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IL FEMMINISMO È ANCORA NECESSARIO?

di Francesca Oriti

“Il femminismo è ancora necessario?”, questa la domanda da cui è scaturito un incontro organizzato dal gruppo di dibattito Politicoffee, che riunisce giovani appartenenti a vari indirizzi politici. Il dialogo era articolato in relazioni da parte di rappresentanti delle istituzioni e dei partiti politici, ma ben presto al discorso preparato è stata preferita l’improvvisazione e la riflessione a braccio in base agli spunti ricevuti. Su otto tra relatrici e relatori, solo uno ha messo in dubbio la validità del femminismo, ma il tema è stato sviluppato ponendo l’accento su aspetti diversi: dall’azione sul territorio per contrastare la violenza sulle donne alle pagine satiriche sui social per ridicolizzare il patriarcato, dalla censura del corpo femminile ai limiti culturali che determinano la sottomissione della donna in un contesto familiare. Insomma tutti hanno cercato di dare la propria definizione personale di femminismo e del perché qualcuno la consideri quasi una parolaccia. Il femminismo come movimento di difesa delle donne nasce durante la Rivoluzione francese, con la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, redatta da Olympes de Gouges, una vera e propria pioniera nel campo delle libertà femminili. Importante rivoluzione femminista nella storia italiana è stata la legge 194/1978 che depenalizza l’aborto. In seguito a questi grandi cambiamenti sociali, nonostante ancora molti siano da realizzare, il femminismo si è ramificato in scuole di pensiero molto diverse tra loro, ma tutte hanno al centro la libertà delle donne e, più in generale nel caso del femminismo intersezionale, la tutela dei gruppi discriminati. Nell’epoca in cui la pandemia ci priva delle grandi proteste di piazza e ora più di prima c’è la necessità di arrivare a tutti e a tutte, Olympes de Gouges la tutela dei diritti delle donne viene propugnata anche sui social. Ciò accade in vari modi, ci sono pagine che usano l’ironia per evidenziare i limiti di una società patriarcale, c’è chi invece lotta per poter esporre foto del suo corpo senza dover subire una censura immotivata, ma qualunque sia il metodo, sembra che difendere questi principi possa portare solo ad episodi di odio verbale e fisico. La matrice di qualsiasi tipo di odio è sempre un complesso di inferiorità, accompagnato dalla paura di essere prevaricati, ma siccome l’intento del femminismo non è certamente quello di sottomettere qualcuno, come si fa a evitare il meccanismo difensivo che può portare ad atti che vanno dalla battuta spregevole fino addirittura all’omicidio?

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Se si tratta di una discussione, la soluzione migliore è sempre evitare di porsi in modo arrogante,

ma mantenere la calma in modo da discutere di argomenti concreti, evitando di cadere nell’insulto vicendevole. È necessario che ogni donna capisca di avere la libertà di fare della sua vita e del suo corpo ciò che vuole: non c’è religione, non c’è politica, non c’è altro essere umano che possa decidere per lei. E se una donna o un uomo decide di comunicare alle donne intorno a sé che questo diritto esiste e che nessuno può toglierlo loro, nessuno dovrebbe dire il contrario. Negare questo diritto non consiste solo nel dire apertamente di non approvarlo, ma è anche, per esempio, fare una battuta sul fatto che le donne debbano essere relegate ai luoghi e ai lavori che la mentalità patriarcale assegna loro o fare scelte aziendali che pongano in posizioni di potere sempre e solo gli uomini. Una battuta è divertente quando tutti ridono, l’uguaglianza è vera quando tutti hanno le stesse opportunità, bisogna sempre concentrarsi sull’abolizione di un privilegio che permette a qualcuno di sottomettere un altro essere vivente. La questione del femminismo nei giorni più recenti, successivamente al dialogo argomento di questo articolo, ha assunto particolare rilevanza nel dibattito politico perché nella costituzione del nuovo Governo, sono state scelte solo otto ministre, di cui cinque senza portafoglio. Mentre gli Stati Uniti eleggono la prima vicepresidente donna, mentre i governi europei da decenni ormai hanno donne ai loro vertici, l’Italia vanta un progresso legislativo come certificato dalla legge Golfo-Mosca, ma arranca nel progresso storico fattuale. È una notizia recentissima la decisione del fondo sovrano norvegese, detentore dell’1,5% delle azioni globali, di investire sulle aziende che all’interno del consiglio di amministrazione abbiano almeno il 30% di donne. Studi in materia dimostrano che aziende con vertici amministrativi composti in percentuale considerevole da donne offrono performance migliori, come afferma uno studio di Consob. Non è quindi una questione di aderenza rigida alle norme richiedenti le cosiddette “quote rosa”, ma è semplicemente improbabile che un uomo sappia prevedere come eliminare delle difficoltà che non vive (ad esempio il voucher babysitter fu introdotto sperimentalmente nel 2013 dall’allora ministra dell’economia Elsa Fornero). Se un Paese democratico non si cura di rappresentare adeguatamente il 51% della sua popolazione, la domanda iniziale sulla necessità attuale del femminismo risulta retorica. https://www.ilsole24ore.com/ art/il-fondo-sovranonorvegese-investira-societail-30percento-donne-cda-

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