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ICCHÉ TU DICHI, DIALOGO
Icché tu dihi: il dialogo
De rerum natura (di no’attri)
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delLa Franca e di Pietro Santi
Personaggi:
Lorenzo il Magnifico (LM) Marsilio Ficino (MF) Angelo Poliziano (AP)
Ambientazione:
Villa del Cafaggiolo, verso le quattro pomeridiane del dì 27 ottobre 1491.
E’ nostri tornano da una breve passeggiata fora nel parco della Villa.
MF- Oggi ‘l tempo parmi frigido, come ‘l dì decimo secondo di gennajo dell’anno ‘76, quande eramo ancor giovini.
AP- Sic est! Or non sovviemmi lo anno da te rammentato, tamen al dì d’oggi interviene che v’è freddo e ritengo menomal che ‘n tal modo ei sii, giacché la natura sic ha stabilito ‘n tempi a noi immemorabili et non cognoscibili. Quande dall’Uno s’emanorno l’altre sostanze, e mente et idee, nel del mondo ‘l vago tempo di sua verde etate, spargendo ancor pel volto il primo fiore [Poliziano, Stanze per la giostra, versi 1-2].
LM- Ahi, reciti quel passo di tal poësia che favella le gesta e l’amor del frate mio estinto, data la fatal coniura che ruïna su mi’ famiglia stavéa pe’ gettar. Tamen gl’è iusto porre taï versi acciò di prencipiar concione ‘ntorno alla natura, abito dell’omo.
Dicéano così, dirigendosi verso l’entratura di dreto della gran Villa.
MF- Ben dicesti, O Lorenzo mio, sendo ver il fatto che natura sii abito felice dell’omo. Non vedi tu in fatti l’arberi belli ergentisi, chiome viridi, in sul parco che già avémo trapasso? Né vedi tu ‘l cielo azzuro interrupto ormai da rosee nuvole? E la Sieve che placida flue, non odi ‘l suo flebil romore? Puto te haec vidēre et audire.
AP- A questo punto giunti, non posso trattenermi dal recitare altri mia versi: Eran d’intorno violette e gigli fra l’erba verde, e vaghi fior novelli azzurri gialli candidi e vermigli: ond’io porsi la mano a côr di quelli per adornar e’ mie’ biondi capelli e cinger di grillanda el vago crino. Natura è pur stromento che l’omo puote adoperar, ma godendo de’ frutti sua, nondimanco gl’è obbligato a rispettar l’ordo da essa statuto et essa istesima. Lice in fatti che l’omo non ruïni l’opra grande edificando superbi e biechi edifizî, che, sconta di guardar, l’occhio prefere far le palpebre giuso; et oltra che diri magnati faccin lagorar più del dobbiuto la terra; che attendino da questa solo profitto e sudicio dinaro sanza che riposo le dieno. Ma verrà un giorno la figlia di Isvezia, Greta Tumberga, che, humanitate mala facta, torrà a questa il che impudente prese.
Poscia ‘l lungo e profetico concione del Poliziano, già all’entratura arrivorno, et toltisi l’onuste vesti, pe’ corridoi della Villa prencipiorno ad ambulare
LM- Non reputo che da settentrione possi giugner alcunché di bono, non i Franchi, non i Teutoni, allor manco e’ Normanni dall’asce bipenne. Tamen nella Res Medicea Publica della civitate florentina, giammai la natura verrà mal trattata, in guisa di ciò intorno cui pria favellasti.
MF- Domine! O che bojate andavi tu narrando, o Angelo mio! Come puote l’omo divenir sì diro da tentar d’occider il creato! Ch’i’ non vegga tal disgrazia! I’ confido nell’anima umana, perno et iunctio tra Dio e materia, sic in charta, sic in realitate. Ho speme che quella intrinseca parte degli Angeli che rende l’omo tale, dimori ancor in questo, che possa indurlo ad agir bene.
LM- Orsù! Il che sie, non ci è dato cognoscere, adunque: chi vuol esser lieto sia: di doman non v’è certezza. [Canzona di Bacco, vv 3-4]
Lunetta raffigurante la villa del Cafaggiolo: opera di Giusto Utens.