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TRA QUASIMODO E TOLSTOJ: UNA RIFLESSIONE SULLA SITUAZIONE ATTUALE IN UCRAINA
Pillole di attualità
Tra Quasimodo e Tolstoj: una riflessione sulla situazione in Ucraina
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di Giovanni Cavalieri
Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: «Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue Salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Uomo del mio tempo, Salvatore Quasimodo, da Giorno dopo Giorno, 1946
Nel 1946, ancora sconvolto dalla Seconda Guerra Mondiale, il poeta siciliano Salvatore Quasimodo pubblicò una poesia, intitolata Uomo del mio tempo. In questa poesia Quasimodo tratta la bestialità dell’uomo che si manifesta con la guerra. si tratta di un elemento che ha accompagnato e accompagnerà per sempre l’uomo nella sua storia, plasmando o distruggendo il mondo attorno a lui. Quasimodo, non a caso, nei versi 7-9 (hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i nostri padri, come
uccisero gli animali che ti videro per la prima volta) sottolinea come sia sempre la stessa la natura dell’uomo votato alla guerra e allo sterminio. Infine, per sottolineare il carattere “antropologico” della guerra, il poeta usa una figura biblica, richiamando all’episodio di Caino e Abele – il primo omicidio della storia, almeno se ci si attiene alla tradizione biblica. Il carattere sempiterno della guerra viene sottolineato da una sinestesia al verso 12, la quale descrive l’eco di violenza che ha raggiunto l’uomo. Si tratta di un eco primordiale, che risale ai tempi della Genesi, che tira con forza e crudeltà tutti gli uomini da sempre. In tale perversione qual è la guerra, Quasimodo evidenzia il carattere macchinoso e “scientificamente preciso” di questa. Infatti il progresso tecnologico viene spesso asservito alla guerra, che sia per rendere le armi più malignamente efficaci o fare “operazioni chirurgiche”. Il poeta fa riferimento più volte, attraverso allitterazioni o metonimie, a strumenti bellici quali aerei e carri armati, insistendo sul loro legame perverso con l’uomo. All’ottavo verso si trova un parallelismo di frasi coordinate per asindeto, che sottolinea la ripetitività con cui gli uomini, come i loro antenati, hanno continuato a uccidersi a vicenda fino a oggi. Attraverso diverse apostrofi, il soggetto della poesia richiama più volte l’interlocutore, come se volesse risvegliare quel briciolo di umanità che risiede in lui, togliendolo dalla morsa della violenza. Infatti, se da una parte “l’uomo nella carlinga” viene chiamato dall’eco primordiale di Caino, dall’altra l’interlocutore riceve dall’altro un richiamo all’umanità. Tale richiamo invita il primo e tutti gli altri uomini ad abbandonare la tetra bolla di morte costituita dagli strumenti di guerra. Alla fine, Quasimodo intima ai “figli” di dimenticare i padri e le loro azioni, che tanto sangue hanno sporcato, affinché la violenza cessi. Nella prima metà della poesia Quasimodo indica quanto sia eterno e perverso il legame dell’uomo con la guerra, capace di recare solo morte e distruzione attraverso strumenti sempre più malignamente moderni. Ma alla fine della poesia il poeta lancia un monito ai giovani e alle generazioni a venire, destinati anch’essi a continuare le guerre iniziate dai loro padri: li esorta a dimenticare i motivi di astio che hanno portato i loro padri alla guerra, e che potrebbero portare loro stessi a spargere sangue per le stesse conflittualità. È un messaggio di speranza, oltre che un’esortazione, poiché Quasimodo crede (e spera) che le generazioni future possano mettere da parte ogni motivo di conflittualità per vivere in pace. È un messaggio forse utopistico, ma sempre e comunque forte. Le parole e il messaggio di Quasimodo sono molto attuali, soprattutto in questo periodo in cui, dopo venti anni, la guerra è ritornata nel cuore dell’Europa: è già passato poco più di un mese da quando Putin, dopo un’escalation iniziata prima ad aprile e poi a dicembre dell’anno scorso, ha invaso l’Ucraina. Questa è una nazione già sconvolta da otto anni di guerra nel Donbass, la regione orientale contesa tra forze governative e separatisti filorussi, su cui per anni i riflettori dei media si erano spenti. Oggi, dopo otto anni di conflitto a bassa intensità, la “profezia” che per anni media e capi di Stato occidentali hanno proferito – che diversi opinionisti hanno provato a smentire o almeno sottovalutare, e che nessuno ha mai provato a scongiurare – si è avverata: decine di migliaia di truppe dell’esercito russo hanno invaso l’Ucraina, accerchiandola dalla Crimea, dal Donbass, dalla Transnistria e dalla Bielorussia, provocando migliaia di morti e milioni di profughi in tutta l’Europa. L’Unione Europea ha risposto piuttosto compatta, applicando severe sanzioni alla Federazione Russa e sostenendo l’Ucraina su tutti i piani, sia diplomatico che militare. Nel frattempo, l’esercito ucraino cerca di resistere con i mezzi a disposizione (comunque piuttosto ingenti, visti i rifornimenti di armi ricevuti
negli ultimi otto anni da parte dei paesi europei, oltre che da Stati Uniti, Israele e Turchia), e gli sforzi diplomatici tra i due paesi in guerra sono vani – forse per la mancanza di un mediatore forte, ma anche per l’incapacità dei due governi di accettare delle condizioni per un compromesso. In questo mese di guerra non si sono risparmiati episodi controversi ed esecrabili, come del resto succede in tutte le guerre, da parte di entrambe le forze in conflitto (anche se in questo caso l’aggressore, cioè la Russia, ha le maggiori colpe): l’aviazione e le forze armate russe hanno lanciato una serie di bombardamenti che hanno causato centinaia di morti tra i civili, colpendo città quali Kiev, Marjupol’ e Kharkiv; d’altra parte, le forze del Battaglione Azov (gruppo paramilitare neonazista che combatte contro i separatisti filorussi dall’inizio del conflitto nel 2014) avrebbero bloccato per diverso tempo i corridoi umanitari e usato i civili di Marjupol’ come scudi umani; il 15 marzo, inoltre, le forze armate ucraine hanno sferrato colpi di artiglieria nel centro di Donec’k (zona occupata dai russi), provocando venti morti e diciotto feriti – tutti civili. Sono notizie più o meno certe, spesso contraddittorie, ma che offrono comunque un quadro drammatico della situazione. I temi affrontati nella poesia di Quasimodo offrono spunti di riflessione su alcuni aspetti dell’odierno conflitto in Ucraina: l’uomo del mio tempo, qual è chiamato dal poeta, non è altro che l’uomo assuefatto dalla violenza, il quale non riesce più a distinguere la propria umanità dalla sua natura animale. In questo conflitto, sono molti i giovani soldati russi di leva, portati con l’inganno in un conflitto fatto per meri interessi, che siano economici o egemonici, di poche persone. In questo momento, le immagini di soldati russi catturati e rifocillati da civili ucraini, per quanto strumentalizzate da alcuni a fini di propaganda (bisogna ricordare che la guerra è combattuta anche sul piano della propaganda, da entrambi i cobelligeranti), possono essere identificate con il richiamo all’umanità levato da Quasimodo. Nelle ultime strofe Quasimodo affida ai giovani il compito di porre fine alle guerre future. A questo proposito, il conflitto in corso in Ucraina dimostra come i giovani siano tra i primi direttamente colpiti dalle guerre: i giovani ucraini sono costretti a lasciare il proprio paese, a essere vittime dei bombardamenti e a combattere in prima linea, a volte contro la loro volontà; giovani soldati russi sono invece portati con l’inganno in guerra, a combattere un fantomatico nemico non tanto diverso da loro. Infatti, per quanto diversi e spesso in conflitto, il popolo russo e quello ucraino sono profondamente legati da una storia e una cultura in parte comune, oltre alle numerose parentele tra cittadini russi e ucraini. Questo può richiamare l’episodio biblico di Caino e Abele, tra l’altro evocato nella poesia di Quasimodo. Chi non va al fronte, invece, scende in piazza contro la guerra, nonostante la repressione poliziesca attuata da Putin. L’insistere del poeta su elementi quali gli aerei e i carri armati riflette uno degli elementi tipici della guerra: le macchine. Da sempre l’uomo usa le macchine nei conflitti, che si rivelano occasioni per sperimentare nuove tecnologie (basti pensare alla Guerra Civile in Spagna, in cui l’esercito tedesco usò nuove apparecchiature belliche in appoggio a Francisco Franco contro le forze repubblicane), così come per inventare all’occorrenza nuove apparecchiature, soprattutto militari. Questo elemento, perfettamente sintetizzato nell’espressione scienza esatta persuasa allo sterminio, usata da Quasimodo, potrebbe richiamare a numerosi strumenti tecnologici: basti pensare alle cosiddette “bombe intelligenti”, usate da diverse forze (che siano i paesi NATO, Israele o la Russia) in molti teatri bellici, soprattutto in Medioriente. Lo stesso ministero della difesa russo aveva dichiarato, fino a qualche settimana fa, di attuare bombardamenti “chirurgici” nelle città, che tendevano a neutralizzare solo le postazioni militari; ma come si può ben vedere
dalle foto e dalle testimonianze che arrivano dal fronte, gli esiti sono ben altri. Del resto, l’esercito russo ha usato strategie simili in altri teatri di guerra: basti pensare a città quali Aleppo e Groznyj, distrutte dall’aviazione russa in due conflitti, quello siriano e quello in Cecenia, molto sanguinosi. Gli esempi di armi sofisticate sono molti altri, che siano i droni o le bombe a uranio impoverito (come quelle usate dalle forze NATO nei bombardamenti su Serbia, Kosovo e Montenegro del 1999); ma sta di fatto che, per quanto le armi siano moderne o “tese ad attacchi mirati”, queste sono e saranno sempre votate allo spargimento di sangue. In guerra le armi faranno sempre, come insegna Gino Strada, vittime civili: non esistono bombe intelligenti, ma solo bombe assassine. La perversione delle armi può anche levare dubbi e riflessioni sulla decisione dell’Unione Europea di concedere 450 milioni di euro in apparecchiature militari alle forze armate ucraine per difendersi dall’offensiva russa. È legittima la volontà ucraina di resistere all’occupazione russa, ma l’invio di armi potrebbe prolungare il conflitto, provocando rappresaglie reciproche tra forze ucraine e russe, che arrecherebbero ulteriori vittime civili da entrambi i lati. Per quanto alcuni opinionisti possano tacciare chi critica tale mossa di “pacifismo cinico” (accusa rivolta a intellettuali quali Carlo Rovelli e Luciano Canfora), bisogna ammettere che non è una scelta facile. Forse sarebbe meglio far lavorare la diplomazia o, come suggerisce l’esperto di geopolitica Alessandro Orsini, aggiungere una sanzione per ogni bambino ucciso. Prima si è detto di come quasi tutti i conflitti siano voluti da poche persone – che siano capi di Stato o peggio magnati dell’industria bellica – a spese di molte, cioè i più poveri, che diventano carne da macello per gli interessi dei primi (sia combattendo al fronte che vivendo da civili le devastazioni arrecate dalla guerra). Infatti, come scrisse Bertolt Brecht, Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente. Oggi molti cittadini ucraini, che vivono in un paese già impoverito da condizioni pregresse, sono vittime dei bombardamenti russi sulle città, e per sfuggire alla distruzione della guerra sono costretti a lasciare la propria terra; d’altra parte i cittadini russi devono pagare il prezzo per le mire espansionistiche di Putin, sopportando gran parte del peso delle sanzioni (come ricordano diversi esperti, come il diplomatico e giornalista Sergio Romano) e vedendo i propri figli costretti a combattere una guerra sanguinosa per gli interessi di pochi. Chiunque vincerà questa guerra, una cosa è certa: i poveri perderanno, ritrovandosi ancora più poveri, mentre chi è ricco – che siano gli oligarchi, russi o ucraini, o i magnati occidentali dell’industria bellica – lo diventerà ancora di più. Per guardare ai motivi profondi di questa guerra, è utile ricorrere a una riflessione epistolare dello scrittore e filosofo russo Lev Tolstoj: Quando mi dicono che dello scoppio di una qualche guerra è colpevole in maniera esclusiva una delle due parti, non posso mai trovarmi d’accordo con una simile opinione. Si può ammettere che una delle parti agisca con maggiore cattiveria, ma stabilire quale delle due si comporta peggio non aiuta a chiarire neanche solo la più immediata delle cause per cui si verifica un fenomeno così terribile, crudele e disumano quale è la guerra. Queste cause sono del tutto evidenti per chiunque non chiuda gli occhi di fronte alla realtà. Ve ne sono tre: la prima è l’ineguale distribuzione della ricchezza, vale a dire la rapina commessa da alcune persone ai danni di altre; la seconda è l’esistenza della classe militare, vale a dire di persone addestrate e destinate a uccidere; la terza causa è una dottrina religiosa falsa, in buona parte consapevolmente ingannevole, nella quale vengono forzosamente educate le giovani generazioni. Da anarcopacifista e testimone diretto degli orrori della guerra (servì nell’esercito di leva zarista a Sebastopoli durante la Guerra di Crimea), Tolstoj riconosce come entrambi dei
belligeranti – per quanto ci possa essere uno squilibrio di forze o responsabilità dirette – siano corresponsabili della guerra in cui si scontrano. Inoltre, lo scrittore russo individua come cause di guerre le diseguaglianze socioeconomiche, il protagonismo della classe militare e una “falsa dottrina religiosa”. La prima delle cause è visibile nel caso di questa guerra: il conflitto interno all’Ucraina fu mosso dal contrasto tra le due parti della popolazione, una russofona e un’altra filoccidentale, delle quali la seconda ha visto nell’integrazione nell’Unione Europea un modo per uscire dalla condizione di povertà in cui vivevano. Ma purtroppo, sia per l’interferenza di forze esterne che per la presenza di frange estremiste, l’avvicinamento dell’Ucraina all’Occidente ha portato a un contrasto con una componente della popolazione ucraina, legata al passato sovietico e alla Russia. D’altra parte, Putin ha forse usato questa offensiva per scaricare il malcontento interno in Russia, un paese piagato da forti disuguaglianze e da un alto tasso di povertà. Del resto, la guerra è sempre stata usata dai politici come metodo per riacquisire consensi: Bush sfruttò gli interventi in Iraq e Afghanistan per consolidare il sostegno interno negli Stati Uniti; lo stesso Putin, poi, aveva ottenuto in passato un certo consenso interno per la gestione del conflitto in Cecenia, nonostante gli abusi compiuti (come ricorda la defunta giornalista Anna Politkovskaja). Quanto alla “falsa dottrina”, invece, ad oggi questa può essere interpretata in vari modi, in particolare come il nazionalismo nelle sue varie sfumature. Come ci insegnano i drammi delle guerre nell’ex-Jugoslavia, il nazionalismo è una delle cause fondanti di molti conflitti, che portano a violenti scontri e, nei casi più estremi, a genocidi di minoranze (come successo in Kosovo o in Rwanda). Sono state le frange estreme del nazionalismo ucraino (responsabili, tra l’altro, di fatti efferati) a far aumentare il sentimento autonomista nelle regioni russofone del Donbass – che già sentivano una certa estraneità rispetto al resto del paese – e a provocare violenti scontri armati negli ultimi otto anni. Caso esemplare fu il massacro di Odessa nel 2014, quando cinquanta manifestanti, critici verso il governo insediatosi dopo i fatti di Majdan, furono bruciati vivi nella Casa dei Sindacati. D’altra parte, il revanscismo e sciovinismo russo, mosso da Putin, ha esacerbato questa guerra, portando alla violenta incursione tuttora in corso sul territorio ucraino. Prima Putin ha agito annettendo la Crimea e fornendo armi alle milizie separatiste nel Donbass, poi invadendo de facto l’Ucraina: tutto ciò è mosso da una concezione neozarista dello spazio post-sovietico, portata avanti da Putin. Questi, infatti, si sente mosso dall’idea anacronistica di riunire tutti i russi sotto un’unica entità statale e territoriale. Tutte le scuse che muovono le guerre, che siano l’autodifesa, la lotta al terrorismo, l’esportazione di democrazia, la protezione di minoranze etniche da persecuzioni o la denazificazione, sono strumentali, spesso mosse da bugie. In questo fattore si nota una certa ipocrisia da parte dei governi occidentali, che pur avendo per anni invaso e bombardato indiscriminatamente diverse nazioni (Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia, Siria, Yemen, Somalia eccetera…), ora si autoelevano a difensori della sovranità territoriale delle nazioni e dell’autodeterminazione dei popoli. Le invasioni di altre nazioni, chiunque le muova e per quanto siano esecrabili i governi dei paesi invasi (che siano democratici o no), sono da condannare a prescindere, così come il massacro indiscriminato di civili. Ma soprattutto sono da condannare i toni bellicisti e impassibili, usati da entrambe le parti della barricata. Entrambi i cobelligeranti, infatti, non sembrano disposti a cedere: questo sta portando a un massacro, che rischia di continuare, se nessuno intende porvi fine.