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CIVILE

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DELL’UNIVERSO

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di Sarrie Patozi

Il primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali

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Il precario contesto africano risulta essere continuamente minato da gravi tensioni politiche e sociali.

Oltre a dover far fronte all’emergenza sanitaria del Coronavirus senza l’ausilio di mezzi adeguati (il professor Walter Ricciardi afferma

“L’Africa è un rischio enorme, come facciamo a dire alle persone di lavarsi le mani se in milioni non hanno nemmeno l’acqua potabile?”), il continente si trova protagonista dell’ennesima faida interna scaturita questa volta tra il primo ministro etiope Abiy Ahmed

Ali e lo stato del Tigray. Le ostilità tra i due hanno però radici più profonde.

Con l’avvento di Ahmed nel 2018 infatti il

TPLF (Tigray People’s Liberation Front) venne gradualmente estromesso dal governo, nonostante avesse aiutato nella coalizione del

Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo

Etiope (in qualità di partito preponderante) per 16 la liberazione dal dittatore Menghistu e fosse riuscito ad accaparrarsi nel 2006 addirittura il 100% dei seggi nelle elezioni regionali. Salito al potere l’attuale primo ministro etiope, di stirpe oromo, vennero attuate dal medesimo politiche mirate a costituire l’unità nazionale dell’Etiopia: “Noi Etiopi abbiamo bisogno della democrazia e della libertà, e siamo autorizzati ad averle. La democrazia non dovrebbe essere un concetto estraneo per noi”, ha dichiarato nel discorso del 2 aprile 2018. A lui si deve la mediazione dell’incontro tra il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, e il suo rivale Riek Machar, impegnati da ormai cinque anni in una delle più violente guerre civili in Africa. Egli ha ottenuto, lo scorso anno, il Premio Nobel per aver posto fine alla guerra tra Etiopia ed Eritrea che persisteva da ormai vent’anni. Berit Reiss-Andersen, a capo del comitato norvegese dei Nobel che

conferiscono il riconoscimento per la pace, afferma: “Etiopia pacifica, stabile e di successo avrà molti effetti collaterali positivi ed aiuterà a rafforzare la fraternità tra le nazioni ed i popoli della regione”. Tuttavia diversi governi regionali, tra cui quello del Tigray, sentirono minacciata la propria autonomia così faticosamente ottenuta con la Costituzione del 1994. La tensione tra le due fazioni crebbe con la decisione da parte del governo di rimandare le elezioni di agosto a causa del Coronavirus; l’opposizione affermò che l’intento era di prolungare il mandato di Abiy Ahmed e decise di non seguire le direttive governative. La popolazione del Tigray ha quindi organizzato le proprie elezioni per rinnovare i seggi del partito tigrino, e il TPLF, che si era precedentemente dichiarato avverso al premier etiope, ha ottenuto tutti i seggi (152). L’acme è stata tuttavia raggiunta il 4 novembre, giorno in cui il Fronte di liberazione popolare del Tigray ha attaccato una base militare federale. L’intervento del primo ministro Abiy Ahmed è stato tempestivo e le sue parole rigorose: “ È stato superato il limite. L’uso della forza è l’unico modo che abbiamo per salvare le persone e il paese”. Debrestion Gebremichael, leader dello stato del Tigray, sostiene che l’avversione del primo ministro sia dovuta al risultato del ballottaggio regionale. Analisti ed esperti guardano alla condizione etiope con notevole allarmismo: è il Paese più influente del Corno d’Africa, e dalle sue sorti dipendono gli eventi di Somalia, Sud Sudan ed Eritrea.

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