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La fine di un’era

di Francesca Oriti

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Angela Merkel è stata nel bene e nel male l’arbitro della politica europea per quasi due decenni, ricoprendo il ruolo di Cancelliera Federale della Germania dal 2005 al 2021, per un tempo comparabile solo a quello di Helmut Kohl, suo mentore. Nel 2018, assumendosi la responsabilità per il fallimento elettorale del suo partito, l’Unione CristianoDemocratica (CDU), ha annunciato che non si sarebbe ricandidata alle successive elezioni tenutesi il 26 settembre 2021, decretando così la fine della cosiddetta Era Merkel. È stata definita mutti (mamma) dai suoi elettori, la donna più potente del mondo da Forbes, ma chi è e qual è la sua eredità? Dopo i primissimi anni ad Amburgo, la famiglia Kasner (Merkel è il cognome del primo marito) si spostò nella Germania Est, dove alla giovane Angela venne proibita ogni attività politica, infatti perseguì inizialmente la carriera accademica con una laurea in fisica. Tuttavia la sua provenienza ebbe un’influenza positiva a lungo termine perché Helmut Kohl la scelse nel 1990 come Ministro delle Donne e della Gioventù proprio in rappresentanza della Germania Est, data la necessità di rendere omogeneo il primo governo federale successivo alla riunificazione. Da quel momento inizia una carriera sfolgorante e in appena dieci anni Angela sconvolge chi la sottovalutava soprannominandola “Kohl’s Mädchen” (la ragazzina di Kohl). Nel 1999 infatti Merkel chiede in Parlamento le dimissioni di Kohl in seguito agli scandali legati a finanziamenti illegali al partito, acquisendo poco dopo la leadership della CDU, a cui sia lei che il suo mentore appartenevano, e diventando nel 2005 Cancelliera Federale. La politica interna della cancelliera è stata contraddistinta dallo spostamento del suo partito dall’ala più conservatrice al centro liberale, che è servito a ricompattare un Paese che faticava a superare la divisione causata del muro di Berlino. I critici sostengono che sia stata più un’amministrativa abile e moderata che una riformista con uno sguardo al futuro, tanto che in tedesco è addirittura nato in suo onore un verbo, Merkeln, col significato di ‘ponderare a lungo una decisione'. La prudenza però è

anche la ragione per cui la cancelliera è considerata una politica affidabile, tanto che il suo abituale gesto di tenere le mani a triangolo denominato Merkel Raute (il diamante Merkel) è diventato simbolo del sentirsi in buone mani e in quanto tale è stato raffigurato in un murales a Berlino per le elezioni del 2013. Nonostante ciò, negli ultimi anni il suo partito ha sofferto sconfitte elettorali non indifferenti, specie con l’avanzata del partito dei Verdi, nato dall’opposizione alla decisione di Merkel di rinunciare all’energia nucleare, alternativa sostenibile ai combustibili fossili, ma origine

di grandi disastri quali Chernobyl e Fukushima (decisione su cui la cancelliera ha tentennato negli ultimi tempi). All’estero invece, specialmente alla fine della sua carriera, il Pew Research Center ha registrato un tasso di fiducia del 77% verso le decisioni internazionali della cancelliera. Questo non significa che non abbia preso decisioni unilaterali senza curarsi particolarmente dei risultati che questi avrebbero avuto sul resto dell’Europa, come la costruzione del gasdotto Nord Stream 2 per fare arrivare gas naturale direttamente in Germania, e da lì in Europa, autorizzando tacitamente l’intromissione del governo russo negli stati baltici che sono attraversati dall’infrastruttura. Angela Merkel è passata alla storia per la sua straordinaria abilità di risolvere qualsiasi crisi che le ha permesso di guidare la Germania e l’Europa attraverso i momenti più difficili degli ultimi sedici anni: la crisi finanziaria del 2008, con la conseguente crisi dell’Euro, la crisi dei migranti del 2015 e la pandemia da Covid-19. La crisi finanziaria la coglie con numeri di approvazione in caduta, quindi Merkel è costretta a tenere ben presente la reticenza dei tedeschi verso l’Unione Europea, nonostante le sue reiterate dichiarazioni che se l’Europa fallisce, fallisce anche la Germania. La cancelliera vota dunque per una linea dura contro i Paesi più poveri d’Europa, come la Grecia: si tratta dell’austerity, ovvero il taglio della spesa pubblica per ridurre il deficit statale con conseguenti tasse più alte per i contribuenti in cambio di una grande iniezione di denaro da parte dell’Europa. I critici sostengono che tale iniezione fosse in realtà volta a salvare le banche tedesche e non la Grecia, dato il debito che la legava a queste, ed è innegabile che nel Paese si sia verificata una crisi di proporzioni abnormi. Nonostante il successo della politica di austerity in Germania, infatti nel 2015 il Paese raggiunse una percentuale di disoccupazione del 5% contro il 12% italiano, la sua applicazione alla Grecia è risultata in misure fondamentalmente insostenibili, come sostenne Schröder, ex cancelliere e primo fautore dell’austerity negli anni ’90, in un articolo sull’Handelsblatt del settembre 2012. Infatti se è vero che servivano delle riforme impossibili da praticare con i tassi di deficit che presentava la Grecia, è altresì vero che queste stesse riforme erano impraticabili con un tasso di disoccupazione altissimo, che passò dal 7,6% del 2008 al 27,47 del 2013. Per quanto riguarda la crisi migratoria, la sua decisione è stata senza dubbio alcuno la più coraggiosa e la più umana tra quelle degli stati europei: con il suo Wir schaffen Das (“Possiamo farcela”) ha aperto le frontiere della Germania ad un milione di profughi, di cui 250.000 provenienti solo dalla Siria. Proprio in quell’occasione si diffuse l’appellativo di Mutti (Mamma) con cui la apostrofano i suoi elettori. Ciò nonostante, i critici hanno osservato che è stata proprio l’apertura di Merkel ai migranti a far emergere una forza politica di matrice

nazionalista, l’Alternativa per la Germania (AfD), che nelle ultime elezioni ha ottenuto non meno di 83 seggi nel Bundestag, il Parlamento tedesco. Va osservato che, sebbene la posizione del suo partito sia vicina alla destra conservatrice, la politica di Merkel appare sulla scena internazionale leggermente più vicina al centro-sinistra, prova ne sia il fatto che durante la presidenza di Donald Trump la cancelliera tedesca è stata soprannominata leader of the free world (“leader del mondo libero”), titolo generalmente attribuito all’inquilino della Casa Bianca. Infine l’ultima grande crisi che la cancelliera ha affrontato e attraverso la quale ha guidato l’Europa è stata la recente crisi pandemica. Merkel ha sempre mantenuto un atteggiamento calmo e flessibile, facendosi forte anche della sua stessa formazione scientifica per spiegare ai cittadini l’andamento della pandemia e non esitando a riconoscere i propri errori, come quando a marzo del 2021 si rese conto che il lockdown pasquale avrebbe inficiato l’economia più di quanto la situazione sanitaria richiedesse. Nel pieno della pandemia, precisamente da luglio a dicembre 2020, è stata presidente del Consiglio dell’Unione Europea, coronando i negoziati strenui iniziati a maggio dello stesso anno affinché si creasse finalmente un debito pubblico europeo con conseguenti investimenti per i Paesi maggiormente colpiti, come il nostro. E’ nato così il Next Generation EU (meglio conosciuto in Italia come Recovery Fund), una risorsa senza pari specialmente per gli Stati del Sud Europa, che Merkel ha garantito anche a scapito del suo personale successo in Patria e tra i cittadini del Nord Europa, il cui volere invece era stato maggiormente tenuto in conto nelle decisioni riguardanti la crisi finanziaria del 2008. Un’altra delle grandi critiche che Merkel ha ricevuto è di essere stata una leader donna che non si è adoperata per le donne. D’altra parte è vero che la Germania rimane uno dei Paesi con il tasso di disparità salariale più alto, secondo il rapporto della Commissione Europea del 2020 al 20%, nonostante questo sia senza dubbio anche influenzato dall’alto tasso di occupazione. Questa, come altre, rappresenta una grande contraddizione del suo operato, dato che dopo anni di esitazione si è recentemente dichiarata femminista, dichiarando anche che tutti dovrebbero esserlo.

L’eredità di Merkel si presenta quindi mista, dato che il suo operato è stato sì caratterizzato dalla prudenza, ma non per questo da assenza di valori, perché, come ha detto Barack Obama, distinguendola fortemente dagli altri politici, “di pochi leader si può avere fede che pongano i propri principi sopra qualsiasi ristretta affermazione di interesse personale” (“Very few political leaders can be counted upon to put their principles above any narrow definition of self interest”).

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