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CIÒ CHE DI NOI RESTA

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MOBY DICK

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CIÒ CHE DI

di Elisa

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Per me il 2020 doveva profumare di libertà, di storie da raccontare per anni, di tempo trascorso a vagabondare, a viaggiare senza meta con solo uno zaino sulle spalle. Ma per me, come per il mondo, tutto è stato messo in attesa, un pacco incartato e spedito verso un futuro incerto. Trenta Gennaio 2020. I miei diciotto anni. Quel traguardo tanto atteso, raccontato da chi mi circonda come il periodo della vita in cui ti senti immortale, ti senti tutto, anche se in realtà sei ancora piccolo. Duemilaventi. Un anno che non ricorderò per una grande festa, per le vacanze con gli amici o per la patente che dovevo prendere a Giugno. Un anno che racconterò ai miei figli come timore, paranoia e solitudine. "Le nuove generazioni non hanno rispetto", "chissà che fine farà il mondo nelle vostre mani", "generazione di viziati abituati all'agio", "i giovani non sono più come una volta...", "vi mancano i valori, i sacrifici" "io alla tua età...". Frasi che ormai noi giovani ci siamo abituati a sentire, che apparentemente ci scivolano addosso, ma che in realtà ci portano a fondo. Durante questa pandemia si è pensato molto ai lavoratori, agli anziani e ai malati, alle loro prospettive di vita dopo la pandemia e a come offrirgli tutto l'aiuto possibile, ma noi ragazzi? Abbiamo aspettato in silenzio il nostro turno, abbiamo rispettato tutte le regole che ci sono state imposte, senza opporci, senza appellarci alla normale voglia di ribellarci tipica della nostra età, abbiamo organizzato da soli le nostre vite perché nessuno ci ha aiutato a farlo. Nessuno ci ha chiesto cosa ci mancasse, di cosa avessimo bisogno, né tanto meno cosa fosse utile per farci star bene, ci è stato solo imposto di seguire per ore una lezione davanti a uno schermo, lo stesso schermo tanto criticato giorni prima quando ci intratteneva nei momenti di noia. Niente uscite, niente baci né abbracci per staccarsi da una situazione troppo grande per noi. Le nostre vite sono rimaste in pausa tanto quanto tutte le altre, eppure l'unico problema analizzato è stata l'economia. Non ci siamo lamentati per i ricordi che non avremo, non ci siamo sentiti un elemento della società abbastanza importante da essere considerato in una situazione tanto difficile, ci siamo fatti forza tra di noi, toccandoci da lontano. Le nostre insicurezze, le nostre paure e le nostre paranoie adolescenziali sono state messe da parte perché noi stessi ci siamo messi al secondo posto. Abbiamo trovato rifugio in una casa che non per tutti può essere definita tale, fatta di ricordi martellanti, di una vita non scelta messa davanti agli occhi ogni giorno; quattro mura troppo strette che ci obbligano a rapportarci con ciò che siamo. Come gli altri, ci siamo ritrovati ad

C NOI RESTA

Ciabatti

intrattenere monologhi con i nostri pensieri, cercando di rassicurarci, di tenere presenti i nostri sogni e le nostre ambizioni per un futuro che non ci offre niente. Pandemia globale, contagi, decessi, crisi sono parole che hanno spaventato anche noi. Noi costretti ad aver paura di vivere per non far del male a chi vogliamo bene. Abbiamo trovato sicurezze nel nostro isolamento. Abbiamo cercato di gestirci per non dare peso ai nostri genitori anche loro stremati dalla difficile situazione, di stare vicino ai nostri nonni per non lasciarli da soli, di andar bene a scuola, anche se non è la stessa, di essere felici per non pesare con le nostre emozioni sugli altri. Molti ormai si sono abituati a vivere nella bolla che con fatica hanno creato, nella quale trattengono le poche sicurezze che nessun altro ha saputo dargli. Hanno paura, perché sanno che non possono più permettersi capricci o stupidi errori. Come dice Simone di 16 anni, in un articolo di Maria Novella de Luca, "Il mondo si è fermato e io sono sceso". Noi ci siamo messi nei panni di chi, ai nostri occhi, aveva problemi più grandi e ci siamo nascosti, per rimanere invisibili al mondo e non dare altri pensieri, eppure, ancora una volta siamo i capri espiatori di chi non ci ha saputo aiutare. Abbiamo paura come gli altri e ci troviamo ancora una volta etichettati come "gli egoisti", "la causa del nuovo picco", quando in realtà siamo solo ragazzi che hanno bisogno di riprendersi un po' di quella vita che da un giorno all'altro ci è stata portata via da qualcosa contro cui non possiamo ribellarci. Alcuni di noi sono insofferenti alle quattro mura e sono scappati dai problemi finora costantemente analizzati, cercando serenità e affetto dagli amici e dai fidanzati. Ancora una volta, abbiamo cercato di gestirci da soli, di essere i nostri stessi genitori e di tenerci sotto controllo tra di noi, in modo da non essere un peso. Adesso si teme per i bambini che hanno subito un regresso in questa situazione di timore, che sono tornati a dormire nel lettone con i genitori e che avranno problemi a socializzare in futuro, ma, ancora una volta, chi pensa a noi? Chi pensa alle esperienze che mai più potranno essere fatte? Alle nostre paure, alle nostre amicizie, alle nostre vite? Al nostro futuro? È davvero così scontato che la voglia di fare gruppo ci farà dimenticare tutte le paure che abbiamo accumulato? Siamo ancora una generazione "allo sbando"?

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