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LOUJAIN AL-ATHLOUL
LOUJAIN ALHATHLOUL, una vita per la libertà
di Giulia Agresti
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Loujain al-Hathloul (لﻮـﻟﺬـﮭﻟا ﻦﯿﺠـﻟ in arabo) è un’attivista e social-media influencer saudita che si batte per i diritti delle donne nell’Arabia Saudita. È stata nominata terza nella lista del 2015 delle 100 donne arabe più influenti e nel 2019 una delle 100 persone più influenti al mondo. La sua attività nasce dalla richiesta di permettere alle donne di guidare attraverso il movimento Women to drive, di cui è la leader. È riuscita il 26 settembre 2017 a far emanare un decreto reale sulla sospensione del divieto, ma ha pagato il risultato a caro prezzo. Nel 2014 è stata tenuta in prigione per 73 giorni per aver guidato al confine degli Emirati Arabi Uniti, nonostante avesse una patente valida. Loujain ha provato a presentarsi come candidata per le elezioni locali saudite del 2015, ma è stata esclusa. A settembre del 2016 ha iniziato una petizione con altre 14000 attiviste per porre fine al cosiddetto ‘sistema del guardiano’, secondo il quale la donna deve sottostare a un uomo ‘guardiano’ che la controlli in ogni momento della sua vita. Successivamente, accusata per aver ‘sfidato’ il governo, è stata arrestata al King Fahad 20 International Airport a Dammam e non le è stato concesso di vedere un avvocato o chiamare la sua famiglia.
Ma il vero incubo per Loujain è iniziato nel 2018: nel mese di marzo è stata rapita mentre si trovava negli Emirati Arabi Uniti e deportata in Arabia Saudita, da cui non le è stato concesso più di uscire. A maggio invece è stata arrestata senza alcun motivo valido e da allora è rimasta chiusa in prigione. Durante questi
anni è stata torturata, picchiata e violentata, suscitando la preoccupazione non solo della famiglia, ma anche del Parlamento Europeo. Alia Al-Hathloul, sua sorella, ha raccontato i terribili metodi usati per far confessare a Loujain crimini fittizi: oltre ad elettroshock, fruste e abusi sessuali, vengono utilizzate anche forme di tortura psicologica, quali obbligare la donna a spogliarsi davanti alle guardie della prigione, farle credere che alcuni membri della sua famiglia siano morti o minacciare di uccidere un suo parente e lasciare il suo cadavere nelle fogne. Il primo marzo 2019 il procuratore dell’Arabia Saudita ha deciso di iniziare un processo contro di lei per aver minato la sicurezza dello stato, ma nessuno è potuto entrare in tribunale. Da maggio 2020 a causa della pandemia per lunghi periodi non si sono avute più notizie di Loujain, aumentando l’inquietudine dei suoi cari che durante la loro ultima visita l’avevano trovata in condizioni disumane, con lividi violacei su tutto il corpo e non in grado di camminare. Nonostante sia stata sollecitata da più paesi e organizzazioni internazionali in varie occasioni, l’Arabia Saudita ancora si rifiuta di lasciar uscire la donna e il 29 novembre 2020 ha deciso di trattare il suo caso come terrorismo. La donna rischia ad oggi di essere tenuta per altri venti anni chiusa in carcere o addirittura di essere sottoposta alla pena di morte. Purtroppo Loujain non è la prima e non sarà l’ultima donna a essere privata dei suoi diritti. In Arabia Saudita le donne subiscono una vera e propria discriminazione: nel Global Gender Gap Report del 2016 del World Economic Forum il paese si è classificato 141esimo su 144 paesi rispetto alla parità di genere. A causa del sistema del guardiano, le donne non possono interagire con altri uomini al di fuori delle mura domestiche senza il consenso del loro tutore e prima del 2018 non potevano guidare autovetture o prendere mezzi di trasporto da sole. Inoltre, non hanno alcun diritto sulla scelta del marito, ma la famiglia sceglie per loro in base al ricavo che può trarre dal matrimonio. Si formano così nozze che sarebbero non solo impensabili, ma addirittura illegali nel nostro paese: anni fa una ragazzina di 12 anni ha sposato un uomo di 80. In aggiunta, se il marito chiede il divorzio, la donna non può ottenere la custodia del proprio figlio. Anche le attività sportive sono concesse solo agli uomini e le scuole prevedono lezioni
di educazione fisica esclusivamente per gli studenti maschi. Si è ottenuto un grande passo avanti in questo settore nel 2012, quando è stato permesso per la prima volta ad alcune atlete saudite di partecipare alle Olimpiadi. Per quanto riguarda il mondo del lavoro, le donne possono avere un’occupazione solo in luoghi riservati ad un pubblico esclusivamente femminile o nella vendita di biancheria intima e cosmetici. Proprio per questo circa 1,7 milioni di donne saudite sono disoccupate, nonostante oltre il 50% di esse abbia una formazione universitaria. Infine, una legge emanata nel febbraio del 2013 vuole che tutti i negozi abbiano dei veri e propri muri alti 1,6 metri per separare i due generi. La strada per l’emancipazione femminile in Arabia Saudita, così come in molti altri paesi, è molto lunga; riusciremo mai a capire che tutti gli esseri umani devono essere trattati ugualmente?