Estratto - Le pere selvatiche - Cosmo Iannone Editore

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prima cordonatura obbligata sul margine del disegno

Maria Assunta Prezioso

Le pere selvatiche

www.cosmoiannone.it

Dentro la storia Lavoriamo sul testo

Prezioso Le pere selvatiche

Un diario, scritto in modo semplice e approssimativo, racchiude l’emblematica vicenda umana di Eustachio Di Santo, un giovane che, come tanti altri uomini del suo tempo, improvvisamente sottratto al sereno scorrere dell’esistenza quotidiana, viene catapultato nel terribile scenario della Seconda Guerra Mondiale. Conservato per tanti anni in un cassetto, un giorno il diario arriva, insieme all’ormai nonno Eustachio, come viva testimonianza sollecitata dall’insegnante di Storia, nella classe di scuola media in cui il nipotino sta affrontando lo studio del periodo storico vissuto in prima persona dal nonno. Eustachio racconta, emozionandosi con i ricordi, e legge stralci dal suo diario: la Campagna di Albania, il campo di concentramento in Russia, gli incontri, la solitudine, il dolore della guerra, di ogni guerra. La sua lettura commuove e diventa spunto per tante riflessioni importanti. Alla fine, prima di congedarsi, timidamente Eustachio regala il suo quaderno all’insegnante. Nelle sue mani esperte di narratrice quel “tesoro” diventerà Le pere selvatiche.

Caffè-Book Copywriter

iannone

e ich 6 at 9lv 10 s e 6-0 re 51 ONE p e 8L e 78 - 8 I A N N 9

Euro 8,00

Cosmo Iannone Editore


Nel rispetto della verità storica

Nell’anno scolastico 2001-2002 insegnavo Storia in una classe terza della Scuola Media di Sesto Campano. Nel mese di aprile stavo approfondendo con i miei alunni gli eventi relativi alla Seconda Guerra Mondiale e insieme stavamo analizzando documenti storico-letterari relativi al Conflitto. Un alunno, Angelo, mi parlò del suo bisnonno il quale gli aveva raccontato la sua esperienza vissuta come prigioniero nei campi di concentramento russi; pensai immediatamente che avrei potuto invitarlo in classe per dare testimonianza della sua storia. Così feci. Un mattino sentimmo bussare alla porta dell’aula, aprii e mi trovai davanti zi’ Stazio. Fui immediatamente colpita dai suoi occhi, piccolissimi, di un azzurro intenso, profondi e penetranti. Egli indossava un cappello troppo grande per il suo piccolo capo e aveva sotto il braccio un quaderno, che stringeva forte quasi temesse gli venisse sottratto. Entrò lentamente, quasi con reverenza; io lo invitai a sedere ma egli rifiutò con gentilezza. Tolse dal capo il cappello e lo poggiò sulla cattedra, poi poggiò le mani rugose sul cappello e… cominciò a raccontare. Per due ore egli parlò e per due ore i miei alunni ed io fummo rapiti dalla sua narrazione. Quando ebbe finito, con grande dolcezza, quasi con vergogna, mi consegnò il suo “tesoro”, sul quale aveva appuntato gli eventi salienti della sua piccola-grande storia.


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Egli mi aveva affidato i suoi ricordi e, sicuramente, la parte più importante della sua vita. Anch’io, come zi’ Stazio, strinsi forte a me quel quaderno, emozionata da quel gesto e conscia dal significato che quella consegna aveva per entrambi. Non ci furono altre parole tra noi, ma fu allora che io decisi che avrei reso eterna quella testimonianza. In sua memoria io ho scritto, nella speranza che le mie parole gli rendano merito e siano di monito per le giovani generazioni, così come era suo desiderio. Nel rispetto della verità storica e del soldato Eustachio Di Santo, ho ricostruito il percorso storico-geografico attinente ai fatti narrati; è stato un lavoro molto impegnativo, perché avevo a disposizione pochi elementi e perché molte citazioni presenti nel manoscritto erano praticamente incomprensibili e non trovavano riscontro nella realtà che io andavo analizzando. Su questa base di verità storica, ho liberamente tessuto la storia di un uomo, di un soldato, di un prigioniero. Gli ho dato pensieri, sensazioni, emozioni, fragilità, ricordi; ho costruito per lui situazioni ed eventi che evidenziassero la personalità di un eroe positivo, protagonista di una epopea tragica vissuta con serena rassegnazione, con fede, con umiltà. Sono diventata io stessa l’io narrante, emotivamente partecipe di tutto ciò che ho narrato. Non ho enfatizzato l’orrore della sofferenza per evitare un tono narrativo che celebrasse il dolore. Il “mio” uomo-soldato ha compiuto una pacata rielaborazione della sua storia e, pur marcando la sua condanna per la guerra, in fondo ha perdonato la Storia. Perché Le pere selvatiche? Nel libro c’è una pagina nella quale si racconta che il protago-


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nista, durante la Campagna di Albania, sopravvisse mangiando delle pere selvatiche; non è questa la motivazione del titolo, o almeno è solo un riferimento tecnico. Dare il titolo ad un libro è un po’ come dare il nome ad un figlio: si ha bisogno di un suono che evochi emozioni, che soddisfi l’esigenza profonda di ascoltarlo, che dia anima alla parola, la materializzi e la renda unica. Le pere selvatiche è un titolo scelto per istinto, “a pelle” e ho sentito subito che era giusto, buono e bello che fosse così. Scegliere il nome del proprio libro-figlio, è una dolce libertà concessa all’autore che scrive con amore e con passione, per se stesso e per chi gli fa dono del suo ascolto.


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Stralcio dal diario manoscritto di Eustachio Di Santo



Capitolo I Scheda p. 95

Era il due giugno del 1940. Avevo venticinque anni e una moglie. Non chiedevo altro alla vita. Lavoravo presso un cantiere dell’Ente di Bonifica, nella pianura di Sesto Campano, il paese nel quale ero nato, nel quale avevo vissuto la mia infanzia e la mia giovinezza, nel quale ero diventato “grande”, nel quale mi ero innamorato ed avevo sposato, da soli tre mesi, la mia amata Assunta. Quel giorno ero particolarmente sereno. Mentre svolgevo il mio lavoro lungo gli argini del torrente San Bartolomeo, mi giungevano all’orecchio i canti delle donne che lavoravano nei campi dove il grano era già alto e maturo, le risate allegre dei bambini, i rintocchi dell’orologio della chiesa del paese. Riuscivo a scorgere le greggi che pascolavano nella radura adiacente l’Ariozza e nella mente mi raffiguravo i volti dei pastori, che conoscevo uno a uno. Sapevo che al tramonto avrebbero riportato gli animali nei recinti e nelle stalle e li avrebbero munti, che a sera sarebbero tornati nelle case del paese e avrebbero portato il latte, che poi i loro figli distribuivano nelle case del paese e che tutti noi bevevamo al mattino con pezzi di pane raffermo, che diventava morbido e gustoso. Ero cresciuto con quel latte e mai avrei rinunciato a quel sapore dolciastro e a quell’odore forte che profumava le cucine al mattino. Riuscivo a scorgere anche il tetto della mia casa ed il pensiero di mia moglie che si aggirava per le camere semplici, modeste


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ma tenute con cura amorosa, era per me dolce e rassicurante. Sapevo che a quell’ora ella era nella cucina, che io avevo rivestito con grezzi mattoni azzurri quando avevo preparato la “nostra casa”; sapevo che stava cucinando per me, con amore e dedizione e che, di tanto in tanto, si portava sull’uscio per controllare se stessi arrivando. Eravamo sposati da soli tre mesi e ogni giorno assaporavamo la bellezza di condividere tutto, anche i piccoli gesti, le piccole cose, le immancabili difficoltà, le speranze ed i progetti di una lunga vita insieme. Ero giovane e innamorato e non mi sfiorava nemmeno il pensiero che qualcosa potesse turbare quell’idillio, che “la tragedia” potesse incombere sulla mia vita e che addirittura essa fosse lì, a due passi da me, che mi stesse fagocitando con la sua bocca immensa di mostro terrificante. E così, sereno, disarmato, io volgevo le spalle a quel destino che di lì a poco mi avrebbe pugnalato. Il sole era tramontato da poco dietro Monte San Domenico; il cielo aveva ancora i bagliori rossastri degli ultimi raggi che davano al mio paese un aspetto quasi fiabesco. Il mio paese: una manciata di case modeste, invecchiate dal tempo e dalla povertà, timide macchie di colore nel fitto del bosco di querce, di castagni selvatici, di siliquastri, gli “alberi di giuda” che in primavera tingono di rosa la collina; case che si rincorrono nei piccoli vicoli, che si tengono per mano; case dalle piccole finestre senza imposte, alle quali sono appese trecce di peperoncino rosso e di aglio ingiallito dal sole; case di una sola stanza. Case con gli usci di pietra, sui quali si ammucchiano vecchi secchi di latta che ospitano piante di basilico, di gerani e garofani selvatici. Case vere, culla di chi vive insieme e insieme si racconta la vita di ogni giorno, dei giorni tristi, duri, bui come il cielo senza stelle e dei giorni chiari, luminosi, belli come quelli


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che io stavo vivendo con la mia donna. Mi avviai verso casa, pregustando la dolcezza del riposo, dell’abbraccio, dell’amore. Al mattino avevo promesso a mia moglie che l’avrei accompagnata a fare visita ai parenti e, percorrendo l’ultimo tratto del sentiero che conduceva a casa, pensavo al pomeriggio allegro che avrei trascorso con lei, che avrebbe indossato il vestito della festa e avrebbe pettinato con particolare cura i suoi bellissimi capelli. Da lontano vidi mia moglie sulla soglia di casa, che mi aspettava; con un gesto della mano ella aveva sistemato la sua lunga treccia nera e io pensai con orgoglio che era davvero bella, nei suoi splendidi venti anni che aveva regalato a me con la promessa di un amore eterno. Affrettai il passo con il cuore colmo di gioia e non notai il turbamento sul suo volto ma, quando fui più vicino, qualcosa mi colpì, come un presentimento funesto, come un’esplosione improvvisa. Si aprì un baratro nella mia mente, gli occhi sprofondarono nel buio e avvertii il gelo del terrore, del panico. Fu allora che mi ricordai della Guerra e capii: essa mi aveva trovato, mi voleva, mi rapiva come un rapace rapisce una pecora indifesa per portarla lì dove nessun pastore, nemmeno il più ardito e amorevole, può raggiungerla e salvarla. Mia moglie stringeva fra le mani tremanti la cartolina di precetto. Ero stato destinato al 48° Reggimento di fanteria di Bari. In un attimo la vita si ruppe, andò in frantumi: brandelli di felicità finirono “maciullati” fra le parole di quella condanna. Sparirono i colori, tacquero le voci, si dilatarono i volti cari fino a scomparire: avevo creato il vuoto nella mia mente e nella mia anima, le avevo ibernate, nella speranza che un giorno avrei potuto sollevare la pietra tombale e tornare alla vita.


Capitolo II Scheda p. 97

Il giorno successivo partii. L’addio fu straziante. Altri giovani della mia “leva” erano stati richiamati e anch’essi partirono con me; insieme attraversammo il paese, accompagnati dai nostri familiari e dalle parole beneauguranti di tutta la comunità. Giunti nei pressi del cimitero, ci fu l’ultimo saluto, l’ultimo abbraccio, le ultime lacrime; poi, chini sul nostro dolore, ci allontanammo senza più volgerci indietro. Le donne, madri già stanche e mogli nel pieno della loro giovinezza, apparecchiarono i loro altari: sui cassettoni di legno presero posto fotografie, santini, rosari, bicchieri di latta con fiori di campo. Più volte al giorno le donne si segnavano davanti a quelle icone, chiedendo pietà per i loro cari e per sé stesse. Gli uomini rimasti presero sulle loro spalle anche il lavoro e le incombenze di quelli che erano partiti e intanto pensavano che forse sarebbe toccato anche a loro andare a “servire la patria”. I bambini notavano la tristezza sul volto degli adulti e, pur non comprendendo bene cosa stesse succedendo, avevano abbassato le loro voci, avevano diradato le loro scorrerie nei campi e nei boschi, giocavano con minore allegria nelle aie o nella piazza del paese. Nelle case, a sera, quando la famiglia si riuniva per la cena, tutti guardavano silenziosi le seggiole vuote e il dolore dell’assenza aveva tolto la voglia di una battuta, di una risata fatta fra un bicchiere e l’altro. Nelle funzioni della chiesa recitate dal vecchio parroco, a sera


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o al mattino presto, i banchi si empivano di donne col fazzoletto in testa, di vecchi con la coppola fra le mani, di bambini con i corti pantaloncini di fustagno tenuti su da una sola bretella. Tutti biascicavano incomprensibili giaculatorie: pregavano per i loro soldati. Sul paese era sceso il lutto.


Schede didattiche


Introduzione

Questa è la storia di un piccolo eroe sconosciuto, trascinato in eventi storici molto più grandi di lui. La Storia, quella delle grandi battaglie, è filtrata dallo sguardo innocente di un giovane che improvvisamente si vede sottratto alla sua quotidiana esistenza per essere catapultato in un mondo infernale, nel quale le regole della vita normale sono stravolte, dove, per dirla con le sue parole sembra che: «…la mano di un gigante mi aveva afferrato con violenza e mi aveva stritolato». Un mondo nel quale la violenza si scatena in modo arbitrario, tanto che la sensazione è quella di essere diventati birilli di un gioco diabolico dove si colpisce a caso e solo per l’efferata voglia di uccidere. Ci troviamo di fronte a una esperienza di vita che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone. Perciò questa testimonianza così carica di patos ma anche di riflessioni profonde sulla vita, sulla morte, sul perché del Male, sul Nulla che pervade l’umanità, si presta ad essere utilizzata per approfondimenti e attualizzazioni che ci aiutino a comprendere meglio i problemi di oggi. Gli esercizi di comprensione e di approfondimento sono divisi in quattro sezioni: 99 Dentro la storia: sono questionari che hanno come obiettivo la verifica della comprensione dei passaggi salienti delle vicende narrate. 99 Lavoriamo sul testo: si tratta di esercizi che potenziano la capacità di orientarsi sul testo, selezionando informazioni. 99 Book Caffè: è una rubrica in cui si propongono


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approfondimenti, attualizzazioni, discussioni attraverso confronti con altri testi narrativi o giornalistici, oppure con opere cinematografiche e musicali. 99 Copywriter: in questa sezione si propongono esercizi di scrittura attraverso i quali l’allievo può esprimere conoscenze, pareri, impressioni relative al testo letto oppure alle problematiche proposte.


Capitoli IV-V

DENTRO LA STORIA Il fronte della guerra si sposta in Grecia. A marce forzate i soldati procedono in condizioni atmosferiche proibitive verso il nuovo fronte. Tuttavia, il morale non è così disastroso: l’esito positivo per gli italiani sembra essere facile e a portata di mano. Le cose non andarono purtroppo così. 99 Come si svolsero i fatti?

COPYWRITER Con i tuoi compagni e con l’aiuto dell’insegnante di Storia, approfondisci: 99 Le cause che determinarono l’attacco alla Grecia; 99 l’andamento della campagna militare; 99 l’esito finale.


Capitolo X

DENTRO LA STORIA Inizia a questo punto la fase più dura della sua odissea. Il protagonista parte per il fronte russo, dove conoscerà il dolore fisico, la malattia, la fame, l’indifferenza, l’annullamento della propria dignità di essere umano. Vivrà sulla sua pelle una sorta di discesa agli inferi dove domina il Male assoluto e non c’è spazio per la pietà umana. 99 99 99 99 99

Quando parte per la Russia? Come avrebbe potuto evitare la partenza? Dove si trova il fronte russo? Che cosa devono fare i soldati per nascondere se stessi e le armi? Mentre si nasconde nel rifugio insieme a un suo compagno, accade la tragedia. Che cosa succede?

LAVORIAMO SUL TESTO 1) Sottolinea nel brano i sostantivi e gli aggettivi che meglio descrivono gli stati d’animo dei soldati e del protagonista. Accanto a ogni vocabolo indica il contesto. Esempio:


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99 Buio. Si tratta del buio della trincea coperta di terra e di alberi per mimetizzarsi. 2) Costruisci la sequenza precisa degli eventi che determinano la cattura del soldato. Comincio io, tu continua: 99 I russi lanciano la bomba.

BOOK-CAFFÈ Il secondo conflitto mondiale si è caratterizzato per una strategia di guerra definita blitzkrieg [guerra lampo]; mentre nel primo conflitto mondiale prevalse la guerra di trincea. Tuttavia le trincee sono necessarie in ogni tipo di guerra. E il nostro soldato si ritrova di notte, quasi sepolto in una di esse, di fronte al nemico russo che avanza, e con un freddo che immobilizza gli arti. È in questa circostanza che vede morire il suo compagno, mentre lui viene fatto prigioniero e portato dentro il fronte russo.

G. Ungaretti, poeta italiano premio Nobel per la letteratura, è stato soldato in trincea ed ha raccontato la sua tragica esperienza in memorabili poesie che appartengono alla sua prima fase produttiva. Te ne propongo una da commentare con l’insegnante di Italiano.

Veglia Un’intera nottata buttato vicino a un compagno


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massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio ho scritto lettere piene d’amore Non sono mai stato tanto attaccato alla vita

Con l’insegnante di Storia approfondisci , invece, le ragioni che hanno portato il governo italiano a intraprendere la campagna militare contro la Russia. Poi rispondi alla seguente domanda: 99 In quali condizioni di equipaggiamento si trovava l’esercito italiano al momento della partenza per il fronte russo? A proposito della faciloneria e della superficialità con cui venivano mandati al macello i soldati italiani durante la seconda guerra mondiale, ti propongo la visione di un film che puoi trovare in DVD in edicola o presso i negozi specializzati. Si intitola El Alamein. La linea del fuoco, per la regia di Enzo Monteleone dove si assiste alla disfatta dell’esercito italiano male armato, ma valoroso e capace di compiere gesti di grande eroismo.


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COPYWRITER Nella poesia di Ungaretti, Veglia, hai affrontato il tema della morte del soldato massacrato in trincea. Paradossalmente, la visione della morte fa nascere in lui uno smisurato desiderio di vita. A te è mai accaduto di vivere un evento che ti ha fatto riscoprire il valore della vita? Scrivi un testo in cui racconti la tua esperienza [max 20 righe].



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Un diario, scritto in modo semplice e approssimativo, racchiude l’emblematica vicenda umana di Eustachio Di Santo, un giovane che, come tanti altri uomini del suo tempo, improvvisamente sottratto al sereno scorrere dell’esistenza quotidiana, viene catapultato nel terribile scenario della Seconda Guerra Mondiale. Conservato per tanti anni in un cassetto, un giorno il diario arriva, insieme all’ormai nonno Eustachio, come viva testimonianza sollecitata dall’insegnante di Storia, nella classe di scuola media in cui il nipotino sta affrontando lo studio del periodo storico vissuto in prima persona dal nonno. Eustachio racconta, emozionandosi con i ricordi, e legge stralci dal suo diario: la Campagna di Albania, il campo di concentramento in Russia, gli incontri, la solitudine, il dolore della guerra, di ogni guerra. La sua lettura commuove e diventa spunto per tante riflessioni importanti. Alla fine, prima di congedarsi, timidamente Eustachio regala il suo quaderno all’insegnante. Nelle sue mani esperte di narratrice quel “tesoro” diventerà Le pere selvatiche.

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