Il viaggio di Einar di Giovanni Cavalieri
Il mare era tranquillo, quasi piatto, e le nuvole all’orizzonte si erano schiarite. I lunghi remi della nave muovevano i flutti, facendo avanzare l’imbarcazione in mezzo al freddo Mare del Nord. La vela, rossa come le rose in primavera, gonfia per il vento, spingeva ulteriormente la nave. In cima all’albero stava uno stendardo raffigurante un corvo bianco su campo nero che, sospinto dal vento, si muoveva in modo sinuoso. La prua aveva la forma di un serpente, con ai lati due scudi rotondi. Mentre la maggior parte degli uomini remava, altri narravano tra loro le storie di dei ed eroi. Dalla poppa della nave Einar osservava gli altri uomini, mentre muoveva il timone, più simile a un remo che a un timone vero e proprio. Lo muoveva con le sue mani grandi e forti. Il vento gli scompigliava i lunghi capelli biondi; alla vita teneva una cintura in pelle d’orso, con infoderata una spada di media taglia, con una guardia corta e il pomo a cinque lobi, tipico delle spade vichinghe; sopra la tunica di lana, portava una cotta di maglia che lo copriva dalle spalle alle ginocchia. Mentre muoveva il timone scrutava all’orizzonte alla ricerca di qualcosa: non scrutava solo il mare, ma anche i volti dei suoi compagni, segnati dalle intemperie e da giorni di navigazione. Alcuni remavano con il volto a terra o nascosto da elmi possenti e lunghe barbe, alcune simili a vecchie pellicce, altre rosse come il fuoco che ardeva di notte nelle case, tenendo al caldo coloro che vi abitavano. Tra questi, alto e solenne, vide un uomo: era alto, quasi un quarto dell’albero maestro a cui era appoggiato; sopra una tunica di tessuto portava una corazza di pelle a scaglie, simili a quelle di un drago; sulle spalle portava un’ascia barbuta dal lungo manico e uno scudo circolare e alla vita teneva una spada lunga dal pomo a tre lobi; sopra l’armatura in pelle una folta pelliccia di lupo lo teneva caldo, protetto dalla morsa del gelo; l’uomo aveva una mascella prorompente e un naso piatto, lineamenti duri che però nascondevano un’indole gentile e generosa; aveva lunghi capelli castani con qualche ciocca grigia che rivelava un’età avanzata; aveva occhi profondi, grigi come il mare in cui la loro nave stava navigando da giorni. Einar riconobbe quell’uomo: era Tryggvi, figlio di Arne. Aveva quasi cinquant’anni, ma ne dimostrava sessanta, ed era ammirato da tutti: era forte e coraggioso, ma anche saggio e generoso; proveniva dalle Götaland, nel sud della Svezia, e questa era ormai la sua decima scorreria: già vent’anni prima aveva partecipato ad altre razzie in terra inglese, depredando villaggi e abbazie, ed aveva ucciso molti soldati tra i Sassoni e i Franchi; aveva più volte dimostrato il proprio valore, acquisendo il soprannome di 16