contatto con i lieviti). Al momento è possibile ordinare Les Réserves itération N°17 Prodotta con le annate 1995-1993-1990 Assemblaggio del 55% di Chardonnay proveniente dai Grand Crus della Côte des Blancs, e Il 45% di Pinot Noir da villaggi Grand Crus della Montagne de Reims. Queste tre annate non sono mai uscite come Grand Siècle tradizionale. Uno Champagne elegante che fa della semplicità il suo stile.

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LANCETTE VINTAGE STRUMENTI DI PASSIONE

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ERA DA QUALCHE ANNO CHE NON CI CAPITAVA DI VEDERE IL MONDO DELL’OROLOGERIA COSÌ VIVO E VITALE COME IN QUESTO 2021. STIAMO PARLANDO DELL’INDISCUTIBILE ATTENZIONE CHE I SEGNATEMPO PIÙ IMPORTANTI, MODERNI MA SOPRATTUTTO VINTAGE, RIESCONO OGGI A CALAMITARE DA PARTE DI UN NUMERO SEMPRE MAGGIORE DI PERSONE. SI TORNANO A VESTIRE DEI MODELLI ANNI ’50 O ’60 E L’UNICO VERO ELEMENTO DI DISTINZIONE È LA RARITÀ E L’ORIGINALITÀ. IN QUESTE PAGINE ANDIAMO ALLA SCOPERTA DI ALCUNI PEZZI SPETTACOLARI, FOTOGRAFATI GRAZIE A MASSIMILIANO E MICHELE DI T<25 ROMA. LE IMMAGINI PARLANO DA SOLE, ANCHE SE INDOSSARLI AL POLSO È VERAMENTE TUTTA UN’ALTRA COSA. PROVARE PER CREDERE. di Gaia Giovetti foto di Lucio Convertini

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Universal Geneve Raro e assolutamente inusuale Tri-Compax crono fasi luna datario completo Cassa in oro giallo identica a quella utilizzata Sullo Zenith El Primero ref. G381 e A386 Anni ’70, quadrante su due toni Prodotto in circa 100 pezzi

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Pagina Accanto Rolex GMT Master II Ref. 1675 Anni ‘70 In questa pagina Rolex Submariner Date Ref. 16800 Quadrante e lunetta virati brown Anni ‘80

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Nella pagina accanto Omega Speedmaster Professional Racing Ref. 145.022-69, Type 3 del 1969 Movimento carica manuale calibro 861 In questa pagina Speedmaster Modello “Alaska III” Ref. 145.022-76 del 1977 Contatori con indici radiali Movimento carica manuale calibro 861

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Heuer Autavia ‘All Lume’ Ref. 2446H del 1968 Movimento a carica manuale Valjoux 72

T<25 ROMA

VIA POZZO DELLE CORNACCHIE N°57 00186 ROMA - ITALY INFO@T25ROMA.COM +39 (335) 73-85-442

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PHILLIPS - BACS & RUSSO

SULLA CRESTA DELL’ONDA «IL BATTITORE DEVE SENTIRE LA PRESSIONE DEL MERCATO, DEI VENDITORI, DEGLI ACQUIRENTI E DELLA STAMPA MA ANCHE DELL’ORGOGLIO PERSONALE: SE NON SI PROVANO PIÙ QUESTE EMOZIONI È MEGLIO RITIRARSI.» AUREL BACS RACCONTA IL MONDO DELLE ASTE E DEL COLLEZIONISMO OROLOGIERO

Di Paolo Gobbi ALMENO UNA VOLTA nella sua vità, sarà probabolmente capitato ad ogni bravo collezionista, osservando la propria collezione di orologi, di valutare la possibilità di metterne qualcuno all’incanto? Alla stessa maniera, quanti di noi, magari sfogliando un catalogo d’asta trovato in orologeria oppure da un amico maniaco come noi delle lancette, almeno una volta avrà pensato: «questo lo avrei battuto volentieri.» In tutti e due i casi probabilmente non sarà avvenuta né la vendita né l’acquisto. Questo perché il mondo delle aste è considerato ancora oggi elitario, chiuso, gestito da una casta di ricchissimi venditori e da acquirenti ancora più facoltosi. La realtà è ben diversa. Parliamo di questo e di mercato collezionistico con Aurel Bacs, Senior Consultant della Casa d’aste Phillips in Association with Bacs & Russo, uno degli uomini più importanti e influenti nel mondo dell’orologeria da collezione.

Vendita e acquisto tra privati, con un commerciante e con una Casa d’asta. Sono tre modelli diversi. Pro e contro? «La prima regola da seguire è controllare chi è il venditore: ci sono persone serie come criminali o ignoranti, ciò che conta è la buona reputazione di chi vende. Per quanto riguarda le diverse alternative per la vendita, non c’è un’opzione più o meno valida: ognuna ha vantaggi e svantaggi. In merito alle Case d’asta, i clienti hanno a disposizione una squadra di esperti che svolgono tutti i controlli necessari presso la casa madre, di conseguenza se c’è un errore o un problema si riesce a scovare prima. Un altro beneficio riguarda la pubblicazione del catalogo prima dell’asta, in questo modo l’acquirente può studiare l’oggetto e discuterlo: tutto è pubblico. Parlando dei lati negativi dell’asta, c’è da tenere in conto che il cliente deve difendersi contro altri collezionisti, questo per qualcuno è incoraggiante in quanto c’è il sostegno da parte del mercato. Altri pensano che le commissioni non valgano la spesa, tuttavia bisogna considerare la plus valenza data da un’asta pubblica dove c’è un catalogo, sono state fatte ricerche e infine c’è la benedizione

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del mercato e degli specialisti. Per l’acquisto dal commerciante non si paga la commissione ma al contrario non c’è il sostegno della comunità perché l’orologio non viene discusso, anzi nessuno deve sapere quanto è stato pagato. È chiaro che ci sono commercianti seri che fanno ricerche, hanno i certificati e le garanzie. Un altro lato interessante è che il compratore non deve difendersi dagli altri potenziali acquirenti come invece accade durante l’asta: bisogna solo pagarlo e portarlo a casa. Tuttavia il contatto diretto e non scritto con il commerciante può essere anche uno svantaggio nel caso in cui qualcosa dovesse andare storto. La trattativa da privato a privato è la combinazione più affascinante anche se pericolosa: non è chiamato in causa alcun professionista, non esistono cataloghi o testimoni e tutto ciò che succede rimane a parole e nel privato, nel bene e nel male. Inoltre ho visto persone vendere segnatempo pasticciati in buona fede perché non lo sapevano. L’aspetto positivo è che la contrattazione è molto competitiva, in quanto nessuno deve pagare affitti e stipendi ai collaboratori. Insomma, ognuno dei tre modelli di vendita ha grandi vantaggi e svantaggi ma alla fine si compra la persona e non l’oggetto.» Il mercato del collezionismo sta cambiando. Prima si parlava solo di orologi vintage adesso invece sono entrati con prepotenza anche i contemporanei, scambiati a prezzi altissimi. Le risulta questa tendenza? «Sì e questo riguarda sia i grandi nomi internazionali che quelli meno conosciuti. Abbiamo a che fare con una nuova generazione che si affaccia ora al mercato. Vedo questo andamento nell’arte e nelle auto da collezione: i giovani adorano il fascino dell’oggetto esclusivo, prestigioso ma non vogliono i problemi che ne derivano. È un’altra generazione abituata alle comodità, che non ha conosciuto lo charme del classico. Tuttavia chi si interessa dell’orologio moderno esclusivo si occupa anche del pezzo d’epoca e viceversa, in quanto le due cose non si escludono.»


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Aurel Bacs

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Patek Philippe Ore del Mondo Ref. 570, rarissimo piccoli secondi in acciaio con indici stampati Breguet. Asta Phillips The Geneva Watch Auction: XIII. Venduto a CHF 3.297.000.

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Patek Philippe Ore del Mondo Ref. 2523, doppia coronam Eurasia cloisonné enamel dial. Asta Phillips The Geneva Watch Auction: XIII. Venduto a CHF 7.048.000.

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Asta Phillips The Geneva Watch Auction: XIII. Patek Philippe Nautilus Ref. 5711P in platino battuto a CHF 567.000.

Asta Phillips The Geneva Watch Auction: XIII. Richard Mille Richard Mille Ref. RM022 battuto a CHF 756.000

Il Daytona rimane l’orologio più ambito nel collezionismo? «Direi di sì per mille motivi. Rappresenta quello che è la Ferrari rossa, un simbolo di prestigio e perfezione.»

vedere la speculazione nel mondo degli orologi, ma sono state le banche federali a intervenire per fare iniezioni di liquidità e poi questi soldi arrivano fino al centro di Roma.»

Rolex sta vivendo un momento di sopravvalutazione rispetto alla modellistica contemporanea. È una tendenza che vale anche nel mondo delle aste? «Senza dubbio. Quando abbiamo un Daytona moderno completo di scatola, garanzia e ghiera ceramica o un GMT in colorazione “Pepsi” o “Batman” sappiamo che andranno sempre al doppio del prezzo di listino o addirittura oltre.» Nel 1988 dicevano che il Daytona era una bolla che sarebbe scoppiata di lì a qualche mese e ancora non è successo. Cosa pensa quando le dicono che la bolla del vintage scoppierà? «Volendo essere molto elegante direi che si sbagliano. Se guardiamo a che livello era il Dow Jones nel 1988, vediamo ora un’evoluzione della popolazione mondiale: prima il PIL era di 100 dollari a persona mentre oggi è di circa 3.000/5.000, oggi tutte le persone vogliono il cellulare, la macchina o il Rolex al polso. Quando la classe media in paesi molto popolosi come la Cina e l’Indonesia è di un miliardo di persone e tutte vogliono questo benessere, la risposta l’abbiamo in tasca. Un terzo dei dollari in circolazione non esisteva prima del 2008, il risultato? Un cambiamento del bilancio tra domanda e offerta. Fin quando le banche federali non tolgono la liquidità del mercato e alzano gli interessi i mercati dell’immobiliare, dell’arte e degli orologi vanno avanti. Non sono tanto contento perché non è bello

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Un altro modello che sta vivendo un momento d’oro è il Royal Oak che risulta sempre più interessante. Sbaglio? «È senza dubbio uno degli orologi più importanti della storia dell’orologeria da polso. Ha tracciato un nuovo cammino del quale solo ora possiamo capirne l’impatto. Nel 1972 ha introdotto il segmento dei segnatempo di lusso sportivi. Questo perché il Daytona o lo Speedmaster erano degli strumenti tecnici. Invece il Royal Oak è un orologio bello che può andare ovunque, come una 4X4, inoltre ha ispirato modelli come il Nautilus e ha aperto la porta ai Daytona; è in questo modo che sono stati accettati nella società chic ed elegante. Di conseguenza non possiamo negare che sia un pezzo importante in senso storico. Sono pochi i prodotti che ancora mantengono dei punti forti e il Royal Oak lo fa con la forma di base del 1972 ancora attuale, i 39 mm a carica automatica, la comodità e la vestibilità. In origine le quotazioni erano basse: per esempio vidi il Jumbo perpetual a 20.000 euro, per fortuna il mercato si è modificato e l’orologio ha raggiunto il suo livello di apprezzamento ottimale.» Patek Philippe è ancora il re del vintage? «La valutazione più alta del 2021 fino adesso è un Patek Philippe World Time con quadrante smalto a quasi 8 milioni di dollari. Il prezzo di aggiudicazione è di per sé una risposta chiara e semplice a questa domanda.»


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Cinque straordinari Philippe Dufour in vedita da Phillips.

Il Nautilus è l’orologio con il maggior moltiplicatore del mercato? Per esempio, il quadrante verde viene comprato a 30.000 e si rivende a tanto di più. «I primi Nautilus venivano venduti ad oltre 400.000 euro per chi lo voleva subito, quindi c’è un fattore di moltiplicazione di 13. Adesso il suo valore è sui 200/250.000 euro.» Mantiene gli stessi valori anche nel mondo delle aste? Ha una quotazione corretta? «I cronografi 5980 e 5711 sono oggetti “caldi” da un po’ di tempo. Come anche tutti quelli colorati, rosa o con il quadrante marrone, il platino e la serie limitata per il giubileo. La collezione Aquanaut inoltre, ha beneficiato del valore che ha raggiunto il Nautilus.» Cosa mi dice degli indipendenti come F.P. Journe? «Stanno vivendo un momento straordinario. Il pezzo unico come l’Only Watch è un prodotto geniale e le persone hanno capito che dietro l’orologio si cela il lavoro di un artista, lo stesso vale per i segnatempo Philippe Dufour. Anche se sono Maison giovani e quindi ancora poco importanti, quei modelli sono opere d’arte che meritano di essere collezionate dagli amatori e per me gli Journe e i Dufour sono capolavori.» Cosa ne pensa di Richard Mille e le sue quotazioni spettacolari? «Come si dice: de gustibus non est disputandum e possiamo dire lo stesso di fronte a dei quadri. Dal mio canto posso solo confermare le quotazioni altissime che arrivano sempre oltre il listino o raddoppiano il prezzo del catalogo. Nel suo genere, diverso da F.P. Journe e Dufour, trovo i Richard

Mille degli oggetti eccezionali. A partire dalla tecnica, le peculiarità ed i materiali che non ha mai usato nessuno.» Da quanti anni è nel mondo delle aste? «Ho iniziato nel 1995 come impiegato: sono 26 anni.» Da quando batte le aste? Ogni volta è emozionante come la prima? «Le batto dal 1998/1999 e per me ancora oggi è un’esperienza incredibile. Faccio un paragone tirato: se Mick Jagger salisse sul palco annoiato e scocciato, senza adrenalina, sarebbe meglio che smettesse di esibirsi. Allo stesso modo in questo mondo bisogna essere nervosi, agitati, pieni di adrenalina e con la paura di sbagliare. Come i grandi campioni dello sport, è necessario sentire la pressione del mercato, dei venditori, degli acquirenti, della squadra e della stampa ma anche dell’orgoglio personale: se non si provano più queste emozioni è meglio ritirarsi.» Quando viene aggiudicato un orologio ad un milione di euro, l’affare chi l’ha fatto? Il venditore o il compratore? «Nel caso ideale, quando l’aggiudicazione cade al livello giusto, ci sono tre vincitori: il venditore che è felice sia andato tutto bene, l’acquirente che ha acquistato da una Casa d’asta seria un pezzo di valore, in quanto tutti gli altri compratori hanno lottato per un orologio che si conferma buono. Infine la Casa d’aste, che ha guadagnato per pagare chi ha permesso di raggiungere il risultato. In questo caso è un win win per tutti ed è ciò che proviamo a fare ogni giorno per ogni singolo oggetto.»

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CAPITOLO 3

MAGISTER

SPEEDMASTER SUGLI SCUDI SE NON LO AVETE ANCORA, È ARRIVATO IL MOMENTO DI ACQUISTARLO. SE NON COLLEZIONATE CRONOGRAFI È ARRIVATO CON LO SPEEDY IL MOMENTO DI INIZIARE

Di Mauro Girasole

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SIN DALLA NASCITA , si intuì che lo Speedmaster si sarebbe rivelato un cronografo assolutamente rivoluzionario. Une ère nouvelle s’ouvre avec votre chronographe Omega, si legge nelle istruzioni per l’uso di questo orologio, presentato al pubblico nel 1958, e tutte le sue specifiche tecniche ne saranno la migliore esemplificazione. La realizzazione della cassa dello Speedmaster, di una robustezza a tutta prova, è frutto di una stretta collaborazione tra tre persone: Claude Baillod, lo stilista di Huguenein che disegnò i progetti; Georges Hartmann, che costruì il prototipo; e Désiré Faivre, che ne realizzò l’esecuzione. Le caratteristiche dell’orologio erano: quadrante nero, lancette luminescenti, scala tachimetrica incisa sulla lunetta, cassa impermeabile (diametro iniziale 39 mm, poi - dal 1960 - 40 mm per i modelli con scala tachimetrica su fondo nero sulla lunetta), fondello avvitato, protezione aggiuntiva del movimento mediante un coperchietto interno,

cristallo incurvato, bracciale estensibile di metallo. Nel gennaio 1957 Lemania avviò la produzione dello Speedmaster, che fu presentato sul mercato nel 1958. Lo slogan di presentazione parlava del “nuovo cronografo con tachimetro e produttometro, creato per la scienza, l’industria e lo sport.” Nel 1958 infatti, oltre agli sportivi, anche gli ingegneri e gli scienziati suscitavano l’ammirazione universale. Come tutti ben sanno, la celebrità e, tutto sommato, anche l’immortalità di questo modello, arrivò nel 1969 con la conquista della Luna, che lo vide al polso degli astronauti. Da allora il MoonWatch, nella sua versione con movimento a carica manuale e grafica nera conosciuta universalmente come “Moon-look”, è entrato nei desiderata di appassionati o semplici amatori della bella orologeria. Sempre di alto livello la sua richiesta nei concessionari, specie per il susseguirsi delle serie speciali che ogni anno riescono a calamitare l’attenzione dei collezionisti di tutto il mondo.

MAGISTER THE BOOK

ANDREA FOFFI SPEEDMASTER SELECTION Il volume, in italiano e inglese, è disponibile in tre differenti edizioni 2021 COPIE NUMERATE E FIRMATE Stampa di altissima qualità in esacromia con tecnologia UV a Led per la massima resa cromatica. La più alta qualità oggi possibile nella stampa d’arte. 408 pagine Oltre 350 fotografie Formato 240x330 mm Peso del volume circa 3,10 Kg In vendita a 399 euro Se ordinato entro il 30 novembre, il prezzo è di 349 euro

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CAPITOLO 3

MODEL NAME YEAR REFERENCE NO MATERIAL CALIBRE SERIALE

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Speedmaster 2010 3578.51.00 Stainless steel Manual, Cal. 1861 77.118.310


EMOZIONI

MODEL NAME YEAR REFERENCE NO MATERIAL CALIBRE SERIALE

Speedmaster “Oman” 1990 ST 145.022 Stainless steel Manual, Cal. 861 48.2768.88

Il fotografo: Fabio Santinelli ha trattato i più celebri segnatempo come vere e proprie opera d’arte e non come semplici prodotti industriali. Sue le foto di queste pagine e tutte le foto di MAGISTER Speedmaster.

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CAPITOLO 5

POESIA

Come fiorire di Bibiana La Rovere

Noi che abbiamo dichiarato colpevole ogni bellezza nell’acuto suono resto fedele alla terra all’inverdire dei rovi. Tutto quel che mi inquieta di quella carità ardente ed umana è disposta nelle vene del Dio senza corpo nello scorrere versatile e impervio di ombra e luce. Un divenire grecale un codice segreto. Si appartengono nella vibrazione generativa dualità intransitiva di occhi su mani. Attraversa le mie labbra il brusio degli angeli l’alba canta frammenti di Pleiadi stelle dei marinai. Occorrono sensi speciali per udire di antiche risonanze. Con la ferocia suadente demoni di astuzia si rincorrono nel derubare ingannare espugnare. Eppure la vita è inarrestabile d’aria assiepata e sogno irrefrenabile Madre d’acqua ci acclama ad essere fieri nel decoro del blu indomiti agili al fato nelle guglie di sale coraggiosi e ribelli. “Conosci te stesso” era inciso nel Tempio di Apollo a Delfi. Ci invoca ad incarnare la sapienza a scardinare il cavallo di Troia a divenire fiaccole ardenti. Il pensiero è prezioso germoglio di luce divinità dell’Acropoli che scioglie dai mali Minerva di saggezza Dea dai tre volti l’ingegno per trafiggere con fulgore la dama nera nell’erebo. Laude l’incanto di un attimo in cui le cose adagiandosi fragili rivelano un tempo prezioso come petali di ciliegio. Folgorazione di luce sul mondo che vitale s’avvera nel buio come fiorire

Bibiana La Rovere Artista Poeta Performer

Si occupa di scrittura e cultura della comunicazione. Con il Concept Design unisce comunicazione, scrittura e arte per realizzare progetti innovativi di brand identity per l’impresa, con eventi editoriali e allestimenti interdisciplinari, in un processo di narrazione multisensoriale, che va dall’arte al design, dalla fotografia alla scrittura, al sound design, comunicando, attraverso il marchio, la brand identity, l’identità imprenditoriale. www.bibianalarovere.it

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Ascolta la conversazione di Bibiana La Rovere con Giovanni Folonari


time is pisa

pisaorologeria.com

+39 02 76 20 81


MI PIACCIONO GLI OROLOGI CHE POSSO INDOSSARE SIA CON UNA CAMICIA, SIA CON UN ABITO ELEGANTE E CHE SI ADATTANO COMUNQUE AL MIO STILE

Amanda Seyfried

www.handmade-mag.com

Date:

15 euro Trimestrale 30 Settembre 2021 nr. 07


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