il Bàcaro a n d à r
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Distribuito in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige N u m e r o 3 | ot to b r e | n o v e m b r e | d i c e m b r e 2 0 1 1
TRIMESTRALE | Ann o I
in primo piano
sapori e tradizioni
SALUTE IN TAVOLA
VINO e dintorni
L’acqua è vita: la nuova figura dell’idrocoltosommelier
L’oca “onta” nella tradizione della tavola contadina
Gli ortaggi e le loro proprietà dietetiche
La nuova DOC e il Consorzio Vini Venezia
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{sommario} 3 | L’Editoriale
4 | In primo piano: l’idrocoltosommelier
8 | Cibo e territorio: patata, tubero prezioso
9 | La ricetta di benvenuto: patate in tecia
12 | Sapori e tradizioni:
l’oca onta
15 | Variazioni storiche:
la vendemmia nel passato
18 | Salute in tavola:
gli ortaggi
20 | A pranzo da:
Ristorante Adriatico
22 | Luoghi da vedere:
Veneto Orientale
25 | Natura e benessere:
le erbe officinali
26 | Vino & dintorni:
la doc Venezia
28 | Bacheca UCET: • Ca’ delle Rondini • Cavalieri di San Martino
30 | L’officina degli eventi
Nuova normativa UE per l’etichetta alimentare
S
i sa, leggere l’etichetta di un prodotto alimentare al momento del suo acquisto è la prima forma che tutela i consumatori, tranquillizza sulla qualità e composizione dei cibi e informa sulla loro data di scadenza. E mentre da un’indagine Usa risulta che la quasi totalità dei soggetti acquirenti di un grande supermercato si è soffermata a leggere soltanto le prime righe dell’etichetta (ciò che ha attirato la loro attenzione è stata soprattutto la data di scadenza del prodotto, mentre solo il 10% ha letto i valori nutrizionali: grassi saturi, proteine, calorie, ecc.) in Italia, secondo la Confederazione Italiana Agricoltori, ben il 90% delle persone ritiene essenziale l’etichetta alimentare e l’indicazione dell’origine dei prodotti, soprattutto in virtù del fatto che si preferisce acquistare alimenti italiani di cui si ha più fiducia. Ciò tuttavia induce alcune volte a fidarsi a “scatola chiusa” di un prodotto alimentare, magari commercializzato da una marca famosa e visto e rivisto su tv e giornali che, complice spesso anche un prezzo molto concorrenziale, ci invita ad attribuirgli caratteristiche di qualità e bontà senza guardarne l’etichetta, illudendoci che l’aspetto nutrizionale, gli ingredienti contenuti, la lavorazione e tante altre no-
il Bacàro
NUMERO 3 | ottobre | novembre | dicembre 2011
Supplemento a: www.Portogruaro.Net del 30/03/2012 Reg. Trib. di Venezia - n. 10 del 05/05/2006 Iscrizione al ROC n. 17423
Distribuito gratuitamente nelle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige Direzione e redazione: via Spalti, 7 - 30026 Portogruaro (VE) Tel. e Fax 0421 280444 Email: info@il-bacaro.it
tizie importanti per la salute, siano implicite. Purtroppo non è proprio così, non sempre, ed ecco perchè l’Unione Europea è intervenuta attraverso l’approvazione di un Regolamento Comunitario, pubblicato il 22 novembre 2011, che obbliga a cambiare l’etichetta per gli alimenti. Gli imballaggi dovranno indicare informazioni nutrizionali fondamentali e di impatto sulla salute, da riportare in una tabella comprensibile in uno stesso campo visivo, e segnalare anche gli allergeni, dapprima ignorati. Chiarimenti su questi ultimi dovranno essere forniti anche per i cibi non imballati, come quelli dei ristoranti o delle mense. Allo stesso tempo le confezioni alimentari non dovranno depistare i consumatori riguardo l’aspetto e la descrizione, così da agevolare la consapevolezza sul prodotto che si desidera acquistare. Inoltre i testi delle etichette dovranno avere una dimensione minima, per evitare l’effetto “cavillo legale scritto in piccolo” e la data di scadenza dovrà essere presente anche sulle pietanze confezionate singolarmente. In particolare per il reparto macelleria, le nuove direttive si estendono a tutte le carni fresche, dal maiale al pollame, dall’agnello alla capra, al pari di quanto è già stato fatto con quella
bovina dopo l’emergenza mucca pazza. Moltissime altre sono le novità introdotte dal regolamento che entra in vigore venti giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Ue (mentre le nuove regole dovranno essere applicate entro tre anni; cinque per le informazioni nutrizionali), che qui ovviamente non possiamo citare tutte per evidenti questioni di spazio. È possibile però consultare il documento ufficiale, che consta di quasi 50 pagine, utilizzando il codice QR qui riportato.
Direttore responsabile: Maurizio Pertegato
pubblicati, non si restituiscono. L’editore lascia agli autori degli articoli l’intera responsabilità delle loro opinioni, garantisce la riservatezza dei dati forniti e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione, scrivendo o telefonando alla redazione. Rimane inoltre a disposizione di altri eventuali aventi diritto di copyright su testi o immagini che non è stato possibile contattare.
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Vincenzo Zollo
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{in primo piano}
L’acqua è vita:
l’idrocoltosommelier Intervista al dott. Giovanni Cargnello Consigliere Scientifico del CRA-Consiglio Nazionale per la Ricerca e la sperimentazione dell’Agricoltura, Presidente Confraternita Colle di Giano, Presidente Accademia degli Aspiranti ed Agraria 16031995, Presidente Associazione Cultori Degustatori Acqua, Presidente International Academy of Vine and Wine e Vice Presidente vicario Giesco 4 .
da diventare punto di riferimento e di partenza di un processo storico, scientifico, etnico, culturale e anche individuale, per la formazione di una nuova figura professionale, l’Enoidrosommelier. Ideatore e promotore del Master è stato il dottor Giovanni Cargnello, presidente della Confraternita Colle di Giano, nonché collaboratore e insigne ambasciatore della associazione Confraternite Trivenete U.C.E.T., approfondito conoscitore dell’universo dell’acqua, che ha risposto ad alcune nostre domande.
U
na decina di anni fa, nell’ambito della manifestazione “Conegliano con gusto”, la Confraternita Colle di Giano di Conegliano, con la collaborazione dell’ULSS 7 e la partecipazione dell’A.T.O. (l’Ambito Territoriale Ottimale Veneto Orientale-Servizi Idrici Sinistra Piave), ha organizzato il primo “Master sull’acqua” quale parte del Progetto “Sapere-SaporiSalute”. Il Corso ha avuto notevole riscontro, tanto
Dottor Cargnello, ci spieghi il significato del Master sull’acqua che, mi risulta, sia stato il primo di successivi corsi sulla conoscenza ed uso di questo elemento-alimento. Già da tempo ci siamo imposti di cercare, con incisività e realismo, delle innovazioni affinché, in modo etico e “meta etico”, cioè in modo equo sostenibile e solidale per tutto e per tutti, si aumenti il consumo dell’acqua e contemporaneamente il consumo del vino nell’arco del pasto e della giornata, superando
inaccettabili pregiudizi e difese corporativistiche e quant’altro. > Quindi, acqua come bene salutistico ed economico che diventa importante anche nella cultura della buona tavola, accostandola a certi cibi oppure a bevande come il vino. Potrebbe rappresentare un’innovazione nel mondo del bere, beninteso del bere vino, perché la nostra attività è, e sarà, nel mondo di “Bacco” storico e cangiante, adattabile alle mutevoli esigenze ed etiche della società. Acqua e vino e/o vino-acqua può essere una interessante successione del bere e anche una forma di consumo salutistico per l’uomo, l’ambiente, l’universo, l’impresa, il territorio. Questa filosofia non potrebbe rivelarsi un danno a scapito della qualità e del consumo quantitativo del vino? Sosteniamo da sempre che bisogna degustare e bere alcool moderatamente e bere “Buon vino” ogni giorno, variando la sua tipologia (bianco, rosso, rosato, spumante, frizzante, tranquillo). Ciò non esclude che si debba bere
anche tanta acqua consapevolmente, dato che in generale l’acqua è più utile alle nostre necessità contingenti, salutistiche, economiche, sociali, culturali, psicologiche. Ritengo poi che, come per il vino, anche per l’acqua l’aspetto edonistico reclami la sua parte, oltre ad altri aspetti come quelli salutistico e legale, che ci impongono quando, quanto e come bere acqua o vino o altre bevande ricavate dall’uva e da alimenti vari. Molto spesso si sente parlare di qualità e mode, di valutazioni e Made in Italy, anche delle acque. Un po’ tutti si riempiono la bocca del termine “qualità”. Infatti, sentiamo continuamente dire che dobbiamo produrre vini di “qualità”, acque di “qualità”, dobbiamo migliorare la “qualità”, il futuro è nella “qualità”: e chi più ne ha più ne metta. Generalmente quando parliamo di “qualità” del vino pensiamo a quella organolettica; ma già di qualità organolettiche ne esistono diverse. Ad esempio quella tecnica, cioè quella espressa dal tecnico del
settore e quella percepita dal consumatore: ambedue possono assumere per lo stesso prodotto valori anche molto diversi tra loro. Considerando poi che esistono oltre una novantina di qualità, comprese le loro cosiddette economie, ci pare fondamentale sensibilizzare soprattutto il nostro ambiente, affinché, quando si parla di qualità anche dell’acqua, si specifichi a quale di essa ci si riferisce. Per la valutazione del prodotto, abbiamo messo a punto una “nuova” metodologia, un algoritmo informatizzato denominato Cimec che ci permette di giudicare in modo innovativo anche le acque destinate al consumo umano. L’algoritmo considera, per ora, il mondo del prodotto (l’acqua in questo caso specifico), la qualità sensoriale del consumatore (preferenza e prezzo) e del produttore (profitto), nonché la tutela e la salvaguardia dell’uomo e dell’ambiente. Ricerca delle innovazioni, proposte salutistiche ed economiche sull’uso dell’acqua, un’ ampia materia di studio sull’universo dell’acqua che
L’acqua è utile alle nostre necessità contingenti, salutistiche, economiche, sociali, culturali, psicologiche concretizza un programma ben specifico del Corso. Questo progetto ha già avuto un inatteso e significativo successo anche a livello internazionale. Il corso per quanto riguarda specificatamente l’universo dell’acqua si propone di fornire le informazioni e l’addestramento teorico e pratico per riconoscere la “qualità” globale dell’acqua (di tutte le acque per l’uomo, per l’ambiente, per l’industria, per l’agricoltura) e conseguentemente
orientare le scelte negli acquisti e nell’impiego dell’acqua, nonché sul razionale immagazzinamento, utilizzo, disinquinamento e recupero delle acque fino all’ultima goccia. E non da ultimo, di cercare di condizionare e di gestire le precipitazioni e le azioni negative dovute all’acqua, compreso l’impoverimento e il deterioramento delle falde acquifere e la cosiddetta “desertificazione” che sta preoccupando anche queste zone. Tutto questo perché l’“acqua è vita” . Quindi, questi corsi da Lei promossi possono essere considerati una scuola di addestramento teorico e pratico che forma esperti in grado di riconoscere le qualità delle acque e suggerire il loro utilizzo e consumo secondo necessità contingenti. Nell’ambito dell’attività dell’“Associazione dei cultori e dei degustatori delle acque” (Acda), abbiamo voluto, già nel 2000, condurre un’indagine volta ad analizzare le risposte date da una popolazione
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di consumatori numerosa, scelta in modo casuale e più variegata possibile quanto a sesso, professione, provenienza economica e socio-culturale, per età, puntando sui giovani e su alcuni “opinion leader”. A costoro veniva chiesto, sul vino e sull’acqua, di esprimere un giudizio sensoriale complessivo (vista, olfatto, gusto) ed economico (valore intrinseco attribuito), nonché di indicare: l’acqua normalmente usata (minerale naturale o gassata, di sorgente, di rubinetto e purificata); se bevevano vino, quale (ordinario, di qualità o di grande qualità e relative tipologie), quanto e quante volte al giorno, nonché un giudizio sugli abbinamenti cibo-vino, cibo-acqua e cibo-vino-acqua o ciboacqua-vino. Inoltre veniva loro chiesto di esprimere un parere su queste indicazioni: beviamo moderatamente vino, beviamo responsabilmente l’acqua, inseriamo accanto alla lista dei vini anche quella delle acque. Da queste ricerche è risultato essenzialmente valido investire risorse, anche intellettuali, anche nell’universo dell’acqua vista la sua importanza socio-economica ed esistenziale. Perciò si deve disporre dell’enosommelier e anche dell’idrocoltosommelier in modo che il consumatore possa scegliere anche l’acqua da bere consapevolmente in funzione delle proprie specifiche esigenze e del menu prescelto e anche se l’acqua vada bevuta prima o dopo il vino, relativamente allo specifico menu che si sta degustando. E l’atmosfera che aleggia intorno a questo palinsesto dell’ “idrocoltosommelier” è tale da far pensare che il “sommelier” (Eno) ritenga molto qualificante, moderno, innovativo essere quanto prima anche “idrosommelier” e quindi “enoidrosommelier” e meglio ancora ”idrocoltosommelier” con tanto di professionalità e diploma.
Considerazioni finali
L’intervista con il prof. Giovanni Cargnello pone in luce e approfondisce due aspetti importanti sull’acqua. L’acqua è un bene per l’umanità e quindi ogni preziosa goccia di pioggia non deve essere sprecata, ma adeguatamente raccolta ed immagazzinata e poi razionalmente distribuita. In questo modo si risolvono molti aspetti salutistici e di inquinamento dell’ambiente, contribuendo a migliorare la qualità della vita, della medicina preventiva e della sanità
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Si deve disporre dell’enosommelier e anche dell’ idrocoltosommelier in modo che il consumatore possa scegliere anche l’acqua da bere consapevolmente in funzione delle proprie specifiche esigenze e del menu prescelto pubblica, con una valida ricaduta sul contenimento dei costi e delle spese. È opportuno che ognuno di noi sia parsimonioso e non sprecone in tutti i sensi e tenda a migliorare la qualità della propria vita, ben sapendo che qualsiasi forma di abuso fa male alla salute e al portafoglio. Il consumo giornaliero di acqua in Italia è di circa 92,5 metri cubi pro capite, di cui solo una minima parte è utilizzata per bere e cucinare ed è un dato statistico che ci distingue negativamente a livello europeo. È necessario quindi non sprecare l’acqua potabile e sfruttare per altri usi l’acqua non potabile e piovana. D’altronde l’utilizzo di acqua piovana è gratuito ed è quindi una risorsa disponibile per tutti, limita l’impoverimento delle falde acquatiche e consente di risparmiare più del 50% della spesa, oltre che costituire rispetto per l’ambiente e senso civico. Teniamo presente poi che, a differenza di altri beni prima-
ri, come il petrolio o il grano, l’acqua non è sostituibile nella maggior parte dei suoi impieghi e la disponibilità di acqua potabile, come si è detto, è in costante diminuzione, così come sostiene il World Water Development Report dell’Unesco che indica chiaramente come nei prossimi vent’anni la quantità d’acqua potabile disponibile per ogni persona diminuirà del 30%. L’altro aspetto è legato alla scienza dell’alimentazione, quello cioè di ritenere il consumo dell’acqua e del vino non più in aspra contrapposizione ma sinergici fra loro. Si ravvede quindi la necessità di approfondire la conoscenza dell’acqua che solitamente distinguiamo solo tra “naturale” e “gassata”. Gli esperti ci dicono che l’acqua è ancora oggi una sconosciuta sotto il suo aspetto organolettico ed alimentare. Quella dell’“enoidrosommelier”potrà essere la nuova figura professionale che, da vero intenditore, dispenserà consigli per assaporare piatti in abbinamento ad acque e vini in perfetta armonia di gusto. Le acque, come il vino, hanno una loro personalità caratterizzata dalle note di gusto che dipendono dalla fonte da cui provengono e dai sali minerali che acquisiscono lungo il loro percorso sotterraneo. Ciò significa che hanno caratteristiche organolettiche differenti fra loro per cui, come ha sottolineato un famoso sommelier «è proprio in rapporto alla percezione delle loro caratteristiche che si può procedere ad un corretto abbinamento con il cibo e, volendo completare il quadro del “piacere della tavola”, anche in armonizzazione con il vino, creando così la cosiddetta trilogia della tavola».
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{cibo e territorio}
Patata
tubero prezioso L
a patata è una delle colture fra le più importanti della alimentazione umana e fra le più diffuse nel mondo seconda solo al frumento, al mais e al riso. Solo in Italia se ne producono oltre due milioni di tonnellate sui circa 250 milioni prodotti nel mondo. Nel Triveneto è stata fondamentale nella lotta alla sopravvivenza della povera gente ed attualmente è prodotta in pregiate qualità ed è cibo primario per la preparazione di succulenti piatti che fanno parte della nostra tradizione.
Origine e storia
La patata era coltivata ben 7000 anni fa nelle terre delle Ande nell’America Meridionale ed è stata introdotta in Europa dai Conquistadores dopo i viaggi di esplorazione e conquista del XV e XVI secolo. Fu importata dapprima in Spagna, da dove si diffuse in poco tempo, prima in Inghilterra, Irlanda, Olanda e nelle Fiandre e poi in Italia, Germania e Francia. Inizialmente era considerata una curiosità botanica e veniva coltivata nei giardini; il suo uso alimentare risale solamente intorno al 1750. La patata ha una storia dai risvolti per certi versi avventurosi, dovuti alle diffidenze che ha incontrato al suo arrivo in Europa; di essa riporteremo soltanto alcune notizie che rivestono particolari curiosi e significativi, come quello di essere annoverata fra le rarità botaniche quale pianta di appartamento completamente diversa da tutte le altre conosciute in quel tempo, o di essere considerata dannosa per la sa-
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lute a causa del suo aspetto particolare e alle sue foglie velenose. Si racconta che nel 1565 Filippo II di Spagna avesse omaggiato il Papa Pio IV con un quantitativo di patate arrivate dalle Americhe, il quale le scambiò per tartufi e le assaggiò crude, immaginate con quanto disgusto. Sembra pure che questo tubero qualche mese prima dello stesso anno 1565 fosse importato in Italia dai Carmelitani Scalzi che lo diffusero dapprima in Toscana e poi in Piemonte. In Veneto fu conosciuto intorno al 1690, precisamente all’orto botanico di Padova dove fu particolarmente esaminato dagli studenti di farmacologia. La sua consacrazione come alimento avvenne nel 1700 quando la patata aiutò gli irlandesi che ne scoprirono le sue proprietà nutritive e li aiutò a superare una grande carestia. Bisogna aspettare ancora qualche anno per superare definitivamente la diffidenza sulle qualità nutritive della patata ed è merito di un noto farmacista ed agronomo francese, tale Antoine Augustin Parmentier, grande mangiatore di patate ed anche apprezzato cuoco, che ottenne l’approvazione e l’appoggio di re Luigi XVI per far coltivare le patate attorno a Parigi nel corso della Guerra dei Sette Anni (17561763) per poi distribuirle alla popolazione affamata, che le cucinarono sopra il carbone e cenere di tizzoni ardenti e ne scoprirono il sapore, apprezzandole a tal punto che anche i Carmelitani Scalzi le distribuirono come importante alimento per sfamare i ricoverati di ospedali ed ospizi. La patata, così rivalutata, iniziò il suo percorso come alimento di notevole importanza, come cibo popolare
Questa è la storia della patata che da “cibo dei poveri” è diventata una vera star, regina delle tavole tanto da essere celebrata anche dall’ONU che ha decretato il 2008 “Anno Internazionale della Patata” fonte di sostentamento per milioni di persone nel mondo ma anche di “alta cucina”, perdendo l’immagine di stranezza esotica e diventando popolare in tutto il mondo. In Veneto è stata a lungo coltivata nei campi, specie a nord, verso la Pedemontana, e in Friuli. Nella provincia di Treviso se ne producevano grandi quantitativi ed il suo consumo crebbe in modo impressionante per le sue proprietà nutritive e sazianti e per il basso costo di produzione. Si ricordano in particolare gli anni 1815-1817 in cui tutta Europa era attanagliata dalla grande miseria e la patata, insieme alla polenta di mais nutrirono durante i mesi invernali milioni di persone che sfuggirono così alla morte per fame e malattie. Considerata universalmente importante alimento umano, la patata si pone al centro di studi e ricerche, suscitando l’interesse di agronomi e botanici specie negli anni 1845-1846 quando, a causa della “peronospora” si diedero norme e consigli per superare i danni provocati da questa famigerata malattia. Da allora iniziò un lungo processo che portò alla creazione di tanti incroci allo scopo di ottenere dei tuberi più protetti da malattie e di qualità biologica superiore ed attualmente si annoverano migliaia di varietà che sono indicate per usi diversi in cucina: da cuocere al forno, bollite, fritte, per gnocchi, per purè, soufflè e così via.
La Patata di Cesiomaggiore
Con la definizione di “Patata di Cesiomaggiore”, si fa riferimento ad una specifica area di produzione nella provincia di Belluno (Cesiomaggiore, Feltre Pedavena, Santa Giustina), ad una consolidata tradizione nella tecnica di coltivazione e ad un utilizzo di ben precise e tradizionali varietà di patata. In questo contesto, secondo una logica di marketing, agli inizi degli anni Settanta si mise in secondo piano il nome delle varietà per proporre un marchio legato alla zona di coltivazione, così come successe per il Fagiolo di Lamon. I fattori qualitativi della Patata di Cesiomaggiore sono strettamente legati all’ambiente di coltivazione montano (tra i 350 e 600 metri di altitudine), all’ottima esposizione a sud dei terreni, alla buona frequenza e distribuzione delle piogge, all’ottima disponibilità d’acqua nei terreni nonché alla fertilità e naturalità degli stessi. L’adeguata
{la ricetta di benvenuto}
Patate in tecia (Patate in tegame) Ingredienti (per 6 personE) 6 patate, 1 cipolla e ½, 2 cucchiai olio e.v.o, gr. 25 burro, sale e pepe Preparazione Lessare le patate, pelarle, tagliarle in parte a cubettini ed in parte schiacciarle con i rebbi della forchetta. In un tegame soffriggere leggermente la cipolla tagliata a julienne, aggiungere le patate, salare e pepare, amalgamare con olio e cuocere a fuoco lento, mescolare continuamente, aggiungere un po’ di brodo caldo e alla fine mantecare con il burro. Tempo di cottura circa 10 minuti. È un ottimo contorno che si accompagna bene con carni stufate. ventilazione, l’assenza di nebbie e l’elevata umidità atmosferica (particolari escursioni termiche giornaliere) influiscono notevolmente sulle caratteristiche chimiconutrizionali ed organolettiche. Le stesse tecniche di coltivazione, proprie dell’agricoltura integrata e biologica, portano ad avere un prodotto particolarmente ricco in sostanza secca, elemento caratterizzante la qualità della patata di Cesiomaggiore. Secondo l’indagine storica redatta dal professor Daniele Gazzi, storico ed esperto delle tradizioni rurali bellunesi, la coltivazione della patata in questi territori ha una sua storia che parte dalla fine dell’800 fino agli inizi del XIX secolo ed è stata caratterizzata : a) da pressioni padronali ad estendere tale coltura, che avrebbe comportato la riduzione della superficie coltivata a granoturco; b) da sperimentazioni da parte degli organismi più attenti agli aspetti tecnici delle coltivazioni, come la Cattedra Ambulante di Agricoltura prima e l’Ispettorato dell’Agricoltura dal 1935; c) da impulsi di natura ideologica, legati alla politica autarchica del regime fascista, che miravano allo sviluppo della produzione di patate da seme e all’incremento della
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produzione nazionale con patate di “gran reddito” (non importa se straniere). Sono proprio le prime sperimentazioni condotte dalle Cattedre Ambulanti di Feltre e di Belluno ad indicare, oltre alle zone della montagna bellunese, altre possibili aree per la coltivazione della patata da produzione: zone vicine ai centri urbani di Belluno e di Feltre, rispettivamente Ponte nelle Alpi e Cesiomaggiore. Nelle sperimentazioni, condotte nel 1910, la patata precoce Valenzana si rivelò molto redditiva, con una media provinciale di 176,86 q per ettaro, con un massimo di 322 q a Ponte nelle Alpi e di 202,40 q a Cesio Maggiore. La patata cadorina nello stesso anno aveva fornito una produzione di 207 q per ettaro: dati significativi, che individuano nel Cadore e a Cesiomaggiore aree privilegiate per la coltivazione della patata. La diffusione della patata, al pari di altre colture, partì inizialmente “dal basso”, ovvero con varietà importate al seguito degli emigranti di ritorno e dunque estremamente diversificate. L’esperienza di coltivazione produsse una prima selezione locale, con una tipizzazione di varietà che prese il nome dalle zone di produzione. Quando l’attenzione padronale si rivolse a questa solanacea – interesse motivato dal porre un freno alla pervasiva coltura del granoturco – si cominciarono a fare confronti tra le varietà locali e quelle più diffuse in altri stati europei, dove la coltivazione della patata, di più lunga data, aveva selezionato varietà maggiormente produttive, dette di “gran reddito”: è questa l’origine di sperimentazioni trentennali, dai primi del ’900 agli anni trenta, volte ad introdurre nel Bellunese varietà come Imperator, Simson, Blaue Reisen, Preziosa, Alma, Fiocco di Neve, Juli, Ragis 10, Gelkragis. Ad imprimere una svolta a queste sperimentazioni contribuì, come già citato, la politica autarchica del fascismo che, allo scopo di ridurre la dipendenza dall’approvvigionamento estero, considerava importante la coltivazione della patata: “Se la patata nostrana verrà sottoposta ad un lavoro selettivo, potrà in breve diventare una varietà di alto reddito ed imporsi sulle varietà straniere che ora invadono il mercato italiano”. Nel 1964, periodo appena seguente la liberalizzazione economica promos-
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sa anche in agricoltura dall’ingresso re” dunque ben si adattava sia alla vodell’Italia nel MEC, per affrontare la cazionalità del territorio sia alla colristrutturazione dei settori agricoli tivazione di varietà di “gran rendita”. tradizionali e configurare un’agricol- Da poche decine di quintali di tuberi tura moderna, l’Ispettorato Agrario seme certificati della fine degli anni Provinciale di Belluno raccomandava settanta, oggi se ne producono all’indi diversificare le colture e, a propo- circa 200 q. (fonte: Regione Veneto) sito della coltivazione della patata, si invitavano gli agricoltori a impiegare Valori nutrizionali semente “selezionata” proveniente e proprietà dai centri di moltiplicazione. Semi- Sotto l’aspetto nutrizionale, la patata nare patate di dubbia provenienza, è conosciuta per il suo alto contenusenza nome o quasi, come era pratica to di carboidrati presenti sotto forma diffusa, significava infatti non solo di amidi di cui una parte fisiologicaottenere un raccolto poco abbondan- mente sono simili a fibre alimentari, te, ma anche di difficile smercio: nei come quelle della pasta e del pane inprocessi di produzione e di scambio tegrale. richiesti dalla nuova integrazione Sono pure fonte di vitamine (speeuropea, risultava fondamentale riu- cie la vitamina C e B5 e tracce di scire ad immettere sul mercato merce minerali (magnesio, ferro, fosforo, sana e di varietà molto note (Tonda di potassio e zinco) ed altri composti come i polifenoli e carotenoidi. Berlino, Majestic). La raccomandazione fu raccolta nel La presenza delle vitamine è concendecennio successivo dalla Coopera- trata soprattutto nella buccia, per cui tiva “La Fiorita” di Cesiomaggiore si consiglia di cuocerle lavandole ac(1977) la quale mise in secondo piano curatamente senza spellarle prima. il nome delle varietà per proporre un Oltre che essere nutrienti e facilmenmarchio legato alla zona di coltiva- te digeribili e favorire le funzioni intestinali, le patate possiedono prozione. Così come i fagioli Calonega, Spagno- prietà cicatrizzanti, diuretiche, emollìt, Spagnoli e Canalini o Furiano, fu- lienti e antispasmodiche, lenitive rono accorpati, seguendo una moder- contro le scottature e irritazioni della na strategia di marketing richiamata cute e sono raccomandate nelle diete dal nuovo contesto europeo, nel logo dimagranti in sostituzione del pane e “Fagioli di Lamon”, altrettanto avven- della pasta perché sono più sazianti e ne per le patate Cornete, Tonda di Ber- con meno calorie. lino, Majestic, Kennebec, Desirèe ecc. la cui produzione venne indicata nel 1964 con la consuetul’Ispettorato Agrario Provinciale di Belluno raccodine culturale: mandava di diversificare le colture e, a proposito tradizionalmente della coltivazione della patata, si invitavano gli agriinfatti nella procoltori a impiegare semente “selezionata” provevincia bellunese niente dai centri di moltiplicazione le patate venivano indicate con il riferimento all’area di produzione (la patata cadorina, agordina, zoldana). Era anche una scelta che assecondava le logiche di potenziamento della coltivazione auspicata dall’Istituto “Strampelli” di Lonigo: le produzioni di patate in montagna “per sopravvivere dovranno specializzarsi sotto l’aspetto qualitativo in modo da costituire dei prodotti tipici pregiati, contraddistinti da un marchio di provenienza”. La “Patata di Cesiomaggio-
LA CAMPAGNOLA S O C . A G R . F R AT E L L I D A L A N
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{sapori e tradizioni} di Leandro Costa
L’oca onta fiera di s.andrea
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li anziani ben ricordano che fino a qualche tempo fa, cioè prima che esplodesse la rivoluzione industriale, nella campagna vivevano tante famiglie contadine patriarcali e la fine dell’annata agraria terminava l’11 di novembre, giorno di San Martino. Era il tempo per mezzadri e fittavoli di fare i conti col “paròn” che si teneva il 50% di tutti i raccolti e di pagargli il “governo”, saldare il mulinèr, il fornèr e casoìn, e quel poco che avanzava era immagazzinato per le loro necessità alimentari e in parte venduto o barattato al mercato. Nelle campagne venete e della bassa friulana, erano molti i proprietari terrieri di origine ebraica che per motivi religiosi era loro proibito allevare e mangiare carne di maiale che era quindi sostituito con l’oca. È così che l’oca divenne un animale da cortile importante non solo nella tradizione ebraica, ma anche in ogni famiglia contadina che allevava questo palmipede, libero di razzolare nella corte assieme a galline, polli e capponi; la sua carne è entrata di prepotenza nella tradizione veneta e friulana fortemente caratterizzata da una cucina semplice e gustosa, arricchita di antichi sapori. Era poi con parte delle oche che gli stessi contadini saldavano i loro debiti ai padroni; poi si recavano al mercato e scambiavano le oche rimaste con generi alimentari, con vestiario, zoccoli e calzature come ricorda la fiera di S. Andrea a
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Con parte delle oche gli stessi contadini saldavano i loro debiti ai padroni; poi si recavano al mercato e scambiavano le oche rimaste con generi alimentari, con vestiario, zoccoli e calzature come ricorda la fiera di S. Andrea a Portogruaro (VE), detta “Fiera delle oche e degli stivali” Portogruaro (VE), detta “Fiera delle oche e degli stivali”. Le oche come si sa danno un’ottima carne, strutto per condire e per conservare, salumi e prosciutti e recentemente anche il fegato è usato per fare uno speciale patè; si sfrutta pure il suo piumaggio, apprezzato per imbottire capi di abbigliamento invernale. Proprio dal giorno di San Martino e per tutto il mese di novembre le oche, considerate “il maiale dei poveri” erano macellate e mangiate per celebrare l’esito di una buona annata agraria, rispettando il vecchio proverbio che recita “Chi no magna oca a San Martin no fa el beco de un quatrin!” oppure erano conservate per i mesi successivi, sottostando ad un particolare procedimento ben descritto anche nei ricettari di cucina del famoso scrittore Giuseppe Maffioli, l’oca in pignatto, la cui carne tagliata a pezzi è conservata sotto il suo grasso o conservata tramite il procedimento della salatura ed affumicatura. Nella tradizione veneziana, questa carne era usata per condire i “risi e bisi” alla festa di San Marco del 25 aprile. L’oca in pignatto, comunemente conosciuta come l’”oca in onto” o l”oca onta” era una tipica preparazione del periodo invernale, quando le donne disponevano di più tempo ed i cam-
Per tutto il periodo invernale l’oca diventa la regina della tavola, omaggiata in tante feste paesane del padovano, trevigiano e veneziano, della bassa friulana, dell’isontino, da degustare cotta in umido, in tecia, lessa con crèn, con fiori di zucca, col sèano, col ripièn, con caponata pi riposavano e le oche erano bene in carne; era il momento giusto per metterle in pignatto cioè erano conservate su orci di terracotta, proprio così come ci racconta un anziano che questa tecnica la conosceva molto bene “Le oche xe animali stùpidi da vivi ma molto boni da morti. E in general, siccome che le xe grandète, le xe grassone e piene de carne, alora i nostri veci i ga pensà de metarle via par l’inverno, come ghe parèva lori. La riceta se ga mostrà valida nel tempo. Ecola. L’oca, spelàda, sfiamàda e netàda par drento e par fora e tajada a tochi vien rosta in una tecia granda con un poco de aio e tanti rameti de osmarìn. Quando la xe cota, la ga dà fora tanto del quel grasso da nuàr drento. Alora se la scarnisse, cioè se ghe cava i ossi e se sistema i tochi de carne drento un pignato de teracota e se li coverze col so stesso grasso. Po se sera la boca del pignato con un toco de cartapecora e se mete stò recipiente in càneva. Quando se vol magnàr oca no se fa altro che tiràr fora i tochi dal pignato, e bon apetito”. In questo modo la carne dell’oca posta nella conserva del suo grasso durava molti mesi ed era disponibile immediatamente al bisogno, specie nel periodo primaverile ed estivo in cui le famiglie contadine erano molto impegnate nei lavori dei campi e le donne anche loro erano chiamate ad aiutare gli uomini o dovevano seguire da vicino l’al-
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{la ricetta}
Frisse de oca (ciccioli d’oca) Si fanno con la pelle ed il suo grasso, tagliati a listarelle, ben lavati ed asciugati. Si pongono in un tegame a rosolare fino a quando il grasso non si scioglie completamente e rimangono i pezzetti di pelle dorati e croccanti. I ciccioli che rimangono si trasferiscono in un colino dove vengono lasciati a sgocciolare, poi pressati per bene, salati e conservati in luogo fresco.
levamento del baco da seta. Allora la carne dell’oca era estratta dall’orcio in giusta quantità, riscaldata e pronta da mangiare. L’“oca onta” magari arricchita con spezie ed aromi e verdure, è una prelibatezza anche nella cucina moderna, tant’è che proprio nel periodo della feste che vanno da San Martino fino a Sant’Andrea, è un piatto che viene spesso proposto nelle trattorie di campagna e negli agriturismi che allevano questo storico animale di razza pezzata veneta che ha carne squisita e anche di razza romagnola che ha stazza voluminosa, armonica con piumaggio bianco. Per tutto il periodo invernale l’oca diventa la regina della tavola, omaggiata in tante
Salumi d’oca e proprietà nutrizionali 14 .
feste paesane del padovano, trevigiano e veneziano, della bassa friulana, dell’isontino, da degustare cotta in umido, in tecia, lessa con crèn, con fiori di zucca, col sèano, col ripièn, con caponata. L’oca si presta a moltissimi abbinamenti, intera, disossata, a cosce e petti, in salumi, speck, prosciutti e in fegato, il cosiddetto “foie gras” destinato alla preparazione di succulenti piatti. Dell’oca non si scarta proprio nulla, anche il suo grasso e pelle viene sfruttato per fare le frisse (ciccioli), una vera golosità, tanto è che “una tira l’altra” e se esageri nel mangiarle stai pur certo che ti viene un gran “cagotto”, ma vale la pena di assaggiarle e scoprire come si preparano. I salami d’oca sono una specialità di particolare pregio, di cui ogni produttore conserva la sua ricetta, utilizzando la carne magra d’oca fresca e la pancetta e spalla di suino tritati, con sale, pepe ed aromi naturali. Una vera prelibatezza è l’ecumenico che è prodotto con solo carne magra d’oca, tagliata a coltello, insaccata a mano nella pelle del collo d’oca ed insaporita con aromi naturali. Non di meno buoni sono il prosciutto ed il petto d’oca, ottenuti dalla stagionatura della coscia e del petto d’oca in locali areati, dopo aver subito una marinatura a secco con sale,pepe ed aromi naturali. Il fegato grasso si ottiene attraverso l’ingozzamento dell’oca e da esso si può preparare un patè cucinandolo ed emulsionandolo con burro, sale,
pepe e aromi, diventando un ottimo antipasto da spalmare su tartine. Sotto l’aspetto nutrizionale la carne d’oca, se cucinata per intero ha un rapporto di grassi maggiore rispetto agli altri avicoli, mentre i singoli tagli, come il petto e la coscia sono costituiti da carne abbastanza magra dato che il grasso dell’oca ha una localizzazione di tipo viscerale e non intramuscolare. La carne privata del grasso è quindi considerata semigrassa, con un rapporto calorico di 160 cal per 100 gr. Contiene all’incirca il 50% di acqua, il 16% di proteine, il 34% di grassi di cui saturi il 9,40%, momoinsaturi il 18,60%, polinsaturi il 4%. Contiene molta vitamina A ed in misura minore acido folico, niacina e vitamina E. È ricca di potassio, fosforo, calcio.
{variazioni storiche} di Giovanni Pavan
La vendemmia nel passato:
il vino grosso, il vino piccolo, la graspia
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n passato la vendemmia aveva carattere di solennità e vedeva coinvolti tutti i componenti della famiglia. I vendemmiatori andavano generalmente in coppia, ciascuna aveva il proprio cesto nel quale venivano riposti i grappoli recisi dal tralcio con una piccola roncola. Con le scale gli uomini vendemmiavano l’uva più alta, sopra agli alberi sui quali si erano inerpicati i tralci; alle
donne e fanciulli rimaneva quella più bassa a livello dei filari. Quando il cesto era colmo veniva portato sul carro in sosta in capo al vigneto. Da qui l’uva era trasportata alla cantina per essere pigiata con arcaiche pigiatrici o semplicemente con i piedi. Poi il mosto e le graspie a fermentare per sei, sette giorni. Da questa operazione si ricavava il così detto vino grosso, il vino buono che
era posto nelle botti più sane. Finita la fermentazione le vinacce erano passate al torchio, al liquido così ottenuto si aggiungeva acqua di pozzo ed in tal modo si otteneva il vino piccolo. La fermentazione era interrotta dopo un paio di giorni, quindi si procedeva al travaso in botticelle. Dopo poco meno di un mese questo vinello, la cui gradazione non superava mai i quattro gradi alcolici, era
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pronto da bere. Le vinacce erano poi utilizzate una seconda volta per fare la graspia. La si otteneva mettendo in un tino riempito per due terzi d’acqua di pozzo una certa quantità di vinacce pressate e ponendovi sopra delle tavole appesantite da dei sassi. Dopo alcuni giorni di ammollo, da un foro praticato sul tino ad una spanna dal fondo, si spillava la bevanda fresca ed asprigna che dava l’illusione del vino. La graspia non poteva conservarsi a lungo, durava al massimo un paio di mesi, mentre il vino piccolo, ben più sapido, poteva essere bevuto fino all’inizio dell’estate(*). Il vino grosso era tenuto per il tempo dei lavori pesanti e per le solennità religiose; era riservato ai vecchi e agli ammalati con cui solitamente allungavano il caffè d’orzo, oppure facevano merenda intingendo il pane casereccio nella scodella in cui era stata versata la corroborante bevanda. E ancora, il vino grosso era usato secondo una rustica tradizione veneta per arricchire di sapore le minestre in brodo. La graspia era riservata alle donne e ai bambini, come il vino piccolo che si portava anche agli uomini che si dissetavano durante il lavoro nei campi.
La Frasca
Di vino si è fatto sempre un gran consumo nel Veneto, anche se spesso si trattava di vino cattivo, di vin piccolo. Il vino era consumato particolarmente durante l’inverno per poter meglio combattere il freddo. Il contadino tratteneva per il proprio fabbisogno familiare la parte della produzione che necessitava e vendeva il resto agli osti e ai mercanti. Per inciso si ricorda che nel Veneto correva il detto “la vide la paga la gabela” per sottolineare che la vendita del vino era una delle entrate principali nell’economia rurale, secondo solo a quella dei bozzoli da seta. Nelle annate la produzione poteva essere più abbondante del solito e ciò determinava non solo una riduzione del prezzo, ma anche una certa difficoltà nel collocamento del vino stesso. Bisognava tener presente che i trasporti non erano molto sviluppati e le distanze erano contenute nei limiti delle possibilità di un trasporto a traino animale. In quelle occasioni le autorità comunali auto-
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Ricordiamoci di ricordare, di non dimenticare il passato, perché senza tradizione non c’è evoluzione. Perché il vino nel Veneto è rimasto ancorato alle usanze rurali più arcaiche; andiamo a ricordare alcuni momenti del rito del vino, a cominciare dalla vendemmia
rizzavano la vendita diretta ai consumatori, franca di dazio, con la concessione di permessi limitati nel tempo. Avveniva così che davanti a certe contrade era issata sulle tese, all’estremità della corte, posta in ben evidenza, una frasca verde che stava ad indicare la vendita straordinaria di vino al prezzo ridotto. Voleva dire che lì
c’era un “magazin”. Vedere la frasca, simbolo di vita semplice e rurale, rallegrava l’occhio e ancora più invogliava ai saporiti assaggi di vino nuovo. I consumatori non mancavano e in taluni di questi “magazini” era invalso l’uso della mescita “a passùa” vale a dire che l’avventore versava un compenso pattuito prima e poi beveva senza limiti e cioè fino a che non era “ ben passùo”. È facile intuire che tale accordo favoriva le sbornie. Nel tempo di un pomeriggio festivo un “bravo” bevitore riusciva a sorbire oltre cinque litri di vino! Allora il vino era un alimento indispensabile per completare il fabbisogno calorico degli uomini che svolgevano un lavoro pesante. A volte la produzione rurale era davvero scadente e difettosa, ricca di sostanze tanniche e povera di alcol, tanto che la bevanda ottenuta pareva più vicina al brodo di castagne che al vino vero e proprio. E per mandarlo giù “bisognava attaccarsi alla tavola” come era proverbiale dire. Ma c’era anche chi sapeva produrre un buon vino. (*) A proposito della graspia, è interessante leggere questa annotazione del “Supplemento al Nuovo Dizionario Universale Tecnologico di Arti e Mestieri” dell’anno 1838: “Le vinacce possono conservarsi fino al mese di marzo, sicché aspettando quel tempo per farne la graspia , si ottiene una bevanda vinosa che dura a tutto giugno ed anche fino al termine dell’anno quando si mette in bottiglia. La graspia ben fabbricata e conservata è una bevanda piacevolissima, a segno che taluni la preferiscono al vino, massima nei grandi calori della state, e forma poi l’unica bevanda di molte famiglie per tre o quattro mesi; passato questo termine, vale a dire in aprile, la graspia fabbricata l’anno precedente si guasta sviluppandosi con molta forza il principio acetico onde essa contiene grande proporzione. Alcuni abituati pel lungo uso al mangiamento di sapore che facendosi a gradi diviene loro meno sensibile, non volendo perdere quello che rimane, seguitano a berne, ma non ottengono in tal caso che una assai tenue economia a scapito della loro salute e tutti gli anni vedonsi uomini robustissimi soggiacere a gravi malattie da questa sola cagione provenienti”.
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{salute in tavola}
In collaborazione con Elisa Damian, naturopata ed iridologa
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na volta, la nostra campagna era popolata da tante famiglie patriarcali contadine e l’orto costituiva essenza della loro nutrizione e parte della loro economia con gli ortaggi venduti o barattati ai mercati con altri generi di prima necessità e altro. Una volta ogni famiglia di paese aveva il suo orto seminato a verdure proprio davanti a casa, tant’è che per entrarci si attraversava uno stretto corridoio di terra battuta e ghiaino tracciato fra le sponde delle “cuière”(aiuole) ben allineate. Quella dell’orto era una esigenza talmente radicata nella cultura locale che le case operaie costruite appena dopo la fine dell’ultima guerra mondiale, come quelle dell’ INA Casa fatte a schiera, prevedevano nel loro progetto uno spazio di terreno da adibirsi ad orto e questa era una fortuna della famiglia disporre di tante verdure genuine, sane e fresche, concimate con prodotti naturali, senza pesticidi o conservanti ed anche un modo di risparmiare sulla spesa quotidiana di generi alimentari. Il cambiamento dei tempi con l’avanzare del progresso ha man mano spazzato via questa usanza e ci si è adeguati alle comodità e sistemi moderni che ci consentono di usufruire dei grandi ed allettanti supermercati che offrono frutta e verdura delle quattro stagioni provenienti da tutto il mondo, alimentando un sistema di commercio globale e uniforme, scombussolando costumi e tradizioni alimentari, non senza creare problemi di
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ORTAGGI & loro proprietà dietetiche
inquinamento ambientale. Oggi poi sono possibili raccolti continui di ortaggi fuori stagione attraverso le moderne tecniche di produzione in serra e coltivati attraverso un maggior uso di fertilizzanti allo scopo di ottenere una loro crescita veloce e diminuire la spesa di produzione: si escludono così i processi chimici della maturazione naturale. Questi vegetali sono raccolti e quindi immagazzinati in celle frigorifere e vengono impregnati di additivi, snaturandone i valori nutritivi ed organolettici e sono poi distribuiti nei centri commerciali dopo un lungo tragitto su automezzi che contribu-
iscono ad inquinare l’atmosfera. L’anno scorso si è aggiunto il caso allarmante delle intossicazioni che hanno colpito i tedeschi a causa di un batterio killer presente sui cetrioli, e anche questo ha contribuito a ridurre addirittura del 22% (fonte Coldiretti) il consumo di verdure fresche di ogni famiglia italiana a causa della psicosi da batterio E.Coli; al contrario è aumentato il consumo di prodotti di terza gamma (verdure surgelate) che costano il 6-700% in più delle fresche. Vi è quindi un intimo (utopistico?) desiderio di ritornare ai tempi di una volta, quando ci si nutriva con la verdura raccolta nel
proprio orticello, oppure la si comperava dal contadino del paese e dal fruttivendolo che si riforniva dai produttori del posto. Molte associazioni, come la Coldiretti, cercano ora di promuovere e rilanciare il consumo di verdure “a chilometro zero”, cioè prodotte in Fattorie dove comperi direttamente alla produzione biologica e puoi raccogliere le verdure direttamente dai campi e dagli orti, eliminando o diminuendo fortemente forme di inquinamento ambientale. Assistiamo anche ad una riconversione produttiva degli agricoltori, per ora limitata ma in espansione, che favoriscono specialità orticole alla produzioni cicliche dei cereali e mais, specie su quelle fasce di terreni particolarmente ricchi di minerali e irrigati dalle acque di risorgiva, componenti naturali che favoriscono la qualità dell’alimento così come garantito dal marchio di origine sotto l’insegna dei “Prodotti di filiera a km 0”. Come si sa gli ortaggi hanno una grande importanza nella nutrizione dell’uomo perché sono fonte di vitamine, fibre e sali minerali; quelle verdure che sono comunemente usate nella nostra cucina quotidiana casereccia hanno anche importanti proprietà dietetiche e terapeutiche.
Le proprietà benefiche delle piante e degli ortaggi secondo la tradizione popolare Elisa Damian, naturopata e iridologa bellunese ci descrive alcune piante che maturano e si consumano proprio in questa stagione
e le proprietà benefiche a loro attribuite sin dai tempi antichi:
maggiori sembra avere azione febbrifugo;
Al Cardo mariano
Lo spinacio è ricco di vitamine e di
sono attribuite dalla medicina popolare proprietà tonico, rigeneranti del fegato, antiossidanti, e antispasmodiche, con anche funzioni diuretiche e aperitive;
Al Carciofo
si riconoscono proprietà depurative, toniche e digestive, diuretiche e coleretiche e soprattutto di abbassamento del colesterolo, e una notevole ricchezza di ferro.
Al Cavolo e alla famiglia delle crucifere in generale, fin dall’antichità coltivate per i loro principi medicamentosi, erano e sono attribuite proprietà specifiche per le difficoltà del tratto gastro intestinale, nelle affezioni catarrali, ecc; le piante di questa famiglia sono ricche di vitamine e minerali e secondo alcune ricerche le sono riconosciute proprietà preventive rispetto al benessere dell’organismo contro possibili gravi malattie. La Cicoria
stimola l’appetito, e si ritiene aiuti a regolarizzare le funzioni intestinali, del fegato e dei reni, favorisce la secrezione della bile e la diuresi. Ha un effetto depurativo e disintossicante, e tonificante, stimola l’appetito.
Il Fagiolo, alla sua buccia sono ricono-
sciute azioni diuretiche e ipoglicemiche (capacità di diminuire lo zucchero nel sangue); con i baccelli si può preparare una tisana che può aiutare a ridurre il colesterolo nel sangue e a ridurre la pressione arteriosa, svolgendo inoltre un’azione antibatterica; il fagiolo (seme) è molto nutriente e ricco di vitamine del gruppo A, B, C (che si disperde nelle cotture lunghe) ed E. Contengono anche sali minerali e oligominerali, come potassio, ferro, calcio, zinco e fosforo; sono ricchi di lecitina che favorisce l’emulsione dei grassi, evitandone l’accumulo nel sangue e riducendo il livello di colesterolo. I fagioli sono ricchi di fibre - soprattutto solubili - che favoriscono una migliore digestione.
Al Sedano a coste, ricco di sodio e
di calcio, potassio, ferro, vitamine A e C (distrutta dalla cottura), ecc. si riconoscono proprietà aperitive, diuretiche e depurative, espettoranti; ha pochissime calorie, bevuto come succo crudo e a piccole dosi sembra esser utile come tonico dell’attività renalica, non accompagnati da infiammazione e, in dosi
minerali e gli sono riconosciute proprietà lassative, tonificanti e antianemiche. L’alto contenuto di acido folico apporta benefici al nostro sistema immunitario, rinforzandolo e aiutando l’organismo nella produzione di globuli rossi. la luteina in esso contenuta sembra aiutare la funzione visiva. In 100 grammi di spinaci troviamo circa 3,5mg. di ferro vegetale, non facilmente assimilabile e trattenuto dall’organismo in minima quantità; per favorirne l’assorbimento gli esperti in materia consigliano di consumare in abbinamento agli spinaci anche alimenti che contengano acido ascorbico, come ad esempio il limone. L’acido ascorbico è in grado di favorire l’assimilazione di ferro vegetale.
La zucca è un alimento a basso contenuto calorico; tra i suoi componenti principali si citano: il betacarote, le vitamine A, B ed E, quest’ultima molto importante per le sue note proprietà antiossidanti. È un ortaggio ricco di minerali come calcio, sodio, potassio, fosforo, rame, magnesio, ferro, selenio, manganese e zinco, una discreta quantità di fibre e una vasta gamma di aminoacidi. Al betacarotene presente nella zucca si riconoscono numerosi benefici per la salute umana: la letteratura consultata evidenzia le sue proprietà di contrasto dei radicali liberi (sostanze altamente pericolose per il nostro organismo), di protezione del sistema circolatorio, antinfiammatorie e antiossidanti. Oltre a queste proprietà, si citano i benefici che la zucca apporta all’organismo per quanto riguarda il rilassamento, gli effetti diuretici e quelli sedativi, infatti sin dall’antichità alla zucca si attribuirono proprietà calmanti e rilassanti, per chi è nervoso e insonne. Ai semi della zucca vengono attribuite proprietà preventive per i problemi alle vie urinarie maschili e femminili, e per i danni alla prostata. Il pomodoro Anche se non matura in questa stagione, vale la pena ricordare il “principe” degli ortaggi, il pomodoro, che cresce comunemente negli orti delle nostre case per tutta l’estate, degno di menzione proprio per l’ampio uso che se ne fa in cucina, sia crudo che cotto usato per preparare le salse che condiscono anche piatti invernali e che dietro di sé ha una sua storia mol-
to affascinante. Il pomodoro è proveniente dalle Americhe e fu portato in Europa dai Conquistadores spagnoli che lo scoprirono in Messico intorno al XV secolo, dove era coltivato dalla popolazione indigena degli aztechi che lo chiamavano tomatl. In Spagna fu coltivato dai Monaci Certosini come pianta ornamentale e lo studiarono a lungo per verificare se possedesse alcune proprietà terapeutiche e farmacologiche. Bisogna attendere però il XVIII secolo perchè gli siano riconosciute qualità alimentari e nutritive che lo portarono ad essere coltivato in ogni continente. Accadde in Nord America nel 1820 quando il colonnello americano Robert Gibson Johnson mangiò provocatoriamente il pomodoro davanti ad una folla attonita che lo credeva un ortaggio avvelenato, ponendo così fine ad ogni dubbio sulle sue qualità alimentari. In Italia a metà del XVIII secolo il pomodoro era coltivato solo nelle regioni meridionali e diventò famoso quando i napoletani, assieme alle foglie di basilico, ne fecero una salsa particolare che vendevano nei mercati rionali per condire la pastasciutta e qualche anno più avanti un pizzaiolo napoletano unendo questa salsa di pomodoro e basilico alla mozzarella, celebrò la nascita della pizza margherita che divenne famosa in tutto il mondo. Ci spiega Elisa Damian che il pomodoro è costituito da più del 90% di acqua e contiene pochi carboidrati, pochissimi grassi, e proteine e fibre. L’acido citrico rappresenta il 90% degli acidi totali. Gli aminoacidi del pomodoro comprendono tutti quelli ritenuti indispensabili per l’alimentazione. Tra i pigmenti troviamo i carotenoidi, il licopene e il Beta-carotene. È un ortaggio indicato a volte nelle diete perché contiene pochissime calorie e al contempo è un prodotto ricco di fattori essenziali per l’alimentazione umana. Al pomodoro vengono attribuite proprietà rinfrescanti, diuretiche, lenitive e antiossidanti. il licopene e il betacarotene in esso contenuti sembrano avere marcata azione antiossidante e preventiva della salute dell’organismo; è controindicato in caso di gastriti e reflusso gastresofageo. Quanto descritto ha scopo puramente culturale e divulgativo, gli autori declinano qualsiasi responsabilità nell’uso improprio degli argomenti trattati, si consiglia di rivolgersi a esperti per maggiori approfondimenti
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{a pranzo da}
Un “trait d’union” fra la cucina tradizionale friulana e veneziana
Ristorante
Bar • Ristorante • Pizzeria • Specialità Pesce 33083 Villotta di Chions (PN) • Via Cadore, 10 • Tel. 0434 639301 • Cell. 338 1759437 Aperto tutti i giorni dalle 7.00 alle 24.00
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“A
bbiamo accettato la sfida di rilanciare questo bel locale che stava progressivamente andando in disuso – esordisce Mauro Montagner, noto manager imprenditoriale della ristorazione -. Lo abbiamo acquisito poco più di tre mesi fa’ e siamo intervenuti rinnovando completamente la cucina con moderne e funzionali attrezzature e ponendo alla sua conduzione uno chef di provata esperienza e capacità professionale, affiancato da uno staff molto preparato. Una parte dell’arredamento è stata arricchita di eleganti vetrine e scaffali che sono ora una fornita enoteca di pregiati vini, conferendo alle sale da pranzo un tocco di eleganza e signorilità e soprattutto di comodità. È stato selezionato il personale di servizio, preparato ed educato; il menu è stato rinnovato e offre una vasta scelta di piatti a prezzi contenuti ed infine è stato scelto il nome di Ristorante Adriatico che rappresenta tutta la tradizione e tipicità della cucina del nostro territorio che va dalla pedemontana fino al nostro mare. Ecco che fin da subito abbiamo raccolto risultati lusinghieri con una frequentazione assidua di clienti soddisfatti, pur esigenti ed attenti;
ciò ci gratifica e ci stimola a insistere e proseguire su questo percorso.” Non c’erano dubbi in proposito dato che sono riconosciute le capacità imprenditoriali di Mauro e dei suoi soci Francesco Petracco e Davide Magna, con i quali conduce da oltre quindici anni il Ristorante Al Lido di Pordenone, considerato punto di riferimento degli amanti della cucina semplice, genuina e fresca tanto amata da compagnie e famiglie che lo preferiscono per la qualità del cibo ed il prezzo equo, e poi il Ristorante Belvedere di Blessaglia di Pramaggiore (VE) che propone la medesima cucina che traspira di tradizione e tipicità della Venezia Orientale. Bello, confortevole, elegante, comodo, arioso, moderno, raffinato, accogliente! Queste sono alcune espressioni che a ragione si rivolgono ora al ristorante Adriatico, posizionato lungo la strada che da Pordenone porta al mare, all’incrocio di Villotta di Chions, al confine con la provincia di Venezia. Circondato dal verde della suggestiva campagna friulana bagnata da ruscelli d’acqua di risorgiva e qualche laghetto e fontanasso che sgorga in mezzo a prati che profumano di fiori di campo, fra macchie di piante che odorano di sambuco e gelsomi-
no, il ristorante Adriatico è avvolto in un’atmosfera piacevolmente serena, lontano da rumori, smog e traffico della città, è rilassante, cordiale e comodo nelle sale interne. Il menu è ricco di piatti della tradizione dell’entroterra che predilige carne di filiera locale, verdure di campo e di orto fresco, e poi le grandi specialità di crostacei e pesci di mare che arrivano nella cucina ogni giorno freschi e profumati, con cui lo chef confeziona antipasti di calamari e mazzancolle, fritti e grigliati, cozze saltate ed insalate di mare, baccalà, primi piatti di pasta alla bùsera, alla pescatora, risotti alla marinara, rombi, branzini, orate, scampi e molto, molto altro ancora per i palati più esigenti, da accostare ai pregiati vini friulani e del territorio di Lison Pramaggiore. Il tutto all’insegna dell’abbondanza e della bontà ad un costo contenuto! Il Ristorante Adriatico ha una struttura importante capace di soddisfare gruppi numerosi nelle sue tre comode sale da pranzo, per cui è ideale per matrimoni, feste sociali ed aziendali. Mauro poi organizza grandi eventi e feste della tradizione popolare e religiosa, come San Valentino, Festa delle Donne, la festa della “renga” nel mercoledì delle ceneri, pranzi pasquali e natalizi.
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{luoghi da vedere}
Veneto Orientale: Il paesaggio delle valli e dei canali
A
ridosso di Caorle e Bibione si estende il grande bacino vallivo che comprende Val Perera, Val Franchetti (San Gaetano), Valle Zignago, Valle Vecchia (Brussa) Valle Grande e Vallesina, ubicato alla sinistra del canale Nicesolo e che si distende fra il canale di Lovi fino a sud del tratto della Litoranea Veneta che da Porto Baseleghe si congiunge con il basso Tagliamento. È un grande ecosistema lagunare, fluviale e vallivo, un grande giacimento naturalistico culturale e storico di circa 3000 ettari di cui quasi la metà è superficie acquatica che compone un paesaggio suggestivo ed affascinante composto da fiumi di risorgiva come il Lemene, il Loncon e Lugugnana, un reticolo di canali, specchi d’acqua di varie dimensioni, isolotti coperti da canneti, ghebi e barene, fitte vegetazioni di sottobosco e macchie mediterranee, estensioni arbustive ed arboree autoctone, di Pioppi, Lecci, Noci, Frassini neri, Cinquefoglie, Carpini, Genziane, abitato da una ricca fauna popolata nelle acque da pesci come il cefalo, la carpa, l’orata, il branzino, il ghiozzo, l’anguilla e poi da volatili nidificanti come la folaga, il colombaccio, il germano reale, molte specie di anatre che vengono a svernare, beccaccini, gallinelle di mare e tanti altri uccelli di passaggio, animali di pelo come la
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lepre, il daino, capriolo, la faina, la volpe rossa. Sparse qua e là qualche casa dei guardiani di valle, chiuse ed abbandonate, costruzioni industriali che sono i bacini ed idrovore che regolano il flusso e deflusso delle acque; i tipici casoni di canna lungo le sponde e le anse del Nicesolo del Canal Morto, del Canale di Lovi verso Terzo Bacino, nel villaggio dei Pescatori alle Bocche di Volta, rappresentano il passato di uno storico popolo che viveva esclusivamente con la pesca di valle, e lunghe file di cavane nel Nicesolo e in Brussa in un
Ernest Hemingway che qui veniva a cacciare anitre selvatiche, folaghe e mazurini, dedicò alla laguna alcune fra le più belle pagine del suo romanzo “Di là del fiume e tra gli alberi” ispirato dal suggestivo paesaggio vallivo
tratto della Litoranea Veneta, ricovero per piccole e colorate imbarcazioni, come le batée e le caorline. Qualche antico borgo rurale come San Gaetano, costruito attorno alla Villa del Barone Franchetti che più volte ospitò lo scrittore americano Ernest Hemingway che qui veniva a cacciare anitre selvatiche, folaghe, mazurini, e dedicò alla laguna alcune fra le più belle pagine del suo romanzo “Di là del fiume e tra gli alberi” ispirato dal suggestivo paesaggio vallivo. Molti la ricordano come la “Laguna di Hemingway”. Oltre il fiume Livenza sorge Ca’ Corniani, da più di un secolo proprietà delle assicurazioni “Generali” che hanno bonificato una vasta area di 1700 ettari in cui si producono mais, soia, frumento e vigneto. All’interno dell’azienda è stata recuperata la centenaria cantina, splendido esempio di architettura rurale veneta che costituisce un complesso ricco di antiche tradizioni della enologia veneziana. Ca’ Corniani è nota anche per essere grande allevamento di anguille, branzini, orate. Ca’ Cottoni è un altro borgo ottocentesco, sorto su terreni palustri ora bonificati e produttivi, come quelli del Marango, e verso est la Brussa, Bacino Villa, Terzo Bacino, Marinella, Bevazzana. Verso Bibione, i resti di una Pineta marina separano le valli dal grande centro balneare che si è ormai espan-
{le ricette} Strudel di storione alla bibionese Lo storione va pulito e levato della pelle, salato e pepato e riposto in frigo. Cuocere a parte degli spinaci in acqua salata tenendoli piuttosto al dente, quindi scolarli per bene e lasciarli raffreddare. Preparare una pasta matta fatta con 3 uova, gr.500 di farina, sale e acqua e tirarla molto fina. Avvolgere completamente lo storione crudo in uno strato di spinaci e quindi in uno strato di pasta, chiudere il tutto dentro uno strofinaccio bianco legando le estremità e molto ben tirato (altrimenti la pasta si può rompere), tuffarlo in acqua bollente salata e cuocerlo per circa due ore a fuoco moderato. Quindi levarlo dalla pentola, montarlo in bellavista, affettarlo e bagnarlo con burro fuso aromizzato con salvia. Accompagnarlo con un Sauvignon fresco.
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Moscardini di Caorle al prezzemolo Ingredienti per 6 persone: 12 moscardini (2 a testa) uno spicchio d’aglio,una manciata di prezzemolo tritato, un gambo di sedano, una carota, olio e.v.o. sale e pepe q.b. Procedimento: Pulire accuratamente i moscardini, levarne la bocca e lavarli; Immergerli nell’acqua leggermente salata, prendendoli per la testa, e lessarli assieme al sedano, carota e spicchio d’aglio, avendo cura di schiumare l’acqua quando bolle abbassandone subito la temperatura per evitare che si rompano. A cottura ultimata (dopo circa 30/35 minuti) si lasciano raffreddare e si servono tagliati a metà, conditi con olio e.v.o., limone, regolati di sale e pepe, coperti di prezzemolo tritato, accompagnanti con una insalatina novella, ed un vino bianco Chardonnay vivace L.P.
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so fino alle foci del Tagliamento. Qui resiste ancora un territorio incontaminato percorso da dune marine, dune fossili, boschetti di pino nero, ontano nero, lecci e steppa. Parte di queste valli, in tempi più o meno recenti, sono state parzialmente bonificate ed ora i terreni che si spingono verso l’interno sono campi allineati per chilometri oltre i centri abitati di Ottava Presa, Sindacale, Cavanella fino Concordia Sagittaria, Lugugnana, Giussago, Vado fino a Portogruaro, Villanova e Fossalta, ben coltivati a soia, frumento e soprattutto a mais per fornire i moderni allevamenti di bovini esistenti, e lungo le sponde del Tagliamento fino a San Michele compaiono tanti frutteti e piantagioni di ortaggi, fra i quali primeggia la produzione primaverile del famoso “Asparago bianco di Bibione”. Nell’ambiente vallivo, prima della coltura agricola che si è sviluppata nei terreni bonificati, da secoli è esistito l’allevamento intensivo del cefalo, delle orate, del branzino, dell’anguilla e si è praticata la caccia agli animali di pelo, come la lepre e il daino, e a quelli di piuma che qui vengono a svernare o sono di passaggio. In un area di circa 150 ettari di terreno bonificato oltre Brussa è stata ricavata l’“oasi naturalistica di Valle Vecchia” a cura di “Veneto Agricoltura”, un habitat in parte lacustre in cui si rifugiano numerose specie di uccelli migratori e fauna di palude che si possono osservare ed ammirare da vicino dalle postazioni appositamente costruite: cormorani, gabbiani reali del medi-
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terraneo, rondini di mare, il martin pescatore, folaghe e falchi di palude, il cavaliere d’Italia, germani reali, aironi rossi cenerini e bianchi e numerosi uccelli acquatici nel periodo delle migrazioni di primavera ed autunno, e altri che scelgono di nidificare qui, come la capinera, l’usignolo di palude, la cinciallegra, il merlo, cardellino e pettirosso, la beccaccia, lo sparviero, l’upupa, il picchio. Fra queste valli e questi canali per molti secoli si è praticata l’attività della caccia e della pesca in quanto erano le uniche risorse della popolazione del vasto territorio per loro nutrimento e per creare commercio. Con l’avvento del benessere sociale dagli anni sessanta-settanta la caccia in valle si è aperta ad una miriade di cacciatori provenienti anche “da fuori” che la esercitano come sport ludico popolare. Migliaia di cacciatori, forniti di doppiette superautomatiche e richiami elettronici, hanno costruito moderni “casoni da caccia” e centinaia di “botti di appostamento” lungo il canale Nicesolo e presso le bocche di porto ed un viavai di barche a motore lungo i canali interni ha provocato un impoverimento della fauna ed un lento, costante ed inesorabile declino dell’attività venatoria, tanto che ora viene esercitata da qualche centinaio di cacciatori ai bordi delle numerose riserve, in stagioni ed orari predefiniti e anche all’interno delle esclusive “riserve di caccia” che vengono giocoforza ripopolate annualmente per consentire agli appassionati di continuare ad esercitare questo sport che un tempo era esclusiva attività della povera gente delle valli che così si sfamava e anche area di approvvigionamento di selvaggina per arricchire le mense dei nobili proprietari. La pesca in valle è stata l’attività principale esercitata dai pescatori di Caorle e litorale dell’alto Adriatico che sfruttavano la fauna ittica delle acque della laguna e dei canali: un mestiere molto difficile, faticoso e pericoloso, tramandato da padre in figlio, che coinvolgeva intere comunità di pescatori che si trasferivano con le loro tipiche imbarcazioni, i burcèi, caorline, le batèe, i topi, a vivere, allo stato brado, nei caratteristici casoni fatti di strame allocati fra le valli. E qui pescavano dalla tarda primavera ad estate con l’uso di grandi reti posizionate nelle bocche di porto e con la tratta, la lunga rete fissata su pali di legno e posizionata a semicerchio
per chiudere una parte della laguna e dei canali: quintali di cefali, branzini, volpine, boseghe, orate, passere, anguille, ghiozzi, sgardole e nei canali più interni: barbi, carpe, lucci, pesci gatti, persici. I pesci speciali erano venduti nei mercati di Caorle e Marano e gli altri meno pregiati servivano per nutrirsi. La professione del pescatore di valle, ma anche di fiume, praticata da generazioni per secoli e secoli è ora quasi scomparsa; viene esercitata da pochi nostalgici anziani che insistono a pescare nelle acque interne con le loro batèe anche se disturbati dalle onde dei fuoribordo che scorazzano lungo i canali. Il cambiamento sociale economico ed ambientale ha favorito la redditizia industria turistica balneare, mentre i pescatori di Caorle sin dagli anni trenta del secolo scorso hanno trasferito la loro attività principalmente nel mare Adriatico, rendendola così economicamente più vantaggiosa e meno faticosa, favoriti in questo dall’uso dei Bragozzi, grosse imbarcazioni un tempo fornite di vele al quarzo e spinti dal vento ed adibite al trasporto di merci e derrate alimentari, che navigavano fra i canali e la Litoranea Veneta e poi, con l’avvento della tecnologia, spinte da potenti motori diesel e ben attrezzate per affrontare anche la pesca in alto mare.
{Natura e benessere}
di Sebastiano Saviane - Ordine Cavalieri di San Martino (BL)
Le erbe officinali le piante e i loro principi attivi
Biete Famiglia di appartenenza: Chenopodiacee. Storia: Probabilmente la bieta marittima, quella selvatica diffusa specialmente lungo i litorali del Mediterraneo, è la specie originale. Poi, con la coltivazione dell’uomo si sono create nuove varietà di biete. Proprietà: Viene consigliata nei casi di malattie renali e cistiti per le sue proprietà diuretiche e rinfrescanti, protegge dalle malattie tumorali e aiuta nei casi di anemia. Importante il suo utilizzo nella dieta per l’apporto di sali minerali e vitamine nell’organismo; regola le attività intestinali. Utile il decotto di bieta contro le infiammazioni del sistema urinario, e contro la stitichezza e le emorroidi. Le foglie si possono utilizzare per fare impacchi antinfiammatori ed emollienti e lenitivi da applicare su emorroidi, scottature, foruncoli e ascessi. Profilo merceologico: Sali minerali quali il potassio ed il ferro; carotenoidi quali luteina e betacrotene (azione antiossidante); clorofilla (contro le malattie tumorali); acido folico fondamentale per lo sviluppo delle cellule; fibra. Avvertenze: non sono state riscontrate controindicazioni.
Fagiolini
Famiglia di appartenenza: Leguminose papiglionate. Storia: Con questo nome generico vengono definiti i baccelli immaturi dei fagioli (la cui pianta è di origine americana). Proprietà: Lo scarso apporto calorico lo rende consigliabile all’interno delle diete dimagranti, allo stesso tempo risulta essere ricco di principi nutritivi e utile come cardiotonico per la presenza al suo interno di una sostanza chiamata inosite. Particolarmente indicato nelle diete per le persone che soffrono di diabete, risulta essere depurativo per molti organi quali fegato, pancreas e reni (consigliato anche nei casi di calcolosi renale). Viene spesso utilizzato nelle convalescenze per l’apporto di sali minerali, vitamine e la presenza di buone quantità di vitamina C, aiuta l’organismo, come risaputo, nel contrastare le affezioni batteriche e influenzali. Ricchi anche di fibre, sono consigliati a soggetti affetti da stitichezza. Inoltre sono particolarmente indicati nelle diete per i diabetici in quanto non innalzano i livelli della glicemia. Profilo merceologico: Ricchi di carboidrati, carotenoidi, vitamine B e C, fibre, clorofilla e sali minerali, tra i quali fosforo e calcio (importanti per la formazione dello scheletro), potassio (per la regolazione del Ph sanguigno); ferro, rame (essenziale per l’assorbimento del ferro). Avvertenze: Da non ingerire crudi in quanto contengono un enzima in grado di bloccare la digestione e si consiglia la cottura a vapore o in poca acqua per garantire il mantenimento delle loro proprietà. Quanto descritto è volto a puro scopo didattico e culturale, qualora una persona desideri utilizzare le piante descritte si consiglia di rivolgersi ad un medico o ad un esperto in materia. Gli autori declinano ogni responsabilità dall’uso improprio di quanto descritto.
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{vino & dintorni}
La nuova Doc “Venezia” e
il Consorzio Vini Venezia I
l 9 settembre 2011, a quasi un anno di distanza dalla nascita della nuova Doc “Venezia” (che tutela i vini Rosso, Merlot, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Chardonnay, Pinot Grigio, Bianco spumante e frizzante, Rosato, Rosato spumante e frizzante prodotti sul territorio delle province di Venezia e Treviso), si costituisce il Consorzio Vini Venezia: un atto che sancisce la scomparsa di due storici Consorzi di tutela vini del Veneto come quello del “Lison Pramaggiore” che si estendeva nella provincia di Venezia, Treviso e Pordenone, e del “Piave” uno dei più estesi d’Italia. La nuova Doc “Venezia” disciplina alcune tipologie di vini che derivano da tipici vigneti comuni sia al territorio di Venezia che di Treviso e, fatto importante, valorizza con la nuova denominazione a Docg lo storico vino bianco “Lison e Lison Classico” e il “Piave Melanotte” vino di pregio particolare che deriva dal vigneto autoctono Raboso. La Docg “Lison e Lison Classico” si riferisce ai vini ottenuti sostanzialmente dal vitigno Tai nella zona di Lison – Pramaggiore, unicamente di vigneti ubicati in terreni di origine sedimentaria alluvionale e di medio impasto, tendenti all’argilloso ed allo sciolto, anche con presenza di concrezioni calcaree. Ha colore giallo paglierino più o meno carico con riflessi verdognoli e talvolta dorati; odore caratteristico, gradevole; sapore asciutto, vellutato
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con eventuale percezione gradevole di legno. Ha un titolo alcolometrico volumico totale minimo di 12,00% vol e 12.50% vol. nella versione classico. Il “Malanotte del Piave” Docg, vendemmiato per la prima volta nel 2008, rappresenterà l’eccellenza della produzione del Raboso ed è disponibile in commercio da novembre 2011. Il disciplinare che ne regola la produzione prevede che una parte dell’uva variabile tra il 15% ed il 30% sia sottoposta ad un particolare appassimento che smussa il sapore austero del Raboso Doc Piave. L’invecchiamento minimo previsto, uno dei più lunghi stabiliti dalla legge italiana, è di tre anni, di cui uno interamente effettuato in legno. La nuova Doc “Venezia”, un nome strategicamente importante, ha lo scopo di valorizzare e tutelare ben 11 vini di pregio che rischiano l’anonimato se fossero identificati solo con il nome del vitigno mentre il Consorzio Vini Venezia, che riunisce oltre 4000 produttori diventando di fatto il più grande, importante ed avanzato d’Italia, ne tutela addirittura 44. Il presidente del Consorzio Doc Lison Pramaggiore, Mauro Stival, a suo tempo ha sottolineato che la fusione con il Consorzio Vini del Piave è stata una scelta che consente una gestione più agile e fluida che mira a potenziare la commercializzazione dei vini della zona. Antonio Geretto, enotecnico e sommelier, contitolare dell’omo-
nima azienda vinicola, coinvolto in questo processo di cambiamenti si è così espresso: “Ritengo la nascita della nuova denominazione “Venezia” un fatto assolutamente positivo per i vini prodotti nel Veneto Orientale. Prima di tutto, ovviamente, perchè il nome della città lagunare è famoso in tutto il mondo; in secondo luogo, dato che unisce due zone come quella del Piave e del Lison Pramaggiore tradizionalmente distinte, realizza un processo, secondo me necessario, di semplificazione e diminuzione delle denominazioni che dovrebbe essere imitato anche nel resto d’Italia. Nel coacervo sempre più intricato dei nomi geografici con cui i vini italiani si propongono, il consumatore fa molta confusione e rischiamo di compromettere la penetrabilità nel mercato dell’agroalimentare di cui gode il Made in Italy. Considerato poi che il vino italiano – prosegue Geretto – dovrà sempre più rivolgersi al mercato estero e, in particolare, a paesi come Cina e India, nei quali non fa assolutamente parte di cultura e abitudini alimentari, il requisito della facile riconduzione di un prodotto alla zona di origine è fondamentale. Chi va a proporre i propri vini all’estero sa come sia difficile spiegare le peculiarità e la dislocazione delle produzioni vinicole del Veneto Orientale, schiacciati come siamo dalla popolarità di vere locomotive come l’Amarone della Valpolicella
e il Prosecco in regione e dei più noti vini del Friuli al nostro confine. Per questo non condivido assolutamente le lamentele di chi vede in questa nuova denominazione geografica un impoverimento dell’identità delle due zone locali, storiche per i loro vini, come il Lison Pramaggiore e il Piave, alle quali anzi questa operazione non potrà che giovare”. Statistiche e indagini sociologiche confermano che Venezia è stabilmente tra le prime tre cose che, in qualunque paese del mondo, vengono in mente quando si pensa all’Italia. In un momento storico in cui la percezione della qualità di un prodotto non è assicurata solo dai suoi pregi sensoriali, ma anche da tutta una serie di stimoli e collegamenti di matrice culturale o fascino emotivo. Facile dedurre che una bottiglia di vino che porta questo nome godrà di un valore aggiunto e, finalmente, di una riconoscibilità che i vini del territorio oggi non hanno. Il primo passo? Puntare al mercato estero ma, allo stesso tempo, essere più presenti nei locali di Venezia dove milioni di turisti possano cominciare a conoscere ed apprezzare i vini “Venezia” alla fonte, magari portarsene a casa una bottiglia per poi riacquistarla a casa loro. Infatti, nel vino non vale il detto latino “Nemo profeta in patria”, anzi essere presenti e apprezzati nel mercato locale è fondamentale. A Montalcino e Barolo lo sanno bene.
GLI APPUNTAMENTI TRASCORSI
LE PROSSIME DATE IN PROGRAMMA
Venerdì 27 gennaio THE BANACHER A cena con il pesce del Nord Adriatico 0421 272868 Concordia Sagittaria
Giovedì 19 aprile AL CACCIATORE Erbe primaverili 0421 799855 Blessaglia di Pramaggiore
Venerdì 10 febbraio OSTERIA AL CACCIATORE La selvaggina in tavola 0421 703550 Concordia Sagittaria Giovedì 29 marzo DA FANIO Il mare nel piatto 0421 270462 Concordia Sagittaria
Ritornano anche quest’anno gli appuntamenti dedicati ai piatti della tradizione del territorio del Lemene, accompagnati dai vini del Lison Pramaggiore. Un’occasione per cogliere le diverse sfumature del gusto proposte dai ristoratori aderenti all’iniziativa.
Lunedì 28 maggio SACCO & VANZETTI Asparago di Bibione... e dintorni 0421 271502 Concordia Sagittaria Sabato 23 giugno SKORPIOS Arte del degustare, piacere del mangiare 0431 43574 Bibione Venerdì 21 settembre DA ROSETTA Alla riscoperta del pesce azzurro 0421 789072 Alvisopoli Giovedì 11 ottobre AL CONFIN Molluschi e crostacei della laguna del mare 0421 270474 Concordia Sagittaria Venerdì 16 novembre TAVERNETTA DEL TOCAI I freschi profumi d’autunno 0421 204264 Pradipozzo Lunedì 3 Dicembre ALLA BOTTE A cena con i colleghi 0421 760122 Portogruaro
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{le confraternite associate all’ucet} Unione Circoli Enogastronomici del Triveneto (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige)
Cà delle Rondini Spinea (Venezia) La Confraternita dell’Arte Culinaria
Incontro Annuale Consiglio Direttivo Presidente
Annamaria Poglie gran maestro
Antonio Calzavara coordinatore
Alfredo Candian revisore dei conti
Carlo Bagnolo segreteria
Maria Luisa Anoè
scopi
Ricerca e valorizzazione della cucina tradizionale e dei prodotti tipici dell’entroterra veneziano
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Ca’ delle Rondini Domenica 9 ottobre 2011 Presso il Circolo S. Francesco a Crea di Spinea, sono accolte le delegazioni delle Confraternite e gli Ospiti con un sontuoso buffet di benvenuto (cocktail di gamberetti, baccalà mantecato, crostino di salmone, aringa affumicata, sarde in saòr con vino Taj bianco e merlot rosso). Dopo i saluti di casa di Maria Luisa Anoè, segue il momento culturale con una dotta conferenza di Giovanni Pavan sul tema “Parliamo di vino: la vendemmia di Ieri e di Oggi”. Quindi trasferimento al Ristorante Cinque Colonne di Mirano per consumare il pranzo delle Confraternite dedicato alla cucina di mare con piatti elaborati in chiave antica e moderna: Risotto di zucca, gamberoni con passarin fritto, insalata di cappesante, calamaretto ripieno, tortelli verdi con gamberi e verdure, lasagne al pesce, crostacei ai ferri con verdure fritte, scaloppa di branzino alle ortiche,
crema fritta e dolci venezianità; ogni pietanza è stata consumata in giusto accostamento con vini Tai, Serpino, Colli Euganei Bianco, Chardonnay, Fior d’arancio, serviti impeccabilmente dai Sommelier della Confraternita I Dogi. Una giornata esaltante in cui storia di casa nostra e arte della buona cucina tipica e tradizionale veneziana hanno nobilitato la conoscenza ed i sapienti palati dei numerosi rappresentanti delle Confraternite associate all’Ucet che hanno trascorso una giornata indimenticabile in un ambiente raffinato e caldo in cui arieggiava l’amicizia e la stima di tutti gli astanti che, nell’intermezzo degli scambi dei doni, hanno tributato un caloroso applauso alla Confraternita promotrice dell’evento. (Le foto della manifestazione sono pubblicate nel sito www.ucet.it)
{le confraternite associate all’ucet} Unione Circoli Enogastronomici del Triveneto (Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige)
Ordine Cavalieri di San Martino Belluno Consiglio Direttivo gran maestro
Anna Bristot Lovato segretaria
Elisa Damian tesoriere
Cesare Saviane paladino
Mario Perera Sebastiano Saviane Adriano Sartor Lucio Dal Farra Orlando Dal Farra Ugo D’Incà Maria Cristina Zoleo
scopi principali
La conoscenza, diffusione e valorizzazione della storia e del costume bellunese attraverso momenti culturali, ricreativi e turistici. Esaltazione e propaganda della enogastronomia con particolare riferimento a quella tradizionale della Val Belluna. Diffusione attraverso l’enogastronomia dello spirito di fratellanza cui dovrebbero ispirarsi i popoli
Ordine Cavalieri di San Martino di Belluno Festa Sociale
Domenica 13 novembre 2011 Ritrovo al Palazzo Rosso con colazione di benvenuto. Nella Sala del Consiglio, il saluto della presidente Annamaria Bristot e del presidente Ucet Leandro Costa; conferenza di Gianluigi Secco “Il Pastin crudo e memoria corta”; cerimonia di intronizzazione dei nuovi Cavalieri. Visita alla Fiera di San Martino nel centro storico di Belluno e trasferimento al Ristorante Vinoteca “De Gusto” per il pranzo delle confraternite. Una festa nei ritmi della tradizione ben organizzata dalla Confraternita bellunese,
interamente dedicata alla cultura locale ed alla amicizia. Il pranzo è stato un susseguirsi di piacevolezze tipiche della tradizione locale (pastin con polentina, salame e pancetta di casada, nostràn, risotto di finferli, gratin girelle con zucca ricotta e speck, schiz, capriolo in salmì, torta all’arancio con frutti di bosco, tutto accostato armonicamente a vini triveneti: Spumante Sogno di Luna, Tai friulano, Raboso Sperti, Fior d’arancio. Scambio di doni e arrivederci alla prossima edizione.
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{officina degli eventi}
Piccole Città Storiche del Veneto data
NOME / MANIFESTAZIONE
DESCRIZIONE
1 APRILE
Pasqua musicale nella Evento musicale riviera degli Olivi
6 APRILE
Processione del Venerdì Santo
9 APRILE
luogo
comune
prov.
Chiesa Parrochiale di Santo Stefano
Malcesine
VR
Sacra processione in occasione del venerdì santo lungo gli spalti medioevali
Centro Storico di Noale
Noale
VE
Biciclettata di primavera
Biciclettata in compagnia promossa dall’Oratorio di Cappelletta di Noale
Cappelletta di Noale
Noale
VE
9 APRILE
Sagra di S. Vincenzo
Sagra paesana storica della frazione di Toccol, nel corso della quale si svolge una fiera lungo la via interna della frazione dalla ore 7.00 alle ore 19.00. Frazione Toccol Vengono effettuati spettacoli vari, la ruota degli animali, giochi vari per bambini e degustazione di piatti tipici
Agordo
BL
9 APRILE
Mercatino dei Portici Mercato dell’antiquariato
Piove di Sacco
PD
15 APRILE
Noale in fiore
Mostra mercato dedicata al settore florovivaismo
Centro Storico di Noale Noale - ingresso libero
VE
15 APRILE
Mercatino dell’antiquariato
Mercato-scambio oggettistica, hobbistica, modernariato e antiquariato lungo le vie del centro storico di Soave
Via Roma - Corso Vittorio Emanuele
Soave
VR
VR
Piazze, centro storico, via Garibaldi
20 APRILE
Amaryllis, storia di una famiglia
Con il dott. Alberto Grossi
Spazio culturale LaFogliaeilVento, Museo del Gioco, Piazza Foro Soave Boario. All’interno del parco giochi
22 APRILE
Maestri del commercio 2012
33^ Ed. della Giornata del commerciante
Teatro Filarmonico
Piove di Sacco
PD
25 APRILE
Biciclettata escursionistica
Pedalata lungo il Bacchiglione
Bacchiglione, Cà di Mezzo
Piove di Sacco
PD
Fish & Chef
Evento enogastronomico: presentazione e degustazione di prodotti tipici del territorio (pesce di lago, olio di oliva, formaggi del Baldo, carne della Garronese Veneta)
Centro città
Malcesine
VR
27 APRILE
Scarpe e Cervello Escursioni 2012
Dal piazzale della Bassanella si risale sul Monte Foscarino, si prosegue tra Ritrovo ore 9.oo il paesaggio agricolo che caratterizza presso il piazzale le colline dell’est veronese fino alla della Bassanella frazione di Fittà, per poi scendere a valle in direzione di Soave
Soave
VR
29 APRILE
Festa del Trattore
Malcesine
VR
26 APRILE 6 MAGGIO
* il presente elenco è un riassuntivo di tutte le reali manifestazioni disponibili, stillato operando anche una selezione per data rispetto all’uscita di questa rivista. L’elenco completo ed aggiornato, anche per i mesi successivi, è consultabile su www.piccolecittastoriche.it
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l mondo della stampa è come una foresta intricata, dove gli alberi sembrano tutti uguali, e non ci sono punti di riferimento. Senza orientamento, è facile perdersi. Per uscire dalla foresta, per arrivare al miglior prodotto possibile, bisogna sapere come muoversi. Assistere i nostri clienti nei minimi particolari, dando importanza ad ogni loro esigenza, è questo il nostro metodo per tracciare quel sentiero. La via più sicura ed affidabile, verso il miglior risultato.
Il tuo 5xmille all’UNICEF
© UNICEF-NYHQ2006-0081-Shehzad Noorani
Ecco perché.
Ogni giorno 22.000 bambini muoiono per cause che possono essere prevenute. Ogni giorno l’UNICEF lotta per portare a zero questo numero con interventi efficaci e a basso costo, come le vaccinazioni. L’UNICEF distribuisce vaccini a quasi la metà dei bambini del mondo, ma per raggiungerli tutti, c’è bisogno del tuo aiuto. Firma e inserisci il codice fiscale dell’UNICEF nella tua dichiarazione dei redditi o nel CUD: trasformerai il 5xmille in vaccini salvavita per i bambini del mondo. E cambierai il loro destino senza spendere un centesimo.
Il tuo 5xmille all’UNICEF: a te non costa nulla, a loro salva la vita.