4 minute read

ACCOUNTABILITY MATTERS

Next Article
DANTE

DANTE

“Words matter. Truth matters. Accountability matters”

di Francesca Oriti

Advertisement

Il 6 gennaio è stato un giorno buio della storia americana, tanto che Hillary Clinton l’ha paragonato all’11 settembre 2001, sostenendo, con una citazione dal 9/11 Commission Report, che entrambi gli atti siano stati causati da “mancanza di immaginazione” (“the most important failure was one of imagination”). Mentre il presidente degli Stati Uniti d’America sobillava i suoi seguaci a lottare con violenza (“to fight like Hell”), alcuni membri repubblicani del Congresso si rifiutavano di accettare i risultati dell’elezione presidenziale; ciò nonostante forse rimaneva difficile immaginare ciò che sarebbe successo e questo è stato il motivo dell’azione notevolmente ritardata della Guardia Nazionale. Colpisce tuttavia che la stessa forza armata non abbia agito con gli stessi ritardi nella difesa del complesso governativo nei confronti dei manifestanti del movimento Black Lives Matter, che non avevano nessuna intenzione di attaccarlo. Nasce da qui il sospetto che questo indugio sia dovuto anche ad un altro elemento, molto più inquietante della mancanza di immaginazione: nei giorni delle proteste per i diritti civili, il presidente uscente Trump non ha esitato a ordinare lo schieramento della Guardia Nazionale in tenuta antisommossa per fare un servizio fotografico, ma ha lungamente esitato a dare lo stesso ordine (è stato convinto dal Vicepresidente uscente Mike Pence) nei confronti di una folla che ha deliberatamente cercato di ostacolare il processo democratico. Forse perché non erano lo stesso tipo di manifestanti, certamente quelli del movimento Black Lives Matter non erano iscritti a sette sostenitrici della supremazia bianca, né esibivano la proditoria bandiera degli Stati Confederati d’America, simbolo di

opposizione a una democrazia multirazziale. Cosa viene dopo? Ancora non lo sappiamo. C’è tanta paura, tanta codardia, tanta incertezza. La giornata del 6 gennaio non si è conclusa a mezzanotte, ma alle tre e mezza del mattino successivo, quando il vicepresidente uscente Pence ha dichiarato la vittoria elettorale di Joe Biden e Kamala Harris, tuttavia il sangue delle vittime di quel giorno macchia ancora oggi le mani dei responsabili. Le segretarie ai trasporti e all’istruzione hanno lasciato il loro posto all’interno del Governo, un atto che alcuni ritengono frutto del disgusto per gli eventi che hanno fatto tremare Capitol Hill, mentre altri sostengono che sia stato dovuto alla fretta di cancellare il proprio nome dalla lista di chi li ha causati e dalla paura di invocare il famigerato articolo 4 del XXV Emendamento, che ammette la deposizione di un presidente quando ritenuto incapace di

Foto presa da: https://contropiano.org

svolgere le proprie funzioni dalla maggioranza del suo governo e dal vicepresidente. Tuttavia c’è un’alternativa al XXV Emendamento. Nonostante i terroristi ci abbiano provato, non sono riusciti ad uccidere gli ufficiali che hanno ancora un senso delle istituzioni: il 13 gennaio, esattamente una settimana dopo l’attacco al Congresso, 222 democratici e 10 repubblicani, membri della Casa dei Rappresentanti, hanno votato per la prima volta nella storia una seconda procedura di Impeachment a carico dello stesso presidente, accusando Donald J. Trump di incitamento all’insurrezione. Nancy Pelosi, la Speaker of the House, ha definito il presidente uscente Trump “Un presidente instabile, squilibrato e pericoloso” (“A deranged, unhinged, dangerous president”) e spiegando le ragioni dell’Impeachment ha detto: “Le parole contano. La verità conta. La responsabilità conta.” (“Words matter, Truth matters. Accountability matters”). La condanna del presidente uscente Trump è arrivata anche da diversi repubblicani: Liz Cheney, rappresentante repubblicana per il Wyoming, ha definito l’azione di Trump come il più grande tradimento di un presidente degli Stati Uniti al suo ufficio e al suo giuramento di difendere la Costituzione. Nonostante la procedura di Impeachment, che da adesso in poi sarà gestita dal Senato per la parte investigativa, non sarà conclusa prima del giuramento del presidente eletto Biden, qualora sia portata a termine, impedirà al presidente uscente Trump di ricandidarsi nel 2024. Dopo gli eventi di Capitol Hill, il presidente uscente Trump è stato escluso dai principali social media come Instagram e Twitter e l’accessibilità del social maggiormente usato dai conservatori estremisti, Parler, è stato fortemente limitata da Apple e Google. Questo ha dato adito a un ampio dibattito sulla libertà di espressione e sul potere che piattaforme private possono acquisire per limitarla. Illustri pensatori e politici italiani e non, come Massimo Cacciari e Angela Merkel, si sono detti preoccupati da azioni che limitano la libertà di parola di un individuo per ipotetiche ragioni di profitto. A loro si contrappongono però voci altrettanto valide che, prendendo in mano i Termini e condizioni da sottoscrivere per l’accesso a qualsiasi social, affermano che non solo questi legittimano la chiusura degli account con l’accusa di incitamento alla violenza, ma che anzi l’avrebbero dovuta condizionare prima. Quando l’America si è risvegliata, probabilmente sorpresa di non essere sprofondata nella guerra civile, sono arrivate reazioni da tutto l’arco dell’universo morale che, per una volta, si è davvero orientato verso la giustizia. Il presidente eletto Joe Biden ha definito questo atto “un assalto allo stato di diritto” (“an assault on the rule of law”) e una condanna alla violenza della giornata è giunta dallo stesso presidente uscente Trump, le cui responsabilità nell’azione verranno investigate dal Senato. Insieme a lui, altri membri del partito Repubblicano hanno preso le distanze dalle frange estremiste che si sono rese colpevoli di un atto di terrorismo interno, ad esempio Arnold Schwarzenegger, ex governatore della California, che in un video messaggio divulgato sui social ha comparato il 6 gennaio alla Kristallnacht, il pogrom condotto dai gerarchi nazisti tra il 9 e il 10 novembre del 1938, per ricordarci che i totalitarismi non iniziano necessariamente dai colpi di Stato, ma soprattutto dalle parole.

Foto presa da: https://www.ilfoglio.it/esteri/ 2021/01/14/gallery/la-guardia-nazionale-chebivacca-a-capitol-hill-1680974/

This article is from: