prima cordonatura obbligata sul margine del disegno
morelli viaggio nella memoria
Appisolato nella calura di un’affollata spiaggia dell’Adriatico, durante una vacanza estiva con la sua famiglia, l’ormai anziano protagonista ripercorre, in un tormentato dormiveglia, le tappe dettagliate della sua drammatica esperienza di soldato, ufficiale nel secondo conflitto mondiale. Personaggi, luoghi e situazioni di una storia terribile, e purtroppo autentica, scorrono riportandoci tutto l’orrore dell’insana, gratuita, incomprensibile violenza dell’uomo sull’uomo. Ci impongono di ricordare e di riflettere sulla necessità e sull’importanza di passare il testimone del ricordo di generazione in generazione, per rimanere vigili nella salvaguardia della pace e della democrazia. Nel lager di Wietzendorf, in preda ai più sconfortanti morsi della fame, Morelli, insieme ad altri compagni di sventura, riesce fortunosamente a redigere un particolare diario di prigionia, basato su un collettivo insoddisfatto immaginario culinario. Altrettanto fortunosamente riuscirà a portarlo con sé a casa una volta tornato in libertà. Il figlio Fausto, nel 2010, lo consegnerà all’editore Iannone che lo pubblicherà con il titolo: Padelle, non gavette!
Michele Morelli
Viaggio nella memoria Cronaca di una deportazione. Quello che l'Europa non volle vedere
Per comprendere Per analizzare Per approfondire Lingua e linguaggi
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iannone
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Cosmo Iannone Editore
Viaggio nella memoria
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‌ beato colui che l’ardua scala della lotta ha calcato e del sudore e tuttavia dai mali della vita erige scale per salire a Dio. Oscar Wilde
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Una strana villeggiatura Scheda p. 103
Nel luglio del 1976 mi trovavo a villeggiare con i miei cari a Francavilla al Mare. Era mezzodì: l’aria era afosa e il mare stagnante. La spiaggia dannunziana brulicava di inoperosa gente, solamente preoccupata ad esporre la propria epidermide ai raggi infocati del sole, e perché no, al ludibrio di sguardi voraci. Il sole implacabile, quasi a perpendicolo, dardeggiava dall’alto su quell’alveare umano. Vele in lontananza, alcune navi erano appena visibili sull’estremo limite dell’orizzonte. Vicino al bagnasciuga mosconi in attività; festa di bimbi affannati a giocherellare sulla sabbia lambita dal risucchio dell’onda stanca; tanti altri bambini intenti a riempire secchielli di acqua o di sabbia ed a costruire castelli, ponti e piscine; giovani armati di aggeggi subacquei. Festa di colori, con l’azzurro che predominava; ombrelloni vistosi, ordinatamente allineati o grevi di indumenti, sparsi tra le stecche e, in parte, penzoloni. E musica, canzoni, ritmi vivaci dalle radioline o dai giradischi. Nell’aria un brusio, una nenia… Me ne stavo sdraiato, mollo e fuori dal tempo, con la testa al riparo nell’ombra. Non dormivo, pigramente meditavo, con gli occhi sbarrati nel vuoto dell’infinito. Dei boati, causati da due aerei supersonici, che si divertivano a spaventare quello sciame umano, mi fecero sussultare e, come sveglio ancora da un con-
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fuso e tormentoso sogno, mi ritrovai ad evocare i tempi tristi del luglio 1943, che mi riportarono ad un sintomatico episodio capitatomi a Pescara. 1943-1976 è un arco di trentatré anni: un tempo lungo quanto la vita di Cristo. Premetto che allora ero Comandante del Genio, di stanza a Toulon, in Francia, dove si provvedeva ad erigere opere di fortificazioni antisbarco, in quella meravigliosa appendice meridionale della Costa Azzurra. Da circa un anno non vedevo i miei familiari, specie mia moglie che, dopo il parto del gennaio 1942, non si era ancora completamente ristabilita. Forse anche presago dei giorni tristi che stavano per abbattersi sulla nostra patria, fui spinto, da una forza inconscia, a chiedere una breve licenza per riabbracciare i miei cari. Certamente fu l’ultima volta, prima di essere travolti dal caos della sconfitta, della resa, del disonore e… dell’espiazione. Ottenuta la concessione di una breve licenza, di appena cinque giorni più il viaggio, dopo un trasferimento di andata più che avventuroso, perché interrotto da bombardamenti, da allarmi, da forzate soste e da un incidente capitatomi a Livorno dove, a causa di un allarme aereo, per una brutta caduta sul piazzale della stazione riportai una ferita alla mano destra, finalmente arrivai in famiglia. La breve licenza addirittura volò, nonostante l’aggravarsi della ferita, non medicata bene all’origine. Gli Alleati erano frattanto sbarcati in Sicilia. Le comunicazioni ferroviarie erano precarie e frenetiche. Sul volto della gente era segnata la disperazione, la tristezza, il dolore. Mia moglie non voleva farmi ripartire a causa del flemmone che si era formato nella mia ferita e che mi procurava serio fastidio e qualche linea di febbre.
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Però, io che avevo la responsabilità del reparto genio, con a carico materiali costosi: carro officina con gruppo elettrogeno — con il quale si poteva dare l’energia elettrica ad un intero villaggio — grossi autocarri Lancia RO ed autocarrette, esplosivi di ogni tipo, deposito di carburanti ecc, tenni duro e regolarmente ripartii, accompagnato da mia moglie fino a Termoli. I treni che provenivano dal Sud davano uno spettacolo penoso: stracolmi di militari in disordine nelle divise, che avevano bandito ogni forma di disciplina, vagoni dai quali si entrava e si usciva dai finestrini. II timore delle incursioni aeree e dell’invasione destava un vero panico. Dopo un abbraccio più che straziante, cercai un posto in prima classe e lasciai mia moglie, che restò sul marciapiede, finché il treno sparì dalla sua vista, e che non riabbraccerò per oltre due anni e mezzo, a causa della guerra e di una lunga prigionia nei lager tedeschi. Alcuni colleghi mi fecero un posticino ed un tenente, che veniva dallo Stretto, mi ragguagliò sulla situazione catastrofica di tormento e di ansia in cui si viveva laggiù. La mia mano ferita era oltremodo gonfia e turgida e delle linee di febbre mi davano dei brividi. Alla stazione di Pescara un collega mi esortò a scendere e mi accompagnò al Comando Militare di tappa. Ci scambiammo gli auguri ed egli subito risalì sul treno per proseguire il suo viaggio verso il Nord.
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Vita di prigionia Scheda p. 147
La camerata consisteva di un grande vano, con quattro piccole finestre, sproporzionate per illuminare l’ampiezza dello stanzone. Vi erano installate dodici cuccette-castelli biposti che ospitavano 24 ufficiali: sette capitani, otto tenenti e nove sottotenenti. Le lettiere, fatte con tavolette mal aderenti l’una all’altra, avevano un pagliericcio di carta, riempito di trucioli di legno. Al centro dell’ampia stanza era collocata una grossa stufa di terracotta, che sarebbe stata sufficiente a riscaldare bene l’intero ambiente, se avessimo avuto una sufficiente quantità di carbone o di legna. Purtroppo le mattonelle di carbone che ci fornivano erano razionate al massimo e bisognava usarle con tale parsimonia da avvertire per forza il freddo intenso. Sull’orario di accensione della stufa non si era tutti d’accordo, per cui, spesso, si arrivava alle votazioni. Ognuno di noi aveva la sua gavetta e si stabilivano dei turni per riscaldare la sboba sul ripiano della grande stufa. La sveglia era alle sei; la chiusura dei blocchi alle diciotto; l’interruzione dell’illuminazione alle ventuno. Una volta al giorno si distribuiva il vitto: brodaglia calda, molto liquida, con margarina, carote e patate di scarto; pane da dividersi in sei; un cucchiaino di sale ed uno di zucchero. Nel campo c’erano 2200 ufficiali. Il controllo avveniva mediante adunate con appelli, tre volte al giorno. Le adunate si facevano nel cortile, mentre altri controlli — al mattino alla sve-
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glia ed alla sera prima di spegnere le luci — si effettuavano nella camerata. Fra i prigionieri vi erano 15 medici e 14 cappellani, diversi ufficiali dell’Arma dei Carabinieri, della Finanza nonché di tutte le Armi e Servizi. Le professioni dei prigionieri erano le più varie: diversi professori e maestri, ingegneri, architetti e geometri, tanti ragionieri e commercialisti, avvocati e procuratori; molti impiegati, alcuni giornalisti, segretari comunali, commercianti, agricoltori, orefici e un gioielliere, un attore ed un diplomatico. Infine fra i medici vi erano quelli generici, due dentisti, un oculista ed un ginecologo. Era stata allestita una chiesetta da ufficiali francesi nostri predecessori e poteva accogliere oltre un centinaio di fedeli. Gli arredi sacri erano stati forniti dal Vescovado di Leopoli, su richiesta dei cappellani militari. I polacchi, tutti i giorni, non facevano mancare le necessarie particole ed il vino per le celebrazioni delle messe e per fare le comunioni. Inoltre era stato composto un coro accompagnato da una fisarmonica. Le funzioni religiose erano sempre abbastanza suggestive e la chiesa era sempre gremita. Durante la celebrazione delle messe c’era sempre un tedesco per spiare e riferire, se al momento del Vangelo, il discorso evangelico potesse trasformarsi in propaganda antigermanica. Ma con i dovuti accorgimenti ed usando la metafora, anche quest’ostacolo veniva superato. Tre castelli biposti, tutti vicini tra loro, erano stati occupati da sei amici comprovinciali: era il nostro clan ristretto. Un terribile mal di denti mi tormentava da qualche giorno, facendomi soffrire maledettamente. Andare alle adunate, sotto il nevischio, in tali condizioni non era troppo giovevole. I miei amici s’incaricarono di cercare un dentista perlustrando i vari
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blocchi. Alfine ci riuscirono e tornarono insieme ad un tenente medico bolognese, il quale, però, non possedeva alcuna attrezzatura per l’estrazione. Il giorno successivo, con una comune pinza da meccanico, egli provvide ad estirparmi il dente. Come si sentì la mano sicura dell’esperto! Stetti mezza giornata senza ingoiare cibo finché la ferita si rimarginò. Decisi di lavare gli indumenti sporcati durante il viaggio di trasferimento in Polonia. Oltre allo specifico lavoro mai eseguito prima — ci volle una vera bravura per far bastare quel pezzetto di sapone avuto dai tedeschi al momento dell’ingresso al Campo. Erano continue ed assidue le visite scambiate fra amici che stavano in blocchi diversi. Intanto si diede inizio anche alle varie attività culturali, con conferenze di interesse generale. Alcuni docenti davano già pubbliche lezioni ad universitari iscritti a varie facoltà. Insomma tra i rigori e le brutture di quell’inumana vita, cominciava ad aleggiare un po’ di spiritualità e di cultura. Da parte sua il Comandante del Campo indiceva delle riunioni, per impartire sempre più precise istruzioni sul comportamento da tenere e per ben rispettare le norme che regolavano gli orari e i divieti. Durante la settimana che precedette il Santo Natale, la temperatura si era abbassata di molto: eravamo intorno ai 10 gradi sotto zero. Ormai, da tempo, eravamo nella morsa del gelo. Infatti, da qualche mese, gli agricoltori avevano provveduto a sostituire le ruote ai carri agricoli e li avevano trasformati in vere e proprie slitte. In Polonia non vi erano forti nevicate con accumuli di neve di grosso spessore. Lì in ottobre, con il primo nevischio, si formava uno strato di ghiaccio e tale rimaneva per tutto il periodo invernale.
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Il panorama di Leopoli sotto la neve era realmente suggestivo ed originale e si differenziava molto da quello creato dalle nostre copiose nevicate. Attraverso una nebbiolina trasparente, incorporea, si scorgeva, dai finestroni della baracca, questa città invernale, con i suoi molteplici campanili e le chiese barocche. Si vedeva tutto lontano, come in un sogno… Era per noi, infatti, un sogno la realtà di una città: i suoi edifici e la sua vita. Tutto era lontano da noi. Stavamo dimenticando le sembianze della donna. Restava vivo soltanto il profilo della nostra sposa, che rimaneva come un’immagine incancellabile scolpita nel cuore. La temperatura era scesa ancora: 15 gradi sotto zero. Ciò nonostante, correva voce che c’erano blocchi infestati da pidocchi e da scabbia. Facevamo solo una volta al mese doccia e disinfestazione degli indumenti. Dopo la doccia si passava in una camera attigua, fredda senza stufa e senza che fosse stato predisposto un panno qualsiasi per asciugarsi. Bisognava che la pelle si asciugasse da sé. Successivamente si passava in un’altra camera, dove si trovavano gli indumenti, disinfestati e bollenti, che erano un vero balsamo e ristoro per i nostri deboli corpi stremati dalla fame e dal freddo. La solita altalena di notizie. Questa volta una ci sembrò bellissima e perciò inattendibile: il rientro in Italia di anziani e malati. E pensare che l’anno 1944, ben altri tormenti, privazioni e paure, avrebbe avuto in serbo per molti di noi. Il Natale era ormai alle porte. Che differenza fra quello del 1942 in Francia e questo del 1943! Avevo trascorso entrambe le festività lontano dai miei affetti, almeno quello francese mi aveva privato solo della vicinanza dei miei cari, ma questo polacco mi aveva privato di tutto. Fu un Natale di fame, freddo e triste.
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Schede didattiche
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Nel mettere mano a questo lavoro, ho pensato che molte parole sono state già dette e scritte sulla Shoah, sulla deportazione e sul dolore gratuito inflitto a milioni di esseri umani. Ritengo tuttavia che le cose da capire siano ancora tantissime e, parafrasando Italo Calvino, potrei dire che la Shoah è un evento talmente grande, un buco nero nella storia dell’umanità, che essa non smette mai di dire quello che ha da dire. Il mio compito è stato semmai quello di facilitare l’approccio al tema, ponendo le domande giuste e formulandole in modo da stimolare l’interesse e la curiosità dei lettori e in particolare di quelli che si accostano per la prima volta a una tematica tanto complessa. Per raggiungere questo obiettivo, ho realizzato un apparato didattico che si articola nelle seguenti sezioni: • Per comprendere. • Per analizzare. • Per approfondire. • Occhio alla storia: sezione di approfondimento storico attraverso materiale documentale proveniente da fonti varie (articoli di giornale, libri, internet…). • Lingua e linguaggio: lessico, analisi morfologica e logica per una grammatica attiva.
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UNA STRANA VILLEGGIATURA
In questo primo capitolo si racconta l’antefatto, preludio alla tragedia che vede protagonista il nostro personaggio. I ricordi affiorano mentre su una sdraio si riposa sulla spiaggia di Francavilla al Mare. Fanno ancora male, nonostante siano passati molti anni da quegli avvenimenti. Arrivano come ospiti indesiderati e tuttavia non si può ricacciarli indietro. Chiedono di essere raccontati.
Per comprendere La situazione di partenza ritrae il protagonista in una condizione di assoluto benessere e di beata tranquillità. Che cosa interrompe la calma di quel momento?
Quale ricordo irrompe nella mente del personaggio?
Qual è l’anno in cui inizia il flash-back? Il protagonista riveste un ruolo importante nell’esercito italiano. Quale?
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In quale località sta operando con il suo reparto? Grazia a una licenza di soli cinque giorni può a tornare a casa. Dopo quanto tempo riuscirà a riabbracciare i suoi cari? Che cosa accade al protagonista in questa lunga assenza da casa?
Per analizzare Già in queste prime battute del racconto conosciamo un aspetto della personalità del protagonista. Scegli tra gli aggettivi proposti quelli che ti sembrano più aderenti al carattere del personaggio. Per ciascuno di essi individua nel testo quei passaggi narrativi che avvalorano la tua scelta e riscrivili in sintesi negli spazi vuoti: 99 99 99 99
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Distratto Responsabile Coscienzioso Insensibile
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Per approfondire La linea Gustav In questa prima parte del racconto vengono citate la stazione di Pescara e la cittadina di Termoli. Sono località importanti nella narrazione, non solo perché ricorrono come luoghi della memoria del narratore, ma anche perché si trovavano sulla linea o vicine alla Linea Gustav, una linea difensiva che i Tedeschi costruirono alla fine dell’autunno del 1943 per fermare l’avanzata degli Alleati dopo lo sbarco in Sicilia. È una linea trasversale che va dalle foci del fiume Garigliano, vicino al Golfo di Gaeta, alle foci del fiume Sangro a sud di Pescara ed ha come punto nodale il fiume Liri e le pendici di Montecassino. Si tratta di un luogo strategico per l’avanzata degli Alleati verso Roma e il nord dell’Italia.
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Su questa linea avvengono battaglie memorabili, come quella di Montecassino, durante la quale fu bombardata e distrutta l’abbazia. Sul versante adriatico resta invece celebre la battaglia di Ortona. Approfondisci questo argomento, raccogliendo informazioni sulle altre linee difensive più famose della seconda guerra mondiale, costruite in Italia e in Europa. Sottolinea sulla cartina le località più importanti interessate dalla linea Gustav.
Lingua e linguaggi Cerca sul dizionario i seguenti vocaboli e riportane il significato negli spazi vuoti. Ludibrio Voraci Presago Flemmone
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UNA GUERRA SBAGLIATA
Il nostro protagonista assume il comando di una Compagnia Genioartieri e viene spostato in varie località italiane del sud, sia per l’addestramento sia per costruire fortificazioni.
Per comprendere In quali luoghi dell’Italia del sud il Comandante Morelli viene continuamente spostato per addestramento?
Nella piana di Metaponto vive la situazione più difficile. Per quale motivo?
Il nostro eroe si mostra assai critico rispetto alla modalità con cui viene addestrato dopo la chiamata militare. Qual è la critica più rilevante?
Che cosa pensa il protagonista della decisione di Mussolini di entrare nel conflitto?
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Per approfondire La guerra lampo La guerra lampo, Blitzkrieg in tedesco, è un tipo di guerra voluto da Hitler che consisteva nella velocità delle operazioni militari che dovevano prendere di sorpresa i nemici e nell’utilizzo di nuovi mezzi militari. Leggi il seguente brano tratto da Internet e poi rispondi alle domande. La guerra lampo (Blitzkrieg) era una strategia militare elaborata dallo Stato Maggiore tedesco, al fine di vincere il conflitto in tempi brevi. Fu adottata per la prima volta nel settembre 1939, contro la Polonia, e permise di sconfiggere il nemico nel giro di un mese. Si trattava, in pratica, dell’utilizzo combinato delle due nuove armi che resero la seconda guerra mondiale un conflitto radicalmente diverso da quello del 1914-18: l’aviazione e il carro armato. In un settore del fronte, veniva scatenata una massiccia azione di bombardamento aereo. Subito dopo, approfittando del disorientamento provocato dall’aviazione, quel medesimo settore era investito da un violento attacco delle forze corazzate. La guerra lampo fu applicata su scala ancora più vasta in Europa occidentale, dove la guerra divampò veramente solo nella primavera del 1940. L’offensiva tedesca investì il Belgio, l’Olanda e la Francia. Ancora una volta, come l’anno prima in Polonia, risultarono decisive la velocità e la capacità d’urto delle forze corazzate tedesche. Il 14 giugno 1940 le truppe tedesche entrarono trionfalmente a Parigi e il governo francese fu costretto a chiedere la resa. L’effetto di questa fulminea vittoria tedesca sulla Francia fu straordinario in Germania. Infatti, il prestigio di Hitler salì al massimo livello e nessun generale tedesco sarebbe più stato in grado, per tutto il resto della guerra, di mettere in discussione le sue direttive. I principi guida della guerra lampo furono applicati anche nella progettazione della campagna contro la Russia iniziata il 22 giugno
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1941. In effetti, in un primo tempo, la Germania riuscì a conquistare un territorio vastissimo, raggiungendo la periferia di Mosca. Durante l’inverno 1941-1942, tuttavia, l’esercito tedesco venne fermato e non poté completare la conquista dell’Unione Sovietica. Il risultato fu la trasformazione del conflitto in una gigantesca guerra di logoramento: il successo sarebbe andato a quella potenza che poteva contare su di una economia meglio attrezzata per far fronte, a tempo indeterminato, ai costi materiali della guerra. Pertanto, il bombardamento degli impianti industriali e delle città del nemico divenne un elemento di vitale importanza: distruggere le fabbriche e il sistema economico dell’avversario era determinante, come vincere una battaglia sul campo. La guerra lampo è resa possibile dall’utilizzo di nuove armi.
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La guerra lampo è una strategia utilizzata per la prima volta in Olanda
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La guerra lampo non viene utilizzata nella campagna di Russia
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In Russia la guerra lampo si trasformò in guerra di logoramento
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L’invasione dell’Unione Sovietica non poté essere portata a termine
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Lingua e linguaggi Ricerca i seguenti vocaboli e trascrivi il significato negli spazi vuoti. Cicaleccio Satollo Errabondo Diuturno Insalubre
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Analisi morfologica Ricerca nomi, pronomi e aggettivi elencandoli (sul quaderno) in tre colonne. Il brano da analizzare va dall’inizio La calura‌ fino a al tavolo della pace. Riscritture Dopo aver letto il capitolo svolgi le seguenti operazioni: 99 Dividi in sequenze. 99 Per ogni sequenza indica se si tratta di sequenza narrativa, descrittiva, riflessiva, dialogata. 99 Ad ogni sequenza attribuisci un titolo. 99 Collega i diversi titoli, formando cosÏ una sorta di scaletta per il riassunto. 99 Riassumi il capitolo in dieci righe.
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Appisolato nella calura di un’affollata spiaggia dell’Adriatico, durante una vacanza estiva con la sua famiglia, l’ormai anziano protagonista ripercorre, in un tormentato dormiveglia, le tappe dettagliate della sua drammatica esperienza di soldato, ufficiale nel secondo conflitto mondiale. Personaggi, luoghi e situazioni di una storia terribile, e purtroppo autentica, scorrono riportandoci tutto l’orrore dell’insana, gratuita, incomprensibile violenza dell’uomo sull’uomo. Ci impongono di ricordare e di riflettere sulla necessità e sull’importanza di passare il testimone del ricordo di generazione in generazione, per rimanere vigili nella salvaguardia della pace e della democrazia. Nel lager di Wietzendorf, in preda ai più sconfortanti morsi della fame, Morelli, insieme ad altri compagni di sventura, riesce fortunosamente a redigere un particolare diario di prigionia, basato su un collettivo insoddisfatto immaginario culinario. Altrettanto fortunosamente riuscirà a portarlo con sé a casa una volta tornato in libertà. Il figlio Fausto, nel 2010, lo consegnerà all’editore Iannone che lo pubblicherà con il titolo: Padelle, non gavette!
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