Estratto - Il diario di Sulpicia - Cosmo Iannone Editore

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prima cordonatura obbligata sul margine del disegno

Guarascio  il diario di sulpicia

Il diario di Sulpicia è la ricostruzione romanzata della vita di una poetessa romana vissuta al tempo di Augusto e ci racconta una ragazza curiosa, intelligente, per niente disposta ad accettare le regole e i divieti che il suo mondo le impone e che, anzi, con caparbia risolutezza, porta avanti, tra mille difficoltà, le sue esigenze di fanciulla che sta diventando donna e la febbrile passione per la scrittura poetica. A quel tempo a una donna non era concesso dedicarsi alla letteratura, altri erano i compiti che le spettavano per dovere: la casa, i figli, il marito. Ma vivere di luce riflessa non si addice a Sulpicia che tra mille dubbi e tentennamenti continua a scrivere, appassionatamente, rubando tecniche, ascoltando consigli, imparando a scrivere con grazia e potenza espressiva. La finzione letteraria osserva in controluce la fitta trama dei pensieri più nascosti della protagonista, ne rivela i segreti, le illusioni e le delusioni che fatalmente accompagnano ogni percorso di crescita affettiva e psicologica. L’adolescenza con i suoi stupori e le sue paure è il tema che attraversa l’intera narrazione, mostrandoci come a distanza di millenni l’animo umano ubbidisca a leggi immutabili. Prendiamo atto della insensibilità degli altri verso questo passaggio importante della vita, avvertiamo il bisogno di Sulpicia di confidarsi, di cercare complicità che rassicurano, assaporiamo i sogni di un’età che sembra infinita, comprendiamo il bisogno di libertà e di autonomia per crescere e costruire il proprio futuro. Tutti aspetti che fanno di Sulpicia una ragazza moderna.

Carol Guarascio

Il diario di Sulpicia

Traiettorie narrative Interiori disegni Occhio alla storia www.cosmoiannone.it

iannone

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Euro 9,50

Cosmo Iannone Editore


Carol Guarascio

il diario di sulpicia

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Cosmo Iannone Editore

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Foglio 1 Scheda p. 107

Il mio nome è Sulpicia, sono figlia di Servio Sulpicio Rufo, l’oratore, figlio di Servio Sulpicio Rufo, il giurista. Mia madre è una Valeria, sorella di Marco Valerio Messalla Corvino. Sono nata nello stesso anno in cui Augusto ha sposato in terze nozze Livia Drusilla, donna straordinaria, che può vantarsi di essere ancora oggi la moglie dell’imperatore. Ero molto piccola quando mio padre è morto. Ricordo poco di lui. Il suo odore, per esempio, è ancora vivo sulle mie narici. Leggeva sempre, tutto il giorno e non potevo mai disturbarlo quando era nella sua biblioteca. Licia, la mia ancella, mi ha confidato che mio padre scriveva versi d’amore molto appassionati ma, sciogliendosi in un sorrisetto malizioso, mi ha fatto capire che neanche una poesia era dedicata a mia madre. Dei suoi scritti non ha lasciato niente. Neanche un foglio. E questo mi rende triste. Il non sapere cosa scrivesse mio padre. Non conoscere che forma avesse la sua poesia. Mi piace la poesia. Con mia madre non parlo molto, è una donna difficile, chiusa, con tanti pregiudizi. I suoi capelli sono castano chiaro tipico della nostra famiglia. Porta acconciature un po’ classiche e stole elegantissime, rosse o turchesi. Lei ha amato moltissimo mio padre. Non che avessi dei dubbi


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a riguardo. Molti uomini hanno chiesto la sua mano a Messalla dopo la morte di papà, ma lei si è sempre rifiutata di accettare qualsiasi proposta e mio zio, che è un uomo buono, non ha ostacolato le sue scelte. Mia madre è diversa dalle altre donne romane. Sento cose incredibili sulle donne romane! Soprattutto quando vado alle terme. Lei va fiera del suo attaccamento alla tradizione, al mos maiorum1. Dice che tutta la gioia che le spettava l’ha già avuta. Per fortuna, c’è mio zio Messalla! Alla morte di papà è diventato il nostro tutore e si prende cura di noi e della mia educazione. È bello mio zio! Alto, ha spalle grandi, la sua figura è imponente, quando indossa la toga è molto elegante. Ha un tonsor2 privato che lo rade ogni giorno. È molto importante a Roma, ad Azio ha combattuto al fianco d’Augusto. Ha condotto un’importante spedizione in Aquitania dove c’era stata una rivolta delle popolazioni locali. Si dice che abbia sconfitto i ribelli con grande facilità e astuzia. Ancora oggi tutti parlano di lui come di un eroe. Io stessa — avevo undici anni — ero presente quando celebrò il trionfo solenne in città. Quel giorno lo vidi procedere sulla quadriga d’avorio, accompagnato da cavalli bianchi e da una schiera di bei soldati, con indosso la toga pretesta, in mano lo scettro e in testa una corona d’alloro. 1 2

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Costume degli antenati. Barbiere.


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Era davvero simile ad un dio! Alla fine della processione venne sacrificato perfino un enorme toro. Fu una giornata intensa anche per me che finalmente facevo la mia prima uscita pubblica, gustandomi il solletico delle prime occhiate indiscrete della gente di Roma. In particolare quelle dei giovani romani. Era settembre, faceva molto caldo. Mio zio Messalla ha molti amici che scrivono versi. Anch’io, da poco, ho iniziato a intrattenermi con i poeti che vengono a casa perché a volte mi lascia partecipare alle riunioni. Riesco spesso a rubare loro qualche dritta. Chissà, anch’io un giorno riuscirò a scrivere qualcosa di buono, come fanno loro, Ovidio, Ligdamo e Tibullo. Scrivo già versi ogni tanto, ma non ho il coraggio di farli leggere a nessuno. Mi sembrano immaturi, puerili, morirei di vergogna se qualcuno ne leggesse anche solo qualche parola. Io sono una donna, sicuramente riderebbero di me. Eppure, il timore più grande che provo è di trovarmi davanti ad un foglio bianco. Il suo candore mi mette in imbarazzo. Nonostante ciò però, sento un fortissimo anelito al canto che, a volte, fa quasi male. Ricordo quand’ero bambina e aspettavo, desideravo d’essere donna e impazientemente registravo ogni cambiamento del mio corpo come un passo verso la mia esplicazione, la mia manifestazione al mondo. Come se fino ad allora fossi stata intrappolata in un informe bozzolo. Così ora accade al mio spirito. C’è stato un giorno in cui ho sentito il mio cuore palpitare

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per la prima volta, come se fino a quel momento non avessi avuto niente nel petto e solo allora mi ci fosse cresciuto dentro qualcosa, un’escrescenza di carne viva. Anche la poesia mi è germogliata dentro, seguendo lo stesso processo. Essere poeti è qualcosa di complicato. In un certo senso, scrivere versi è costruire qualcosa. È come incastonare una pietra preziosa in un anello d’oro. Il poeta è un fabbro, uno scalpellino. Per comporre, bisogna battere sulle parole, inciderle, scavarle per levare tutto ciò che non serve. E poi ricostruirvi intorno una struttura, una musica, leggera come una piuma, ma solida come un ponte romano. Ecco, questo fanno i poeti. Ma io sono una donna e certe cose posso solo sognarle in segreto. A dirla tutta, non c’è niente che mi riesca meglio di sognare in segreto! E oggi sogno che un giorno verrà una nuova Saffo a dire al mondo che anche noi donne siamo brave. E allora, quel giorno, dovranno inventare una parola nuova per definire le donne che fanno versi. E dovranno chiamarle poetesse senza usare una parola greca. Tibullo, nel gruppo dei poeti, mi è più caro di tutti. La sua pelle è chiara e i capelli sono quasi dorati, ha una voce tenue, delicata, femminile. Un vero soldato, comunque. Anche lui era presente il giorno del trionfo. «Ciao ragazzina» mi disse in quell’occasione memorabile, «che ci fai tu in mezzo a tanti cavalieri?» «Io non sono una ragazzina come le altre, io sono la nipote dell’eroe Messalla» risposi tutta impettita mentre arrossivo alla bellezza di quell’uomo sconosciuto.

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«Onorato di conoscerti, Sulpicia. Io mi chiamo Albio Tibullo e sono un caro amico di Messalla; eravamo insieme in Aquitania e presto leggerai versi solenni prodotti dalle mie mani in memoria della nostra spedizione.» Mi mostrò i palmi aperti e le dita affusolate e dritte come calami. «Come fai a conoscere il mio nome?» dissi, cercando di dissimulare la scoperta di quanto fosse intenso il suo sguardo e perfetto il suo volto. «Il tuo caro zio mi parlò di te quando attraversammo i Pirenei, mi disse che aveva una nipote, figlia di una sua sorella, che stava cominciando a sbocciare lentamente ma inesorabilmente alla vita, e che possedeva una bellezza non comune. Tuo zio non si sbagliava affatto. Le stelle mi dicono che fra qualche anno sarai una donna splendida.» Io mi aggrappai alla mia stola cercando di non mostrare a quell’uomo il rossore opprimente, e scappai subito, dopo un saluto e un grazie detti in fretta, riparandomi tra le mie ancelle. Fu così che facemmo conoscenza, Tibullo e io, e quel giorno e la notte che venne e il giorno dopo ancora, le sue parole riecheggiavano nella mia mente con l’insistenza di un martello. «Allora sono bella?» chiesi a Licia, a cui avevo raccontato del mio incontro. «Quell’uomo, Tibullo, mi ha detto di trovarmi bella, ma è la verità?» «Certo, mia cara, sei davvero una bella ragazza» mi disse con sincerità Licia, porgendomi uno specchio come a darmi prova delle sue parole. Allora non sono ancora una donna bella.

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E mi guardai nello specchio d’argento intarsiato che era appartenuto alla madre di mio padre. Nessuno fino ad allora mi aveva parlato del mio aspetto, neanche mia madre, e neppure Messalla che invece mi ripeteva fino alla nausea che se fossi stata un uomo di sicuro sarei diventata un grande filosofo o un eccellente oratore, visti i miei grandi risultati con gli innumerevoli precettori con cui mi ha fatto e mi fa ancora studiare. Ma mai un accenno a me, al mio viso, ai miei capelli, al colore e alla limpidezza della mia pelle. Perché gli uomini a Roma sono così parsimoniosi di parole quando si tratta delle donne? E invece per le guerre e le battaglie sono capaci di scrivere rotoli e rotoli di papiro! Il mondo degli uomini per me rimarrà sempre sconosciuto, non li capirò mai; mi sembra crudelmente incolmabile la distanza che esiste tra le nostre realtà. Ah, Roma e la sua austerità vestita di ipocrisia, un giorno mi saranno insopportabili, lo so.

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Foglio 18

E prendo atto. Prendo atto del fatto che dovunque io guardi, quello che vedo è sempre vita. C’è sempre una porzione di vita ad aspettarmi, una parte di vita che è mia, e che in fondo mi spetta. Tutto ciò che devo fare è trovare il coraggio di muovere il primo passo e dirigerlo verso la direzione che ho scelto. È semplice. Uno sforzo fisico perfettamente sincronizzato con una decisione. Tutto qui. E Licia tutto ciò non può più farlo. Mi fa male la mano, non riesco più a scrivere. Vado a letto, sono ancora un po’ stanca. Licia è seduta sull’erba, sotto una grande palma. Ha la veste larga e i piedi sono nudi. I sandali sono poco più lontani. Mi sembra che sia il giardino della casa di Mecenate. Sì, è proprio quello. Mi avvicino, intravedo una conchiglia nelle sue mani, è una grossa conchiglia di mare. Lei sorride. È tranquilla. All’improvviso si fa scuro il suo volto, lo sguardo diventa cupo e perso come quello d’una baccante folle in preda agli spasmi provocati dal dio. Comincia un lamento inascoltabile: «Misero chi viene divorato dall’amore, misero colui il quale cade nei tranelli d’amore, misera me che ho riservato la mia saggezza ai consigli altrui.» Nel frattempo, nella sua tunica appare una macchia di sangue che si allarga sempre di più. Licia intanto è tornata a sorridere, guarda in alto, verso di me, non si accorge di essere immersa


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ormai in una pozza di sangue. È suo, il sangue. Io inizio a chiamare il suo nome, «Licia, Licia, che ti succede?», ma lei non mi sente, probabilmente non mi sta neanche vedendo. Perché Licia è a casa di Mecenate? Che significa? Appena provo a tenderle la mano per accarezzarla, improvvisamente si apre una voragine nel terreno e Licia ne viene inghiottita. Sul prato ricresce l’erba immediatamente, sembra tutto perfetto, sembra che non si sia mai verificato nessun rapimento. Poi, dal centro esatto della terra che ha divorato Licia comincia a spuntare qualcosa: è un germoglio, una piccola pianta, ora è un bocciolo, immediatamente diventa un giglio. Bianco, ma il suo cuore è rosso. «Non andare, non andare, Sulpicia, stanotte devi rimanere a casa, non lasciare il tuo letto, Cerinto non ti ama. Non andare, non andare, non andare.» Sentivo la voce fuoriuscire dal fiore. Arriva d’un tratto Mecenate urlando: «Chi osa entrare in casa mia?» Mi allarmo, mi sento in pericolo, ma anche in difetto, per essere entrata in casa d’estranei senza essere invitata e decido di scappare. Mi sveglio. Che vita devo scegliere allora? I sogni non fanno altro che confondermi. Devo ascoltare la voce del giglio, la voce del demone che mi ha consigliato di non andare da Cerinto. Mi sembrava piuttosto un consiglio di Licia. Probabilmente, se non andrò all’appuntamento, Cerinto si allarmerà e temerà che io non lo ami più e allora mi verrà a cercare, chiederà a Tibullo di aiutarlo ad incontrarmi. Sì, devo fare così. Devo fingere di non amarlo. Così riuscirò a scoprire final-

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mente che cosa prova per me. Non andrò. Non andrò nella bottega del fabbro a farmi disonorare. Non andrò.

Al lume È singolare che sia stata proprio una donna, Diotima, a fare il discorso conclusivo nel dialogo del Simposio. Platone ha dovuto riportare le sapienti parole di una sacerdotessa per dare una spiegazione esaustiva della forza del demone. Anch’io credo che l’amore sia un demone, così come è un demone chi mi suggerisce i sogni; sono entrambi della stessa natura. L’amore vive a metà tra il mondo degli dei e quello degli uomini, e in questo modo permette ai due mondi di comunicare. È l’anello mancante. Solo l’amore può compiere il prodigio. Così mi hanno insegnato. È soltanto adesso che sento i graffi dell’amore su di me, come quella sera sentivo il muro sulla mia schiena. Soltanto ora comprendo tutto quello che sembrava una semplice serie di nozioni inutili e sterili da memorizzare, quando prendevo lezioni di filosofia dal precettore. Solo ora capisco che cosa voleva dire il maestro. L’amore è una tensione inappagabile verso la conquista del bene. L’amore è un cammino di conoscenza. È dunque sto imparando molte cose. Nonostante tutto. Cerinto è solamente la luce che vedo in fondo alla via. L’importante è che io cammini. E un giorno saprò se mi sta venendo incontro o se è seduto ad aspettare. Dimmi, Cerinto, che fai? Cammini o sei fermo?

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Schede didattiche


Schede didattiche di comprensione, analisi, approfondimento. • •

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Traiettorie narrative. Trama, eventi, intrecci, alla ricerca di un filo narrativo, percorsi, ricorsi, rimorsi, approdi. Interiori disegni. Trivelle e Scavi all’opera: indagini sulla natura profonda dei personaggi. Ciò che essi dicono e quel che nascondono, a volte oscuri i pensieri a volte opache le visioni che accompagnano i nostri personaggi nel loro andare. A volte claudicanti. Talvolta invece pieni di luce, attraversano sentieri e a distanza ravvicinata li riconosciamo: il loro destino è simile al nostro. Occhio alla storia. Eventi, personaggi, battaglie; ma anche storia della lingua, dei costumi, delle tradizioni e di tutto ciò che può aiutare a ricostruire il campo di battaglia dei nostri personaggi.


CAPITOLI 2-3

Sulpicia proprio non sopporta di onorare la tradizione, soprattutto quando questa impone credenze sciocche e contrarie alla dignità delle donne. Si oppone, ne parla con lo zio Messalla e con la sua ancella Licia, ma tutti sembrano essere sordi a qualunque cambiamento di mentalità. Solo il poeta Tibullo ha parole soavi che la inebriano, complice il giardino pieno di fiori della dimora di Messalla.

Traiettorie Narrative Cap. 2 La dimora di Messalla, sontuosa, piena di piante e fiori, consente a Sulpicia di intrattenersi con il grande poeta Tibullo che la inizia ai versi d’amore. Che cosa le racconta il poeta?…

Tibullo le racconta anche di una strana visione. Di che cosa si tratta?


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Cap. 3 PerchĂŠ Sulpicia decide di scrivere un diario?

Quale mito la indigna profondamente? PerchĂŠ?

Il suo giudizio sugli uomini rivela orgoglio e determinazione. Individua nel testo i passi significativi e riportali negli spazi vuoti

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Il giardino della dimora di Messalla è colmo di piante e fiori. In particolare il mirto e l’alloro hanno una rilevante importanza nel mondo antico. In quali occasioni venivano utilizzati?

La dimora di Messalla si trova in campagna. Per quale motivo viene costruita fuori dalle città?

Interiori Disegni Sulpicia, visioni di un’adolescente. Sulpicia si sente incompresa in un mondo nel quale prevale il punto di vista maschile. Protesta ma invano perché lei è molto più avanti del suo tempo. Non la comprende lo zio Messalla che pure lei ama e dal quale è amata; non la comprende Licia, la sua ancella, non la capisce la madre con la quale non ha un grande dialogo. Per tutto questo vuoto intorno, la ragazza decide di affidare a un diario le sue riflessioni. Intorno vi è un muro di gomma che rimanda indietro tutto ciò che Sulpicia pensa e avverte. Nessuno sembra essere in sintonia con lei. Così raccoglie i suoi pensieri dando aria e respiro alle sue fantasie.

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L’adolescenza: un cammino insieme Il poeta John Ciardi dice «Non c’è bisogno di soffrire per essere poeta. L’adolescenza è una sofferenza per tutti.» Naturalmente non è sempre così tragica. Tuttavia è vero che il passaggio all’età adulta comporta momenti di incomprensione, di solitudine e di sofferenza. Non è possibile evitarle. E forse non è neanche auspicabile. L’adolescenza è nascita a una nuova vita e come ogni nascere comporta cambiamenti dolorosi e al contempo pieni di promesse. Un viaggio così impegnativo non si può fare da soli, ha bisogno di un aiutante. Accompagnare il cammino di un’adolescente è possibile. La parola magica è empatia, la capacità cioè di condividere il punto di vista dell’altro, di mettersi nei panni degli altri. Un buon grado di empatia può spezzare l’isolamento, abbassare le difese, e portare alla condivisione. Ed è possibile anche nel rapporto con gli adulti. Misura il grado di empatia degli adulti di casa tua. papà Ascoltano le mie domande. Rispondono frettolosamente alle mie richieste Sono attenti al racconto delle mie vicissitudini Danno la giusta importanza al mio punto di vista Prendono sul serio le mie preoccupazioni.

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mamma

nonno/a

zio

fratello sorella


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Completa la tabella sul tuo quaderno. Dai dati inseriti nella tabella, chi risulta essere più empatico in casa tua? [Da 1 a 5, dove 1 indica poco, 2 abbastanza, 3 sufficiente, 4 molto, 5 indica moltissimo. Papà Mamma Nonno/a Zio/a Fratelli Conclusioni

Percorsi di scrittura poetica Scrivere poesie serve a esprimere i propri sentimenti. Non importa che abbiano una struttura poetica consolidata. A volte le rime ci riescono a volte no. Pensa che alcuni poeti di chiara fama hanno deliberatamente scelto di scrivere poesie scardinando tutte le regole della scrittura poetica. Quindi non preoccuparti di volere assomigliare a Giacomo Leopardi: dal punto di vista dei sentimenti, delle sensazioni e del bisogno di comunicare non sei secondo a nessuno. 1° Percorso Proviamo con una lista di nomi. Tu scegli dalla lista uno o più sostantivi, quelli che maggiormente riflettono i tuoi stati d’animo.

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Sulla base delle suggestioni che essi ti offrono compi le operazioni che ti saranno indicate. Lista di sostantivi 99 Timore 99 Bellezza 99 Disagio 99 Libertà 99 Immaginazione 99 Ribellione 99 Sensibilità 99 Amicizia 99 Sogni 99 Fragilità Scrivi un testo in prosa di non più di cinque righe Esempio: scelgo le parole Immaginazione e Timore. Testo in prosa: Io ho molta immaginazione. A volte immagino di viaggiare lungo sentieri e pendii di montagne perché amo la sensazione di toccare il cielo e le nuvole. Ma poi temo, non oso, mi ritiro dentro il mio guscio e lì rimango a rimuginare. Non mi manca certo l’immaginazione ma penso ripenso e strapenso, alla fine temo e resto fermo come una barca nel porto che non salpa mai… Il testo in prosa trasformalo in testo poetico, semplicemente andando a capo quando tu lo deciderai. Le parole della poesia saranno quasi esattamente quelle del testo in prosa, solo disposte diversamente sul foglio. [Qualche piccola modifica potrebbe essere necessaria] Esempio: scelgo il titolo Io ho molta immaginazione A volte immagino di viaggiare Lungo sentieri e pendii di montagna Amo la sensazione di toccare Il cielo, le nuvole

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Ma temo Non oso Mi ritiro nel guscio E rimango Lì A rimuginare Non mi manca certo l’immaginazione Ma penso, ripenso strapenso Alla fine temo E resto fermo Come una barca Nel porto Che non salpa. Adesso tocca a te. [Lavora sul quaderno] 2° Percorso di scrittura poetica Questo secondo esercizio consiste nel costruire un Autoritratto in rima. Puoi utilizzare la rima baciata o la rima alternata. I versi devono disegnare un tuo autoritratto serio, buffo, scherzoso, triste, allegro a seconda dei tuoi stati d’animo. Io ti fornisco l’incipit, tu continua: Sappiate che esisto Io non demordo Io insisto…

OCCHIO ALLA STORIA La domus romana. La dimora di Messalla Corvino Le dimore dell’aristocrazia romana erano costruzioni complesse, sontuose, dotate di ogni comfort allora disponibile. Il lusso che le caratterizzava

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contrastava fortemente con le modeste condizioni della maggior parte della popolazione. La dimora di Messalla Corvino risponde ai canoni di bellezza allora in voga, ed espressione di una consolidata ricchezza. Di recente alcuni scavi archeologici hanno riportato alla luce alcuni settori della sua villa, sita nei pressi di Ciampino, come l’area termale e la piscina all’aperto con dentro frammenti di statue che raccontano alcuni miti delle Metamorfosi di Ovidio, di cui Messalla era mecenate. Questa è la piantina essenziale di una domus romana. [Internet] Insieme al docente di Italiano lavora sul lessico, cercando di tradurre in italiano i termini latini corrispondenti ai diversi locali della casa.

Latino: cubicula [Lavora sul quaderno]

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Italiano



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