3000 anni di storia, cultura, tradizione e innovazione
3000 anni di storia, cultura, tradizione e innovazione
fotografie Nelly Dietzel coordinamento editoriale Anna Saderi
Sommario
Il vino in Sardegna. 3000 anni di storia, cultura, tradizione e innovazione
9
La storia. Dal prenuragico ai giorni nostri La vite e il vino in Sardegna dalla preistoria alla fine del mondo antico
13
Mario Sanges
Il vino dei Fenici, dei Cartaginesi e degli Altri
21
Rubens D’Oriano
La vite e il vino nel periodo romano
29
Antonio Sanciu
La vite e il vino dall’alto Medioevo all’età giudicale
43
Pier Giorgio Spanu
La vite e il vino nel tardo Medioevo
51
Pinuccia Simbula
La vite e il vino durante la dominazione spagnola
59
Carla Ferrante
L’“arte” di fare il vino nella cultura agronomica del Settecento
71
Piero Sanna
Vite e vino tra Ottocento e Novecento. La memoria della tradizione, le promesse della modernità (1847-1940) 103 Maria Luisa Di Felice
La vite e il vino dagli anni Cinquanta ai giorni nostri
113
Sandro Ruju
Il paesaggio vitato: aspetto e modifiche del territorio
125
Isabella Zedda Macciò
Aspetti scientifici, biologici e tecnologici La vite selvatica
155
Gianni Lovicu
Il DNA dei vitigni sardi
167
Massimo Labra, Frabrizio De Mattia
I vitigni sardi: storia e origine Gianni Lovicu
181
Geologia e vino
217
Giuseppe Murru
Il terroir e la zonazione viticola
227
Giovanni Nieddu
Le tecniche della coltivazione della vite
237
Giovanni Nieddu
La meccanizzazione in viticoltura
249
Francesco Paschino, Filippo Gambella
Aspetti sanitari della vite in Sardegna Raimondo Garau
269
La maturità dell’uva Alessandra Del Caro
291
La tecnologia della vinificazione Enzo Biondo
299
Lieviti e fermentazione alcolica Giovanni Antonio Farris, Severino Zara, Giacomo Zara
319
Derivati dell’uva: distillati, vino cotto e succo Antonio Piga, Vincenzo Vacca
329
La cantina. Luogo di trasformazione e conservazione. Dalle origini a oggi Daniele Manca
345
Distribuzione geografica e caratteristiche dei vini sardi Antonella Casu, Tonino Costa
371
Vino e/è salute Giuseppe Sicheri
409
Il vino nell’alimentazione: il progetto AKeA Luca Deiana
417
Aspetti giuridici, normativi ed economici Le vigne e la viticoltura nel diritto agrario della Sardegna medievale e moderna (XIV-XIX secolo) Antonello Mattone La normativa vitivinicola Tonino Costa
423 435
Economia del vino in Sardegna Maria Giovanna Brandano, Marco Vannini
449
Letteratura, arte e tradizioni popolari Viticoltura nuragica, il nome del Tirso e la ricerca delle origini Giulio Paulis, Susanna Paulis
469
Dioniso in Sardegna. Il vino nella letteratura sarda Giovanni Pirodda
477
La vigna tradizionale sarda Giulio Angioni, Salvatore Atzori
485
Il vino e la vinificazione nella Sardegna tradizionale Giulio Angioni, Salvatore Atzori
503
Gli utensili e i materiali d’uso nelle pratiche tradizionali della vinificazione Carmen Bilotta La ritualità del bere Carmen Bilotta
511 523
La vite e il vino nell'iconografia artistica dall’alto al basso Medioevo Roberto Coroneo
529
La vite e il vino nell'iconografia artistica in età moderna e contemporanea Antonella Camarda
535
La proiezione dell’immagine del vino sardo all’esterno. Le etichette Antonio Vodret
551
Glossario
573
Bibliografia
597
I vitigni sardi Va detto che non tutti i vitigni hanno la stessa importanza nell’Isola. Alcuni, ieri come oggi, sembrano aver un peso predominante: il Cannonau (o il Monica per restare fra le nere) e il Nuragus (o il Vermentino per limitarci alle bianche) sono attualmente diffusi in tutto il territorio e rappresentano l’ossatura della viticoltura e dell’enologia sarda. Oltre a questi, che è giusto definire principali, alcuni vitigni rivestono un ruolo importante in alcuni areali della regione. È il caso del Muristellu (Mandrolisai) o del Carignano (Sulcis) per i neri o del Semidano (Marmilla) per i bianchi. Non manca poi un numero consistente di vitigni che, presenti nei vecchi vigneti – quelli impiantati precedentemente alla seconda guerra mondiale –, sebbene tuttora oggetto di studio, lasciano spesso intravedere caratteristiche assolutamente interessanti. E qui diventa opportuno trattare caso per caso la questione delle origini, analizzando insieme le caratteristiche dei vitigni. Dei sinonimi verranno elencate soltanto le principali varianti.
CARICAGIOLA un vitigno a bacca nera tipico della Gallura che probabilmente, insieme al Vermentino, È partecipa della comune identità culturale
gallurese-corsa. Infatti, in Corsica, un trattato del 1857 di Victor Rendu registra il nome Cargajolo nero. Il conte ODART (1845) ne conferma l’origine corsa. Anche il L ADREY (1857) fornisce notizie sul vitigno. Forma Vitigno vigoroso e produttivo, è caratterizzato da foglia bollosa ricca di tomentosità sulla pagina inferiore. Sinonimi Forse Cargajolo, Cargajola, Carcagiola (Corsica). Origine È un vitigno che la Gallura condivide con la Corsica. Trattandosi di una varietà minore non sono stati ancora condotti studi scientificamente attendibili sulla sua provenienza. Sembra comunque che la sua origine debba essere ricercata tra Corsica e Gallura.
202
NIEDDERA un vitigno a bacca nera tipico dell’Oristanese. Se ne producono sia È vini rosati che rossi. In passato è stato
accostato al Bovale Mannu: erroneamente poiché si tratta di due varietà differenti. Forma Foglia pentalobata caratterizzata da una debole pelosità della pagina inferiore, decisamente meno intensa che sul Bovale Mannu. Sinonimi (erronei) Bovali Mannu, Bovale (Sardegna). Origine Sconosciuta. L’Angius cita questa varietà a proposito del paese di Guamaggiore. Doveva comunque avere un certo interesse se, sempre in quegli anni, è menzionata sia dal conte Odart che dal prof. Ladrey, entrambi i quali la giudicano simile al siciliano Nireddie – verosimiglianza questa ancora da accertare poiché a tutta prima basata unicamente sulla comunanza delle lettere che compongono il nome.
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NURAGUS un vitigno a bacca bianca caratteristico del Sud dell’Isola, sebbene ceppi È isolati si trovino talvolta in vecchi vigneti
delle zone centrali della Sardegna. È una varietà capace di grandi produzioni, ma nel contempo anche di uno scadimento qualitativo abbastanza forte. Le moderne tecnologie vinicole permettono di risolvere alcune difficoltà legate al contenuto fenolico eccessivamente elevato in un vitigno a polpa bianca. Fino a pochi decenni fa, nel meridione dell’Isola, da uve selezionate ed appassite di Nuragus si otteneva uno squisito vino da dessert: non è da escludere che possa trattarsi del “Muscadeddu de Nuragus” di cui parlano testi ed atti notarili seicenteschi (FERRANTE 2000). Forma La foglia è caratterizzata inferiormente da una pelosità strisciante. Tardiva l’epoca di maturazione. Sinonimi Axina scacciadepidus, axina de margiani (Sardegna). Origine Sconosciuta. In attesa di ulteriori indagini, specialmente condotte sul fronte della biologia molecolare, e vista l’assenza di parentele con vitigni caratteristici di altre parti d’Italia (nessuna affinità lo lega ai Trebbiani, con i quali condivide solo l’alta produttività), è probabilmente corretto considerarlo un vitigno tradizionale sardo. Da scartare, in assenza di riscontri scientifici di qualsiasi tipo, la supposta origine fenicia avanzata unicamente in considerazione della radice nur del nome: già altre volte le attribuzioni di origine su base esclusivamente onomastica si sono rivelate fallaci.
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VERNACCIA ono diversi i vitigni in Sardegna con questo nome, alcuni dei quali anche S imparentati fra di loro, ma nessuno con
il Vernaccia dell’Oristanese (DE MATTIA , ET AL . 2007), da cui si ottiene l’ottimo ed inimitabile vino da dessert. Le altre Vernacce sono vitigni bianchi, identificati con designazioni locali assai simili (Vernazza, Granatza, Granaccia, Crannaccia); di una varietà nera dà però testimonianza l’Angius a Siniscola. Forma La foglia del Vernaccia di Oristano si contraddistingue per una pelosità strisciante sulla pagina inferiore. È questo un carattere sistematico assente nelle altre varietà dell’Isola, nelle quali si registra una totale assenza di tomentosità e, solo raramente, in qualche accessione, modeste quantità di peli dritti. Sinonimi Mancano i sinonimi. Le altre designazioni sono varianti locali del nome Vernaccia. Origine Sconosciuta, come è in realtà l’origine di tutte le Vernacce. Giusto a proposito della Vernaccia di San Gimignano, si ricorda che alcuni storici toscani del Trecento, anche se non in maniera univoca, fanno risalire l’importazione del vitigno direttamente dalla Grecia. In effetti, per lungo tempo il Vernaccia è stato annoverato tra i cosiddetti vini greci, caratterizzati cioè dall’avere un elevato contenuto alcolico, una forte percentuale di zucchero e dall’essere molto aromatici. Oggi l’unica certezza riguarda la negazione della provenienza ellenica; di più non è possibile dire. Come per il Nuragus, in attesa di ulteriori indagini è corretto considerarlo un vitigno tradizionale sardo. Anche in questo caso è da scartare, vista l’assenza di riscontri scientifici validi, la supposta origine fenicia.
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Le tecniche della coltivazione della vite Giovanni Nieddu
«D
Ortueri, Mandrolisai, operazione di innesto a spacco. L’innesto è una pratica agronomica che consiste nel saldare sul portainnesto una parte di un’altra pianta, il nesto, per rafforzarne i caratteri. Il portainnesto svilupperà l’apparato radicale; il nesto, segmento di ramo gemmifero, darà vita a quella aerea. La pratica si diffuse nella seconda metà dell’Ottocento, moltissimo dopo l’epidemia della fillossera che mise in ginocchio la viticoltura mondiale.
a una plantula può svilupparsi un albero come l’olivo, o un cespuglio come la palma campestre, o una cosa intermedia, che non può dirsi né albero né arbusto, quale è la vite. Questa specie ha diritto che noi ce ne occupiamo prima di ogni altra non solo per la dolcezza del suo frutto, ma soprattutto per la facilità con cui risponde alle cure dei mortali pressoché in ogni regione e sotto ogni cielo» (Columella, De re rustica). L’osservazione di Columella evidenzia l’interesse e l’attenzione di molteplici civiltà al processo di domesticazione e coltivazione della vite che ebbe luogo, in tempi e modi indipendenti, nei centri di origine primaria e secondaria dell’Asia minore e del Mediterraneo occidentale ed orientale. La definizione delle tecniche di coltivazione si basò sull’analisi delle risposte della pianta all’ambiente, comprese le attività dell’uomo, degli animali e di tutti i componenti dell’ecosistema. Le osservazioni sull’habitus lianoso della pianta, sulla sua facilità a emettere radici dai tralci, sulle minori produzioni unite alla migliore qualità, nei casi di riduzione dell’apparato aereo per stress termici, attacchi parassitari o morsi degli animali, hanno motivato nel tempo la proposizione di varie forme di allevamento: da quelle striscianti a quelle contenute nelle dimensioni, con forma di alberello, oppure sviluppate in altezza e in parete e maritate con gli alberi. Così come sono stati ideati e realizzati molteplici attrezzi agricoli specifici per la viticoltura, quali i falcetti o i coltelli per la potatura. Ancora, la conoscenza della fenologia delle vite – ossia delle varie fasi di sviluppo che si manifestano durante il suo ciclo annuale e vitale –, delle caratteristiche compositive e organolettiche della bacca e della capacità di autoregolazione della produzione in relazione allo stato nutrizionale della pianta ha portato a distinguere le varietà e definire i carichi ottimali di gemme, in funzione degli obiettivi economici e/o enologici del viticoltore.
Questi obiettivi si sono affermati, sono mutati e, alcuni, sono stati anche riproposti, in ogni civiltà, da quelle mesopotamiche, egizie, greche, etrusche o latine a quelle attuali del continente europeo o del Nuovo Mondo viticolo rappresentato dalle Americhe, dall’Africa, dall’Asia e dall’Oceania. In ogni paese ed epoca sono state introdotte innovazioni tecniche che talvolta, nel tempo, sono diventate pratiche di coltura tradizionali. Fu nel periodo romano che si registrò la massima attenzione alla viticoltura, divenuta nelle aree intorno all’Urbe monocoltura di alto reddito. Era indispensabile erudire i ricchi proprietari e Polibio, Virgilio e Columella, con un approccio misto tra scienziati, naturalisti, imprenditori agricoli e agronomi, elaborarono opere fondamentali su tale coltura, nelle quali si dettarono le norme razionali di coltivazione poi applicate nei successivi due millenni. Nel Medioevo la vite continuò a essere una specie fondamentale da coltivare e promuovere, considerato anche il rapporto del vino con la ritualità cristiana e con il sacramento dell’eucarestia; pertanto, negli orti dei monasteri e dei castelli proseguì l’osservazione e la ricerca di nuovi accorgimenti tecnici di coltivazione e si idearono la ferratura e il collare rigido dei cavalli o il giogo frontale per i buoi al fine di rendere più efficaci e agevoli le arature. Con la scoperta della stampa apparvero, sia in Francia sia in Italia, validissime opere sulla viticoltura, ma fu soltanto in età illuminista, con il razionalismo degli enciclopedisti e in conseguenza dei progressi della meccanica, dell’apertura di ulteriori vie di comunicazione, della presenza di innovativi mezzi di trasporto e di scambi sempre più intensi fra i vari stati e continenti, che cominciarono a fiorire gli studi più propriamente scientifici sulla vite, sulla sua coltura e sulla vinificazione. Si erano poste fino a quel momento le basi per un forte cambiamento nell’approccio alla coltivazione, tuttavia la causa della rivoluzione fu l’introduzione dalle Americhe di tre gravi malattie sino ad
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La meccanizzazione in viticoltura Francesco Paschino, Filippo Gambella
Premessa
L’
introduzione delle macchine nella viticoltura isolana è stata sempre vista con diffidenza in quanto si riteneva che il mezzo meccanico non possedesse la “manualità” propria dell’uomo. Tuttavia, gli studi e le ricerche, molto attive in questo settore, hanno portato alla realizzazione di macchine operatrici ad alto livello tecnologico perfettamente in grado di competere e in taluni casi superare, oltreché quantitativamente, anche qualitativamente la manodopera impiegata. Altri sono gli obiettivi che la moderna viticoltura deve perseguire per essere in sintonia con le richieste di un mercato sempre più vasto e globalizzato, più esigente rispetto a quello fortemente localizzato che, fino a qualche lustro addietro, ha costantemente caratterizzato le produzioni sarde. Gli interventi alla base di un vigneto razionale, dal quale deriva una produzione finale capace di rispondere economicamente e qualitativamente alle esigenze di mercato, sono numerosi e richiedono una specifica competenza nell’esecuzione, ma soprattutto nella scelta delle tecniche e delle attrezzature in commercio.
Alghero, vigneti Sella&Mosca. L’immagine restituisce con evidenza il senso della meccanizzazione della viticoltura. Il grande braccio meccanico della vendemmiatrice, un intercettatore di scarico dell’uva, espelle i grappoli.
Impianto L’impianto è sicuramente la prima azione necessaria alla realizzazione dell’assetto spaziale della coltura ed è la premessa indispensabile per una buona e corretta formazione della pianta. Deve essere effettuato tenendo presente gli aspetti essenziali: orientamento, vigoria del vitigno, distanze tra la fila e le file ecc. L’esecuzione a mano, ancora praticata in diverse zone della Sardegna, è attuata mediante l’uso di semplici attrezzi (badile, foraterra ecc.) e richiede la preparazione in campo dello schema di impianto per la localizzazione della buca, in cui sistemare la barbatella, che normalmente avviene con l’impiego di strumenti di precisione. Oggi si sta diffondendo il ricorso di
attrezzature altamente sofisticate e ad alto livello tecnologico, supportate da sistemi computerizzati che utilizzano il protocollo GPS – ossia Global Position System, sistema satellitare di posizionamento basato sulla latitudine e sulla longitudine terrestre –, grazie al quale è possibile determinare la posizione della pianta con estrema rapidità e con assoluta precisione. Un computer disegna il perimetro dell’appezzamento, definisce l’orientamento del filare, calcola la densità di impianto in base al sesto e traccia i punti per le buche. Lo stesso computer, essendo collegato alla macchina operatrice, la coordina nei movimenti posizionandola correttamente per l’esecuzione della buca. L’intervento successivo è la messa a dimora dei sostegni. Anche in questo caso la procedura è meccanica: si procede effettuando la buca con trivelle o esercitando una certa pressione mediante pala meccanica o con appositi piantapali. Il sistema a pressione ha il vantaggio di non alterare il terreno circostante e di conseguenza assicura la massima stabilità al tutore. Gestione del soprassuolo In passato la gestione del terreno in viticoltura è stata sempre considerata un’operazione marginale se riferita esclusivamente alle lavorazioni superficiali per l’eliminazione delle erbe infestanti e l’interruzione della continuità capillare funzionale a ridurre l’evaporazione. Negli ultimi decenni del secolo scorso, accanto ai trattamenti tradizionali, da una parte si sono sviluppate tecniche alternative con l’adozione di macchine sempre più prestanti e di prodotti chimici per il controllo delle malerbe, dall’altra si è praticato l’inerbimento permanente o momentaneo della superficie del suolo e la pacciamatura. La moderna viticoltura ha accolto progressivamente i cambiamenti dovuti alle acquisizioni scientifiche via via disponibili, i cui obiettivi riguardano il rispetto degli apparati radicali, i rapporti tra questi e l’influenza esercitata da fattori ambientali e tecnici.
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pedicello esocarpo endocarpo
buccia
Disegno della sezione di un acino d’uva con la descrizione delle sue parti. Sezione di un acino d’uva.
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mesocarpo
vinaccioli
L’acidità della bacca è dovuta prevalentemente al contenuto in acidi tartarico, malico e citrico, che rappresentano circa il 90% dell’acidità totale. Durante la maturazione, l’acidità cala progressivamente in dipendenza da diversi fattori, quali il vitigno, il clima in particolare, l’altezza della pianta e l’esposizione al sole. L’acidità aumenta in proporzione alla latitudine e all’altitudine. Nelle regioni a clima mediterraneo, come la
Sardegna, l’acidità totale, espressa in acido tartarico, è piuttosto bassa, circa 2-5g/l. In particolare l’acido malico, meno stabile del tartarico, si riduce quantitativamente sia perché metabolizzato dalle cellule e impiegato per la sintesi degli zuccheri verso la fine della maturazione, sia a causa dell’ingrossamento dell’acino che porta a un fenomeno di diluizione del contenuto cellulare, determinando un notevole calo dell’acidità totale della pianta. L’acido tartarico diminuisce più lentamente del malico. Le cause di tale diminuzione sono da addebitare tanto, come nel caso precedente, all’accrescimento dell’acino, quanto alla sua salificazione. L’acido tartarico diminuisce ulteriormente quando le temperature, durante la maturazione, superano i 35° C. L’acido citrico invece non presenta variazioni di rilievo durante il processo di maturazione. L’acidità regola il pH delle uve, che condiziona fortemente molte caratteristiche delle stesse uve prima e del vino poi, quali il sapore, il colore, la stabilità microbiologica e proteica, la fermentazione malo-lattica e i fenomeni di ossidazione. Il pH si determina per via potenziometrica mentre l’acidità totale per titolazione. Per stabilire l’epoca di raccolta ottimale sono state proposte diverse formule con l’obiettivo di calcolare il cosiddetto “indice di maturazione”. Il più semplice è sicuramente rappresentato dal rapporto zuccheri/acidità: maggiore è tale valore, maggiore sarà il grado di maturità della polpa. Altrimenti è possibile considerare il rapporto esistente fra acido tartarico e acido malico – che riflette in particolar modo l’andamento della temperatura durante la maturazione e lo stato di vegetazione della pianta – o anche la somma degli acidi tartarico e malico, così come il pH. L’ottenimento di questi dati definisce la maturità tecnologica dell’uva, che si raggiunge quando le curve di accumulo degli zuccheri e di diminuzione degli acidi non mostrano più variazioni significative nel tempo. In questi ultimi anni al concetto di maturità tecnologica è stato affiancato
Passaggio dalla fase di fioritura all’allegagione. Fase del ciclo riproduttivo della vite, nel corso del quale l’ovario del fiore si ingrossa e si trasforma in una piccola bacca verde: il frutto.
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La tecnologia della vinificazione Enzo Biondo
S
Cantina Sella&Mosca, Alghero. Moderno impianto di vinificazione e conservazione dei vini. Ogni serbatoio, in acciaio inox AISI 316 (una delle migliori leghe), è dotato di fasce di refrigerazione per mantenere costante la temperatura dei liquidi contenuti. Attraverso il quadro elettrico computerizzato è possibile controllare in automatico ogni processo del ciclo produttivo.
ono trascorsi più di ottomila anni da quando l’uomo conobbe quel liquido frizzante ricavato dalla fermentazione spontanea dei grappoli di uva selvatica, definito molti secoli dopo “vino”. Con l’addomesticamento delle specie selvatiche e l’elaborazione di tecniche di trasformazione e conservazione sempre più raffinate, molto presto per l’uomo mediterraneo la vite e il vino divennero compagni di viaggio e, in seguito, anche strumento di conquista (ad esempio da parte dei monaci nell’attuare la loro opera missionaria di introduzione del cristianesimo). Il vino, grazie alla sua crescente diffusione e importanza all’interno della comunità, col trascorrere del tempo fu considerato un vero e proprio “marcatore sociale” che consentiva persino di separare la condizione dei ricchi da quella dei poveri. Lo stesso Catone (234149 a.C.) ne diede testimonianza distinguendo il vino per gli schiavi – ottenuto aggiungendo acqua allo scarto rimasto nelle presse – da quello prodotto in purezza per i padroni, i nobili o i generali. Ma è con l’uso sempre più esteso che si acquisirono conoscenze profonde circa gli effetti benefici o devastanti del vino. I Greci furono tra i primi a prendere coscienza delle conseguenze negative derivanti dal suo consumo smoderato o “in purezza”. La tecnica più ricorrente da essi adoperata per limitare tali effetti consisteva nel mitigare la forza del vino aggiungendo acqua salata in una proporzione di due a tre (due parti di vino e tre di acqua) e mescolando miele per attenuarne il gusto salato. Sono interessanti anche, per quanto riguarda le tecniche di vinificazione utilizzate, alcune pratiche come quella di travasare il mosto in giare rivestite di pece e farlo bollire fino a ridurlo alla metà, oppure quella di praticare interventi di vario tipo per migliorare e facilitare la stagionatura o rafforzarne il sapore. Talvolta al vino si addizionava resina (di cui evidentemente erano note le proprietà antibatteriche), infusi di rami di pino e cipresso o, ancora, mandorle amare,
zafferano, tiglio, succo di mirtilli. Per chiarificarlo si polverizzavano gusci di lumache e conchiglie, cristalli di sale (la reazione chimica dei componenti del cloruro di sodio facilita inoltre l’inibizione dei processi di ossidazione indotti dal batterio acetico), ghiande e noccioli di olive oppure si aggiungevano pece e argilla; tutte pratiche che, ai nostri occhi, oggi, sembrano semplicemente inopportune. Eppure, in oltre 4000 anni di storia, le tecniche per la produzione del vino non sono sostanzialmente cambiate: infatti esse consistono sempre nell’estrazione del succo dal frutto, nella sua fermentazione e nell’adozione di tutti gli accorgimenti necessari a renderlo limpido e stabile nel tempo. Nonostante sussistano differenze produttive e indirizzi tecnici specifici a seconda delle zone e del prodotto, l’evoluzione generale segue sempre linee comuni. I procedimenti di lavorazione sono analoghi nella maggior parte delle aree vitivinicole dei diversi continenti, ad iniziare dalla fabbricazione di recipienti fittili di grande capacità realizzati al tornio e destinati alla fermentazione, conservazione e trasporto del vino, alla costruzione di diversi tipi di torchio – quello a vite di Archimede in Grecia, quello a sacco in Egitto o quello a leva descritto da Catone –, alla fabbricazione di botti da trasporto ad opera delle popolazioni celtiche che disponevano anche della pece necessaria per rivestirne le pareti interne allo scopo di limitare le perdite del prodotto dovute a evaporazione (in età moderna i bottai utilizzano la paraffina, specialmente per i prodotti in legno di castagno ricchissimo di tannini). È necessario però giungere all’età del Medioevo per trovare qualche evoluzione nell’indirizzo “industriale” della tecnologia di produzione. I trattati di Arnaldo da Villanova (1235-1315) e di Pietro De’ Crescenzi (1233-1320), scrittore e agronomo italiano, offrono una vasta documentazione tecnica in merito. Parallelamente ai progressi della viticoltura, già a partire dal 1100
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352
Cantine tradizionali: Atzara, Ortueri, Jerzu. Queste vecchie cantine sono ancora oggi in uso. Ricavate spesso sotto il livello del piano stradale – onde tenere un buon controllo dell’oscurità, temperatura, umidità – presentano il pavimento in terra battuta e la copertura a travature e impalcato ligneo, più complessi in quella di Jerzu per le grandi dimensioni e lo sviluppo in altezza, fattore utile a consentire la sistemazione di una doppia fila di botti.
Il Cannonau è considerato “il vino dei sardi”, quello che più di ogni altro descrive e si identifica con il territorio, la cultura e le tradizioni della Sardegna. Nella tipologia Riserva invecchiato in botte, le sensazioni olfattive di confetture di frutta, prugna secca e ciliegie sotto spirito, si arricchiscono in ampiezza e complessità, con note evolute di spezie e tabacco.
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La Malvasia di Bosa è un vino di straordinaria ricchezza aromatica che invecchia per un periodo minimo di due anni in botti scolme. Il suo caldo e vellutato colore giallo oro anticipa le complesse ed eteree sensazioni olfattive di miele di acacia, frutta candita e mandorle tostate. L’evoluzione ossidativa sotto “flor” conferisce alla Vernaccia di Oristano una ricca gamma di aromi e profumi terziari di grande finezza e singolarità e un impatto gustativo secco e vellutato, sostenuto da un’ampia struttura alcolica e da un’interminabile quanto piacevole persistenza aromatica.
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Regione determinata da cui proviene il prodotto Indica la zona geografica da cui proviene il prodotto che può essere accompagnata dal nome del vitigno.
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e 0,750 LI Contiene solfiti Indica che il prodotto è stato trattato con allergeni quali anidride solforosa.
Volume nominale del vino Deve essere indicato in litri o centilitri o millilitri.
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Indicazione di lotto Numerazione che indica una serie di bottiglie appartenenti alla medesima partita, prodotte in circostanze praticamente identiche. È preceduto normalmente dalla lettera “L.”.
U A N O A N G CA NN E D R A S DI e Contien
Come leggere l’etichetta dei vini a Denominazione d’Origine L’etichetta applicata su una bottiglia può essere considerata come la carta d’identità del vino e pertanto deve riportare precise indicazioni e illustrazioni atte a far conoscere al consumatore la vera natura del prodotto cui la stessa si riferisce. Essa deve illustrare le reali caratteristiche del vino, informare sul ruolo che le persone o le ditte che figurano hanno avuto nella produzione e commercializzazione, porre il consumatore nella condizione di effettuare una scelta consapevole. L’etichetta quindi trasmette una serie di informazioni importanti che sono sottoposte ad una ferrea regolamentazione. Le informazioni devono essere chiare, complete e verificabili. La Comunità Europea, a tale proposito, ha emanato una serie di regole precise in modo da creare uniformità normativa a livello europeo. La normativa comunitaria riunisce i vini DOC e DOCG sotto la sigla DOP.
Menzioni specifiche tradizionali DOC e DOCG Tali espressioni significano che si tratta di un prodotto altamente qualificato, ottenuto nel rispetto di norme rigorose in grado di garantire una qualità elevata. Queste indicazioni possono essere accompagnate dalla sigla DOP, con la quale, a livello europeo, sono definiti i vini a Denominazione d’Origine.
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Indicazione della provenienza L’espressione “prodotto in” (o equivalenti come “vino di”, “prodotto di” ecc.) seguito dal nome dello Stato membro indica il territorio in cui le uve sono state vendemmiate e vinificate.
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Titolo alcolometrico effettivo La gradazione deve essere espressa con unità o mezze unità percentuali in volume.
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Indicazioni ecologiche Sui contenitori o sulle etichette dei prodotti immessi sul mercato deve figurare anche un invito a non disperdere i contenitori nell’ambiente dopo l’uso.
Specificazioni, menzioni, vitigni e annata di produzione VOL 14,5%
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La specificazione “classico” è riservata ai vini non spumanti DOCG o DOC della zona di origine più antica.
Indicazione dell’imbottigliatore, produttore, importatore o del venditore Le informazioni relative all’imbottigliatore presuppongono un soggetto che acquista i vini sul mercato e li imbottiglia. Il riferimento a un’azienda agricola (cascina, podere, fattoria ecc.) può essere utilizzato solo se le uve sono state coltivate e vinificate nell’azienda stessa.
La menzione “riserva” è attribuita ai vini DOC e DOCG che siano stati sottoposti ad un periodo di invecchiamento – compreso l’affinamento in bottiglia – non inferiore a: • due anni per i vini rossi; • un anno per i vini bianchi; • due anni per i vini spumanti ottenuti con metodo di fermentazione in autoclave; • tre anni per i vini spumanti ottenuti con rifermentazione naturale in bottiglia. La menzione “superiore” è attribuita ai vini DOC e DOCG aventi caratteristiche qualitative più elevate, derivanti da una regolamentazione più restrittiva che, rispetto alla tipologia non classificata con tale menzione, prevede: a) una resa per ettaro delle uve inferiore di almeno il 10%;
b) un titolo alcolometrico minimo naturale potenziale delle uve superiore di almeno 0,5% vol.; c) un titolo alcolometrico minimo totale dei vini al consumo superiore di almeno 0,5% vol. La menzione “novello” è attribuita alle categorie dei vini a DO e IG tranquilli e frizzanti, prodotti conformemente alla normativa nazionale e comunitaria vigente. Le menzioni “passito”, o “vino passito”, sono attribuite alle categorie dei vini a DOCG, DOC e IGT tranquilli, ottenuti dalla fermentazione di uve sottoposte ad appassimento naturale o in ambiente condizionato. La menzione “vino passito liquoroso” è riservata alla categoria dei vini a IGT, fatte salve le denominazioni preesistenti. La menzione “vigna” o i suoi sinonimi, seguita dal relativo toponimo o nome tradizionale, può essere utilizzata soltanto nella presentazione e designazione dei vini DOP ottenuti dalla superficie vitata che corrisponde al toponimo o nome tradizionale.
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