prima cordonatura obbligata sul margine del disegno
nigro Desdemona e Cola Cola
La favola di Raffaele Nigro è un racconto di frontiera. Con i mezzi narrativi propri del genere fantastico, lo scrittore affronta il tema scottante e attualissimo dei rapporti tra civiltà diverse in rotta di collisione per motivi economici e culturali e che ergono frontiere fisiche e psicologiche via via più alte e invalicabili. Su questi temi si dipana la vicenda della gazza del deserto Cola Cola e della colomba veneziana Desdemona, due mondi lontanissimi che tuttavia si attraggono e si completano in forza dell’amore, segno augurale della futura umanità. Seguendo Cola Cola nel suo viaggio della speranza, impariamo a conoscere l’urgenza del bisogno, l’anelito alla libertà e lo slancio verso l’utopia di un mondo migliore. Conosciamo anche la delusione e l’amarezza che l’Isola tanto agognata produce nel pellegrino, il quale impara presto che il mondo non accoglie, ma respinge brutalmente tutti coloro che appaiono diversi e perciò pericolosi. Cola Cola è dunque figura ed emblema di tutti coloro che oggi cercano una nuova terra e spesso trovano egoismo e indifferenza.
Raffaele Nigro
Desdemona e Cola Cola Storia di una gazza affamata, di una colomba infelice e di una luna che voleva un figlio
Leggere per comprendere Approfondimento Parole in chiaro Esercizi di scrittura
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Cosmo Iannone Editore
Desdemona e Cola Cola
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Un’oasi misteriosa e un feroce cane del deserto Scheda p. 107
La luna del deserto è proprio sola. Della sabbia ne fa un letto. Del vento scirocco un asciugacapelli. Ma la luna del deserto non usa portare capelli sulle spalle. A lei piacciono legati a chignon, sulla nuca, oppure allungati a treccia e calati da una spalla. La vedi che perde intere notti a rassettarsi, a farsi bella, a incipriarsi prima una poi l’altra guancia. Qualcuno sostiene che cerca un compagno, che desidera compagnia. E soprattutto desidera un figlio. Vuole un figlio con cui giocare di notte, nel giardino, a moscacieca tra le stelle. Ma i pianeti sono lontani, le stelle sono lontane, col sole si incontra raramente, dati i turni di lavoro diversi che hanno. Per amico non le resta che qualche uccello, le palme, un picco solitario sulle catene montuose. La luna del deserto aveva per amico la gazza Cola Cola. Un giovane maschio dalle penne bianche e nere. Di gazze se ne vedevano piccole quanto un pugno e grandi quanto un cammello. Cola Cola era minuto, magro, ma scherzoso. Gli piaceva fare complimenti alle femmine e, poiché aveva una voce da tenore, avrebbe voluto stare tutto il tempo a cantare tra le compagne e sentire il rullo dei tamburi che si alzava dall’oasi quando vi giungevano gli uomini dai mantelli colore di luna: Trututum tattà trututum tattà. Invece gli toccava seguire il padre in lunghe ricerche di insetti. Le ricerche si rivelavano spesso infruttuose ma lui cantava lo stesso imitando i tamburi – trututum tattà trututum tattà – e irritando il padre, che disse: «E che, si muore di fame e tu canti?»
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Cola Cola smise di cantare e chiese: «Come si fa a capire se un insetto è buono o cattivo?» «Se ha le ali è buono», gli spiegò il padre. Ma il caldo asfissiante stecchiva persino mosche e locuste. Il padre corresse malinconico senza voltare la testa: «Se non ha le ali va bene lo stesso». Il sole era proprio rovente, il deserto abitato dal vento ghibli e la fame molta. Cola Cola e il padre rientravano al tramonto. La luna già appariva, col suo carico di pettini, di ombretti, di monili. Era proprio bella la luna. Come avesse fatto a non trovare marito restava un mistero. Una volta il tramonto era annunciato dalla gazza Muezzin con un bel canto, la voce alta e tesa che ricordava i lamenti attorno al capezzale dei defunti. Evocava tanto un silenzio infinito da risultare impressionante, ma a Cola Cola piaceva, al punto che qualche volta si provava a imitarlo. Dopo quel canto il vento si faceva di gelo e dava voce a creature feroci che guai a incontrare. Muezzin aveva per assistente una giovane gazza che si rintanava sulla palma minareto perché aveva paura di tutto, dell’aria che si respira, del vento ghibli, degli insetti e persino della voce di Muezzin. Si chiamava Sharabun e accompagnava a ritmo di tamburo il canto di Muezzin. La gazza Cola Cola si prendeva gioco di Sharabun e delle sue paure, ma se ne era fatto amico per una ragione, era l’unico modo per accostarsi al Muezzin e riuscire a osservarne da vicino il modo in cui impostava la bocca per i suoi gorgheggi. Quando poi era solo nel deserto, alzava la voce e lo imitava. Sembrava proprio un muezzin. Almeno così gli disse la luna e così gli ripeterono suo padre e suo nonno, una volta che lo sentirono cantare. Fu il giorno in cui il nonno costrinse padre e figlio a seguirlo verso il punto dove nasce il sole.
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«Ho un segreto che non intendo portarmi all’altro mondo». Volarono una giornata intera e finalmente, verso il tramonto, giunsero in prossimità di un’oasi ricca di palme e di pozzi. Era l’Oasi del sole che nasce. Il nonno era raggiante di felicità. «Quando non avrete più acqua, qui troverete di che dissetarvi. Vi prego di non svelare il segreto. E questa è la mia eredità». Ma Cola Cola non sapeva mantenere segreti. Siccome gli piaceva intrattenersi con la luna che ogni volta lo pregava di improvvisare, cominciò a cantare: La luna si fa bella all’imbrunire e so di che speranze lei si pasce non dovrei dirlo ma lo voglio dire aspetta il sole dove dorme e nasce. La luna cominciò a ridere: «Sei uno sfacciato», rimproverò Cola Cola. Ma siccome lo amava alla follia non gli disse altro e continuò a strofinarsi le guance e a spalmarsi creme e oli essenziali. Una sera Cola Cola trovò Sharabun che tremava e piangeva, e tanta era la paura che non riusciva a levarsi in volo. «Che ti piglia Sharabun?», lo canzonò il compagno. Sharabun tremava. «Zitto cugino, tu mi vuoi vedere morto. Noi non dovremo vederci più, finché c’è il nuovo Muezzin». «Un nuovo Muezzin». «Sì, è salito due notti fa, si è arrampicato come un serpente, piomba sul nostro nido e allunga le zampe al collo di Muezzin. Senza dargli tempo di aprire la bocca, lo sventra e se lo mangia. Poi si getta su di me e mi grida: “Ehi tu, suona il tamburo se non vuoi fare la stessa fine”». Cola Cola fece un conto mentale. Doveva essere avvenuto
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mentre si erano allontanati col nonno fino all’Oasi del sole nascente. Il nuovo Muezzin si chiamava Nureddin, aveva una voce orrenda, uno strazio per le orecchie, tale che gli anziani del villaggio accorsero subito alla palma minareto. Nureddin si adirò e passò alle maniere forti. Con una zampata sventrò una gazza sarta, con un’altra portò via un occhio a una gazza carpentiere, una che costruiva nidi, e sfregiò il padre di Cola Cola. Le altre gazze fuggirono. Perciò, appena al nido, padre e nonno si gettavano sfiduciati nel giaciglio di paglia di cocco, mentre Cola Cola diceva: «Vado fino al pozzo, una boccata d’acqua e torno». Invece andava dal compagno Sharabun. Fingevano di ascoltare i tamburi dei carovanieri, ma in realtà spiavano le abitudini di Nureddin o provavano a interrogare la luna. Nureddin era un cane del deserto e non una gazza. Ma era un vero boss e portava un turbante di seta colore del cielo avuto in regalo dal capo cammelliere, uno spadino alla cintola e un orologio con catenella appesa al collo. Sembrava un uomo colore del cielo. Ed era servito e riverito da un branco di cani predoni. Dormiva in una tenda di damasco, avuta anche questa dai cammellieri, che lo temevano e perciò lo rispettavano. Ogni sera si arrampicava sulla palma minareto e sfoggiava il bel turbante, lo spadino e l’orologio d’oro. Di lassù invitava le gazze a ringraziare il cielo per il giorno trascorso e ricordava loro che nell’oasi c’era ormai un padrone. Perché si capisse, afferrava Sharabun per il collo e lo strattonava. Sharabun implorava, mentre le gazze tremavano. Nureddin abbaiava con voce sgraziata: «Allah disse: non fuggirai dalla casa che ti ho dato e non tenterai le ombre della notte. Ricordatevi, io sono qua per far rispettare la legge e chi non la rispetta assaggerà queste unghie e
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assaggerà questi denti». Perciò il padre di Cola Cola brontolava quando il figlio usciva con le tenebre. Ogni volta gli mostrava l’occhio sfregiato. «Noi non vi strapperemo una piuma», stabilì Nureddin, «ma voi non lascerete l’oasi, di notte resterete nei nidi e i miei cani vi conteranno. Io vi difenderò dalle vipere del deserto e dai cacciatori, ma in cambio chiunque muoia, sia giovane o anziano, sappia che toccherà in cibo ai miei cani». Ma nelle fauci di Nureddin e dei suoi non finivano soltanto le gazze che morivano di morte naturale, ma anche quelle che venivano travolte dal ghibli o che tentavano la fuga dall’oasi. Il deserto era immenso e disabitato, non allignava un filo d’erba, non un rivolo d’acqua e non c’era proprio speranza di fuga. E quando Cola Cola chiedeva alla sua amica luna: «C’è una pista che mi conduca a un altro deserto? Una strada per un’altra oasi?», la luna sviava, fingeva di distrarsi, cominciava a parlare del figlio che avrebbe voluto e dei capelli che le si erano fatti aridi come la sabbia. Di tanto in tanto all’oasi giungeva la carovana dei cammellieri. Erano avvolti in meravigliosi vestiti colore del cielo, con mantelli dai molti riflessi di luna e accoglievano attorno ai bivacchi il cane Nureddin. Il rullo dei tamburi si intensificava e Cola Cola si riempiva di curiosità e di allegria. Ballava e cantava come un pazzo. Solo quando i cammellieri ripartivano, i cani permettevano alle gazze di rastrellare becchime. Mentre il sole sorgeva, appariva la lunga fila di cammelli sulle prime dune del deserto. Allora Nureddin dava un grido forte e modulato. A suo dire era un saluto ad Allah, ma molti sapevano che era un avvertimento alle gazze. Allora si apriva un nuovo giorno di caccia, un lungo giorno di caccia e di fame.
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Fuga ad Al Jaizir Scheda p. 132
Un filo di luce portò nella sacca l’odore dell’alba. Ma portò anche il guaito di un cane. Cola Cola sporse la testa e guardò verso la palma più alta dell’oasi. Era il cane Nureddin. «Sento odore di penne», gridava, «e non mi pigliate in giro!» mentre sguinzagliava i suoi per il campo. Tutankamon si alzò sulle zampe, era alto quanto una torre, e ordinò ai cammelli e ai dromedari di rimettersi in marcia perché Al Jaizir era lontana. «Io sospetto», gridò ancora Nureddin e così dicendo ordinò ai cani di annusare le sacche dei cammelli. Ci fu un attimo di terrore. Gli uomini vestiti di cielo guardavano negli occhi i loro animali e gli animali si scambiavano occhiate spaurite. Ma Tutankamon ebbe un’idea folgorante, perché allargò le zampe posteriori e scaricò il suo corpo. Lo scaricò tanto da infuocare di escrementi e di odori tutta l’oasi. E lo stesso fecero i suoi compagni, al punto che gli odori si confusero e seppellirono quello acre e sottile dei pennuti. I cani erano disorientati. Correvano di qua e di là e non riuscivano a individuare chessìa una gazza. Alla fine Nureddin si vide costretto a tuonare una generica minaccia ai cammellieri: «Guai a voi se accoglierete una sola delle gazze fuggiasche. Guai a voi se non mi avvertirete quando vi verranno a tiro. Nel frattempo noi cercheremo ancora e se occorre saliremo ad Al jaizir e lì faremo i conti, faremo tutti i conti».
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Nureddin era più cattivo del ghibli e più veloce di uno spettro, gli era bastata una notte per raggiungere l’oasi. A dispetto del vento. Quando Nureddin andò via in direzione di Al Jaizir, Cola Cola ringraziò il giovane dromedario. «Noi ora ce ne andremo», gli disse dall’orlo della sacca e senza che nessuno lo scorgesse, «ma dimmi, come faremo a riconoscere Al Jaizir?» «Dove si sente odore di sale, lì è Al Jaizir», gli suggerì Tutankamon, «ma sei avvertito, perché ora sarai braccato anche in quella città». Cola Cola salutò il compagno e si lanciò nel cielo. Dietro di lui si gettarono Sharabun e gli altri che avevano trovato riparo nella sacca delle mappe. Ma ecco che da altre sacche sbucarono altre gazze, tante che Tutankamon fu vinto da una inspiegabile e improvvisa felicità. Il popolo dei cammelli aveva finalmente disobbedito al feroce cane del deserto. E prima che Cola Cola sparisse dagli occhi di Tutankamon, il dromedario gli gridò di cercarlo alle stalle del Mercato se ci fosse stato bisogno, oppure di rivolgersi a un suo conoscente, uno che abitava sul mare, il gabbiano Marino Marinaio. Cola Cola remava nel cielo tornato quieto e di tanto in tanto annusava l’aria. Ed ecco che effettivamente si cominciò a sentire un lieve odore di sale. Tirò dritto verso quella sorgente e all’improvviso apparve, ai limiti di una campagna vestita di piante argentate, un accampamento infinito di tende. Ma non erano tende da cammellieri, erano grandi case di calce, come aveva raccontato Tutankamon, con minareti alti più dei palmizi. Il più alto di quegli alberi di gesso aveva la punta confissa nel cielo e qualcuno che l’abitava stava cantando. Il canto del
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muezzin era alto, teso. Era un canto che rendeva più silenzioso, solitario e infinito l’immenso villaggio di calce. Era come se la voce volesse evocare i morti, tutti coloro che avevano seguito la Gazza del Silenzio. Sharabun si lasciò vincere nuovamente dal terrore e si addossò a Cola Cola che invece appariva affascinato da quel canto e puntava proprio verso il minareto, a differenza dei compagni che preferirono appollaiarsi sui fili della corrente, sulle antenne della televisione e sugli ascheri delle case. Cola Cola girava intorno al minareto di calce mentre la voce del muezzin, che aveva improvvisamente fermato la vita della città, portava la mente di lui verso i genitori rimasti nell’oasi. Li immaginò mentre trasmigravano infelici, fiaccati dall’età e dalle amarezze, all’Oasi del sole che nasce. Li vide soli nell’arsura del deserto. Quel posto lontano, gli apparve, avvolto dalla voce tesa del muezzin, ancora più lontano. “Tornerò”, pensava, ‘‘perché prima o poi si torna. Vi cercherò, per portarvi in questo posto incantato”. Poi la voce tacque. E all’improvviso la città si riempì di frastuoni. E tra i frastuoni si sentì un tuono altissimo. E dopo il tuono, una gazza di quelle che avevano trovato asilo sui fili cadde ferita in strada. Subito dopo ci furono altri due tre tuoni e altre gazze caddero in strada. Ma non facevano in tempo a toccare il suolo che in tanti, donne, ragazzi, anziani, si avventavano sugli uccelli. La furia era pari a quella dei cani del deserto. Cola Cola si infilò in una feritoia del minareto e chiamò Sharabun che aveva perso la testa e volava a sghembo rischiando di sbattere contro la cupola della moschea. Cola Cola approfittò per gridare al muezzin: «Ci sparano». «Hanno fame», disse il muezzin. «Solo i cani del deserto hanno denti buoni per mangiare la nostra carne», piagnucolò Sharabun.
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«Il cane Nureddin, che vi ha preceduto, ha messo in giro la voce che la vostra carne è molto buona, e ora non avrete pace», spiegò il muezzin. «Vi prego, effendi, dite al vostro popolo che le cose non stanno così», disse Cola Cola. Allora il muezzin si adirò: «La regola era che ognuno restasse nella sua casa e voi l’avete infranta. È un segno di ribellione». «Tu che dici di fare, effendi?» «Io vi ordino di tornare a casa». Le due gazze fecero il giro del minareto e si posarono in una feritoia. «Torniamocene», disse Sharabun tremando di spavento. Cola Cola guardò verso il cielo. La luna aveva rassettato la casa e stirato le lenzuola sul letto. Era il momento in cui non vista, si scioglie i capelli, se li pettina l’ultima volta prima di coricarsi. La luna era là sopra, serena. Gli contagiò la sua serenità. Perciò Cola Cola scosse perentoriamente la testa. «Fermiamoci qui per ora e smettila di tremare. Tutankamon mi ha detto che non s’è mai visto qualcuno che abbia sparato contro un minareto di Al Jaizir».
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Schede didattiche
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Nel lavorare all’apparato didattico, ho associato agli esercizi di comprensione del testo, momenti di riflessione sul problema dell’emigrazione e della conseguente tragedia dei barconi che affondano nel Mediterraneo. Uno sguardo attento e curioso alle terre di provenienza e alla loro cultura, un’attenzione particolare al tema della multiculturalità e dell’accoglienza ispirano il centro di questo racconto e pertanto mi è sembrato doveroso tenerne conto, attraverso l’innesto di brani di opere narrative che ci aiutano ad arricchire le nostre conoscenze sui luoghi d’origine dei migranti. Il momento dell’approfondimento vero e proprio è affidato ad articoli di giornale, poesie e testi di varia tipologia. L’apparato didattico comprende le seguenti sezioni: • Leggere per comprendere • Approfondimento • Parole in chiaro • Esercizi di scrittura
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UN’OASI MISTERIOSA E UN FEROCE CANE DEL DESERTO
La fame è tanta, la voglia di scappare dal deserto si fa impellente, ma qualcuno tiene con pugno di ferro la situazione.
LEGGERE PER COMPRENDERE I primi due personaggi che appaiono sulla scena sono la Luna e la gazza Cola Cola. In quale ambiente si svolge la storia? Quali sono le caratteristiche di Cola Cola? Fisiche Psicologiche Segni particolari In quali condizione vivono lui e la sua famiglia? La Luna è una donna solitaria e a volte triste. Quali elementi la personificano?
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Il cane Nureddin è in pratica il nuovo padrone dell’oasi: tiene con pugno di ferro la situazione, non ammette errori o distrazioni, non consente a nessuno la libertà di spostarsi, né tanto meno la fuga. In pratica le povere gazze sono prigioniere del nuovo muezzin.
APPROFONDIMENTO Il deserto Prima di addentrarci nella storia, conosciamo meglio il luogo in cui essa si svolge. Il deserto presenta delle condizioni naturali che non facilitano lo svilupparsi della vita in tutta la sua molteplice varietà. Tuttavia, nonostante le avversità climatiche e la penuria di fonti di sostentamento, ci sono alcuni esempi di vita. Anche piccole comunità umane riescono a sopravvivere in un ambiente così ostile. Il deserto però è anche uno degli ambienti terrestri di maggior fascino, perché incute timore e suscita stupore allo stesso tempo. La sua vastità, l’immenso silenzio, l’assenza di vita, il sole accecante, la mutevolezza delle sue forme, pur nell’apparente immobilità, ne fanno un luogo al contempo reale e simbolico. Intimorisce perché disorienta nella sua apparente monotonia. Affascina, perché consente un contatto diretto e personale con l’universo. E con se stessi. È probabilmente questo il motivo che nei secoli passati ha attirato molti uomini desiderosi di un rapporto diretto con dio. I Padri del deserto, Charles De Foucauld, per fare solo alcuni esempi, lo hanno scelto come luogo prediletto della loro meditazione. Anche la letteratura ne ha fatto un luogo ideale di ispirazione fantastica, come vedremo più avanti.
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FUGA AD AL JAIZIR
Il cane Nureddin ostacola la fuga di Cola Cola e delle altre gazze. Sospetta la presenza di volatili nell’accampamento e promette di fare una strage.
LEGGERE PER COMPRENDERE In che modo il dromedario salva, ancora una volta, i pennuti?
Passato il pericolo Nureddin, Cola Cola e Sharabun abbandonano la carovana dei cammellieri per dirigersi dove?
Da che cosa capiranno di essere giunti nella cittĂ indicata da Tutankamon?
Tutankamon fa in tempo a gridargli dietro qualcosa? Che cosa?
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Qual è la colpa delle gazze, secondo il muezzin?
Ancora una volta la Luna offre conforto alla gazza. In che modo?
PAROLE IN CHIARO Ascheri
Sghembo
Effendi
Perentoriamente
APPROFONDIMENTO Il primo impatto con il mondo nuovo è violento. Le gazze rischiano la vita perché, come dice il muezzin, hanno trasgredito alla regola secondo la quale ognuno deve rimanere nella propria casa, nel proprio ambiente. Ma queste regole chi le ha scritte? Come è possibile rimanere fermi quando i bisogni primari come il mangiare e il bere non possono essere soddi-
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sfatti? Rimanere nel proprio ambiente avrebbe voluto dire la morte delle gazze. LE MIGRAZIONI La storia millenaria dell’umanità è costellata da continue migrazioni da un posto all’altro della terra e il motivo fondamentale degli spostamenti è stata la ricerca di più sicure fonti si sostentamento. Affronta il tema delle migrazioni di popoli avvenute nella storia, scegliendo qualche esempio che ritieni più interessanti tra quelli che ti propongo: 99 IL cammino degli Ebrei verso la Terra promessa. 99 Le invasioni barbariche in Europa. 99 Le trasmigrazioni dei popoli asiatici attraverso lo stretto di Bering 99 La migrazione italiana in Europa e in America Ribellarsi alla propria condizione di miseria è un diritto. Migrare vuol dire affrontare l’ignoto per cercare di sopravvivere, ma anche aprire le porte al possibile. Sharabun non è capace di affrontare questa grande impresa. Vuole tornare indietro, alla sicurezza del proprio ambiente, anche se questo potrebbe voler dire la morte. Cola Cola ha invece il coraggio dettato da una grande motivazione.
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STORIA DI OTELLO E DI DESDEMONA
Le due gazze sono ormai braccate dalla furia razzista dei piccioni e degli altri uccelli. Tuttavia Cola Cola trova il coraggio di uscire di notte e di attraversare la città deserta alla ricerca di cibo o forse di altro…
LEGGERE PER COMPRENDERE Ancora una volta la Luna è la confidente di Cola Cola. Che cosa gli dice questa volta?
Nel silenzio della notte la gazza assiste incredulo, a scene mai viste prima. Che cosa fa nascere il suo stupore?
L’urgenza di Cola Cola è però quella di rivedere Desdemona. Giunto sotto il portico, di nascosto assiste al melodramma nel quale Desdemona esprime tutta la sua tristezza. Quali pensieri desta il canto nel cuore della gazza?
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Cola Cola si commuove fortemente: la storia lo trascina in un turbinio di sentimenti. Vorrebbe addirittura piombare sul palco per dare una lezione a Jago il quale si era comportato molto male. Quale azione malvagia aveva compiuto? Ma un altro colpo di scena, alla fine della rappresentazione, fa dire a Cola Cola che questo è proprio uno strano paese. Di che cosa si tratta?
PAROLE IN CHIARO Ghetto
Guardingo
Zizzania
Macchinazione
Ordire
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Per capire La storia di Desdemona e Cola Cola ricalca la nota vicenda di Otello e Desdemona messa in scena dal grande drammaturgo inglese W. Shakespeare nell’omonima tragedia. Te ne offro una sintesi, perché sia più chiara la trama del racconto.
Otello La storia di Otello può essere un esempio di integrazione ante litteram di due civiltà che si odiano e si combattono aspramente. Otello, detto il Moro, benché di origine musulmana, guida l’esercito di Venezia contro i Turchi nell’isola di Cipro. Ha sposato in gran segreto Desdemona che lo seguirà nell’isola. Il suo luogotenente fidatissimo è Cassio, mentre Iago, il suo alfiere, è geloso della posizione prestigiosa di Cassio. Per questo intesse una trama losca che condurrà alla tragedia. Iago fa in modo che un fazzoletto di Desdemona arrivi nelle mani di Cassio e così riesce a convincere Otello del tradimento di Desdemona. Otello, accecato dalla gelosia, uccide la moglie. Emilia, la moglie di Iago, svela il tranello ordito dal marito e quindi il falso tradimento di Desdemona. Otello, vinto dal rimorso, si toglie la vita.
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La favola di Raffaele Nigro è un racconto di frontiera. Con i mezzi narrativi propri del genere fantastico, lo scrittore affronta il tema scottante e attualissimo dei rapporti tra civiltà diverse in rotta di collisione per motivi economici e culturali e che ergono frontiere fisiche e psicologiche via via più alte e invalicabili. Su questi temi si dipana la vicenda della gazza del deserto Cola Cola e della colomba veneziana Desdemona, due mondi lontanissimi che tuttavia si attraggono e si completano in forza dell’amore, segno augurale della futura umanità. Seguendo Cola Cola nel suo viaggio della speranza, impariamo a conoscere l’urgenza del bisogno, l’anelito alla libertà e lo slancio verso l’utopia di un mondo migliore. Conosciamo anche la delusione e l’amarezza che l’Isola tanto agognata produce nel pellegrino, il quale impara presto che il mondo non accoglie, ma respinge brutalmente tutti coloro che appaiono diversi e perciò pericolosi. Cola Cola è dunque figura ed emblema di tutti coloro che oggi cercano una nuova terra e spesso trovano egoismo e indifferenza.
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Desdemona e Cola Cola Storia di una gazza affamata, di una colomba infelice e di una luna che voleva un figlio
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