il Bàcaro | andàr per gusto

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il Bàcaro A N D À R

P E R

G U S T O

diSTriBUiTo in VEnETo, FriULi VEnEZiA GiULiA E TrEnTino ALTo AdiGE Con iL PATroCinio di ASSOCIAZIONE DELL’ARTIGIANATO E DELLE IMPRESE MANDAMENTO DI PORTOGRUARO

nUMEro 5 | Anno ii

IN PRIMO PIANO

ARTE PASICCERA

SAPORI E TRADIZIONI

SALUTE IN TAVOLA

impariamo a conoscere l’olio extravergine di oliva

i Suevi, nati dall’abbinamento per il recioto

Storia e origini della distillazione della grappa

non sempre il grano è sinonimo di nutrimento sano

p. 04

p. 10

p. 20

p. 26


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l mondo della stampa è come una foresta intricata, dove gli alberi sembrano tutti uguali, e non ci sono punti di riferimento. Senza orientamento, è facile perdersi. Per uscire dalla foresta, per arrivare al miglior prodotto possibile, bisogna sapere come muoversi. Assistere i nostri clienti nei minimi particolari, dando importanza ad ogni loro esigenza, è questo il nostro metodo per tracciare quel sentiero. La via più sicura ed affidabile, verso il miglior risultato.


{sommario} 3 | l’editoriale

12 | Vino & dintorni:

viticoltura nel Veneto orientale

4 | In primo piano: l’olio di oliva

15 | Personaggi:

Gabriele Ferron

8 | note semiserie: sua maestà il fagiuolo

10 | Arte pasticcera:

n

storia della grappa

della nostra tavola e dei nostri sapori, legati alla terra, alle stagioni, alla caccia e alla pesca, ai mestieri ed al mercato di cui vivevano i nostri avi e che li hanno portati ad elaborare ed affinare nel tempo una serie di ricette dalla prelibata unicità. Molte di queste sono riproposte nel volume, tra le oltre 130 pubblicate, grazie anche al contributo di rinomati ristoratori e chef, esperti e storici, intenditori ed appassionati della cucina tipica e tradizionale del Veneto orientale che hanno documentato uno spaccato culinario prezioso e sopraffine. Grazie dunque a Leandro Costa per aver realizzato

il Bacàro

NUMERO 5 | ANNO II

Supplemento a: www.Portogruaro.Net del 16/11/2012 Reg. Trib. di Venezia - n. 10 del 05/05/2006 Iscrizione al ROC n. 17423 Distribuito gratuitamente nelle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige Direzione e redazione: via Spalti, 7 - 30026 Portogruaro (VE) Tel. e Fax 0421 280444 Email: info@il-bacaro.it

nella cottura del cibo

26 | Salute in tavola: microtossine nel grano

29 | Bacheca ucet: • La Caminaza • Imperial Castellania Suavia

i funghi

20 | Sapori e tradizioni:

i Suevi

on potevo non dedicare l’editoriale di questo numero ad una novità che sarà tra pochi giorni in libreria di cui ci sentiamo a diritto padrini, oltre che editore. Pubblichiamo infatti il secondo volume di Leandro Costa dal titolo “L’acquolina in bocca” che ripropone una raccolta di articoli in parte già apparsi su questa rivista e nel nostro Portogruaro.net Magazine, dalla cui rubrica prende appunto il nome. Si tratta di temi cari al nostro territorio ed alle sue tradizioni enologiche e gastronomiche che vengono attentamente rievocate e riproposte, per non dimenticare le origini

18 | cibo e territorio:

24 | Innovazione:

31 | l’officina degli eventi

un così imponente lavoro di ricerca e ricostruzione delle origini della nostra tavola, ed a tutti coloro che in qualche modo hanno contribuito alla pubblicazione di questo, ne siamo sicuri, successo editoriale. Buona

Direttore responsabile: Maurizio Pertegato

lettura a tutti quindi, nella speranza che la passione per la buona cucina vi spinga ad acquistare questo volume ed a conservarlo non tra gli scaffali di una libreria, ma su una mensola della cucina, vicino ai fornelli, ove possa divenire fonte di ispirazione continua per le vostre ricette. Vincenzo Zollo

Direttore editoriale: Vincenzo Zollo Direttore esecutivo: Leandro Costa Caporedattore: Federico Guerrini In redazione: Carlo Bontempo, Deborah Cuzzolin, Vito Digiorgio, Giovanni Pavan, Antonio Scottà, Gian Luigi Secco, Giulio Serra, Lorenzo Simeoni, Giancarlo Sival

Manoscritti, fotografie e disegni anche se non pubblicati, non si restituiscono. L’editore lascia agli autori degli articoli l’intera responsabilità delle loro opinioni, garantisce la riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione, scrivendo o telefonando alla redazione. Rimane inoltre a disposizione di altri eventuali aventi diritto di copyright su testi o immagini che non è stato possibile contattare.

Nessuna parte di questa pubblicazione può essere utilizzata in alcun modo, incluse le inserzioni pubblicitarie che sono di proprietà dell’editore che ne vieta la riproduzione anche parziale con qualsiasi mezzo.

Realizzazione Grafica: Studio Idee Materia Stampa: Centro Stampa Puiatti © Copyright 2011 VISYSTEM EDITORE via Spalti, 7 - 30026 Portogruaro (VE) Tutti i diritti riservati

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{in primo piano}

di Giovanni Pavan, esperto maestro - docente della degustazione dell’olio di oliva

L’olio extravergine di oliva Impariamo a conoscerlo Il Maestro Giovanni Pavan esperto degustatore dell’olio di oliva ci fa conoscere da vicino uno degli alimenti più importanti della nostra tavola quotidiana, riferendoci in modo particolare del frutto che viene raccolto nelle aree più vocate della nostra macro regione triveneta 4 .

L

a raccolta di olive avviene nel periodo che va da ottobre a dicembre, rispetto all’Italia centrale e meridionale in cui si può prolungare fino a gennaio. Le drupe, ossia la parte carnosa, la polpa delle diverse qualità di oliva, possono essere poi utilizzate intere e conservate per il loro consumo diretto, ma possono anche essere trasformate in paté. Per la produzione dell’olio le olive sono raccolte dopo la loro completa maturazione. La raccolta è una operazione estremamente delicata che, se mal eseguita, può compromettere gli sforzi compiuti durante l’anno e incidere in modo negativo sia sulla qualità che sulla quantità dell’olio. Può essere fatta mediante brucatura a mano che è la forma più lenta e onerosa, ma che

consente di ottenere olive di qualità, oppure mediante bacchiatura, pettinatura, scollatura e caduta spontanea. In quest’ultimo caso la qualità delle olive sarà piuttosto scadente.

Dentro il frantoio Le olive dovrebbero essere lavorate preferibilmente entro le 48 ore dal loro arrivo in oleificio. Sono eliminate quelle deteriorate, private di ogni impurità come foglie o sassolini, lavate e lasciate ad asciugare in graticci in locali asciutti ed in tempi ristretti per evitare la loro fermentazione. Le olive sono quindi sminuzzate e ridotte in poltiglia attraverso l’utilizzo di due grosse ruote di granito (le molazze)


che schiacciano le olive sopra di un grande piatto; questa è un’operazione di uso tradizionale che può essere eseguita anche attraverso moderni macchinari a martelli o a ingranaggi: Dopo la frangitura segue la gramolatura, in cui la poltiglia delle olive è sottoposta ad un delicato rimescolamento per unire le goccioline d’olio. Queste due operazioni di sminuzzamento e rimescolamento sono, spesso, eseguite solo dal frantoio. La spremitura della pasta delle olive, secondo antichi metodi, può essere eseguita attraverso l’utilizzo di torchi di legno o di ferro in cui la pasta è spremuta con pressione lenta e graduale per ottenere un mosto costituito da olio, acqua di vegetazione, mucillaggini e frammenti di polpa, nocciolo (la cosiddetta sansa). Attraverso la centrifugazione o, più lentamente con la decantazione, l’olio viene separato dal mosto. A questo punto gli eventuali residui vegetali contenuti nell’olio sono eliminati attraverso una serie di travasi e con la filtrazione, che consente di ottenere un olio limpido. L’olio ricavato è infine fatto riposare e maturare in grandi cisterne di acciaio inox, o vetro pietrificato, a temperatura costante intorno ai 15°, allo scopo di ottenere un prodotto con le migliori caratteristiche organolettiche. Infine

viene imbottigliarlo, pronto per essere immesso nel mercato. Secondo la sua stagionatura l’olio può essere classificato in diversi modi: novello, sino a quattro mesi dall’estrazione, caratterizzato da un gusto spiccato, fruttato quasi piccante; fresco,sino a otto mesi dall’estrazione, con sapore meno intenso, aspetto più limpido e armonicamente fruttato; giovane, sino a dodici mesi dall’estrazione, più armonico del precedente. L’olio ottenuto con questi procedimenti è l’olio extravergine d’oliva di prima spremitura a freddo, ricco di qualità nutrizionali, ottenuto da processi in cui non sono stati impiegati calore o acqua, due tra i più pericolosi nemici dell’olio.

Cosa c’è nell’olio In una recente ricerca sull’olio, compiuta da un gruppo di biochimici dell’Università di Milano coordinati dal prof. Berra, sono state isolate circa 1.000 sostanze; decisamente un bel numero! Per quanto riguarda i costituenti di maggior consistenza, la composizione media delle olive fresche e mature è la seguente: acqua per il 40-50%, olio

15-36%, residuo solido 25-40% formato dal 70% di zuccheri, dal 20% di cellulosa, dal 5% da proteine e dal 5% di sali minerali. L’olio per la maggior parte è localizzato nella polpa, che ne contiene circa il 70% dell’intera oliva. La composizione dell’olio è sensibilmente influenzata, oltre che dalle qualità varietali, dalle condizioni ambientali e dall’andamento climatico; nelle zone a climi più freddi, ad esempio, si ha un maggior contenuto di acido oleico e un minor contenuto di acido linoleico rispetto alle zone caratterizzate da clima più dolce, che difatti aumenta con la maturazione delle olive. In generale, comunque, la composizione, secondo quanto riportato dalla dott. ssa Comenti in una sua pubblicazione, si avvicina a quella media del grasso umano che contiene acido oleico per il 65-87% (nell’olio è del 70-80%), acido palmitico per il 17-21% ( nell’olio 8-12%), acido stearico per il 5-6,5% (nell’olio dall’1 al 3%). In virtù di tale analogia l’assimilazione dell’olio ricavato dalle olive richiede un lavoro di trasformazione minore rispetto a quello di altri grassi ed oli; sempre che, ovviamente, si tratti di olio vergine che non abbia subito manipolazioni chimiche o fisiche.

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Un PaLaDIno DeL noStro BeneSSere Grazie alla sua composizione, dunque, l’olio di oliva spremuto a freddo è il grasso più facilmente digeribile; gli è stato conferito un coefficiente di digeribilità pari a 100, rispetto al quale l’olio di girasole si attesta sull’83, l’olio di mais sul 36 e quello di arachide intorno al 31. L’olio extravergine di oliva, inoltre, caratterizzato da un’acidità non superiore a 1, non provoca, una volta ingerito, fenomeni irritativi sulla mucosa dell’apparato digerente.

I BenefICI effettI nell’olio ottenuto dalle olive, gli acidi grassi saturi sono dunque presenti in quantità corrette, qualora la dieta sia adeguata dal punto di vista calorico, e non concorrono alla eventuale lesione e al restringimento delle arterie, primo passo verso l’infarto cardiaco e diverse malattie cardiovascolari. esso è perciò riconosciuto, grazie a studi di vasta portata condotti in più Paesi a partire dagli anni ’50, come importante elemento di protezione nei confronti della cosiddetta patologia del benessere. Il suo consumo pare inoltre essere in grado di promuovere diversi vantaggi nei processi digestivi e di disintossicazione. alcuni studi sembrerebbero poi dimostrare come all’olio extravergine di oliva possa essere riconosciuta la capacità di ridurre l’invecchiamento cellulare e di aumentare le difese antivirali. non si può, infine, dimenticare come l’insieme di sostanze che gli impartiscono elevati doti di palpabilità e appetibilità stimolino l’azione salivare, gastrica, enterica e pancreatica, con indubbi benefici sull’insieme dei processi fisiologici.

oCCHIo aLL’aCQUISto La maggior parte dell’olio prodotto a basso costo (specialmente in Spagna, Grecia, tunisia) è di cattiva qualità. Viene da climi e terreni che determinano una maturazione molto veloce delle olive, soggette a facili alterazioni (marciume, mosca olearia, ecc). Deodorificato e deacidificato con alcali, è questo l’olio vergine importato che si trova a volte sugli scaffali dei negozi

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a poco prezzo, magari nobilitato da un’etichetta di un frantoio toscano o umbro. Questi oli, pur risultando in linea con i parametri di legge sul piano chimico, all’analisi organolettica (panel test) anziché risultare privi di difetti tali da essere considerati extravergini, evidenziano molto spesso difetti gravi come il rancido, la muffa e il riscaldo. Una confezione da un litro di un buon olio extravergine di oliva, prodotto al 100% con olive italiane, non può costare sullo scaffale di un supermercato meno di sei euro. Vale la pena di stare perciò molto attenti nell’acquisto, accertarsi che si tratti di olio ottenuto attraverso la spremitura a freddo, da olive sane, raccolte dall’albero, meglio ancora se provenienti da coltivazioni biologiche. esistono molti piccoli produttori e oleifici scrupolosi e affidabili: si tratta di andare a cercarli o di rivolgersi a negozi specializzati in alimenti naturali. Per poter scegliere il “nostro” olio, dovremo poi imparare a conoscerlo, occorre guardarlo, odorarlo, assaggiarlo. Una volta acquistato andrà quindi conservato in un ambiente non troppo illuminato, meglio se buio e fresco: l’esposizione al sole non solo lo schiarisce, ma ne peggiora il sapore e la validità nutrizionale.

Zone DI ProDUZIone e CaratterIStICHe nella regione del Veneto le più importanti aree territoriali in cui si oleifica extravergine di oliva a denominazione protetta sono i Comuni della Valpolicella che producono il “Veneto Val-

policella dop”, i Comuni che si trovano in una vasta area dei Colli Berici ed euganei che producono il “Veneto euganei e Berici dop”, i Comuni che si trovano nei terreni collinari del Monte Grappa che producono il “Veneto del Grappa dop”. nel territorio del Lago di Garda è prodotto l’olio extravergine di oliva doc con la menzione geografica di “Garda orientale doc” e di “Garda trentino doc” qualora la zona di produzione si trovi nella regione trentina. La zona di produzione delle olive destinate alla produzione dell’olio extravergine a denominazione di origine protetta “tergeste” comprende i territori della provincia di trieste, in particolare Muggia, aurisina, San Dorligo della Valle, Sgonigo, Monrupino, la parte ovest della provincia di Gorizia e a sud della costa adriatica. Il disciplinare di tutti questi oli extravergini di oliva dop e doc prevede che la raccolta delle olive deve avvenire direttamente dalla pianta a mano o con mezzi meccanici; per l’estrazione dell’olio extravergine di oliva sono ammessi soltanto i processi meccanici e fisici atti a garantire l’ottenimento di oli senza alcuna alterazione delle caratteristiche qualitative contenute nel frutto. Per essere immessi al consumo questi oli extravergini di oliva devono rispondere a determinate caratteristiche organolettiche: • Il “Veneto Valpolicella” ha colore giallo con lieve tonalità di verde per gli oli freschi, odore di fruttato leggero, sapore fruttato con leggera sensazione di amaro e retrogusto muschiato, acidità massima totale espressa in acido oleico, in peso,


non superiore a grammi 0,5 per 100 grammi di olio, acido oleico minimo 75%; • Il “Veneto euganei e Berici” ha colore verde-oro da intenso a marcato, odore fruttato di varia intensità, sapore fruttato con leggera sensazione di amaro, acidità massima totale non superiore a grammi 0,6 per 100 grammi di olio, acido oleico >= 76%. • Il “Veneto del Grappa” ha colore verde-oro con modeste variazioni del giallo, odore fruttato di varia intensità, sapore fruttato con sensazione di amaro per gli oli freschi, acidità massima totale non superiore a grammi 0,5 per 100 grammi di olio, acido oleico >= 76%. • Il “Garda orientale” ha colore verde da intenso a marcato, con modeste variazioni della componente del giallo, odore fruttato leggero, sapore fruttato con sensazione di mandorla dolce, acidità massima totale non superiore a grammi 0,6 per 100 grammi di olio, acido oleico >=74%. • Il “Garda trentino” ha colore verde con riflessi dorati, odore di fruttato leggero con sensazione erbacea, sapore leggermente sapido, con acidità massima totale non superiore a grammi 0,5 per 100 grammi di olio. • Il “tergeste” deve rispondere alle seguenti caratteristiche: colore: oro-verde, odore di fruttato medio, sapore fruttato con media o leggera sensazione di piccante, acidità massima totale non eccedente grammi 0,5 per 100 grammi di olio.


{note semiserie e curiosità gastronomiche}

in ricordo di Mario Candiago, già vicepresidente della Accad. Enog. delle Tre Venezie

Elogio di sua maestà

il fagiuolo D

ato il suo altissimo grado di nobiltà, ama essere chiamato “il fagiuolo” e non volgarmente fagiolo, anche perché appartiene alla gran titolata Famiglia del Regno Vegetale, descritta diligentemente da un certo Signor Carlo Linneo come segue: “Specie volgare, genere fagiolo, famiglia papillonacee, ordine leguminoso, classe dicotiledoni, sottodivisione angiosperme, divisione fageromane, sottoregno cormofite regno vegetale”. Però l’appellativo di “vulgaris” non è mai andato giù a Re Fagiuolo il quale, nell’impossibilità di querelare il famoso naturalista nato svariati millenni dopo, allo scopo di non essere un volgare bifolco si è iscritto all’Università dove frequenta tuttora il secondo anno di agraria ed è per questo che gli studenti del secondo anno universitario vengono definiti “flatulentes phaseoli”. In ogni caso anche questa cruda definizione pare essere passata di moda,

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dopo la notizia pubblicata sui giornali (Il Gazzettino del 5 febbraio 1988) di una ventata innovatrice che arriva dall’America: il Daily Mail ha ufficialmente informato i suoi lettori che alcuni biologi dell’Università della Georgia, avrebbero inventato un procedimento semplice ed economico per neutralizzare nel fagiuolo la parte zuccherina indigeribile, unica responsabile della fermentazione gassosa nell’intestino e spesso involontaria causa di imbarazzanti equivoci specie in società. Il fagiuolo in ogni caso è un simpatico dono che ci ha fatto Madre Natura, dono prezioso al punto da essere definito, qui nel Veneto (e forse in tante altre parti) “la carne dei poveri”, anche se oggidì tale definizione è del tutto scomparsa. Qualis mutatio temporum! In ogni caso per noi Veneti il fagiuolo è sempre un Re che raggiunge l’apice della sua squisitezza in tutte le occasioni del suo impiego, ad esempio quando viene mescolato (basta un paio di cucchiaiate) alla propria por-

zione di radicchio insalata. Meglio ancora se quel radicchio, secondo le pretese di Jean-Jacques Rousseau,“è stato condito e mescolato dalle delicate manine di una giovinetta fra i quindici e i diciotto anni” ( non è molto chiara l’esclusione delle quattordicenni o diciannovenni). A proposito di “radicio e fasioi” (radicchio e fagiuoli) uno studioso della civiltà contadina, Ulderico Bernardi, nel suo “Abbecedario dei Villani”, precisa: “Perché i fagiuoli siano buoni da mangiare con radicchio ed insalata devono essere così densi che se un cucchiaio vi viene immerso rimane diritto, e il miglior modo per fare i fagiuoli è di cuocerli con gli ossi e gli altri scarti di macellazione del maiale”. Un anonimo veneziano del XV° secolo, ci tramanda una ricetta arcaica con la quale ci insegna addirittura a fare una torta di fagiuoli. Sentite: “Torta de faxoli freschi; toli li faxoli e fali coxere con la panza del porco, poi pesta li faxoli in mortaro e la panza con cortelo,


poi miteghe le meiore specie (spezie) che poi avere, e miteghe tanto formazo che sia la metà o almen el terzo del altro batuto e miteghe lardo vechio e faj la torta ed è perfetissima”. Il fagiuolo comunque è sempre una grande risorsa ed un piatto di fagiuoli può soddisfare qualsiasi palato. ad esempio, la minestra di pasta e fagiuoli, una gran minestra rustica che a detta di un poeta gastronomo italiano adempie brillantemente sette funzioni: placa la fame, spegne la sete, riempie lo stomaco, pulisce i denti, concilia il sonno, facilita la digestione e conferisce alle guance il colore della salute. Un piatto di fagiuoli fa sempre gola in tutti i tempi. Se esaù, figlio di Isacco e rebecca, diciotto secoli prima della nascita di Cristo, dette via la primogenitura per un volgarissimo piatto di lenticchie, cosa avrebbe dato via per un succulento piatto di fagioli con le cotiche? Sta di fatto che quella del fagiuolo è stata una delle creazioni più indovinate per l’intera umanità, dopo quella della donna, si intende. e a proposito di donna, se l’invenzione del tortellino viene spiegata come la comparizione della Dea Venere vestita di niente ad un oste emiliano, il quale entusiasta alla vista del famoso ombelico ne avrebbe immortalato la forma nel famosissimo tortellino, quale parte del corpo avrebbe dovuto mostrare la Ciprigna per ispirare l’invenzione del fagiuolo?

LA CAMPAGNOLA S O C . A G R . F R AT E L L I D A L A N

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{arte pasticcera} di Lorenzo Simeoni

Suevi

i

L’

idea progettuale volta a creare un dolce da abbinare al “Recioto” di Soave è nata circa tre anni fa, quando le cantine del territorio mi fecero notare che uno dei più nobili prodotti veronesi, il “Recioto” di Soave appunto, un vino in grado di gareggiare in qualità con i più rinomati vini passiti italiani, non aveva abbinamenti significativi con pietanze del territorio e neppure nell’ambito della pasticceria veneta. Iniziai dunque a ricercare un possibile prodotto dolciario che si potesse mettere in relazione a tale vino. La ricerca avrebbe dovuto mantenersi sugli stessi livelli di qualità e storicità che il vino dell’est veronese poteva vantare. Per questi motivi ho iniziato a documentarmi sui testi antichi che trattano il mondo della gastronomia, cercando uno spunto da cui partire. Fu in maniera del tutto casuale che trovai la risposta che tanto cercavo in una copia anastatica del testo di Maestro Martino, il più celebre dei cuochi del XV secolo, il “Libro de arte coquinaria”. Da questo testo, infatti, ho tratto lo spunto per la ricetta di una pasta di mandorle delicatamente profumata

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alle rose, che ritengo essere l’abbinamento ideale per il “Recioto” di Soave. Il marzapane all’epoca era una specialità molto gradita nelle corti rinascimentali dell’Italia settentrionale, grazie alla grande disponibilità di materie prime ricercate e preziose che un mercato come quello di Venezia poteva offrire. Ricordiamo infatti che mandorle, zucchero e rosa, che stanno alla base della ricetta dell’antico marzapane, erano già all’epoca ingredienti costosissimi e di estrema raffinatezza; elogiati con versi latini da Bartolomeo Platina nel suo testo “De Honesta Voluptate et Valetudine”. La ricetta attuale da noi riproposta si rifà in maniera quanto più filologica possibile all’originale: per rispettare il livello di eccellenza del “Recioto” di Soave anche i nuovi dolcetti - detti Suevi - si sono mantenuti sullo stesso livello qualitativo, a partire dalle materie prime della miglior qualità: mandorle dolci di Avola, zucchero di canna raffinato con le stesse tecniche in uso a Venezia nel XV secolo, ed olio essenziale di rosa damascena, secondo le indicazioni riportate nei celebri tacuina sanitatis del Quattrocento.

La ricetta è molto semplice, ma di difficilissima lavorazione: è stato solo grazie all’incontro e alla successiva collaborazione col Maestro Gianni Tomasi di Verona che sono riuscito a superare questo grande ostacolo. Gianni Tomasi, co-fondatore dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani, vincitore di numerosi premi prestigiosi e di cinque medaglie d’oro, è uno dei massimi conoscitori della tradizione dolciaria italiana e al contempo possiede grandi doti innovative e di ricerca. È grazie a lui che siamo riusciti a concretizzare l’idea originaria e a creare i Suevi, le cui prime sperimentazioni hanno avuto fin da subito dei risultati più che incoraggianti. Le fasi successive sono state quelle di perfezionamento del prodotto, per raggiungere il perfetto equilibrio tra le varie componenti del dolcetto e, non da ultimo, anche la realizzazione della sua particolare forma a coroncina, ottenuta mediante uno stampino creato appositamente per i Suevi, preso a modello dalle immagini del famoso libro “Opera” scritto nel 1570 da Bartolomeo Scapi, il celebre cuoco personale di Papa Pio V.


I molti riferimenti al periodo storico del primo rinascimento non sono affatto casuali: i Suevi, infatti, vogliono recuperare il legame col territorio e con il clima storico-culturale che caratterizzava le corti rinascimentali. La relazione con la terra veneta è costante nei rapporti lavorativi che il celebre Maestro Martino tenne con i suoi mecenati, a partire dal cardinale Ludovico trevisan, Patriarca di aquileia e Camerlengo di Santa romana Chiesa (effigie che precede), fino ai Papi veneziani: eugenio IV nato Gabriele Condolmer (qui a destra riprodotta la sua effigie) e Paolo II nato Pietro Barbo (qui se ne riproduce il busto scolpito). In questo contesto la città di Verona arrivò ad assumere un ruolo di grande rilievo, soprattutto grazie al Vescovo ermolao Barbaro (ecco l’affresco che lo raffigura e menziona), nativo del territorio veneto e appartenente ad una delle più nobili famiglie veneziane. Personaggio che senza ombra di dubbio volle emulare i fasti dei cardinali romani. Infatti uno dei suoi primi interventi, dopo la

Portogruaro

24•25 novembre 2012

“MOSTRA E LABORATORIO DEL CIOCCOLATO”

Portogruaro

Palazzo Municipale Sala Colonne Piazza della Repubblica

Prosegue l’impegno della Confartigianato Imprese Veneto Orientale nel promuovere le eccellenze artigiane. Nel corso della Fiera di Sant’Andrea a Portogruaro presenterà “dolcelemene” un laboratorio sul cioccolato sviluppato nell’ambito della filiera alimentare del Veneto Orientale.

Programma

Orari apertura stand: Sabato dalle 10.00 alle 24.00 / Domenica dalle 10.00 alle 20.00

ORE 10.00/20.00 Laboratorio di Cioccolato

Permette al pubblico di poter vedere in diretta dal vivo la lavorazione del cioccolato.

Choco World: Abc del Cioccolato

lorenzo Simeoni pasticciere veronese, è l’ideatore di un importante recupero culinario

ORE 10.00/20.00 (A cura di Acai presso la Sala delle Colonne del Municipio) Un viaggio alla scoperta delle origini del cacao e del cioccolato, con contributi ed idee che raccontano la filiera corta partendo dalla Fava di cacao tostata fino ad arrivare al prodotto finito.

Choco Gourmet Dimostrazioni & Degustazioni Sabato e Domenica / ore 11.00 / Lavorazione Cioccolato e Praline Sabato e Domenica / ore 15.00 / Come nasce una Sacher Sabato e Domenica / ore 16.00-18.00 / Laboratorio Baby

Spazio interamente dedicato ai bambini dove potranno cimentarsi nella realizzazione di cioccolatini e lavoretti con cioccolato dotati di tutte le attrezzature necessarie, grembiuli e strumenti per la lavorazione. I ragazzi saranno seguiti dagli esperti cioccolatieri Daniele Collaviti e Giancarlo Maestrone.

nomina a vescovo di Verona, fu la costruzione di un Palazzo principesco a Monteforte d’alpone, tuttora esistente nel suo splendore, luogo in cui egli era solito riunirsi con la sua cerchia di intellettuali per dilettarsi con la musica e la cucina e discutere di filosofia. è questo il clima culturale in cui vivevano i grandi signori del tempo nelle città dell’entroterra veneto ed è per questa cerchia di grandi prelati umanisti che Maestro Martino, anche lui innalzato al rango di artista, cucinava e sperimentava nuove espressioni dell’arte culinaria, ritenendole degne di essere ricordate dai posteri e riprese, anche dopo secoli, per altri nuovi e nobili abbinamenti.

A cura di

Con il contributo di

In collaborazione con

Con la partecipazione di

ASSOCIAZIONE DELL’ARTIGIANATO E DELLE IMPRESE MANDAMENTO DI PORTOGRUARO

30026 PORTOGRUARO VE | Via Camillo Valle, 42 | tel. 0421 28.49.11 fax 0421 28.49.99 | info@coveor.it | www.coveor.it


{vino & dintorni} di Antonio Scottà

La viticoltura nel

Veneto Orientale Dalla civiltà Paleoveneta alle Abbazie di Sesto al Reghena e Summaga (II parte) (continua dal numero precedente)

ProDUZIone e CoMMerCIo DeL VIno a PortoGrUaro neLL’aLto MeDIoeVo oggi l’agrologia e la pedologia hanno strumenti validissimi per indicare le zone vocate a vino, soprattutto l’analisi del terreno, delle sue composizioni chimiche e così via. Ma un terreno ha anche una storia e della storia tante volte si prendono delle indicazioni che hanno grande importanza. Perciò può non essere trascurabile la correlazione che la storia evidenzia nel Veneto orientale tra l’insediamento delle abbazie benedettine e quindi della bonificazione e coltivazione dei terreni e il fatto che, proprio in queste zone, oggi si trovi un prodotto vinicolo di qualità. Un documento che riveste un certo interesse per il nostro argomento è quello dell’inventario dei beni della

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Sede Vescovile di Concordia stilato nel 1339 dal vescovo Guido de Guisis. tale inventario aveva come scopo la certificazione e il recupero dei redditi della Chiesa concordiese che derivavano, oltre che dagli immobili, anche dalle corresponsioni in denaro o in natura che a titolo di livello, di affitto o di decime venivano fatte. I dati più interessanti ai fini della nostra ricerca sono quelli relativi alle zone vitivinicole e, inoltre, al dazio del vino e alla commercializzazione, di cui il vescovo si occupava. Sulle zone coltivate a vite non disponiamo di informazioni specifiche, salvo i casi in cui si parla di “campum vineatum” o anche di “plina vineata”, cioè di vigne, quindi di una coltivazione abbastanza distesa anche se variamente distribuita nel territorio. altre zone sono identificabili in base ai proventi in natura che si ricavavano, soprattutto i mansi.


nella gastaldia di Concordia, e in particolare nelle “ville” di San Giusto e di fossalta, numerosi mansi erano dati in affitto ad alcuni coltivatori. era preferita infatti, per le grosse entità terriere come in mansi, la concessione in latifondo. Così i sette mansi di San Giusto erano affittati ad un certo “riccobonus de tervisio”. Per ogni manso si dovevano tre orne di vino oltre ad altri generi quali frumento, avena, sorgo, spalle di porco, galline, uova e anche denaro. talora il vino è chiamato “terraneum”, termine che significa nostrano, cioè prodotto in loco; talaltra è detto “album” che indica il vino bianco, appunto, sempre nostrano. Spesso si trova la raccomandazione che sia “bonum”, per cui si desume che ce ne fosse anche di scadente o di dubbia autenticità. Lo stesso avviene nei mansi di fossalta che erano affidati a varie famiglie: Belle, Bon, Cancianus. anche lì ad ogni manso si doveva corrispondere con la misura delle tre orne, oltre al resto visto sopra. altri terreni coltivati a vigna si trovano nella contrada di S. Pietro, dove il vescovo aveva ben nove mansi; seppure non sia ricordato distintamente l’obbligo della corresponsione di un determinato numero di orne, è da ritenere che il canone sopra ricordato venisse rispettato. Il vescovo aveva inoltre dei terreni che faceva lavorare dai propri dipendenti. Da questi terreni ricavava notevoli quantità di vino, tanto che lo vendeva alla spina, cioè direttamente dalla botte e sfuso, a Portogruaro, in una caneva del suo palazzo. Questo avveniva già da immemorabile tradizione: “Habet hetiam ibi unam pozam vini de qualibet vase, quod vendi debet ad spinam” (Iura episcopatus Concordiensis, f. 21 recto). Quella caneva è rimasta in funzione sino in tempi recentissimi e si trovava appunto nella parte anteriore della barchessa del palazzo vescovile, nel lato verso il carcere, dove si vede il portone ad arco, sopra il quale v’era anche la scritta. Si tratta sicuramente di una delle più antiche rivendite di vino documentabili conosciute, non solo di Portogruaro ma forse anche del Veneto. nella gastaldia di Portogruaro c’era una parte piuttosto limitata di territorio agricolo, che si estendeva a nord della città. esso comprendeva la zona che da Portovecchio si estende verso Giai e ad est verso fratta. anche qui la vite veniva coltivata di frequente, an-

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dal 1950, C O LT I V I A M O L A PA S S I O N E P E R L A Q U A L I TÀ

Azienda Agricola VIGNA LISA di Aurelio Bellia Viale Treviso, 104 - Pradipozzo di Portogruaro (VE) Tel. +39 0421 204766 - Fax +39 0421 478172 www.vignalisa.it - info@vignalisa.it


nel tredicesimo secolo si trovano molti elementi che ci parlano della cultura del vino nel Veneto ed in Italia in genere

che se non sempre i canoni venivano corrisposti in natura. I livellari o gli affittuari di Portogruaro, avendo a disposizione del denaro, preferivano questa modalità di corresponsione anziché quella in natura. Interessante è anche il capitolo che riguarda l’importazione e l’esportazione del vino dalla gastaldia di Portogruaro. tali trasporti erano soggetti alla muta, cioè ad una tassa da corrispondere al “dominus loci”, in questo caso il vescovo. Per il vino vigevano particolari norme che tutelavano il prodotto e la sua commercializzazione. Per ogni orna di vino trasportata lungo il Lemene fuori da Portogruaro si dovevano pagare due soldi di piccoli veneziani. Per ogni orna di vino trasportata da fuori in Portogruaro si doveva pagare la stessa tassa. Il forestiero che voleva vendere vino portato da fuori, oltre che pagare la muta del trasporto doveva pagare pure quella sulla vendita. Gli indigeni invece potevano vendere e comperare il vino prodotto nelle gastaldie di Portogruaro e Concordia senza alcuna tassa. Il vino che arrivava a Portogruaro dal mare era di provenienza istriana, ma più frequentemente greca, ed era chiamato vino della romania o della Malvasia, località situata nella regione della Laconia (e. Degani, “Statuti civili e criminali delle Diocesi di Concordia”, p.21). Il vino della Malvasia è di solito chiamato “garbum” cioè asciutto, secco o aspro. nel XIII secolo si trovano molti elementi che ci parlano della cultura del vino nel Veneto ed in Italia in genere. Venezia è ormai un grande emporio mercantile, che ha esteso a oriente le sue rotte commerciali. Il vino di quelle contrade, intenso, aromatico, rigoglioso e di alta gradazione impone il suo gusto. Prima di estendere il loro dominio sulla terraferma, ai Veneziani non in-

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teressava molto il vino locale. Con il vino d’oltre mare invadeva i mercati dei grossi centri dell’entroterra. La produzione vinicola locale era quindi legata unicamente ai consumi interni. Già in questi secoli si ha notizia di procedimenti sofisticatori del vino, spesso effettuati per adattarlo al gusto di moda. Dagli Statuti civili e criminali della diocesi di Concordia si apprende che il vescovo aveva formalizzate alcune norme, che certamente risalivano assai indietro nel tempo e che erano attinenti sia alla sofisticazione del vino sia alla sua vendita. L’articolo 249 dei sopra citati Statuti stabilisce che: “se qualcuno con l’intenzione di fare del male o di guadagnare abbia da mescolare nel vino o in altre merci qualcosa di mortifero o di velenoso, sia bruciato vivo (igne concrematur)”. e inoltre: “se invece vi avesse aggiunto qualcosa di non velenoso o mortifero allo scopo di specularvi o aumentare il prezzo, avrebbe dovuto pagare una multa di dieci lire di piccoli”. al di là del fatto doloso, non farà certo meraviglia che la sofisticazione fosse applicata anche in questi secoli. Da quanto risulta, infatti, era finalizzata ad aumentare la disponibilità di vino nel mercato e, soprattutto, a risponde-

re alle esigenze del gusto. In tale operazione non difettava certo la fantasia. esiste, in proposito, tutta una letteratura riguardante soprattutto la sofisticazione di vini esotici. altra cosa dalla sofisticazione era invece l’aggiunta di acqua al vino. In tal caso l’oste scoperto doveva pagare una multa di dieci lire di piccoli. La vendita di vino era soggetta al controllo degli ufficiali del dazio; essi avevano la competenza di concedere l’autorizzazione alla vendita dopo il controllo e la bollatura delle singole fiasche di vino, per il quale l’oste doveva pagare una tassa entro sei giorni. Se si contravveniva a tale obbligo si doveva pagare una multa da dividersi per metà al vescovo e per metà ai dazieri (art.155). era obbligatorio pure vendere il vino con le misure adatte e non era tollerato computare “ad orecchio” la quantità di vino trasfusa da un recipiente ad un altro (art.156). L’oste che si rifiutava di vendere il vino alla spina al cliente che lo pagava in denaro o con dei pegni, era soggetto ad una multa (art.158). era proibito tener aperte le osterie nelle domeniche e nelle altre festività fino a quando non fosse terminata la messa solenne in chiesa; e così neppure dopo il terzo segno di campane alla sera le osterie potevano rimanere aperte. I contravventori dovevano pagare venti soldi di piccoli. tale norma non era applicata ai forestieri che erano di passaggio e agli ospiti delle locande (art.160). tutto ciò lascia intendere quale importanza avesse assunto il vino sul piano della vita pubblica e come a queste norme si fosse arrivati per degli abusi o eccessive esuberanze tali da compromettere la pubblica quiete, che s’erano ripetutamente verificati.


{personaggi del nostro tempo}

Gabriele

Ferron I

n una recente manifestazione svoltasi nell’ambito degli incontri delle Confraternite trivenete dell’Ucet, ho avuto il piacere di conoscere personalmente Gabriele ferron, che ha ricevuto un importante riconoscimento: le chiavi della città di Soave (Vr) per i suoi notevoli meriti professionali di maestro di cucina di fama internazionale, ambasciatore nel mondo di un tipico prodotto veneto di cui è anche uno dei tanti produttori della pianura veronese, il riso vialone nano igp. Gabriele ferron è chiamato in ogni parte del mondo per illustrare le qualità, le caratteristiche e la preparazione di tante sue ricette con questo straordinario cereale prodotto nella campagna di Isola della Scala, in cui è proprietario dell’antica riseria Pila Vecia. La risiera è conosciuta anche come luogo di incontro e di cultura in cui ferron svolge dimostrazioni e lezioni di cucina ed approfondisce la conoscenza della coltivazione e produzione del cereale. La storia di Gabriele ferron è straordinaria e ricalca quella di molti altri personaggi veneti ambiziosi e caparbi che, passo dopo passo, con fatica e umiltà, hanno guadagnato l’olimpo della notorietà. attratto dalla passione della cucina, esce di casa appena quattordicenne. Inizia a lavorare in diversi ristoranti della provincia di Verona dove ha

modo di apprendere l’arte culinaria, in particolar modo i piatti della tradizione veneta. rientrato in famiglia, si dedica con profitto agli interessi della ditta a conduzione familiare che produce riso Vialone nano Veronese. è allora che inizia a promuovere nel mondo il riso Vialone nano Veronese, raggiungendo l’apice del successo intorno agli anni novanta, con l’esportazione in tutto il mondo di sapori e prodotti della sua terra. nel 1979 è promotore della fondazione del “Consorzio per la tutela del riso Vialone nano Veronese”. Lo scopo del Consorzio è quello di tutelare non solo questa speciale varietà di riso, ma anche di vigilare sulle modalità della sua coltivazione. Le aziende agricole che collaborano a questo programma hanno, infatti, eliminato quasi totalmente i diserbanti e concimi chimici, sostituendoli con metodi tradizionali e naturali.

maestro di cucina, ambasciatore nel mondo della cucina veneta

Sono molti i momenti della sua vita da ricordare, come quel settembre del 1979 in cui, durante la raccolta del riso Vialone nano Veronese, la BBC realizza un film dove Gabriele ferron interpreta il ruolo di attore protagonista nell’atto di cucinare il riso nelle risaie. Il film è mandato in onda in molti paesi del mondo. Intorno agli anni novanta Gabriele è richiesto in prestigiosi ristoranti ed istituti di tutto il mondo. a Chicago vengono organizzati corsi di cucina e dimostrazioni di cottura riso presso il Kendall College e altri istituti alberghieri e ristoranti. altre lezioni e dimostrazioni di cottura del riso le ha tenute in Svizzera presso ristoranti italiani di Zurigo. nel 1991 gli è stata conferita dal presidente della repubblica italiana l’onoreficenza di “Cavaliere”. nello stesso anno, in austra-


{le ricette} Risotto alla pilota InGReDIentI (PeR 4 PeRSone) 320 g riso Vialone nano dl 7 di brodo di carne 200 g di lardo venato di magro 1 pomodoro ½ cipolla 1 rametto di rosmarino cannella 1 noce di burro sale e pepe

Risotto al tastasal

PRePARAZIone in un paiolo di rame versare il brodo. Quando sarà in ebollizione versare il riso a cono (la punta del cono deve emergere dal brodo per circa 1 cm.). Quando il brodo riprenderà l’ebollizione, muovete con un cucchiaio di legno il riso dal fondo della pentola, ricoprite e ponete la fiamma al minimo. In una padella sfriggete con il burro la cipolla tritata finemente, aggiungete il battuto di lardo con il rosmarino. Unite il pomodoro tagliato a piccoli pezzetti. Insaporite e portate a cottura. Dopo dieci minuti di cottura del riso aggiungete il condimento. Coprite la pentola con un canovaccio di lino ed il coperchio, spegnete il fuoco. Dopo 3-4 minuti mescolate il riso con una spolverata di cannella. aggiungete pepe e servite. nota: Come per il maiale, del riso non si butta via niente. La tradizione racconta che questa ricetta era preparata per sfamare le maestranze e, a cottura ultimata, veniva versata sulla panara usata solitamente per la polenta. Così conservato, nei giorni successivi veniva riscaldato in graticola sulla brace e consumato.

InGReDIentI (PeR 4 PeRSone) 320 g riso Vialone nano vino bianco 7 dl di brodo di carne 1 rametto di rosmarino 200 g di tastasal cannella 50 g di burro sale e pepe 60 g di grana grattugiato

PRePARAZIone portate ad ebollizione il brodo in una pentola (o in paiolo di rame se disponibile), quindi versate il riso a cono facendo emergere la punta di 1 cm. Quando il brodo riprenderà l’ebollizione, muovete delicatamente il riso, coprite e lasciate cuocere regolando la fiamma al minimo. a parte, in un tegame, insaporite il burro con il rosmarino, poi togliete il rosmarino e aggiungete il tastasal. rosolate la carne spruzzando con vino bianco e cuocetela. Dopo 10/12 minuti di cottura del riso, versate la carne, coprite il paiolo con un canovaccio ed il coperchio e spegnete la fiamma. Dopo 3 o 4 minuti mescolate delicatamente aggiungendo il grana e una spolverata di cannella. Servite. nota: Il tastasal è la pasta di salame, cioè l’impasto di carne di maiale, sale e grani di pepe nero frantumati grossolanamente, che viene utilizzato per gli insaccati. Il nome deriva dal fatto che, prima di venire insaccata, la pasta di salame viene assaggiata per tastarne la salatura e, un tempo, era questa anche l’occasione per usare un po’ di tastasal nel condimento di un risotto.

lia gli sono organizzate delle giornate enogastronomiche presso ristoranti italiani e scuole di cucina di Melbourne e Sidney quali the french Kitchen cooking school, il Cafè Grossi restaurant, il David Jones Store, il regent ed altri ancora. Le giornate eno-gastronomiche continuano ancora ad aukland (nuova Zelanda), in California negli Stati Uniti e in Canada. a takoma (Seattle) cucina in occasione della Society of Wine educators. non manca di essere invitato come ospite in alcune trasmissioni televisive, quali “Verde Verdissimo” condotta da Luca Sardella su rai Uno. La stessa rai mette in onda un servizio sulla riseria ferron nel programma condotto da osvaldo Bevilacqua. Sempre a livello nazionale, Gabriele ferron si è prodigato in serate di degustazione di risotti presso vari ristoranti che hanno a tale scopo organizzato alcune serate di gala vertenti sul tema: il riso in tavola, non solo in Italia, ma anche in ristoranti italiani di Svizzera e Germania, dove Gabriele ha ricevuto notevoli

consensi per le esecuzioni culinarie a base di riso. Durante il suo soggiorno a Pechino nel 1997, Gabriele ottiene il permesso di cucinare sulla Grande Muraglia Cinese per autorità locali e giornalisti, evento che ricorda sempre con orgoglio e soddisfazione. Per ricordare ancora momenti di vera gloria (culinaria s’intende!), basta riandare al 31 gennaio del 2007, quando organizza una Cena di Gala al Parlamento europeo a Bruxelles, in occasione dell’insediamento del nuovo presidente del Parlamento europeo. nel marzo del 2008 Gabriele partecipa all’evento organizzato dal Comune di Isola della Scala a Siviglia dal titolo “La Settimana Gastronomica a Siviglia”. è la persona incaricata per la Cena di Gala che si svolge nel prestigioso Hotel alfonso XIII con 150 persone, tra cui 14 Consoli di diversi paesi europei. In agosto Gabriele ferron, in occasione delle olimpiadi 2008 di Pechino, rinnova il suo doppio impegno di Chef e ambasciatore del riso nel mondo cucinando risotti in uno dei ristoranti italiani più

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conosciuti di Pechino. tra gli ospiti illustri che hanno degustato la cucina e i prelibati risotti tipici della nostra tavola, giornalisti raI, allenatori ed atleti italiani. In occasione dei Campionati Mondiali di atletica Leggera svoltisi in agosto a Berlino, la regione Veneto incarica Gabriele di prendere parte alla “Maratona del Gusto e delle Bellezze d’Italia”, un tour enogastronomico e turistico percorso su un truck personalizzato per l’occasione ed allestito anche con una cucina. Durante le 6 tappe di avvicinamento all’evento sono state presentate al pubblico di Berlino e del Brandeburgo le eccellenze della produzione enogastronomica e dell’offerta turistica della regione Veneto, al fine di promuovere bellezze e bontà del territorio. L’anno successivo, durante la 44.ma fiera del riso viene incaricato dall’ente fiera di Isola della Scala di cucinare alla serata “Il nobel del riso” organizzato in onore di Lech Walesa, ex Presidente della Polonia e premio nobel per la Pace 1983. a settembre la rubrica “Gusto” del tG5


registra alcune puntate dedicate al riso in cucina, filmando la preparazione di ricette stagionali che prevedono l’utilizzo di varietà di riso differenti e che evidenziano la versatilità di questo cereale. ad ottobre una troupe del programma di rai 1 “Linea Verde” e la conduttrice elisa Isoardi sono ospiti presso la Pila Vecia per girare un filmato sulla coltivazione del riso con il metodo biologico, la pilatura con il sistema tradizionale e la realizzazione di alcuni piatti tipici della cucina veneta. a novembre la riseria ferron e l’associazione “Le famiglie dell’amarone d’arte”, che riunisce 12 produttori del celeberrimo vino della Valpolicella, acquistano la Bottega del Vino. Questo locale storico simbolo di Verona, noto nel mondo per il vasto assortimento enologico nazionale ed internazionale, crea così un sodalizio tra il mondo del riso e il terroir veronese più rinomato. roma, 8 giugno 2011, Palazzo Colonna: la riseria ferron riceve il premio “Italia 150. Le radici del futuro”. In occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia Unioncamere ha selezionato 150 aziende da inserire nel registro nazionale delle Imprese Storiche Italiane per riconoscere quei meriti imprenditoriali che hanno contribuito alla costruzione del sistema economico italiano. La trasmissione televisiva “Melaverde” è ospite alla Pila Vecia per registrare una puntata sul riso. Gabriele ferron accompagna la conduttrice ellen Hidding alla scoperta della lavorazione con il metodo tradizionale, delle tecniche di coltivazione e della versatilità del riso in cucina. In occasione di una puntata interamente dedicata al riso e alla sua storia, lo Chef Gabriele ferron è invitato negli studi di fuori tG per un confronto con una nutrizionista sull’utilizzo del riso in cucina e sulle sue proprietà nutritive. Questo è Gabriele ferron, uomo ed artista, onore e vanto tutto veneto, che per i lettori di questa rivista, regala alcune sue personali ricette. Il risotto alla pilota, ricetta che risale al 1700, quando il piloto, l’artigiano che lavorava il riso nella pila, usava cucinarlo in un paiolo di rame con il lardo di maiale. Quando i piloti sono diventati i padroni delle pile ed hanno avuto la possibilità di condire il riso non con il lardo, lo scarto della carne, ma con il più pregiato impasto del salame di maiale, la ricetta del risotto si è gradualmente trasformata in risotto al tastasal.


{cibo e territorio} di Leandro Costa

Andàr per

Funghi r

aggruppata all’interno della storica Loggia di Piazza, a fianco del Palazzo Municipale di Bassano del Grappa, la folta rappresentanza delle Confraternite trivenete, vestite nei loro caratteristici paludamenti, è accolta dal saluto del Sindaco e dell’assessore alla Cultura. Quest’ultimo ci descrive lo storico sito risalente al IV secolo, le cui pareti sono decorate da 120 stemmi affrescati da Jacopo da Ponte e dal grande affresco raffigurante San Cristoforo patrono dei viandanti, opera di francesco Bassano il Vecchio, padre di Jacopo. Dopo il saluto, il gruppo prosegue a visitare il centro storico, sostando nella famosa distilleria del Ponte per il brindisi di prammatica con un bicchierino di grappa bassanese che fa da aperitivo. Siamo nel tardo settembre, periodo che apre l’autunno e con esso si rinnova la raccolta dei funghi nei boschi di cui il Monte Grappa è

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generoso elargitore. Si è scelto di pranzare in un ristorantino lungo la riva del Brenta nei pressi del Ponte degli alpini; naturalmente il menu è rispettoso della stagionalità, quindi predilige le pietanze a base di funghi. tra queste spicca un delizioso risotto di porcini raccolto nei boschi del Sacro Monte, consumato in compagnia di un illustre personaggio, il dottor Pieremilio Ceccon, appassionato ricercatore di funghi con una particolare passione per la fotografia in campo micologico. In premessa, il micologo ci illustra il meraviglioso mondo dei funghi attraverso una lunga serie di diapositive. Le immagini da lui immortalate tra i boschi sono state raccolte e stampate in un calendario incredibilmente bello ed interessante, ricco di notizie sulle varie qualità di funghi presenti nel territorio bassanese; si descri-

vono il loro habitat, le loro proprietà e qualità organolettiche, elargendo alcuni utili consigli sulla loro raccolta e conservazione. Mi si dice, perché io non sono propriamente un esperto ma molto di più raffinato degustatore (sic!), che l’autunno è il miglior periodo per la raccolta di funghi e che come regola generale la loro crescita è particolarmente legata alla stagionalità e a determinate condizioni climatiche e ambientali; vale a dire che il clima non deve essere eccessivamente freddo o troppo caldo e il terreno deve avere un certo grado di umidità. non stiamo quindi a descrivere le varie specie di miceti, che per me sono soprattutto belli da vedere e gustosi da mangiare; parliamo, invece, della loro raccolta nel periodo autunnale e del loro utilizzo in cucina, approfittando delle tante notizie

riportate nel calendario di Pieremilio Ceccon e aggiungendo l’esperienza di un appassionato raccoglitore locale, Giuseppe Gorga, che si considera dilettante ma prudente e interpellando, infine, anche il Corpo forestale dello Stato. Proprio con l’arrivo dell’autunno sono molti gli appassionati che si avventurano all’interno dei boschi, correndo molto spesso dei rischi, come ci informano le cronache: persone disperse, malori, ferite e, nel peggiore dei casi, decessi. Giuseppe mi conferma che per andare a funghi senza il rischio di tornare a casa a mani vuote, bisogna sapere dove e quando cercare. L’ambiente boschivo è l’ideale ma ci si deve addentrare almeno un’ora dopo l’alba e bisogna uscire almeno un ora prima del tramonto. Bisogna anche sapere che i miceti si legano in simbiosi con diverse piante, spesse volte mimetizzati nel sottobosco, tra cespugli e vegetazioni arboree. nel mese di otto-


bre arriva il vero autunno: diminuisce la luce del giorno e i boschi cominciano a vestirsi di nuovi colori che compaiono completamente con il mese di novembre. La piovosità solitamente aumenta e la temperatura cala di qualche grado favorendo la crescita di molte specie di boleti, porcini come il leccinus e il pinophilus, i finferli, ecc. “Quando mi inoltro nel bosco – afferma il nostro amico – mi vesto pesante per non soffrire il freddo o per affrontare un’improvvisa burrasca: è meglio comunque informarsi prima sulle previsioni meteorologiche. Calzo un paio di scarpe robuste e non scivolose e scelgo un percorso adatto alle mie abilità fisiche. Mi munisco di un solido bastone che mi aiuti a rimanere in equilibrio e mi faccia sentire più sicuro nel camminare. Se sono da solo mi porto sempre appresso il cellulare e se sono in compagnia anche un fischietto per segnalare la mia posizione. Se parcheggio la macchina ai bordi del bosco, vi lascio un biglietto con alcuni dati per aiutare un mio eventuale soccorso”. è indispensabile portarsi dietro un cestino di vimini per appoggiare i funghi raccolti e pulirli dal terriccio con l’aiuto di un temperino e di uno spazzolino. “Il fungo per me è qualcosa di sacro – specifica l’amico – e come tale va trattato con rispetto perché mi offre delle sensazioni uniche”. L’esperto micologo Ceccon consiglia di raccogliere solo i funghi in perfetto stato di conservazione, tralasciando gli esemplari molto sviluppati, alterati, invasi da larve e/o muffe, fradici di acqua e che abbiano subìto gelate. Si devono raccogliere solo esemplari ad uno stadio di sviluppo tale da permettere il sicuro riconoscimento, perché quelli troppo giovani possono essere facilmente

scambiati con specie velenose. Si deve evitare di raccogliere funghi che non si riconoscono; se si è dei principianti è meglio limitarsi a prelevarne 4/5 esemplari anche in diverso stato di sviluppo, avendo cura di conservarli separatamente in attesa di farli riconoscere da un esperto. Si deve poi evitare di raccogliere funghi in aree inquinate, come discariche, scarpate di strade ad intenso traffico, parchi cittadini, aree agricole con coltivazioni trattate con antiparassitari. Per saperne di più si consiglia di recarsi presso un ufficio del Corpo forestale dello Stato o in altri uffici provinciali e comunali, che distribuiscono un volantino riportante l’estratto di legge regionale 19 agosto 1996, n.23 (B.U.r. 23.8.1996,n. 78). Si tratta della legge che disciplina la raccolta e commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati. In particolare la legge regionale stabilisce che la raccolta dei funghi è subordinata al rilascio di una autorizzazione, prescrive i limiti, le modalità e i divieti della raccolta, indicando le specie, le dimensioni e il quantitativo massimo di funghi che si possono raccogliere, il calendario dei giorni consentiti per la raccolta, le zone di divieto nelle aree protette come i parchi nazionali e le riserve naturali, nonché le sanzioni per quanti violino le disposizioni di legge. “Vi sono altre regole e consigli utili per il loro consumo – riferisce l’esperto micologo dr. Ceccon –. I funghi raccolti o acquistati vanno riposti in frigorifero puliti e cotti poiché si alterano molto facilmente. nel caso si abbia anche un minimo dubbio sul riconoscimento, si deve evitare di consumarli e sottoporli a controllo da parte di persone qualificate ed esperte che generalmente operano presso Ispettorati delle USL locali. è bene

tener presente che non esistono metodi empirici per verificare se un fungo è commestibile o velenoso (prove con l’aglio o monete d’argento che dovrebbero cambiare colore alla cottura); l’unico sistema certo è il riconoscimento da parte di un esperto qualificato. I funghi buoni per il 95% circa della loro superficie sono composti soprattutto da acqua e sali minerali come ferro, fosforo, rame e manganese. Contengono particolari proteine, la lisina e tripofano, con un’alta percentuale di vitamina B e B12. Sono degli ottimi antiossidanti. Una notizia riportata di recente sul quotidiano “La Stampa” informa che, stando ad una recente ricerca compiuta da alcuni scienziati dell’Università Statale dell’arizona, i funghi favoriscono il sistema immunitario contro l’attacco di agenti patogeni per cui, consumati regolarmente, proteggono il corpo dallo sviluppo di tumori, sono depurativi e lassativi; se sono inseriti in una dieta corretta aiutano a dimagrire, aiutano a prevenire malattie cardiovascolari, abbassano il colesterolo. al contrario sono controindicati per chi soffre di gotta e calcoli e possono dare problemi a chi è allergico alle muffe e ai lieviti. I funghi, si sa, non appartengono né al regno vegetale né animale, ma ad un regno a sé stante, quello dei miceti. Sono ricercati perchè favoriscono le diete poiché contengono pochissime calorie e con i loro profumi e sapori deliziano i nostri sensi, consentendoci di preparare sfiziosi piatti. Si ricorda che vanno mangiati sempre ben cotti (salvo alcune eccezioni), se consumati crudi possono risultare indigesti e, in alcuni casi, velenosi. Il ben noto “chiodino”, ad esempio, causa seri disturbi intestinali se non viene adeguatamente cotto in quanto contiene delle tossine che vengono inattivate con la

cottura. Un ultimo consiglio: si devono consumare quantità limitate di funghi perché sono “pesanti” da digerire. ed ora annotatevi questa sfiziosa ricetta regalatami da un noto ristoratore, tanto saporita e profumata, da assaporare proprio in questo periodo di autunno.

{la ricetta}

tagliolini caserecci con porcini e cappesante PeR 4 PeRSone Preparare la pasta nel modo tradizionale (gr. 200 di farina 00, gr. 50 di semola rimacinata, 3 uova intere più altri 2 tuorli, sale). tagliare sottili quattro porcini (ben lavati) di media grandezza e saltarli a fuoco vivo per qualche minuto in leggero fondo di olio e.v. di oliva. a parte, tagliare a pezzetti 10 cappesante ben pulite e padellarle per circa due minuti con un fondo di spicchio di aglio e poco prezzemolo. Unire funghi e cappesante, amalgamare con un po’ di brodo di pesce, salare e pepare. Cuocere i tagliolini e saltarli con il sugo ottenuto; servirli caldi guarnendo con un ciuffo di prezzemolo.

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{sapori e tradizioni} di Gian Luigi Secco

La lunga strada della

GRAPPA L’

arte della distillazione è certamente antica ed è una delle più importanti operazioni dell’alchimia, la scienza precorritrice della moderna chimica che intendeva indagare il vasto e misterioso mondo dei rapporti tra i corpi, i materiali e le sostanze nel tentativo di trarne, modificarne e combinarne l’essenza. non a caso coloro che si avvicinavano a questa pre-scienza erano persone particolari, sacerdoti, medici, maghi o stregoni, a seconda della tensione motivante e della loro collocazione sociale e culturale. erano tutti sorretti, comunque, da una curiosità tale da sfidare un mondo ancorato ad un concetto di stabilità immutabile, violando il quale si poteva anche rischiare la vita. Il tentativo di modificare la natura, che si identificava con Dio, poteva essere inteso come

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profanazione della volontà e dell’essenza divina. Sembra che Persiani ed egizi conoscessero i principi della distillazione, diffusi poi tra Greci e romani, e che il campo di applicazione fosse principalmente quello della cosmetica. Si ha però ragione di credere che i primi conoscitori della tecnica di distillazione dell’alcol siano stati gli arabi, i quali compresero le sue proprietà estrattive nei confronti delle altre sostanze, sviluppando i sistemi di riduzione delle essenze per mezzo di questa tecnologia. La distillazione delle sostanze odorose, specie della cosiddetta “acqua di rose”, sostanza molto apprezzata ed utilizzata in ogni possibile frangente, spinse ad una continua ricerca che stimolò il progresso tecnico portando, poco per volta, al miglioramento dei sistemi di riscaldamento (da quello solare, al fuoco, alla predisposizione di più fasi di evaporazione

a temperature differenziate) e a quelli di raffreddamento (condensazione con sistemi ad aria e poi ad acqua). La scoperta dell’alcol distillato avvenne allorché si provò a distillare bevande alcoliche come il vino, il sidro (vino di mele) o l’idromele (vino di miele). Il fatto che il prodotto ricavato e raffinato più volte potesse di per sé bruciare diede origine a quel nome di aqua ardens che rimane ancor oggi a denominare genericamente i super-alcolici nelle lingue ispaniche (aguardente). Il termine acqua vitis sembra che sia derivato dall’introduzione della serpentina di raffreddamento, fatta a forma di vite, già certamente in voga nel Duecento, come si può leggere in un passo tratto dai “Consilia” di taddeo alderotti. Il medico fiorentino nella sua opera descrive perfettamente una caldaia di distillazione dotata di canne serpentis. Michele Savonarola, medico padovano (1384-1462), nel trattato “De arte confetionis aquae vitae” conferma questa descrizione, specificando che “ab istrumento vero antiquorum sitis


La Di.al. Bevande propone una carta di liquori con ben oltre 100 etichette disponibili di cui una quindicina di selezionate grappe tra le quali troviamo Candolini, Maschio, Nardini, Nonino, Gaiarine, Storica, Primeuve, Banda Rossa, Williams Roner e Marzadro. I clienti possono così disporre di una vasta gamma di prodotti e di un servizio che garantisce anche minime forniture: il servizio di consegna anche di una singola bottiglia offre infatti la possibilità di acquisti minimi e di una maggiore rotazione delle giacenze grazie anche alle puntuali consegne settimanali. Di.al. Bevande si propone, inoltre, per l’impostazione, la stampa e la realizzazione della Carta Liquori del cliente in base alle referenze scelte. L’azienda, formatasi nel 2003 da persone che operano da oltre trent’anni nel settore del servizio e della distribuzione di alimentari e bevande, è quotidianamente al fianco di oltre 600 clienti dislocati tra l’entroterra Veneto e Friulano, da San Donà di Piave a Pordenone, passando per Portogruaro fino ai comuni della Pedemontana friulana, e le vicine località balneari come Caorle, Bibione, Jesolo e Lignano.

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dicto in modus vitis retorte facta, aqua vitis appellata est”. L’uso del più noto termine acqua vitae, cioè acqua di vita, acqua vitale, deriva probabilmente da una trasposizione del termine tecnologico di acqua di vite in questo di similare pronuncia ma assai più carico di significati poiché sembrava descrivere perfettamente le qualità presunte del prodotto, considerato, dal nostro autore, un vero e proprio elisir della salute, una quintessenza dalle mille virtù terapeutiche. L’uso dell’acquavite a scopo medicinale fu fenomeno di tale dimensione da giustificare l’enorme popolarità assunta nel tempo dal distillato che, fino a pochi anni fa, veniva conservato in ogni casa nostrana, anche la più povera. La preziosità del prodotto deriva specialmente dal fatto che lo si considerava un preventivo e curativo di molti malanni, in particolar modo della temutissima peste. Nel XV e XVI secolo sono molti i medici che in tal senso lo raccomandano. Emblematica è questa ricetta tratta dagli “Esperimenti” di Caterina da Forlì (manoscritto del XVI secolo, pubblicato da P.D. Pisolini in “Caterina Sforza, vol. III, Roma 1893), che così la definisce in qualità, dosaggio e struttura: “Acqua perfetissima a guarire peste et vermi. Ad uno uomo se ne dà un quarto, ad un mammolo mezzo quarto, ad un piccolino una ottava. Piglia mezzo boccale de acqua vita nella quale poni le infrascritte cose, ientiana, termentilla, dittamo, carlina una oncia e mezza, mele(miele) cotto e despumato quanto te pare et adopera.” È interessante notare come molti degli ingredienti aromatizzanti e medicamentosi

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come la genziana (genziana lutea L.), la tormentilla (tormentilla erecta L.), il dittamo bianco (dictamus albus L.) il cardo dorato (carlina acaulis L.) siano ancora usati nelle grappe familiari, così come è utilizzato il miele in qualità di dolcificante e perseverante. Le dosi massicce, consigliate anche ai più piccoli, sembrano poi proporzionali al timore della malattia. Le prodigiose qualità terapeutiche attribuite all’acquavite contribuirono notevolmente alla diffusione del suo uso anche a scopo voluttuario, come medicina preventiva ed efficace con cui si cercò di migliorare sapore ed aroma in mille modi diversi. Dal connubio tra l’essenza di rose e l’acquavite, leggermente dolcificata e aromatizzata con segretissime dosi speziali, nacque il famoso Rosolio Veneziano che conquistò i favori di tutto il mondo. Sempre tra Venezia e Firenze si diffuse il “populo”, la cui ricetta fu esportata in Francia da Caterina de’ Medici, che così lo descrisse: “le populo etait fait avec de l’esprit de vin, de l’eau, du sucre, du musc, de l’ambre, de l’anis et de la canella” (acquavite di vino allungata con acqua dolcificata, anice, cannella, muschio e ambra). Da notare che il muschio è una sostanza altamente odorosa ricavata dalle ghiandole periombelicali del Moschus moschiferus, una specie di capriolo dell’Asia centrale; l’ambra è una sostanza odorosa ricavata da secrezioni intestinali del Physeter macrocephalus, un capodoglio dei mari di Giava. Venezia ebbe certamente un ruolo importantissimo nel settore dei distillati e della loro elaborazione, facilitata in

ciò dalla tecnologia vetraria di Murano, dalla disponibilità di spezie e dalla molteplicità di informazioni acquisiste delle in quanto centro commerciale per eccellenza. Già nel 1601 gli acquavitai veneziani erano riconosciuti come corporazione, godevano di particolari privilegi (nel tempo, l’appalto del ghiaccio, la vendita del caffè e dei rosoli) ed esportavano normalmente il loro prodotto. A quanto pare la distillazione, almeno fino a tutto il Settecento, fu prerogativa di artigiani specializzati e non si sa di preciso quando avvenne la popolarizzazione della tecnologia lavorativa che consentì ai coltivatori di viti di produrre il distillato ricavandolo da un sottoprodotto dell’uva ossia dalla vinaccia fermentata, fino ad allora utilizzata come conservante invernale per rape e cavoli. Questo tipo di distillato prese il nome di graspa o grappa , forse in riferimento al graspo (raspo) dell’uva spremuta da cui traeva origine. Nei paesi pedemontani e montani del Veneto divenne comune anche il termine di sgnàpa, direttamente derivato dal tedesco “schnaps” che significa analogamente grappa. Nel Novecento, specie durante i periodi di guerra, la grappa veniva consumata dalle truppe di montagna per la sua capacità di alleviare il senso del freddo e la stanchezza, ossia di dare sensazioni di benessere ed euforia e, se assunta in dosi massicce, di scacciare la paura del nemico prima degli attacchi all’arma bianca (altri direbbero di aumentare il coraggio). Lo sviluppo del consumo portò ad una maggiore necessità produttiva; la produzione e il commercio di grappa divennero una possibile fonte di reddito integrativo, specie per le classi contadine più povere. Il monopolio statale sui distillati, e le tasse pretese su di essi, pose molti contadini nelle condizioni di diventare contrabbandieri nel tentativo di evitarle. Perciò la distillazione della grappa era fatta di nascosto, di notte e in luoghi dai sentieri quasi inaccessibili. Graspa da troj, ossia da “sentiero”, è il nome ancora in voga per indicare questo tipo di acquavite rustica e forte, ossia fatta alla svelta, prodotta per palati temerari. La produzione e il contrabbando di acquavite consentì la sopravvivenza di molte famiglie venete durante i periodi di guerra nella prima metà del secolo scorso, e vi sono persone che ancora lo possono testimoniare. Occorre sottolineare come, nella tradizione popolare nostrana,


per grappa si intenda il solo distillato di vinaccia e non altro. A dire il vero, fino alla generazione dei nostri nonni, essa ha continuato a portare principalmente il nome di acqua vita o acqua de vita e a conservare il suo principale ruolo medicamentoso. Con essa si facevano frizioni alle parti doloranti del corpo o alle gambe troppo stanche per la fatica; si usava come disinfettante delle ferite, in alternativa all’aceto. Si metteva nel latte caldo dolcificato col miele per combattere il raffreddore, l’influenza, il mal di gola, le costipazioni; si aggiungeva perfino nella pasta dei dolci come i crostoli e biscotti, o addirittura si aggiungeva, in piccola dose, nella cottura in umido della selvaggina. Con l’acqua bollente e la salvia si usava, ancora, per alleviare il mal di stomaco (graspa al salto); mio nonno la usava anche per sciacquare i denti credendo di preservarli, oppure per imbevere un pezzettino di chiodo di garofano da inserire nella zona dolente. La grappa si versava anche, una volta finito il pranzo, nella tazzina dove si era bevuto il caffè e l’operazione, nota col termine resentìn, ossia risciacquo, contribuiva a scaldàr el stòmego e a favorire una buona digestione. Per il medesimo scopo erano egualmente usate le conserve de fruti soto la sgnàpa. Tipiche erano le conserve di uva passa, cannella e miele, ma anche quelle ottenute con piccola frutta fresca. Bisognava solamente avere l’accortezza di non staccare i piccioli, per evitare che l’alcool penetrasse nelle polpe attraverso i canali naturali del frutto. Uva bianca, ciliegie, prugne, corniole finivano facilmente in vaso, ma anche piccoli pèrseghi, e armellini si adattavano facilmente. L’abitudine di far macerare nella grappa erbe aromatiche o curative è abitudine comune da quando esiste l’uso del prodotto per fini medicamentosi. Per aiutare la digestione e combattere il “mal di stomaco” si utilizza la genziana, erba dal gusto amaro ma efficace come rimedio; più gradevoli sono invece l’erba ruta, i semi di anice e, molto usati tra i monti, i semi di finocchio selvatico, la salvia, la menta, la radice del tarassaco, tanto per citare i più comuni. Grappa con le gemme del pino mugo e miele è utilizzata come toccasana per il catarro e per le affezioni delle vie respiratorie, come pure quella con le bacche di ginepro per il raffreddore. Non mancano grappe con la dosa, ossia con un misto di droghe, entrata nel patrimonio regionale gra-

zie alla storia di Venezia (con cannella, chiodi di garofano, pepe e semi aromatici particolari come il cardamomo e il coriandolo), cui si affiancano grappe con più modesti semi nostrani, come quelli prevalentemente essiccati di mela o melograno, dal risultato sorprendente. Un discorso a parte merita il nocino os-

sia un liquore a base di noci che, per rituale, vanno raccolte nella notte di San Giovanni e si mettono come sono (verdi, col loro mallo) nell’acquavite assieme ad una dose di zucchero o miele lasciando macerare lentamente e quindi filtrando. Al liquore sono attribuite proprietà curative e corroboranti straordinarie.

Note Tecniche La grappa detta anche acquavite è un distillato di vinacce di uva. Le vinacce sono composte da bucce, vinaccioli, da parti di polpa e di mosto non spremuto, a volte dai graspi, ossia dai residui solidi della pigiata. Se si tratta di residuo fresco esse si dicono vinacce vergini; se, invece, sono lasciate a contatto con il mosto si chiamano vinacce fermentate. Il processo di distillazione avviene riscaldando in una caldaia (alambicco) la materia di partenza: un calore controllato trasforma in vapore l’alcol contenuto nella massa (che è più volatile dell’acqua), che viene poi raffreddato mediante il passaggio in una serpentina: così si ricondensa raccogliendosi in forma liquida. Esistono due metodi di distillazione: quella continua, usata nel procedimento industriale, e quella discontinua, operata nelle lavorazioni artigianali e di pregio. La grappa è composta da acqua per circa il 60%, alcol etilico, alcol metilico (1 ml per 100 ml di etilico), alcoli superiori, esteri, aldeidi e acidi; la gradazione alcolica minima è 38°, ma il prodotto origina-

le della distillazione è molto più alcolico (fino a oltre 50°). Il tenore viene abbassato con l’aggiunta di acqua distillata. La resa dell’operazione di distillazione si avvicina in genere al 10% (9-11 litri di grappa per 100 kg di vinacce). Le fasi più delicate della distillazione sono il taglio della “testa” e della “coda”, cioè delle due parti estreme sature di metanolo, e la conservazione del “cuore” dell’acquavite. In questa fase si esalta la perizia dei maestri distillatori che sanno precisamente quando raccogliere il meglio del distillato. La grappa ha colore bianco carta, paglierino o ambrato. La si può consumare anche immediatamente ma, di solito, la si invecchia almeno per un anno in botti di rovere o frassino. Solo in questi ultimi anni si è iniziato a realizzare distillati di un solo vitigno che ne valorizzano ed esaltano le specifiche qualità (grappa di Moscato, di Picolit, di Sauvignon, ecc.), anche se storicamente si hanno notizie di monovitigni fin dal 1898. La macro regione del Triveneto è in assoluto la maggiore e migliore produttrice di distillati.

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{storia e innovazione}

Evoluzione della cottura del cibo

O

gni innovazione tecnologica e scientifica ha sempre apportato un positivo contributo all’alimentazione, soprattutto se applicata al recipiente di cottura del cibo che è uno strumento di mediazione fra la fonte di calore e l’alimento. Partendo dall’era primordiale in cui si usava cuocere il cibo su fiamma viva, su piastra riscaldata o sotto la cenere, si è giunti ad usare contenitori in terracotta. Questa grande rivoluzione, oltre che a segnare un punto fermo nell’evoluzione della civiltà, ha dato origine alla cucina moderna. I contenitori di terracotta, gres e porcellana derivano tutti dall’argilla e il loro uso

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si è affermato con l’introduzione della terraglia resistente al fuoco. Lo sviluppo dell’industria della ceramica ha creato tante forme di contenitori adatti per la cottura di ogni cibo. L’argilla resiste a lungo, anche dopo l’avvento di metalli come l’oro, l’argento e il rame che ebbero soprattutto un uso ornamentale. La pentola, o paiolo di bronzo, ha sostituito, col passare del tempo, l’antica pentola di pietra ollare, chiamata anche pietra saponaria. I recipienti di solito erano appesi alla catena del camino per mezzo del manico ad arco, oppure adagiati direttamente sulle braci o sulla legna accesa. Il rame invece è stato uno dei primi metalli ad essere utiliz-

zato dall’uomo, per la facilità di rinvenimento e la semplicità del suo processo di estrazione e lavorazione, eseguito con la semplice battitura e con la fusione. Questo metallo non fu immediatamente impiegato per scopi culinari, poiché all’inizio era prevalentemente usato per fabbricare pugnali ed asce. Siamo nell’epoca preistorica definita, appunto, “età del rame”. Un altro materiale sicuramente importante, anche ai giorni nostri, è la ghisa. Le prime notizie pervenute sulla ghisa risalgono al 1533. Da oltre quattro secoli è utilizzata anche per produrre oggetti che hanno la loro dimora nelle cucine: dai camini, alle stufe, alle macchine per cucinare e agli utensili per cuocere. Il suo peso e il suo spessore permettono ai recipienti fabbricati con questo materiale di immagazzinare e fondere il calore, evitando surriscaldamenti localizzati ed assicurando una cottura omogenea. L’impiego dell’alluminio in cucina invece è relativamente recente, risale alla metà del XIX secolo.

Dopo il rame, materiale principe per la produzione del pentolame, l’alluminio ha trovato il suo massimo impiego grazie alla grande conduttività termica, inferiore solo a quella dei metalli preziosi e al rame stesso. Nei recipienti d’alluminio, per questo motivo, il calore si distribuisce uniformemente, non solo sul fondo ma anche sulle pareti; ciò evita surriscaldamenti locali e quindi pericolose alterazioni dei cibi. Nella cucina moderna l’impiego di contenitori d’acciaio inossidabile ha fatto la sua comparsa da pochi decenni, dopo avere esordito nei rivestimenti degli arredi. Il suo utilizzo è stato favorito dall’aspetto estetico, assicurato dalla brillantezza del materiale e dall’immagine positiva indotta dall’alto costo. Negli anni ’60 l’acquisto di batterie lucenti rappresentava una gratificazione sociale per gli utilizzatori, che vedevano in questo un’espressione di benessere. L’ultimo ritrovato sono le moderne pentole rivestite con una sostanza chiamata teflon, per


minimizzare il rischio che il cibo aderisca alla base della pentola. Lo stesso percorso innovativo è stato seguito dai forni di cottura, dai primi costruiti in creta riscaldati a legna, a quelli costruiti in mattoni con il piano di ghisa, per giungere agli attuali altamente tecnologici che funzionano a gas metano, elettrici, a conduzione, a convenzione con trasmissione di calore e vapore, a microonde. Enorme diffusione, specie nei ristoranti, hanno avuto i forni a convenzione che si basano sul metodo della trasmissione di calore che avviene tra un corpo solido, il cibo, e uno fluido come l’aria, l’acqua e il vapore. Nelle cucine di oggigiorno la cottura del cibo si effettua anche attraverso l’irraggiamento, cucinando quindi “alla griglia” nei forni statici oppure a raggi infrarossi. Anche la cottura a microonde si basa sulla trasmissione del calore per irraggiamento, ma in questo caso l’energia liberata dalle onde elettromagnetiche fa vibrare alcune molecole dell’alimento che si scaldano per attrito. Tempo fa, presso una nota industria che fabbrica elettrodomestici, ho avuto modo di assistere ad una dimostrazione della cottura del cibo attraverso la cucina ad induzione, un metodo moderno, innovativo ed altamente tecnologico che si sta imponendo diffondendo sempre più. Mi ha impressionato la totale assenza dalla cucina dei classici fornelli, sostituiti da una superficie piatta, liscia e nera sopra la quale viene generato un campo elettromagnetico che crea all’interno delle pentole postevi sopra delle correnti chiamate “Focault”, dal nome del loro inventore. Queste correnti trasformano l’energia magnetica in calore. Questo processo provoca il riscaldamento della pentola che cuoce velocemente il cibo posto al suo interno. Il campo magnetico, e di conseguenza il calore, si sprigiona solo a contatto con la pentola e solo all’interno del diametro della pentola. Non ci sono fiamme, il calore rimane imprigionato nella sola pentola tanto che non c’è il rischio di scottarsi toccando la piastra che rimane fredda e anche pulita. Sostiene un noto chef di ristorante e di scuola alberghiera che le attrezzature di cucina, siano esse tradizionali o moderne, non devono condizionare la preparazione delle pietanze, ma consentire di operare nelle migliori condizioni per ottenere il miglior risultato. Si può, quindi, usare ogni varietà di strumento, purché non si vada ad alterare la qualità del cibo che si sta preparando. Si possono utilizzare, comunque, i diversi sistemi richiesti, sia la cottura per espansione o per concentrazione che la cottura mista secondo la classica metodologia della cucina tipica e tradizionale.

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{salute in tavola} di Giancarlo Stival

MANGIARE GRANO non sempre è sinonimo di

Q

“NUTRIRSI”

uando parliamo di grano parliamo di pasta, alimento simbolo della tradizione italiana in cucina. Il grano oggi in commercio presenta tassi di muffe altissimi. L’Aspergillus, il Penicillium e il Fusarium sono funghi che producono micotossine dannose per l’uomo. I lunghi periodi di stoccaggio del grano nei magazzini sono la causa principale del diffondersi di queste tossine. L’Unione europea nel 2006 ha

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alzato con un colpo di mano i livelli accettati di micotossine presenti nel grano duro. Questo ha fatto sì che molti Paesi producessero grano duro in climi non adatti, badando solo alla quantità e danneggiando i contadini che in Italia producono grano di buona qualità (e possibilmente bio). Il grano dei nostri agricoltori non contiene micotossine perché “fresco”. Che questo provvedimento porti al fallimento delle industrie sementiere mediterra-

nee è altrettanto certo. Si pensi solo che, per esportare pasta in Stati Uniti e Canada, il grano deve avere un tasso di micotossine pari alla metà circa di quello che la Ue accetta per le importazioni di grano duro dagli stessi Paesi. Questo comporta due conseguenze gravissime. In primo luogo, il crollo dei prezzi internazionali del grano duro. C’è poi da considerare il circolo vizioso alimentato dalla speculazione dei prezzi. I commercianti italiani e i


monopolisti internazionali acquistano al prezzo più basso possibile da contadini che hanno bisogno di soldi per pagare i debiti, per poi speculare quando tutto il grano è nei loro magazzini. Ciò significa che non sempre la pasta “targata Italia” è sinonimo di buona qualità. a meno che non si conoscano la provenienza e le condizioni di stoccaggio del grano, è preferibile, quindi, scegliere sempre il biologico o il grano proveniente da zone incontaminate o sottratte alla mafia e lavorate dalle comunità locali. Un grano senza micotossine, né pesticidi né oGM. Sarebbe bene scegliere farine di provenienza certa. Gli stessi commercianti esportano il grano migliore italiano all’estero, lucrando sul prezzo, e importano grano tossico per il nostro metabolismo. Bisognerebbe cambiare anche le nostre abitudini a tavola, a cominciare dal fatto che in qualsiasi momento della giornata consumiamo prodotti contenenti farina doppio zero. Crackers, biscotti, pane, pasta, dolci, grissini contengono tutti farina a doppio zero. Questa cattiva abitudine crea disagi e ingorghi digestivi difficili da eliminare se non vengono accuratamente trattati. altro che intolleranza al glutine o alle farine, c’è ben altro da tenere in considerazione. abbiamo la possibilità di scegliere farine diverse dal frumento, derivate dalla segale, dal farro, dal grano saraceno, dal miglio, dalla soia, che ci permettono di mangiare sano e di stare in buona salute.

Soluzioni per Malattie RITENUTE “CRONICHE E DEGENERATIVE”

Molte persone colpite da malattie definite acute, croniche o degenerative, dopo aver provato terapie d’ogni tipo (comprese quelle proposte della medicina alternativa), si rassegnano alla sofferenza, invece la medicina alternativa formulata e proposta con competenza dal dr. Stival diventa una soluzione concreta, purché seguita con serietà. I riscontri si notano di settimana in settimana. Il dottor Stival opera da oltre 25 anni nel settore delle medicine alternative ed è lunga la lista dei problemi che ha risolto con il suo Metodo. È laureato in Farmacia ed ha i titoli di Omeopata, Naturopata, Erborista, Kinesiologo, Masso fisioterapista e Tecnico Posturologo; inoltre è esperto in Fitoterapia secondo la Medicina Tradizionale Cinese e secondo la Medicina Indiana. Il dottor Stival riceve presso il proprio studio situato a

SESTO AL REGHENA (PN)

Via Julia Concordia, 18 (c/o la Farmacia “Alla Salute”) Tel e Fax: 0434 699016 Cell. 345 7407906 giancarlo.stival@gmail.com www.malattiecroniche.info

Utilizza il seguente QR code con il tuo smartphone o tablet per leggere le testimonianze di chi ha risolto i propri problemi di salute con il metodo Stival:



{le confraternite associate all’ucet} Unione Circoli Enogastronomici del Triveneto

la caminaza Santa cristina (Bl) conSIGlIo DIRettIVo GrAn MAESTro

Ugo da Lan SEGrETArio

Paolo Zaltron ConSiGLiErE

Gino Girelli

(rESPonSABiLE USCiTE) ConSiGLiErE

Fiorenza Biesuz ConSiGLiErE

Fabio Bardin ConSiGLiErE

Adelio Brandalise ConSiGLiErE

Tiziano de Toffol rEViSorE dEi ConTi

Giuseppe Serafini

16° ConVeGno DeLLa

CONFRATERNITA FELTRINA E DELLE DOLOMITI

“LA CAMINAZA” 2 GIUGno 2012 Si sale verso Cesiomaggiore dove, in località Seravella, è fissato l’appuntamento con la Caminaza. Presso la sala conferenze del Museo etnografico si terrà la conferenza prevista nel tema culturale dell’incontro. non manca il gustoso buffet di benvenuto, servito nel prato a fianco del Museo, in cui si possono ammirare decine di roseti di straordinaria bellezza. frittatine alle erbe, pastin, sopressa, crudo, formaggi, fragole e ciliegie, accompagnati da pregiati vini Geretto accolgono gli ospiti che poi si accomodano nella sala conferenze del Museo, dove il presidente della Caminaza Ugo Da Lan e la sua stretta collaboratrice fiorenza Biesuz danno il loro benvenuto alle Confraternite convenute. Il presidente Ucet Leandro Costa si complimenta per la scelta del sito e l’argomento culturale della conferenza. Interviene anche la direttrice del museo Daniela Perco, che sottolinea il suo impegno a favore della gastronomia originale del

territorio e delle sue tradizioni, testimoniato da una ricca documentazione scritta e fotografica. Segue la cerimonia della intronizzazione di tre nuovi Confratelli della Caminaza. Il dott. alberto Scariot intrattiene i numerosi presenti sul tema culturale della giornata, commentando la “flora delle Dolomiti” con una lunga serie di meravigliose fotografie di fiori ed ambienti del territorio delle Dolomiti feltrine e Bellunesi. Una grande ricchezza e rarità di flora, dalle forme arboree alle praterie di alta quota, piante della boscaglia subalpina, paludi, castagni, querce, betulle, carpini e aceri, larici e abeti rossi, sorgenti alpine, popolamenti torbicoli, piante dei pascoli e delle praterie alpine, dei ghiaioni e dei macereti, delle vallette nivali e delle rupi. e ancora: primule, sassifraghe, genziane, orchidee e tutto ciò che crea un mondo incantato popolato da una fauna affascinante. La festa prosegue nel ristorante della rinomata Birreria Pedavena, in cui viene servito un gustoso menù di pietanze tipiche ed originali del feltrino commentate dall’accademico della Cucina Italiana dott. franco Zambotto. oltre a pregiati vini veneti posti in abbonamento, non è mancata in tavola la birra del Centenario, che ha contribuito non poco a creare un clima di allegria e di calorosa amicizia fra i tanti confratelli e ospiti convenuti. nel corso del tradizionale scambio di doni gli ospiti hanno a lungo applaudito Ugo Da Lan e i suoi adepti per la bellissima giornata trascorsa nel territorio feltrino.

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{le confraternite associate all’ucet} Unione Circoli Enogastronomici del Triveneto

Imperial Castellania di Suavia Soave (VR) Consiglio Direttivo Presidente

Annalisa Mancini Vice Presidente e Segretaria

Elisa Caltran

Dama Cerimoniera

Giancarla Gugole Araldo

Sabrina Cestonato Rapporti esterni

Teresa Vicentini Castellana

Diamantina Visco Castellana

Liliana Tebaldi Castellana

Valentina Tessari Castellana

Lia Perlini

Castellana

Lia Quargentan Revisore dei conti

Luciano Casteggin

30 .

FESTA SOAVE 20 MAGGIO 2012

Dopo due anni grazie ad una mattinata di sole l’Imperial Castellania di Suavia è tornata nel “suo” Castello Scaligero per intronizzare in una splendida cornice nuove Castellane e Spadarini. In un’atmosfera medievale, ricreata meravigliosamente da figuranti, tamburi, chiarine e sbandieratori, le amabilissime Signore Patrizia Niero, Antonia Pavesi e Lucia Vesentini hanno ricevuto la Chiave del Castello e i Nobili signori PierPaolo Adda, Giovanni Verzini, Gabriele Ferron e Mario Busso lo Spadino per la loro difesa. Presenti alla cerimonia autorità politiche e militari, il Presidente F.I.C.E., il Presidente U.C.E.T e il Vice Presidente C.E.U.C.O e 14 Confraternite venute da tutto il nord Italia.

La Castellana Marilisa Dal Bon ha aperto la manifestazione con grande signorilità, il Sindaco di Soave prof. Lino Gambaretto ha portato il saluto del paese, il Presidente del Consorzio del Soave Arturo Stocchetti ha ricordato con lo storico Presidente della Cantina di Soave Comm. Luigi Pasetto il percorso di successo del nostro vino, mentre il Presidente della Strada del Vino Paolo Menapace ha invitato a percorrere queste terre ricche di bellezze naturali e gastronomiche. Dopo i saluti rituali è iniziata la cerimonia dell’investitura, condotta dall’Imperial Castellana Anna Luisa Mancini e dalle sue Castellane Sabrina Cestonato, Teresa Bacco, Elisa Caltran e Giancarla Gugole. L’Imperial Castellania di Suavia ha così valorizzato anche quest’anno i prodotti del territorio ma, soprattutto, lo splendido e dorato “Soave”, vino apprezzato fin dall’antichità, piacevole a bersi in ogni occasione, con ogni pietanza, da soli e in compagnia. Il vino qualificato per eccellenza, “il classico vino bianco d’Italia più esportato all’estero”.


{officina degli eventi}

PIccole cIttÀ StoRIcHe Del Veneto DATA 18-24-25 noVeMBre

NOME / MANIFESTAZIONE

DESCRIZIONE

fiera S. andrea

antica fiera Mercato delle oche e degli Stivali

18 noVeMBre

LUOGO Centro Storico

COMUNE

PROV.

Portogruaro

Ve

"Domenica al Museo… con mamma e papà!"

Museo Civico "a. Incontri ludico-didattici sul Giacomelli", Castel patrimonio archeologico ed artistico San Zeno, ore del Museo Civico "a. Giacomelli", a 15.30 - Ingresso a cura dell'associazione Murabilia pagamento

Montagnana

PD

18 noVeMBre

Mercatino dell’antiquariato

Mercato-scambio oggettistica, hobbistica, modernariato e antiquariato lungo le vie del centro storico di Soave

Via roma - Corso Vittorio emanuele

Soave

Vr

18 noVeMBre

Mercatino dell'antiquariato

Mostra mercato oggetti del passato

Piazza Martiri della Libertà e vie adiacenti

Mirano

Ve

19 noVeMBre

Incontri naturalistici

ore 20,45 L'albero della salute: spremute di benessere. Gestito dall'ass. l'albero delle farfalle. relatore: dott.ssa Stefania Liccardi

Centro Parrocchiale "Giovanni Paolo II" Via Gorizia S.Maria Maddalena

occhiobello

ro

23 noVeMBre

Proiezioni di cortometraggi sulla Il Volto e L'anima della Lessinia a cura di Giorgio Pirana Lessinia e con la partecipazione del Coro "Città di Soave"

Chiesa di San rocco

Soave

Vr

23-24-25 noVeMBre

Innovarti

Laboratori, seminari e incontri – proposte Confartigianato – innovare Lanificio Conte per competere

Schio

VI

24 noVeMBre

Magnifica Conversazione

azienda familiare e ricambio Magnifica Comunità generazionale - intervengono di Cadore - ingresso Markus Weishaupt e franco Marzio libero

Pieve di Cadore

BL

24 noVeMBre

Convegno

7° Convegno Internazionale di archeozoologia - relatori dell'Università di ferrara

Sala fluminaMuseo Grandi fiumi ingresso libero

rovigo

ro

24 noVeMBre

Mercatino dell'Hobbistica e dell'antiquariato

esposizioni e mercatino di collezionismo

Piazza Mazzini. ore: 10:00-18:00. Ingresso libero

Monselice

PD

24-25 noVeMBre

festa olio

Promozione prodotto locale

teatro tenda

Illasi

Vr

25 noVeMBre

Mercatino dell'usato e antiquariato

esposizioni di oggetti, cose usate e antiche, hobbistica

Zona commerciale di occhiobello Via eridania

ro

28 noVeMBre

L'evoluzione della figura femminile: dalla subalternità, al femminismo, fino al ruolo odierno

Conferenza a cura del dott.ssa S. Giraldo

Centro Civico ore 15:30 - ingresso gratuito

Caorle

Ve

30 noVeMBre

Gruppo astrofili Columbia

Conferenza "avvicianiamoci all'universo: le meraviglie del cielo stellato". ore: 21,30 apertura Palnetario

Gruppo astrofili Colombia Via Baccanazza, 13 S.Maria Maddalena

occhiobello

ro

* il presente elenco è un riassuntivo di tutte le reali manifestazioni disponibili, stillato operando anche una selezione per data rispetto all’uscita di questa rivista. L’elenco completo ed aggiornato, anche per i mesi successivi, è consultabile su www.piccolecittastoriche.it


Gran GalĂ dei Sapori il gusto della sorpresa

Ritorna il classico appuntamento natalizio con il ricco percorso enogastronomico legato ai piatti della tradizone del territorio del Lemene e accompagnato dai vini del Lison Pramaggiore.

giovedĂŹ 6 dicembre 2012 | h 20.30 Mostra Nazionale dei Vini di Pramaggiore ingresso 30,00 â‚Ź info e prenotazioni Confcommercio Portogruaro - Bibione - Caorle 388 0592872 | ascomportogruaro@confcom.it www.ascomportogruaro.it/ristolemene


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