Maria Luisa Frongia
MORANDI N E L L A
C O L L E Z I O N E
I N G R A O
EPISTOLARIO MORANDI-INGRAO 1946-1964
GALLERIA COMUNALE D’ARTE
DI
CAGLIARI
Il presente volume raccoglie le opere di Giorgio Morandi della Collezione d’Arte Francesco Paolo Ingrao donata alla città di Cagliari il 28 luglio 1999 per volontà di Elisa Mulas.
Progetto scientifico e coordinamento editoriale
Anna Maria Montaldo Fotografia
Dessì & Monari Impianti colore e impaginazione
Ilisso edizioni Stampa
Industria Grafica Stampacolor, Sassari
© Comune di Cagliari ILISSO EDIZIONI - Nuoro, 2001 ISBN 88-87825-20-3 www.ilisso.it
Indice
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Profilo di Giorgio Morandi
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Morandi nella collezione Ingrao
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L’epistolario Morandi-Ingrao (1946-1964)
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Epistolario
Profilo di Giorgio Morandi
Non è facile tracciare un percorso dell’attività artistica di Giorgio Morandi che ambisca ad offrire un contributo di originalità, portando elementi biografici e di valutazione finora non posti nella luce dovuta, soprattutto dopo la monografia di Lamberto Vitali del 1964 e in particolare di quella di Francesco Arcangeli dello stesso anno e la catalogazione generale della sua opera: dipinti, incisioni, disegni, acquerelli. Seguiremo, quindi, nelle pagine successive, un breve percorso della vita e dell’attività dell’artista al fine di una migliore comprensione delle sue opere presenti nella collezione Ingrao. «Sono nato a Bologna nel 1890», scriveva Morandi in apertura delle dieci pagine autografe inviate a Giorgio Pini, direttore de L’Assalto, il quale gli aveva chiesto una nota biografica per la rivista, pubblicata il 18 febbraio del 1928. «Fin da ragazzo dimostrai grande passione per la pittura, passione che col crescer degli anni divenne sempre più forte, sì da farmi sentire il bisogno di dedicarmici interamente. Queste mie idee non erano però condivise da mio padre. Egli, dedito al commercio, avrebbe preferito che io avessi seguito le sue orme e non lasciò intentato nessun mezzo per piegarmi alla sua volontà; da buon padre, vedeva la via dell’arte incerta e difficile ed era preoccupato del mio avvenire. Ma visto che ogni tentativo per smuovermi dalla mia idea riusciva vano e molto pressato dalle insistenze di mia madre, egli finì col permettere che mi iscrivessi all’Accademia di Belle Arti di Bologna». Era il 1907. Dopo la morte del padre, avvenuta due anni più tardi, inizia il suo cammino artistico, il quale è stato scarsamente debitore degli insegnamenti accademici che «non ebbero altro effetto che di porre il mio spirito in uno stato di profondo disagio. Ben poco di ciò che ora serve alla mia arte vi appresi». Il 1909 segna le sue prime esperienze le quali si dimostreranno estremamente formative e gli indicheranno un percorso che lo accompagnerà per tutta la vita. È l’anno in cui prende coscienza del volume di Vittorio Pica, Gli impressionisti francesi, del 1908, con le otto riproduzioni, se pure in bianco e nero, di opere di Paul Cézanne, l’artista francese morto nel 1906 e onorato, nel successivo 1907, con una grande mostra al Salon d’Automne. Ma i contatti col mondo artistico francese apportano, ancora nel 1909, un altro elemento di notevole interesse: Morandi legge sulla rivista La Voce gli articoli di Ardengo Soffici, reduce da esperienze parigine, su L’impressionismo e la pittura italiana e visita l’VIII Biennale veneziana che, se gli aprirà la conoscenza delle recenti ricerche in ambito europeo, avrà su di lui un impatto modesto per la presenza di opere di artisti a lui non congeniali. Il periodo dell’identificazione dei suoi interessi progredisce. Nel successivo 1910 altre due ben precise esperienze sono da sottolineare: l’approfondimento della pittura francese in occasione della visita alla IX Biennale veneziana ove erano esposte opere di Renoir e di Courbet e la presa di contatto diretto, a Firenze, con Giotto e Masaccio sopra 7
Giorgio Morandi nella sua casa a Bologna (foto Mario De Biasi).
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tutti, nomi questi ultimi citati dallo stesso Morandi nell’Autobiografia: «Fra i pittori antichi … sono quelli che più mi interessano». Si giunge, così, al 1911 ed a quel Paesaggio, firmato e datato «6.911», nell’indagine e nella valutazione del quale si sono impegnati a fondo gli studiosi di Morandi, identificando in esso un momento di approdo significativo e, al tempo stesso, una maturità le cui fondamenta non lo abbandoneranno fino alle opere tarde; è l’anno in cui i futuristi, poco dopo la pubblicazione del loro Manifesto del 1909, col capovolgimento dei valori stratificati in accademie e biblioteche, il rifiuto delle precedenti esperienze pittoriche, con l’esaltazione della velocità, della provocazione, della violenza, erano in primo piano nella scena italiana e non in questa soltanto. Morandi segue da vicino il movimento anche negli anni successivi, ma non si lascia influenzare dalle iniziative di Marinetti, il pontefice del futurismo, e da Carrà e Boccioni; piuttosto guarda a Soffici, che pure si convertirà, anch’egli, l’anno successivo, alle nuove teorie, un artista che Morandi considera fondamentale per la sua formazione, come attesta anche nell’Autobiografia. Il Paesaggio del 1911 rivela che ormai egli ha fatto scelte ben definite: la scansione dello spazio, la sintesi dei volumi, l’uso di un cromatismo attenuato, portano indubbiamente, come tutti i critici hanno giustamente rilevato, verso Cézanne, citato dallo stesso Morandi nelle pagine autobiografiche: «Dei moderni ritengo Corot, Courbet, Fattori e Cézanne gli eredi più legittimi della gloriosa tradizione italiana». La campagna in primo piano, scura, rischiarata solo da alcuni colpi di colore tra il verde e il grigio, è tracciata da pennellate parallele, oblique, le quali trovano un contrappunto nella linea orizzontale che divide la terra dal cielo, un cielo i cui toni chiari d’azzurro vanno oscurandosi verso l’alto. Al centro pochi covoni, alberi accennati da rapidi tocchi di pennello, case rurali senza aperture verso la campagna, una delle quali, con la punta del tetto a due falde, rompe la linearità dell’orizzonte. Nessuna traccia di vita umana o dell’opera dell’uomo. La lezione cézanniana non solo ha fatto breccia, ma è ormai evidente: ne sono la prova alcuni paesaggi giovanili dell’artista francese nei quali comincia a comparire il profilo del monte Sainte-Victoire – soggetto da lui amato e ripetuto anche nel periodo della maturità – soprattutto quando il taglio e lo schema compositivo sono gli stessi utilizzati da Morandi, come nel Fossato con la montagna Sainte-Victoire del 1870. Gli anni fra il 1911 e il 1915 hanno avuto una diversa valutazione; così vi è stato chi ha insistito sulla radice cézanniana: per tutte le Bagnanti del 1915 con le quattro donne, figure allungate e sinteticamente concepite nel modellarsi dei loro corpi fra due alberi con le chiome ripiegate che sembrano chiuderle in un abbraccio. Accanto a loro il Paesaggio innevato del 1913, scandito da piani successivi i quali, con un’ampia campitura di un bianco sporco, giungono alla linea dell’orizzonte; il paesaggio è attraversato da un albero spoglio che rompe, ma al tempo stesso anima i piani, interrotto dalla solitaria casetta, chiusa verso l’esterno, unico segno di vita. Accanto a questa fonte, evidentemente cézanniana, vi è stato chi, in altre opere dello stesso periodo, ha identificato spunti di quel cubismo che trovava in Francia il suo punto di forza, ma soprattutto di un futurismo che vedeva in primo piano Boccioni, Carrà, Soffici, Severini. Qui il discorso si fa più complesso. Nel 1913 Morandi assiste alle serate futuriste a Modena, al Teatro Storchi, e a Firenze, al Teatro Verdi; nel 1914 espone frettolosamente assieme ad artisti suoi amici, a Bologna
Giorgio Morandi nella sua casa a Bologna (foto Mario De Biasi).
all’Hotel Baglioni; al tempo stesso chiede notizie di una mostra futurista da farsi a Roma presso la Galleria Sprovieri; la mostra si tiene sotto il titolo di “Prima Esposizione Libera Futurista” tra l’aprile e il maggio dello stesso 1914: Morandi vi partecipa. Tuttavia, nonostante questo interessamento e questa attenzione, è difficile identificare, se non sporadicamente, momenti di effettiva ed evidente adesione al movimento; non vi si trova traccia di dinamismo, di accelerazione, di capovolgimento di prospettive, di alterazioni di piani compositivi. Ne è una conferma quanto scrive lo stesso artista, sempre nella sua Autobiografia: «Fin dal tempo in cui ero iscritto ai corsi, ascoltai con entusiasmo ed interesse il verbo demolitore dei futuristi: troppo piatto ed ingombrante mi appariva l’indirizzo pittorico dell’Italia d’allora. Anch’io come tanti giovani di buona volontà, sentivo la necessità di un totale rinnovamento dell’atmosfera artistica italiana. Questa mia iniziale adesione non andò più oltre ad una partecipazione alla prima mostra dei “Giovani Futuristi” da Sprovieri a Roma. Mi ero accorto che ancor meno delle vecchie, le nuove idee estetiche rispondevano alle esigenze del mio spirito. Sentii che solo la comprensione di ciò che la pittura aveva prodotto di più vitale nei secoli passati avrebbe potuto essermi di guida a trovare la mia via». Il 1918 e il 1919 costituiscono il biennio di Morandi metafisico; nel primo di questi anni ha inizio la pubblicazione della rivista bolognese La Raccolta, fondata e diretta da Giuseppe Raimondi, alla quale collaborano intellettuali noti, come Bacchelli, Soffici, Ungaretti. I critici sono concordi nel ritenere che all’influenza di questa rivista è dovuto l’inizio del breve periodo metafisico morandiano; è grazie al suo editore, oramai divenuto amico, che egli vede, se pure riprodotte, le opere di Carrà e di De Chirico, quest’ultimo conosciuto personalmente nel successivo 1919, sempre per iniziativa di Raimondi, in occasione di un viaggio a Roma. Le opere pittoriche del 1918-19 sono state accuratamente esaminate per individuare gli elementi che caratterizzano il mondo morandiano rispetto, ad esempio, a quello di De Chirico e, più in generale, a quelli storicamente più attestati e accettati come metafisici. Per nessuno, si può dire, come per Morandi, è possibile riportarsi all’etimologia del termine, anche se originariamente nato con l’opera aristotelica: “i libri successivi a quelli di fisica”; non più, quindi, la rappresentazione del sensibile, del concreto, del vissuto di per sé, con una esistenza autonoma, ma il superamento di questa fase della conoscenza, un andare oltre, alla ricerca del mistero, dell’irreale, del nascosto, il tutto immerso in un silenzio angoscioso, in un’assenza di vita. Mentre, però, in De Chirico soprattutto, ma anche negli altri, il mondo dei manichini, delle piazze, dei porticati, è lasciato a se stesso e in se stesso trova la ragione di essere, di esistere autonomamente, in Morandi oggetti della realtà quotidiana in tanto hanno vita e della vita trovano la ragione, in quanto sono in stretta sintonia con l’artista che in essi cerca e trova se stesso, nei decenni successivi, e anche oltre, molto oltre. Le figure geometriche colte nella loro quotidianità, vasi, brocche, bottiglie, esistono quasi ad indicare che nella vita di tutti i giorni, nel maturare del pensiero è possibile, in loro, trovare se stessi, senza che tutto si esaurisca in un mondo di oggetti, di figure, di scorci urbani che nella loro autonomia troverebbero la giustificazione della loro stessa esistenza. Il momento iniziale della svolta morandiana viene comunemente posto verso la fine del 1920, quando al biennio metafisico, che qualcuno definisce “puro”, si sostituisce una visione degli oggetti meno rigorosa, 9
sembianze di tracce tremolanti riflesse nell’acqua. Il tutto ottenuto attraverso il mezzo tecnico della carta, usata nella parte più ruvida, la quale, con la sua granulosità, sembra ostacolare il percorso del segno e, di conseguenza, determinarne la sua incertezza. Il disegno a matita, datato 1951, ancora una Natura morta (TavoniPasquali n. 1951/9) [fig. 10], è tracciato su un foglio di carta Fabriano, questa volta liscia da entrambe le parti, staccato da un taccuino, foglio che mostra evidenti tracce di resine lungo il lato destro e accanto alla data. L’opera, appartenuta ad Ungaretti, fu acquistata da Ingrao in una galleria d’arte e di essa si parla in una lettera di Morandi al collezionista, già citata precedentemente: «Riguardo al disegno che lei ha acquistato da una galleria di Roma e che Le hanno detto provenire da Ungaretti: posso dirLe che io diedi ad Ungaretti uno o due di questi disegni. Se si tratta di uno di questi fu riprodotto in / Giuseppe Ungaretti / Un grido e paesaggi / Schwarz Editore / Questa pubblicazione è del 1952. Potrà consultarla alla Biblioteca Nazionale» (8-4-1962). In realtà, i disegni dati al poeta e riprodotti nella sua raccolta di poesie, sono quattro, tutte nature morte relative ad anni in successione, a partire dal 1948 (Tavoni-Pasquali nn. 1948/15, 1949/12, 1950/3, 1951/9). L’artista indaga alcune forme poste al limite di un tavolo tracciandone in maniera sommaria i sottili profili, tentando di risolvere attraverso gli interrogativi della linea una delle sue costruzioni tematiche che, in questo caso, non risulta trasposta in un dipinto. Gli ultimi tre disegni appartengono agli anni Sessanta e i primi due fanno parte di quel gruppo il quale mostra che negli anni tardi «l’esigenza della variante diviene sempre più forte come verifica di un motivo, esercizio instancabile che certo non si appaga dei risultati via via raggiunti», come scrive la Pasquali nell’Introduzione critica al Catalogo generale dei disegni. Il primo, una Natura morta (Tavoni-Pasquali n. 1960/29) [fig. 11], non datata, ma ascritta al 1960, è, infatti, uno studio di oggetti già indagati in altri disegni e in acquerelli, che troverà sbocco, spesse volte, in opere ad olio; così il nostro, come è già stato rilevato, mostra un impianto analogo a quello di un dipinto dello stesso anno (Vitali n. 1204). Morandi utilizza, questa volta, la parte ruvida del foglio, in modo che il segno della matita assuma, sulla carta granulosa, una valenza chiaroscurale, la quale sembra suggerire quelle che saranno le morbide soluzioni cromatiche e i sottili passaggi atmosferici del dipinto, oltre alla forma di quegli oggetti che «la morsura intellettuale del disegno», per utilizzare una pregnante espressione di Giulio Carlo Argan, «trasmuta in materia pittorica». Sul verso del foglio, in senso verticale, compare un disegno inedito per una Natura morta [fig. 12]: pur nella sommarietà dei tratti di matita, alcuni cancellati, è possibile rilevare il raffronto con il dipinto Natura morta, datato 1960 (Vitali n. 1204), il quale mostra lo studio degli oggetti, posti l’uno dietro l’altro, in stretta successione: già il progetto grafico suggerisce la loro proiezione in una forma tridimensionale, anche, e soprattutto, attraverso la visione del loro impianto da un punto di vista dall’alto. La Natura morta (Tavoni-Pasquali n. 1961/7) [fig. 13], non datata, ma ascritta al 1961, anche per le assonanze con un dipinto di analoga struttura dello stesso anno (Vitali n. 1235), si avvale di un tratteggio diagonale che riempie alcune forme con lo scuro della grafite. Il semplice espediente tecnico è utilizzato per predisporre l’uso di una 24
materia cromatica scura e densa, rispetto a quella chiara e alleggerita, evidenziata dal fondo bianco della carta contornato da pochi, leggeri tratti di matita. Il disegno, firmato e non datato, che rappresenta una Foglia, risulta inedito [fig. 14]; esso è stato eseguito su un foglio riutilizzato, dopo essere stato tagliato, nel cui verso appare una parte di Paesaggio, firmato e datato 1961. Può essere, quindi, ascritto allo stesso anno, in un periodo nel quale Morandi aveva ripreso in pieno il colloquio con la natura nelle campagne dell’amata Grizzana, dove era ritornato nel 1960, dopo lunghi anni di assenza, nella ritrovata serenità di una residenza stabile: la piccola dimora di proprietà, fatta costruire non lontano da Casa Veggetti. Questa Foglia, unica nell’amplissimo repertorio morandiano, mostra il suo amore per l’ambiente naturale e le sue vaste cognizioni di botanica, ricordate da un amico di Grizzana col quale l’artista faceva passeggiate in campagna, dove sostava ad osservare fiori e piante: «Guardi com’è bello!», soleva dire, aggiungendo: «Non c’è uomo che sappia farlo così! Guardi le forme di queste erbe!». Probabilmente Morandi l’aveva raccolta in uno di questi percorsi e l’aveva portata a casa per studiarla e provare a riprodurla. Il collezionista Luigi Magnani ricorda che l’artista, mostrandogli una pietra, gli aveva detto: «Anche questa potrà divenire un giorno oggetto dell’arte futura … non v’è gran differenza tra un bosco e il complesso delle nervature di una foglia, tra un sasso e una montagna». Nel foglio, utilizzato nella parte più liscia, egli traccia la forma con un tratto continuo, che parte dall’estremità del picciolo per risalire al margine riccamente frastagliato, insinuarsi nel suo interno per descriverne le nervature, le trame vascolari, riprendere i contorni ondulati, fino a concludere il percorso del segno con un altro segmento dell’esile sostegno. Il sapiente uso della matita ottiene effetti magistrali anche dal punto di vista chiaroscurale, soprattutto attraverso la delineazione di un contorno dato con un tratto spesso, ottenuto con la punta della matita morbida e temperata a taglio. Sul verso del foglio, nella parte più ruvida, appare una porzione di Paesaggio [fig. 15], in parte sacrificata dal taglio a metà della carta, firmato e datato 1961, come abbiamo già detto. Il disegno mostra lo studio di una casa, dalla struttura quadrata, sommariamente delineata da un tratto sottile, quasi incerto, che riecheggia forme infantili nella sua semplificazione e in quella finestra che si apre, come un occhio, riprendendo la forma geometrica della costruzione. Il disegno è facilmente rapportabile al folto gruppo di quelli eseguiti in questo stesso anno, alcuni dei quali conservati al Morat Institut di Friburgo, nella Fondazione che possiede una collezione di oltre centocinquanta opere di Morandi, costituita per un terzo da disegni. L’acquaforte su zinco della collezione Ingrao Fiori di campo (Cordaro 1930/1) [fig. 16], datata 1930, è stata eseguita nel periodo maturo e più intenso dell’attività grafica di Morandi: in quest’anno, infatti, egli incide 13 lastre. La prima tiratura è stata eseguita per mano dell’artista a Bologna ed alcuni esemplari erano stati destinati ad amici, tra i quali Mino Maccari e Lamberto Vitali; uno invece alla XIX Biennale di Venezia del 1934, dove era stato esposto. La successiva tiratura, di 14 esemplari, è del 1948, come appare da una lettera dell’artista, del 15 novembre di quest’anno, a Carlo Alberto Petrucci della Calcografia Nazionale di Roma, nella quale gli comunica di avere inviato tre lastre, tra le quali 25
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2. NATURA MORTA, 1943 olio su tela, cm 30 x 45.
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3. NATURA MORTA, 1954 olio su tela, cm 25,9 x 30,5.
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8. NATURA MORTA, 1948 matita su carta, cm 22,4 x 33.
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9. NATURA MORTA, 1948 matita su carta, cm 21,7 x 29,9.
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16. FIORI DI CAMPO, 1930 acquaforte, cm 24,5 x 20,3 su 48,5 x 32,8.
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L’epistolario Morandi-Ingrao (1946-1964)
Il carteggio epistolare inedito fra Giorgio Morandi e il collezionista Francesco Paolo Ingrao, donato da quest’ultimo nel 1999 per lascito testamentario alla Galleria Comunale d’Arte di Cagliari, è costituito da 241 lettere, 9 cartoline, 5 biglietti, 1 telegramma e abbraccia un lungo arco cronologico che parte dal 25 settembre 1946 e si conclude il 20 marzo 1964, tre mesi prima della morte del pittore: 18 anni del secolo Ventesimo, ma soprattutto un quarto della vita di uno dei più importanti artisti italiani. Questi sono i dati formali, ricavati da una ricognizione fredda e obiettiva che prescinde da ogni sensazione emotiva emersa durante le fasi del lavoro. Eppure è fondamentale sapere quanto sospeso turbamento può accompagnare l’apertura di un plico sigillato contenente quattro raccoglitori, divisi per anni, nei quali, meticolosamente, erano stati catalogati fogli e buste vergati da una calligrafia ordinata e cadenzata entro i limiti della pagina con sequenze regolate sempre dagli stessi ritmi: le andate a capo, la punteggiatura, le maiuscole imposte dal rispetto doveroso verso un interlocutore di riguardo – anche se, col tempo, Ingrao assunse le vesti soprattutto di un amico devoto – la chiusura del foglio con la firma inconfondibile Giorgio Morandi, preceduta da un affezionatissimo che si era presto sostituito al più formale devotissimo. Un’esperienza irripetibile che suscita un lungo, interminabile attimo di sensazioni contraddittorie, divise fra l’esitazione davanti a pagine e pagine scritte, delle quali la segretezza postale aveva decretato l’inviolabilità da parte di estranei, e la decisa volontà di penetrare in esse per tentare di scoprire qualcosa di non conosciuto riguardo a quell’artista “segreto”, schivo, che non aveva mai voluto interamente raccontarsi, lasciando solo il lungo e spesso indecifrabile messaggio costituito dalle sue opere, per lo più indicate da due unici titoli: Natura morta e Paesaggio. D’altronde, era nota la posizione di Morandi di fronte all’ipotesi di un’eventuale pubblicazione di sue missive, perché fin dal lontano 15 aprile 1929, così scriveva all’artista marchigiano Luigi Bartolini: «Le dico francamente che non sono del parere di pubblicare le nostre lettere perché non ne vedo la ragione; sono cose che non interessano che noi due».1 È immediata la percezione dell’importanza di un carteggio così ricco e denso, non solo relativamente alla sua attività artistica, ma anche ai risvolti umani e di vita vissuta. L’epistolario è caratterizzato da una frequenza negli anni, senza soluzione di continuità, elemento inedito finora anche per Morandi, del quale è stata pubblicata una fitta corrispondenza: gli esempi più noti, per ampiezza e durata nel tempo, sono costituiti dalle circa settanta lettere inviate allo storico dell’arte Cesare Brandi dal 1938 al 1963,2 dal nucleo di poco più di ottanta scritte al letterato ed artista Ardengo Soffici tra il 1923 e il 1962,3 e dalle settantadue indirizzate, tra il 1939 e il 1964, al noto storico dell’arte toscano Alessandro Parronchi delle quali ha curato la pubblicazione lo stesso destinatario.4 43
IV. NATURA MORTA, 1949 olio su tela, cm 36 x 50 Bologna, Museo Morandi (Vitali n. 670; Pasquali n. 35).
V. NATURA MORTA, 1950 olio su tela, cm 42,5 x 47 Bologna, Museo Morandi (Vitali n. 733; Pasquali n. 40).
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medesima lattina proietta ancora una volta la sua ombra. Ormai comincia a rivelarsi «la profonda coerenza della raccolta», come giustamente rileva la Pasquali,9 evidentemente ricercata da Morandi, secondo un equilibrio di ritmi da lui volutamente studiato, equilibrio che connota tutta la collezione Ingrao e che egli, forse, sperava potesse sempre mantenere la sua unitarietà organica. Questa speranza non fu mai delusa dall’amico il quale, finché conservò le opere nella sua dimora, prima di cederle al costituendo Museo Morandi di Bologna, non volle mai sostituire o alienare un dipinto datogli dall’artista, conscio com’era di rompere «un’armonia creata e voluta da Morandi stesso».10 Per la prima volta la consuetudine di assegnare un quadro all’anno al collezionista romano, quasi sempre mantenuta anche negli anni seguenti, viene rotta con la consegna di un altro dipinto nel 1949, a sei mesi di distanza dall’altro, nonostante gli impegni legati ai sempre numerosi incarichi gestiti dall’artista tra Bologna e Roma; a questi si erano aggiunti quelli derivati dal rinnovo della nomina a componente la Commissione per le Arti Figurative della XXV Biennale di Venezia del 1950 (20-9-1949), impegni che egli è sempre più deciso a diradare, perché «logorano la mia salute e mi tolgono la tranquillità che è indispensabile al mio lavoro» (22-10-1949). Tale devota sollecitudine è legata alla riconoscenza che sente di dovere ad Ingrao, il quale è riuscito ad ottenere il trasferimento a Bologna della più giovane delle sorelle, Maria Teresa, insegnante nella lontana Africa, dopo averne seguito fin dall’inizio il lungo iter burocratico, sobbarcandosi anche gli impegni pratici, a partire dalla consegna della domanda negli uffici competenti della Capitale, come è dimostrato da numerose lettere, lunghe e dettagliate (6-4-1949; 22-7-1949; 11, 31-8-1949; 1-9-1949; 3, 4, 15, 22-10-1949; 7-111949). Il legame col collezionista, che Morandi considera «l’unica persona alla quale potevo rivolgermi … conoscendo la Sua gentilezza e l’amicizia che mi ha sempre dimostrato», viene dunque rafforzato dalla disponibilità manifestata da Ingrao nei confronti di tutta la famiglia. Maria Teresa, assieme alle altre due sorelle, Anna e Dina, costituisce il riferimento più importante della vita affettiva dell’artista, fin dalla giovinezza, quando egli assume il ruolo di capofamiglia, dopo la morte prematura del padre: «Rimasi a diciotto anni con mia mamma e tre sorelline minori di me», scriveva nel 1928 nella Autobiografia.11 La madre di Morandi, Maria Maccaferri, muore l’8 luglio del 1950, ma stranamente non risulta la comunicazione della notizia da parte dell’artista ad Ingrao, mentre viene inviata a Brandi e a Luigi Magnani, altro amico e collezionista.12 In dicembre la piccola opera è pronta (7-11-1949; 14-121949) e sarà lo stesso Morandi a portarla a Roma nel gennaio del 1950, essendo venuto a conoscenza di un’indisposizione dell’amico (22-121949; 6, 14-1-1950). Si tratta ancora di una Natura morta da datare, pertanto, alla fine del 1949 (Vitali n. 670; Pasquali n. 35) [fig. IV], sempre con quattro oggetti, tra i quali spicca una bianca teiera bordata da un tremulo contorno azzurro. E sui grigi-azzurri è giocato tutto l’insieme che si avvale di una pennellata più esausta rispetto all’opera precedente, pur ribadendo con essa una continuità cromatica ideale attraverso il piccolo contenitore che si accende di giallo. A questo punto si deve collocare, solo per rigore filologico, una Natura morta del 1950 (Vitali n. 733; Pasquali n. 40) [fig. V], acquistata da Ingrao, in data a noi sconosciuta, non direttamente nello studio di Morandi, ma presso la Galleria Il Milione di Milano, opera venduta con le altre al Museo Morandi. Nell’epistolario l’artista parla anche di
questo dipinto, ma solo nel 1957, in occasione di un progetto espositivo per la Tate Gallery di Londra, che non ebbe seguito, come si vedrà più avanti (10-7-1957). In quell’anno l’olio era, evidentemente, già in possesso del collezionista, che, molto probabilmente, Morandi stesso aveva messo in contatto con Gino Ghiringhelli, proprietario della galleria milanese, al quale lo legava una lunga amicizia e che considerava il principale punto di riferimento per la vendita delle sue opere. È facile supporre che la scelta del dipinto sia stata sottoposta al parere di Morandi, non solo per i rapporti che ormai intercorrevano fra artista e collezionista, ma anche perché l’opera costituisce un ulteriore tassello nella omogenea e coerente raccolta dovuta all’abile regia del Maestro, soprattutto per la posizione che essa occupa nella sequenza cronologica, collocandosi dopo le due nature morte del 1949 e in uno stretto dialogo con esse. L’ideale continuità è sottolineata soprattutto dai rapporti cromatici sui toni bassi, che la luce intride e, al tempo stesso, smorza, per accendere solo il calore del giallo: il dipinto rafforza, pertanto, la straordinaria armonia della sequenza. Intanto Ingrao, da collezionista attento e conoscitore dell’opera morandiana, desidera che la sua raccolta sia arricchita da un «dipinto di fiori» ed esplicita la sua aspettativa al Maestro il quale, fin dal 4 marzo del 1950, gli promette che farà il possibile per non farlo attendere troppo. Dopo dieci giorni e dopo una visita a Roma dove Ingrao lo circonda di premure, donandogli persino un moderno «apparecchio per affilare le lame», facendo la felicità di Morandi, questi lo rassicura: «Penso ai Suoi fiori che spero di poterLe consegnare al più tardi fra un paio di mesi» (15-3-1950). La sottolineatura, di pugno dell’artista, è indicativa del fatto che il progetto sta già prendendo forma nella sua mente, forse anche attraverso la predisposizione di piccoli vasi e, perché no, di quei fiori secchi o di seta conservati nella sua dimora e oggi esposti al Museo bolognese. Ma l’artista aspetta la fioritura delle rose che «non dovrebbero tardare molto con questa stagione» (23-3-1950), rivelando un amore straordinario e quasi inaspettato nei confronti di quella natura che non è fatta solo di cose inanimate e polverose, ma anche di teneri germogli curati con amore nell’angusto giardino di via Fondazza. Di questi attenderà la maturazione finché diverranno morbide corolle dai petali carnosi, recise nel momento della piena fioritura, quando i colori si fanno più soffusi e i rosa assumono i più svariati passaggi tonali, in una sinfonia cromatica piena di una forza vitale che è la stessa che invade la sensibilità di chi si appresta a dipingerle in una tiepida primavera. A maggio il dipinto destinato ad Ingrao è pronto, come gli scrive lo stesso Morandi il 9, giorno successivo al suo rientro da Lugano. L’affettuosa confidenza che lo lega all’amico arricchisce l’epistolario di dati precisi su avvenimenti importanti della vita del Maestro bolognese, quale questo suo primo viaggio all’estero – finora collocato genericamente agli inizi degli anni Cinquanta – in occasione della Mostra Internazionale di Bianco e Nero, in atto a Villa Ciani, dove era stato premiato per le acquaforti esposte, viaggio che gli diede anche l’opportunità, secondo quanto attestano i biografi, di visitare la collezione ThissenBornemisza a Villa Favorita. Sempre nella stessa lettera, Morandi offre al collezionista un’opportunità mai concessa prima e che rimarrà anche unica: quella della scelta, perché l’artista confessa che, in realtà, ha preparato anche un altro olio, appena ultimato e col colore non ancora completamente asciugato, per cui bisognerà aspettare almeno una settimana. Davanti alla proposta – «Lei potrà scegliere quello che preferisce» 49
XI. NATURA MORTA, 1953 olio su tela, cm 25 x 40 Bologna, Museo Morandi (Vitali n. 984; Pasquali n. 47).
XII. CORTILE DI VIA FONDAZZA, 1953 olio su tela, cm 56 x 56 Bologna, Museo Morandi (Vitali n. 925; Pasquali n. 45).
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se l’artista pensa di poterla mostrare al collezionista già a metà mese, in occasione di una sua visita a Bologna (4-4-1953). A questo punto si apre un problema relativo alla catalogazione ufficiale, non essendo assegnata al 1953 alcuna opera della collezione Ingrao; al 1956 vengono riferite, invece, tre opere, laddove l’epistolario ne indica soltanto una; la stessa situazione si ripresenta per il 1957 con l’evidente necessità di ricollocare due opere, ascritte al 1956, e altre due, ascritte al 1957. Le nuove datazioni che verranno proposte trovano la loro giustificazione nel fatto che nel Catalogo Generale del Museo Morandi, il quale mantiene la successione cronologica della catalogazione Vitali, per quattro anni, 1953, 1955, 1959, 1962, non vengono indicate opere acquisite dal collezionista romano e questo in contrasto con quanto risulta dall’epistolario. Il dipinto del quale si parla nelle lettere del 1953 sopra citate, eseguito nei primi mesi di quell’anno, potrebbe essere individuato nella Natura morta che Vitali, già mostrando qualche esitazione, data «1956 circa» e colloca in «un gruppo di tre opere che riprendono un motivo già indagato alcune volte nel 1953-56» (Vitali n. 984; Pasquali n. 47) [fig. XI]: per essere più precisi, due volte nel 1953 e tre nel 1954. Esso dovrebbe, pertanto, essere inserito accanto ai due dipinti del 1953 e questa anticipazione può trovare una sua giustificazione anche in alcuni elementi tecnici e formali che più lo avvicinano alla Natura morta, datata sul retro, che apre la serie (Vitali n. 886): l’accentuazione del taglio rettangolare della composizione e la quasi identica messa in prospettiva del vasetto in primo piano. A questo punto si potrebbe proporre di retrodatare al 1953 anche gli altri due oli che lo stesso Vitali colloca nel 1956 circa, sempre in forma di ipotesi, a denotare i suoi stessi dubbi: in questo modo si restringerebbe a soli due anni consecutivi l’esecuzione del gruppo di varianti della stessa natura morta. Nel 1953 si può ritenere concluso anche il tormentato iter del paesaggio, nonostante l’ipotesi sia legata a deduzioni che si riferiscono ad una lettera alquanto enigmatica. Morandi, infatti, scrive ad Ingrao il 29 aprile di quell’anno: «Farò il possibile per farLe anch’io una sorpresa che, spero, Le sarà gradita» (29-4-1953). A quale sorpresa poteva riferirsi se non ad un dipinto tanto atteso e ormai insperato? A conforto di questa ipotesi possono essere indicati due fattori di estrema importanza: d’ora in avanti l’epistolario non farà più riferimento ad un dipinto con questo tema e nella collezione Ingrao è presente un Cortile di via Fondazza, il primo di nove paesaggi con lo stesso soggetto, riferiti al 1954 (Vitali n. 925; Pasquali n. 45) [fig. XII]. La datazione del dipinto in oggetto dovrebbe essere quindi anticipata al 1953, anche perché nel 1954, come si evince dall’epistolario, Morandi non consegnò alcuna opera ad Ingrao. Di forma quadrata, è l’olio tra i più grandi della serie, ma soprattutto quello di più ampio respiro, il quale si connota per una visione aperta, solare, vibrante di vita, non solo per quel refolo di materia pittorica che scompiglia le chiome degli alberi in primo piano, ma anche per quell’agglomerato di case, sui muri delle quali si aprono gli occhi di tante finestre, dietro cui si indovina la vita quotidiana di un’umanità serena. L’occhio di Morandi ha travalicato i limiti dello spazio angusto del cortile intravisto dalla finestra della sua stanza: nessun muro, come negli altri paesaggi della serie, si erge imponente a dimezzare la già limitata visione di un brano di ambiente naturale. Una vera e propria “sorpresa” per lo stesso Morandi che si era tanto torturato in quegli anni davanti alla tela dipingendo e poi cancellando quello che doveva essere il Paesaggio per uno dei suoi più affezionati
XIII. NATURA MORTA, 1955 olio su tela, cm 25 x 40 Bologna, Museo Morandi (Vitali n. 1056; Pasquali n. 54).
collezionisti. Forse soltanto nelle opere eseguite nel 1961, nella pace ritrovata a Grizzana, riscontriamo un analogo senso della natura, foriero di serenità gioiosa (Vitali nn. 1250-1251; Pasquali n. 61). Nel 1954 la corrispondenza continua con l’intensità di sempre, ma la promessa di un dipinto, fatta in alcune lettere (2, 16-4-1954; 2-101954; 28-11-1954), non può essere mantenuta da Morandi: gli innumerevoli impegni legati all’insegnamento, alle riunioni dell’Accademia di San Luca a Roma e, soprattutto, alla grande mostra personale che si tiene in Olanda, al Gemeentemuseum de L’Aja, da aprile a giugno, gli impediscono la consegna annuale di un’opera ad Ingrao. In novembre, dopo una lunga influenza che lo ha costretto a letto per quindici giorni, Morandi rimanda all’anno seguente l’assegnazione di una nuova tela (12-11-1954). Il dipinto che Morandi sperava di poter consegnare per i primi mesi del 1955, in realtà sarà pronto solo ad ottobre, perché ancora innumerevoli incombenze lo portano a Firenze, Roma e Venezia, lontano dalla tanto desiderata pace di Bologna, necessaria per il suo lavoro, alle quali si deve aggiungere l’impegno della partecipazione all’VIII Quadriennale di Roma, inauguratasi nel novembre del 1955, dove l’artista invia 6 opere eseguite dal 1911 al 1928. Il 25 ottobre egli comunica al collezionista che può ritirare il suo dipinto, augurandosi «che sia di Sua soddisfazione». Nella riga seguente della lettera il tono si fa perentorio: «Le raccomando vivamente di non inviarmi e di non portarmi del denaro. Questa volta dico sul serio. Se non mi accontenta mi costringerà a non darLe più nessun mio dipinto. E Le assicuro, manterrò la parola», per addolcirsi immediatamente dopo quando aggiunge: «Io desidero, in qualche modo di ricambiare le tante gentilezze che mi usa» (25-101955). Pochi giorni dopo ribadisce il suo «diritto di farLe un piccolo dono», aggiungendo, questa volta, con l’assicurazione di mantenere l’impegno, che non avrebbe accettato «più nulla» da lui e un deciso: «Dunque non mi faccia arrabiare [sic]» (29-10-1955). Anche queste poche righe aprono qualche spiraglio sulla personalità dell’artista, caratterizzata da un temperamento forte e imperioso, mitigato da un controllo continuo che gli impongono il carattere riservato e la sua educazione. Dal tono delle lettere seguenti sembra che l’artista abbia ottenuto che il suo dipinto venga considerato un dono e il 4 novembre lo consegnerà ad Ingrao, il quale ha promesso di ritirarlo personalmente a Bologna (29-10-1955). Come è accaduto per il 1953, secondo quanto già detto, ancora una volta la catalogazione ufficiale non indica alcuna opera della collezione Ingrao nel 1955, ma questa volta essa è facilmente individuabile: è stato, infatti, messo in evidenza di recente che la Natura morta, abitualmente datata 1957 (Vitali n. 1056; Pasquali n. 54) [fig. XIII], compare in una fotografia dello studio di Morandi, scattata da Lamberto Vitali nell’agosto 1955, appesa sulla parete, in alto a destra.17 Intanto Morandi, fin dall’inizio del 1956, si vincola con la promessa di una nuova opera (28-1-1956), anche se la consegna potrà avvenire solo in ottobre (20-9-1956). Dalle lettere emergono alcuni dati importanti relativi al metodo di lavoro dell’artista, sempre attento e meditato, ed ai rapporti con Ingrao, di stima tanto profonda da fargli vedere il quadro a lui destinato molti mesi prima che fosse definitivamente portato a termine. Il 21 luglio l’artista scrive, infatti, al collezionista: «Non dubiti che il quadro che Le mostrai sarà per Lei. Questo autunno glielo consegnerò. Desidero tenerlo ancora presso di me perché se necessario, portarlo a termine. Non so se resterà come Lei lo vide » (21-7-1956). 55
Lettera in foglio grande, scritto in un’unica facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor Domenico [sic] Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “1.1.48”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Due timbri di Roma (Distribuzione) “2.I.1948” e (Nomentano) “3.I.1948”.
Bologna 22 febbraio 1948. Caro Dottore. Ho ricevuto il cesto colle bellissime arance che tanto gentilmente mi ha fatto spedire. Sono davvero ottime e La ringrazio infinitamente anche a nome delle mie sorelle. La prego di porgere i miei ossequi alla Sua gentile Signora. Di nuovo La ringrazio e La saluto cordialmente Suo affmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Acquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “22.II.1948”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Timbro di Roma “23.II.1948”.
Bologna 27 febbraio 1948. Caro Dottore, Credo di farLe cosa grata chiedendoLe l’autorizzazione ad esporre alla prossima Quadriennale la piccola natura morta di Sua proprietà. Se non erro Lei stesso ne espresse il desiderio. Se questo non Le fa piacere La prego di dirmelo liberamente. In caso affermativo La prego di comunicarlo al Prof. Coccia della Quadriennale. Grazie, scusi ed i più cordiali saluti. Suo affmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Espresso con timbro di Bologna “27.2.48”. Sul retro: Giorgio Morandi illeggibile (busta strappata). Timbro di Roma “28.2.48”.
Bologna 7 marzo 1948. Gentilissimo Dottore. La ringrazio di aver prestato il mio dipinto di Sua proprietà alla Quadriennale. Ho ricevuto il pacco di pasta che tanto gentilmente mi ha inviato. Oggi l’abbiamo provata e davvero è ottima. La ringrazio infinitamente anche a nome delle mie sorelle. È [sic] pure La ringrazio di ciò che mi dice dell’olio. Anch’io non saprei come farlo trasportare. I corrieri crede che non lo accettino? 66
Spero di vederLa presto a Bologna come mi dice. Di nuovo grazie. La prego di porgere i più distinti saluti alla Sua Gentile Signora. I più cordiali saluti Suo Devmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “8.III.1948”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Due timbri di Roma (Arrivi e Distribuzione e Nomentano) “9.III.1948”.
Bologna 27 marzo 1948. Caro Dottore. Grazie infinite degli auguri che ricambio di cuore a Lei ed alla Sua Gentile Signora. Ho ricevuto il pacco colla farina e collo zucchero. Mi dispiace si Sia disturbato tanto e non so come ringraziarLa. Le mie sorelle pure mi incaricano di ringraziarLa e di salutarLa. Con piacere La rivedrò il prossimo aprile. A Lei ed alla Sua Gentile Signora i più distinti saluti Suo Devmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “29.III.1948”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Due timbri di Roma (Arrivi e Distribuzione) “30.III.1948” e (Nomentano) “31.III.1948”.
Bologna 10 aprile 1948. Caro Dottore. Mi scusi se ho tardato a scriverLe ma tanti impegni e noie me lo hanno impedito. Mi è assai dispiaciuto di essere assente quando venne a Bologna. Mi avrebbe fatto assai piacere vederLa. E non so come ringraziarLa dell’olio che ci ha portato e mi dispiace del disturbo che ha avuto nel portarlo. Spero mi sia possibile ricambiare tanta gentilezza. Le mie sorelle mi incaricano di SalutarLa. La prego di porgere i miei ossequi alla Sua Gentile Signora. Di nuovo grazie. I più cordiali saluti Suo Devmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “10.IV.1948”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Timbro di Roma “11.IV.1948”.
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Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “23.5.49”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Timbro di Roma “24.V.1949”.
Bologna 22 luglio 1949. Carissimo Dottore. Mi scusi se La disturbo. Come ricorderà, mia sorella Maria Teresa presentò domanda per ottenere il trasferimento nelle scuole del Comune di Bologna. Dato però che per varie ragioni sarebbe stato quasi impossibile ottenerlo non mi rivolsi a Lei per avere la raccomandazione che tanto gentilmente si era offerto di fare. A quanto mi è stato assicurato, il Ministero accorderà ai maestri, come per il passato, dei comandi in altra sede per il periodo di un anno, e mia sorella desidererebbe ottenere di essere comandata, per il prossimo anno scolastico, nel Comune di Bologna. Dato poi che le condizioni di salute di mia sorella sono assai precarie (lo scorso anno fu malata e dovette assentarsi dalla scuola per oltre tre mesi) mi sarebbe gradito potesse essere sistemata o in un ufficio, o in un ambulatorio scolastico od in una classe differenziale ove non avrebbe un lavoro eccessivamente faticoso. Simili incarichi furono affidati negli scorsi anni ad altre maestre. Mi assicurano che sarebbe facile ottenere tale comando se dal Ministero giungesse una pressante segnalazione al locale Provveditore agli Studi Prof. Michele Clausi Schettini. Dato che la cosa mi sta molto a cuore, mi rivolgo a Lei nella certezza che farà quanto le sarà possibile perché mia sorella venga accontentata. Non si sa ancora quando uscirà l’ordinanza Ministeriale riguardante i comandi, ma mi dicono che sarebbe bene occuparsi al più presto della cosa. Sono dispiacente di doverLe arrecare tanto disturbo e non so come esprimerLe la mia riconoscenza. La ringrazio vivamente anche a nome dei miei. Grazie delle cartoline che mi ha inviato. Nel timore della Sua assenza da Roma Le mando questa mia a mezzo raccomandata. La prego di porgere i miei ossequi alla Sua gentile Signora e La saluto cordialmente Suo affmo Giorgio Morandi P.S. Le accludo un pro memoria. Lettera in foglio grande, scritto in entrambe le facciate. Busta indirizzata a: Ill.mo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Raccomandata con timbro di Bologna “25.7.49”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Timbro di Roma “26.7.49”.
Due mie sorelle sono ora in montagna e io e l’altra andremo a passare le vacanze il prossimo settembre. Quasi certamente sarò assente dal primo al dieci. Qui abbiamo avuto un caldo tremendo oggi però si sta meglio e questa sera piove. I miei La salutano e La ringraziano[.] La prego di porgere alla Sua Gentile Signora i miei ossequi. Di nuovo La ringrazio e La saluto cordialmente. Suo affmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “13.8.49”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Timbro di Roma “13.VIII.1949”.
Bologna 31 agosto 1949. Carissimo Dottore. Mi è tanto dispiaciuto che non mi abbia trovato in casa l’altro giorno e vivamente La prego, se Le sarà possibile, di avvertirmi quando avrà occasione di ripassare di qui. Non so come ringraziarLa di quanto farà perché a mia sorella Maria Teresa venga assegnato un comando a Bologna. Io, come Lei sa, sono poco adatto ad occuparmi di queste cose e senza il Suo aiuto non saprei come regolarmi per farglielo ottenere. Mia sorella presenterà la domanda al Provveditore entro l’otto settembre. La ringrazio anche delle Sue istruzioni per il soggiorno in Austria ma per questo anno non mi sarà possibile profittarne perché, da tempo, avevamo gia [sic] fissato la pensione. Domani, appunto, io ed una mia sorella partiremo per Levico. Faremo ritorno in città l’undici del prossimo mese. Di nuovo La ringrazio anche da parte di mia sorella di tutto il Suo interessamento. Stia certo che non dimenticherò il grande favore che mi fa. Porgo a Lei ed alla Sua gentile Signora i più distinti saluti anche da parte delle mie sorelle. Cordialmente Suo affmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima e terza facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12. / Roma. Timbro di Bologna “1.IX.1949”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Timbro di Roma “2.IX.1949”.
Bologna 1 settembre 1949 Bologna 11 agosto 1949 Carissimo Dottore. Grazie infinite della Sua lettera e di essersi occupato con tanta sollecitudine di mia sorella. E di nuovo mi scusi del disturbo che Le arreco. 72
Carissimo Dottore. Proprio prima di partire ho ricevuto la Sua gentile lettera. La ringrazio infinitamente e Le assicuro che la domanda sarà presentata entro domani. Di nuovo grazie infinite. I più cordiali saluti Suo affmo Giorgio Morandi
Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “1.IX.1949”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 / Bologna. Timbro di Roma “2.IX.1949”.
Bologna 20 settembre [1949] Carissimo Dottore. Innanzi tutto La prego di scusarmi del ritardo nello scriverLe. Appena tornato da Levico ho dovuto partire per Venezia e soltanto ieri ho fatto ritorno a Bologna. La ringrazio di nuovo di essersi occupata di mia sorella Maria Teresa e del magnifico prosciutto che ci ha portato. Mi dispiace che di nuovo si sia tanto disturbata. Non so come potrò ricambiarLa delle tante attenzioni che mi usa. Le mie sorelle La ringraziano e porgono a Lei ed alla Sua gentile Signora i più distinti ossequi. Di nuovo grazie. I più cordiali saluti Suo affmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna “22.IX.1949”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Senza timbro di Roma.
3 ottobre 1949. Carissimo Dottore. Ancora non si sa nulla riguardo a mia sorella. Questa mattina ha ricevuto la Sua lettera. Ha fatto benissimo a presentare la domanda di cui mi parla. La ringrazio infinitamente, anche a nome dei miei. I più cordiali saluti Suo affmo Giorgio Morandi Appena sapremo qualche cosa al riguardo l’avvertirò. Lettera in foglio grande, scritto in un’unica facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Espresso con timbro di Bologna “3.10.49”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Timbro di Roma “4.10.49”.
Bologna 4 ottobre 1949. Carissimo Dottore. Credo opportuno informarLa che questa mattina sono stati esposti in Provveditorato gli elenchi dei comandi e delle assegnazioni provvisorie, ma il nome di mia sorella non vi figura. In via riservata abbiamo saputo che il Provveditore non ha potuto soddisfare il desiderio di mia so-
rella perché la commissione ha dato la preferenza a maestre coniugate; egli però tiene ancora a disposizione alcuni posti e, se verrà fatta pressione da parte del Ministero, uno di essi potrebbe essere assegnato a mia sorella. Mi dispiace di darLe tante seccature e La prego di scusarmi. La ringrazio ancora di quanto ha fatto e tengo a dirLe che il comando presso l’ufficio pensioni soddisferebbe pienamente mia sorella. Porgo alla Sua gentile Signora i più distinti ossequi. La ringrazio di nuovo e La saluto cordialmente Suo affmo Giorgio Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima e terza facciata. Busta indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Espresso con timbro di Bologna “4.10.49”. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Timbro di Roma “5.10.49”.
Solo busta Raccomandata Espresso indirizzata a: Illmo Signor / Dottor Francesco Ingrao / Via Aquile[i]a, 12 / Roma. Timbro di Bologna 15.10.49. Sul retro: Giorgio Morandi – Fondazza 36 – Bologna. Due timbri di Roma (Raccomandate Espressi) “16.10.49” e (Raccomandate Arr. Distr. Nomentano) “17.10.49”. [Conteneva probabilmente una domanda della sorella di M. avviata da Ingrao all’ufficio competente].
Bologna 15 ottobre 1949. Carissimo Dottore. Questa mattina mi è stato comunicato da un Ispettore che il Provveditore gli ha detto che il desiderio di mia sorella sarà soddisfatto e le sarà assegnato per questo anno un incarico in Provveditorato. Mi avvertono che mia sorella dovrà attendere, naturalmente, la comunicazione ufficiale. Non ho parole per ringraziarLa di tutto quanto Lei ha fatto per noi in questa occasione. Sono certo che senza il Suo aiuto non saremmo riusciti. Spero di poterLa ricambiare. Grazie di nuovo. I più cordiali saluti. Suo affmo Morandi Lettera in foglio piegato doppio, scritto nella prima facciata. Senza busta.
22 ottobre [1949]. Carissimo Dottore. Mia sorella è gia [sic] stata chiamata ed ha già preso regolare servizio. Noi tutti La ringraziamo di quanto ha fatto in questa occasione per noi e farò quanto posso per ricambiarLa. Io lunedi [sic] 24 corr[.] sarò a Roma[.] Dovrò trovarmi alle 16 al Ministero per una adunanza. Il giorno dopo altre 73
Bibliografia
La bibliografia su Giorgio Morandi è amplissima. Una sistemazione esaustiva è nella prima edizione del Catalogo del Museo Morandi Bologna, Milano, Edizioni Charta, 1993, con alcuni aggiornamenti nella seconda edizione, Museo Morandi. Catalogo Generale, Bologna, Grafis Edizioni, 1996, entrambi a cura di Marilena Pasquali. Qui si riportano solo gli strumenti essenziali per l’approfondimento della sua personalità e della sua opera.
DIPINTI L. Vitali, Giorgio Morandi pittore, Milano, Edizioni del Milione, 1964. F. Arcangeli, Giorgio Morandi, Milano, Edizioni del Milione, 1964; Torino, Einaudi, 1981. L. Vitali, Morandi. Catalogo generale, 2 voll., Milano, Electa, 19832. INCISIONI L. Vitali, L’opera grafica di Giorgio Morandi, Torino, Einaudi, 1957 (IV ed. ampliata 1989). M. Cordaro, Morandi. Incisioni. Catalogo generale, Milano, Electa, 1991. DISEGNI M. Ramous, Giorgio Morandi. I disegni, Bologna, Cappelli, 1949. N. Pozza, Morandi … i disegni …, Roma, Franca May Edizioni, 1976. M. Valsecchi, G. Ruggeri, Morandi. Disegni, vol. I, Sasso Marconi, La Casa dell’Arte, 1981. G. C. Argan, F. Basile, Morandi. Disegni, vol. II, Sasso Marconi, La Casa dell’Arte, 1984. E. Tavoni, M. Pasquali, Morandi. Disegni. Catalogo generale, Milano, Electa, 1994. ACQUERELLI M. Pasquali, Morandi. Acquerelli. Catalogo generale, Milano, 1991. MOSTRE Fra le recenti più importanti: L. Cavallo, “A Prato per vedere i Corot”. Corrispondenza Morandi-Soffici 1923-1962. Per un’antologica di Morandi (Focette – Cortina d’Ampezzo, Galleria d’Arte Moderna Farsetti), Firenze, Edizioni Galleria Farsetti, 1989. Giorgio Morandi 1890-1990 – Mostra del Centenario (Bologna, Galleria Comunale d’Arte Moderna), catalogo a cura di M. Pasquali, Milano, Electa, 1990. 126
Giorgio Morandi. L’immagine dell’assenza. I paesaggi di Morandi negli anni di guerra 1940-1944 (Grizzana Morandi, Sala Municipale Mostre), catalogo a cura di M. Pasquali, Milano, Edizioni Charta, 1994. Morandi ultimo nature morte 1950-1964 (Venezia, Collezione Peggy Guggenheim), catalogo a cura di L. Mattioli Rossi, Milano, Mazzotta, 1998. Giorgio Morandi, Gemälde, Acquarelle. Zeichnungen. Das Druckgraphische Werk (Schleswig, Germania, SchleswigHolsteinisches Landesmuseum), Milano, Mazzotta, 1998. Giorgio Morandi (Torino, GAM Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea), catalogo a cura di P. G. Castagnoli, Torino, Allemandi, 2000. PRINCIPALI OPERE CITATE C. Brandi, Morandi, Firenze, Le Monnier, 1942 (II ed. ampliata 1952). C. Gnudi, Morandi, Firenze, Edizioni U, 1946. F. Arcangeli, 12 opere di Giorgio Morandi, Milano, Edizioni del Milione, 1950. G. Raimondi, Anni con Giorgio Morandi, Milano, Mondadori, 1970. R. Longhi, Da Cimabue a Morandi, Milano, Mondadori, 1973. G. Giuffrè, Giorgio Morandi, Firenze, Sansoni, 1977. M. Calvesi, La metafisica schiarita. Da De Chirico a Carrà, da Morandi a Savinio, Milano, Feltrinelli, 1982. L. Magnani, Il mio Morandi. Un saggio e cinquantotto lettere, Torino, Einaudi, 1982. F. P. Ingrao, “Ricordo di Giorgio Morandi”, in Quaderni morandiani, n. 1, Milano, Mazzotta, 1985. M. Pasquali, “Morandi e il dibattito artistico negli anni Trenta”, in Quaderni morandiani, n. 1, Milano, Mazzotta, 1985. “Incontro internazionale di studi su Giorgio Morandi. Morandi e il suo tempo”, in Quaderni morandiani, n. 1, Milano, Mazzotta, 1985. R. Pasini, Morandi, Bologna, Editrice CLUEB, 1989. R. Renzi, La città di Morandi. 1890-1990. Cent’anni di storia bolognese attraverso la vicenda di un grande pittore, Bologna, Cappelli, 1989. C. Brandi, Morandi, introduzione di V. Rubiu, Roma, Editori Riuniti, 1990 (contiene il “Carteggio Brandi-Morandi 1938-1963”, a cura di M. Pasquali). E. Tavoni, G. Ruggeri, Morandi, amico mio, Milano, Edizioni Charta, 1995. P. Mandelli, “Storia di una monografia”, in Accademia Clementina Atti e Memorie, n. 35-36, Bologna, 1995-96. E. Crispolti, L’oggetto Morandi, Fiesole, Edizioni Cadmo, 1998. Valori Plastici, XIII Quadriennale, catalogo mostra a cura di P. Fossati, P. Rosazza Ferraris, L. Velani, Milano, Skira, 1998. M. C. Bandera, Il carteggio Longhi-Palucchini. Le prime Biennali del dopoguerra 1948-1956, Milano, Edizioni Charta, 1999. 72 missive di Giorgio Morandi ad Alessandro Parronchi, a cura di A. Parronchi, Firenze, Edizioni Polistampa, 2000. 127