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IL SOGNO DI UNA BAMBINA DI NOVE ANNI

Il sogno di una bambina di nove anni

di Letizia Chiostri

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Mi ricordo ancora chiaramente di quando, da piccolina, andavo a veder recitare mio zio con la compagnia “Namastè Teatro”. Soprattutto, mi è rimasta impressa quella volta in cui, dopo la fine dello spettacolo “Benvenuti in casa Gori” di Ugo Chiti e Alessandro Benvenuti, gli chiesi: «Zio, non avete mai una parte che possa recitare anche io? So di essere piccola, ma mi va benissimo anche solamente stare nella carrozzina e fare la bambina!» All’epoca avrò avuto sì e no nove anni; avevo iniziato a seguire un corso di teatro l’anno precedente. Tuttavia, la mia è una passione nata da molto prima, forse proprio grazie a mio zio, che ha sempre recitato, e a mia madre, anche lei attrice, che mi portava a vedere gli spettacoli sin da quando ero piccola. Mi teneva sempre in collo e mi racconta che ero una bambina agitata, o meglio dire curiosa, perché mi muovevo costantemente in qua e in là per guardare ed osservare attentamente tutto ciò che mi circondava; ma ogni volta che iniziava uno spettacolo, come incantata, mi fermavo e rimanevo a bocca aperta davanti alla vista di quei personaggi indaffarati nelle proprie vicissitudini amorose, oppure straziati da un profondo conflitto interiore. «Sai, non ci sono molti ruoli per bambine... Vedremo se riusciremo a trovare una parte per te!», mi aveva risposto mio zio. Passano gli anni, e arriva il 2018. Fu allora che mi disse che avevano bisogno di una giovane ragazza per una parte. Il mio primo spettacolo con “Namastè Teatro” fu “Allegretto (perbene... ma non troppo)”, di Ugo Chiti, ambientato durante il fascismo in un paesino italiano dove avviene un fatto assai insolito e vergognoso proprio prima della visita del Duce. Come descrivere l’emozione di una ragazzina di nemmeno 14 anni che vede avverarsi il suo sogno più profondo? Ero euforica, felicissima, e rimarrò per sempre legata a questo spettacolo. Per i due anni seguenti ci siamo esibiti nell’adattamento del testo di Molière de “Il Borghese

Gentiluomo”. Già erano in programma altri spettacoli, e mi sentivo come se avessi raggiunto il mio scopo, perché facevo ciò che riusciva a rendermi più felice al mondo. Ma poi è il sopraggiunto il famigerato Coronavirus, che ha bloccato ogni attività. Per quasi due anni sono rimasta chiusa in casa senza avere la possibilità di ritornare sul palco. È stato per me un dolore fortissimo. Il teatro è, infatti, la mia valvola di sfogo, il modo attraverso il quale riesco ad esprimermi mettendo completamente a nudo i miei pensieri e le mie emozioni tramite il mio personaggio. Secondo me, recitare non vuol dire solo ripetere le proprie battute meccanicamente: quando interpreto una parte divento quel personaggio, divento il suo modo di parlare, il suo modo di muoversi nello spazio circostante e assumo perfino la sua postura. Per me è fondamentale, quindi, comprendere a fondo il mio ruolo, e cercare di approcciarmi alle situazioni dello spettacolo come se fossi io in prima persona partecipe di quegli accadimenti. Per questo, ogni personaggio mi ha lasciato qualcosa di sé nel profondo: una riflessione, un comportamento, un modello da seguire. Se c’è qualcosa che accomuna tutte le parti che ho interpretato finora, è una forza immane nell’approcciarsi alle problematiche che si presentano loro davanti, un grandioso desiderio di riscattarsi e di farsi valere. Caratteristiche che rispecchiano perfettamente la mia determinazione e forza di volontà. Lo scorso anno scolastico ho deciso di non abbandonare la mia passione, ma di seguire un corso di teatro offertomi dalla scuola tenuto dal professor Vezzosi. In gran parte si è svolto in didattica a distanza, eppure ogni settimana nell'ora in cui mi collegavo mi sentivo viva, rinata, come se fossi salita di nuovo sul palco. Questo corso di teatro mi ha trasmesso un'enorme gioia che mi era difficile ritrovare in tempi così bui e una grande forza di cui ho avuto enormemente bisogno per affrontare non solo il lockdown, ma anche l’attesissimo ritorno sul palco. Finalmente, dopo due anni di ritiro forzato da ogni tipo di espressione artistica, la compagnia “Namastè” mi ha dato la possibilità di tornare in scena, proprio con quello spettacolo che tanto ho amato e sognato di interpretare da bambina: “Benvenuti in casa Gori”. Sono molto felice, entusiasta, emozionata, e anche onorata, perché questa recita aveva già un grande valore affettivo per me, e ora il mio sogno si sta realizzando proprio nel momento della ripartenza artistica. È il giorno di Natale del 1986, e la famiglia Gori si è riunita per festeggiarlo tutti insieme. In questa iniziale atmosfera gioiosa, i segreti più profondi sono destinati a venir fuori, e alcuni conti in sospeso dovranno essere saldati. “Benvenuti in casa Gori” è molto più di una commedia familiare: è un testo estremamente profondo e malinconico che fa scaturire un riso amaro, portandoci a riflettere sulla nostra stessa interiorità. Saremo ancora in scena sabato 4 dicembre alle ore 21 e domenica 5 dicembre alle 17, al teatro Reims (via Reims- 30, Firenze Sud).

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