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DONNE E AFGHANISTAN: UNA STORIA IN COMUNE

Donne e Afghanistan: Una storia in comune

di Caterina Ademollo

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Denunciare. Voce del verbo denunciare, prima coniugazione, infinito presente. È un verbo immediato, semplice, ma che racchiude in sé un significato ben più profondo dell’apparenza. Chi denuncia, infatti, lotta. Chi denuncia, rischia. Chi denuncia, dà voce a chi non ne ha, o non sa di averla. Quindi, chi denuncia, per definizione, è un simbolo. Ed è risaputo che chi vuole mandare un messaggio di oppressione e privazione delle libertà, chi vuole portare la paura nel cuore delle persone, prima di colpire la folla, colpisce i simboli. Questo è esattamente ciò che è successo a Zarifa Ghafari, la prima donna ad aver ricoperto, a Maidan Shahr, in Afghanistan, la carica di sindaca a soli 26 anni, rimanendo in carica per ben due anni, e detenendo il primato come donna più giovane mai fatta sindaco in questo tanto controverso Paese. Dopo essersi laureata in economia all’Università del Punjab (Chandigarh, India), Zarifa ha deciso di tornare nel suo Paese, perché, dopo aver vissuto sulla propria pelle l’occupazione statunitense in Afghanistan, e le violenze subite soprattutto dalle donne da parte dei talebani, ha deciso di prefiggersi una missione, ovvero di rappresentare un simbolo di lotta e speranza per i più deboli, in particolare per le donne, e di combattere per l’emancipazione e per la libertà della sua terra, non facendosi abbattere dalle difficoltà. Arrivata in Afghanistan, si è candidata come sindaco presso la cittadina di Maidan Shahr, e benché sia stata eletta nel 2018, ha potuto effettivamente iniziare il proprio mandato solo nel 2019. Nelle interviste che ha rilasciato, Zarifa racconta di come fosse, su 138 candidati, l’unica donna presente; di come, una volta iniziato il mandato, i dipendenti dell’ufficio comunale si siano rifiutati di riconoscere la sua autorità; di come, nel suo primo giorno di lavoro, abbia dovuto affrontare le molestie e le aggressioni di un gruppo di uomini che, dopo aver assalito il suo ufficio, le hanno intimato di dimettersi. Quando è diventato

chiaro che Zarifa era ben lontana dall’arrendersi, e che stava iniziando ad essere vista da molti come un modello di resistenza e coraggio, sono iniziate le vere e proprie minacce di morte da parte dei talebani e dell’ISIS, seguite poi da svariati tentativi di omicidio, che trovano il culmine nell’assassinio di suo padre, il 5 novembre 2020, davanti a casa sua. Ma nonostante questo, nonostante tutto, Zarifa è rimasta e ha lottato, introducendo una stazione radio dedicata all’emancipazione femminile e un mercato per sole donne, non permettendo alla paura di impedirle di seguire il suo sogno di un Paese più sicuro e inclusivo. Per il suo coraggio nel 2020 ha ricevuto a Washington il premio International Woman of Courage e in quest’occasione ha pronunciato un discorso, di cui qui un estratto: “Le donne afgane spesso sono viste come vittime -ha dichiarato Zarifa- e questa è la verità. Ma ci sono altre storie da raccontare, di donne che hanno combattuto, e stanno lottando per i loro diritti, e non si arrendono.” In seguito all’arrivo dei talebani in Afghanistan il 15 agosto 2021, la giovane sindaca ha potuto comunicare al resto del mondo solo poche, lapidarie parole: “Sono qui seduta ad aspettare con mio marito e con la mia famiglia che vengano a prendermi. Non c’è nessuno che possa aiutarci. E verranno, per persone come me, e mi uccideranno. Non posso lasciare la mia famiglia. E comunque, dove andrei?”. In seguito per fortuna ha potuto lasciare il Paese, dimettendosi conseguentemente dalla sua carica, e si trova tutt’ora in salvo in Germania. Partecipe del documentario “Noi donne afgane” di Didi Gnocchi, in cui, oltre alla sua, sono riportate varie esperienze di donne afgane sopravvissute e in fuga dai talebani, Zarifa sostiene la necessità di instaurare un dialogo con gli invasori, anche assassini di suo padre, per continuare a lottare per i diritti delle donne e per ottenere risultati concreti. Nell’intervista rilasciata al quotidiano Avvenire, Zarifa si racconta così: “Voler vivere da eroe è abbastanza normale, chi non vuole farlo? Ma quando la vita finisce, è allora che la gente deve ricordarti come un eroe. Anch’io desidero vivere da eroe e da modello per il mio Paese e per la mia gente. Ma desidero soprattutto morire da eroe – perché so che un giorno morirò – lavorando sempre di più, di più, di più per la mia gente e per il mio Afghanistan». Il suo coraggio e la sua inarrestabile determinazione l’hanno portata a fare esattamente ciò e ad essere: un’eroina, un esempio e un modello per tutte noi. Zarifa ha denunciato, lottando, rischiando e diventando simbolo di tutte le donne oppresse.

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