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INTERVISTA A ENZO SCOTTI
from 19^ Edizione
by L'He
1. Lei nella sua vita politica ha
affrontato diversi ruoli, da Sindaco di Napoli a Ministro degli Interni: come Le è sembrato questo ambiente? Se tornasse indietro nel tempo, sceglierebbe nuovamente la carriera politica? Perché?
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La politica è un’arte affascinante, può esserci la buona o la cattiva politica, ma è un qualcosa che appartiene al profondo dell’uomo. L’uomo vive in relazione, non in solitudine e per natura l’uomo si completa quando è in compagnia, creando una comunità, e la politica permette di dare un’identità, organizzare e far funzionare una comunità. Da ragazzo avevo un interesse per la politica e sono passato attraverso diverse esperienze. La politica non è un monopolio di una casta o un gruppo ma appartiene e coinvolge tutti. Quando la politica finisce nelle mani di un gruppo che vuole il predominio è un grosso problema. Bisogna governare insieme in un ambiente di corresponsabilità. Rifarei il politico con tutte le amarezze e le difficoltà che la politica presenta. Essa deve fronteggiare i cambiamenti della società, non inseguendola ma proponendo un modo di affrontare le sfide, cercando il consenso della società sulla sua proposta. Se la proposta viene accolta, lui vince le elezioni; in caso contrario, perde e non raggiunge l'obiettivo. Il politico è chiamato a trovare soluzioni concrete su problemi concreti e attuali, non possibili e astratti. Machiavelli diceva che non era interessato alle repubbliche che mai esisteranno ma a quelle che esistono e con le quali bisogna misurarsi costantemente. L’uomo politico ha tre condizioni: Essere uno che ascolta, un uomo che non usa la parola “Io” ma “Noi” e che sa che il cambiamento non posa sull’isolato perché rischia di trasformarlo in una forma di tirannia ed imposizione. Lui deve cercare di governare con la società e deve maturare le sue proposte all’interno di questo processo di coesione guidato dalla qualità delle proposte che fa. La politica crea le istituzioni ma una volta create, quest’ultime hanno una propria vita e la politica deve mantenerle vive. Questo è l’affascinante del fare politica. La democrazia è la forma meno imperfetta di governare, dato che coinvolge e rappresenta il popolo.
2. Nel 1991 istituì la DIA (Dire-
zione Investigativa Antimafia) perché lo fece? Cosa La spinse a farlo?
Tre cose fondamentali mi spinsero a fare questa scelta: La criminalità organizzata costituisce una rete che tende a rendere deboli gli stati con le pressioni da loro esercitate. Non esiste la possibilità di convivere con la mafia: o c’è convivenza o guerra, non ci sono forme per trovare una convivenza e quindi si combatte. Bisogna conoscere bene come la mafia si evolve e cambia e come sa anticipare le nostre mosse. Inoltre, è necessario utilizzare tutte le armi possibili e tutte le tecnologie necessarie per reprimere la mafia. Tutto ciò mi spinse a creare una strada e una strategia concreta proprio mentre adempievo il mio ruolo di Ministro dell’Interno. In quegli anni ci fu un processo di evoluzione nella magistratura e nelle parti più sensibili della vita politica nel mondo, perché premetto che la mafia è una questione mondiale, la prima cosa che dissi è che serviva un’intelligence sulla criminalità organizzata cioè la capacità di anticipare l’organizzazione criminale. E su questo eravamo e siamo di fronte a una situazione in cui lo sviluppo globale della vita economico-sociale impone una strategia di cooperazione internazionale. Falcone era andato in USA e aveva creato una cooperazione tra USA e Sicilia ottenendo ottimi risultati che lo portarono a smantellare la rete criminale. La mafia evolve e cambia; noi abbiamo ancora un’immagine che la mafia sia una questione siciliana. Oggi si è scoperto che la criminalità non investe i proventi del crimine a Corleone ma nei paesi sviluppati entrando dentro e corrompendo il sistema.
SPAZIO CITAZIONI PROF
“XXX.MILANO, OH NO SEMBRA UNA RIVISTA PORNO” 14
Quando mi trovai a fare il ministro mi trovai in questa situazione: c’era un’indagine sulla presenza della mafia milanese sugli aspetti economico-finanziari della società. Mandai degli ispettori al comune di Milano per vedere se ci fossero condizioni di penetrazione della mafia all’interno dell’amministrazione. Tutti mi saltarono addosso. Ma per esempio Falcone condusse in Germania un’indagine mafiosa. La mafia cambia e in particolare oggi è una realtà molto complessa e articolata. Ai tempi creammo una legislazione che partiva soprattutto dal problema del riciclaggio di denaro. Facendo questo si scoprirono i legami tra il legale e l’illegale. Falcone disse: “Andate dietro al denaro e troverete la rete criminale” e così abbiamo fatto.
3. Durante il suo mandato di
Ministro dell’Interno, avvenne la strage di Capaci e due mesi dopo quella di Via d’Amelio. L’intera nazione era scossa. Lei aveva paura? Pensava che la sua posizione di rilevanza politica potesse metterLa a rischio?
Sapevo benissimo, quando ho scelto di fare il ministro degli interni, di dover essere in grado di affrontare qualsiasi tipo di rischio. Questo era un problema in cui c’era bisogno di accettare la sfida davanti a noi e accettare il costo della stessa. L’uccisione di Lima e poi gli attentati a Falcone e Borsellino erano una risposta alla decisione dello stato di intraprendere una guerra nei loro confronti. Quando ci fu l’omicidio di Lima (antecedente rispetto agli altri due nei confronti dei magistrati) venni chiamato in Parlamento e dissi alla commissione antimafia: “Se vogliamo vincere questa battaglia dobbiamo pagare dei costi, anche alti”. Dopo un mese dichiarai lo stato di allerta sulla base dell’informazione che avevo ricevuto, cioè che ci sarebbero state in futuro altre strage e uccisioni. La risposta della mafia al decreto che mise in galera i condannati del maxiprocesso di Falcone era quella di scegliere una reazione violenta. Tutti mi dissero che stavo esagerando. Io risposi che con la mafia non ci sono compromessi possibili e bisogna porre attenzione proprio a questo punto.
4. Ora mi piacerebbe che con
poche parole mi descrivesse la mafia. Intendo dire che cosa ne pensa a riguardo? Mi esponga un suo pensiero.
La mafia è una rete internazionale. La mafia non ci propone di distruggere lo Stato come il terrorismo ma ci propone di piegare lo Stato alle sue esigenze di operare in maniera criminale. Vuole con la violenza, non solo fisica ma per esempio anche finanziaria, mutare le regole della convivenza civile. Facendo il pizzo al negozio, la mafia chiede una tassa illegale diversa da quella dello stato richiesta tramite la violenza. Quando crea la rete mondiale del traffico di droga utilizza i mezzi di violenza e sconvolge la società, coinvolgendo maggiormente le nuove generazioni. La mafia è questo. La mafia è l’antistato non solo un’organizzazione che commette alcuni crimini. È qualcosa di più: una forma in cui lo stato deve fare attenzione a non cedere.
5. Parliamo ora del ruolo politi-
co all’interno della società; Lei cosa consiglia ai giovani che volessero intraprendere tale carriera?
Volevo riprendere e citare un pezzo di discorso di Piero Calamandrei: ”Quando oggi sento nei giovani che la politica è una brutta cosa, mi viene in mente una vecchia storia. La storia parla di due migranti che attraversano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno dei due era a dormire nella stiva mentre l’altro stava sul ponte. Questo si accorse che c’era una grande burrasca con onde altissime e il piroscafo oscillava. Allora, impaurito, chiede al marinaio: ma siamo in pericolo? E questo dice: secondo me se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda. Allora il migrante che stava sul ponte corre a svegliare l’altro giù nella stiva e dice: Beppe, Beppe! Beppe se continua questo mare il bastimento affonda! E allora l’amico risponde: che me ne importa? Tanto mica è mio”. Questa è l’indifferenza politica. Non si può essere indifferenti rispetto alla politica. Ciascuno deve assumersi le sue responsabilità in maniere diverse. Quando voi vi occupate di tematiche generali fate politica e non di piccola rilevanza. La bellezza della politica è proprio questa: il problema è sempre di tutti perché sono io il primo ad affondare se la burrasca ci butta giù. Non siamo soli e non c’è salvezza per nessuno se non si affronta il problema tutti insieme. Questo è il bello della politica. Io capisco che voi vediate certi spettacoli di politica di alcuni partiti che pensano di avere un monopolio. Per esempio, ciò che accade adesso in America dove il presidente pensa di essere il capo
SPAZIO CITAZIONI PROF
“A CHI SUONA IL TELEFONO? AH, STA SUONANDO A ME”
di tutto e che l’America venga prima del resto del mondo.
6. Secondo Lei che qualità deve
avere una persona per essere considerabile un buon politico?
Deve avere l’umiltà di ascoltare e capire. Deve essere una persona umile. Non pensare ciò che può fare da solo ma ciò che può fare per creare consenso e coesione. Avere la consapevolezza che c’è chi semina e chi raccoglie. La politica non è di breve periodo ma di lungo. Il bravo politico è colui che guarda oltre la siepe. Cioè non quello che avviene domani mattina ma ciò che avverrà. E deve anche essere in grado di cambiare in quella prospettiva perché il cambiamento richiede tempo, coraggio e responsabilità.
7. A livello personale qual è stata
la posizione nella quale ha maggiormente gradito lavorare? Perché?
La mia breve esperienza in un comune difficile come quello di Napoli è stata bella per via del contatto diretto con la gente. Io credo che ogni politico debba passare prima per compiti locali che per compiti nazionali. Poi ho fatto l’esperienza di Ministro dei Beni Culturali in un paese così ricco come l’Italia. Ciò che vorrei dire ai giovani è che bisogna avere una visione globale. Il mondo è piccolo e interconnesso. Ciò che succede in America riguarda tutto il globo non solo la zona locale. Bisogna abituarsi da ragazzi che la dimensione internazionale è fondamentale nella vita attuale e quindi anche nella politica.
8. È stato fondatore e presidente
per vent'anni dell'Università degli Studi Link Campus University. Per quale motivo ha fatto questa scelta? Questo tipo di esperienza Le è piaciuta? La rifarebbe?
Io parto dalla considerazione che l’università è un punto nevralgico della crisi del mondo contemporaneo. L’università non è chiusa e non si sente un’élite sulla testa della società. L’università deve avere la responsabilità di creare la classe dirigente e di formare giovani con una cultura e una dimensione politica, cioè con capacità strategiche di vedere il mondo. L’università deve essere più interdisciplinare oltre che internazionale. Noi formiamo dei bravi professionisti bravi su un segmento ma non formiamo della classe dirigente.
9. Adesso, come ultima doman-
da, Le vorrei chiedere di lanciare un messaggio a tutti i giovani che stanno leggendo questa intervista.
Il messaggio è quello di avere coraggio, di non avere paura, di sapere che si può cambiare e che ciò dipende dal suo impegno personale. Se si riesce a passare da ”Io” a “Noi” alla fine si è più contenti. Ciò che dobbiamo fare è fare in modo che i giovani si riapproprino del proprio futuro. Non è uno slogan ma un percorso. Il loro futuro è nelle loro mani. C’è un cambiamento straordinario, possibilità notevoli in tutti i campi. La crisi deriva dalle non risposte. La crisi deriva dall’insufficienza con la quale noi affrontiamo le sfide. C’è un divario in questo momento tra quello che sarebbe possibile e quello che è. Ciò crea un vuoto e fa perdere impegno e responsabilità ai giovani e fa pensare che si possa fare politica senza coesione tornando a ciò che diceva Calamandrei (domanda 5 ndr).