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editoriale L’intelligenza artificiale andrebbe tassata?

In alcuni Paesi, la politica sta discutendo circa l’eventualità di tassare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (AI) nelle aziende – tra essi anche la Germania. Fondamentalmente, le innovazioni tecnologiche non dovrebbero essere frenate da ulteriori imposte, ma, soprattutto in questa fase di sviluppo, sostenute adeguatamente, incentivando le aziende a impegnarsi per introdurre processi innovativi.

Per il commercio al dettaglio, l’intelligenza artificiale offre un enorme potenziale. Tuttavia, per poterne sfruttare le possibilità di impiego, l’innovazione necessita di un adeguato spazio di manovra. Una tassa sull’AI rappresenta quindi la direzione sbagliata. Una politica economica che sappia guardare al futuro deve sostenere i processi innovativi e creare lo spazio per nuovi sviluppi. Vedere nell’intelligenza artificiale solo un pericolo per i posti di lavoro è poco lungimirante. Se viene a mancare un impiego a causa della tecnologia, ne nascono di nuovi in altri settori.

L’Unione auspica invece l’introduzione di provvedimenti per favorire l’equa concorrenza con le grandi aziende straniere del commercio online. Per ottenere questa parità in ambito concorrenziale, i giganti dell’online devono sottostare alle stesse regole di tutti gli altri attori del commercio. In caso contrario la concorrenzialità è enormemente sbilanciata.

Un ruolo fondamentale, in questo senso, è giocato dall’equità fiscale. Servono regole uguale per tutti i soggetti – che siano aziende stazionarie od online, di piccole dimensioni o grandi agglomerati. Non è accettabile che le mega imprese, grazie a ottimizzazioni delle imposte e trasferimenti in paradisi fiscali, siano chiamate a versare cifre assolutamente ridicole, mentre le aziende locali onorano i rispettivi doveri fiscali fino all’ultimo centesimo. Creare i presupposti affinché si realizzi una parità in ambito concorrenziale è un compito che andrebbe affrontato con estrema urgenza e decisione.

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