HANDMADE - THE MAGAZINE OF WATCHMAKING EXCELLENCE - VOL. 06

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Metro neomatik 41 Update. Lo straordinario anello datario brevettato di NOMOS Glashütte arancio fluorescente è facile da impostare – in avanti e indietro. Lo rende possibile il calibro di manifattura DUW 6101 particolarmente preciso, con ricarica automatica e meccanismo datario, anch’esso brevettato. Disponibile presso i migliori rivenditori, ad esempio qui: Ancona: Ibis; Bari: Mossa; Battipaglia: Casella; Bergamo: Torelli; Biella: Boglietti; Bolzano: Oberkofler; Brunico: Gasser; Civitanova Marche:


Ibis; Cremona: Torelli; Firenze: Tomasini Francia; Flero: iGussago; Follonica: Perpetual; Gradisca d’Isonzo: La Gioielleria; Lecce: Mossa; Lignano: Bastiani; Mestre: Callegaro; Roma: Bedetti, Grande; Rovato: Baggio; Salerno: Ferrara; San Giovanni Valdarno: Horae; Saronno: Angelini; Seregno: Angelini; Siena: The Watch Gallery; Siracusa: Zimmitti; Spoleto: Tomasini Francia; Taranto: Ripa; Terni: Tomasini Francia; Treviglio: Torelli; Trieste: Bastiani; Verona: Concato, Saylon e qui: nomos-glashuette.com




Dedicato a Gianpiero


Alta Marea HANDMADE 6


Dedicato a Giampiero


Alta Marea HANDMADE 6



INCIPIT

PREFAZIONE: NOTA PER IL LETTORE

QUANTE VOLTE vi sarà capitato di sentire una voce del profeta di turno che diceva: «L’orologio? Non serve più, oramai l’ora la possiamo leggere ovunque! Sul cruscotto dell’auto, sul telefono, sul frigorifero.» Cosa rispondere ad un’affermazione di questo genere se non: «È vero, hai perfettamente ragione!»

Eppure il vero problema non è l’orologio ma è il tempo, che ci insegue inesorabilmente ovunque. Le tariffe telefoniche si pagano in minuti, il parcheggio, le auto e persino i fastidiosissimi monopattini si affittano in minuti. Per non parlare delle partite di calcio dove i minuti sono fondamentali per gestire una vittoria o recuperare una sconfitta. Poi le call, le webinar, la dad, dove un contatore scandisce la fine del tempo a nostra disposizione. Quindi, quello che dovremmo realmente scrollarci di dosso non è l’orologio, ma il tempo, la sua moderna ossessione, il suo incatenare silenziosamente le nostre giornate. Dovremmo buttarlo via questo tempo, nasconderlo, metterlo sotto un cuscino o meglio ancora dimenticarlo. In tutto questo qual è il ruolo dell’orologio? Semplice, è l’oggetto paradossalmente meno legato al tempo di tutti quelli che incontriamo nelle nostre giornate. La mattina, quando lo indossiamo, se lo abbiamo scelto con passione, immancabilmente ci strapperà un sorriso. Durante la giornata sarà spesso l’unico prezioso compagno di lavoro e di svago nel corso di riunioni, incontri, pranzi e cene più o meno ufficiali. Lo guarderemo per ricordarci quanto è bello il suo quadrante, per dimenticare un appuntamento fastidioso, per provare a fermare con la mente i secondi che inesorabilmente avanzano. Sarà forse anche per questo motivo che l’attenzione sui segnatempo si allarga a macchia d’olio ovunque, che per alcuni modelli bisogna mettersi in fila come al supermercato, che i pezzi vintage, specie quelli importanti, stanno vivendo una seconda importante giovinezza. Perché allora privarci dell’unico oggetto che possiamo indossare liberamente, che ci caratterizza, che non invia la nostra traccia a nessuno, che ci fa notare e, se lo abbiamo scelto bene, persino distinguere?

Paolo Gobbi

Appare, a volte, avvolta di foschia, magica e bella, ma se il pilota avanza, su mari misteriosi è già volata via, tingendosi d’azzurrm, color di lontananza (Guccini Francesco)

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CONTENTS

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INTRODUZIONE HANDMADE selection

RAFFAELE TOVAZZI

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CAPITOLO 1

Idee

CHANEL

AUDEMARS PIGUET Condividiamo emozioni

JAEGER LE COULTRE

ROLEX

WATCHFINDER.IT

GUCCI Un tourbillon per andare oltre

LJ ROMA 1962

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Il testamento di Italo Calvino...

«Electro» un anno ricco di colori

Reverso tribute nonantième Esplorare per andare oltre Iniziare con il piede giusto

Creatività e ragione


BORN IN LE BRASSUS

AUDEMARS PIGUET®

R OYA L OA K


CONTENTS

VETRINA

ZANNETTI Solo pezzi unici

CAPITOLO 2

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Scelti da HANDMADE

Motori

MERCEDES

TAG HEUER - PORSCHE Patrick Dempsey: il divo scende in pista

ZENITH - EXTREME

CAPITOLO 3

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Oltre il limite

Alejandro Agag: il cavaliere (verde)

Emozioni

DIEGO DALLA PALMA

SISLEY PARIS Sulle spalle dei giganti

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La bellezza del nuovo mondo

PAOLO MARICONTI

Alla ricerca del benessere

EVERYTIME, EVERYWHERE

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www.handmade-mag.com



CONTENTS

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COMPAGNIE DE PROVENCE

SHOOTING

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Mini Maxi

VITRA

LIBRI MAGISTER HANDMADE Speedmaster: la collezione dei sogni

DOM PERIGNON

VOLCÁN DE MI TIERRA Il messico a portata di bicchiere

SPIRITS

LA RICETTA Poké bowl l’alternativa

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Tesori della natura

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L’essenza della creatività e del design

Energie effervescenti

La svolta green di Beefeater

®

DIRETTORE RESPONSABILE

Paolo Gobbi ppgobbi@handmade-editore.com HANNO COLLABORATO:

Lara Mazza, Naomi Ornstein Carlotta Mancini, Giovanni Titti Bartoli Alessandro Fanciulli, Camilla Giusti Mauro Girasole, Claudia Gobbi, Manlio Giustiniani, Marco Valerio Del Grosso, Manuel Maggioli, Sara Tiberia Matteo Zaccagnino, Bibiana La Rovere PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Gianpiero Bertea ILLUSTRAZIONI

Domenico Condello

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MANAGING DIRECTOR

Mauro Girasole mauro.girasole@handmade-editore.com Tel. + 39 333 8681656 SERVIZIO MODA

Gaia Giovetti Lucio Convertini Costanza Maglio

DISTRIBUZIONE

Press-di S.r.l. - Via Mondadori, 1 Segrate (Milano) 20090 HANDMADE® è un marchio registrato Registrazione del Tribunale di Roma n. 146/2019 del 07.11.2019

SEGRETERIA

Abigail Canta info@handmade-editore.com ARRETRATI E ABBONAMENTI:

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Color Art Spa - Via Industriale, 24/26 25050 Rodengo Saiano BS

HANDMADE EDITORE srl

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L’etichetta FSC garantisce che la carta utilizzata proviene da una foresta e da una filiera di approvvigionamento gestita in modo responsabile. La carta utilizzata da Handmade: copertina: Arena White Smooth interno: Magno Natural Sappi schede: Fedrigoni GSK moda: Fedrigoni Patinata lucida


time is pisa

pisaorologeria.com

+39 02 76 20 81


INTRODUZIONE

L’ICONA

Ciao Giampiero Ci hai insegnato cosa sono le lancette, come devono girare e come devono essere quando sono belle. Ci hai insegnato a non aver paura delle critiche, a trovare sempre una maniera per far sentire la nostra voce e le nostre idee. Ci hai insegnato che non si mangia e non si scrive tutto qullo che ci viene proposto. Ci hai insegnato che il lavoro è sacrificio e va fatto seriamente, ma chi legge non ne deve avvertire il peso, anzi al contrario si deve divertire. Ci hai insegnato che un mezzo toscano, un bicchiere di rosso e tre amici sinceri con cui giocare a scopone scientifico sono la maniera migliore per sopravvivere a questi anni.

Ci hai insegnato a non prenderci mai troppo sul serio, a volore bassi facendo però cose bellissime. Ci hai insegnato a sbuffare, ad essere rompicoglioni, ad incazzarci, perché non bisogna sempre e per forza essere buoni o buonisti. Ci hai insegnato ad essere presenti, a toccare con mano anche quando sai già che sarà una delusione, perchè non puoi raccontare nulla se prima non lo hai provato in prima persona. Ci hai insegnato che si rimane colpiti da un orologio guardandone il quadrante, ma la meccanica è quella che trasforma la passione in amore. Ci hai insegnato che il tempo finisce e dopo non c’è più nulla, se non le nostre parole nella mente di chi ci ha voluto bene. Gobbone

Giampiero Negretti è stato il primo giornalista italiano e non solo a raccontare il mondo delle lancette. Ha pubblicato diversi libri e ha curato molte rubriche sui più importanti quotidiani e periodici nazionali. È stato caporedattore centrale al Giornale diretto da Indro Montanelli. Aveva 77 anni quando ci ha lasciato.

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baume-et-mercier.com

Riviera Automatico, 42mm


INTRODUZIONE

FONDAZIONE COLOGNI

UN’APP PER IL BELLO WELLMADE L’applicazione di Wellmade è uno strumento per scoprire gli artigiani intorno a sé e avere gli indirizzi delle migliori botteghe sempre a portata di mano. Disponibile e scaricabile gratuitamente su Android e iOS è uno strumento digitale, che si aggiunge al portale (www.well-made.it), utile per scoprire le migliori botteghe artigianali intorno a sé e tenere i loro indirizzi sempre a portata di mano, con un semplice tocco. Una navigazione basata sulla posizione dell’utente. L’applicazione amplifica l’esperienza di navigazione del sito well-made.it: mentre presenta gli stessi contenuti e funzionalità, grazie alla geolocalizzazione permette un utilizzo da cellulare semplice e realmente user-friendly, anche in movimento e in tempo reale. Un progetto ambizioso che nasce dalla consapevolezza che il 70% del traffico sul portale avviene da mobile: così, per differenziare le due esperienze di navigazione, mentre il sito mostra i risultati di ricerca su tutto il territorio nazionale, l’app offre una consultazione focalizzata sulla posizione dell’utente, garantendo un modo semplice e gratificante di scoprire i tesori nascosti nella propria città, o semplicemente nel luogo in cui ci si trova, e avvicinarsi ancora di più alle tradizioni del nostro territorio. Wellmade mette così a disposizione di artigiani e botteghe un nuovo strumento per divulgare il loro straordinario lavoro all’ampio pubblico che già consulta abitualmente il sito, e non solo.

Le funzionalità base È possibile scoprire le botteghe di Wellmade sia esplorando la mappa interattiva, sia effettuando una ricerca per filtri, trovando l’artigiano per nome, mestiere o provincia, oltre che per i prodotti e i servizi offerti. Direttamente dall’app è possibile contattare la bottega e ottenere le indicazioni per raggiungere l’indirizzo, grazie alla navigazione collegata all’applicazione Mappe del cellulare, Waze e Google Maps. Proprio come sul sito, ogni artigiano registrato ha infatti una scheda personale, con la descrizione dell’attività, una galleria di immagini, i prodotti e i servizi offerti, contatti diretti e orari di apertura. Per gli utenti in cerca di suggerimenti, la sezione Ispirami offre invece diverse risorse da consultare: artigiani in evidenza, consigli di autorevoli esperti dei mestieri d’arte e le new entry di Wellmade. Direttamente dall’app è inoltre possibile suggerire alla redazione i maestri artigiani non ancora presenti su Wellmade, dando l’opportunità agli utenti di proporre l’inserimento sull’app di botteghe eccellenti e per loro significative. Abilitando le notifiche push infine, l’app segnala l’artigiano della settimana, selezionato per gli utenti dal team di Wellmade. Le funzionalità più avanzate Per utilizzare queste funzioni basta scaricare l’app e iniziare a esplorare, anche senza essere registrati. Creando il proprio account invece, si possono anche salvare gli artigiani preferiti e valutare le botteghe visitate. Ma l’applicazione offre un utilizzo più agevole e appagante anche per gli artigiani: oltre alle funzioni già elencate, ora gli Artigiani possono gestire il loro profilo in modo facile e rapido direttamente dall’app, aggiornando le informazioni e aggiungendo nuove immagini alla galleria; mentre per i neofiti la procedura d’iscrizione diventa ancora più semplice e veloce. Proprio come gli utenti, gli artigiani possono approfittare dei contenuti offerti dall’app per restare sempre aggiornati sulle novità del loro mestiere, conoscere il lavoro di altri maestri e trovare nuova ispirazione per i loro progetti.

Wellmade è un progetto digitale della Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte, nato nel 2015 dalla collaborazione con il duo di designer di Whomade, Dario Riva ed Edoardo Perri. La piattaforma, lanciata a ottobre del 2016, permette di scoprire i migliori artigiani in Italia, conoscere il loro lavoro e recensire i loro prodotti e servizi su misura.

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INTRODUZIONE

ILONA OREL

DA PARIGI ART OF SYMBOLISM

Con un’esperienza nell’arte contemporanea come proprietaria di una galleria parigina, Ilona Orel ha recentemente lanciato il suo marchio di gioielleria. Si tratta di una collezione di gioielli-talismani con il potere evocato di essere dei veri porta fortuna, in grado di proteggere e nutrire la spiritualità: simboli universali reinventati con un tocco contemporaneo.

La collezione di Ilona Orel è il risultato della sua personale ricerca su fonti antiche e sacre, studiando sia testi che oggetti, misticismo e alchimia. Il risultato sono dei preziosi carichi di emozioni, che rafforzano e illuminano. Per provarli dal vivo basta andare da Just One Eye a Los Angeles oppure a Legacy Store a Parigi.

Sopra la parure Wheel of Fortune Per info www.ilonaorel.com

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INTRODUZIONE

HAUSMANN & CO.

COM’È CAMBIATA L’OROLOGERIA Non c’è appassionato di orologeria romano o italiano che non conosca il nome Hausmann & Co. Nelle sue vetrine sono esposti i segnatempo delle maison che hanno fatto la storia dell’orologeria e che si confermano ancora oggi punto di riferimento per gli appassionati di tutto il mondo. La competenza tecnica e l’esperienza di oltre 225 anni di Hausmann & Co. permettono di selezionare per la clientela i marchi ed i prodotti migliori per finezza meccanica, gusto estetico e valore. Il suo Centro Assistenza rappresenta il fiore all’occhiello dell’azienda. La sua competenza orologiera è un fattore dal valore strategico, custodito dalla numerosa squadra di maestri orologiai e lucidatori impiegati nel laboratorio. Tutto questo lo rende oggi il più rinomato laboratorio indipendente in Italia. Dal 2017 il vintage è entrato nell’offerta dell’orologeria romana: vengono selezionati modelli di recente produzione, secondo polso Rolex e Patek Philippe e delle altre marche più

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conosciute, ma anche rarità, edizioni limitate o referenze della seconda metà del secolo scorso che hanno contribuito a definire la storia dell’orologeria da polso. Abbiamo incontrato Francesco Hausmann e Benedetto Mauro, co-amministratori della società, per avere da loro un feedback su come stia andando oggi il mondo delle lancette. La clientela italiana è tornata ad acquistare orologi? «Non solamente è tornata, ma paradossalmente è fortemente aumentata rispetto al passato.» Una situazione che riguarda tutte le orologerie? «Ognuno di noi ha una propria sensibilità imprenditoriale, che gli consentirà di fare un’analisi accurata. Per quanto ci riguarda le vendite ai clienti italiani è oggi importantissima. Non possiamo però dire se si tratta di nuovi o vecchi clienti. Dietro tutti i numeri c’è da fare un’analisi molto complessa che prevede molte variabili.»


SUGGESTIONS

Le vendite riguardano tutti i marchi della vostra offerta? «Alcuni brand hanno avuto una performance, altri un’altra. Non è tutto semplice quello che sta succedendo e va analizzato con molta attenzione, perché ogni marca è un caso a sé. Ci sono brand che hanno fatto bene i compiti a casa nel passato e quindi oggi si trovano ad essere considerati positivamente dal mercato.»

l ruolo del rivenditore è cambiato? «Sì, è avvenuto negli ultimi cinque anni. Prima eravamo per così dire dei “procacciatori di vendite”, tesi verso il mercato, adesso, invece, siamo costretti a difenderci. Eravamo – per citare Sabina Guzzanti – degli “spingitori di orologi”, oggi al contrario siamo costretti a centellinare i pochissimi pezzi che riceviamo dalle case madri.»

Considerare un orologio come un bene rifugio è una lettura corretta? «Non proprio, in quanto falsa la lettura del successo che alcune marche hanno oggi.»

Si complica non poco la vendita. «Sì. Siamo costretti a fare mille ragionamenti prima di vendere un orologio in un modo o in un altro, a una persona o all’altra, ponendoci costantemente delle domande per difendere l’immagine nostra e del brand.»

Cambierà la situazione in futuro? «Andiamo verso la normalizzazione del mercato. Probabilmente alcune cose si aggiusteranno e torneranno come prima, altre invece saranno così compromesse da non tornare più come un tempo. È veramente come stare al cinema perché il nostro settore è un’esplosione di situazioni che vedremo come atterreranno.» Tra i nuovi clienti ci sono anche dei giovani? «Sicuramente sì. Abbiamo questo fenomeno. Lo consideriamo da approfondire con attenzione.»

Qualcuno definisce questo mercato orologiero come una bolla pronta a scoppiare. È così? «No, la bolla non scoppia. Il management delle Maison che guidano il mercato è talmente intelligente, monitora talmente bene la situazione della domanda e dell’offerta, ha talmente capito la filosofia esoterica che c’è in questa proporzione aurea tra produzione e vendita, da non temere nessuno scossone presente e futuro.»

Nella pagina accanto, Francesco Hausmann e Benedetto Mauro, co-amministratori di Hausmann & Co. Sopra, il negozio di Via del Babuino 63 a Roma

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INTRODUZIONE

PISA OROLOGERIA

I NUMERI FANNO LA DIFFERENZA Nel momento di massima incertezza sociale ed economica, lo scorso anno Pisa Orologeria ha deciso di investire in nuovi progetti, dimostrando di saper resistere a periodi avversi grazie a una gestione aziendale accurata nel corso degli anni e al rapporto consolidato con la clientela locale: nel pieno del primo lockdown, è stato lanciato Pisa Circle: una vetrina digitale che permette agli appassionati di visionare in qualsiasi momento, da ogni dispositivo e da ovunque nel mondo un’ampia selezione di oltre 2000 prodotti disponibili tra più di 30 brand di alta orologeria, gioielleria e accessori. Inoltre l’Azienda a metà 2020 ha dato il via ad un progetto in preparazione da tempo e rivolto principalmente alla clientela italiana: TIMELESS, un nuovo servizio dedicato agli orologi acquistati in passato, che consente ai clienti più affezionati di rinnovare le proprie collezioni tramite un servizio di permuta dedicata e sicura. Ma veniamo ai numeri. Dopo un 2019 chiuso con 77,4 milioni di Euro di ricavi (+8,4% sul 2018) l’epidemia da Covid-19 ha stravolto le logiche commerciali e distributive di una città come Milano e dell’intero panorama internazionale. Il lockdown prolungato, le zone rosse e il blocco del turismo hanno fatto decrescere i ricavi del 2020 (€48.8 mln) del 36.9% rispetto al risultato raggiunto nel 2019 dopo un triennio di stabile e sensibile crescita: un calo concentrato nella prima metà dell’anno e al di sotto delle aspettative iniziali del settore orologiero.

Segnali di ripresa, investimenti e “nuovi” mercati, Pisa Orologeria affronta in 2021 in maniera positiva. In foto Chiara Pisa.

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SUGGESTIONS

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INTRODUZIONE

Foto Aldo Sodoma

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SUGGESTIONS

RAFFAELE TOVAZZI

IL TESTAMENTO DI ITALO CALVINO E IL FALLIMENTO DELLA RADIOFONIA ITALIANA Il 6 luglio del 1984 Italo Calvino venne ufficialmente invitato dalla prestigiosa Università di Harvard a tenere un ciclo di sei conferenze che si sarebbero dovute svolgere nell’autunno del 1985 a Cambridge (Massachusetts), nell’ambito delle Charles Eliot Norton Poetry Lectures. Era la prima volta che tale onore veniva concesso ad un italiano e Calvino deve aver sentito il peso di questa grande responsabilità visto che, per più di un anno, le cosiddette “Lezioni Americane” divennero per lui un’autentica ossessione. Va precisato che egli non tenne mai queste sei conferenze perché un ictus lo colse il 6 settembre del 1985, determinandone la prematura morte per un’emorragia cerebrale due settimane più tardi, il 19 settembre del 1985. Le sue “Sei proposte per il nuovo Millennio” vennero pubblicate postume, grazie ad una grande opera di rielaborazione degli appunti per mano della moglie, e vengono considerate una sorta di testamento letterario dello scrittore. Nelle “Lezioni Americane” disarma la profetica lucidità di Calvino e la capacità di toccare degli assoluti che si dimostrano sempre contemporanei, in grado di fornire al lettore più attento una limpida fotografia del nostro tempo e un’utile guida per sopravvivere allo stesso. I temi delle sei lezioni sono la leggerezza, la rapidità, l’esattezza, la visibilità, la molteplicità e infine la coerenza. Quest’ultima lezione rimase perlopiù incompiuta e riguardava, ironicamente, il portare a termine le cose. Calvino sembra descrivere le caratteristiche delle realtà commerciali destinate a prosperare

in un millennio che, fin dai suoi albori, ha messo in scena il crollo di numerose certezze. Dalle torri gemelle nel 2001, al Covid-19 nel 2020, passando per la crisi finanziaria del 2008, il nostro “benvenuti nel nuovo Millennio” ha cantato a chiare lettere il proprio monito: è tempo di cambiamento e chi non è in grado di evolvere, mettendo in discussione i propri assunti, sarà destinato a soccombere. Che cosa c’entra tutto questo con la radio? Molti credono che nel giro di dieci anni assisteremo al fallimento della radiofonia in Italia, fatta di strutture pesanti, lente nel cambiamento, incapaci di dare voce ai bisogni del nostro tempo e fare innovazione come in passato la radio aveva egregiamente fatto. Le alternative oggi non mancano, basti pensare al proliferare dei podcast e del live streaming che negli ultimi dodici mesi ha determinato la fuga di capitali pubblicitari dai mass media ed il reinvestimento degli stessi sulle nuove piattaforme digitali che, a ben guardare, hanno tutte le caratteristiche indicate da Calvino: sono leggere, rapide, offrono una misurazione precisa dei dati e sono in grado di catturare l’attenzione del pubblico e determinare le tendenze proprio come un tempo faceva la radio. I mass media sono il Titanic e le nuove tecnologie l’iceberg che ormai non si può più ignorare; l’unica possibilità di sopravvivenza è che chi dirige la radiofonia italiana oggi rilegga Calvino, ma sappiamo che questo purtroppo non avverrà. Riposa in Pace Radio, ti ho amata come nient’altro.

Raffaele Tovazzi (per gli amici TOVA) è il primo Filosofo esecutivo in Italia, l’equivalente americano di chief philosophy officer. Una figura che può rivelarsi strategica in un mondo sempre più tecnologizzato, dove le imprese innovative tornano a riscoprire il loro lato più “umano”. Quando non è impegnato a salvare il mondo facendo finta di essere una persona seria, è in live su Twitch per coronare il suo sogno più grande: fondare una radio pirata.

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CAPITOLO 1

idee

CAPITOLO 1

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IDEE

Chanel Code Coco Electro. Edizione limitata 255 pezi. Cassa in acciaio con trattamento nero ADLC e bracciale ricoperto in pelle rosa neon

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CAPITOLO 1

CHANEL

«ELECTRO» UN ANNO RICCO DI COLORI ARNAUD CHASTAINGT, DIRETTORE DELLO “STUDIO DE CRÉATION HORLOGERIE” DELLA CASA PARIGINA, RACCONTA LA COLLEZIONE CHE NASCE DALL’IMMAGINARIO DELLA CULTURA MUSICALE

Di Paolo Gobbi

DIRETTORE CREATIVO dell’orologeria “Chanel dal 2013, Arnaud Chastaingt è l’uomo che ha segnato tutte le scelte, spesso audaci, della Maison parigina negli ultimi anni. Suoi il Boy Friend, il Code Coco come pure il concept del Monsieur, assieme a tante versioni del Première, J12 e Mademoiselle Privé. Chi meglio di lui poteva raccontare cosa c’è dietro ad una serie di novità, che pongono Chanel come uno dei produttori più prolifici e positivi di quest’anno.

Prima di svelare le sue nuove creazioni, come riassumerebbe la collezione presentata nel 2020? «L’anno 2020 si è distinto in particolare per la celebrazione del 20° anniversario dell’orologio J12 attraverso le creazioni come il J12∙20 e il J12 Paradoxe. Nel medesimo anno l’Alta Orologeria è stata per me terreno di espressione particolarmente stimolante. Progetti come la collezione Mademoiselle Privé Bouton, l’orologio J12 X-Ray e la collezione Coco O’Clock mi hanno permesso di mettere in luce la mia visione dell’Alta Orologeria Chanel e di mostrare le sfaccettature creative che la definiscono. Quest’anno, per la prima volta, abbiamo scelto un tema trasversale, una storia che ripercorre tutta la collezione di

orologi.» Una novità arricchisce la collezione J12 Calibro 12.1. Di cosa si tratta? «Nel 2021 il J12 da 38 mm Calibro 12.1 è disponibile in una versione gioiello. La lunetta con diamanti taglio brillante e il quadrante con 12 indici di diamanti impreziosiscono i modelli in ceramica bianca e nera della collezione.» Quest’anno avete scelto di raccontare Le Temps Chanel con un tema trasversale. Può presentare questa collezione? «È un anno ricco di colori per Le Temps Chanel! Per il 2021 ho scelto di raccontare una storia e svelare le nostre creazioni attraverso un universo che mi ispira. È una capsule collection immersiva i cui codici grafici sono presi in prestito dall’immaginario della cultura musicale Electro.» In che modo questo movimento musicale l’ha ispirata? «Negli anni ‘90, questo movimento musicale ha imposto un universo estetico radicale ed eccentrico, riflesso della vita notturna e dell’atmosfera in cui si è sviluppato. La musica elettronica è andata oltre l’ambito musicale,

Chanel Première Electro, edizione limitata di 555 pezzi. Cassa in acciaio con trattamento DLC nero. Fondello in acciaio. Corona in acciaio con cabochon in onice.Quadrante laccato nero. Bracciale a catena tripla in acciaio con trattamento nero ADLC con cinturino in pelle intrecciato nei colori neon arcobaleno.

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IDEE

Chanel J12 Electro Dream. Edizione limitata di 55 pezzi. Cassa in ceramica nera opaca ad alta resistenza e acciaio con trattamento ADLC nero. Lunetta con 46 zaffiri arcobaleno (circa 6,47 carati). Quadrante con 12 zaffiri arcobaleno (circa 0,47 carati). Movimento automatico calibro 12.1 cronometro COSC

Chanel J12 X-Ray Electro Caliber 3.1. Edizione numerata di 12 pezzi. Cassa in oro bianco. Lunetta con 46 zaffiri arcobaleno (circa 6,46 carati). Quadrante in oro e zaffiro con 12 zaffiri arcobaleno (circa 0,48 carati). Bracciale in oro con 34 diamanti baguette (circa 1,96 carati). Movimento automatico calibro 12.1 cronometro COSC

Chanel J12 Electro Dream. Edizione limitata di 55 pezzi. Cassa in ceramica bianca opaca ad alta resistenza e oro bianco 18 carati. Lunetta con 46 zaffiri arcobaleno (circa 6,47 carati). Quadrante con 12 zaffiri arcobaleno (circa 0,47 carati). Movimento automatico calibro 12.1 cronometro COSC

Chanel J12 Electro. Edizione limitata di 1.255 pezzi. Cassa in ceramica nera opaca ad alta resistenza e acciaio. Lunetta girevole con indici color arcobaleno neon. Quadrante nero con indici stampati arcobaleno neon. Movimento automatico calibro 12.1 cronometro COSC

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CAPITOLO 1

Chanel J12 Electro Star. Edizione numerata di 12 pezzi. Cassa in oro bianco con 22 diamanti taglio baguette (circa 1,33 carati), lunetta con 46 diamanti taglio baguette (circa 5,46 carati). Quadrante in oro bianco con 168 diamanti baguette (circa 4,61 carati). Bracciale in oro bianco con 342 diamanti taglio baguette (circa 21.15 carati) e 160 zaffiri Rainbow taglio baguette (circa 8,69 carati). Movimento automatico calibro 12.1 cronometro COSC

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IDEE

Orologio anello Chanel Mademoiselle Privé Bouton decoro camelia. Serie numerata a 5 pezzi. 426 diamanti (circa 6,76 carati) e un diamante da circa 0,5 carati. Movimento al quarzo.

generando una vera e propria cultura estetica. La performance è totale, sensoriale, grafica e va oltre il suono. Tutt’uno con i luoghi in cui si svolge, la cultura Electro si è sviluppata come movimento di espressione artistica a sé stante. È piuttosto affascinante ed è fonte di ispirazione!» Come ha tradotto questa ispirazione? «Ho immaginato questa capsule collection come una programmazione, invitando i nostri classici ad alternarsi sul palco prendendo in prestito i codici di questo universo. Il confronto tra nero e colore è al centro di questa storia. Il colore illumina il nero. La profondità del nero sottolinea il colore, l’unione è radicale e il contrasto è grafico. Ritmato dalla danza delle lancette, “Le Temps Chanel” vibra al suono della musica Electro. Per questa collezione, J12, Première, Code Coco e Boy-Friend vengono svelati in un’atmosfera grafica, vibrante e ipnotica.»

introduce le 4 declinazioni dell’Alta Orologeria. Un cofanetto nero laccato rivela un polittico di dodici J12. La composizione vibra al ritmo di una gradazione cromatica di 12 battute. L’insieme dà vita ad una creazione unica. Il concept della J12 Electro BOX è stato immaginato come una “performance”. La creazione J12 Electro DREAM combina questi 12 colori in una gradazione circolare e continua di zaffiri che si irradiano sulla sua lunetta. Sul quadrante, gli indici taglio baguette richiamano questa palette cromatica. Mentre sembra che solo la brillantezza dei diamanti taglio baguette lo illumini, i suoi profili sono completamente ricoperti da un camaieu di zaffiri che avvolge il polso. Rivestito di nero, il Calibro 12.1 ospitato in questo orologio presenta una massa altrettanto impreziosita da una gradazione circolare di zaffiri colorati.»

L’orologio J12 è una straordinaria rappresentazione di questa collezione. Può raccontarci l’interpretazione Electro di questa creazione iconica? «Per l’occasione, il J12 Calibro 12.1 è disponibile esclusivamente nella sua versione in ceramica nera. I suoi numeri sono costituiti da una gradazione circolare di 12 tocchi di colore che ritmano il quadrante e la lunetta e che elettrizzano il suo look. Il J12 Electro definisce lo stile della collezione e

Nel 2020 l’audacia della trasparenza integrale del J12 X-Ray ha lasciato un’impronta indelebile. Anche Electro segue questo tema. «In effetti, dotato del Calibro 3.1, il J12 X-Ray è molto attuale. Dodici zaffiri taglio baguette scandiscono le ore attraverso una punteggiatura di colori. Questa gradazione richiama la preziosità della lunetta dove i diamanti sono stati sostituiti da uno spettro di zaffiri.»

Orologio bracciale Chanel Mademoiselle Privé Bouton decoro camelia. Serie numerata a 55 pezzi. Oro giallo e bianco, 210 diamanti. Movimento al quarzo.

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CAPITOLO 1

IN CHANEL LIBERTÀ DI CREAZIONE ED ECCELLENZA DEL SAVOIR-FAIRE VANNO DI PARI PASSO, QUESTA COMBINAZIONE È UN DATO DI FATTO E OGNI OROLOGIO COMBINA PERFETTAMENTE QUESTI DUE REQUISITI

Arnaud Chastaingt, direttore dello “Studio de Création Chanel Horlogerie”

Anche l’orologio Première è particolarmente sorprendente. «Per la collezione Première, ho invitato ad unirsi al party la versione con la catena triplo giro. Anche in questo caso, abbiamo scelto il total black prima di intrecciare la sua catena con un nastro di pelle colorata. Il contrasto è intenso, la profondità del nero illumina questa gradazione di colori fluo che avvolgono il polso. Lo stile di questo orologio è decisamente di grande impatto.Questa creazione è disponibile anche in cofanetto. La Premiere Electro Box presenta un polittico grafico di 7 orologi disposti in modo da offrire uno spettro cromatico ultra colorato. È un vero inno al colore.» Anche gli orologi Code Coco e Boy-Friend hanno ceduto ai suoni accattivanti della musica Electro. Può parlarci di queste due nuove interpretazioni? «L’orologio Code Coco elettrizza la collezione in modo inaspettato. In questa occasione, ho sostituito il colore nero del bracciale con della pelle rosa opaca, fluorescente e rifinita con vernice nera. Avvolgendo il polso, Code Coco Electro attira l’attenzione e sfoggia una particolare audacia. Anche l’orologio Boy-Friend ha scelto un rosa shocking, ma unicamente sulla parte interna del cinturino con motivo matelassé. Negli anni ‘90, il movimento Electro ha sviluppato un universo grafico unico e in particolare ha attinto ai codici grafici dell’arte digitale ed elettronica. In questo caso viene richiamato il motivo pixel di un robot che appare sul quadrante nero del Boy-Friend.» Diceva che è sempre stato affascinato dall’orologio J12, tanto da essere diventato la sua musa ispiratrice. Oltre a questa capsule Electro, si dice che lei abbia un’altra sorpresa in serbo. «La fine dell’anno 2020 ha contrassegnato il

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grande ritorno della collezione Mademoiselle J12. Queste due icone si sono incontrate nuovamente per dare vita ad un’altra preziosa creazione di Alta Orologeria. Un charm con l’effigie stilizzata di Mademoiselle è rivettato alla corona del J12. Per il 2021, il concept di “Mademoiselle J12 Acte II” si estende. La preziosità dei diamanti taglio baguette incastonati sulla lunetta ha lasciato il posto a una lunetta sfaccettata. Laccato in bianco o nero, il tailleur di Mademoiselle si abbina perfettamente al colore della ceramica dell’orologio.» Per concludere il discorso sulle novità della collezione “J12”, sembra che il colore rosa abbia sedotto questa icona della moda. «In effetti, il J12 ama veramente il rosa. Occasionalmente e per edizioni limitate, il J12 bianco sa come svincolarsi dal nero e acquisire un colore. Nel 2021 è stato realizzato con pochi tocchi di rosa, un rosa luminoso la cui intensità evidenzia il bianco minerale del quadrante.» In 30 anni, Chanel si è affermata nel mondo dell’orologeria ed è oggi uno dei maggiori attori del settore. Secondo lei cosa rende l’orologeria Chanel così unica? «Chanel è una Maison Creativa e la sua orologeria ha aderito fedelmente a questa regola. Nel 1987 Chanel è entrata in questo universo con la libertà che la distingue. In Chanel libertà di creazione ed eccellenza del savoir-faire vanno di pari passo, questa combinazione è un dato di fatto e ogni orologio combina perfettamente questi due requisiti. Un orologio Chanel racconta sempre una storia di stile. Il tempo è scandito dalla misurazione di un ritmo, il ritmo de Le Temps Chanel.»


IDEE

Chanel Boy Friend Electro. Edizione limitata di 55 pezzi. Cassa in oro beige. Lunetta con 38 diamanti taglio baguette (circa 1,58 carati). Corona con 5 diamanti taglio baguette (circa 0,12 carati). Movimento di manifattura a carica manuale.

Chanel Boy Friend Electro. Edizione limitata di 55 pezzi. Cassa in acciaio. Lunetta in acciaio con 64 diamanti taglio brillante (circa 0,71 carati). corona con spinello nero cabochon. Quadrante nero con robot disegnato con 78 diamanti taglio brillante (circa 0,12 carati). Movimento al quarzo.

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AUDEMARS PIGUET

CONDIVIDIAMO EMOZIONI «AMIAMO DEFINIRCI UN BRAND SERIO (E CHE FA COSE SERIE!) MA CHE NON SI PRENDE TROPPO SUL SERIO.» ANDREA CARDILLO RACCONTA LA BELLA OROLOGERIA

Di Paolo Gobbi

NON È FACILE affrontare oggi il mercato dell’Alta Orologeria. Paradossalmente è ancora più difficile se il marchio per il quale si lavora. Appartiene al ristretto novero dei desiderabili, di quelli che vedono il valore di alcuni dei loro modelli, salire ben oltre il prezzo usuale di vendita. Non si tratta però di un risultato dovuto al caso, quanto di un obiettivo raggiunto con anni di cura maniacale non solamente della creatività e della produzione, quanto della distribuzione. Andrea Cardillo, country general manager Audemars Piguet per l’Italia, ci racconta come si gestisce un mercato bello e complesso come quello italiano.

Qual è il primo pensiero del mattino quando arriva in ufficio? «Il nostro lavoro negli ultimi tempi è cambiato molto, i ritmi sono incalzanti e l’agenda fitta di impegni. Quando arrivo in ufficio la mattina penso sempre che dovrò dare il massimo per

guidare il mio team e per seguire al meglio le richieste dei nostri clienti.» Qual è la sfida più difficile di questo 2021? «Il nostro ceo – François-Henry Bennahmias - ha confermato che nel 2020 Audemars Piguet si è dimostrata resiliente. Grazie al lavoro di squadra, siamo riusciti a realizzare un anno eccezionale relativamente all’emergenza sanitaria che ha investito tutto il mondo. Il 2021 sarà un anno incentrato sulla perseveranza; ora più che mai, dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri per lavorare ancora meglio insieme. Infatti al cuore della filosofia della manifattura c’è un forte spirito familiare che unisce dipendenti, clienti, artisti, ambasciatori e amici del brand in tutto il mondo. Audemars Piguet ha assistito a grandi cambiamenti negli ultimi dieci anni, ponendo la sua attenzione sulla crescita qualitativa a lungo termine e sulla creazione di connessioni umane.

CODE 11.59 BY AUDEMARS PIGUET CRONOGRAFO AUTOMATICO L’oro bianco incontra la ceramica nera in questo modello multisfaccettato, impreziosito da un quadrante grigio fumé con finitura satinata verticale.con indicazione giorno/notte integrata. La Manifattura ha creato un vetro zaffiro con doppia curvatura dallo stile contemporaneo, il cui profilo teso e arcuato, gioca con la profondità, la luce e la prospettiva regalando un’esperienza visiva unica. Cassa in ceramica nera, lunetta, anse e fondello in oro bianco, double vetro e fondello in vetro zaffiro con trattamento antiriflesso. Quadrante grigio fumé con motivo verticale satinato, indici applicati e lancette in oro bianco, réhaut nero. Costa 46.300 euro

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IDEE

Andrea Cardillo, country general manager Audemars Piguet Italia

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Essendo il più antico produttore di orologi svizzero ancora nelle mani delle famiglie fondatrici, ha la libertà di investire nel futuro con la lungimiranza e il Free Spirit proprio dei suoi fondatori.» Il mercato è cambiato, si parla di global market, è una realtà oppure un’utopia? «È già realtà. I nostri clienti sono internazionali e comprano in tutto il mondo. Il nostro obiettivo primario è quello di fornire loro il medesimo trattamento attraverso tutti i canali di acquisto. Resta tuttavia fondamentale la variabile locale alla luce del fatto che ogni mercato è differente e per questo peculiare. Dal 2012 Audemars Piguet per rispondere al meglio alle esigenze dei suoi clienti, ha ripensato completamente la strategia retail per concentrarsi maggiormente sulle persone. Non solo ha ridotto il numero dei punti vendita nel mondo, per controllare meglio la qualità dell’esperienza di acquisto, ma ha sviluppato anche il nuovo concetto di AP House: una “home away from home” nata per accogliere clienti locali e internazionali dove il comfort di casa e il calore dell’amicizia hanno la priorità. Come sa, abbiamo aperto la nostra prima AP House nel 2017 proprio a Milano, seguita da Hong Kong e Monaco nel 2018, Londra e Madrid nel 2019, Barcellona e Bangkok nel 2020; e abbiamo in programma nuove inaugurazioni. Posso anticiparti inoltre che a breve implementeremo questa strategia con una rete di ambassador denominati ‘nomad’ con il preciso compito di raggiungere i clienti ovunque essi si trovino offrendo loro una molteplicità di servizi ed esperienze su misura in sintonia con le loro passioni, diffondendo l’amore che accompagna ogni fase del viaggio dell’orologio, dal banco di lavoro al polso del cliente.» In un mondo che va alla velocità della luce, hanno ancora senso orologi con una storia lunga decenni come il Royal Oak? «Oggi più che mai. Nel periodo storico che stiamo attraversando dove tutto corre e si consuma velocemente, è fondamentale trovare il tempo di condividere emozioni con i nostri clienti. Il mercato ci sta dando ragione in questo senso: c’è bisogno di guardare al passato, all’orologeria iconica che è capace ancora di regalarne.» A proposito, ci può dare qualche anticipazione su quello che state sicuramente progettando per i 50 anni del vostro orologio più iconico? «Stay tuned!» Alcune versioni del Royal Oak sono oggi praticamente introvabili dai concessionari. Alcuni appassionati pensano che basterebbe aumentare la produzione per ovviare a questo problema. Lei cosa ne pensa? «La nostra produzione nel 2019, e per i quattro anni precedenti, si è attestata a poco più di 40.000 unità, nel 2020 appena sotto le 39.000 unità (invece delle 45.000 che ci eravamo prefissati prima del diffondersi della pandemia). Nel 2021 prevediamo di produrre 42.000 unità e aumenteremo progressivamente la produzione negli anni a venire per rispondere meglio alla crescente domanda dei clienti e quindi migliorare la qualità della loro esperienza. Tuttavia, per mantenere elevato lo standard di qualità a cui

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Il Lange 1 Calendario Perpetuo ha una cassa con diametro di 41,9 millimetri e un’altezza di 12,1 millimetri ed è disponibile in due versioni: in oro rosa con quadrante in argento massiccio grigio, e in un’edizione in oro bianco limitata a 150 esemplari con quadrante in oro rosa massiccio. Le lancette e le applicazioni in oro rosa o oro rodiato, coordinate tra di loro e luminescenti nella versione in oro rosa, completano l’armonioso design. La versione in oro bianco è dotata di un cinturino in pelle marrone scuro, il modello in oro rosa di un cinturino in pelle marrone rossiccio.


IDEE

sono abituati i nostri clienti, si tratterà di un aumento ragionato e calibrato. Abbiamo infatti ben chiaro l’esempio di alcuni brand esclusivi che agli inizi degli anni 2000 hanno deciso di puntare sulla quantità perdendo appeal negli anni successivi. Audemars Piguet, essendo la più antica manifattura di orologeria svizzera ancora nelle mani delle famiglie fondatrici, può permettersi di adottare una visione a lungo termine e la libertà di investire nel futuro pensando in termini di generazioni e non di risultati trimestrali.» Ogni collezionista sa bene che una serie limitata del Royal Oak nel tempo si trasforma in un investimento. Questo rende sicuramente complicata l’assegnazione dei pezzi prodotti. Come gestite le liste d’attesa per i modelli più richiesti? «Non lavoriamo con liste d’attesa, l’approccio legato al mero investimento non ci appartiene. Pensiamo piuttosto al piacere e alle emozioni che un oggetto di altissima manifattura, come un nostro segnatempo, può donare a chi lo indossa, accompagnando i nostri clienti in tutte le esperienze più significative della loro vita.»

LA BOUTIQUE AUDEMARS PIGUET DI ROMA RIAPRE IN UNO SPAZIO TUTTO NUOVO Audemars Piguet ha in questi giorni annunciato l’apertura della sua nuova boutique a Roma in Piazza di San Lorenzo in Lucina, a pochi passi dal precedente punto vendita. Inserita nel cuore di uno dei più esclusivi salotti della capitale, la nuova boutique accoglierà clienti locali e visitatori internazionali con la sua atmosfera calda e contemporanea. Il design degli interni, ispirato alle origini della Manifattura tra le montagne del Giura svizzero, unisce materiali come il legno e la pietra caratteristici di quei luoghi. Lo spazio comprende anche un’accogliente area lounge per il relax. È in questo ambiente familiare che gli appassionati di orologi scopriranno una selezione accurata degli ultimi modelli delle collezioni Royal Oak, Royal Oak Offshore e Code 11.59 by Audemars Piguet. In Piazza di San Lorenzo in Lucina un orologio Audemars Piguet Royal Oak tiene il tempo al di sopra della storica edicola locale. L’architettura contemporanea del Royal Oak dialoga con il campanile a cinque piani della Basilica di San Lorenzo in Lucina, in un luogo dove storia e modernità convivono da secoli.

Royal Oak Concept Black Panther, 250 pezzi: già tutti venduti? Il primo di una collaborazione con Marvel? «Confermo, la maggior parte è stata venduta. Audemars piguet ha sempre trovato ispirazione nel mondo culturale, nel senso più ampio del termine, sviluppando partnership interdisciplinari che hanno creato terreno fertile per vere e proprie sfide di precisione micro-meccanica e per la creazione di design innovativi. Con l’industria pop e dell’intrattenimento ricordiamo collaborazioni fruttuose con personalità quali Jay-z, Arnold Schwarzenegger, Lu Han, Quincy Jones e Lebron James, per citarne solo alcune. Per questa edizione limitata a 250 pezzi, in particolare, ci siamo ispirati agli orologi con personaggio, come i Mickey Mouse creati da Gérald Genta negli anni ‘80, per rendere omaggio a una nuova generazione di eroi ispiratori e al fenomeno pop che rappresenta l’universo Marvel. L’amicizia di lunga data del nostro ceo con Don Cheadle, interprete di War Machine (celebre supereroe Marvel), ha permesso che il sogno che François aveva nel cassetto da 15 anni diventasse realtà! Posso anticiparle che si tratterà di una partnership a lungo termine ma non posso aggiungere altro.» Non avete paura di rende troppo “ludico” il concetto di Alta Orologeria? «Amiamo definirci un brand serio (e che fa cose serie!) ma che non si prende troppo sul serio. L’interazione tra orologeria di alto profilo e mondo della Narrativa & Fantasy è esistita fin dall’inizio della storia dell’orologeria meccanica. Il lavoro di orologiai, incisori, smaltatori e innumerevoli altri artigiani specializzati si è prestato ad abbellire moltissimi orologi, ad esempio con miniature dipinte a mano su smalto di storie mitologiche o bibliche, oppure con piccoli personaggi che compiono varie azioni esprimendo così anche il lato ludico di un settore che sembra, ad un primo sguardo, molto impostato. In Audemars Piguet, esprimiamo questo concetto attraverso le tecniche di rifinitura

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CALIBRO 2965 72 ore di riserva di carica 242 componenti frequenza a 21.600 alternanze/ora

a mano delle nostre casse: giustapposte l’una all’altra, come la satinatura o la lucidatura che creano divertenti giochi di luce.» Un Audemars Piguet è un investimento? «Il concetto di investimento non appartiene ad Audemars Piguet. Per noi è fondamentale condividere emozioni con i nostri clienti, perché è proprio la ricerca di emozioni che li conduce da noi e che li guida nella scelta di un segnatempo. Il nostro compito è quello di accompagnare i nostri clienti in questo viaggio che li porterà ad avere al polso un pezzetto della nostra storia.» Cosa consiglierebbe ad un appassionato che vuole entrare nel mondo Audemars Piguet? Da quale modello si inizia? «Non c’è un modello da cui iniziare. Come ho detto poco fa, noi consigliamo ai nostri clienti di acquistare l’orologio capace di trasmettergli delle emozioni, quello per cui ha avuto un colpo di fulmine! Ogni modello delle nostre collezioni, a partire da Royal Oak, Royal Oak Offshore, Royal Oak Concept, [re]master fino all’ultima nata in termini temporali Code 11.59 by Audemars Piguet, può perciò rappresentare il primo acquisto Audemars Piguet.» A proposito: il Code 11.59, l’ultima collezione Audemars Piguet, ha rotto gli schemi della vostra concezione di Alta Orologeria. Quale feedback avete ricevuto da parte degli acquirenti? «Siamo soddisfatti, sta ricevendo riscontri molto positivi anche dal pubblico. Il nostro obiettivo è quello di puntare a far sì che nel lungo periodo arrivi a rappresentare il 20% delle nostre vendite complessive. Da sempre gli artigiani di Audemars Piguet sperimentano il linguaggio del design e della forma sfidando i propri limiti e spingendosi oltre i confini dell’arte manifatturiera. Le forme geometriche classiche – cerchi, quadrati e rettangoli –utilizzate per forgiare le casse, sono state spesso abbinate a forme meno convenzionali come trapezi e ottagoni. Questi segnatempo creativi hanno custodito nel tempo movimenti rifiniti a mano attualizzati dalle

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crescenti innovazioni introdotte generazione dopo generazione. È il nostro spirito libero, forte dell’indipendenza che caratterizza la nostra maison, che ci permette di osare in questo modo, coniugando precisione e creatività senza tuttavia dimenticare le nostre origini. Tutto ciò traspare molto chiaramente dalla collezione Code 11.59 by Audemars Piguet, una collezione completa nata nel 2019 (che al suo lancio contava ben 13 modelli) e in continua evoluzione, che quest’anno ha visto accostare all’oro della cassa un nuovo materiale, quello della ceramica nera. E vi anticipo che nei mesi a venire ci regalerà ulteriori sorprese.» Le vendite online sono una risorsa aggiuntiva per le Case, oppure un problema per il sistema di vendita tradizionale dei plurimarca? «L’acquisto di segnatempo di alta orologeria online negli ultimi anni ha visto un importante incremento per via dell’ascesa di una nuova generazione di compratori sempre più connessi. Questo crescente spostamento verso l’e-commerce ha spinto i brand di alta orologeria (e gioielleria) a sviluppare ulteriormente la loro presenza sul web per rispondere alle esigenze e alle abitudini in continua evoluzione di questa nuova clientela. Negli ultimi anni, Audemars Piguet ha mosso i primi passi verso l’e-commerce collaborando con due piattaforme retail di lusso. Queste iniziative di collaborazione hanno consentito al brand di raggiungere un nuovo tipo di pubblico, offrendo ai clienti servizi tailor made di altissima qualità. Ciononostante per noi l’esperienza personale e le emozioni rimangono il fulcro dell’esperienza di acquisto. L’obiettivo della nostra maison sarà quello di utilizzare internet come nuovo linguaggio di comunicazione per raggiungere le persone che potrebbero non avere un accesso agile a una boutique o che semplicemente non hanno in programma di visitare. Il lusso nella sua forma più pura rimane l’esperienza umana, con interazioni e trasmissione di know-how da una persona all’altra. Come dice spesso il nostro ceo: anche gli strumenti tecnici più belli non sono tutto. Il computer non ti darà mai un’emozione, ma le persone, loro sì.»


IDEE

ROYAL OAK CONCEPT «BLACK PANTHER» FLYING TOURBILLON Audemars Piguet ha reso omaggio a una nuova generazione di eroi carismatici di Marvel con un’edizione limitata a 250 esemplari dedicata all’universo di Black Panther. Con una profonda appartenenza all’artigianato ancestrale, alla sperimentazione del design e alla tecnologia futuristica, questo Royal Oak Concept pulsa con una forza ancora maggiore. Ispirata al costume avanguardista di Black Panther, la cassa in titanio sabbiato presenta un aspetto testurizzato con inserti in titanio satinato e lucidato. La lunetta in ceramica nera satinata e lucidata valorizza il design high-tech dell’orologio. Il quadrante presenta una raffigurazione dipinta a mano dell’eroe Black Panther impreziosita dall’oro bianco. Mentre la texture del costume è stata scavata con il laser, la miriade di dettagli che orna le mani, gli artigli, i muscoli e i lineamenti del viso dell’eroe è stata scolpita a mano. Numerosi strati di colore diluito sono stati meticolosamente aggiunti a mano per raggiungere l’equilibrio perfetto tra texture, contrasto e profondità.

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JAEGER-LeCOULTRE

REVERSO TRIBUTE NONANTIÈME L’ATTESO OROLOGIO DELL’ANNIVERSARIO: UNA NUOVA ESPRESSIONE DELLE GRANDI COMPLICAZIONI MECCANICHE

Di Mauro Girasole

NOVANT’ANNI FA, Jaeger-LeCoultre creò il Reverso, un’ingegnosa soluzione per i giocatori di polo che desideravano proteggere il vetro del proprio orologio durante le partite. Grazie alla cassa ribaltabile e alle inconfondibili linee Art Déco, era destinato ad affermarsi come un classico del XX secolo. A breve, la Maison iniziò a introdurre nuove interpretazioni estetiche del Reverso ma, per i suoi primi 60 anni di vita, non vennero aggiunte complicazioni e il modello rimase un orologio essenziale per leggere il tempo. Nel 1991, a 60 anni dalla creazione, JaegerLeCoultre ha presentato il Reverso Soixantième (sessantesimo). Dotato di riserva di carica e datario, era il primo Reverso con complicazioni

nonché il primo equipaggiato con fondello in vetro zaffiro, che permetteva di ammirare il prodigio meccanico celato all’interno. Anche se la cassa del Reverso e il suo movimento modellato in origine non erano stati concepiti per ospitare complicazioni, il Soixantième ha rivelato tutto il suo potenziale, motivando il lancio di una serie di creazioni in grado di offrire una nuova espressione visiva alle grandi complicazioni orologiere. Nel 2021, a novant’anni dalla nascita del Reverso, Jaeger-LeCoultre presenta l’ultimo episodio del racconto: il Reverso Tribute Nonantième, che propone un’espressione visiva completamente nuova a una combinazione di diverse complicazioni classiche.

Il Reverso Tribute Nonantième è realizzato in edizione limitata di 190 esemplari, disponibile esclusivamente presso le boutique Jaeger-LeCoultre.

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IDEE

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LA MECCANICA Come per ogni modello complicato Reverso, gli ingegneri di Jaeger-LeCoultre hanno sviluppato un movimento a carica manuale completamente nuovo per il Nonantième: il Calibro 826. Con 230 componenti e la stessa visualizzazione oraria su entrambi i quadranti dell’orologio, offre una riserva di carica di 42 ore.

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Il lancio del Soixantième nel 1991 ha coinciso con la rinascita dell’orologeria delle complicazioni, la tappa successiva alla crisi del quarzo. La lunga e straordinaria storia di Jaeger-LeCoultre, in qualità di creatore di complicazioni elaborate, ha consentito ai suoi ingegneri e designer di attingere a un ricco archivio dal quale imparare e sviluppare nuovi calibri. Ciononostante, lo scopo della Manifattura di creare sei nuovi modelli Reverso entro il decennio, ognuno dei quali incorporasse una delle grandi complicazioni classiche, era molto ambizioso, non da ultimo alla luce delle sfide specifiche legate ai movimenti rettangolari che impongono un’architettura diversa rispetto a quelli rotondi. All’orologio Soixantième ha fatto seguito nel 1993 il Reverso Tourbillon, il primo orologio da polso della Manifattura con tourbillon. Nel 1994, Jaeger-LeCoultre ha lanciato il Reverso Répétition Minutes, nel quale per la prima volta la Maison ha creato una versione in miniatura per orologio da polso della ripetizione minuti, nonché il primo movimento rettangolare con ripetizione minuti al mondo. Nel 1996, la Grande Maison ha introdotto il Reverso Chronographe Rétrograde dotato di una visualizzazione elaborata sul secondo lato, volta a risolvere il problema di posizionamento dei contatori cronografici all’interno di un profilo rettangolare. Due anni dopo, è stato lanciato il Reverso Géographique e, in concomitanza con il nuovo millennio, il Reverso Quantième Perpétuel. Nel 2001, Jaeger-LeCoultre ha siglato la fine di un altro decennio nella storia del Reverso con il modello Septantième, il cui movimento, il Calibro 879, offriva una riserva di carica pari a 8 giorni, una performance quasi inedita all’epoca. E oggi, novant’anni dopo il lancio del Reverso, la Grande Maison presenta una nuova combinazione di complicazioni.

IL REVERSO TRIBUTE NONANTIÈME

Il quadrante frontale del Nonantième è sintesi di raffinatezza ed eleganza. La cassa in oro rosa con le emblematiche godronature incornicia un quadrante argentato con finitura soleil satinata, indici applicati dorati e lancette Dauphine. Nella parte inferiore del quadrante, il cerchio formato dal contatore dei piccoli secondi racchiude le fasi lunari. Sotto le ore 12 l’ampio datario è incorniciato da una linea applicata di oro rosa che riprende la forma rettangolare di quadrante e cassa. L’estetica dall’eleganza classica del quadrante frontale non lascia trapelare la sorpresa nascosta sul secondo lato dell’orologio. Ribaltando la cassa si ammira un’espressione visiva interamente nuova di una delle complicazioni orologiere più popolari. Di impatto e magnetica, è completamente inedita per il Reverso. Il fondello in oro rosa è dominato da due aperture rotonde di diverse dimensioni, posizionate a forma di otto e circondate da godronature che echeggiano quelle rettangolari del bordo superiore e del bordo inferiore della cassa. La piccola apertura superiore permette di leggere l’indicazione delle ore digitale semi-saltante. Prima assoluta per la linea Reverso, questa complicazione richiama le indicazioni digitali sviluppate dalla Manifattura per gli orologi da polso negli anni Trenta. In un’ampia apertura sottostante, un disco rotante consente di visualizzare ore e minuti, parzialmente celate da una platina a tre quarti con lacca blu intenso e una pioggia di piccole stelle dorate che raffigurano il cielo notturno, frutto della maestria del laboratorio Métiers Rares. All’interno di un piccolo cerchio centrale, un sole e una luna applicati dorati sorvolano l’orizzonte per indicare la notte e il giorno. In un semi-cerchio al di sotto dell’orizzonte, il logo JL si staglia contro uno sfondo con motivo soleil.

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ROLEX

GUARDARE AVANTI PER ANDARE OLTRE L’ESPLORAZIONE E LA STORIA DELLA CASA GINEVRINA SONO INDISSOCIABILI. DA QUESTA ESPERIENZA CONDIVISA È NATO L’EXPLORER II

Di Patrizio Poggiarelli

L’ESPLORAZIONE è uno stato d’animo. Tenacia, coraggio e desiderio di scoperta sono necessari per andare sempre più in alto, più lontano, là dove “prima” nessuno ha mai osato avventurarsi: sulla cima delle montagne, al limite estremo delle terre polari, nelle viscere della Terra, sull’orlo dei vulcani. Proprio da questo stato d’animo è nato l’Oyster Perpetual Explorer. Per la sua creazione possiamo anche proporre una data ben precisa: il 29 maggio del 1953. In quel giorno sir Edmund Hillary e Tensing Norgay raggiungevano la vetta dell’Everest, al termine di una spedizione comandata dal Colonnello Sir John Hunt ed equipaggiata con orologi Rolex Oyster Perpetual. Il modello Explorer è stato creato per celebrare questo storico avvenimento, ma, per vocazione, è da sempre l’orologio di molte e nuove imprese.

Rolex Explorer II, cassa Oyster 42 mm in acciaio Oystersteel, quadrante ad alta leggibilità Chromalight, movimento a carica automatica calibro 3285 di manifattura. 8.150 euro

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Non è un caso che la Rolex continui tuttora a sottoporre a test i suoi orologi e a migliorarne la precisione, la resistenza e l’affidabilità nelle condizioni più estreme che si possano riscontrare sul nostro pianeta, spingendo così continuamente in avanti i limiti della tecnica. Da un punto di vista collezionistico, oltre che storico, va ricordata la presentazione dell’Oyster Perpetual Explorer II, nel 1971. Questa modello segna il raggiungimento di un nuovo traguardo: con una cassa più larga e un quadrante di grande leggibilità, l’introduzione del datario, una lancetta 24 ore e una lunetta fissa graduata, l’Oyster Perpetual Explorer II apre nuovi orizzonti alle esplorazioni e diviene un punto di riferimento per i professionisti dell’avventura e delle scoperte. È l’orologio del vulcanologo Haroun Tazieff e di


IDEE

PER PRIMI SUL TETTO DEL MONDO Dagli anni ’30 Rolex ha fornito i propri orologi Oyster a numerose spedizioni himalayane, in particolare quella di cui facevano parte Sir Edmund Hillary e Tenzing Norgay (in foto), i due alpinisti che per primi hanno raggiunto il Tetto del Mondo a 8.848 metri di altitudine. Questo spirito pionieristico illustra la volontà di Rolex di utilizzare il mondo come laboratorio naturale per testare i propri orologi in condizioni reali e, così facendo, ottimizzarli costantemente. Le osservazioni che Rolex raccoglie presso i membri di queste spedizioni influenzano direttamente l’evoluzione degli orologi del Marchio verso una precisione e una robustezza sempre maggiori.

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ED VIESTURS: LA GESTIONE DEL TEMPO IN ALTITUDINE Ed Viesturs ha conquistato tutte le vette sopra gli 8.000 metri senza ossigeno supplementare. Il suo orologio e alcune regole essenziali su come controllare il tempo durante le scalate lo hanno aiutato nelle sue imprese. Per lui, l’orologio da polso è un elemento centrale del suo equipaggiamento, per via del significativo contributo al successo e alla sicurezza di una scalata. «La gestione del tempo in montagna influenza direttamente le possibilità di riuscita, se non di sopravvivenza, soprattutto il giorno dell’ascensione finale. Ogni mezz’ora conta. La cosa più importante è sapere a che ora devo rientrare al campo base più vicino dopo aver raggiunto la vetta. La pianificazione dell’intera giornata dipende dall’orario di ritorno. Partendo da questo posso calcolare l’ora di partenza: meglio se di buon’ora, quando la temperatura è ancora bassa, se si vuole beneficiare delle condizioni di sicurezza ottimali e avere tempo di riserva in caso di imprevisti o di ritardi. La discesa è la seconda sfida e mi sono imposto la regola di non cominciarla mai dopo le 14, sia che l’obiettivo sia stato raggiunto oppure no. Intraprendere la strada del ritorno con sufficiente luce naturale ed energia è la configurazione ideale. Gli alpinisti che hanno ritardato l’ora di rientro si sono trovati a dover affrontare situazioni pericolose e in alcuni casi mortali. Il buio, il freddo, la stanchezza o la mancanza di ossigeno diventano fattori critici.»

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IDEE

numerose spedizioni polari. La visualizzazione a 24 ore permette inoltre agli speleologi e ai membri delle spedizioni polari di distinguere le ore del giorno da quelle della notte, facendo dell’Oyster Perpetual Explorer II un indispensabile strumento di misurazione del tempo. La sua referenza iniziale è 1655, un numero caro ai collezionisti di tutto il mondo, che da tanti anni apprezzano e ben pagano questo modello. L’OYSTER PERPETUAL EXPLORER II di nuova generazione, presentato ufficialmente ad aprile da Rolex mantiene la sua impronta di orologiostrumento, progettato per gli esploratori più temerari. Tra le sue peculiarità distintive la cassa e il bracciale ridisegnati. Il nuovo design conferisce al modello linee particolarmente armoniose ed equilibrate pur rimanendo fedele all’estetica storica. Sul quadrante laccato bianco della declinazione presentata, si stagliano gli indici con rivestimento nero mediante tecnica PVD (Physical Vapour Deposition) e le lancette delle ore, dei minuti e dei secondi laccate nere che presentano una finitura opaca. La lancetta 24 ore mantiene il suo caratteristico colore arancio che, dal 2011, è anche il colore dell’iscrizione “Explorer II”. Questo modello di nuova generazione beneficia, inoltre, della visualizzazione Chromalight ottimizzata. Quando l’orologio si trova in un ambiente buio, il bagliore blu emesso dagli indici e dalle lancette mantiene la sua intensità più a lungo grazie alla sostanza luminescente innovativa ed esclusiva con cui sono riempiti o che li riveste. Alla luce del giorno, il colore bianco di questi elementi di visualizzazione è più vivo. La cassa di 42 mm di diametro, garantita

impermeabile fino a 100 metri di profondità, è un esempio di robustezza e di affidabilità. La carrure è ricavata da un blocco massiccio di acciaio Oystersteel, una lega particolarmente resistente alla corrosione. Il fondello con scanalature sottili è avvitato ermeticamente con un apposito strumento; in questo modo, solo gli orologiai abilitati da Rolex possono accedere al movimento. La corona di carica Twinlock, dotata di un sistema di doppia impermeabilizzazione e protetta da apposite spallette ricavate nella carrure, è saldamente avvitata alla cassa. Il vetro, sovrastato dalla lente d’ingrandimento Cyclope a ore 3 per facilitare la lettura della data, è in zaffiro praticamente antiscalfitture. La cassa Oyster, completamente impermeabile, protegge in modo ottimale il movimento che ospita.Al suo interno un calibro 3285, un movimento interamente sviluppato e prodotto da Rolex, svelato nel 2018 e introdotto nel modello quest’anno. Questo movimento meccanico a carica automatica, quintessenza della tecnologia, vanta numerosi depositi di brevetto e garantisce prestazioni elevate a livello della precisione, dell’autonomia, della resistenza agli urti e ai campi magnetici, del comfort di utilizzo e dell’affidabilità. Il calibro 3285 comprende lo scappamento Chronergy brevettato da Rolex che garantisce contemporaneamente un alto rendimento energetico e un’estrema sicurezza di funzionamento. Realizzato in una lega di nichel-fosforo, questo scappamento è insensibile ai campi magnetici. Come ogni orologio Rolex, l’Oyster Perpetual Explorer II vanta la certificazione di Cronometro Superlativo che garantisce prestazioni al polso fuori dal comune.

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WATCHFINDER.IT

INIZIARE CON IL PIEDE GIUSTO UN PREZIOSO ALLEATO SIA PER AGLI AMANTI ITALIANI DELLE LANCETTE, CHE AVRANNO ACCESSO A UNA SELEZIONE IMPRESSIONANTE DI PEZZI SPESSO INTROVABILI

Di Paolo Gobbi

UN VALORE POTENZIALE di oltre due miliardi di euro. Questo, secondo una recente ricerca il valore stimato in Italia degli orologi usati che stanno aspettando “una seconda vita”. Non deve quindi destare meraviglia se Watchfinder & Co., piattaforma di e-commerce specializzata negli orologi luxury di seconda mano, con un portfolio di 70 diversi marchi e 19 anni di esperienza, abbia annunciato il suo arrivo nello Stivale. Parte dal 2019 del Gruppo Richemont (il colosso svizzero dell’Alta Orologeria), Watchfinder offre ai clienti la possibilità di ricercare, comprare e vendere orologi online e in un network di showroom monomarca, come quello appena

Con le conoscenze acquisite da decenni di esperienza con gli orologi di secondo polso, Watchfinder si presenta come un luogo qualificato dove vendere o acquistare.

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aperto a Milano nell’iconica Villa Mozart, dove i clienti possono ammirare dal vivo un’ampia scelta di orologi, dai bestseller più attuali ai più pregiati pezzi vintage e in edizione limitata. Fissando una visita privata (milanoffice@watchfinder.it) è possibile richiedere una valutazione gratuita, visionare centinaia di orologi di seconda mano in ottime condizioni per scegliere il proprio acquisto, o ancora organizzare la permuta di uno o più orologi per aggiornare la propria collezione. «Diciannove anni fa Watchfinder & Co. ha dato vita ad un’esperienza unica di acquisto di orologi usati nel Regno Unito e, oggi, siamo uno dei rivenditori di orologi di seconda mano di maggior successo nel mondo – ha detto il Ceo Arjen Van


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MILANO SHOWROOM - VILLA MOZART Lo showroom di Via Mozart in Milano consente agli appassionati di avvicinarti e di essere vicino al loro prossimo orologio. Basta prenotare un appuntamento ed è possibile visualizzare qualsiasi orologio disponibile sul sito Web o persino vendere o scambiare il proprio orologio di persona.

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A PROPOSITO DI WATCHFINDER Fondata nel 2002, Watchfinder & Co. è la prima fonte da cui acquistare, vendere e scambiare orologi di lusso di seconda mano. Dai bestseller ai pezzi vintage e in edizione limitata, Watchfinder offre oltre 4.000 orologi di più di 70 marchi luxury, tutti disponibili online e attraverso una rete di boutique e showroom monomarca. Con la qualità e l’affidabilità che Watchfinder pone al centro della propria offerta, ogni singolo orologio disponibile nello showroom o sullo store online è stato meticolosamente ispezionato, autenticato e preparato dal team di esperti orologiai dell’azienda nel più grande Centro di Assistenza indipendente d’Europa, accreditato da 19 dei principali produttori di orologi del mondo. Ogni orologio viene anche provvisto di una garanzia Watchfinder di 24 mesi come standard.

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de Vall - la nostra rete di boutique e showroom si estende a New York, Hong Kong, Monaco, Parigi, Ginevra e Londra e siamo entusiasti di aggiungere a questa lista Milano, una delle capitali della moda più iconiche del mondo.» Con la qualità e l’affidabilità che Watchfinder pone da sempre al centro della propria offerta, ogni singolo pezzo disponibile in showroom o sullo store online è stato meticolosamente ispezionato, autenticato e ricondizionato dal team di esperti orologiai dell’azienda nel più grande Centro di Assistenza specializzato e indipendente d’Europa, accreditato da 19 dei principali produttori di orologi del mondo. Ogni orologio viene anche provvisto di una garanzia Watchfinder di 24 mesi come standard. «Siamo orgogliosi di offrire qualcosa di diverso. In Watchfinder possediamo e promuoviamo ogni singolo orologio della nostra collezione sapientemente curata. I clienti possono vedere i nostri orologi in qualsiasi nostro showroom e boutique in tutto il mondo o possono scegliere di visionarli online, attraverso migliaia di schede dedicate presenti sul nostro sito web. La consegna e il ritiro a domicilio sono parte integrante dell’esperienza che offriamo alla nostra clientela. Il nostro servizio in stile concierge è personale, flessibile e permette ai nostri clienti di entrare in contatto con noi nel modo più conveniente per loro, ovunque si trovino e di qualunque cosa abbiano bisogno» - conclude Van de Vall. In occasione del suo ingresso in Italia, Watchfinder ha presentato i risultati di un’indagine condotta su un campione di 26.000 proprietari di orologi di lusso (ai fini di questo sondaggio, un

orologio di lusso è stato classificato come qualsiasi cosa che costa più di 1.100 euro al momento dell’acquisto) a livello internazionale per tracciare un quadro dell’attuale mercato del cosiddetto “secondo polso” e comprenderne meglio attitudini e interessi. Lo scenario tratteggiato dall’analisi mostra interessanti potenzialità di ulteriore crescita e sviluppo per questo segmento di mercato: in particolare per quanto riguarda l’Italia, l’utente tipo possiede in media 2 orologi di pregio, ma nel 27% dei casi non ne conosce il valore attuale. Il 37% dei proprietari italiani di orologi ammette di avere almeno un orologio di lusso che non indossa più, per un valore totale stimato che supera i 2,25 miliardi di euro solo nel nostro Paese (per attribuire un valore approssimativo agli orologi non indossati in Italia è stato calcolato il valore degli orologi svizzeri importati in Italia dalla Svizzera negli ultimi 20 anni. Questi dati provengono dall’Amministrazione federale delle dogane in Svizzera). In questo scenario, Watchfinder si pone come un prezioso alleato sia per agli amanti italiani degli orologi, che avranno accesso a una selezione impressionante di pezzi di lusso molto ricercati e altrimenti introvabili - fra cui Rolex, Patek Philippe, Cartier, Audemars Piguet, IWC e Jaeger-LeCoultre - che per tutti coloro che non hanno idea del valore degli orologi che posseggono. Tramite Watchfinder, infatti, è possibile ottenere una valutazione gratuita utile a prendere una decisione informata sul tenere, vendere o scambiare con qualcosa di nuovo il proprio orologio.

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GUCCI

UN TOURBILLON PER ANDARE OLTRE LA MAISON DALLA DOPPIA G LANCIA QUATTRO LINEE DI ALTA OROLOGERIA, CON MOVIMENTI DI MANIFATTURA

Di Camilla Gusti API DORATE e giardini in piena fioritura. Doppie G, animali e tanti numeri. Elementi scelti non a caso, ma ognuno con un significato ben preciso. Nell’anno in cui festeggia il suo centenario Gucci fa il suo ingresso nel settore dell’alta orologeria, confermando ancora una volta la maestria del suo direttore creativo Alessandro Michele e tracciando le linee guida che accompagneranno il futuro della griffe. Nella

nuova collezione di orologi d’alta gamma, tutto è un simbolo, a cominciare dal nome del primo modello lanciato sul mercato, il Gucci 25H, che porta con sé la data di nascita dello stilista. Una sorta di talismano portafortuna che è spesso presente nelle sue collezioni. Il nuovo calibro, GG727.25 (il primo movimento sviluppato e realizzato dalla manifattura Kering situata a La Chaux-de-Fonds) non è da meno, ha numeri

Gucci 25H con cassa 40 mm in oro giallo o platino, quadrante inciso, movimento calibro GG727.25.T e dispositivo tourbillon.

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simbolici: nella storia, da sempre, il ‘7’ evoca un senso di completezza, il ‘2’ rappresenta equilibrio e cooperazione, e il ‘5’ simboleggia curiosità e libertà. Si tratta di un movimento automatico ultra slim di 3,70 mm di spessore che nelle versioni in platino e in oro giallo di Gucci 25H è dotato anche di uno scenografico tourbillon, ben visibile nell’apertura del quadrante a ore 6. Ogni nuova proposta di collezione trae ispirazione dalla tradizione artigianale e dagli elementi classici che sono retaggio del marchio: elementi naturali, flora e fauna, e naturalmente la doppia G, dando vita a momenti in cui la vena inventiva si mescola perfettamente alla ricerca di materiali preziosi. Gucci non è nuovo al settore: i suoi primi segnatempo, infatti, risalgono al 1972 e ieri come oggi si avvale delle migliori maestrie svizzere: a La Chaux-de-Fonds vengono, infatti, eseguiti il controllo qualità, l’assemblaggio e l’incastonatura dei diamanti; la Fabbrica Quadranti di Gucci, situata nel Canton Ticino, produce i quadranti degli orologi, avvalendosi della tecnologia più avanzata abbinata ad una lavorazione manuale altamente specializzata e utilizzando speciali tecniche decorative. Neuchâtel infine, headquarter per gli orologi della Maison, è il luogo in cui converge il know-how del design orologiero dell’azienda. Oltre ai Gucci 25H, fanno parte della collezione di alta orologeria altre tre linee che si differenziano tra loro per tecnica e stile, pur rimanendo legati a quelle che sono le caratteristiche e i simboli del brand: la

G-Timeless Dancing Bees, con le api posizionate sul quadrante, anche in versione tourbillon; il G-Timeless Automatic, caratterizzato dal motivo dell’ape, quadrante in pietra e cinturini in pelle pregiata; ed infine la linea G-Timeless con fasi lunari e G-Timeless Pavé, modello automatico con diamanti incastonati e cinturino in coccodrillo. L’iconica collezione Grip, invece, è declinata in cinque modelli realizzati con materiali preziosi e dotati del movimento “Jump Hour”. I quadranti in pietra impreziosiscono tre dei modelli - due in oro giallo, l’altro in oro bianco. Mentre la quarta versione è realizzata interamente in oro giallo. Ogni cassa è contornata da 44 diamanti taglio baguette. Di assoluto interesse è il Grip Sapphire, completamente trasparente e con cassa realizzata in vetro zaffiro. Anche questa variante è dotata del movimento “Jump Hour”, ed è presentata in quattro varianti colore: trasparente, blu, verde e rosa fumé. Si aggiunge una quarta famiglia nella quale rientrano dei pezzi di alta gioielleria, tra cui Dionysus, Lion Head e Gucci Play, lanciati dal marchio due anni fa. Gucci, con questa collezione, ancora una volta intercetta la ricerca contemporanea, testimoniando il cambiamento, le evoluzioni in atto, la varietà delle idee e le aspirazioni che definiscono il nostro tempo. Per guardare al futuro rinnovando le sue origini e per celebrare, ancora una volta, la creatività, la passione per le abilità artigianali che da sempre ispirano le sue creazioni.

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COLLEZIONE ATENA Anelli in oro rosa con diamanti e zaffiri rosa

L J ROMA 1962

CREATIVITÀ E RAGIONE FULVIA BELLEZZE CI RACCONTA IL RUOLO DEL DESIGNER NELL’ALTA GIOIELLERIA CONTEMPORANEA

Di Paolo Gobbi

FARE LA DESIGNER NEL MONDO dell’alta gioielleria non è facile. Bisogna essere creativi ma concreti, ispirati ma realisti. Abbiamo incontrato Fulvia Bellezze, che disegna da decenni i pezzi più importanti di LJ Roma 1962. Con lei andiamo alla scoperta di un mondo tanto affascinante quanto complicato.

La prima domanda è standard: chi è Fulvia Bellezze? «Ho 46 anni e faccio questo lavoro da vent’anni. Ho frequentato l’Istituto d’Arte, indirizzo metalli e oreficeria: era quello che volevo fare. Finiti gli studi mi sono presa un anno sabatico e poi ho iniziato un training da un maestro che lavorava per Bulgari. Inizialmente volevo fare l’orafa, stare al banco e creare i miei gioielli. Purtroppo mi sono scontrata con una persona talmente maschilista da spingermi a lasciare questo lavoro, definito da lui “da uomini e non da

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donne”. In pratica la mia strada verso il design inizia con quella rinuncia forzata.» Ha ripreso a studiare? «Sì, ho frequentato l’Istituto Europeo di Design. Immediatamente dopo ho concretizzato dei contatti con alcune aziende per iniziare questo lavoro, non dimenticando però di fare tanta pratica al banchetto. Facevo anche i prototipi in cera.» Fare le cere rientra nell’ambito della creatività? «Sì. Facevo sia le cere che i disegni. Quindi è da lì che è cominciata tutta la mia esperienza anche a livello tecnico.» L’esperienza manuale è utile per una designer? «Spesso le persone che fanno il design hanno sì molta creatività, ma non sono in grado di realizzare i loro disegni fisicamente, mentre


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COLLEZIONE ATENA Anelli in oro rosa con smeraldi zaffiri blu e diamanti neri

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io ho avuto modo di costruirmi un discreto bagaglio di esperienza tecnica. Ritornando alla mia storia, è stato in quel momento che ho iniziato la mia collaborazione con Armando Pasini e LJ Roma. Questo mi ha permesso, negli ultimi vent’anni, di affinare la mia sensibilità creativa.» Ha trasportato la teoria nel mondo reale? «Sì, tanto più che l’andare direttamente nei siti produttivi che sono la carta vincente del nostro lavoro, mi ha permesso di fare esperienza a 360° sotto il punto di vista lavorativo, sia per quanto riguarda il disegno che per quanto riguarda la parte tecnica.» Per una designer l’esperienza sul campo è un limite o un aiuto? Citando la Grande Bellezza, ad essere troppo brava non corre il rischio di diventare abile? «Alle volte è un limite avere troppa esperienza tecnica, perché si mette un freno alla creatività, bloccando naturalmente l’istinto a creare cose eccessivamente “strane”. Perché comunque i gioielli devono avere un’indossabilità, un giusto rapporto tra qualità e prezzo, in pratica devono essere vendibili.» Esperienza contro creatività? «Sono un pro e un contro allo stesso tempo. Un pro perché ti aiuta a progettare cose che comunque hanno poi un fine ultimo della vendibilità e dell’indossabilità, dall’altra parte ti condiziona perché ti metti dei paletti che non puoi superare o comunque non superi. Mentre quando avevo vent’anni disegnavo di tutto, anche quello che non aveva il giusto fitting per essere indossato al collo oppure al polso, perché non avevo la

COLLEZIONE IMAGO Orecchini e anello in oro rosa con diamanti e zaffiri blu

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sensazione dell’oggetto reale. Oggi so che ci sono cose che non posso fare.» Questo velocizza il lavoro, sapere da subito cosa si può o non si può fare? «Diciamo che l’obiettivo di lavorare in un’azienda come questa è quello di fare tanta creatività, ma associandola all’indossabilità. Non parlo della vendibilità perché è una cosa totalmente diversa, però il gioiello che facciamo noi per quanto sia bello, particolare, ricercato e tecnicamente avanzato, è pur sempre indossabile. Non sono pezzi da sfilata o quei pezzi stravaganti che ti insegnano a disegnare a scuola. Il nostro gioiello però riesce ad esprimere bene il nostro gusto e quello di chi lo indossa.» In tutto ciò c’è un contatto con il cliente? Quando dice “gioiello indossabile” è perché a volte sa già chi lo indosserà? Oppure ha avuto un feedback dal cliente finale? «Mi occupo sia del rapporto con le aziende che venderanno il gioiello che del rapporto con la parte produttiva. Faccio un po’ da ago della bilancia. Mi viene poi naturale realizzare per i clienti pezzi di alta gioielleria vendibili e indossabili. Non facciamo sculture oppure opere d’arte astratte.» C’è un aspetto ludico nel gioiello? «Il gioiello è un gioco. È un accessorio che non serve a nulla. Chi sceglie di indossare un gioiello lo fa per il proprio piacere personale. Il fatto di apparire – negli anni il gioiello è stato utilizzato come status – sta subendo ultimamente dei cambiamenti. Ad esempio, se è visto come status, il pubblico giovane non si avvicina, non gli interessa.»


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COLLEZIONE MARIPOSA Bozzetto. Anello in oro rosa con diamanti e zaffiri blu

MI SONO SCONTRATA CON UNA PERSONA TALMENTE MASCHILISTA DA SPINGERMI A LASCIARE IL MESTIERE DELL’ORAFO, CHE LUI DEFINIVA “DA UOMINI E NON DA DONNE”. IN PRATICA LA MIA STRADA VERSO IL DESIGN INIZIA CON QUELLA RINUNCIA FORZATA

Fulvia Bellezze

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Le nuove generazioni stanno cambiando la maniera di vivere il gioiello? «Non sono tanto loro, quanto i creativi legati alla moda che stanno cercando di sdrammatizzare il gioiello e non dargli quel ruolo effimero, suggerendo quindi di utilizzarlo come oggetto in sé per sé.» Un esempio? «L’orecchino fino a qualche anno fa si indossava sempre nello stesso punto prestabilito. Oggi l’orecchio viene “rivestito” da sopra a sotto e nessuno si scandalizza. C’è una sorta di gioco con le nuove generazioni, ed è il mondo della moda che ci sta portando su questa strada.» Voi vi tirate fuori da questa tendenza? «Assolutamente no. Ci siamo comunque anche noi dentro. Il nostro sforzo maggiore è quello di trasformarci continuamente. Il mondo del gioiello è molto antico nel modo di pensare. Dal nostro punto di vista si fa salva la tradizione, specie al livello costruttivo, ma si guarda avanti.» Il mondo della gioielleria è? «Maschilista.» Un vero paradosso: sono le donne che indossano i gioielli, eppure sono gli uomini che li comprano, li disegnano, li costruiscono… «Infatti questa cosa è un po’ strana. È un giro fondamentalmente maschilista. La maggior parte degli imprenditori sono uomini, la maggior parte dei venditori sono uomini, la maggior parte delle gioiellerie sono gestite da uomini, ma alla fine chi indossa i gioielli sono le donne. Le donne sono delle ”vetrine”: nella nostra professione, il fatto che io mi possa presentare ad un meeting da un cliente indossando due anelli, un paio di bracciali, un

SOPRA Anelli, orechini e bracciali in oro rosa con diamanti e rubini

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COLLEZIONE SIRIO Anello in oro rosa con diamanti bianchi e brown


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paio di orecchini e un ciondolo, mi permette di mostrare immediatamente come “vestono” le nostre creazioni.» Gli acquirenti sono sempre gli uomini? «Fortunatamente negli ultimi anni le cose stanno un po’ cambiando.» Perché le donne hanno preso coscienza e acquistano il gioiello che vogliono? «Sì. Però stiamo parlando degli ultimi 10 anni…» Questa situazione sta cambiando? «Sì. È una questione culturale, ma piano piano tutto cambierà.» Cambierà anche la figura del designer? «Sì e in una certa qual maniera potrebbe scomparire» Scomparire? «È già cambiata, perché rispetto a 25 anni fa il designer non è più visto come un valore aggiunto. Lo è per le aziende che lo capiscono, ma il fatto che negli ultimi dieci anni c’è stato l’avvento del CAD, ha dato modo alle aziende di poter fare tutto con questa tecnologia. Una volta c’era l’orafo al banchetto che doveva essere molto bravo a costruire un gioiello e ad interpretare un disegno. Adesso con un software giusto si può arrivare a realizzare quasi tutto. Questo ha letteralmente eliminato alcune figure lavorative.» Mestieri che non esistono più? «No, esistono ancora, ma sono rimasti in pochi e gli altri sono stati sostituiti da esperti che modellano al computer in 3D. Però, i ceristi rimasti sono bravissimi e insostituibili, perché la creatività ma soprattutto la manualità non può essere rimpiazzata da nessuna macchina»

COLLEZIONE SIRIO Anello in oro rosa con diamanti bianchi

SOPRA Anelli e orechini in oro rosa con diamanti e rubini

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MONTBL ANC

1858 SPLIT SECOND CHRONOGRAPH LIMITED EDITION 18 Montblanc sperimenta una nuova lega d’oro, denominata Lime Gold per l’intensa tonalità dorata dalla delicata sfumatura verde-gialla, composta da oro a 18 carati, argento e ferro. Un colore particolare che richiama un’estetica vintage, perfetto per la riedizione di un cronografo storico Minerva degli anni ‘30 che, come l’originale, è dotato di scala telemetrica, che permette di misurare la distanza di un fenomeno immediatamente visibile e successivamente udibile: come ad esempio lampo e tuono oppure scoppio e suono di un fuoco d’artificio. Una funzionalità tipica dei

cronografi Minerva d’epoca e che in questo nuovo modello aggiunge un ulteriore tocco vintage, in abbinamento alla scala tachimetrica a chiocciola al centro del quadrante, quest’ultimo di colore oro con elementi verdi a contrasto. Il movimento, il calibro manuale MB M16.31, si ispira agli originali calibri Minerva 19-09CH del 1909 e alla loro evoluzione, i 17-29, realizzati negli anni ’30 e utilizzati per orologi da tasca e da polso.

Cronografo monopulsante rattrapante a carica manuale con tachimetro e telemetro, cassa in Lime Gold e cinturino in alligatore effetto nabuk verde. Edizione limitata a 18 esemplari. Prezzo: 50.800 euro.

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A. L ANGE & SÖHNE

LANGE 1 CALENDARIO PERPETUO Un calendario perpetuo allo stato puro, privo di complicazioni aggiuntive. Partendo dall’impostazione del Lange 1 Tourbillon Calendario Perpetuo, che aveva dovuto adottare un diverso approccio per inserire la funzionalità del perpetuo e del tourbillon nel caratteristico quadrante decentrato, l’indicazione del mese è realizzata tramite un anello periferico, che avanza una volta al mese, sostituendo il controllo classico tramite una ruota programma da 48 mesi. A questa si aggiungono la visualizzazione della Grande Data Lange, l’indicazione

retrograda del giorno della settimana e l’anno bisestile. Il meccanismo del perpetuo è stato però completamento riprogettato per essere integrato nel nuovo calibro automatico L021.3, che non si basa su quello del Lange 1 Tourbillon Calendario Perpetuo, bensì sul calibro del Lange 1 Daymatic. Tra le differenze con la versione Tourbillon, l’indicatore giorno/notte è ora inserito nell’affissione delle fasi lunari: la luna si trova di giorno sullo sfondo di un cielo monocromatico celeste e la sera su un cielo stellato blu scuro.

Cassa in oro rosa e quadrante in argento massiccio grigio. L’integrazione del calendario perpetuo nel design del Lange 1 è resa possibile da un anello dei mesi periferico appositamente sviluppato. Prezzo: 100.700 euro.

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CARTIER

TANK MUST

Se il Tank nasceva nel 1917 come espressione di una nuova eleganza e di forme, il Must, la sua evoluzione in chiave accessibile che si affrancava da codici dell’orologeria tradizionale puntando su una raffinata semplicità, è figlio degli anni ‘80. Due universi leggendari di Cartier, che si incontrano nuovamente spingendo l’accelleratore sull’accessibilità, l’innovazione e la salvaguardia dell’ambiente. Il risultato è un orologio dotato di movimento SolarBeat, il primo a energia

solare mai prodotto dalla Casa. La luce per il sistema di ricarica fotovoltaica raggiunge il movimento attraverso il quadrante, in particolare attraverso i numeri romani, con un funzionamento garantito per ben 16 anni. Altra novità è il cinturino Altstrap, composto per il 40 % circa da materiale di origine vegetale, prodotto a partire da scarti di mele coltivate per l’industria agroalimentare. Il tutto, senza tradire l’estetica classica ed elegante, da sempre tipica del Tank.

Cassa in acciaio, movimento SolarBeat dall’autonomia superiore ai 16 anni, e cinturino Altstrap composto per il 40% da materiale di origine vegetale. Prezzo: 2.530 euro (versione misura piccola).

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BAUME & MERCIER

RIVIERA BAUMATIC Negli anni ‘70 si è imposto tra i pionieri dell’orologeria sportiva/elegante in acciaio. Con la caratteristica cassa, la lunetta dodecagonale con le quattro viti di fissaggio e il bracciale integrato, il Riviera ritorna quest’anno sugli scudi proponendo un ricco assortimento di modelli in vari equipaggiamenti e dimensioni. Tutti arricchiti dall’introduzione del pratico sistema di intercambiabilità del cinturino che permette in modo semplice, senza bisogno di strumenti aggiuntivi, di scegliere tra bracciali

in metallo o cinturini colorati in caucciù. L’allestimento automatico da 42 millimetri è disponibile con movimento Sellita o con calibro proprietario Baumatic, un movimento, quest’ultimo, che vanta un’importante riserva di carica di 5 giorni, una precisione di -4/+6 secondi al giorno e un antimagnetismo fino a 1.500 Gauss. Reinterpretando in modo attuale lo stile del modello originale, il Riviera ritorna in catalogo in una fascia di prezzo concorrenziale nella sua tipologia.

Cassa e bracciale integrato in acciaio, con quadrante in vetro zaffiro blu che lascia intravedere in trasparenza il movimento automatico Baumatic BM13-1975A. Prezzo: 3.600 euro.

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NOMOS GL ASHÜTTE

METRO NEOMATIK 41 UPDATE Il datario ad anello brevettato da Nomos corre sul bordo del quadrante intorno alla minuteria, indicando il giorno corrente con un riferimento colorato. Lanciato nel 2018 sul modello Tangente, è ora introdotto nella serie Metro, nella versione più grande di questa collezione, con cassa da 41 millimetri. Dalle linee morbide e confortevole al polso, con le anse a filo che rimandano a un gusto rétro e il vetro zaffiro bombato, presenta un ampio quadrante argenté nel quale dialogano i toni del grigio dei dot

della minuteria e i dettagli arancio della data. A sottolineare lo stile minimalista della marca e risultando, secondo il suo designer Mark Braun, “così lineare e al tempo stesso complesso”. Il movimento, DUW6101, è un calibro neomatik, molto sottile per un automatico (solo 3,6 mm di spessore), grazie anche all’integrazione del meccanismo del datario periferico. Tra i suoi vantaggi, oltre alla funzionalità rapida (la data può essere regolata sia in avanti che indietro), aggiunge una leggibilità ottimale.

Cassa in acciaio da 41 mm, quadrante argenté e cinturino in tessuto grigio. Movimento automatico calibro DUW6101 con piccoli secondi al 6 e data ad anello brevettata. Prezzo: 3.500 euro.

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HUBLOT

BIG BANG UNICO YELLOW MAGIC Dopo aver sviluppato un grande savoir-faire nella colorazione della ceramica (rossa, blu, beige e verde), Hublot alza l’asticella del virtuosismo sperimentando per la prima volta una brillante tonalità di giallo. Una nuova sfida per la marca, perché il giallo è un colore davvero difficile da riprodurre su un materiale come la ceramica, che ha reso necessari ben 4 anni di ricerca e sviluppo. La difficoltà è stata infatti quella di trovare il perfetto equilibrio fra temperatura e pressione in modo da consentire

la sinterizzazione della ceramica senza bruciare i pigmenti, riuscendo anche ad aumentare la resistenza all’usura del materiale, che ora risulta più duro rispetto alle ceramiche tradizionali (1.350 HV rispetto a 1.200 HV). La cassa Big Bang in ceramica gialla, con elementi a contrasto neri in resina composita, titanio e caucciù, si abbina al cinturino dello stesso colore in caucciù. Rehaut, indici, contatori, numeri arabi e lancette sono tutti declinati in giallo, per mettere in risalto il movimento Unico HUB1280.

Edizione limitata a 250 esemplari con cassa in ceramica gialla e cinturino in caucciù. Cronografo flyback con ruota a colonne e riserva di carica di 72 ore, movimento Unico HUB1280. Prezzo: 25.900 euro.

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PIAGET

POLO SKELETON

Un classico dello stile sporty/chic di Piaget fin dagli anni ‘70, il Polo si trasforma mettendo in campo due delle specialità della Casa: i movimenti ultrapiatti e l’arte della scheletratura. Sportivo, ma abbastanza elegante per le situazioni formali, è ora decisamente più sottile rispetto alle precedenti in versioni, raggiungendo uno spessore di soli 6,5 millimetri su una cassa di 42 millimetri. Il tutto grazie al calibro automatico con microrotore 1200S1 (2,4 millimetri), versione scheletrata del 1200P,

erede del celebre 12P del 1960 che ha detenuto il record di sottigliezza per oltre 20 anni. Un movimento che rivela attraverso il quadrante i suoi ingranaggi in PVD blu, espressione di uno spirito più audace a contrasto con la ricchezza dell’oro rosa della cassa a cuscino. L’intercambiabilità del cinturino in alligatore blu accentua la versatilità di questo modello: in modo semplice e funzionale, un pratico sistema di sgancio rapido ne permette la sostituzione in pochi secondi.

Cassa in oro rosa a 18 carati e movimento squelette blu a carica automatica, calibro 1200S1 con riserva di carica di 44 ore. Cinturino intercambiabile in alligatore blu. Prezzo: 45.200 euro.

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ZANNETTI

SOLO PEZZI UNICI LA COLLEZIONE REGENT LADY PERMETTE DI INDOSSARE UNA PICCOLA OPERA D’ARTE AL POLSO, REALIZZATA ESCLUSIVAMENTE A MANO CON L’ANTICA TECNICA DELLA MICROPITTURA A SMALTO Di Mauro Girasole

SE AD UN APPASSIONATO, che ha raggiunto un livello alto di conoscenza della tecnologia e della storia del mondo delle lancette, proviamo a chiedere quale sia il segnatempo dei suoi sogni da indossare al polso tutti i giorni, inevitabilmente la risposta sarà: «quello fatto apposta per me, che nessun altro possiede.» È questo un sogno impossibile o quasi da realizzare quando si parla di produzioni industriali, dove anche la minima variante sarebbe troppo difficile sia da inserire in una catena produttiva, sia da garantire a tutte le persone che ne potrebbero farne richiesta. Di conseguenza la personalizzazione è e rimane una Altri fiori, altre creazioni artistiche, rendono questa collezione assolutamente originale e indiscutibilmente unica nel suo genere

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caratteristica di pochi, pochissimi produttori di altissimo livello, che riescono a fare la gioia di un ristretto numero di appassionati. Lo ha ben capito l’unica Casa orologiera che, storicamente, disegna e produce i suoi orologi a Roma. Stiamo parlando di Zannetti, che sin dagli anni ’90 caratterizza i suoi modelli con una ricerca stilistica singolarmente originale, riuscendo parimenti ad offrire ai suoi clienti un livello altissimo di personalizzazione. Ne è un perfetto esempio una delle sue ultime collezioni, la Regent in edizione in misura Lady, disponibile oggi con quadrante realizzato a mano


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in micropittura a smalto. Si tratta di un orologio dalle prestazioni tecniche senza compromessi, con una possente cassa in acciaio, movimento svizzero automatico e vetro zaffiro antiriflesso. Ultima nata nei laboratori di Via di Monte d’Oro, la collezione “Regent Lady” è un inno alla natura. Due modelli, ciascuno disponibile in 3 esclusivi esemplari, interpretano lo splendore primaverile, quando i fiori sbocciano e inebriano con il loro profumo l’aria che si fa più mite. Eleganti peonie nelle sfumature del rosa, dal tenue alla tonalità più calda, sono disegnate con la tecnica della micropittura in smalto policromo sul quadrante, la privilegiata tela su cui il savoirfaire Zannetti trova da sempre la sua più alta espressione. Leggiadre farfalle dai vivaci toni dell’arancione si posano sui fiori e aggiungono una nota di femminilità al segnatempo. Ad abbracciare il quadrante, una cassa in acciaio di 30 mm è impreziosita con 2.2 carati di diamanti taglio brillante. Nel secondo modello il contrasto con l’acciaio della cassa illumina il quadrante e i colori si fanno ancora più intensi: i vellutati petali sono dipinti nel dettaglio con una straordinaria ricchezza di sfumature che vibrano dal bordeaux al rosa tenue, dal bianco al verde acqua, dal viola a pennellate di blu elettrico. Le lancette luminescenti segnano le ore in un orologio che è il connubio perfetto di eccellenza tecnologica e poesia, arte e pregiate tecniche decorative, da sempre gli ingredienti che rendono uniche le creazioni Zannetti. La manualità indispensabile per la realizzazione

di ogni singolo modello, li rende ognuno diverso dall’altro, garantendo così all’utilizzatore di avere al polso un orologio davvero unico. Come se tutto questo ancora non fosse sufficiente, la cliente può chiedere che sul quadrante sia riprodotta la propria barca, auto, oppure il proprio cane o cavallo. Una maniera originale per godere delle proprie passioni durante tutta la giornata: sarebbe, infatti, ben più difficile portare un purosangue all’interno di un consiglio di amministrazione oppure la sera a cena con gli amici. Zannetti ha scelto da anni di personalizzare i suoi pezzi più importanti con la tecnica della micropittura. Si tratta di una scelta quasi obbligata per chi vive e lavora a Roma. Storicamente, infatti, il Vaticano è uno dei luoghi d’eccezione dove la micropittura (e ancora di più il micromosaico) veniva praticata: si trattava della maniera più semplice e “leggera” per far sì che i pellegrini più abbienti potessero portare a casa con loro un ricordo delle bellezze della Città Eterna. Realizzare una micropittura secondo le regole e l’arte del mestiere è così raro che solo pochi maestri artigiani al mondo hanno le competenze richieste. Per creare o riprodurre fedelmente sul quadrante disegni o miniature, il talento non basta e sono necessari molti anni di formazione per padroneggiare ogni tecnica di smaltatura, che si tratti di Grand Feu, Cloisonné, Champlevé o micropittura. Quando arriva infine la fase cruciale della cottura, che permette allo smalto di fissarsi sulla matrice, il motivo appare in tutta la sua intensità e non è più in balia del tempo.

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motori CAPITOLO 2



CAPITOLO 2

MERCEDES

AMG GT COUPÉ4 OLTRE IL LIMITE

Il terzo modello completamente sviluppato da Mercedes-AMG prosegue la sua storia di successo. La GT Coupé4 è il frutto della combinazione tra la driving perfomance dell’AMG GT e una maggiore praticità quotidiana, grazie a quattro porte e spazio per un massimo di cinque passeggeri. Le sofisticate sospensioni pneumatiche, l’asse posteriore sterzante, la trazione integrale completamente variabile e un moderno concept generale entusiasmano i clienti di tutto il mondo. Detentrice del record per il miglior tempo sul North Loop del Nürburgring, appare subito evidente che la tecnologia e la messa a punto sono ai massimi livelli. Questa serie di modelli ha alzato ulteriormente l’asticella anche in termini

di design degli interni con uno stile esclusivo per le superfici e i diversi elementi. Sebbene già il modello precedente offrisse un’impressionante gamma di opzioni di personalizzazione per questo segmento la scelta è stata ulteriormente arricchita per uno stile ancora più individuale e ‘tailor made’: «“Aggiorniamo costantemente la nostra AMG GT Coupé4 a un livello tecnico eccezionale. Attraverso questo nuovo modello, ci rivolgiamo a target group che dedicano il massimo valore all’individualità e a uno stile di vita distintivo. Inoltre, presenteremo presto i nostri primi ibridi E Performance proprio su questo modello, portando avanti così l’elettrificazione del gruppo propulsore» ha dichiarato Philipp Schiemer, ceo di Mercedes-AMG. C.M.

La Mercedes-AMG GT Coupé4 acquisisce oggi uno stile ancora più individuale, la compagna di viaggio ideale in ogni situazione. Inoltre, un’ampia scelta di cerchi, rivestimenti, finiture, colori esterni e sospensioni ricalibrate offrono una scelta ancora più ampia tra sportività e comfort.

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Patrick Dempsey foto © TAG Heuer


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TAG HEUER - PORSCHE

IL DIVO SCENDE IN PISTA ATTORE, FILANTROPO PILOTA E SEX SYMBOL, PATRICK DEMPSEY CI HA RACCONTATO DELL’IMPORTANZA DI VIVERE APPIENO IL MOMENTO PRESENTE. SARÀ QUESTO IL SEGRETO DELLA SUA POPOLARITÀ?

Di Carlotta Mancini gentlewomandriver.com

DAI SET CINEMATOGRAFICI alle piste, Patrick Dempsey è un rubacuori tanto quanto un campione di velocità. Insieme al suo team ha preso parte alla Rolex 24 at Daytona, ha affrontato la SCORE Baja 1000, l’estenuante rally raid messicano, e poi ha puntato alla 24 Ore di Le Mans, il trofeo di endurance più ambito. Anche se ha deciso di lasciare il posto di guida per dedicare più tempo alla famiglia, continuerà a vivere il brivido della velocità, dando il massimo sui circuiti di gara internazionali.

Lo abbiamo incontrato durante il Gran Premio di Formula E che si è svolto a Roma. Le piace Roma? «Amo Roma, è interessante tornare, passeggiare per le sue vie e vederla tristemente vuota a Pasqua. La situazione mi fa riflettere sul momento storico che stiamo vivendo; come in una linea temporale apprezziamo di più il momento che abbiamo a nostra disposizione, ora ci accorgiamo che il tempo è davvero prezioso.

TAG HEUER CARRERA PORSCHE CHRONOGRAPH Un perfetto esempio di coordinamento, cooperazione e collaborazione. Basato sul design del TAG Heuer Carrera Sport Chronograph, con la sua caratteristica scala tachimetrica incisa sulla lunetta, introduce una serie di caratteristiche ispirate all’essenza del design Porsche. Connubio avvincente di due icone note per le prestazioni, la qualità e l’innovazione, questo cronografo è una fusione armonica tra l’universo Porsche e quello TAG Heuer, e incarna l’eccellenza di entrambi i nomi valorizzandone l’essenza. La scritta Porsche incisa è visibile sulla lunetta e il suo inconfondibile font è utilizzato anche per gli indici. L’effetto asfalto del quadrante esprime perfettamente la passione per la strada, mentre i numeri arabi ricordano i numeri sul cruscotto di una lussuosa auto sportiva Porsche. Costa 5.700 euro

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Patrick Dempsey a Roma con al polso il TAG Heuer Carrera PorscheChronograph Un tecnico TAG Heuer al lavoro a Roma durante il GP di Formula E

La sindaca di Roma Virginia Raggi

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Patrick Dempsey a Roma durante la nostra intervista in esclusiva

Ogni volta che arrivo a Roma mi sembra di essere a casa e mi sento a mio agio, le persone sono fantastiche e il cibo è eccezionale, adoro lavorare qui e amo la storia di questa città. Mi si spezza il cuore vedendo i negozi e i ristoranti chiusi e sentire le storie di chi lotta, perché qui ci sono persone di cuore, brava gente.» Steve McQueen nel film “Le Mans” indossava un Monaco, lei è un testimonial TAG Heuer: si sente il suo successore o erede? «In un certo senso, per quanto riguarda le corse, sì. Tutti noi che siamo immersi in questo mondo, lo amiamo in quanto ha incarnato la passione per le gare automobilistiche. Purtroppo non avrò mai la possibilità di conoscerlo ma, se fossi riuscito ad incontrarlo in passato, avremmo sicuramente parlato di automobili, corse e velocità. È stato un uomo fantastico, una vera icona.» Come è iniziata la sua collaborazione con TAG Heuer? «Attraverso le corse. È un legame perfetto del quale sono orgoglioso perché la storia di TAG Heuer nel motorsport è notevole e strettamente collegata a questo universo. L’ulteriore passo in avanti, quello di creare una partnership con Porsche è la ciliegina sulla torta, della quale sono felice. Gli orologi, come le auto, sono delle opere d’arte, delle sculture con cui puoi interagire e che ti fanno emozionare. Marchi iconici come TAG Heuer e Porsche, sono portatori di una storia forte e con la loro unione provocano un’energia sorprendente, speciale e significativa.» Cosa significa per lei essere un Ambassador TAG Heuer? «Sono fortunato a lavorare con TAG Heuer: condividere gli stessi obiettivi e valori e raccontarli alle persone è un’esperienza meravigliosa. Vedere cosa significa questo marchio per i fan delle corse è incredibile, amo vivere la partnership che si è creata. È bello contribuire alla crescita di una squadra in cui tutti abbiamo un ruolo preciso. Inoltre sono grato per il tempo che TAG Heuer mi ha dato per capire il marchio e la sua evoluzione, guardando gli ultimi modelli si vede tutta l’innovazione e la tecnologia a partire dalla nascita: il passato è adesso il presente.» Qual è il suo TAG Heuer preferito? Il mio Monaco vintage del 1972 con cinturino rosso che comprai prima di girare al circuito di Spa in Belgio per la prima volta. L’ho indossato anche quando ho partecipato per i cinque chilometri iniziali ad una tappa del Giro d’Italia nel 2017, mi toglie il fiato ogni volta che lo guardo, ci sono affezionato. Gli orologi sono dei simboli che portano un valore emblematico: il tempo cattura ogni momento.» Il tempo nella sua vita. Come lo gestisce? Che rapporto ha con il tempo? Penso al tempo ogni volta che guardo un orologio e mi ricorda di essere sempre presente nel momento, di vivere il qui ed ora. L’orologio è stato creato per tenerci in carreggiata, per ricordarci di rimanere nell’istante che viviamo: non abbiamo né il passato né il futuro ma solo ciò che è “ora”. La vera sfida è essere presenti nel momento.»

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Che orologio indossa nella vita di tutti i giorni? Di solito l’ultimo cronografo TAG Heuer Carrera Porsche Special Edition, perché lo trovo comodo, leggero ed affidabile. Nella serie tv “Diavoli”, indosso un’edizione limitata TAG Heuer in oro e anche quella mi piace, ma questo è un pezzo speciale.» Cosa ama delle gare e delle automobili da corsa? «Il mondo delle gare è fatto di appassionati, da qui nascono legami significativi, come il mio con TAG Heuer. Quello che adoro delle corse è guidare, stare in compagnia, la sfida sia mentale che fisica.» Lei non gareggia più? «No, le cose sono cambiate. Iniziai con le gare di endurance e una volta raggiunto il mio obiettivo sono passato dall’altra parte della pista, sostenendo i ragazzi dal box. A causa del lockdown e delle chiusure tutto il mio intero programma è cambiato quindi sono passato al puro tifo.»

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Ha mai pensato di unirsi alla Formula E con la sua squadra? «Abbiamo già tanti impegni con la Dempsey Proton Racing. La prossima settimana saremo a Barcellona con l’European Le Mans Series e il 26 aprile in Belgio inizierà il WEC (Campionato mondiale di endurance FIA) con le nostre Porsche 911 RSR – 19. Essere arrivati a questi traguardi significa tanto per noi.» Ha mai avuto paura in pista? «Sì, la paura c’è prima di salire in macchina. Bisogna abbracciare la relazione con essa in modo da permettere all’energia di fluire e di non bloccarti. La cosa più affascinante è entrare dentro la paura e lasciare che ti controlli in modo positivo, ma non al punto di limitarti. Bisogna imparare a gestirla: questo aspetto mentale credo sia l’approccio più sano alla vita.» Quale macchina le ha regalato più emozioni?


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La mia prima macchina: una Porsche 356 cabriolet del 1963, che comprai dopo aver concluso le riprese del mio primo grande film e che ho ancora oggi. Ho tante automobili ma lei è quella che ha più significato per me.» A proposito, quante Porsche ha? «Ho sette Porsche e un garage (ride). Mi divertono come tipologia di auto e sono un ottimo investimento. Le auto d’epoca in particolare evocano tante emozioni ed è bello raccontare l’esperienza di una vintage con gli appassionati. Sono mezzi che permettono di condividere la stessa passione e conoscere le persone, parlare con loro e vedere i loro occhi che si illuminano. Come Ambassador Porsche voglio dare modo a tutti di amare queste auto.» Cosa ne pensa del futuro delle auto elettriche? «È un mondo in costante evoluzione ed è importante continuare lo sviluppo e lavorare per

minimizzare l’impatto dell’uomo sul pianeta. È un work in progress perenne del quale vedremo i frutti nel tempo. Inoltre, competizioni come la Formula E sono fondamentali: tutta la tecnologia sperimentata in gara si traduce nell’aggiornamento dei dispositivi per una maggiore sicurezza alla guida e per migliorare l’esperienza su strada.» Lei è un attore famoso, un filantropo, un pilota e un bell’uomo. Sembra di descrivere Paul Newman. Ha mai pensato a questa connessione? «Sì. Se pensi all’eredità che ha lasciato in pista e fuori, è chiaro che vuoi raggiungere il suo livello. La fama non è tutto: la vita ha senso quando agisci per il bene degli altri. L’amore è ciò di cui abbiamo bisogno, condividerlo ed essere compassionevoli è l’esperienza più gratificante. Diffondere l’energia positiva ed essere felici per averlo fatto, questa è la chiave ed è una lezione che avrei voluto imparare prima nella mia vita.»

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Alejandro Agag, classe 1970, è un imprenditore ed ex politico spagnolo. Ad oggi è ideatore e presidente della Formula E e della E1 Series, il primo campionato del mondo di barche elettriche, inoltre è Ceo della competizione Extreme E. Parla correntemente quattro lingue perché una sola era troppo mainstream.

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ZENITH - EXTREME

IL CAVALIERE (VERDE) DELLA VELOCITÀ DA UN’IDEA NATA SUL TOVAGLIOLO DI UN RISTORANTE ALLA REALIZZAZIONE DI UN NUOVO CAMPIONATO AUTOMOBILISTICO ELETTRICO. ALEJANDRO AGAG RACCONTA I SUOI PROGETTI RISPETTOSI DELL’AMBIENTE Di Carlotta Mancini gentlewomandriver.com

QUANDO NON È IMPEGNATO a far provare l’emozione del circuito ai VIP del mondo dello spettacolo, dello sport e dell’automobilismo, Alejandro Agag, fondatore e presidente della Formula E, della E1 Series e CEO dell’Extreme E, passa il tempo inventandosi nuovi tipi di competizioni motoristiche. Gli ingredienti fondamentali? Gare che siano ecosostenibili e che dimostrino che un nuovo modo di fare motorsport ad emissioni zero, è possibile. Così, tra una foto con Francesco Totti e un giro in pista con Sienna Miller, Agag punta il dito sui problemi legati al cambiamento climatico. Un imprenditore sicuramente, ma anche un filantropo attento al nostro pianeta e un sostenitore dell’uguaglianza di genere, in quanto nella Extreme E competono in un team sia uomini che donne.

Eccoci al secondo appuntamento della Formula E, il terzo e quarto round dell’E-Prix a Roma, nella cornice del quartiere Eur. Come si sente dopo un lungo periodo di chiusura? «Bene. Sono molto felice di essere qui, di nuovo in pista. Roma è la tappa più bella del Campionato e rappresenta un doppio appuntamento che appassiona gli spettatori di tutto il mondo. L’obiettivo è ricominciare a vivere, a lavorare e ad organizzare delle occasioni come questa. La ripresa degli eventi, nel rispetto delle normative e con tutte le limitazioni necessarie, è una realtà della quale sono entusiasta: tornare alla normalità, come nella giornata di oggi, è possibile.» Cosa l’ha ispirata a creare la Formula E? «L’idea è nata dalla mia esperienza nel mondo delle corse automobilistiche tradizionali. Ho visto che mancava un lato dedicato allo sviluppo sostenibile, così ho pensato che sarebbe stato bello fare un campionato attento alle emissioni

di CO2. La Formula E è un esempio di come le competizioni sportive possono rispettare il pianeta attraverso una tecnologia in costante evoluzione.» Perché gareggiare all’interno delle città? «Il messaggio era promuovere le macchine elettriche e mostrare che sono adatte per muoversi all’interno della città. Un altro motivo è portare lo spettacolo della velocità e delle automobili da pista il più possibile vicino alle persone. In questo modo la gente non deve fare grandi spostamenti per raggiungere i circuiti e la gara diventa accessibile a tutti.» Ci sono stati degli ostacoli durante la creazione della Formula E? «La realtà è che ci sono stati tanti momenti di difficoltà. All’inizio pochi credevano in questo progetto e, a tal proposito, TAG Heuer è stato il primo brand di Alta Orologeria ad essere presente fin da subito come Socio Fondatore e Official Timekeeper. Le fasi iniziali sono state dure da affrontare ma alla fine ce l’abbiamo fatta, siamo qui perché abbiamo qualcosa da dire e siamo felici dei risultati che stiamo avendo. È una soddisfazione avere successo dopo dei periodi molto duri.» Qual è il suo rapporto con TAG Heuer? «Come ho detto, TAG Heuer è un socio fondatore e c’è una forte connessione con loro essendo anche Official Timekeeper. Sono soddisfatto della relazione che si è creata con TAG Heuer, la loro dedizione e attenzione al dettaglio è esemplare e i loro orologi sono indubbiamente bellissimi, come il Monaco per Gulf che porto oggi al polso. Inoltre personalmente ho uno splendido rapporto con i responsabili e con Frédéric Arnault, CEO di TAG Heuer, una grande persona,

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appassionato sostenitore della formula E.» Nell’E-Prix ci aspettiamo anche qualche “sportellata”. È una nostra impressione o c’è troppa educazione in Formula E? «A mio avviso c’è un po’ di tutto. Il problema è che le automobili di Formula E non sono fatte per il contatto perché si possono danneggiare, di conseguenza c’è bisogno di un minimo di attenzione. Tuttavia, come vediamo durante la gara e soprattutto nei giri finali, i piloti sono piuttosto agguerriti e sono certo che se non dovessero stare troppo attenti alle auto non avrebbero tanti problemi a toccarsi tra di loro e creare un po’ di show.» La Formula E sarà in grado di unirsi o superare la F1? C’è concorrenza tra le due? «Non c’è rivalità perché sono due competizioni molto diverse. La Formula 1 ha una storia più lunga, esiste da tanti anni ed ha un’organizzazione molto più ampia data la sua grandezza e storicità. Lo scopo della Formula E non è competere o superare la F1 perché abbiamo creato qualcosa di totalmente diverso, siamo due entità compatibili ma distinte. La Formula 1 nasce nei circuiti mentre la nostra natura è gareggiare dentro le città, anche la tecnologia è ben differente. Penso che come dei buoni amici possiamo coesistere.» Vedremo mai la Formula E dentro un circuito? «Preferisco che le monoposto elettriche corrano in una pista cittadina perché questa è la nostra

Zenith ha trovato il contesto perfetto per la collezione DEFY Extreme, diventando Cronometrista Ufficiale e Co-fondatore di Extreme E, un nuovo campionato off-road elettrico.

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identità. Siamo differenti per tanti motivi e gareggiare in città fa parte di ciò che ci distingue dagli altri. In futuro dovremo modificare i percorsi perché le automobili, grazie al continuo sviluppo, saranno sempre più veloci; di certo il nostro intento è rimanere all’interno del contesto urbano.» Ci sarà un ulteriore sviluppo futuro delle auto? «Sì. Tra due anni avremo la Gen3 con delle macchine più veloci grazie a delle nuove batterie super-fast charging più potenti. Avranno anche una maggiore autonomia e capacità, quindi in futuro ci aspettano ancora più emozioni in pista.» Come superare il fatto che molti appassionati sono restii all’elettrico e alle competizioni con le monoposto elettriche? «È tutta una questione di tempo, non esiste una formula magica per superare le rimostranze nei confronti delle automobili elettriche. Quello che vedo è che le nuove generazioni non hanno un così forte legame con le macchine a benzina e con il sound del motore come quelle precedenti, non sono così attaccate a questi concetti. Sono convinto che pian piano il pubblico comincerà a cambiare, abbiamo già una grande base di fan che crescerà nel tempo.» Può spiegarci come funziona la sua nuova creatura, l’Extreme E, la gara dove Zenith è Official Timekeeper e Partner Fondatore? «È una competizione legata al tema del cambiamento climatico. Si disputa con dei

ZENITH DEFY EXTREME Da un punto di vista estetico, il Defy Extreme rappresenta l’anima Defy all’ennesima potenza, in cui il profilo e i dettagli sono maggiormente accentuati, unitamente ad altri dettagli sapientemente integrati: Una cassa più ampia - 45mm - linee più affusolate, bordi più pronunciati e una silhouette complessiva che esprime resilienza e robustezza, nonché una naturale inclinazione ad esplorare nuovi orizzonti. Il design è rafforzato dall’aggiunta di componenti che proteggono i pulsanti e dalla corona a vite. Gli aspetti ergonomici e la resistenza sono potenziati, con un’impermeabilità fino a 200 metri: un risultato notevole per un cronografo all’avanguardia con fondello a vista. Uno degli elementi più sorprendenti del Defy Extreme è l’anello dodecagonale posizionato sotto la lunetta, che si estende fino al fondello, anch’esso dodecagonale. Costa 12.100 euro


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LA CASSA AFFUSOLATA IN TITANIO, SFACCETTATA E SCOLPITA COME UNA ROCCIA ESPOSTA AGLI ELEMENTI, CONFERISCE UNA PERSONALITÀ UNICA AL DEFY EXTREME. VOLEVAMO CHE IL DESIGN DEL DEFY FOSSE ANCORA PIÙ FUTURISTICO E D’IMPATTO Sébastien Gobert, Designer Zenith

fuoristrada elettrici che attraversano i luoghi colpiti dal riscaldamento globale. Le gare si svolgono in cinque parti diverse del mondo: artic, amazon, ocean, desert e himalayas: abbiamo iniziato nel deserto dell’Arabia Saudita ad Al-‘ula, a maggio saremo in Senegal a Dakar, a fine agosto in Groenlandia a Kangerlussuaq, poi a Santarem in Amazzonia e infine in Patagonia a dicembre. A far parte della corsa ci sono otto squadre composte da un team di due piloti: una donna ed un uomo. Durante il week end di gara vogliamo mostrare i problemi esistenti nelle varie località, sensibilizzare le persone e lavorare su soluzioni specifiche per ogni zona. La corsa è incredibile, eccitante e rischiosa come nel vecchio motorsport.» Qual è il concetto di team nell’Extreme E? «L’Extreme E è il primo campionato rispettoso della parità di genere. Vogliamo che le donne e gli uomini creino una squadra affiatata dove ognuno contribuisce per la riuscita della gara. Entrambi sono ugualmente importanti per il successo.» Pensa che anche le donne potranno gareggiare in Formula E come in Extreme E? «Dipende dal formato. L’Extreme E è creato apposta per far sì che entrambi possano gareggiare ad armi pari, altrimenti è molto difficile per le donne competere senza che ci sia un dislivello. Il

motorsport è un’attività fisica pesante, uno sport di resistenza e le donne partono in svantaggio per conformazione fisica; se si realizzasse un format a squadre allora sarebbe possibile far partecipare entrambi allo stesso modo.» A Roma si corre senza pubblico e lo stesso accadrà in altre gare. È un grosso problema o la Formula E vive principalmente in TV e nei social media? «Al momento vista anche la situazione che stiamo vivendo è difficile far crescere la partecipazione dal vivo. Tuttavia è un nostro obiettivo, perché si realizzi ci vuole tempo, coinvolgendo le persone gradualmente, senza fretta né stress. Confidiamo anche nei grandi partner che ci sostengono, nelle squadre e nei costruttori che ci supportano: nel tempo avremo un audience sempre più ampia.» Ci racconta un aneddoto legato alla nascita della Formula E? «È sempre piacevole raccontare com’è nato il progetto di un campionato totalmente elettrico. Era febbraio 2011 ed ero a cena a Parigi con Jean Todt e Antonio Tajani, durante la serata ci venne in mente di far competere delle monoposto elettriche, così iniziammo a scrivere le nostre idee sul tovagliolo del ristorante. La cosa simpatica è che quel tovagliolo è stato appeso alla parete del locale come fosse un quadro per ricordare il momento, ed è ancora lì presente oggi.»

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emozioni CAPITOLO 3


Costanza Maglio interpreta la Panton Chair di Vitra


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DIEGO DALL A PALMA

LA BELLEZZA DEL NUOVO MONDO Qualcuno mi aiuta, per favore, a capire cos’è, oggi, la bellezza? Esiste? Ha un senso, definirla tale? Ha a che fare con l’estetica? Con il buon gusto? Con il buon senso? Non trovo risposte: aiutatemi, se ne avete una. Per intanto compilo, per chi è confuso come me, un bollettino di valutazioni varie. In realtà, è un bollettino di guerra e di sconfitte future. Bellezza, è forse scattare un selfie dopo l’altro per immortalare le più bieche, banali e sconfortanti abitudini quotidiane che accompagnano, giorno dopo giorno, le nostre miserie umane? Bellezza, è forse postare pubblicamente una nostra foto in cui ci si nota, in primis, per lo sforzo col quale esibiamo la mucosa labiale credendo, ahinoi! che la sensualità consista in un ammiccamento delle labbra? Bellezza, è forse farsi fotografare col corpo di tre quarti, la spalla destra (o sinistra) spinta in avanti, come il bacino, nello sforzo patetico di imitare abitudini ed esibizioni femminili caraibiche, indirizzate a quegli uomini che confondono persino il nome della loro madre? Bellezza, è alimentare concorsi beceri e antiquati come Miss Italia, motivandoli con vaghezza di carattere sociale solo perché si mostra, davanti alle telecamere, una ragazza con una protesi? Bellezza, è squittire sui social scemenze del tipo:

«Mostrare i brufoli non è più una vergogna?» Bellezza è, scusate, seguire e alimentare la notorietà e i follower di chi campa su queste scemenze? Bellezza, è pubblicare in ogni luogo, in ogni modo e in ogni salsa modelle (M–O–D–E–L–L–E: vogliamo considerarlo il significato di questa parola?) scheletriche, emaciate e con il broncio di chi è incazzato col mondo intero? Bellezza, è ostentare azzardi di trucco e di abiti, frutto di becere improvvisazioni, o regalare a noi stessi e a chi ci guarda un tocco di arte, di pensiero e di poesia ragionati? Bellezza, è fingere (per alimentare vendite canto di cicala) di credere interessanti le gare edonistiche e narcisistiche di qualche ragazzotta o ragazzotto, senza né arte né parte, che con l’ausilio di uno smartphone ci prende per i fondelli (parola da associare, spesso, alla fisiognomica di molti protagonisti del web)? Chi lo desidera, continui pure questo viaggio distruttivo, se crede. Personalmente, ho altre mete. Perché amo i giganti, non gli gnomi. Amo l’Everest, non la montagnetta di San Siro. Amo i ritratti a tinte forti, non i selfie. Perché, come diceva il saggista William Hazlitt «In certi paesi le bestie più distruttive sono oggetto di adorazione. Come se ciò che più ripugna alla ragione e al senso comune sia più venerato della passione e della fantasia».

Scrittore, truccatore, imprenditore e personaggio televisivo italiano, Diego Dalla Palma è un’icona inconfondibile dello stile, della bellezza e dell’immagine italiana nel mondo. Il New York Times lo ha definito «Il profeta del make up Made in Italy»

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SISLEY PARIS

SULLE SPALLE DEI GIGANTI RICCARDO FERRARI RACCONTA TUTTO IL BELLO DELLE NUOVE SFIDE DELLA COSMETICA

Di Lara Mazza PRESENTE NEI CINQUE CONTINENTI, in oltre 100 paesi, Sisley Paris affonda le sue radici nel lontano 1976 quando a un imprenditore all’avanguardia, Hubert d’Ornano, fece capolino un’intuizione innovativa: affidarsi ai progressi tecnologici per utilizzare il meglio delle piante e degli oli essenziali nei prodotti cosmetici. Ancora oggi Produzione, Amministrazione e Laboratori di Ricerca dell’azienda sono situati in Francia. I prodotti Sisley sono realizzati principalmente nella fabbrica ultramoderna di Blois nel dipartimento francese del Loir-et-Cher. A Saint-Ouen-l’Aumône, vicino a Parigi, il Centro Operativo e di Ricerca, certificato HQE, riunisce su 45.000m² i Laboratori di Ricerca e Sviluppo, la piattaforma logistica e la maggior parte dei servizi amministrativi dell’azienda mentre la sede legale di Sisley Paris è situata nel centro di Parigi, al 3 Avenue de Friedland. La fitocosmetologia è nel cuore delle creazioni Sisley e consiste nell’utilizzo dei migliori estratti vegetali naturali, sapientemente associati, per ottenere il meglio della cosmetica. L’energia vitale delle piante, il loro potenziale di rigenerazione e adattamento, i loro sistemi di difesa e le loro fragranze sono stati messi al servizio della pelle e dei capelli. Per creare i suoi prodotti, la Maison francese seleziona il miglior tipo di pianta nella sua categoria, la parte più efficace di essa per il problema da trattare, il paese o la regione dove questa pianta cresce meglio e, infine, essa è raccolta nel momento in cui offrirà gli attivi più potenti. Questa è la scienza avanzata nel cuore delle formule Sisley. Riccardo Ferrari, Direttore Generale Sisley Italia, ci racconta come sta cambiando il settore e quali sono oggi le sfide più grandi per un’azienda che ha fatto dell’eccellenza la sua bandiera.

Nel 2020 diventa il nuovo Direttore Generale Sisley Italia dopo una lunga carriera nel settore della cosmetica. Oggi qual è la sfida più grande per un manager che riveste un ruolo così importante in un momento altrettanto difficile? «Innanzitutto, ho sempre avuto un amore sconfinato verso questo settore in cui, 25 anni fa, ho iniziato a lavorare più o meno per caso. Rispetto

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alla sfida più grande che devo affrontare in qualità di Direttore Generale, ovviamente anch’io mi sono posto questa domanda. Dal mio punto vista, occorre considerare se si guarda a Sisley come a un punto di arrivo o di partenza, questa è la grande differenza. Anche a livello prettamente personale e degli stimoli che si cercano. Sisley è uno dei leader di mercato nel mondo ed è leader di mercato in Italia, con un posizionamento chiaro e preciso. Reputo Sisley un punto di partenza e per me la grande sfida è stare “sulle spalle dei giganti”. La storia di questa filiale è caratterizzata dalla leadership di una persona che ha ricoperto lo stesso ruolo per 25 anni, assicurando una grande coerenza al marchio. Nonostante ogni strategia sia condivisa con l’headquarters, ci sono chiaramente sfide locali legate all’evoluzione di questo brand, soprattutto rispetto ai consumatori finali. Devo ammettere che la pandemia, in termini personali e di business, mi ha aiutato perché ha accelerato una serie di processi che altrimenti non sarebbero stati sentiti come urgenti. Il tema del B2C è prioritario oggi. Per noi lavorano 114 Beauty Consultant, tutte dipendenti, che hanno il compito di recarsi nelle profumerie a “diffondere” il verbo di Sisley. 114 profumerie alla settimana ospitano il nostro truccatore o la nostra esperta di bellezza al loro interno. La pandemia ci ha costretto a ripensarci, perché il traffico in quel momento è diminuito drasticamente, anche se ora si sta riprendendo ma non ancora ai livelli pre-Covid. Questa urgenza ha creato una necessità di cambiamento in tutti noi: un esempio è l’apertura del nostro sito di e-commerce

finalizzato a ricreare un’esperienza unica per le nostre clienti. Per noi, per me, per il mio ruolo, la pandemia, con rispetto di quello che è significato in termini di economia e in termini di salute, è stato un acceleratore. Al di là di questa opportunità, trovarsi a gestire una azienda nuova, “seduto sulle spalle dei giganti” e in un momento così drammatico, è stato sfidante. Essere presenti nei migliori punti vendita italiani e avere una forza vendita sell out unica sono stati due dei molti motivi per i quali nel 2020 abbiamo guadagnato quote di mercato: la famiglia d’Ornano ci ha dato la possibilità di continuare a investire. Abbiamo creduto che alla ripartenza saremmo stati più forti e così è stato. Il bilancio è estremamente positivo. Per questo motivo Sisley è un punto di partenza e non un punto di arrivo». Il prossimo punto qual è? «Ci sono due grandi sfide, interconnesse tra loro. La prima è quella di mantenere tutto ciò che è stato fatto finora, che è importante e prezioso, ma che rappresenta al tempo stesso un bagaglio molto oneroso. La responsabilità verso i consumatori è molto alta, vogliamo capire come arrivare in maniera sempre più gratificante ed esperienziale al nostro pubblico. Oggi basta essere nei punti vendita? Quale linguaggio dobbiamo utilizzare in questi spazi? Parallelamente c’è il tema dei nuovi strumenti: Instagram, Facebook, le masterclass, il sito… Bisogna considerare che, ad oggi, solo il 7-8% delle vendite del mercato della bellezza passa attraverso l’e-commerce, il resto avviene ancora nei punti

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vendita fisici. La seconda sfida è l’evoluzione interna a livello di struttura, persone, modi di lavorare e di interagire. Come dobbiamo cambiare, come dobbiamo evolvere senza perdere il nostro presente? Il detto “squadra che vince non si cambia” non mi rappresenta appieno, quando la squadra sta vincendo, è il momento di evolvere, perché se aspetti a cambiare quando sei obbligato a farlo, sei irrimediabilmente in ritardo». Mantenere l’equilibrio tra tutto quello che c’è stato prima e la modernità che una azienda deve per forza avere, senza dimenticare lo sguardo rivolto al futuro, come dicono sempre tutti…Come pensa di poter mantenere il balance corretto? «Io sono maggiormente focalizzato sulle dinamiche interne perché i consumatori dimostrano più flessibilità e apertura di quello che noi pensiamo. Il consumatore si interfaccia con una marca per un’esigenza sia oggettiva sia aspirazionale. Il grande tema è trovare una risposta che parli al cuore delle persone, oltre alle esigenze specifiche. Il consumatore sceglierà autonomamente se preferire il punto vendita fisico, l’e-commerce o entrambi. Affrontare la dinamica interna, invece, è una questione più strategica: bisogna pretendere di avere le persone giuste e farle lavorare insieme in maniera corretta. Io, in Sisley, le persone giuste le ho trovate. Affinché un’ampia e libera interazione porti al massimo i suoi frutti, è necessaria una precisa definizione dei flussi e delle modalità di collaborazione: capitale umano e processi. Tanto dialogo, tanta trasparenza. L’heritage è molto importante. Far evolvere una macchina vincente è pericoloso, ma doveroso. Non abbiamo fretta, ma la questione dell’evoluzione rimane centrale». Tornando a parlare di identità del brand, perché i consumatori scelgono Sisley Paris? «Dobbiamo andare al cuore... questa è la mia opinione. Ci sono due aspetti fondamentali:

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le performance e l’experience. L’efficacia è garantita: i nostri prodotti non solo sono altamente performanti, ma assicurano anche piacevolezza, texture sensoriali e comfort immediato. Questo è il cuore. L’altro tema, l’experience, risiede nella possibilità di donare un’esperienza ogni qualvolta le consumatrici si relazionano con la marca. Tutti i nostri prodotti posso essere provati sotto forma di campioni. Questa è l’unicità di Sisley. Noi dobbiamo parlare di prodotto, se ce ne dimentichiamo, tutto si uniforma». Prevedete nuovi investimenti per i prossimi anni? In caso affermativo in che dipartimenti? «Oggi il nostro fatturato è rappresentato per il 65% dal trattamento, il 25% è rappresentato dal make-up. A riguardo di ciò, sottolineo che Sisley ha fatto un lavoro incredibile negli ultimi anni: siamo una marca profondamente cosmetica, ma anche profondamente di colore, il trattamento è sempre al servizio del make-up. Il mancante 10% è suddiviso tra l’alcolico e la nostra linea capillare, che in realtà, è un brand a parte: Hair Rituel by Sisley. I due più importanti potenziali di crescita sono legati a questi due ultimi assi». In termini di categorie di prodotti, ci sono novità o lanci specifici in arrivo che pensa avranno un impatto sul vostro business? «Mai smettere di crescere nel trattamento, perché ci lega a doppio filo con la nostra consumatrice, e nel makeup, perché ciò consente di allargare la base di potenziali clienti, ma le categorie in cui vogliamo crescere maggiormente nel futuro sono l’alcolico e il capillare. Nel mondo delle fragranze accediamo a una realtà importante e consolidata, nel mondo dell’haircare, invece, accediamo a un mercato ancora molto piccolo. Sisley vuole diventare leader di questo mercato e, contemporaneamente, vuole svilupparlo insieme a buoni compagni di viaggio. Per questo abbiamo lanciato nel 2018 Hair Rituel


EMOZIONI

by Sisley. Aggiungo anche che la consumatrice deve “riabituarsi” ad acquistare prodotti capillari di alta di gamma in profumeria. Le racconto un piccolo aneddoto. Quando un anno e mezzo fa sono stato a Parigi, una delle ultime volte, ho visitato il nostro centro di sviluppo prodotti. Il Direttore Scientifico internazionale, responsabile della ricerca, mi ha fornito dei dettagli che mi hanno veramente impressionato. Innanzitutto, l’incredibile numero di ingredienti nei trattamenti che compongono la linea Hair Rituel by Sisley. Poi, quanto il processo di ideazione di un prodotto sia particolare in Sisley: prima si intercetta un’esigenza di consumo e i Laboratori di Ricerca iniziano a sviluppare un’innovazione a prescindere dal costo delle materie prime. In seguito, una volta terminato il prodotto e ricavato il costo di produzione, si costruisce anche il prezzo (normalmente il processo è inverso ed è il marketing a fissare il prezzo massimo di vendita per poi iniziare il processo di sviluppo). Ecco perché per noi il prezzo non è una leva di marketing: non collochiamo i prodotti nella fascia alta per renderli selettivi. È la qualità intrinseca a fare la differenza: ad esempio, per la nostra linea Velours aux Fleurs de Safran utilizziamo il migliore zafferano che cresce principalmente in piantagioni nel cuore del Limosino (Francia) su un terreno particolarmente ricco. Per la collezione Rose Noire, usiamo estratti acquosi e oleosi della rosa nera, i cui petali hanno una concentrazione particolarmente elevata di molecole attive. Essa viene raccolta nel sud della Francia, un solo mese all’anno e all’inizio della fioritura, per conservarne tutta la potenza». Come comunicare qualità e sostenibilità oggi? «Stiamo iniziando una nuova era di comunicazione, i temi legati alla sostenibilità e all’etica sono sempre più attuali. Molte sono le azioni che stiamo sviluppando. Per citarne alcune: dal 2011 abbiamo ridotto il nostro consumo di acqua del 22%, soprattutto grazie a un sistema

a circuito chiuso nelle strutture industriali e al recupero delle acque piovane. Attraverso una gestione quotidiana ottimizzata, oltre il 75% dei nostri rifiuti industriali viene riciclato in nuova materia prima, cosa che limita l’uso di risorse naturali. Ben 4.000 alberi sono stati piantati nelle strutture di Saint-Ouen l’Aumône e Blois, riducendo così il consumo di CO2, stiamo eliminando gradualmente il rivestimento in cellophane dalle nostre confezioni e la notice al loro interno per ridurre il consumo di carta. Questi sono alcuni esempi che dimostrano la sensibilità di Sisley rispetto al tema della sostenibilità: tale tema non deve essere usato come leva di marketing, ma vissuto come un reale e concreto impegno per il pianeta e comunicato di conseguenza”. Quanto conta il marketing e la comunicazione oggi? “Contano sempre di più per promuovere il marchio, e sarebbe uno sbaglio non utilizzare queste due leve in sinergia pensando che tutti conoscano Sisley. Ad esempio, una delle campagne digitali di maggior successo è stata quella dedicata a una nostra fragranza storica, Eau de Campagne, nella cui creatività compare la famiglia d’Ornano, i fondatori di Sisley, nella quotidianità di un ambiente bucolico. Un ritratto intimo e iconico che avvicina il consumatore al marchio in modo diverso ed efficace”. Qual è il feedback più bello che ricevete dalla vostra clientela? «Avevo un problema, Sisley me l’ha risolto. Avevo un’aspirazione, Sisley me l’ha colmata». Handmade è una testata dedicata la mondo degli orologi e il tempo viene trattato nelle sue molteplici sfaccettature. Cosa rappresenta il tempo per Sisley? «Il tempo è la misura della nostra consapevolezza: per ottenere risultati visibili, occorre dedizione».

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CAPITOLO 3

PAOLO MARICONTI

ALLA RICERCA DEL BENESSERE «OGNI TERAPIA È MENO EFFICACE SE NON SI VIENE RIEDUCATI AL BENESSERE» ANDIAMO ALLA SCOPERTA DEL CREATORE DI AGINGANDPAIN

Di Paolo Gobbi

Guarire il Dolore è il primo libro scritto da Paolo Mariconti.

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UN DESIDERIO ANCESTRALE accomuna tutti gli esseri umani fin dall’antichità: vivere serenamente e a lungo nel più completo benessere. La ricerca scientifica oggi offre risposte a interrogativi in passato irrisolti che conducono a prospettive di sicuro interesse. Mediante specifiche indagini cliniche e genetiche, e con l’educazione al rispetto dei ritmi naturali dell’organismo, insieme a dieta equilibrata, attività fisica, terapie adeguate, e consapevole gestione delle emozioni e dello stress, la Medicina dell’aging consente di contrastare con successo gli effetti del passare del tempo. É indispensabile tuttavia procedere per tempo con un’adeguata prevenzione. Bisogna agire in modo efficace su diversi aspetti, e l’alimentazione, che influenza i processi energetici, psicologici e spirituali dell’organismo, è fra i primi da considerare in un percorso anti-aging. Nel DNA di ognuno sono scritte le informazioni personali che vengono tramandate anche agli eredi, ma che in parte rimangono nascoste. L’epigenetica è una scienza di avanguardia che studia come la relazione con l’ambiente e le abitudini personali possano permettere o impedire che tali informazioni si trasformino in evidenti caratteristiche personali. É come se i tomi dimenticati da tempo in una antica biblioteca un giorno potessero cominciare a raccontare lo loro storie, mentre altri venissero definitivamente riposti sui polverosi scaffali. L’epigenetica ha chiarito come anche le abitudini alimentari influenzano l’espressione delle informazioni contenute nel DNA. Correggere la dieta significa contribuire a risolvere gli squilibri metabolici che rendono fragile l’organismo: l’infiammazione cronica di basso grado, lo stress ossidativo, il logorio degli zuccheri, e lo stato di acidosi dei tessuti. L’infiammazione cronica di basso grado è una condizione di irritazione profonda e subdola dell’organismo, che può non dare segno di sé anche molto a lungo mentre esercita le sue azioni distruttive.

Con stress ossidativo si intende il danno procurato dai radicali liberi, sostanze prodotte nelle cellule durante la reazione chimica che utilizza l’ossigeno per produrre energia. I radicali liberi si comportano come predatori che attaccano le cellule e le danneggiano irreversibilmente. Gli zuccheri in eccesso sono responsabili di un particolare danno delle cellule che, come “inamidate”, non riecono più a comunicare. Inoltre, quando la tendenza all’acidità è continua e costante, vengono attivati laboriosi sistemi per correggere l’ acidosi. Per contrastare l’infiammazione cronica è utile moderare il consumo di sale, farine e zuccheri raffinati, latte e latticini, e assumere gli acidi grassi Omega 3, che possono essere dosati nell’organismo con semplici analisi. Sono ricchi di Omega 3 l’olio di oliva, il pesce, in particolare aringhe, salmone e sardine, le uova, le mandorle, le noci, e i semi di lino. Gli zuccheri favoriscono l’infiammazione a causa delle sostanze tossiche che si generano ad alte temperature. È dunque buona abitudine privilegiare le cotture a bassa temperatura o al vapore, e assumere proteine vegetali introducendo nella dieta legumi, tofu, tempeh, quinoa, chia, spirulina, e ortaggi come spinaci e cavoli. Lo stress ossidativo è annientato dagli alimenti che catturano i radicali liberi. Il Dipartimento dell’agricoltura statunitense ha elaborato l’indice ORAC, acronimo di Oxygen Radical Absorbance Capacity, come unità di misura dell’attività antiossidante. Vengono considerati molto attivi la frutta nera, come mirtilli, more, prugne nere, uva nera, i frutti di bosco, il pompelmo rosa e gli agrumi. Fra le verdure gli spinaci, le barbabietole e il cavolo verde. Il PRAL, Potential Renal Acid Load, è una misura che indica l’attività alcalinizzante di un alimento, ed è utile per guidare la dieta nel contrastare l’acidosi prodotta dalle scorie del metabolismo. I prodotti con PRAL favorevole come frutta, verdura, leguminose e cereali integrali devono essere assunti in quantità adeguata.


EMOZIONI

HO DECISO DI DIVENTARE MEDICO quando ero ancora un ragazzo. Mi ero iscritto al Liceo classico determinato poi a studiare da anestesista. Durante gli studi universitari ho avuto la fortuna di conoscere grandi medici, fondamentali per la mia formazione umana e professionale. Il Direttore dell’Istituto di bioclimatologia mi ascoltava e mi guidava con infinta pazienza. Faceva parte del gruppo di esperti che già coltivavano l’idea di una futura Medicina del benessere. Curiosando un giorno fra i volumi del prestito libri dell’Università, rimasi colpito dalla storia di John Bonica. Figlio di immigrati che avevano lasciato Filicudi in cerca di fortuna, era diventato negli anni Cinquanta a Seattle un pioniere, il fondatore del primo centro ospedaliero specializzato nella cura del dolore. Nasceva in quegli anni a Milano il primo Istituto italiano di Medicina del dolore, guidato da un anestesista dotato di una cultura sconfinata e di un’apertura mentale infinita, un vero filosofo della scienza. Lì ho imparato il mestiere affiancando il medico a cui ero stato ufficialmente affidato. Sorrido pensando a lui, napoletano fino all’osso,

che sopportava paziente la frenesia di un giovane studente milanese. Mi sono specializzato prima in Anestesia e poi in Farmacologia, e dopo un breve periodo all’estero, iniziai subito a lavorare nell’Istituto dove ero cresciuto. Nei pazienti che curavo ricercavo anche la possibilità di offrire un solido benessere insieme a un buon controllo del dolore. Ancora non si parlava di Medicina anti-aging, ma istintivamente ho cominciato a studiare come poter mantenere i pazienti in condizioni fisiche e mentali ottimali nonostante il passare del tempo. Ho così affrontato il percorso per diventare psicoterapeuta esperto di ipnosi e ho esplorato le medicine complementari. Ho studiato l’Omotossicologia, la Medicina tradizionale cinese e l’Agopuntura, e poi la Medicina funzionale. Circostanze fortunate, la passione per il teatro e l’esperienza nella cura dei danzatori, mi hanno portato a

Mediante tabelle di facile consultazione è possibile verificare ORAC e PRAL di pranzo e cena. Anche stress ossidativo e acidosi possono essere facilmente misurati per una opportuna azione correttiva. Fondamentale è anche controllare il peso e ridurre l’accumulo di tessuto adiposo, che è una riserva energetica, ma è anche in grado di produrre decine di sostanze chimiche che influenzano ormoni e infiammazione. La qualità e la tipologia degli alimenti hanno anche un’azione sui batteri che vivono nell’intestino, i costituenti del Microbiota intestinale, che gestisce il metabolismo, sostiene il sistema immunitario, sintetizza le vitamine e agisce sull’umore. É influenzato dalla dieta, dai livelli di stress, dall’esposizione agli inquinanti e ai conservanti, e

insegnare per oltre dieci anni all’Istituto di scienze motorie dell’Università di Losanna. Convinto che anche un buon controllo del dolore cronico dovesse essere parte della cura, ho approfondito i miei studi e ho creato il marchio agingandpain. Ho così verificato come il dolore che si annida a lungo nel cervello logora il sistema nervoso, mantiene attivo lo stress, indebolisce la memoria e sconvolge gli equilibri ormonali. Insomma, il dolore fa invecchiare, e in fretta, e ogni terapia è meno efficace se non si viene rieducati al benessere. Io stesso ne ho fatto personale esperienza negli anni passati.

più in generale dalle abitudini di vita. Attraverso il sequenziamento del DNA batterico si ottengono informazioni complete e affidabili: oltre a identificare le specie di batteri presenti, è possibile verificare la loro efficienza nella protezione dell’organismo. In un progetto di cura che favorisca il benessere, il piano nutrizionale deve tenere conto delle abitudini e dei bisogni personali. Dice bene Algernon Moncrieff, l’eccentrico protagonista della commedia di Oscar Wilde L’importanza di chiamarsi Ernesto: «Verrò a cena, ma deve essere una cena seria. Odio le persone che prendono i pasti alla leggera. È così superficiale da parte loro». Perché migliorare l’alimentazione significa migliorare la vita.

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CAPITOLO 3

COMPAGNIE DE PROVENCE

TESORI DELLA NATURA Di Lara Mazza

I prodotti del marchio Compagnie de Provence, nato da una idea di Philippe Boigeol e Pascal Bourelly nel 1990 che iniziarono reinterpretando i famosi cubetti di sapone di Marsiglia, possono essere così descritti: colorati, meravigliosamente profumati e soprattutto naturali, nel vero senso della parola. I 30 anni Compagnie de Provence offre prodotti a base di oli botanici, ispirati alla natura ricca e vibrante della Provenza. Dopo 30 anni di studio delle proprietà di oli vegetali e la ricerca dei migliori principi attivi hanno dato l’impulso all’azienda francese di esplorare un nuovo territorio: il Mar Mediterraneo. La nuova collezione Algue Velours combina preziosi oli botanici della Provenza con l’«alga-velluto» del Mediterraneo in una gamma di prodotti ultra-idratanti e antiinquinamento per viso e corpo. Un’alga, quella del Mare Nostrum, dal potenziale straordinario perché contiene una ricca composizione molecolare (proteine, amminoacidi essenziali, minerali e lipidi) che le conferiscono proprietà biologiche attive. Ma perché usare proprio questo tipo di alga? Le primissime cellule viventi sono nate in ambiente marino, quindi c’è un’affinità unica tra le nostre cellule e i principi attivi marini. Le alghe e la pelle condividono somiglianze nelle loro strutture

biochimiche, il che spiega perché i principi attivi a base di alghe sono eccezionalmente ben assorbiti dalla pelle, rendendoli ancora più efficaci. La loro composizione è molto simile a quella dell’acqua termale, ideale per reintegrare la pelle ripristinando la sua funzione di barriera. Le alghe utilizzate sono coltivate in modo responsabile e raccolte a mano nel sud della Francia da Gelyma. Grande attenzione anche al packaging ecologico per il quale è stato scelto di utilizzare contenitori in vetro e plastica riciclata (e riciclabile) mentre per le scatole è stato utilizzato cartone proveniente da foreste sostenibili. I prodotti, dal sapone liquido alla crema viso, sono dermatologicamente testati e realizzati con formule ultra pulite e non contengono olii minerali, alluminio, parabeni, sodium laureth sulfate, triclosan, solfati, siliconi, BHT, EDTA, petrolati, formaldeide, ftalati e ingredienti di origine animale. Caratterizzata da note di testa come ananas, melone, mirtillo - da note di cuore come ninfea, gelsomino e mughetto - da note di fondo come vetiver, legno di sandalo, pesca e mora selvatica, questa nuova collezione testimonia l’impegno e la convinzione di Compagnie de Provence di realizzare formule efficaci e texture sublimi con almeno il 95% di ingredienti naturali.

DAL MEDITERRANEO UNO SCRIGNO DI INGREDIENTI PREZIOSI PER LA CURA DELLA PELLE

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DOLCE PART Y TIME VITA

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CAPITOLO 3

Costanza Maglio interpreta la Panton Chair di Vitra

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EMOZIONI

FINE JEWELRY

MINI MAXI LA CHIMICA ROMANTICA DI OPPOSTI CHE SI ATTRAGGONO, OVVERO LA TERRA DI MEZZO TRA GIOELLERIA E DESIGN

di Gaia Giovetti foto di Lucio Convertini ha collaborato Costanza Maglio

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JAEGER-LeCOULTRE Orologio da polso Rendez-Vous Jewellery Dazzling Moon movimento automatico e fasi lunari con cassa in oro bianco, lunetta e anse impreziosite da diamanti, quadrante bianco in madreperla con diamanti e indici arabi. SABBADINI Orecchini in oro bianco con diamanti taglio baguette 10.77 ct e micro pavé di diamanti 1.64 ct. Miniatura VITRA: DSW, Eames, 1950.

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CAPITOLO 3

BREITLING Cronografo Premier B09 Chronograph 40 con movimento a carica manuale, cassa in acciaio da 40 mm, quadrante verde con contatori laterali e indici arabi. Cinturino in pelle di coccodrillo marrone dorato. VHERNIER Anello Pirouette in oro bianco e diamanti brown ‘Eyeliner Pavé’ Miniatura VITRA: ZIG ZAG STOEL, Rietveld, 1930

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CAPITOLO 3

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CHANEL HORLOGERIE Orologi Boy-Friend modello medio, con cassa in acciaio, lunetta di diamanti e corona con spinello cabochon e cassa in oro beige, corona con cabochon in onice. Entrambi con quadrante guilloché opalino e datario. Cinturini intercambiabili in alligatore rosa e pelle blue jeans matelassé con fibbie in acciaio e in oro beige. CHANEL HAUTE JOAILLERIE Anello Vibration Minerale con tormalina blu da 37,48 ct. taglio smeraldo montato su oro giallo e platino con diamanti, madreperla e smalto. A sinistra anello Ble Maria in oro giallo e bianco con zaffiro giallo centrale taglio smeraldo da 14,47 ct. contornato da tormaline verdi, granati arancio, spinelli rosa e diamanti. Miniatura VITRA: LOCKHEED LOUNGE, Newson, 1986

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CAPITOLO 3

A. LANGHE & SHÖNE Lange 1 cassa in oro bianco con cinturino nero, movimento meccanico a carica manuale. quadrante argentée, indicazione dell’ora decentrata, grande data e con indicazione riserva di carica, autonomia 72 ore. UNIQUE PIECE-PISA DIAMANTI Anello chevallier in oro bianco rodiato con grosso diamante taglio flat. Miniatura VITRA: MR90 BARCELONA, Mies van der Rohe, 1929

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CAPITOLO 3

BOUCHERON Collana Damier Cabochon in oro bianco con pavé di diamanti e onice della Collezione di Alta Gioielleria 26 Vendôme. CARTIER Anello Phantére in oro bianco e diamanti con occhi di smeraldi e naso di onice. Miniatura VITRA: ROOD BLAUWE STOEL, Rietveld, 1918.

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CAPITOLO 3

AUDEMARS PIGUET Royal Oak frosted gold Segnatempo con cassa da 34mm. Cassa e bracciale in Frosted gold, oro bianco 18 ct. martellato. Quadrante azzurro con motivo “Grande Tapisserie”; indici applicati e lancette Royal Oak in oro bianco con rivestimento luminescente. Miniatura VITRA: STANDARD CHAIR, Prouvé, 1930.

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ZANNETTI Orologi Regent Lady Floreale: realizzati interamente a mano con cassa in acciaio da 30mm; lunetta lucida e lunetta con diamanti; entrambi con quadrante in madreperla dipinto a mano con la tecnica della micropittura; movimento automatico Swisse Made; cinturino in pelle di alligatore; Anello in oro bianco con zaffiro giallo centrale da 8,23 ct. e diamanti laterali e a pavé. Di fianco, anello in oro bianco con tanzanite di 7,79 ct. e fascia di diamanti. Miniatura VITRA: LITTLE BEAVER, Ghery, 1987.

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VAN CLEEF&ARPELS Orologio Cadenas in oro rosa, zaffiri rosa e diamanti. CHANTECLER Maxi anello in oro rosa con grossa tormalina centrale da 26 ct. con smeraldi, rubini, zaffiri e diamanti laterali. Miniatura VITRA: SHITZMACHINE, Hoffman, 1905.

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PIAGET Orologio segreto Wings of light in oro bianco con smeraldi laterali e pavé di diamanti. Quadrante in opale nero e movimento al quarzo. Maxi anello Limelight Garden Party In oro bianco con grosso zaffiro rosa centrale da 4,86 ct. e diamanti. Anello Limelight Mediterranean Gerden in oro bianco con diamante centrale da 1,53 ct e perle con diamanti taglio marquise e brillante. Miniatura VITRA: VEGETAL, Bouroullec, 2008

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GUCCI HIGH WATCHMAKING Orologio segreto con testa di leone scorrevole in oro bianco e diamanti. GUCCI HIGH JEWELRY Della collezione Hortus Deliciatum: da sinistra: anello in oro giallo inciso con smalto arancio e tanzanite. In basso: anelli in oro giallo lavorato a incisione con smalto arancio e granato Malaya, con smalto rosso e smeraldo centrale e con smalto turchese più opale. In alto: anelli in oro giallo inciso con smalto turchese e spinello rosa e con smalto verde ed opale. Miniature VITRA: da sinistra WELL TEMPERED CHAIR, Arad, 1986, e BIG EASY, Arad, 1988.

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LJ ROMA 1962 Anello a serpente con montatura a spirale in oro rosa smaltato nero e diamante centrale taglio pera da 5,40 ct. Miniatura VITRA: PLAYWOOD ELEPHANT NATUR, Eames, 1945.

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PASQUALE BRUNI Orecchini Collezione Aleluiá Rainbow in oro bianco 18 ct con smeraldi, zaffiri rosa, gialli e blu montati a pavé. RUBEUS MILANO Dalla collezione Leaf anello con morganite centrale da 12 ct. E montatura in oro bianco con diamanti di diversi tagli. Miniatura VITRA: PANTON CHAIR, Panton, 1959/60.

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VITRA

L’ESSENZA DELLA CREATIVITÀ E DEL DESIGN Creare prodotti e concetti innovativi con grandi designer è l’essenza di Vitra. Un flusso continuo per rendere l’universo dell’immaginazione uno spazio creativo dove linee e forme possano assumere consistenza e vivere nel nostro quotidiano. Contemplazione e consumo, dunque, si intrecciano e colonizzano nuovi territori da esplorare. I progetti firmati Vitra sono sì sviluppati in Svizzera ma installati in tutto il mondo da architetti, aziende e utenti privati ​​ con lo scopo di costruire spazi di ispirazione per vivere e lavorare. Con i suoi classici, Vitra rappresenta la vera rivoluzione nel design del XX secolo. Come non ricordare la sedia interamente in plastica Panton che, introdotta nel lontano 1967, divenne in brevissimo tempo leggendaria e tuttora una icona di indiscutibile stile. Oggi l’azienda svizzera, combinando competenze tecniche e concettuali con la creatività dei designer contemporanei, cerca di continuare a spingere la disciplina del design oltre i confini convenzionali. Azienda familiare da ottant’anni, Vitra crede in prodotti durevoli e in una cescita sostenibile senza dimenticare che proprio il design rappresenta anche un veicolo di riforma culturale. A questo scopo “lavorano” incessantemente il Vitra Campus e il Vitra Design Museum che, con le loro mostre su design e architettura, archivi di design e una collezione completa di mobili, rappresentano la massima espressione di un concetto di condivisione democratico e globale:

ispirano i visitatori, informano il processo di progettazione e creano un’atmosfera in cui l’innovazione fiorisce. Il primo fu realizzato con edifici di alcuni dei principali architetti del mondo: nacque ufficialmente nel 1981 dalle ceneri degli stabilimenti di Weil am Rhein, distrutti da un devastante incendio, quando si decise di trasformare la fabbrica nella più grande collezione di architettura dei nostri tempi. Il secondo fu creato dalla mente dell’archistar decostruttivista Frank Gehry nel 1990 in collaborazione con l’architetto Günter Pfeifer. Con i suoi settant’anni di storia, oggi Vitra è una delle più apprezzate realtà del settore nel mondo e, da oltre due decenni, il Vitra Design Museum realizza anche repliche in miniatura delle pietre miliari del design di mobili della sua collezione. La Collezione “Miniatures” racchiude l’intera storia del design di mobili industriali, passando dallo Storicismo e dall’Art Nouveau al Bauhaus e a La Nuova Oggettività, dal Design Radicale e Postmodernismo fino ai giorni nostri. Esattamente un sesto delle dimensioni degli originali storici, le sedie sono tutte fedeli alla scala e ricreano con precisione i minimi dettagli di costruzione, materiale e colore. L’elevato standard di autenticità si estende anche alle venature naturali del legno, alla riproduzione delle viti e alle elaborate tecniche artigianali con le quali sono state costruite. Ciò ha trasformato le miniature, già entrate nei libri di storia del design, in veri e propri oggetti da collezione.

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LIBRI

MAGISTER SPEEDMASTER LA COLLEZIONE DEI SOGNI Di Patrizio Poggiarelli

Attenzione, quello di cui parliamo in queste pagine è un libro che ancora non esiste e vedrà la luce solamente a fine anno. La notizia però è troppo bella e la realizzazione così complessa, che iniziamo già a raccontarlo su questo numero di Handmade. Stiamo parlando di «Magister - Andrea Foffi Speedmaster Selection», un volume curato dalla nostra casa editrice e destinato a chi vivie con passione la bella orologeria. Magister è la sintesi di un’evoluzione. Il suo obiettivo è raccontare il modello che più di

Collezionista ed appassionato conosciuto in tutto il mondo, cultore dell’Alta Orologeria e del mondo Omega in particolare, Andrea Foffi è il titolare di Vintage Watches and Cars.

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tutti rappresenta il cammino tumultuoso della cronografia contemporanea. Da semplici segnatempo a ricercati oggetti del desiderio, da spesa onerosa a investimento vantaggioso, l’Omega Speedmaster può essere il solo protagonista di Magister. Ed è così che lo dobbiamo considerare. Non cerchiamo disegni o funzioni particolari, proviamo a percepire il lento e continuo movimento di un racconto. Un orologio che parla, che narra il cambiamento di stili e tecnologie, alla costante ricerca di un brivido.


LA COLLEZIONE FOFFI Vent’anni di lavoro, ricerche in tutto il mondo, voli in aereo, viaggi in paesi lontani: i risultati di questi sforzi sono oltre 70 orologi unici e straordinari. Alcuni di essi, conservati per decenni lontano da sguardi indiscreti, vengono mostrati per la prima volta al grande pubblico.

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CAPITOLO 4

IL FOTOGRAFO: FABIO SANTINELLI Ha trattato il più celebre di tutti i segnatempo come opera d’arte e non come prodotto industriale. Caratteristica distintiva della sua fotografia è restituire una sensazione quasi tattile di contatto con gli elementi osservati e percepire le materie di cui sono fatti i soggetti inquadrati.

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PART Y TIME

Una volta indossato, lo Speedmaster afferma la sua personalità portando con sé una carica propulsiva che impressiona piacevolmente, riuscendo a trasmettere lo stile Omega che rappresenta l’essenza stessa del suo successo. È il suo fascino e la sua unicità che abbiamo ricercato e messo in evidenza nelle pagine e nelle foto che presenteremo. Nessun intento didascalico né volontà di elencare le infinite versioni e varianti realizzate in questi anni. Dentro Magister non troverete tutti gli Speedmaster, ma una selezione dei più rappresentativi, rari ed esclusivi: quelli che hanno voluto raccontarsi e quelli che non si sono mai raccontati, quelli che si sono nascosti e quelli che non l’hanno mai fatto. Una collezione che porta la firma di Andrea

Foffi e che viene narrata con la legittimità e l’esperienza del giornalista Paolo Gobbi (direttore di Handmade) e del fotografo Fabio Santinelli. Ricordiamo che lo Speedmaster di Omega, il cronografo sportivo iconico per eccellenza, protagonista indiscusso della storia orologiera dell’ultimo mezzo secolo, si racconta in un libro unico nel suo genere. All’interno sarà possibile scoprire i pezzi più rilevanti di una delle collezioni più complete al mondo, quella che ha realizzato Andrea Foffi in due decadi di lavoro e di ricerca. Il risultato sono dei segnatempo eccezionali per rarità e valore, che confermano l’importanza collezionistica di questo modello e alzano ancora di più l’asticella della sua desiderabilità da parte dei collezionisti di tutto il mondo. Tutti questi elementi vanno a comporre un’opera esclusiva: Magister.

MAGISTER SPEEDMASTER 70 Omega Speedmaster da collezione Contenuti esclusivi - 340 pagine - 2019 copie numerate e firmate In vendita da dicembre 2021 al costo di € 399 - Pre order € 349 per informazioni e prenotazioni: info@magister-shop.com - tel. 339.8315887

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CAPITOLO 3

DOM PERIGON

LA CONNESSIONE DI DUE ENERGIE EFFERVESCENTI Di Manlio Giustiniani

La star del pop Lady Gaga annuncia la sua collaborazione con Dom Pérignon su Instagram, tenendo un rosé 2006 in una bottiglia colorata di porpora scuro. Dom Pérignon e Lady Gaga sono due energie effervescenti che celebrano la creatività, si riconoscono come spiriti affini, e la loro connessione è stata elettrizzante, profonda e sincera, così insieme scrivono una storia di ispirazione reciproca, e di collaborazione creativa. La Maison Dom Pérignon vede lo Champagne come un atto di creazione, con l’obiettivo di ispirare le emozioni più profonde e si fonda

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sull’impegno di testimoniare la vendemmia di una sola annata, attraverso la quale persegue la sua ricerca verso un profondo ideale estetico: creare e rivelare l’Armonia che scaturisce da una natura in continua evoluzione, dal clima e dalle sfide di ogni annata, non scendendo mai a compromessi. Dall’altro lato Lady Gaga, è la regina di un universo creativo esuberante, autentica donna del XXI secolo, icona globale della musica ed attrice versatile. Con la sua creatività avanguardista e la sua voce audace e potente esprime la sua opinione con coraggio, da sempre in anticipo sui tempi e sulle mode, guidando il cambiamento


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attraverso la sua arte. Lady Gaga ha scoperto la storia della Maison e la profondità di un’eredità e di una spinta creativa che risalgono al XVII secolo, attraverso Dom Pierre Pérignon, il Monaco benedettino che ha dato alla Maison il suo nome e i suoi ideali, e che rappresenta infatti l’etica del lavoro e di una disciplina severa, con l’ambizione di “produrre il miglior vino del mondo”. Ciò che li unisce è l’ispirazione a creare, un impulso irrefrenabile che fa sentire vivi che dà la forza di liberarsi e continuare a superare I propri limiti. Una celebrazione della creatività, che prende la forma di un esperimento artistico e di una scultura disegnata da Lady Gaga per Dom Pérignon in collaborazione con Nicola Formichetti: il Queendom - una celebrazione appassionante, esuberante ed esaltante. L’affascinante scultura è come un velo che riflette il flusso e il movimento di un abito magnetico che avvolge un maestoso Jéroboam di Dom Pérignon Rosé Vintage 2005, che sembra sollevarsi attraverso il suo rivestimento, un’incarnazione dell’antigravità, un movimento catturato, e ibernato nel tempo. Gli abiti di Lady Gaga sfoggiano colori e trame sontuose, che si amalgamano con lo sfondo in movimenti vorticosi e sembrano immergersi in un mondo di morbidezza e calore. La sua corona e i suoi abiti mescolano elementi classici e d’avanguardia, così da diventare senza tempo, eleganti e lussuosi. Prodotta in 110 pezzi esclusivi, la scultura in edizione limitata sarà disponibile per acquisti

privati e sarà esposta nelle sedi principali di Dom Pérignon. Tutti i profitti ricavati dalla vendita di quest’opera saranno devoluti alla Born This Way Foundation, fondata nel 2011 da Lady Gaga e sua madre Cynthia Germanotta, per supportare il benessere delle persone e lavora con loro per creare un mondo più gentile e coraggioso. Quando Dom Pérignon sceglie il Rosé, è in nome della libertà di avventurarsi, di liberarsi dalle convenzioni per spingersi oltre i limiti della creatività. Nato da questo desiderio di osare, il Dom Pérignon Rosé coglie lo splendore rosso del Pinot Noir nella sua primordiale radiosità e ne cattura l’energia vitale in un assemblaggio audace e deciso, rivelando uno spirito selvaggio, sensuale e magnetico. Il mondo che Lady Gaga e Dom Pérignon ci invitano a scoprire è un’affermazione positiva del potere trasformativo della libertà creativa, la celebrazione di come il superamento dei confini, il desiderio di aprire nuovi orizzonti, di sperimentare ed esplorare, la reinvenzione costante e la dedizione appassionata e instancabile alla propria arte senza smettere mai di guardare le stelle, possano ispirare individualmente e collettivamente ad andare oltre. Il viaggio di Lay Gaga e Dom Pérignon continua insieme nella costante ricerca dell’Armonia e, in autunno, Dom Pérignon rilascerà un’edizione limitata di Vintage 2010 e Rosé Vintage 2006 racchiusi in esclusivi coffret, come entusiasmante espressione della loro collaborazione. È così che inizia la storia. Ed è ben lontana dalla fine.

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CAPITOLO 3

VOLCÁN DE MI TIERRA

IL MESSICO A PORTATA DI BICCHIERE Di Lara Mazza

Se l’America ha scoperto il tequila grazie alla guerra con i conquistadores a metà del XIX scolo, noi italiani abbiamo imparato ad apprezzarlo solo in tempi più recenti e, per fortuna, oggi questo distillato non è più solo associato a celebrazioni come il Cinco de Mayo o gustato in margarita preconfezionati in esotici bar sulla spiaggia. Volcán De Mi Tierra è il nuovo gioiello del portafoglio distillati di Moët Hennessy, capace di entusiasmare le papille gustative più esigenti grazie alle sue dolci note di agave blu, la più pura e pregiata, con delicati sentori di pompelmo e un tocco di pepe nero speziato, in un equilibrio

PER GLI ESTIMATORI DEL TEQUILA ARRRIVA IN ITALIA IL PRODOTTO SUPER PREMIUM DI MOËT HENNESSY

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davvero ben rifinito. Fresco e robusto, questo tequila massimizza l’espressione di due terroir. Le agavi alla base del distillato provengono infatti da due regioni diverse: Los Valles e Los Altos. Le agavi delle pianure portano note tipicamente erbacee, agrumate e speziate, mentre quelle degli altipiani sprigionano sentori fruttati e densi. Il Gruppo porta oggi sul mercato italiano due proposte di Volcán De Mi Tierra: Blanco e Añejo Cristalino (la differenza sta tutta nel processo di invecchiamento che conferisce sapori più complessi), ottimi da degustare in purezza, sorprendenti in miscelazione.


EMOZIONI

«Siamo felicissimi che Volcán De Mi Tierra sia arrivato in Italia», racconta Francesca Terragni Direttore Marketing e Comunicazione di Moët Hennessy Italia, «Questo marchio vanta radici secolari come ci dimostra la famiglia Gallardo che, da generazioni, ne ha portato avanti la produzione, nel rispetto della tradizione e sempre con un occhio all’innovazione. In questo, Volcán De Mi Tierra incarna perfettamente i valori degli altri grandi brand che hanno fatto la storia e il successo della nostra azienda. Vantare oggi un prodotto simile nel nostro portafoglio ci consente di soddisfare ancor di più i nostri clienti attuali nonché di raggiungerne di nuovi. Il tequila è infatti ormai entrato nel cuore dei consumatori e noi vogliamo fare altrettanto, come azienda e come persone.»

Volcán De Mi Tierra, che deve il suo nome a un vulcano realmente esistente, è natura, heritage e cuore: un tequila super premium che è un tripudio di territorialità ed autenticità dove l’approccio iper-local e la produzione etica sposano l’expertise di Moët Hennessy nel campo della distillazione, dell’invecchiamento e del blending. Quando si tratta di creare liquori, non si può negare che ci siano molte variabili che ne definiscono la qualità. Da pochi euro per una bottiglia di vino a bottiglie a sette cifre per il miglior whisky: la varietà degli alcolici è sorprendente. Tuttavia, ci sono alcune tipologie che trascendono il semplice fatto di essere una bottiglia da condividere con amici e familiari, sono uno stile di vita. Come Volcán De Mi Tierra.

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CAPITOLO 3

SPIRITS

LA SVOLTA GREEN DI BEEFEATER Di Lara Mazza

Da qualche anno si sente sempre più parlare di scelte “green” e di ciò che le aziende possono fare per attuare comportamenti e iniziative consapevoli, accelerando così il ritmo del cambiamento. Ma in che modo l’industria del beverage può determinare una trasformazione epocale in termini di sostenibilità? Sicuramente un rinnovamento nella cultura del bere è uno dei punti chiave per realizzare una metamorfosi efficace. Una recente ricerca effettuata dal Daily Mirror rileva che le aziende alimentari hanno già iniziato a mettere in campo “buone pratiche” come la necessità di creare drink sempre più “sostenibili” e ripensare al packaging. Il legame con l’ambiente e la natura che caratterizza Beefeater, forte di una storia che affonda le sue radici nel 1820 in Cale Street con la fondazione della Chelsea Distillery, evolve sempre di più in questa direzione e nel rispetto del pianeta. Una decisa svolta verde che il bartender Kevin Faccio traduce nella “Beefeater Green Drink List”: 4 ingredienti, utilizzati fino allo “sfinimento” finale al fine di vagliare tutte le loro potenzialità, per 11 differenti preparazioni. Da una carota (nella sua interezza), ad esempio, si può avere un estratto. La polpa con un po’ di farina può essere usata per realizzare delle cialde cotte al forno e condite con sale grosso e paprika, croccanti finger food che possono accompagnare gustosamente un cocktail; il ciuffo verde insieme alle bucce è invece perfetto per un brodo. E questo è solo un esempio. Il lime, una volta spremuto, invece può essere utilizzato per creare una tintura di scorze spray, o uno sciroppo. Insieme a fondi di caffè l’agrume si rivela un compost per le nostre piante aromatiche. La calotta di lime essiccata e ridotta in polvere si usa per il garnish. Il concetto di “zero waste” per Beefeater, marchio del Gruppo Pernod Ricard,

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non si applica solo agli ingredienti di un cocktail, ovviamente. La definizione degli obbiettivi e delle strategie dell’azienda anglosassone è molto chiara: non si tratta solo di sterili propositi tecnici ma coinvolge tutte le parti in causa, compresi dipendenti, ambassador e stakeholder. E a volte le idee migliori vengono da chi lavora in prima linea. Il Gin più premiato al mondo infatti presenta una nuova bottiglia potentemente simbolica, che rappresenta le sue origini attraverso un design accattivante e originale. Lo spirito urban e l’anima londinese del brand si materializzano così in un’estetica affine all’iconico mattone di Londra, somma di immaginazione e positività, che vuole essere anche un invito a cambiare pelle. I dettagli estetici hanno una loro propria funzionalità, ad esempio le sfaccettature ai lati favoriscono la presa aumentando il grip mentre si versa o si preparano cocktail. Anche il tappo e l’etichetta dalla forte identità visuale sono nuovi: quest’ultima si materializza grazie alla goffratura e alle linee dorate in rilievo che fanno da sfondo al guardiano della Tower of London, il Beefeater appunto. La nuova bottiglia, ispirata appunto dall’idea di rendere il mondo sempre più sostenibile, riduce la plastica del 90% e ottimizza il processo produttivo diminuendo l’impatto ambientale attraverso la riduzione del consumo di acqua e della produzione di carbonio. 410 tonnellate di plastica all’anno risparmiate dunque che corrispondono a 31 bus londinesi e 594 cabine telefoniche: 160 milioni di pezzi di plastica in meno. Il bello coincide così con il valore. Mai come oggi abbiamo bisogno di incedere insieme verso un vivere più sostenibile. Abbracciare gli sforzi è un obbligo di tutti e il nuovo Beefeater ci invita a farlo, mostrando il mondo in una prospettiva più fresca, urbana, resiliente e open-mind.


DOLCE VITA

50 ml Beefeater gin 30 ml succo di lime 25 ml sciroppo di conservazione della mostarda 40 ml waste brot (brodo ottenuto dalla cottura in acqua degli scarti di produzione come buccia di ananas, foglie di ananas, calotte di lime, ciuffi di carota e buccia di carota)

Tintura di scorze spray (tintura ottenuta dall’infusione in acqua delle scorze di lime scartate dopo la spremitura) Garnish: tortellino dolce con farina di mandorle ripieno di mostarda e polpa di scarto dall’estrazione dell’ananas

Preparazione: mettere tutti gli ingredienti in un bicchiere alto riempito di ghiaccio e mescolare delicatamente La dritta green: le materie esauste possono essere convertite in compost per autoprodursi e coltivare le proprie erbe aromatiche

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CAPITOLO 4

L A RICETTA

POKÉ BOWL L’ALTERNATIVA Di Sara Tiberia instagram.com/lostincakes

La Pokè Bowl è un piatto molto veloce, sano, versatile e di grande tendenza servito in una scodella - bowl in inglese - le cui origini si fondono tra influenze hawaiane, giapponesi e coreane. Questo piatto unico dal sapore orientale è composto principalmente da riso e pesce crudo marinato e tagliato a cubetti, unito a insalata, frutta e verdura. I condimenti possono variare in base alle proprie preferenze, divertitevi quindi a scoprire nuovi sapori e accostamenti e a creare la vostra Poké personalizzata. Vediamo ora come preparala in pochi e semplici passi. Ingredienti per due persone • 250 gr di riso per sushi • 350 ml di acqua • 5 cucchiai aceto di riso • 1 cucchiaino raso di sale • 100 g di filetto di salmone (già abbattuto) • 1 cucchiaino di semi di sesamo • Mango • Avocado • Cetriolo • Edamame lessi o cotti al vapore q.b • Salsa di soia q.b

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Procedimento Tagliare il salmone e cubetti e farlo marinare in una ciotola con un cucchiaio di salsa di soia e i semi di sesamo. Nel frattempo far bollire 250 g di riso in 350 ml d’acqua. Lasciar cuocere con il coperchio a fuoco lento per 10 minuti. Spegnere il fuoco e lasciar riposare senza togliere il coperchio per altri 15 minuti. Aggiungere al riso ancora caldo 5 cucchiai di aceto di riso e 1 cucchiaino di sale. A questo punto comporre la Pokè bowl: mettere il riso sul fondo di una ciotola e aggiungere il salmone marinato, il mango a dadini, l’avocado, gli edamame e il cetriolo, mantenendo i condimenti separati. Condire con salsa di soia a piacimento e consumare la Pokè appena preparata.




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Date:

15 euro Trimestrale 30 Giugno 2021 nr. 06




Quanto a me, io sono tormentato da una smania sempiterna per le cose lontane Mi piace navigare mari proibiti e approdare su coste barbariche Herman Melville - Moby Dick o la balena


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INCIPIT

TEMPI LIBERI

NON È ANCORA FINITA ma tutto lascia immaginare che il peggio sia ormai alle spalle. Eppure il blackout generato dalla pandemia ha contribuito a cambiare il modo di vedere le cose e ha dato un nuovo ordine alle nostre priorità. Questo periodo di privazioni ha rimesso in discussione ogni cosa e ciò che prima appariva scontato ora non lo è più. Insomma da oggi guardiamo il mondo con occhi nuovi. Un mondo dove il mare torna a occupare un ruolo centrale amplificando all’infinito quel senso di libertà ritrovato. Mare che ci ha permesso di ristabilire, rafforzandolo, un rapporto con la natura passato in secondo piano e spesso dato per scontato. Ma il mare è anche uno straordinario contenitore di emozioni. Le stesse che abbiamo vissuto, in occasione dell’ultima edizione dell’America’s Cup, nelle notti di Luna Rossa. Momenti unici scanditi dalle lancette di Panerai nei quali, proprio come i monoscafi dotati di foil, i nostri sogni e la nostra immaginazione hanno potuto spiccare il volo liberati, una volta tanto, dalla zavorra delle preoccupazioni e delle incertezze.

Matteo Zaccagnino

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DALLA COPERTINA Eilean un ketch di 70 piedi progettato e costruito nel 1936 da William Fife per i fratelli Fulton. Oggi uno dei simboli di Panerai.

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SOMMARIO

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INTERVISTA - FRANCESCO VIOLA

Il nostro design circolare

INTERVISTA - MAURO PELASCHIER 040 Figlio del mare e di questo pianeta

PANERAI - EILEAN Regina dei mari

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INTERVISTA - MONICA PENDINI

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Il luogo straordinario

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INTERVISTA - PAUL CAYARD

Maestro del vento

INTERVISTA - ALBERTO GALASSI

Il signore delle onde

BATTELLI GONFIABILI

I Gommonauti

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ROLEX

HAMILTON - ZANNETTI Commodoro selection

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POESIA

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Un maxi ritorno

Dal mare


INTERVISTA

IL NOSTRO DESIGN CIRCOLARE Di Paolo Gobbi

PANERAI È SINONIMO DI INNOVAZIONE TECNOLOGICA CON L’USO PIONIERISTICO DI NUOVI MATERIALI, MA ANCHE DI IMPEGNO PER UN FUTURO RISPETTOSO DELL’AMBIENTE. FRANCESCO VIOLA CI RACCONTA COME

DA DIVERSI ANNI A QUESTA PARTE PANERAI è uno dei pionieri dei progressi dell’orologeria contemporanea, proponendo nei suoi modelli nuove proporzioni, materiali e tecnologie meccaniche. Oggi la Casa dalle origini fiorentine guarda oltre, promuovendo un’economia circolare nel mondo dei segnatempo, rivoluzionando idealmente il sistema produttivo con la realizzazione di un modello realizzato con la più alta percentuale di materiale riciclato al mondo. A raccontarci questa visione innovativa è Francesco Viola, country manager per l’Italia Parliamo di mercato italiano. «L’Italia è il paese di riferimento per Panerai e quello più importante anche in termini di peso specifico. Panerai è nata in Italia, a Firenze nel 1860, quindi l’italianità è nel Dna della marca. Jean-Marc Pontroué, il nostro ceo, sicuramente ci vede come un mercato guida. Tra l’altro abbiamo qui uno dei quartier generali dove sviluppiamo idee per migliorare la shopping experience per i nostri clienti all’interno delle boutique, ma dove anche testiamo i nuovi tool, in sinergia con il Laboratorio di Idee.» Parlando di boutique, con la pandemia il sistema distributivo ha subito un forte contraccolpo, primo fra tutti l’assenza dei turisti stranieri. Voi avete puntato molto sulle boutique. Cambierà qualcosa? «Dal mio punto di vista è più la shopping experience che è stata modificata dagli effetti della crisi globale e piuttosto che il sistema della boutique.» In concreto cosa è cambiato? «Sicuramente abbiamo avuto il 70/75% in meno di traffico negli aeroporti e quindi un crollo del turismo. Ma se prima aspettavamo che il cliente venisse in boutique a vivere l’experience Panerai, oggi siamo noi che andiamo da lui, grazie alla digitalizzazione “a casa” del cliente.»

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Un esempio? «Quello che abbiamo fatto con l’evento di Luna Rossa. In un altro contesto lo avremmo organizzato in una bella location, dove ci sarebbe stato sicuramente il contatto umano, la possibilità di socializzare e anche la possibilità fisica di condividere. Visto che però non era possibile, abbiamo pensato di realizzarlo in un altro modo. Penso che il concetto del futuro sarà sempre di più verso questa direzione, verso eventi cosiddetti “phigital” che rappresentano la fusione e un mix tra phisical e digital. È un modo per far vivere una sorta di evento multisensoriale. In futuro, quando ci sarà la possibilità, ovviamente si faranno ancora gli eventi fisici per incontrarci, ma quando sarà difficile questa modalità aiuterà a mantenere comunque un contatto anche con chi è dall’altra parte del mondo e non può venire.» Cosa succederà con le boutique? «Quello che abbiamo fatto è stato rimodificare un po’ il paradigma della shopping experience. Le boutique, come i multimarca i concessionari, continuano a essere una colonna portante per la distribuzione e la presenza di Panerai sul territorio. Vogliamo essere presenti con i nostri monomarca negli hot spot come Milano, Roma, Firenze e Venezia e poi vedremo in futuro anche in qualche altra località, perché la boutique è quella che riesce meglio a rappresentare i valori intrinseci della marca e a far vivere la shopping experience completa al nostro cliente.» I multimarca rimarranno comunque attivi? «Per quanto riguarda i multimarca, devo dire che l’Italia si differenzia molto dagli altri mercati tipo quello francese e quello inglese. A differenza loro, siamo molto decentralizzati e abbiamo un tipo di distribuzione senza le grandi catene internazionali (forse Rocca è l’unica che si può definire così). Questo perché nel nostro tessuto sociale sono molto radicate alcune famiglie storiche che hanno realizzato attività imprenditoriali di successo a livello


INTERVISTA

Francesco Viola, country manager Panerai per l’Italia. Segue l’area del Sud Est Europa, l’area mediterranea, con Italia, Grecia, Malta, Cipro, Israele, Tunisia e Marocco.

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INTERVISTA

regionale e che sono arrivate già alla quarta/quinta generazione. Questo fa un po’ la differenza. La Francia, ad esempio, è una nazione tendenzialmente concentrata su città come Parigi e Lione o la Costa Azzurra, in Italia invece ci sono ventuno regioni, oltre cento città con una popolazione superiore ai 60.000 abitanti e abbiamo oltre quaranta aeroporti; non c’è nessuna altra nazione che è così eterogenea. Per questo la nostra distribuzione è abbastanza atipica. La prima cosa che dicono gli stranieri che vivono nel nostro paese è che abbiamo troppi punti vendita. Poi però, quando gli racconti e gli descrivi la geografia dell’Italia capiscono che ci sono città che hanno una popolazione, una capacità produttiva e un reddito pro capite di un certo livello e che quindi meritano la rappresentatività di marche più importanti.»

deve poter vivere lo stesso family feeling Panerai dovunque si trovi: che sia nel multimarca, nel monobrand o nell’online. La nostra strategia mette il cliente al centro di tutto: deve avere la possibilità di entrare in contatto con il brand e poter acquistare in ogni situazione.»

Come si configura in tutto ciò il vostro canale online di vendita? «Per quanto ci riguard, preferiamo parlare di multicanalità. Per noi, innanzitutto, il cliente

Semplice a dirsi, ma difficile da mettere in pratica: la multicanalità richiede tantissimo lavoro. «Il lavoro incredibile riguarda l’integrazione e la comunicazione dei vari canali ed è veramente questa la sfida delle grandi marche. Attenzione, non significa solo integrazione dal punto di vista logistico: compro online e poi vado a ritirare nel negozio sotto casa. Ma vuol dire anche avere la conoscenza dei nostri clienti e la loro condivisione. Perché se io ho un cliente che entra nella boutique di Milano e poi va in quella di Roma o nel multibrand e quindi viene in contatto con un servizio Panerai, è importante che la marca lo sappia così da poterlo trattare nel modo adeguato. Altrimenti si crea un disservizio più che un servizio.»

LUMINOR MARINA ESTEEL

Il primo orologio Panerai a presentare una delle più notevoli realizzazioni tecniche nella storia del marchio: l’eSteel. Composto da materiale riciclato, è un vero progresso che rappresenta un ulteriore passo nell’impegno per ridurre la necessità di estrazione di materiale vergini e l’alto impatto ambientale associato a tale operazione. 89g dei componenti di Luminor Marina eSteel, corrispondenti al 58,4% del peso totale dell’orologio (cioè 152,4g), sono prodotti da materiali riciclati. Sia la cassa che il quadrante di Luminor Marina eSteel presentano una nuova lega di acciaio riciclato. Le sfide per lo sviluppo del materiale sono state molteplici. Prima fra tutte: l’esigenza che soddisfacesse gli stessi rigorosi standard richiesti alle casse in acciaio tradizionale che l’hanno preceduta. eSteel presenta lo stesso comportamento chimico, la stessa struttura fisica e la stessa resistenza alla corrosione di una lega non riciclata.

Luminor Marina eSteel. 89 grammi dei suoi componenti, corrispondenti al 58,4% del peso totale dell’orologio (cioè 152,4 gr.), sono prodotti da materiali riciclati. Movimento automatico. 8.500 euro

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Un esempio? «All’aeroporto di Malpensa puoi trovare una boutique o un multimarca Panerai e provare l’orologio che ti piace. Poi magari sei uno che viaggia molto e quindi decidi di comprarlo online perché non hai tempo di tornare in negozio. Però hai indossato e visto l’orologio, sai la referenza e tutto il resto e te lo fai arrivare a casa. Questa è la strategia della multicanalità, una maniera per essere molto vicini ai clienti.»

È facile inserire l’online nelle vostre boutique ma nei multimarca è più difficile... «Ci stiamo lavorando. Sicuramente quando è tutto a gestione interna è più facile. Con un partner è più complicato.» La multicanalità viene comunicata dal cliente oppure è un qualcosa che viene vissuto e non spiegato? «Tendenzialmente lo dimostriamo con i fatti. Non c’è bisogno di spiegare un servizio: se il cliente nella sua experience, in qualsiasi settore, viene guidato


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dalla marca stessa, a mio avviso diventa tutto molto più fluido. Pensiamo anche ad Amazon che ora si è messa a fare i negozi fisici, dimostrando l’importanza della multicanalità anche per un player puro dell’ecommerce.» Quindi il punto vendita fisico è importante? «Se rientriamo nella nostra categoria, l’importanza del punto vendita fisico è fondamentale. Ad esempio, il salone Watches & Wonders è stato realizzato per il secondo anno di fila in formato digitale, mantenendo comunque alto l’interesse degli addetti ai lavori, dei clienti, dei partner. Quello che però è mancato è stato il touch and feel del prodotto. Quando indossi un orologio devi sentire come lo porti, il peso, la vestibilità e tutta una serie di elementi che nella parte digitale mancano.» Non avete paura di chiudere un cerchio intorno a un determinato tipo di clientela e di non andare, invece, a cercare nuove esperienze? «Siamo continuamente al lavoro per far vivere e cercare nuove esperienze per i nostri clienti. Un esempio concreto è quello di Luna Rossa: creare delle sinergie con brand affini a Panerai, con lo stesso Dna italiano, lo stesso attaccamento al mare, gli stessi valori di audacia e di coraggio. Questo è un modo per riuscire trasversalmente a entrare in contatto con una clientela diversa, nuova,

giovane. Poi c’è il tema dell’ecologico, che non voglio però svilire con l’obiettivo di trovare nuovi clienti. Però quel che è certo è che un tema che ha un altissimo valore etico e sui cui Panerai già da anni sta portando avanti un grandissimo lavoro di sensibilizzazione. Quello che fa la differenza però, è che non basta solo sensibilizzare ma bisogna anche passare all’azione. Devo dire che in questo ultimo Watches & Wonders Panerai ha proprio dimostrato di essere passata all’azione in modo concreto, realizzando il eLab-Id, che è la concentrazione di tutto il lavoro di ricerca e sviluppo che ormai da diversi anni stiamo portando avanti.» Cos’è il design circolare del nuovo eLab-Id? «È il frutto di anni di ricerca e sviluppo a livello sia di materiali che di processi produttivi. Riuscire a realizzare un orologio che per il 98,6 % del suo peso è composto da materiali riciclati, per me è un risultato straordinario. Ci tengo a fare una precisazione: spesso quando si parla di materiali riciclati si parla di materiali quasi di seconda qualità. A me piace invece parlare di materiali rigenerati: ossia dare una seconda vita ai materiali, mantenendo lo stesso livello di qualità e di valore.» Ancora una volta una buona idea che necessita di un grande lavoro.

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SUBMERSIBLE ELAB-ID IL CONCEPT WATCH ECOLOGICO

Per generazioni, Panerai è stato il Brand pioniere dei progressi dell’orologeria contemporanea. Ha sempre proposto nuove proporzioni, materiali e tecnologie con un impatto trasformativo di vasta portata. Questo record assoluto continua con quella che può essere considerata un’anteprima davvero rivoluzionaria. Con l’introduzione di Submersible eLAB-ID, l’orologio realizzato con la più alta percentuale di materiale riciclato al mondo, Panerai è pronta a dare vita e a guidare un movimento che ha come obiettivo primario la promozione di un modello produttivo orologiero più responsabile dal punto di vista dell’impatto ambientale.

Submersible eLAB-ID. Il 98,6% del suo peso totale proviene da materiali che integrano un alto tasso di elementi riciclati. Cassa in EcoTitanium, cinturino in tessuto riciclato Grigio Roccia, movimento automatico. 60.000 euro

«È un processo che ha coinvolto diversi partner che operano nel settore dell’orologeria ma anche al di fuori, in quanto abbiamo lavorato con fornitori del settore aerospaziale e dell’automotive. L’idea della circolarità non si ferma soltanto alla realizzazione di un prototipo o di una collezione con pezzi estremamente limitati: si vuole invece far circolare il know how sviluppato finora e sperare che questo “contamini”, in senso ovviamente buono, gli altri player del mercato dei segnatempo affinché anche loro seguano gradualmente un percorso che Panerai ha un po’ l’ambizione di iniziare a tracciare. Il grande lavoro che ha fatto la marca è stato di comunicazione e sensibilizzazione sul tema dell’ecologia. Però se rimane limitato solo a Panerai resta una goccia nel mare.» C’è stata già qualche risposta a questa vostra apertura? «Le risposte che abbiamo ottenuto finora sono state tutte da parte dei clienti finali e dei partner che hanno sicuramente apprezzato questo slancio, sia di ricerca che di generosità. Quello di cui sono veramente fiero oggi nel lavorare in Panerai è proprio il fatto che la marca abbia voluto far parte di una missione per salvaguardare il pianeta. E questo dimostra anche l’attenzione per le nuove generazioni che non è scontata.» I ragazzi oggi considerano molto importante il tema della salvaguardia del nostro Pianeta. «Si tratta di un tema di estrema attualità che ci avvicina alle nuove generazioni. Anche la sensibilizzazione che stiamo avendo un po’ tutti sul riscaldamento globale e sugli effetti dell’inquinamento ormai è diventato un elemento di estrema vicinanza. Penso quindi che andare a lavorare in questa direzione dia ulteriore valore alla marca.» La recente notizia della blockchain che unisce Lvmh con Cartier e Prada va proprio in questa direzione. Forse in orologeria non c’è un problema di controllo della lavorazione dell’oggetto, perché è conosciuta e standardizzata. Però il controllo delle fonti di approvvigionamento è un tema molto attuale… «È un tema fortemente etico e di estrema attualità. Oggi quando si compra un oggetto, oltre alla bellezza si vuole capire anche che cosa c’è dietro, nella sua filiera produttiva.» Si tratta di un tema che Panerai sta già affrontando da molti anni. «Sì, è un percorso che Panerai ha iniziato da tempo e dimostra in tanti modi: con la nostra manifattura a impatto zero, con il piano di trasporti alternativi per gli impiegati... Anche con la partnership che

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INTERVISTA

dura ormai da un ventennio con Mike Horn, che con i suoi viaggi è andato a raccontare in giro per il mondo lo stato di salute del pianeta. Sono tutti elementi che se li vai a sommare ti danno l’idea chiara di quella che è la strategia di Panerai. Non per ultimo anche tutta la parte che riguarda gli accessori: dalla scatola in materiale riciclato, al manuale che ormai da diversi anni abbiamo digitalizzato. Tutti elementi che completano il percorso che stiamo facendo.» Il Luminor Due è un grosso passo in avanti nella vostra proposta orologiera, vi avvicina anche all’universo femminile. «Partiamo dal presupposto che Panerai è un marchio che è profondamente legato alla sua storia e ai suoi valori. Però fin dalla fondazione nel 1860 è sempre stato un po’ un “visionario” che ha lavorato per innovare e migliorare le sue collezioni. Il Laboratorio di Idee nasce proprio con questo obiettivo: guardare al futuro sempre però con un occhio al presente e un pensiero al passato. La collezione Luminor Due è nata proprio con l’obiettivo di andare a mantenere il Dna della marca ma con un tocco di modernità, andando a soddisfare e rispondere a un’esigenza che avevano alcuni clienti di avere un orologio con le forme Panerai ma più leggero e indossabile. Siamo riusciti a realizzare un orologio che, in alcuni casi, ha uno spessore quasi del 40% in meno rispetto alla collezione Luminor. Con il Piccolo Due abbiamo voluto poi iniziare un dialogo anche con le donne, che oggi sono sempre più attratte dagli orologi maschili, con una personalità forte. Così lo abbiamo ridimensionato per renderlo più portabile ma sempre senza sradicare quello che è il vissuto della marca.» Se fosse davanti ad un cliente, quale sarebbe la motivazione più importante per fargli acquistare un Panerai? «Panerai è l’unico marchio di alta orologeria che secondo me ha una riconoscibilità e un carattere

molto forte. Quindi innanzitutto parlerei dei valori della marca: l’italianità, il legame con il mare, una storia fiorentina che nasce a metà dell’800, che poi è riuscita a sviluppare una ricercatezza, sia nella meccanica che nelle forme e negli ultimi anni anche nei materiali, che è unica. Oggi quello che mi sento di dire riguardo a ciò che riesce a differenziare Panerai dagli altri marchi è anche il concetto di experience, che stiamo promuovendo come elemento importante: puoi comprare un orologio e vivere anche un’experience legata all’orologio stesso. Penso ad esempio alle esperienze con Guillaime Néry o con il Comsubin. È un tipo di approccio che non si limita solo all’orologio che acquisti ma che ha dietro un discorso molto più profondo. In più potrei aggiungere anche il valore etico, con la sensibilizzazione sul versante ecologico.» È in Panerai da due anni: le aspettative che aveva su questa marca si sono rivelate corrette? «Sono ventun anni che lavoro per multinazionali francesi e da quasi dieci sono in Richemont. Avevo voglia di dedicarmi finalmente a un marchio italiano, forse perché con l’età si diventa più patriottici. Ho trovato un’energia straordinaria portata da JeanMarc Pontrué: il talento, la visione e le idee che mette nel lavoro che fa e come riesce a trasmetterli al suo team. Poi è stato bello vedere realizzare questa strategia, con l’experience, l’ecologico e una visione che va al di là del mero marketing prodotto e del posizionamento, ma che raggiunge un importante valore etico.» Cosa vede nel futuro del brand? «Vedo un marchio che non si accontenterà di essere semplicemente un brand di orologeria, ma sarà incentrato su di un concetto di lifestyle legato fortemente al mondo del mare e che avrà ancora tante storie da raccontare. Perché il Laboratorio di Idee è in continua evoluzione e non si fermerà.»

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COVER STORY

REGINA DEI MARI Di Matteo Zaccagnino

EILEAN IL DUE ALBERI AMBASCIATORE DELLA TRADIZIONE VELICA PER PANERAI E IL RADIOMIR CHE NE FA RIVIVERE LE EMOZIONI AL POLSO

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FIRENZE E FAIRLIE. Un filo sottile lega queste due città così distanti a livello geografico. Per essere più precisi una data: il 1936. Riavvolgendo il nastro della storia proprio in quell’anno nel laboratorio fiorentino, di quella che all’epoca si chiamava Orologeria Svizzera G. Panerai & C., veniva messo a punto un innovativo strumento da mettere al polso degli incursori commissionato dalla Regia Marina Militare italiana. In Scozia, a qualche migliaio di chilometri di distanza e 365 giorni dopo dagli scali del cantiere William Fife & Son scendeva in acqua un ketch di 22 metri di lunghezza. Il suo nome Eilean in gaelico vuol dire isola e la sua storia a distanza di 70 anni si intreccerà con quella di Panerai. E più precisamente ad Antigua. Era il 2006 e lo scafo di questa gloriosa imbarcazione giaceva in uno stato di quasi totale abbandono quando la Maison Panerai prese la decisione di riportarlo al suo antico splendore. Una sfida dove il tempo, scherzo del destino, ha giocato un ruolo cruciale. I lavori di recupero e restauro sono stati eseguiti presso il cantiere Francesco Del Carlo a Viareggio ancora adesso considerato custode delle tradizioni e della cultura navale. Nonostante le pessime condizioni determinate dal logorio causato dalla salsedine, l’impresa fu portata a termine. Le operazioni di restauro assorbirono le maestranze del cantiere per oltre tre anni il che la dice lunga sull’entità degli interventi. In totale occorsero 40.000 ore di lavoro, 5.000 furono le viti in bronzo silicio usate per trattenere il fasciame, 500 i metri lineari usati per la coperta in teak, 28 i metri di altezza del nuovo albero di maestra e 6 i metri cubi di mogano impiegato per realizzare gli interni. Numeri che la dicono lunga sulla portata di una vera e propria operazione di recupero considerata tra le più complesse nel panorama delle imbarcazioni d’epoca e illustrata con dovizia di particolari e dettagli nel 2018 a Venezia in occasione di Homo Faber Homo Faber - Crafting a more human future, un progetto voluto e curato dalla Michelangelo Foundation for Creativity and Craftsmanship, l’istituzione che riunisce i più riconosciuti protagonisti dei mestieri d’arte a livello europeo. “Le barche in legno non muoiono mai”, raccontò in un’intervista rilasciata


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Il due alberi è figlio di un progetto del 1936 dei leggendari cantieri scozzesi Fife, il cui prestigio delle imbarcazioni costruite artigianalmente è rimasto immutato fino ai nostri giorni. Il restauro di Eilean è la dimostrazione del rispetto che l’industria del lusso nutre nei confronti della tradizione artigianale, e del suo impegno per sostenere i mestieri d’arte e assicurarne la sopravvivenza.

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Panerai Radiomir Eilean 45 mm La sua cassa, spessa 14,15 millimetri, presenta sul fianco sinistro la personalizzazione delle celebre barca simbolo della Casa orologiera.

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al Corriere della Sera proprio in quella circostanza Guido Del Carlo oggi al timone del cantiere di famiglia. “Quando vidi per la prima volta Eilean mi sembrò una follia pensare di poterla salvare recuperando le parti originali: lo scafo aveva il fasciame in teak da restaurare, agganciato con delle viti alle ordinate che invece erano in ferro e appariva compromesso. Noi siamo un cantiere bravo nel lavorare il legno ma il metallo è un’altra cosa. Di primo acchito mi sembrava una follia ma poi mi dissi: Se l’hanno fatto in passato possiamo riuscirci anche noi oggi”, aggiunge Del Carlo. Sfida vinta su tutti i fronti e dal 2009 Eiliean è stata restituita al suo splendore originale. Lo stesso che ha fatto innamorare i fratelli James e Robert Fulton di Greenrock che la commissionarono a William Fife III, ultimo rappresentante di quella che è considerata

una dinastia di progettisti unica nella storia di questa professione. Per capirne la portata basti pensare che il contributo alla sviluppo della progettazione compiuto da Fife III nella vela si può considerare alla stregua di quanto, in un altro settore come quello orologiero, ha fatto un genio del calibro di Abraham-Louis Breguet. In tutta la sua carriera dalla matita del prolifico architetto navale scozzese sono usciti i progetti di circa 800 imbarcazioni. Oltre ad Eilean, Fife III meglio conosciuto anche come Fife Jr. ha messo la sua firma su scafi gloriosi come Shamrock e Shamrock III entrambi commissionati da Sir Thomas Lipton nei suoi tentativi di conquista della Coppa America. Proprio la bellezza e l’armonia delle linee abbinate alle prestazioni sottovela sono considerate il marchio di fabbrica della produzione Fife. La stessa che si ritrova anche su Eilean la


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Panerai Radiomir Eilean 45 mm Il fondello è personalizzato con il logo del celebre ketch.

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Eilean è un ketch di 70 piedi progettato e costruito nel 1936 da William Fife per i fratelli Fulton, mercanti di acciaio scozzesi. Lo yacht negli anni ‘60 era di proprietà di Hartley Shawcross, che lo vendette ad una società di noleggio a English Harbour, Antigua. Nel 1982 è protagonista del video musicale della canzone “Rio” del 1982 dei Duran Duran. Nel 2006, Angelo Bonati, amministratore delegato Panerai, notà la barca in stato di completo abbandono a English Harbour: la fece portare in Italia dove un cantiere la restaurò completamente, per rimetterla in mare nel 2009.

cui storia dopo i primi armatori si è arricchita di ulteriori capitoli degni di un vero e proprio romanzo di mare. Il ketch bermudiano si rese protagonista di 36 traversate atlantiche. Negli Anni 70 conquistò l’attenzione dell’architetto inglese John Shearer che, dopo averla acquistata, la trasformò nella sua residenza galleggiante. Fu quello il momento di maggior splendore per Eilean che, tra le altre cose, divenne perfino il set sul quale i Duran Duran girarono il video della celebre canzone Rio. La rinascita avvenuta nel 2009 grazie all’intervento

di Panerai è stata accompagnata in questi ultimi anni dalla presenza del ketch alle più importanti manifestazioni veliche e ai principali raduni di barche d’epoca. Occasioni queste nelle quali Eilean riesce a catturare l’attenzione grazie a un’eleganza e un fascino immuni allo scorrere del tempo. Forse è proprio questo il concetto che rappresenta il punto d’incontro tra uno scafo che simboleggia la cultura e la tradizione dell’arte navale e una Maison orologiera come Panerai che perpetua con i suoi segnatempo i valori dell’alta orologeria.

Nella pagina accanto Panerai Radiomir Eilean 45 mm referenza PAM01243 Cassa e fibbia in acciaio, quadrante e lancette. Quadrante con decoro verticale che simula il legno teak. Movimento meccanico a carica manuale calibro P6000, riserva di carica di 3 giorni, 110 componenti.

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INTERVISTA

IL LUOGO STRAORDINARIO Di Paolo Gobbi

MONICA PENDINI CI RACCONTA LA SUA BOUTIQUE PANERAI POSTA NEL CUORE DELLA SERENISSIMA E IL RAPPORTO DI AMORE TRA VENEZIA E IL MARE

PARLARE DI PANERAI è parlare di mare e Venezia è la regina mondiale del mare. Luogo amato, cercato, visitato, invidiato, la Serenissima è l’ambiente perfetto per scoprire gli orologi dalle origini fiorentine, specie se la boutique che abbiamo scelto è al 47 di Piazza San Marco, a due passi dalla Laguna, nel cuore della città. A gestirla è la ditta Salvadori, uno dei leader indiscussi per l’alta orologeria italiana. Abbiamo incontrato Monica Pendini, che nella società ricopre il ruolo di direttore commerciale. Voi veneziani “sentite” il mare? «Sì certo. Per noi Venezia è una località di mare: città antichissima, secondo me la più bella del mondo. Poi abbiamo il Lido che è la spiaggia dei veneziani. Certo, non è il mare della Sardegna, però l’acqua è pulitissima.»

Come Salvadori siete anche attivi nelle manifestazioni legate al mare? «Siamo stati sponsor della Veleziana, una regata a cui partecipano oltre duecento barche, anche molti degli yacht presenti durante la Barcolana. Sono un po’ di anni che la compagnia della Vela la organizza a Venezia e noi come Salvadori siamo sempre stati sponsor e alla premiazione abbiamo spesso regalato un Panerai.» Quindi lo vivete? «Il veneziano si sente un uomo di mare e vive quotidianamente la propria città muovendosi in barchino, con le tradizionali barche a remi, quindi il legame con Panerai, che è un marchio legato al mare, lo sentiamo molto forte. Abbiamo anche la Marina Militare all’Arsenale: proprio l’altro giorno è venuto in negozio un ammiraglio che è stato nel famoso sottomarino Dandolo dove ci sono gli strumenti Panerai e mi raccontava delle sue incursioni.» Chi sono i vostri clienti Panerai? «In questo momento non sono ancora tornati gli stranieri. Il primo cliente Panerai che abbiamo avuto qui a Venezia era giapponese. Anche le signore giapponesi si compravano il 40 mm, molto venduto all’epoca e adesso ritornato in collezione. I tailandesi, i cinesi, i malesiani e gli indonesiani sono sempre stati ottimi clienti. Il cliente top è sempre stato l’americano perché gli americani amano molto Panerai per le sue caratteristiche di robustezza, resistenza agli urti, per l’inimitabile design italiano. La scorsa estate abbiamo avuto anche clienti tedeschi e austriaci che sono appassionati del marchio e della sua storia Gli italiani? «Il cliente italiano sì è avvicinato un po’ più tardi a Panerai. Certo, quest’anno abbiamo lavorato molto proprio con gli italiani che guardano generalmente alle collezioni più semplici, Luminor, Submersible, ma non vanno sulle complicazioni. Mentre il cliente straniero orientale, che nel 2019 popolava

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INTERVISTA

Monica Pendini, direttore commerciale di Salvadori, fotografata all’interno della boutique Panerai. Questa è posta all’interno di un edificio storico in piazza San Marco, come testimoniano gli affreschi visibili sulle volte dell’ambiente superiore (in foto nella pagina accanto).

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Venezia, è un grande amante di Panerai, anche delle complicazioni. Questo perché secondo me l’italiano e il veneziano vedono più il Panerai come l’orologio sportivo per andare in barca. Poi ci sono i famosi Paneristi, tra i quali abbiamo molti clienti: credo sia l’unica marca di orologeria ad avere una comunity nata spontaneamente.» I Paneristi sono un valore aggiunto per la marca «Sì certamente. Abbiamo inaugurato la boutique nel 2013 e sono venuti da noi nell’ottobre 2014 quando ha avuto luogo la XIII edizione del Paneristi day. Abbiamo visto al loro polso degli orologi veramente incredibili, come quelli ancora con il movimento Rolex. Semplicissimi, con un valore che generalmente supera i 100.000 euro. Questo fenomeno di attaccamento ad un brand e di appartenenza ad una cerchia di appassionati è raro nel settore dell’orologeria» Parlando di clientela femminile, ora c’è il Luminor Due. Come è stato accolto? «Il Luminor Due si rivolge ad una nuova clientela, ha uno spessore del 40% in meno rispetto al Luminor, pur conservando le proprie caratteristiche. Per il pubblico femminile che desidera l’orologio sportivo e raffinato può essere un’ottima scelta. Luminor Luna Rossa GMT 42 mm PAM01096 Cassa in titanio sabbiato, lunetta in carbotech. Quadrante in Scafotech. Si tratta di un materiale composito prestazionale, innovativo e sostenibile perché realizzato partendo dai residui di fibra di carbonio risultanti dalla lavorazione di scafo e foil-arms dell’AC75 del team Luna Rossa.

Sarà perché Panerai non è considerata una marca femminile? «In Panerai non esiste una collezione dedicata alle donne, il Luminor Due è l’orologio più sottile della collezione e il più adatto ai polsi minuti femminili. Anche se oggi le donne più giovani amano gli orologi di grandi dimensioni. Ritengo che anche una cassa Luminor da 44 mm possa essere indossata da una donna soprattutto rendendola più femminile grazie alla vasta gamma di cinturini colorati che Panerai produce. In generale però il Panerai è scelto principalmente da un pubblico maschile.» Panerai è rinata grazie ad Angelo Bonati. Cos’è cambiato oggi con Jean-Marc Pontroué? «Bonati è stato importantissimo, è stato il papà di Panerai, l’ha fatto crescere e diventare il marchio d’eccellenza che conosciamo oggi. Il nuovo Ceo, Jean-Marc Pontrouè, ha capito subito il DNA di Panerai e continua a proteggere una produzione limitata. È un ottimo capitano e saprà condurre questa nave seguendo la miglior rotta. Ha creato una collezione che è dedicata proprio al pubblico italiano, sia per la tipologia della maggior parte dei modelli proposti, sia per gli ottimi prezzi adatti al cliente locale. Ha previsto in anticipo la situazione che viviamo oggi, la mancanza di turismo internazionale nelle nostre città e l’importanza del

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cliente italiano. Noi, come Salvadori, abbiamo sempre curato molto il cliente locale. Perché è la nostra ricchezza. Il turista è una cosa in più. La sponsorizzazione di Luna Rossa è stata un’operazione di marketing molto importante che sta dando i suoi frutti» Il vostro cliente locale non è soltanto il veneziano? «No. È il mestrino, il padovano, il trevigiano... Viene da tutta la provincia, che è una provincia ricca e vitale. Il negozio di Vicenza, ad esempio, in questo periodo che Venezia è vuota e soffre perché è legata al turismo, è andato molto bene. A Venezia il turista è importante: viene qui in vacanza, si rilassa e si dedica agli acquisti: noi vendiamo emozioni, sia con i gioielli che con gli orologi.» Non è facile trasmetterle queste emozioni. «No, non è così facile. Un oggetto bisogna spiegarlo, raccontarne la storia. Il cliente rimane affascinato quando gli racconti la storia di Panerai, quando gli parli della Marina, dei segreti militari. Se colleghi un oggetto al suo passato, fai capire che non passerà di

moda. Anche per me è così: quando ho cominciato ad avvicinarmi all’orologeria, è stata proprio la storia della nascita di ogni marchio che mi ha affascinato.» I Panerai vengono considerati come un investimento? «Le special edition sì, perché il cliente sa che il prossimo anno non ci saranno più. La collezione di serie invece non è considerata un investimento vero e proprio. In ogni caso Panerai è al secondo posto nelle vendite mondiali di Richemont dopo Cartier e quindi il pubblico sa che è un marchio importante, che sta performando, il cui valore è anche alto.» Finita l’era degli sconti? «Qui in boutique Panerai abbiamo sempre venduto a listino, anche se nei periodi di crisi è più difficile. Panerai ha una produzione limitata e questo è un valore aggiunto. Ciascun Panerai è diverso e ogni cliente può scegliere il suo segnatempo con la certezza di trovare il proprio stile Panerai»

Luminor Luna Rossa Chrono Flyback PAM01037 cronografo flyback, cassa 44 mm in ceramica nera microsabbiata, quadrante grigio scuro, struttura a sandwich, rivestito con tessuto tecnico da vela

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Salvadori deve la sua notorietà alle pietre preziose, tanto da essere diventato un Atelier del Diamante, a Venezia Piazza San Marco 67 ed a Vicenza in Corso Palladio, Galleria Porti 2. l’intera produzione del Gioiello Salvadori è seguita dalla Designer Marzia Pendini che dal 2000 ha iniziato ad arricchire la collezione con nuove ed originali idee. A destra un delicato intreccio di platino tempestato di diamanti dà vita alla Collezione Riccio di Mare (foto Settimo-Cannatella)

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La boutique Panerai a Venezia, in piazza San Marco 47

Ci sono però anche dei Panerai più eleganti. «Sì, i Luminor Due ad esempio hanno la stessa estetica del classico Panerai grande, però sono sottili e si adattano al polso di chiunque. Alla fine però piace sempre il 44 mm. Infatti è il Luminor che performa meglio, piace il suo ponte proteggi corona, è identificativo della marca.» All’inizio le boutique erano viste come una sorta di corpo estraneo: l’orologio si comprava nel negozio generalista, la boutique invece vendeva al turista. È cambiata la situazione adesso? Oggi ci sono molte più boutique monomarca rispetto ad alcuni anni fa, secondo me devono coesistere entrambe le tipologie di negozi. In boutique trovo l’intera collezione, con anche delle edizioni speciali dedicate e perciò il cliente è focalizzato solo su un marchio e ha un’ampia scelta. Di contro però entra in boutique solo chi è interessato al brand e un concessionario che ha più marchi può indirizzare un cliente nella scelta di un orologio che non avrebbe mai preso in considerazione. Le tecniche di vendita moderne sembra vadano molto in voga. «Sicuramente la tecnica di vendita va sempre migliorata, però ci vuole anche un bel sorriso e un bel modo di fare perché il cliente si senta a suo agio. Anche il turista viene, guarda, torna magari il giorno dopo. Sarà una mia impressione, me a volte i clienti ritornano perché si ricordano di te, dell’emozione che gli ha dato, del momento piacevole vissuto. Che a vendere sia una donna è un problema? «No è più facile (sorride). Oggi al timone dell’azienda Salvadori siamo tre donne: io, mia sorella Marzia e mia mamma Carla. Il mio pubblico di solito sono uomini che vengono a comprare l’orologio o il gioiello per la moglie. Non c’è un po’ di maschilismo in questo settore da parte di chi vede la donna come quella che può non conoscere l’orologio, essendo un oggetto da uomo? «In realtà non ho mai vissuto una situazione del genere. Ho sempre avuto clienti che erano contenti di parlare con me. Poi, ovviamente, a me piace anche vendere alle donne. Soprattutto i gioielli, perché riesco a mostrare più cose. L’uomo in genere è più indirizzato su una cosa specifica, con la donna puoi spaziare di più. I collaboratori della nostra azienda sono invece tutti uomini. Salvadori ha una storia importante con i gioielli. «Sì, è una nostra produzione sin dagli anni ‘70. Mio padre era un grossista di diamanti e riforniva le

principali gioiellerie della zona. In più era socio alla Borsa di Diamanti di Anversa e di Tel Aviv. Nel ‘70 ha acquistato Salvadori a Venezia dove, oltre agli orologi, ha inserito tutta la produzione della nostra gioielleria che era disegnata allora da mia madre. Dal 2000 è mia sorella Marzia la designer delle nostre collezioni. E adesso alla borsa di Anversa ci siamo io, mia madre e Marzia.» Dove vengono prodotti i vostri gioielli? «Vengono tutti prodotti a Venezia e firmati Salvadori con marchio registrato VE370, e venduti nei nostri negozi a Venezia presso la sede in Piazza San Marco 67, a Vannaregio 2342 e a Vicenza in Corso Palladio. Ad ogni nuova stagione ecco la nascita di una nuova collezione. Se la primavera ha visto l’arrivo di Margot, una linea di gioielli in oro rosa, platino e diamanti, dedicata ai misteri che si possono celare dietro ad un ventaglio, ecco che l’estate è un trionfo di luce abbagliante: un delicato intreccio di platino tempestato di diamanti dà vita alla Collezione Riccio di Mare. La Collezione vuole immortalare la sensazione di pace e libertà che si prova nel tuffarsi in acque cristalline, la leggerezza d’animo, mista a meraviglia da cui si è pervasi mentre dolcemente si nuota immersi in un panorama onirico. I riflessi dei diamanti ricordano l’effetto morbido della luce che filtra sott’acqua e, al contempo, donano sostanza alle linee dolci e sinuose. Il risultato è una collezione di gioielli leggeri e di grande carattere con cui Salvadori vuole celebrare la magnificenza della natura che ci circonda. Vendete anche agli stranieri? «Gli americani sono stati i nostri primi clienti per i gioielli. Mia madre faceva i braccialetti con pietre da un carato l’una per i clienti texani, per degli uomini. Il cliente cinese invece è legato ancora al marchio. Ai cinesi vendi solo ai clienti di alto livello, che sono quelli in grado di apprezzare il Made in Italy, il fatto a mano. Molti dei nostri gioielli sono ispirati proprio a Venezia: collezione Ducale, Cà d’Oro, Dolfin, Sospiri.»

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BATTELLI SPECIALI

I GOMMONAUTI Di Matteo Zaccagnino

SE C’È UN SEGMENTO DI MERCATO CHE NELL’INDUSTRIA NAUTICA STA CRESCENDO A DOPPIA CIFRA È PROPRIO QUELLO DEI GOMMONI

Anvera 42

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UN TEMPO ERANO NOTI COME RIB, acronimo che in lingua inglese significa Rigid inflatable boats. Con il passare degli anni a questa definizione sono stati abbinati termini come super oppure mega. Il resto è sotto gli occhi di tutti. Una storia dei nostri giorni. Se c’è un segmento di mercato che nell’industria nautica sta crescendo a doppia cifra è proprio quello dei gommoni. La ragione di questo successo non è una ma svariate e vanno ricercate su diversi fronti. A fare da traino all’offerta c’è naturalmente una domanda che continua a crescere proporzionalmente alle dimensioni che queste imbarcazioni hanno ormai raggiunto. Ecco perché definirli gommoni o battelli pneumatici, seppur tecnicamente corretto, non rende fino in fondo l’idea. È sufficiente concentrare l’attenzione sulla qualità delle finiture, sui materiali utilizzati, sul modo in cui sono pensati gli spazi destinati alla vita di bordo per comprendere le ragioni di questo successo che ha determinato l’elevato livello di gradimento registrato tra i diportisti. Non è tutto. Per capire fino in fondo le ragioni di quello che si può definire un vero e proprio fenomeno di tendenza bisogna guardare alla voce

prestazioni. Il ritorno alla ribalta della motorizzazione fuoribordo con l’ingresso di cilindrate sempre più spinte, abbinata alla praticità in termini di utilizzo tipica dei gommoni, ha dato, negli ultimi tempi, un ulteriore accelerata alla rapida diffusione di queste imbarcazioni. Riavvolgendo il nastro della storia, le origini di questo fenomeno si possono far risalire alla fine degli Anni 80. Una data certa non esiste sebbene siano molti gli indizi che fanno propendere che tutto abbia avuto inizio nella vela. Strano ma vero. A quell’epoca, ma ancora oggi basta vedere quanto successo in occasione della 36° edizione dell’America’s Cup, i team di Coppa America facevano ricorso proprio a gommoni di grandi dimensioni, che venivano utilizzati come mezzi di supporto utilizzati gli allenamenti e in regata per trasportare vele e fornire assistenza in caso di necessità. Come ha scritto Luca Bassani, a fornire una nuova chiave di lettura a questa imbarcazione fu l’Avvocato Agnelli. Proprio l’Avvocato a fine Anni 80 acquistò il tender del consorzio australiano di Kookaburra, abbandonato a Porto Cervo dopo le regate del mondiale 12M SI. Da tender porta-vele lo riconvertì in tender porta-


BATTELLI SPECIALI

Black Shiver 220 Jet di Novamarine

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BATTELLI SPECIALI

Capelli Tempest 50 restyling

persone, inventando così una nuova forma d’impiego per questa tipologia di barca che da quel momento in poi divenne anche un mezzo di servizio utilizzato in appoggio a unità più grandi. Il resto è storia. Una storia nella quale il RIB continua a farsi apprezzare per tutta una serie di ragioni che, oltre ai fattori stilistici ed estetici, tengono conto soprattutto dei numerosi contenuti tecnici. A iniziare dalla grande versatilità in termini di utilizzo e che, grazie alla presenza dei tubolari, permette di eseguire le manovre di ormeggio o di accosto a un’altra imbarcazione in totale tranquillità. In navigazione poi è risaputo che il baricentro basso tipico di questi mezzi permette di contenere il rollio o il beccheggio,

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esaltando così il comfort della vita a bordo. Inoltre in considerazione di pesi contenuti si può fare affidamento su motori con potenze più contenute senza però dover rinunciare alle prestazioni. C’è ,poi un altro dato non trascurabile: un RIB a parità di lunghezza può accogliere fino a tre volte le persone che si possono imbarcare su uno scafo tradizionale. Senza contare i vantaggi offerti sul fronte della sicurezza. Ecco dunque spiegato il motivo per il quale questa famiglia d’imbarcazioni si presta a molteplici destinazioni di utilizzo: da tender per i megayacht a daycruiser. Un terreno fertile che ha permesso in questi ultimi anni a molte realtà, soprattutto italiane, non solo di conquistare


BATTELLI SPECIALI

Lomac Granturismo

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BATTELLI SPECIALI

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importanti quote di mercato ma di affermarsi per la bontà delle idee e della creatività messa in campo, o meglio, in mare. Soprattutto in un periodo in cui questo comparto sta vivendo un momento di grande vivacità come confermano le dimensioni sempre più importanti raggiunte dai RIB. Un ambito dove si segnalano i modelli proposti da numerosi cantieri come Tecnorib, Sacs, Capelli Tempest, Magazzù, Lomac, Joker, Scanner, Anvera, Technohull e naturalmente Novamarine. Proprio ad Andrea e a Francesco Pirro, titolari del cantiere con base a Olbia in Sardegna, spetta il merito di aver saputo capitalizzare l’enorme patrimonio di conoscenza accumulato in tanti anni di attività nel settore dei gommoni, trasformando Novamarine in uno dei player più importanti sulla scena nautica. Oggi l’offerta poggia su cinque linee di prodotto (Blasck Shiver, HD, RH, Professional e Tender) grazie alle quali l’azienda riesce a presidiare tutte le fasce di mercato. “Novamarine vanta una lunghissima storia in campo nautico e ha fatto conoscere e apprezzare il gommone come un mezzo e una soluzione che per alcune misure e il tipo di utilizzo è sicuramente superiore a una barca tradizionale”, commenta Francesco Pirro. “Il cantiere”, prosegue Francesco Pirro, “si è specializzato nel realizzare mezzi che non hanno mai cercato di abbracciare una fascia di mercato completa, ma ha voluto sempre dedicare le

proprie risorse ed i propri studi alla creazione di una risposta rivolta ad alcune nicchie di mercato”. Risposta che, come il tempo ha dimostrato, non è tardata ad arrivare. “Novamarine ha fatto sempre scelte nette proponendo soluzioni innovative e fuori del comune”, commenta Andrea Pirro che aggiunge: “Queste scelte si sono manifestate in anticipo rispetto al mercato e il più delle volte sono state copiate anche dal mercato stesso”. Aggiunge Andera Pirro: Novamarine “ha inventato il Jet tender nelle piccole misure; ha ideato il gommone con spiccate prestazioni in campo professionale, per usi intensivi ed anche militari; ha inventato il tubolare pieno e tutta una serie di soluzioni che sono state introdotte sul mercato fornendo una risposta tecnica che poi ha generato una vera e propria tendenza”. Proprio come la linea Black Shiver, che dopo il successo del 140, 160 e 220, a breve saluterà l’arrivo di un’ammiraglia di 24 metri. C’è poi quella che si può definire una vera e propria case history nella nautica. Si chiama Anvera e pur essendo una realtà giovane ha impiegato pochissimo tempo a conquistarsi uno spazio in prima fila. “Negli ultimi tempi abbiamo assistito a un radicale cambiamento dei costumi e del modo in cui le persone vivono la barca e il mare. Proporsi nell’ambito di uno scenario di mercato come questo ha voluto dire cambiare tipo di approccio


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suggerendo qualcosa di veramente innovativo”, racconta Giancarlo Galeone che insieme a Luca Ferrari e Gilberto Grassi ha dato vita alla gamma Anvera. “Abiamo pensato a un prodotto con l’obiettivo d’introdurre sulla scena tutta una serie d’innovazioni”, si sofferma Galeone. In che modo? “Prima di tutto siamo andati a coniare un tipo di design che fosse innanzitutto riconoscibile ed evoluto”, prosegue Galeone che aggiunge “Siamo andati a cercare una funzionalità e fruibilità dell’imbarcazione per un utilizzo nell’ambito della giornata e siamo andati a esasperare il concetto di efficienza grazie all’impiego del carbonio, che permette un notevole risparmio di peso a tutto vantaggio delle prestazioni”. Senza contare poi l’innovativa soluzione escogitata per sfruttare al meglio gli spazi a bordo grazie alla possibilità di aprire le murate nella sezione di poppa, aumentando così in modo esponenziale la superficie della beach-area che arriva a 20 mq. Ai due modelli attualmente in produzione, Anvera 55 e Anvera 48, il cui design è opera di Aldo Drudi con il contributo di Paolo Picchi per la parte relativa alla progettazione in 3D, si è aggiunto di recente il nuovo Anvera 42. C’è poi il capitolo TecnoRib nel quale proprio le prestazioni coniugate al design si sono rivelate la carta vincente da calare sul mercato, grazie alle quali i RIB a marchio Pirelli hanno conquistato il cuore di molti

diportisti. L’attuale gamma che culmina con l’ammiraglia Pirelli 1900 ha salutato l’ingresso del nuovo Pirelli 35. “Con il suo profilo moderno e slanciato, è stato pensato per una clientela alla ricerca del connubio tra design e velocità. Pirelli 35 si rivolge a un mercato sempre più ampio di armatori che in un RIB di queste dimensioni cercano sicurezza e adrenalina, garantite dalla carena con doppio step, ma anche attenzione per gli accessori di bordo, evoluzione stilistica e stile moderno”, ha spiegato Gianni De Bonis, Managing Director di TecnoRib. Come per il Pirelli 42 anche questo 11 metri evidenzia la mano del Mannerfelt Design Team. Proprio sulle prestazioni Tecnhnohull, altra giovane e dinamica realtà di questo settore, si è costruita la propria reputazione. Il cantiere greco è salito alla ribalta delle cronache per le performance stabilite dalla nuova linea Grand Sport 38s. Grazie all’innovativo disegno della carena con V profonda con tre step, sviluppato in collaborazione con il Davidson Laboratory del New Jersey, questo RIB di 11 metri ha toccato in prova i 103 nodi. Ora il cantiere greco sale alla ribalta delle cronache presentando l’Omega 47, nuova ammiraglia della gamma. Un modello, questo 13,80 metri, che ha nella flessibilità il suo punto di forza. La conferma arriva dalla possibilità di abbinare diverse soluzioni di propulsioni fuoribordo: da una coppia di Mercury

Tecnohull Omega 47

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Nuova Jolly

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Verado V12 da 600 cavalli ciascuno fino alla soluzione più spinta che prevede quattro Mercury 450R da 450 cavalli ciascuno. Prestazioni che fanno rima con sicurezza grazie anche alla particolare configurazione della carena Dynastream, frutto di un brevetto e di un lavoro di ricerca e sviluppo durato 5 anni. Il particolare disegno dell’opera viva assicura non solo stabilità alle velocità più elevate ma al tempo stesso permette una navigazione asciutta. Restando nella taglia extra large, tra i modelli che hanno ricevuto un’ottima accoglienza in termini di gradimento figura il Capelli Tempest 50. Uscito dalla matita del designer Roberto Curtò, coadiuvato dall’ufficio tecnico del cantiere, questo 15 metri ha nella versatilità una delle sue principali prerogative. Nonostante le dimensioni importanti il Capelli Tempest 50 può contare su prestazioni di tutto rispetto assicurate da ben quattro fuoribordo Yamaha di ultima generazione. Nell’elenco non poteva non mancare una realtà del calibro di

Scanner, che con l’Envy 1400 si è ritagliata un posto in prima fila nel segmento dei maxi RIB. Nel dettaglio, il 14 metri si fa apprezzare per la configurazione del piano di coperta concepito come una vera e propria oasi di relax. Federico Fiorentino, giovane ma affermato designer, ha invece firmato le linee e il design di un altro besteller che porta il nome di Gran Turismo 12.0. Prodotto dal cantiere Lomac questo 12 metri si distingue inoltre per un nuovo esclusivo T-Top in vetroresina e materiali compositi. A bordo la zona prodiera, completamente aperta, prevede un prendisole trasformabile in tavolo da pranzo, mentre la parte a poppa è equipaggiata con un grande tavolo a scomparsa totale per godere di questa ampia area in ogni momento della giornata. È inoltre prevista una cabina con letto matrimoniale e bagno separato. Tra i RIB di ultima generazione figura infine anche il Prince 33 CC di Nuova Jolly un vero e proprio cavallo di razza le cui prestazioni sono esaltate dall’innovativa carena Hi-power a V profonda.

Scanner Envy 1400

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HAMILTON

CON UNA LUNETTA IN CERAMICA IN NERO E BLU E UN’IMPERMEABILITÀ AUMENTATA FINO A 300 M, QUESTO SEGNATEMPO HA MOVIMENTO AUTOMATICO H-10 CON 80 ORE DI RISERVA DI CARICA, SPIRALE IN NIVACHRON PREZZO: 945 EURO.

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KHAKI NAVY SCUBA AUTOMATIC 43 MM 300 MT Il Khaki Navy Scuba è un orologio innovativo e sportivo adatto alle giornate estive più stimolanti e si ispira allo stile e alla funzione dei classici orologi subacquei. La lunetta girevole unidirezionale, la tecnologia di precisione e la facile leggibilità offrono prestazioni affidabili, mentre i dettagli principali lo fanno progredire ulteriormente. Hamilton ha portato l’attuale gamma Khaki Navy Scuba, ispirata al mondo acquatico, al livello successivo con una performance più elevata all’interno e all’esterno. Con una cassa più grande, da 43 mm, questo potente orologio è impermeabile fino a 30 bar (300 m), mentre il cinturino in caucciù nero o il bracciale in acciaio lo assicurano saldamente al polso. L’anello colorato della lunetta, disponibile in nero o blu a seconda del quadrante, è realizzato in ceramica, uno dei materiali più high-tech dell’orologeria. Resistente a graffi e corrosione, la ceramica assicura che elementi come rocce, sabbia e acqua salata non rappresentino una minaccia alle condizioni impeccabili dell’orologio. Un punto Super-LumiNova a ore 12 sulla lunetta permette agli appassionati del mondo subacqueo di misurare il tempo di immersione.


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ZANNETTI

CON UN SERVIZIO BESPOKE ALTAMENTE SPECIALIZZATO, L’ATELIER ZANNETTI ACCOGLIE LE RICHIESTE DI PERSONALIZZAZIONE DELLA CLIENTELA DI APPASSIONATI ED È IN GRADO DI RIPRODURRE SUL QUADRANTE OGNI TIPO DI BARCA ATTRAVERSO LA MICROPITTURA, UN’ARTE COMPLESSA CHE RICHIEDE FINI COMPETENZE E ANNI DI FORMAZIONE.

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SCUBA ART PIRANHA BOAT EDITION 500 METRI Grandi velieri, navi pirata e maestosi transatlantici offrono l’ispirazione alla Maison Zannetti per una collezione esclusiva, omaggio all’eterno fascino dei viaggi per mare. Nasce così nell’Atelier di Via di Monte d’Oro Scuba Art Micropainting “Boat Edition”, un’inedita serie di 12 modelli di orologi dalle prestazioni tecniche e artistiche assolutamente senza compromessi. Un segnatempo professionale, adatto alle immersioni - con un’impermeabilità fino a 50 atmosfere - proposto con variopinti quadranti realizzati a mano con la tecnica della micropittura a smalto e legati al mondo del mare, alle sue navi, alle sue leggende. Protagonista assoluta, una vigorosa cassa da 41 mm, realizzata in acciaio oppure in ceramica bianca, accoglie la lunetta girevole, la valvola automatica per l’elio e un vetro zaffiro antiriflesso di elevato spessore. Nella versione XL Scuba Art Micropainting “Boat Edition” sfoggia una possente cassa di 47 mm, disponibile anche con finitura PVD nei toni del marrone e del nero: è pura energia. Pensata per quanti amano godere delle proprie passioni durante tutta la giornata indossando al polso una creazione unica, la collezione Scuba Art Micropainting “Boat Edition” unisce savoir-faire orologiero, performance elevate e un approccio stilistico originale, fil-rouge di tutta la produzione firmata Zannetti.


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FIGLIO DEL MARE E DI QUESTO PIANETA Di Lara Mazza

A TU PER TU CON IL VELISTA E TIMONIERE DI AZZURRA LA PRIMA BARCA ITALIANA ALL’AMERICA’S CUP

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CLASSE 1949, una vita trascorsa in mare, sin da bambino. Mauro Pelaschier, volto simbolo della vela italiana nel mondo, protagonista di molte regate memorabili, Medaglia d’oro al valore atletico, si racconta ai lettori di Handmade come mai prima d’ora. Mauro Pelaschier, anche noto come Mauro Pelaschier…per quale motivo il suo cognome è cambiato? «Perché mio padre arrivò ubriaco all’anagrafe e gli scappò una “e” anziché una “a” (ride alla battuta). Sinceramente non lo so il motivo. Credo che il nostro cognome sia di derivazione valdostana: Pellisier è un nome comune nella regione. La storia racconta che Napoleone passò in Valle D’Aosta e permise a un mio antenato di fermarsi da quelle parti. Visto che il “ch” era consueto nell’intercalare dell’epoca, sono sicuro che fu aggiunto e divenne Pellaschier. Quando mio nonno, mastro d’ascia, nei primi del novecento da Capodistria raggiunse Pola, andò a lavorare per la famiglia Cosulich, famosi costruttori e armatori. Nei primi del novecento l’Istria passò sotto amministrazione austriaca ma mio nonno volle mantenere la cittadinanza italiana quindi decise di andare al confine per tre anni per poi raggiungere i Cosulich quando fondarono il cantiere navale a Monfalcone. Solo mio padre nacque a Monfalcone, i figli di mio nonno nacquero a Pola o a Fazana, tipico porto di un piccolo villaggio dell’Istria. Ecco dove affonda le radici della nostra passione per la vela. SI può dire che mio nonno costruiva già all’epoca barche da regata: le barche da pesca in un certo senso lo erano perché gareggiavano tra di loro per rientrare in porto più velocemente e battere il prezzo migliore. La storia della pesca era tutta qui ed ha segnato indissolubilmente l’evoluzione delle barche a vela. Mi riferisco ai clipper, alle transoceaniche. Quando

le imbarcazioni partivano da New York o dalla Cosa Est degli Stati Uniti per arrivare in Inghilterra, chi arrivava prima batteva il prezzo, di qualsiasi prodotto. Prima ancora accadde per le spezie. Venezia prosperò duecento anni su questo tipo di commercio. Finì quando i Portoghesi riuscirono ad andare alle Molucche, scoprendo il passaggio sotto l’Africa, e il prezzo dei prodotti crollò. Ci sarebbero molte storie da raccontare ma la cosa importante è che, grazie alla vela e ai grandi navigatori, viviamo questo mondo così come è adesso». Ha fatto la sua prima uscita da solo in barca a 6 anni e ancor prima era già in mare. Sembra la storia di un bambino che, uscito dal grembo materno, non si è più allontanato dall’elemento acqua. «Perché lei non sa dove sono stato partorito: nel Circolo Velico di Monfalcone. Mio nonno e la mia famiglia gestivano il circolo che, a quei tempi, rappresentava il dopo lavoro del cantiere navale. Quando arrivò la Famiglia Cosulich, e occupò il territorio, costruì un intero villaggio per le maestranze, dando vita a tante attività: dal teatro fino allo sport, compreso il Circolo Velico dove gli appassionati di vela si sfidavano anche per diletto. Non si poteva parlare ancora di sport della vela ma il concetto era quello. Pola divenne il centro velico internazionale dell’Impero Austroungarico. Tornando a noi: nasco a Monfalcone, al Circolo, da un padre campione di vela e con uno zio che era anche un mastro d’ascia. La vela faceva dunque parte dell’economia familiare: mio zio costruiva, noi vincevamo e così vendevamo». Non ha mai pensato di costruire barche anche lei? «L’ho fatto, aiutavo mio zio a costruire le barche che usavo per gareggiare ma non è mai stata la mia strada.


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Mauro Pelaschier Velista professionista italiano, skipper della prima sfida Italiana all’America’s Cup con Azzurra. In questa immagine di Carlo Borlenghi ©Rolex, lo vediamo durante la Rolex Sailing Week dello scorso Maggio a Capri a bordo del Maxi Yacht Frers 64 AnyWave di Alberto Leghissa.

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Io sono nato libero. A 6 anni ho cominciato a navigare e il pensiero di chiudermi tra quattro mura, qualunque esse siano, non mi è mai appartenuto». E fu subito vela… “Fu subito passione. Un giorno, mio padre tornò da un allenamento e mi chiese di montare sul suo Finn, che è ancora oggi la barca da singolo olimpico per pesi massimi, e mi esortò a uscire in mare da solo. “Un’oretta, poi torna…”, mi disse. E io andai. Fu qualcosa di meraviglioso. E fu semplice perché, dopo aver ascoltato i racconti di mio padre e di mio zio che tornavano dai loro lunghi viaggi nei primi anni ’50, avevo assorbito tutto ciò che si poteva imparare. Li ascoltavo sempre con grande attenzione anche perché, lungo i loro tragitti, passavano sempre dalla Germania, da Norimberga, che era uno dei più grandi centri di giocattoli d’Europa e mi portavano dei regali incredibili. A volte non riuscivo ad utilizzarli da quanto erano complicati. Ricordo un elicottero a manovella che volava veramente; un sommergibile che andava in acqua con un cassone dotato di un elastico che faceva muovere l’elica, un trattore coi cilindri che si muovevano come quelli veri. Ero un privilegiato, in tutti i sensi, a cui è stata trasmessa una grande passione per ciò che loro facevano». Qual è stata la prima cosa che ha imparato dell’andare in barca? «Che avevamo dei limiti e, quando qualcuno si trovava in difficoltà, tutti gli altri avevano l’obbligo di

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fermarsi e aiutarlo. Questo era ed è il principio base per salvaguardare la vita umana in mare». Oggi accade ancora così? «Quella per noi era una avventura: uscire in mare, conoscere, sviluppare la propria sensibilità, il proprio talento, la fisicità e l’ambizione di vincere. Adesso c’è solo questo: si lavora solo ed esclusivamente per vincere. È chiaro il motivo per il quale oggi, a 15 anni, tutti i ragazzi smettano di gareggiare perché di campione ce n’è uno solo per generazione. La nostra generazione invece è ancora legata alla vela nonostante il passare del tempo e le competizioni. Magari non tutti sono diventati campioni ma sono rimasti grandi appassionati di quello che li ha appassionati sin da piccoli. È dunque un concetto molto più ampio, una cultura del mare che è molto gratificante al di là di tutto». Ha avuto paura la pima volta da solo in mare? «No, fu una gioia immensa. Consideri che mio padre e mio zio erano i miei idoli. Attraverso i loro racconti ho assorbito tantissimo, sia quello che facevano bene, sia quello che facevano male. Perciò, quando mi hanno fatto salire su una barca, io sapevo già tutto. Sono andato. Punto. E, dopo essere tornato, molto tardi, ricordo anche di essere stato redarguito per bene (ride)». Cosa accadde dopo? «L’obbiettivo della mia famiglia era molto alto, come


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le aspettative. Mio padre era campione italiano di varie classi, fino al Finn Olimpico del ’52 a Helsinki e del ’56 a Melbourne. Fu campione europeo, tra i migliori in assoluto. Vinse anche la Coppa d’Oro. Mio zio invece, con il Dragone, la barca chiglia che si costruì da solo, fu Classe Olimpica fino al ’72. Così studiai direttamente nelle velerie o nei cantieri in cui ho lavorato sin da giovane, avvicinandomi a progetti ingegneristici e imparando sul campo. Iniziai anche a farmi le vele, sceglievo gli alberi e mi costruivo le barche con cui gareggiavo». Ha mai sentito il peso delle aspettative della sua famiglia? «Sì e fu terribile perché tutti si aspettavano da me, molto di più di quello che era la normalità. Portavo un cognome importante e quindi dovevo vincere. Già arrivare secondo era deludente. Ricordo in particolare una competizione, a 9 anni, gareggiavo con un ragazzo più grande, di 14 anni. C’era bonaccia ed ero davanti. Io pesavo poco, bisogna tenere in considerazione anche questo dettaglio, Lui iniziò a fare delle mosse per mettermi in difficoltà e ci riuscì. Sul traguardo mi passò e vinse. Mio padre si infuriò e me ne disse di tutti i colori. Ricordo che, dopo aver pianto, tornai da lui e lo minacciai che, se mi avesse redarguito ancora davanti a tutti, io non sarei più tornato in barca. Lui capì e rimandò la conversazione al mercoledì successivo. Così il mercoledì divenne il giorno in cui io e mio padre parlavamo delle gare».

Come ha vissuto le sue vittorie nel tempo? «La vittoria è una malattia. Se si è competitivi è naturale. Nella mia storia ho incontrato dei ragazzi che erano anche più bravi di me ma gli mancava la competitività, la voglia di emergere e di vincere. È difficile da costruire ovviamente, ci vuole tempo. Ai nostri tempi i mondiali si disputavano tra 150 barche, oggi se si arriva a 20 sono tante. Nazionalmente c’è una selezione così dura che nessuno arriva alle classi superiori, ovvero alla Classe Olimpica. Questo oggi è il vero dramma dello sport a livello più alto. Noi oggi facciamo fatica ad avere due equipaggi che ambiscano alle Olimpiadi. Ovviamente sono più bravi rispetto al passato ma sono molti meno». Com’è cambiato il modo di andare per vela da quando lei ha iniziato? «Poco. Il Finn, per esempio, è l’unica barca, non monotipo, che puoi ancora acquistare, o farti da solo, e con la quale poterti presentare ad una Olimpiade. Rispetto al passato è stato introdotto il multi equipaggio che prima non era previsto. Terminato il percorso olimpico, ho navigato su barche sempre più complesse fino ad arrivare alla Coppa America. Oggi la Classe Olimpica è il primo grande obbiettivo. I marinai di una volta avevano il libretto di navigazione e venivano imbarcati dall’armatore, regolarmente pagati; la nostra generazione no. Ora si è creato il professionismo che prima non c’era. E poi c’è l’esperienza, fondamentale per ricoprire

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certi ruoli. Infine, si deve avere la fortuna di riuscire a partecipare a una sfida italiana molto presto, come è capitato a me. Io scelsi di non fare il terzo e il quarto quadriennio olimpico perché avevo già 28 anni e gareggiare non ti permetteva più di guadagnare perché, nel frattempo, da un gioco dilettantistico si era passati ad uno sport professionistico. Quindi per crescere era necessario prepararsi e per partecipare alle competizioni era necessario chiedere permessi senza assegno, ovvero senza retribuzione. Erano gli anni in cui a 30 anni normalmente si costruiva la propria famiglia, con figli e, prima di tutto, con un lavoro sicuro. Io non avevo nulla di tutto questo, mi sentivo fuori luogo. La fortuna volle che in quegli anni, era la fine degli ’70, nasceva la Ton Cup, ovvero il mondiale di categoria: dai mini Tonner sino alla Prima Classe. Contemporaneamente nacquero gli sponsor e nacque in me la voglia di vincere il mondiale. C’era anche una logica molto più intelligente rispetto a quello che accade adesso: erano i cantieri che avevano bisogno di vincere un mondiale per vendere il proprio prodotto. Chi vinceva vendeva di più. C’era una logica e un movimento adeguato allo sviluppo della vela d’altura. Da lì a poco iniziai con Pasquale Landolfi che mi diede il comando del primo Brava. Da lì a poco mi notò Cino Ricci che allora ricopriva il

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ruolo di commissario tecnico del Consorzio Azzurra e mi chiamò a fare le prime prove a Newport con l’Enterprise, che fu poi comprato per la sfida italiana di Coppa America e lanciata da Yacht Club Costa Smeralda. Le selezioni durarono due anni e solo una settimana prima dell’inizio delle regate Cino decise che sarei stato io il primo timoniere. Fu una esperienza incredibile. Ero un dilettante, come gli altri, e, nonostante non percepivamo soldi, acconsentii subito. Non prevedevo assolutamente quello che avrei fatto dopo. Semplicemente volevo farlo. Svanito il sogno olimpico, non mi diedi per vinto e nel 1983, a novembre, partecipai all’Australian Cup che vinsi. Fu anche molto divertente perché, finiti i sei mesi di attività a Newpor, eravamo così allenati, un team così affiatato, che vincemmo l’Australian Cup ridendo, finalmente più liberi rispetto ai meccanismi della Coppa America. La seconda non fu così piacevole perché il nuovo progetto non fu così ben congegnato, l’imbarcazione non era competitiva come la prima Azzurra e andò male.» Qual è l’elemento che conta di più? «L’interpretazione della forma dello scafo. Dopo la seconda sfida italiana pensai che fosse giunto il momento di affrontare l’oceano. Quindi nell’88


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feci la prima traversata atlantica con Giorgio Falck che si stava preparando per fare il giro del mondo. Non ci fu un buon feeling e decisi di non seguire più questa avventura ma che ripresi alcuni anni dopo. Nel frattempo partì l’epopea dei giri di Italia a vela: ne vinsi ben tre mentre con gli altri arrivai sempre molto vicino alla vittoria. In totale ne ho fatti 15 che ancora adesso riconosco come la più belle competizioni di sempre». Ci può spiegare il perché? «Perché nel giro di Italia c’è tutto. Pensate a 15 monotipi che rappresentavano una città, una regione, piuttosto che un comune; agli sponsor; agli equipaggi che erano composti non solo da amici ma da grandi interpreti; alla navigazione giornaliera, a quella costiera e a quella di lunga durata. Un mese di duro lavoro, molto stressante. Circumnavigavamo l’Italia, da Genova a Trieste, e l’anno successivo da Trieste a Genova. Dopo queste meravigliose esperienze, nel ‘93-‘94 partecipai al giro del mondo. Purtroppo la barca fu non competitiva. Nonostante le modifiche e i miglioramenti perdemmo molto tempo e ci allenammo molto meno. Quindi, quando la regata partì da South Hampton, non eravamo sicuramente preparati come avremmo dovuto. Di fatti, rompemmo il timone la prima notte e l’avventura finì. Fu comunque una esperienza importante perché, da una parte, conobbi l’oceano serio, quello dell’emisfero meridionale con onde da 4 a 8 metri, dall’altra la navigazione in mezzo agli iceberg. Non fu una esperienza brillante. Per me furono anni molto difficili, non riuscivo a trovare un nuovo obbiettivo importante che mi impegnasse veramente». Cosa le fece nuovamente battere il cuore? «Arrivò un altro treno. In effetti ho preso un sacco di treni nella mia vita... Faccio una premessa: secondo la mia opinione è fondamentale che ci sia qualcosa anche al di là del risultato sportivo. Non fai quello che fai solo ed esclusivamente per vincere, lo fai perché giri il mondo, vieni in contatto con persone di ogni luogo e hai l’opportunità di vedere cose che altri non hanno la possibilità di vedere. Poter dire che ho un amico in ogni parte del mondo è bellissimo. Il velista è una di quelle rare persone che può dirsi figlio di questo pianeta».

regolatore delle vele e mi mettevo a posto la barca, da solo. Facevo tutto io. Ed ero abituato a non parlare. Quando mi sono trovato per la prima volta a bordo con 11 persone, non capivo perché fossero necessarie tutte queste persone a bordo (ride). Dopo due o tre manovre mal riuscite una persona del mio equipaggio venne da me e mi disse “Senti, noi siamo qui per aiutarti quindi se ce lo comunichi noi ti aiutiamo”. E da lì ho dovuto cominciare a parlare. Non fu facile perché dal pensiero che è velocissimo al creare una frase intellegibile ci passa del tempo. Se non sei abituato a parlare fai fatica e io feci veramente tanta fatica. Fu per questo motivo che a un certo punto decisi di non fare più il solista». Se non avesse fatto il velista? «Impossibile». Davvero? «Beh, forse avrei fatto il musicista». Cos’è per lei il tempo? «Il tempo non esiste. Se si pensa che tutto inizia e finisce… Il tempo va vissuto, di conseguenza fare di tutto il meglio possibile per arrivare all’obiettivo il prima possibile è fondamentale. Una delle cose principali del velista è il “time to distance”, ovvero la distanza che copri tu rispetto alla lineache dovrai tagliare. Se tagli un secondo dopo devi rientrare. Normalmente la gestione di queste due cose avviene in entrambi i due emisferi celebrali: tempo da una parte e distanza dall’altra. E usarli contemporaneamente. Noi velisti siamo facilitati perché lo facciamo quotidianamente. Ora c’è la strumentazione che aiuta ma una volta non esisteva, avevamo solo orologi normalissimi. I cronografi sono arrivati molto tempo dopo. In quegli anni sul pontile antistante la partenza si usava posizionare un tabellone con cinque cerchi che rappresentavano 5 minuti: sono gli stessi che ho sul mio orologio».

Il rapporto con il mare lo abbiamo compreso, il rapporto con la terra? «È noiosissimo. Continuo a chiedermi come una persona possa vivere sempre nello stesso posto».

Ci può raccontare la storia dell’orologio che indossa? «È un Aquastar di Lorenz, uscito di produzione molto tempo fa. Gli ultimi quattro li ho acquistati io. Con questo tipo di orologio riesco a leggere la barca che si muove nel tempo e capisco esattamente dove mi trovo e quanto mi manca. Mi permette inoltre di avere tutti i dati di navigazione di cui ho bisogno. Oggi non serve più perché sostituito con la moderna strumentazione».

Qual è stata la più grande difficoltà che ha incontrato nel suo percorso? «Fu comunicare con l’equipaggio. Ero abituato a pensare e ad agire, non a parlare. Solitamente quando gareggiavo facevo il timoniere tattico, il navigatore, il

C’è un errore che ha fatto e che non farebbe più? «Sì, mille. Spesso ho preferito fare qualcos’altro piuttosto che ottenere maggiori risultati più velocemente. Forse ho perso dei titoli, come la terza olimpiade».

MAURO PELASCHIER AMBASSADOR ONE OCEAN FOUNDATION

One Ocean Forum nasce nel 2017 come momento di condivisione e cooperazione internazionale per la tutela degli oceani che identifica le best practices per i singoli, associazioni e aziende, e diffonde la consapevolezza sull’urgenza nell’affrontare i problemi dell’ecosistema marino. La mission della Fondazione è accelerare soluzioni ai problemi degli oceani ispirando leader internazionali, aziende, istituzioni e individui; promuovendo un’economia blu sostenibile e migliorando la conoscenza degli oceani attraverso l’ocean literacy.

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MAESTRO DEL VENTO Di Matteo Zaccagnino

PERCORRENDO IN MARE CENTINAIA DI MIGLIAIA DI MIGLIA NEGLI ULTIMI 40 ANNI, PAUL CAYARD HA AFFRONTATO I MAGGIORI PERICOLI DI MADRE NATURA. IL SUO ROLEX GLI RICORDA QUELLE AVVENTURE INDIMENTICABILI

CI HA FATTO SOGNARE AI TEMPI DE IL MORO DI VENEZIA portando l’Italia a contendere, per la prima volta nella sua storia velica, la Coppa America allo sfidante contro America 3. Ci ha fatto soffrire fino all’ultima virata nell’edizione dell’America’s Cup del 1999/2000 quando nelle acque di Auckland, al timone di America One, ha dato vita a una serie di regate al cardiopalma, considerate ancora oggi le più belle nella storia di questa competizione, contro Luna Rossa. Poi come se non bastasse è salito a bordo di EF nell’edizione del 1997-98 della leggendaria Whitbread, il giro del mondo a vela a tappe. Com’è andata a finire? A bordo di EF Language, alla sua prima partecipazione è salito sul gradino più alto del podio, diventando così il primo velista americano a vincere questa regata. Nell’edizione successiva, tanto per ribadire il concetto, si è piazzato al secondo posto al timone di Pirates of the Caribbean, in classifica generale. E poi? Il suo curriculum annovera due partecipazioni alle Olimpiadi di Los Angeles e Atene nella classe Star, sette titoli mondiali, innumerevoli partecipazioni alla Maxi Yacht Rolex Cup di Porto Cervo e, più in generale, a tutte le più importanti competizioni veliche contemplate nel calendario. Nel 1998 è stato nominato da Rolex Yachtsman of the year (nello stesso anno è diventato ambassador della Casa di Ginevra); nel 2011 è entrato nella Hall of Fame della vela americana. E ancora oggi, dove c’è una regata che conta, non è difficile incontrarlo. Certo non ha più i baffi che lo resero celebre ai tempi del Moro di Venezia ma è impossibile non riconoscerlo. Anzi, a distanza di 30 anni da quell’impresa Paul Cayard ha lasciato un segno indelebile in Italia e l’Italia ha lasciato un segno indelebile nella sua vita e nella sua carriera di velista come ci racconta nell’intervista rilascia in esclusiva ad Handmade. Il Moro di Venezia. Nel 2021 ricorrono i 30 anni da quell’incredibile avventura velica. Che ricordo conserva di quell’esperienza? «Come sportivo direi abbastanza soddisfacente. Avrei voluto dire ‘molto’ soddisfacente, ma

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ovviamente se non vinci tutto qualcosa manca sempre. Tuttavia, se guardiamo il bicchiere mezzo pieno la sfida del Moro di Venezia ha riportato l’Europa a contendere la Coppa America al defender. Non accadeva da 60 anni. Direi che è stata una bella montagna da scalare. E l’abbiamo scalata. La Coppa America è un gioco molto complesso, si devono superare tanti ostacoli prima di raggiungere la vetta. Ci sono tante variabili da considerare: l’aspetto organizzativo, il team, la preparazione, la questione sportiva, che devono essere combinati tra loro in modo che tutto funzioni a dovere e in armonia. Gran parte di questo lavoro lo faceva Raul, con il suo carisma e la sua passione. E spero anche un po’ grazie a quello che ho dato.» Quell’esperienza le è poi stata utile in futuro nella sua carriera di velista? Le ha lasciato qualche insegnamento? «Molto. Quella sfida mi ha cambiato più di qualsiasi altra esperienza. Ho iniziato a 29 anni e finito a 32. Un momento molto importante nella vita di chiunque. In quell’occasione abbiamo toccato livelli molto alti sotto il profilo tecnologico, dal punto di vista tecnico, progettuale e dei materiali, come per esempio l’impiego della fibra di carbonio. È stata la mia università. Dopo quell’esperienza non credo di aver più fatto parte di una squadra così completa. Raul Gardini mi ha insegnato a delegare e soprattutto a motivare. Una persona si sente più motivata se responsabilizzata. Prima di allora ero molto pignolo e abituato a concentrare su di me tutte le scelte e le decisioni. Gardini, al contrario, mi ha aiutato a non fissare il dettaglio ma ad avere una visione più allargata.» Dai tempi de Il Moro di Venezia e di America One la Coppa America si è evoluta rapidamente. Come giudica dal suo punto di vista la formula adottata nell’ultima edizione che ha visto scendere in acqua gli AC75 i monoscafi volanti dotati di foil? «Come tutti sono rimasto molto impressionato nel vedere come con 10 nodi di vento le barche navigano a 40 nodi. Ma la cosa che più mi è


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Lo statunitense Paul Cayard è un velista professionista tra i più famosi e di successo. Ha vinto sette Mondiali di vela e vanta due partecipazioni ai Giochi Olimpici e sette all’America’s Cup. Al suo polso un Rolx Submariner.

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mancata è stata la componente emotiva. Ogni regata in Coppa America è la sintesi di tanti momenti: c’è il fattore umano, ci sono gli imprevisti. Proprio come in quella finale di Louis Vuitton Cup, tra America One e Prada. Gli spinnakers che esplodono, l’equipaggio che corre per sostituirlo, il rivale che va avanti di una lunghezza e poi viene ripreso, i testa a testa interminabili, le partenze molto combattute… Tutta questa parte mi è sembrata mancare. In un certo senso, sono contento che i miei tempi siano stati altri tempi.» I neozelandesi li conosce bene avendoli battuti a suo tempo con il Moro di Venezia. Per lei questa volta Luna Rossa aveva le carte giuste per giocarsela o loro sono sempre un passo più avanti? «Come equipaggio e timonieri Luna Rossa era allo stesso livello. Tuttavia loro erano tecnicamente più evoluti. Sono stati i primi a sviluppare il foiling nel 2013 e hanno sempre mantenuto questo vantaggio. Hanno avuto la capacità di saper sfruttare al meglio l’apporto fornito dalla tecnologia come per esempio l’utilizzo del simulatore che ha aiutato nello sviluppo della barca.» Quindi la Coppa America sta diventando sempre più una sfida tecnologica piuttosto che umana secondo lei? “Senza dubbio.» La sua carriera è stata scandita dalla Coppa America dal Giro del Mondo, senza contare le classi olimpiche e i Maxi Yacht. C’è ancora un sogno nel cassetto che vuole realizzare? “Probabilmente quello che sto facendo ora: portare la squadra olimpica americana di nuovo ai vertici dei giochi olimpici. Ai miei esordi ero una riserva e prendemmo solo un oro e un argento. A quei tempi i migliori velisti americani venivano chiamati per timonare le barche in Europa. Eravamo i più forti. In questi 30 anni il livello è sceso, ecco perché neanche 3 mesi fa ho accettato di formare la squadra americana olimpica con l’obiettivo di arrivare a essere nuovamente competitivi ai Giochi di Los Angeles 2028.» Proprio come in Coppa America anche nelle classi olimpiche stiamo assistendo a una rapida diffusione di classi di nuova generazione dotate anch’esse dei foil. Stiamo vivendo un momento di transizione o, per dirla meglio, di spaccatura tra ciò che è considerata una vela più tradizionale e una più all’avanguardia? «Non so se spaccatura sia la parola giusta. Però sì, c’è una divisione. In Francia, alle Olimpiadi di Parigi, nel 2024, il 50% delle barche saranno foiling, e il 50% normali.»

Da sportivo, secondo lei la cultura del foil servirà ad avvicinare in futuro a questo sport sempre più giovani? «Credo che il foiling in generale e il kite foiling più nel dettaglio, servano ad attirare i giovani perché sono discipline dove velocità e prestazioni saltano subito all’occhio. L’aspetto più interessante è che si stanno formando due culture diverse legate alla vela. Per esempio Daniela Moroz, nonostante la sua giovane età (è nata nel 2001), ha vinto il campionato del mondo di kite foiling femminile per ben 5 volte. Eppure è andata per la prima volta in barca a vela a gennaio! Vedere le vele che sventolano, stare a bordo di una barca che sbanda, è stato per lei come varcare la soglia di un altro mondo. Formare una squadra con una cultura comune ma con barche diverse: sarà questa per me la sfida più avvincente nei panni di responsabile del team americano alle prossime Olimpiadi.» C’è un ricordo, legato alla sua esperienza di velista, che vive ancora forte nel suo cuore? «Ci sono tanti momenti. Vincere la Louis Vuitton Cup con il Moro di Venezia. E più nel dettaglio realizzare il momento in cui capii che era fatta quando la mattina della settima gara, quella decisiva, vidi Russell Coutts a bordo al posto di Rod Davis; oppure vincere il mondiale Star in Argentina nel 1988, oppure il mondiale nel 1989 a Napoli con Brava di Pasquale Landolfi. Ma anche poter navigare con i miei figli nella Pacific Cup da San Francisco alle Hawaii, perché ho visto in loro le stesse emozioni che ho vissuto io quando ero impegnato nel giro del mondo. Sono momenti che non dimenticherò mai.» Quale ruolo pensa svolga Rolex nel supportare la vela? «Rolex è sinonimo di prestigio e assolve a un ruolo centrale nel promuovere e dare visibilità a questo sport. Sono tanti a mio avviso i valori che accomunano questo marchio alla vela: a iniziare dagli aspetti legati alla tradizione e all’innovazione fino al rispetto per l’ambiente, quello marino incluso. Se spostiamo poi la riflessione sul prodotto, i segnatempo Rolex hanno avuto il merito di coniare uno stile immune al passare del tempo.»

Rolex Cosmograph Daytona cassa 40 mm in acciaio Oystersteel, lunetta in ceramica Cerachrom con scala tachimetrica. Movimento Perpetual, cronografo meccanico, a carica automatica calibro 4130 di Manifattura Rolex Costa 12.600 euro

Nella sua personale “Hall of Fame” della vela quali sono i nomi più importanti che contemplerebbe? «Sicuramente uno per tutti: Lowell North perché ha inventato, cambiato e lasciato un segno indelebile in questo sport. Poi Nathanael Herreshoff, un vero genio della progettazione. Poi Raul Gardini. Non mi ha insegnato a fare la partenza o la strambata, ma a gestire e motivare gli uomini. Dennis Conner, e poi Pasquale Landolfi che ha creduto molto in me.»

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Cosa le manca più dell’Italia? «Dopo essere stato fermo per oltre un anno a causa delle restrizioni per i viaggi sono tornato in Italia poco tempo fa. A distanza di tanto tempo continuo, ancora oggi, a restare colpito dai modi, dalla gentilezza e dallo spirito di accoglienza che questo Paese riesce a comunicare. Gli italiani sanno apprezzare veramente la vita. Senza contare che l’Italia non è seconda a nessuna come bellezza e cultura.»riesce a comunicare. Gli italiani sanno apprezzare veramente la vita. Senza contare che l’Italia non è seconda a nessuna come bellezza e cultura.»

Rolex Oyster Submariner Date cassa 41 mm in acciaio Oystersteel, lunetta unidirezionale con disco in ceramica Cerachrom. Movimento Perpetual, meccanico, a carica automatica calibro 3235 di Manifattura Rolex Costa 9.150 euro

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IL SIGNORE DELLE ONDE Di Matteo Zaccagnino

GRANDE APPASSIONATO DI ARTE CONTEMPORANEA E DI AUTO L’AVVOCATO ALBERTO GALASSI È UN FINE CONOSCITORE DELL’ARTE OROLOGIERA CHE PROPRIO COME LA NAUTICA RIESCE A CONIUGARE INNOVAZIONE E TRADIZIONE

IL 2021 NON POTEVA INIZIARE sotto auspici migliori. Nel primo trimestre sono state varate 56 unità tra yacht e superyacht. Di riflesso anche i ricavi corrono e fanno registrare un incremento del 40 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Risultati che non arrivano in modo casuale ma che poggiano sulla forza di un Gruppo che allinea sette brand, tra i quali spiccano nomi come Riva e Wally, considerati due icone indiscusse. Oggi Ferretti Group è tra i protagonisti assoluti sulla scena mondiale grazie alla forza dei marchi ma anche alle capacità e alla visione del suo Ceo, l’Avvocato Alberto Galassi. Grande appassionato di arte contemporanea, ma anche di auto, l’Avvocato Galassi è un fine conoscitore dell’arte orologiera che proprio come la nautica riesce a coniugare innovazione e tradizione, come ci racconta in questa intervista rilasciata ad Handmade. Come si è avvicinato al mondo dei segnatempo? A quale età e quando? «Ricordo che il mio primo orologio mi fu regalato da zio Giancarlo per la prima comunione. È un Rolex in oro giallo che conservo ancora. Ma è stato singolare, perché all’epoca mi sfuggiva la ragione del perché di questo regalo: piuttosto mi sarei aspettato un gioco, una bicicletta o qualcosa del genere, mai un orologio. Solo quando fui più grande compresi il significato e le parole di mio zio Giancarlo, che in quell’occasione mi disse: “questo orologio ti accompagnerà per tutta la vita”.» In quale momento della sua vita ha realizzato che gli orologi sarebbero diventati una passione? «Ero piuttosto giovane, tra i 16 e i 18 anni per l’esattezza. Sono sempre stato attratto dagli orologi sportivi con un elevato contenuto tecnico, mai dai segnatempo di forma. Poco più che maggiorenne, viaggiavo molto per lavoro e seguivo i mercati esteri dell’azienda di famiglia. Capitava spesso che andassi in Cina, Corea del Sud, Giappone Stati Uniti, Hong Kong. Quando

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avevo un po’ di tempo libero mi piaceva andare per negozi alla ricerca di orologi vintage. Specialmente ad Hong Kong ricordo c’erano molti punti vendita dove si potevano acquistare modelli sportivi, prevalentemente Submariner, GMT e Daytona a prezzi più convenienti che in Italia.» È stato in quel momento che ha iniziato la sua collezione? «Non c’è stato un momento esatto. Tutto è avvenuto in modo spontaneo e graduale fino a quando, con il passare degli anni, mi sono ritrovato ad avere una bella collezione di segnatempo, alcuni dei quali hanno acquistato un valore importante perché molto rari.» Una passione che coltiva ancora adesso e che non l’ha mai abbandonata? «Diciamo che ho avuto la fortuna di arricchire e perfezionare la mia collezione grazie al supporto di Andrea Mattioli, per me uno dei più grandi esperti di orologeria in circolazione. Lo considero un vero fenomeno. Grazie a lui e seguendo i suoi consigli, posso dire di avere una discreta collezione di Paul Newman. Alcune referenze le acquistai ai tempi in lire e ora hanno raggiunto quotazioni importanti. La fortuna è stata anche quella di non averle vendute nel frattempo.» L’orologeria rappresenta la sua unica passione o ne coltiva anche delle altre? «Sono un grande amante di arte contemporanea che considero la mia prima passione. Poi nell’ordine ci sono le auto, le barche e gli orologi che però devono essere rigorosamente meccanici. Per cultura e visione, un segnatempo deve rimanere tale, ecco perché non amo segnatempo digitali o connessi. A quel punto basta avere uno smartphone.» A tal proposito qual è l’aspetto che più l’affascina del mondo delle lancette? «La capacità che le Case orologiere hanno nel


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Un cronografo Royal Oak sulla consolle di uno yacht Ferretti Group

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Alberto Galassi CEO Ferretti Group al suo polso un Rolex Daytona “Paul Newman”

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saper innovare senza mai rinnegare o snaturarne la storia. In poche parole, la coerenza. A mio avviso è il vero valore aggiunto di questo settore. Un approccio simile lo seguiamo anche noi con Riva e Wally. Sono vere e proprie icone che continuano a evolversi rispettando i valori e i codici estetici e stilistici che le hanno rese grandi e dei punti rifermento nella nautica.» In chiave orologeria quali sono per lei i marchi più iconici? «Sono tre. Per rispetto e tradizione li riporto in quest’ordine: Rolex, Patek Philippe e Audemars Piguet. Si sono evoluti nel pieno rispetto della tradizione ma aggiungendo sempre qualcosa di nuovo. Daytona, Nautilus e Royal Oak sono indiscutibilmente tre icone assolute dell’orologeria. Non lo dico solo io. Basta leggere la loro storia.» Quale marchio orologiero abbinerebbe a ciascuno dei brand del Gruppo Ferretti? «È una domanda alla quale non posso rispondere. Abbiamo in portafoglio sette brand mentre sono solo tre le Case orologiere che amo, per cui mi riesce difficile dare vita a degli abbinamenti specifici. Posso però dirle che per stile, storia, eleganza e tradizione i marchi del Gruppo Ferretti hanno molto in comune con Rolex, Patek Philippe e Audemars Piguet.» Guarda caso queste tre Case Orologiere, Rolex, Patek Philippe e Audemars Piguet hanno in comune il forte legame con il mondo del mare. «Forse un po’ del loro successo dipende anche da questo, senza contare che gli orologi a vocazione marina e subacquea sono diventati degli oggetti di culto perché sono stati in grado di coniare un nuovo stile e una nuova eleganza, senza rinnegare la loro anima sportiva. Detto questo c’è chi poi come Gérald Genta ha trovato nel mare una formidabile fonte d’ispirazione per dare vita a collezioni divenute immortali. Basti pensare solamente a Nautilus e a Royal Oak.» Quali sono i pezzi della sua collezione ai quali si sente maggiormente legato o per i quali nutre una particolare attenzione? «Sicuramente un Rolex Daytona Paul Newman 6263 con pulsanti a vite, dotato di un quadrante sbagliato dove uno dei contatori era più grande e da qui il nome Big Eyes. Un orologio rarissimo. Sono legatissimo a un altro Paul Newman, il primo che acquistai quando ero giovane, in un piccolo negozio di Hong Kong ed ebbi la fortuna di scoprire che era autentico. Restando in tema, aggiungo alla lista anche un Cosmograph 6263 Tiffany del 1975 in oro. Sono legatissimo all’ultimo Royal Oak Jumbo Extra-Thin con cassa in platino

di Audemars Piguet, il cui quadrante verde per me è di un’eleganza straordinaria. Non posso non citare il mio primo Submariner, fedele compagno di avventure e che ho sottoposto a prove difficilissime, dalle quali è sempre uscito indenne. E infine, il mio primo orologio, quello regalato da zio Giancarlo.» Nel processo di acquisto di un orologio prevale più l’aspetto emotivo o quello razionale? «Quando si supera una certa cifra, non si può non tenere in considerazione la componente razionale. Come con l’arte contemporanea, devi sempre sapere cosa stai comprando. In questo sono sempre poco emotivo. Nell’arte e nell’orologeria è importante conoscere e studiare. Non puoi farti trovare impreparato. Poi devi sempre avere al tuo fianco quelli che definisco dei maestri. Per l’arte contemporanea ho la fortuna di poter contare su Emilio Mazzoli, il più grande gallerista italiano che ha inventato la transavanguardia, uno che già nel 1981 ha intuito il valore e il potenziale di un artista del calibro Basquiat. Mentre nell’orologeria ho Andrea Mattioli, grande amico che mi ha spinto a fare scelte a volte coraggiose ma che poi si sono rivelate vincenti. Le posso citare un aneddoto. Un giorno Warren Buffet mi disse: “Alberto, se non conosci i gioielli diventa amico di un buon gioielliere”. È un buon consiglio.» Nel suo cassetto dei sogni c’è ancora spazio per alcuni orologi che vorrebbe avere? «Sicuramente, anche se sono certo che non potrò mai coronarli. Il primo è un Nautilus 5711/P in platino e l’altro è un Rolex Cosmograph Paul Newman in oro con quadrante nero, conosciuto anche come John Player Special.» Allargando l’orizzonte ed estendendo il ragionamento che rapporto ha lei con il tempo? «Pessimo. È il bene più prezioso per me e non ne ho. Il regalo che vorrei ricevere è avere un po’ di tempo per me. Anzi per me guardare l’orologio per sapere l’ora diventa, anche se per pochi attimi, un momento di piacere. Ci sono già troppi strumenti come Ipad, smartphone, computer che ti scandiscono il tempo ma solo in funzione degli impegni in agenda. L’orologio va ben oltre questo concetto.» Stiamo intravvedendo la luce in fondo al tunnel. La pandemia ha condizionato in maniera pesante la vita di ciascuno di noi attribuendo un nuovo significato all’idea di tempo. La crisi sanitaria ha dato un nuovo ordine alle priorità. Dal suo osservatorio ha percepito qualche cambiamento? «Nel settore specifico in cui operiamo come quello nautico abbiamo avuto segnali importanti.

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Riva 68’ Diable è un inimitabile open yacht ad altissima concentrazione di sportività, innovazione e vivibilità.

Nella pagina accanto. Navetta 37 Telli è una delle barche di spicco della flotta semi-dislocante di Custom Line. Un capolavoro di navigabilità e comfort per lasciarsi conquistare dall’infinito del mare. Lo stile senza tempo e lo spirito di innovazione non mentono: dentro Navetta 37 Telli c’è tutta l’attitudine distintiva di Custom Line per design, volumi e avanguardia tecnologica, ma soprattutto per l’attenzione sartoriale a ogni dettaglio.

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L’indice di gradimento nei confronti della barca ha subito una forte impennata in virtù di questo particolare momento storico. Proprio la pandemia ha reso la barca uno dei pochi se non l’unico mezzo sicuro, all’interno del quale ritrovare un po’ di serenità. Insomma è una vera e propria oasi. La barca poi è sinonimo di libertà, sicurezza e privacy che non hanno prezzo. È cambiata anche la percezione sulla fragilità della vita, ecco perché chi oggi ha i mezzi non rimanda più, come accadeva spesso in passato, l’acquisto della barca. E i risultati si vedono. Nel nostro caso abbiamo registrato un pieno di ordini e ad oggi la prima barca disponibile è alla fine del prossimo anno. Ma come noi, credo, anche tutti gli altri player del settore stiano vivendo

questa situazione. In poche parole la pandemia è stato uno straordinario acceleratore decisionale e ha reso tutti noi sicuramente più consapevoli.» Parliamo di prodotto. Che anno è questo 2021 per il Gruppo Ferretti? «A fine maggio abbiamo presentato, a Venezia, in anteprima mondiale il Ferretti Yachts 1000, con già otto unità vendute. Il 3 e 4 settembre ci ritroveremo poi a Montecarlo per un evento che si terrà allo Yacht Club de Monaco e riservato ai nostri clienti. Un’occasione allietata dalla cucina di Massimo Bottura dove i riflettori si accenderanno su altre novità che il Gruppo porterà. Non ultima il nuovo WHY 200 di Wally.


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UN MAXI RITORNO Di Patrizio Poggiarelli foto © Rolex/Carlo Borlenghi

IL MAXI YACHT CAPRI TROPHY HA APERTO LA ROLEX CAPRI SAILING WEEK 2021

Le foto di queste pagine sono state realizzate da Carlo Borlenghi durante la Rolex Sailing Week dello scorso Maggio a Capri.

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UN NUMERO MASSIMO di 30 partecipanti, una location esclusiva e una settimana di regate dedicata solo ai Maxi yachts. Dal 10 al 14 maggio Capri ha ospitato le barche più belle del mondo in sfida per aggiudicarsi l’ambito Trofeo Rolex. Tra le grandi novità di questa edizione, la RCSW è anche lo scenario per la gestione virtuale del campo di regata grazie all’utilizzo delle boe da regata robotiche MarkSetBot. Queste utilizzano la tecnologia GPS per portarsi su una posizione specifica e mantenere la posizione senza ancoraggio fino a quando non viene cambiata la posizione assegnata. Con un’interfaccia mobile user-friendly, le possibilità di riposizionamento rendono semplice e precisa la gestione della regata in qualsiasi condizione e, soprattutto, con meno mezzi e personale in mare. La prima giornata di regate per gli scafi del Maxi Yacht è iniziata con il Comitato di Regata della Rolex Capri Sailing Week che ha atteso che si stabilizzasse il vento per dare la partenza della prima prova. Alle 14 è entrato deciso un S, SW tra i 10 e i 12 nodi che ha consentito l’inizio delle procedure con il campo posizionato nelle Bocche di Capri. Alle 14:30 start su un percorso a bastone di circa 8 miglia, poco più di un’ora il tempo di percorrenza per i maxi che iniziano così a scrivere il primo foglio della classifica: dopo il calcolo dei compensi, la prima regata vede dunque in testa il 60’ Blue Oyster, Shirlaf di Giuseppe Puttini e Lorina 1895 di Jean Pierre Barjon. Magnifiche condizioni meteo nelle acque di Capri per la seconda giornata: alle 11:00 il Comitato ha dato la partenza per una regata di circa 30 miglia sul percorso Capri, boa fuori Sorrento, passaggio davanti a Punta Campanella e poi giro dell’isola in senso antiorario. In mare un bel vento tra i 14 e i 16 nodi da W e mare che iniziava a formarsi. Subito dopo la partenza sono scattati in testa Cippa Lippa X e Anywave per un match race che è durato fino alla linea d’arrivo che, infatti, hanno tagliato a pochi secondi di distanza l’uno dall’altro. Grande soddisfazione per la line honour del Mylius 60 CK di Guido Paolo Gamucci, sempre velocissimo, ma


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L’OYSTER PERPETUAL YACHT-MASTER II È UN CRONOGRAFO DA REGATA UNICO AL MONDO, DESTINATO SIA AGLI SKIPPER PROFESSIONISTI CHE AGLI APPASSIONATI DELLA NAUTICA DA DIPORTO Creato nel 2007, lo Yacht‑Master II è un cronografo di precisione unico nel suo genere. Dispone di una funzione esclusiva sviluppata da Rolex: il conto alla rovescia programmabile a memoria meccanica e sincronizzabile al volo. Una funzione, di grande complessità tecnica, ma di estrema semplicità di utilizzo, che raggiunge la precisione richiesta durante la fase cruciale precedente la partenza di una regata. UN CRONOGRAFO DA REGATA PROFESSIONALE Nelle regate, come in ogni altra gara di velocità, la precisione rappresenta una questione fondamentale. Lo Yacht-Master II è dotato di un conto alla rovescia programmabile da 1 a 10 minuti, che permette a chi indossa l’orologio di sincronizzarsi sulla sequenza di partenza specifica in base al tipo di regata, la quale generalmente si svolge in tre tempi contrassegnati da diversi segnali sonori e visivi. Proprio questa flessibilità costituisce il principale vantaggio dello Yacht-Master II e ha rappresentato una sfida meccanica di tutto rispetto in fase di progettazione dell’orologio. La programmazione, inoltre, è memorizzata meccanicamente; in questo modo è possibile avviare una nuova misurazione senza dover riprogrammare l’orologio, per esempio per la manche successiva oppure in occasione di una prossima regata dove la durata imposta dal regolamento è identica. Dopo aver innescato il conto alla rovescia, il proprietario può sincronizzare il suo orologio con il conteggio ufficiale (azzeramento istantaneo della lancetta dei secondi tipo “flyback” e adeguamento al minuto più vicino). SISTEMA RING COMMAND Le sofisticate funzioni di questo conto alla rovescia sono progettate per essere facilmente azionate. La programmazione preliminare fino a 10 minuti è attivata poi bloccata tramite la lunetta girevole grazie al Ring Command, un sistema di interazione tra la lunetta, la corona di carica e il movimento, sviluppato e brevettato da Rolex. Questo meccanismo inedito fa del modello Yacht-Master II un orologio di nuova generazione e ridefinisce la funzionalità della lunetta girevole. Una prodezza tecnica resa possibile dalla capacità di Rolex di realizzare internamente tutti i processi di progettazione e di produzione dei propri orologi, dalla cassa al movimento. LUNETTA CON DISCO CERACHROM O LUNETTA IN PLATINO 950 La lunetta girevole bidirezionale dello Yacht‑Master II in acciaio Oystersteel, in versione Rolesor Everose o in oro giallo 18 ct. è dotata di un disco Cerachrom monoblocco in ceramica blu. Questo disco brevettato da Rolex è realizzato in una ceramica particolarmente dura; è praticamente antiscalfitture e il suo colore rimane inalterato nonostante l’effetto dei raggi ultravioletti. I numeri e le iscrizioni, scavati, sono colorati mediante deposito di oro o di platino secondo un procedimento PVD (Physical Vapour Deposition).

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che per mantenere il comando della classifica ha dovuto comunque attendere il verdetto del calcolo dei tempi compensati. Comincia così a delinearsi la classifica anche per le due classi Performance e Classic: la prima con il terzetto di testa composto da Frà Diavolo, Lorina 1895 e Cippa Lippa X, la seconda, invece, con Shirlaf, Blue Oyster e Stella Maris. Un altro percorso costiero di circa 30 miglia per il terzo giorno di regate del Maxi Yacht Capri Trophy in un campo di regata ‘benedetto’ dalle oramai consuete condizioni ideali, un ponente tra i 14 e i

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16 nodi in partenza che ha permesso ai più veloci di completare il percorso in poco più di 2h30m. Durante la regata, dopo la partenza nelle bocche di Capri, i maxi sono andati a girare il primo disimpegno per ritornare alla seconda boa di Punta Campanella, poi giro dell’isola in senso orario, secondo passaggio a Punta Campanella e rientro sulla linea d’arrivo posta di fronte alla Marina Grande di Capri. Grande apprezzamento da parte dei regatanti per l’ottima gestione del campo di regata presieduta dal Presidente del Comitato di Regata, Alfredo Ricci.


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I maxi si sono impegnati su un percorso a bastone con due lati di poppa e due di bolina - per un totale di otto miglia - con un vento tra i 6 e i 7 nodi da sud e mare piatto. Grande pazienza e intuito da parte di Alfredo Ricci che ci ha creduto fino alla fine ed è riuscito a dare il via alla regata nonostante i salti di vento, ma riuscendo così a completare il programma previsto. Con la quarta regata si è concluso il primo atto del MYCT con la premiazione. Vincitore assoluto al termine delle quattro prove, il Mylius 18E35 di Vincenzo Addessi. Tra i premiati delle due Classi

Performance e Classic, anche il Trofeo dell’IMA – International Maxi Associatio - andato a Lorina 1895 di Jean Pierre Barjon e un premio per il ‘best placed maxi yacht’ nelle due Classi. «È una grandissima soddisfazione essere riusciti a organizzare le regate a Capri – così il Presidente dello Yacht Club Capri Achille D’Avanzo – in acqua il tempo ci ha aiutato, ma a terra il grande risultato è stato quello di essere riusciti a garantire a Capri lo status di isola covid free, grazie al protocollo sanitario che ci ha consentito la messa in sicurezza di tutto l’evento».

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DAL MARE di Bibiana La Rovere

L’OMBRA DELLA LUCE UN MIO RICORDO DI GIOVANNI GASTEL

LA CREATIVITÀ, È UNA CONDIZIONE DELLO SPIRITO con cui si nasce e per Giovanni Gastel era qualità innata. Definiva bellezza la personalità, un insieme di difetti che rendono una persona di una bellezza unica. Poi bastava un click, un suo semplice click e tutto era lì in quello scatto, in quella foto: i pensieri, le parole, la luce negli occhi velati di ogni sentimento, che solo quel momento avrebbe determinato. Potrei dilungarmi a raccontare la minuzia dei nostri incontri in quel suo studio in via Tortona, che racchiudeva di Gio più di quanto potesse contenere e transitarvi. Sostarvi era sempre un viaggio singolare, ove tutti i sensi facevano a gara nel catturare quanto, nella densità dello spazio, si rivelava. O piuttosto soffermarmi sugli eventi e mostre sulle sue innumerevoli opere o ripercorrere la convivialità delle nostre conversazioni sulla poesia, che più d’ogni altra cosa ci legava, sull’arte, la vita. Di quando le nostre voci si alternavano decantando versi in un simposio improvvisato. Gli aneddoti nel ripercorrere la sua storia familiare e professionale, riportate nelle mie “Conversazioni”, raccontatemi con la sua rarefatta eleganza, erano una sospensione del tempo. Niente in lui era sovrastruttura, tutto accadeva nella delicata naturalezza che gli apparteneva. Le sue ombre d’esistenza non erano un carico per nessuno, avendo il coraggio di mostrarle nel loro cono di luce che le rendeva sacre alla vita. Sognavo di te prima ancora di conoscerti Gio e terrò gelosamente e con cura, quanto qui non sarà narrato, nel nostro esistere privato, in quello spazio d’indicibile universo spirituale da tradurre ora nel tempo in cui vivere.

Bibiana La Rovere Artista Poeta Performer Si occupa di scrittura e cultura della comunicazione. Con il Concept Design unisce comunicazione, scrittura e arte per realizzare progetti innovativi di brand identity per l’impresa, con eventi editoriali e allestimenti interdisciplinari, in un processo di narrazione multisensoriale, che va dall’arte al design, dalla fotografia alla scrittura, al sound design, comunicando, attraverso il marchio, la brand identity, l’identità imprenditoriale. www.bibianalarovere.it

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Quel dialogare intenso di chiaroscuri, a tramare ancora quel che c’è da fare in versi, i progetti che rimasti lì, ad animarci all’ombra della luce dove li abbiamo lasciati, conquisteranno l’assoluto. E ti ho sognato, quando era deciso che tu andassi per dominare l’infinito. E adesso che mi perdo nei silenzi delle tue opere, nella voce dei tuoi versi, più di prima so con esattezza che l’eleganza del tuo cuore continuerà a palpitare ovunque, a germogliare bellezza ovunque. Dall’immediatezza del nostro affetto, del nostro tenerci, niente ci separerà. Nella sospensione di un tempo irripetibile, come di un miraggio, ti ammanto in un soffio di luce, nell’abbraccio dei miei versi a te dedicati, dal mare io ti parlo, senza dirsi addio.


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