Maria Luisa Frongia
MACCARI N E L L A
C O L L E Z I O N E
I N G R A O
COMUNE DI CAGLIARI Sindaco
Mariano Delogu Assessore alla Cultura
Gianni Filippini Dirigente Divisione Cultura
Ada Lai Galleria Comunale d’Arte Progetto scientifico, cura museale e coordinamento editoriale
Anna Maria Montaldo Organizzazione tecnico-amministrativa Ufficio Musei Civici
Maria Antonietta Pellecchia Donatella Pusceddu Stella Spiga
Fotografia
Dessì & Monari Impianti colore e impaginazione
Ilisso edizioni Stampa
Industria Grafica Stampacolor, Sassari
La Collezione d’Arte Francesco Paolo Ingrao è stata donata alla città di Cagliari il 28 luglio 1999 per volontà di Elisa Mulas.
© Comune di Cagliari, 2001
Indice
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Il Selvaggio
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La satira del costume e del potere
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Mino Maccari e la critica socio-politica tra Ottocento e Novecento
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Mino Maccari nella collezione Ingrao
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Bibliografia essenziale
Il Selvaggio
Le opere di Mino Maccari che, per lascito di Francesco Paolo Ingrao, sono raccolte nella Galleria Comunale d’Arte di Cagliari, appartengono agli anni della maturità dell’artista. Tuttavia è evidente che per il loro esame, al fine di formulare un giudizio sotto l’aspetto più propriamente artistico e di valutare le condizioni storiche che hanno animato il momento creativo, necessita un’indagine sulla sua attività, anzitutto nei lunghi anni che vanno dalle prime esperienze giovanili alla caduta del fascismo, indagine che è preferibile condurre principalmente attraverso scritti e disegni della sua rivista Il Selvaggio, pubblicata dal 1924 al 1943 ed alla quale egli deve in buona parte la sua fama. In quegli anni si è formata la sua complessa personalità, che rimarrà sostanzialmente immutata nei lunghi decenni successivi, in una temperie artistica e letteraria che ne ha esaltato lo spirito di polemica e di battaglia; sono, infatti, anni cruciali dai quali è sortita una nuova Italia: la prima guerra mondiale, il cosiddetto ventennio fascista, la guerra d’Africa, la guerra di Spagna, la seconda guerra mondiale, la caduta del regime. Maccari è morto nel 1989 ed è passato attraverso questi avvenimenti vivendoli intensamente e cogliendone con la sua satira, per lo più bonaria, talvolta anche dura e aggressiva, gli aspetti degenerativi, negativi, che vedevano protagonisti piccoli uomini arrivisti, carrieristi, profittatori. Vi è stato chi ha rilevato incongruenze, incertezze, contraddizioni in Maccari che avrebbe spesso seguito una linea zigzagante, difficile da ricondurre ad un comune denominatore. È, invece, preferibile pensare ad una intima coerenza vissuta dall’artista il quale, di fronte ad avvenimenti e personalità che hanno segnato la vita dell’Italia, non poteva non valutare il momento storico che viveva e, in qualche misura, comprenderlo senza tradire le sue convinzioni duramente messe alla prova. Allora, buona parte delle sue prese di posizione trova una debita collocazione, talvolta certamente scomoda e perfino titubante, mai, però, asservita al potere. La sua satira, durante il “ventennio”, ha giocato una parte non indifferente, ora difendendo il fascismo, ora criticandolo anche duramente. Per tutto questo Maccari può essere considerato – e per gran parte, come diremo, questo riconoscimento è già avvenuto – una delle figure più notevoli del mondo artistico nazionale del XX secolo. Mino Maccari nacque nel 1898 a Siena – contrada della Torre – da un padre professore di latino e greco, che seguì nei suoi numerosi spostamenti, facendo così la conoscenza di luoghi e persone diverse. A soli quindici anni, con un gruppo di amici, diede vita ad una società cosiddetta della “Burella” col fine, fra l’altro, di «riunire i palpiti e le fantasie dei vari cervelli», e che si sciolse presto per ricostituirsi cinque anni dopo. Siamo negli anni della prima guerra mondiale che lo videro combattente nel 1917-18 e rientrare in Italia dopo un periodo di prigionia; egli racconta che, con la matita, tracciava i disegni di quello 7
Sinistra, nel 1955, diretta da Italo Cremona; L’Antipatico nel 1958, diretto da Maccari, in collaborazione con Cremona (I Almanacco nel 1959). Diremo, infine, che premi, riconoscimenti e incarichi, per il suo spirito e per le sue posizioni polemiche, non furono molti. Nel 1938 fu nominato Professore di Tecnica dell’Incisione presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli; lo stesso incarico ottenne nel 1940 presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, della quale fu nominato Direttore per il biennio 1959-61. Nel 1960 fu designato membro dell’Accademia di San Luca della quale divenne Presidente per il periodo 1963-64, anche per il deciso appoggio di Morandi. Nel 1963 gli fu assegnato il Premio Feltrinelli per la pittura dall’Accademia dei Lincei. La fine del fascismo non mutò di molto la personalità e, con essa, l’attività di Maccari. Egli era stato un ardente fascista agli inizi del regime, tiepido durante il ventennio con punte polemiche forti e bene indirizzate che cercavano di colpire un mondo fatto di profittatori, adulatori, arrivisti e, su su, di professionisti, di accademici ligi e dipendenti dal potere. Se ne staccò passo per passo quando si accorse che la sua opera non sortiva alcun risultato, fino a far cessare nel 1943 la pubblicazione de Il Selvaggio e ad organizzare nello stesso anno la citata Rassegna Dux manifestando così di essere giunto fino al dileggio di chi la guerra distruttrice l’aveva voluta o subita al seguito dell’alleato tedesco. Ultimo passo fu quello di saltare il fosso abbracciando la causa partigiana. Questo sviluppo ideologico si deduce, senza ombra di dubbio, dalle pagine scritte e dai disegni della sua e di altre riviste. Tuttavia Carlo L. Ragghianti, a condizioni storiche mutate, ha posto in dubbio il “fascismo” di Maccari, suscitando la reazione di un compaesano dell’artista, G. Gallaioli, che nel 1998, nel volume Mino dal Colle, l’«impolitico» di Strapaese, reagì ricostruendo un quadro più preciso possibile dei rapporti fra Maccari e il regime. Pure, più che altre attività, come la collaborazione a giornali e riviste, e perfino un momentaneo esperimento teatrale come scenografo e costumista, contribuirono a non allontanarlo da quella che era la forza che lo aveva alimentato per un ventennio, soprattutto il disegno satirico e la pittura, la quale, come abbiamo detto, a partire dagli anni Cinquanta, diede un carattere più morbido, meno incisivo e aggressivo alle sue composizioni. Fino agli anni della sua tarda maturità, egli continuò in una febbrile e quasi maniacale attività, disegnando a carboncino, tempera o acquarello, incidendo legni, linoleum, lastre di rame, dipingendo oli, elaborando tecniche miste, sempre attento osservatore del mondo intorno a lui. Ma è il torchio che egli amava più di ogni altro strumento, nel marzo del 1955 a Roma, in via Ripetta, ne installò uno a braccio con l’aiuto dei torcolieri Alessandrini e, più tardi, Bulla. Vedremo quanto fosse interessato ai vari aspetti della società e fra questi, in modo particolare, al mondo femminile e a quella grassa borghesia che aveva nelle sue mani il potere economico e dettava le leggi della ricchezza e della povertà; questi aspetti egli riusciva a coglierli nelle loro molteplici sfaccettature, lasciando correre sul foglio la matita o il carboncino, traducendo personaggi e scene nel suo modo personalissimo. Non sviluppava un disegno preordinato, non concepiva una scena già mentalmente e coerentemente conclusa, ma lasciava che lo strumento conducesse il pensiero e così le figure prendevano 18
forme, atteggiamenti, espressioni con una creatività sorprendente, come accadeva a quegli artisti che al bar, al ristorante, con un tovagliolino di carta e una matita erano in grado di produrre una piccola opera d’arte: fra questi artisti era Maccari, il quale disegnava alla trattoria romana “Da Cesaretto”. Abbiamo detto che erano soprattutto le donne ad attrarlo e a mostrarci come il sesso giocasse una parte fra le più felici e sofferte della sua vita. La donna è colta nella sua poliedrica personalità, determinata dalla sua natura femminile e dalla violenza della società entro la quale è spesso costretta a dibattersi. Può essere dolce, raffinata, muoversi con cadenze ritmate per un balletto ma può anche essere una prostituta circondata da grassi, volgari commendatori e capitalisti, da alti ufficiali tronfi nelle loro decorazioni, pronta a contrattare le sue prestazioni, costretta in una casa chiusa ad accettare un anonimo cliente; può, però, essere anche forte, comprendere quando il suo appello sessuale può giocare a suo favore, ostentare indipendenza seduta al tavolo di un caffè, provocare, stimolare, ridicolizzare, rifiutare i suoi favori fino al punto di imbracciare il fucile e minacciare quanti tentino di possederla. Nei disegni il risultato finale è deciso: l’ironia, la repulsione, balzano in primo piano, a volte celate e sottintese, a volte esplose; quando, poi, sempre più frequentemente, egli passa, dagli anni Cinquanta, agli oli, agli acquarelli, ai carboncini colorati, il colore, come abbiamo detto, si sfrangia ai bordi, attenua la crudezza della scena, fa dell’ironia un’arma che a volte sdrammatizza e spunta il racconto. La sessualità femminile è comunque onnipresente: va da A l’ombre des jeunes filles en fleurs, alla quale bisogna accostare le numerose Donne, più note come Donnine, i Nudini, fino alle vecchie e laide donne di vita che si prostituiscono nelle case di tolleranza e fuori. Di questi luoghi Maccari fu un assiduo frequentatore, ne apprezzava la comodità, la familiarità dell’ambiente, l’atteggiamento delle donne, la disponibilità della scelta. Quando nel 1958 la nota legge Merlin chiuse le case di tolleranza, Maccari disapprovò il provvedimento e nel citato I Almanacco de L’Antipatico, scrisse un articolo: “Le conseguenze della legge Merlin”, nel quale, oltre al rimpianto e al rammarico, prevedeva quella che sarebbe stata la triste condizione delle donne che vi lavoravano e che sarebbero state gettate sulla strada. Si potrebbero citare centinaia di opere su questo triste aspetto della società: ne ricorderemo solo alcune che, col titolo, suggeriscono chiaramente il soggetto: i numerosi Balletti, Due ballerine, Lezione di danza, Adescatrice, Il cliente, Prostituta, Prostitute al caffè, Prostitute sul divano, Vecchietto al postribolo, Donne all’asta, Maîtresse, Sala di appuntamenti, Interno di casa di appuntamenti, Contrattazione; ma, talvolta, la forza del sesso femminile può avere la meglio: Uomini schiacciati dalle donne, Il dominio alla donna, Dominio femminile. Se, durante il fascismo, la satira di Maccari aveva colpito quanti speculavano e profittavano all’ombra del regime, ora si rivolgeva contro commendatori, potenti funzionari, capitalisti, alti ufficiali, che contavano sul nuovo ceto politico dirigente, quello che viveva all’ombra dei partiti, naturalmente, soprattutto, di quelli che avevano i loro uomini al governo e non disdegnavano di ostentare il potere che detenevano, offrendosi facilmente all’ironia ed al sarcasmo: I gerarchi, Il burocrate, Il commendatore, Il generale, Ufficiale, Fantasia gerarchica. Maccari, 19
1963, potrà ben dire: «George Grosz così brillantemente caustico in Germania, come tutti sanno, si addormentò immediatamente nel nostro blando clima». È facile constatare quale divario separi l’opera di Grosz da quella di Maccari. Nel primo, prevale l’elemento provocatorio, forte, aggressivo, violento, né vale a modificare questa constatazione il breve periodo di attenzione rivolto alla piccola borghesia. In Maccari l’adesione al fascismo non ha portato a posizioni estreme, a parlare di guerra aperta, di rivolta, di eliminazione fisica dell’avversario. In Grosz, inoltre, il tratto è violento, tracciato con forte decisione, specie quando preferisce la penna alla matita; in Maccari è più libero, sciolto, suggerito, quasi autonomo rispetto alla mano che lo conduce. Anche gli oli di soggetto sociale, i quali in Grosz appaiono infarciti di tratti obliqui, senza una prospettiva, annegati in un rosso sangue, che riempiono la scena, quasi una metafora della società che egli giudica sordida e senza speranza di ricupero, in Maccari assumono un aspetto più umano, portano spesso al sorriso, anche all’insulto, mai all’esecrazione perché il nostro, nonostante la vis polemica, ha fiducia nelle doti di ripresa dell’uomo. Non vuole moraleggiare come Grosz, insegnare, suggerire, vuole solo colpire, con una determinazione dettata, per lo più, dalle circostanze, spesso anche bonariamente, vizi e difetti dei ceti dirigenti, siano essi fascisti o partitici. Lo stesso Maccari in alcuni versi esprimeva le sue preferenze citando anche due artisti francesi non per il loro mondo, ma per l’uso del colore e della materia pittorica: «In errore fu chi disse / Che di Grosz sono fanatico / Preferisco Henry Matisse / Renoir mi è più simpatico». Se, come si è visto, la distanza che separa Maccari da Grosz è notevole, più breve è quella fra lui e gli artisti francesi già ricordati, forse perché le condizioni sociali dei loro paesi li hanno portati verso una satira meno aggressiva, più comprensiva delle condizioni dei ceti borghesi, che quotidianamente cadevano sotto i loro occhi. Honoré Daumier (1808-1879), il più anziano dei tre, vissuto interamente entro il XIX secolo, è uno dei più grandi incisori e pittori francesi. La sua attività di artista satirico cominciò con la litografia – che resterà la tecnica da lui prediletta – già qualche anno prima del 1830, quando si instaurò la monarchia di Luigi Filippo d’Orléans. Le riviste alle quali Daumier collaborò furono dapprima La Caricature e, poco dopo, Le Charivari. La sua satira si impegnò non solo nelle contese politiche e sociali, ma, soprattutto nel primo periodo, nel cogliere nei vari aspetti la quotidianità della vita parigina, con tratti marcati, rapidi, incisivi, che saranno tipici di una certa satira artistica. Raffigurava prevalentemente, con bonaria ironia, le vicende della piccola borghesia e del proletariato, relegati in una posizione d’estremo disagio, ma anche dei ceti dirigenti; così le sue litografie mostrano le vie parigine lungo le quali si tengono passeggiate, riunioni, caffè-concerto, grossi capitalisti che ostentano il loro potere, donne che mettono in mostra le generose risorse del sesso e, assieme, circhi equestri. La fortuna che le sue litografie incontrarono persuaderanno, più tardi, a riunirle per soggetto: Moeurs conjugales, Les gens du spectacle, Intellectuelles et femines socialistes ed altre raccolte pubblicate dal 1867 al 1876. È l’aspetto che, in qualche modo, si può considerare anticipatore della satira di Maccari. I duri provvedimenti contro la libertà di stampa, messi in atto nel settembre del 1835, lo allontanarono solo di poco dalla satira politica e sociale che continuò con le litografie anche dopo la caduta della 24
monarchia nel 1848 e l’istituzione del governo provvisorio. Solo dopo il 1852, quando fu restaurato l’impero con l’avvento di Luigi Napoleone III, Daumier si rivolse di preferenza contro la grande borghesia capitalista ed il potere ai più alti livelli e soprattutto contro lo sfruttamento da parte degli Europei, che riteneva decaduti e ormai al tramonto, a danno degli altri popoli a torto ritenuti “selvaggi”. Più vicino nel tempo è Jean-Louis Forain (1852-1931), anche se la sua attività di artista satirico si esaurì, per buona parte, prima che Maccari iniziasse ad operare. Egli godette di notevole popolarità; cominciò ad incidere con l’acquaforte e la litografia; l’attività di disegnatore risale agli anni intorno al 1876, dopo i quali il suo interesse si accentrò sulla satira politica, collaborando per un certo periodo alle riviste L’Echo de Paris, Journal Amusant, Courrier Français e raccogliendo la sua produzione in alcuni volumi, quali La comédie parisienne, Les temps difficiles, entrambi del 1893, sulle condizioni di vita a Parigi. È un periodo in cui lo sviluppo capitalistico vedeva l’affermarsi della grande borghesia finanziaria alla quale, come contraccolpo, si opponeva un forte movimento sindacale che nel 1895 dava vita alla Confédération Générale du Travail. Forain assistette in quegli anni alla concentrazione di grandi strati di popolazione a Parigi, come in altre città europee, modificandone il tessuto urbano. Egli coglie questa nuova realtà a cavallo del Novecento, con tratti rapidi, nei suoi aspetti quotidiani, senza l’intento di dettare norme morali, senza la volontà di affondare i colpi, ma con una bonaria ironia: i caffè-concerto, le strade ove si svolge il passeggio, i personaggi di ogni giorno, funzionari della ricca borghesia, angoli dove si svolgono i primi approcci, le solite donnine avvolte da svolazzi di piume: tutti aspetti, questi, che, come hanno rilevato alcuni critici, sembrano anticipare Maccari; essi sono stati posti in luce dalla bella mostra Jean-Louis Forain, al Van Gogh Museum di Amsterdam, nel 1995. Dopo il 1920 l’artista lasciò la satira, colto da una crisi religiosa, ed i suoi interessi si rivolsero, soprattutto, all’arte sacra. Un analogo rapporto temporale si pone per Georges Rouault (18711958). Infatti, per quanto contemporaneo di Maccari, i tempi della loro attività nella satira di costume non coincisero poiché gli inizi di quest’ultimo si collocano in un arco di tempo nel quale l’artista francese stava per porre in secondo piano la satira per abbracciare temi a lui più congeniali, principalmente quelli sacri. Ma lo spirito e i soggetti trattati avvicinano notevolmente i due artisti. Rouault fu alunno di Gustave Moreau, della cui abitazione e studio, poco dopo la morte del maestro, avvenuta nel 1898, fu nominato Conservatore. Ammiratore dell’opera di Forain durante il suo apprendistato, dopo alcuni lavori di soggetto sacro di grande rilievo, iniziò nel 1915 a rivolgere i suoi interessi alla rappresentazione della società del suo tempo, preferendo come tecniche pittoriche l’acquaforte e la gouache. La sua satira, che solo superficialmente sfiora l’aspetto politico vero e proprio, si svolse per un ventennio su alcuni temi preferiti: le ragazze, raffigurate, per lo più, in nudi, come prostitute, bagnanti, ballerine. Il sesso, però, non ha per lui attrattive fisiche, ma è rappresentato in genere da figure femminili che hanno del grottesco. Altro tema, spesso impersonato nella sua opera, è il circo, con una figura ricorrente di clown inserito nel suo ambiente o in cortei ove suona il tamburo. Rouault, inoltre, era affascinato anche dal mondo della giustizia: numerose sono le opere nelle quali i tre protagonisti, giudici, avvocati, accusati, sono colti nelle più diverse situazioni. Infine, non mancano i grossi 25
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1. LA ZINGARA, 1947 olio su compensato, cm 45 x 55. 2. [SCENA FANTASTICA] (1947) olio su compensato, cm 45 x 55 (retro fig. 1).
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A sottolineare l’importanza della collezione possiamo citare il fatto che alcune delle opere, sulle quali torneremo, acquistano un particolare valore nella storia dell’evoluzione artistica di Maccari, essendo state esposte in mostre storiche o in manifestazioni di grande interesse nazionale quali la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma o in Mostre personali. Dobbiamo ritenere che Maccari si sia in esse particolarmente impegnato perché è sempre stato interessato al giudizio della critica. Più in particolare, i due oli, L’Austriaco del 1946 (fig. 29), che analizzeremo più avanti nella serie dei ritratti, e La zingara del 1947 (fig. 1), recanti sul retro il titolo e la data, furono esposti nella mostra personale, di sole opere ad olio, alla Galleria Il Fiore di Firenze, nel novembre del 1947, occasione nella quale si registrò, nella fase della restituzione delle opere, dopo la chiusura dell’esposizione, il furto di un collo contenente ben 12 dei 27 pezzi. Nelle stravolte fisionomie raccolte attorno a un tavolo, mentre attendono il responso delle carte che la zingara tiene tra le mani, Maccari ripropone formule tecniche e iconografiche di alcuni oli della più volte citata Rassegna Dux, ma sembra anche tributare un omaggio al Rouault del
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primo decennio del secolo, soprattutto quando l’artista francese raffigura i suoi personaggi negli interni, utilizzando una pennellata libera ed energica che unisce con grande efficacia movimento, colore e deformazione. Il retro dell’opera, dipinto anch’esso, rappresenta una scena legata a sussulti di irrealtà [Scena fantastica] (fig. 2), ricca di personaggi dalle molteplici forme, tra i quali spicca la figura di un diavolo il cui manto rosso costituisce la nota cromatica predominante di una variegata tavolozza. L’olio su tela [Il cameriere] (fig. 3) datato 1949, fu esposto alla XXV Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, la seconda del dopoguerra, che si tenne dal giugno all’ottobre del 1950. Scorrendo i titoli del catalogo, possiamo identificarlo, probabilmente, con Il cameriere: il personaggio appare appena abbozzato, sullo sfondo, inquadrato nel vano di una porta, in attesa di offrire i propri servigi alle tre figure ritratte in primo piano; esse si collocano nello spazio immobile di una stanza, fissate dal pennello ironico dell’artista nelle loro fisionomie stereotipe, simbolo di una borghesia emergente alla quale l’artista rivolge uno sguardo bonariamente satirico. Allo stesso ambiente e, forse, allo stesso periodo, sembra far riferimento l’olio su compensato il quale reca sul retro l’abbozzo di un ritratto femminile che rende illeggibile il cartellino sottostante [Tre figure] (fig. 4): esso ritrae tre personaggi, mettendo in evidenza alcuni tratti somatici, come gli occhi, piccoli e stretti nella donna, fissi e sgradevoli nella loro forma a palla quelli dell’uomo a sinistra.
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3. [IL CAMERIERE], 1949 olio su tela, cm 44,8 x 30. 4. [TRE FIGURE] olio su compensato, cm 34,4 x 48,8.
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5. SIBILLA, 1950 olio su compensato, cm 55 x 46. 6. [DONNINA], 1945 olio su compensato, cm 33 x 23,2.
Potrebbe anche trattarsi di una delle due opere, esposte nella Biennale sopra citata, che nel catalogo compaiono col titolo di Figure, Tre figure. Alla VI Quadriennale d’Arte di Roma, tenutasi al Palazzo delle Esposizioni dal dicembre 1951 all’aprile 1952, Maccari presentò 19 pezzi, tra i quali la Sibilla (fig. 5), un olio su compensato, che reca sul retro la data, 1950, e il titolo scritto di pugno dall’artista. Anche affrontando un tema mitologico, Maccari lo interpreta con la sua verve dissacratoria, dando un’impronta molto personale alla tradizionale iconografia: la famosa profetessa dell’antichità, che affidava la pratica divinatoria alle pagine dei suoi libri, sembra emergere da uno di essi, assisa su una falce di luna. La prosperosa figura, rappresentata nella pienezza della sua nudità, ben lontana dall’evocare lo stato di purezza che la contraddistingueva nel mito, rimanda piuttosto ad una carnale umanità, vistosamente espressa attraverso le forme chiare alle quali è sotteso lo sfondo materico, in forte contrasto per il suo colore terroso tendente a un bordeaux scuro. 31
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20. [VOLTO DI DONNA] (1960) olio su cartone, cm 40,6 x 50,8 (retro fig. 19).
rigide regole di comportamento nella rappresentazione sul retro, riecheggiante schemi tardo-ottocenteschi alla Forain. È interessante notare che nel dicembre dello stesso anno, compaiono nel catalogo di una mostra personale di Maccari, tenuta a Legnano, alla Galleria d’Arte del Grattacielo, due dipinti ad olio intitolati Ragazza seduta e Portrait of Lady, a denotare l’interesse dell’artista per questi temi. Ancora ad un voluto contrasto di immagini è affidato lo spirito di un’altra opera, non datata, che reca sul retro il titolo Tre donne (fig. 14): alla posa composta della figura, seduta a sinistra, si contrappone, infatti, la trivialità delle forme delle altre due donne; il tutto immerso in un magma di materia cromatica scura e spessa. Un’opera dallo stesso titolo compariva nella mostra Maccari dipinti e disegni, tenuta nel dicembre del 1956, alla Galleria dell’Ariete di Milano. A queste opere se ne possono aggiungere due che nel rapporto tra dritto e retro collegano questo mondo al ritratto di un personaggio facilmente identificabile, Leo Longanesi. Nella prima opera, mentre nel dritto Maccari ritrae l’amico che si intrattiene con alcune prostitute [Longanesi con donnine] (fig. 15), nel retro, ove appare la data 1956 e
21. [LA TENTAZIONE], 1961 olio su cartone telato, cm 40 x 30. 22. [I QUATTRO DIAVOLETTI] olio su cartone telato, cm 54,8 x 39,7.
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23. VECCHIO CON CAMERIERA olio su cartone, cm 52 x 37. 24. [NUDINO] olio su cartone, cm 52 x 37 (retro fig. 23).
la firma, si identificano alcune figure appena accennate con tratti di colore [Figure] (fig. 16). Nell’altro olio datato 1960, sul quale torneremo più avanti, mentre nel dritto compare la figura di Longanesi [Ricordo di Longanesi] (fig. 17), nel retro sono rappresentate tre donne [Figure femminili] (fig. 18), delle quali quella centrale, pur con un atteggiamento composto ed elegante, quasi da ballerina classica, rivela la sua vera natura con l’ostentazione esplicita del seno scoperto. Allo stesso 1960 appartiene l’olio su cartone [Ballerina seduta] (fig. 19), il quale potrebbe rappresentare una ballerina di varietà: nei cataloghi delle mostre di quest’anno si trovano, infatti, spesso elencati titoli che fanno riferimento a questo soggetto; sul retro è raffigurato un profilo femminile [Volto di donna] (fig. 20). Alle “abusate” scene «di farsa o di balletto» l’artista allude, come abbiamo visto, nella citata lettera a Ghiringhelli. L’opera trasmette con immediatezza la sensazione di un mondo vivace e fantasmagorico, attraverso taches e grumi di colore materico, tratti da una variopinta, ricchissima tavolozza. 47
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25. [COMMENDATORE E SIGNORINA] olio su cartone telato, cm 39,8 x 30. 26. [PROSTITUTE] olio su cartone telato, cm 44,7 x 60.
Non sempre la donna, però, è rappresentata sola o con le compagne nel chiuso delle case. Un altro filone iconografico, che pone sempre al centro la figura femminile, è costituito, come abbiamo detto nelle pagine più addietro, da una serie di opere nelle quali essa è vista come tentata, tentatrice, adescatrice: la collezione Ingrao possiede opere di notevole qualità, alcune datate, riconducibili a questo tema. Il principe dei tentatori nella tradizione popolare è il diavolo: una figura che Maccari riprende esplicitamente in molte opere alle quali dà come titolo I diavoli (1964), Il diavoletto (1971), L’inferno (1979), La tentazione (1980) e che qui compare in due dipinti che lo rappresentano in compagnia femminile, nel classico atteggiamento di tentatore. Nell’olio su cartone telato, datato 1961 [La tentazione] (fig. 21), una figuretta diabolica sembra emergere dal rosso fuoco dell’inferno per danzare davanti ad una prostituta, circonfusa da un’atmosfera azzurrata, data a liquide pennellate con tale leggerezza di mano da apparire opera di un acquarellista. Nel secondo olio, non datato [I quattro diavoletti] (fig. 22), quattro teste diaboliche, poste agli angoli della tela, circondano e comprimono un volto femminile, quasi a chiudergli ogni via di scampo: la scena risulta permeata di una forte carica di divertita satira, per la capacità di Maccari di individuare, con pochi segni di colore schiarito, ritratti umani sormontati da ridicole, piccole corna. 49
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35. [SIGNORA CON VELETTA], 1969 olio su cartone telato, cm 39,8 x 29,6. 36. [DONNA CON CAPPELLO] olio su cartone telato, cm 49,5 x 29,8. 37. [PROFILO DI DONNA] olio su tela, cm 40,8 x 27. 38. [TESTINA] olio su cartone telato, cm 30 x 25. 39. [AMICHE] olio su cartone telato, cm 30 x 40.
o del ricordo, facendo riferimento a tipi o personaggi da lui incontrati durante la sua vita. Di essi fermava col pennello alcuni particolari della fisionomia che gli erano rimasti impressi: nei volti di donna tendeva a mettere in risalto la forma degli occhi e quella della bocca, spesso accentuandone, nei primi, il taglio obliquo, nella seconda, la carnosità delle labbra. Il richiamo sessuale della bocca femminile ebbe sempre un grande fascino per l’artista che, in alcuni studi di copertina per Il Selvaggio, la campì al centro pagina, facendola diventare la protagonista del foglio. 55
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42. [IDILLIO] olio su compensato, cm 55 x 38,7. 43. [MINO E ANNIE] olio su compensato, cm 55 x 38,7 (retro fig. 42).
Flaiano scriveva, facendo riferimento ad un non meglio identificato Ritratto di M., nella presentazione alla mostra Maccari dipinti e disegni, tenuta in dicembre alla Galleria dell’Ariete di Milano: «Qui siamo di fronte al più antico problema della pittura, il ritratto, risolto con una forza e un valore che respinge ogni dubbio e ogni amenità, siamo di fronte alla pittura come vorremmo che sempre fosse, intuizione del mistero». E nei meandri misteriosi della personalità femminile Maccari sembra voler penetrare attraverso gli occhi blu dal taglio oblungo della giovane donna ritratta nel piccolo olio su cartone telato, datato 1959 [Ritratto femminile con fiori] (fig. 32); occhi costruiti con una materia grumosa, la stessa che caratterizza la pennellata dalla quale emergono le evocazioni floreali che fanno da contorno alla figura. All’amico Leo Longanesi, a tre anni dalla morte, è dedicato il ritratto della Collezione, eseguito nel 1960 [Ricordo di Longanesi] (fig. 17), data posta sul dipinto il cui retro abbiamo già esaminato [Figure femminili] (fig. 18). Ormai, superato il «trauma che annebbia i ricordi, anche se si sono presentati immediatamente, dolci e inutili come sempre», come Maccari lamentava in una lettera a Flaiano nel settembre del 1957, pochi giorni dopo la scomparsa dell’amico di una vita, pur tra alterne vicende – lo aveva conosciuto nel 1924, l’anno di uscita de Il Selvaggio – riprese a ritrarlo quando il tempo aveva assopito il dolore, dedicandogli un disegno acquarellato in questo stesso 1960, un olio nel 1968 e un acquarello nel 1970, per menzionarne solo alcuni tra i più noti e pubblicati. Nel ritratto del 1960 sopra citato l’artista raffigura lo scrittore ancora giovane, con il suo caratteristico cappello a tese flosce, diversamente dalle opere ora enumerate, nelle quali appare più anziano e a capo scoperto. Maccari sembra voler fermare il tempo in un’immagine che si carica delle emozioni portate dalla memoria, ma anche di una vena di dolente malinconia trasmessa, soprattutto, attraverso i toni bassi del colore che si raggruma nello sfondo e che si fa sordo nella stesura del volto. In questa ideale galleria di ritratti si collocano anche le altre figure femminili della collezione Ingrao, alcune degli anni Sessanta, altre senza data. In tutte, la fisionomia nasce dal colore che pulsa autonomo da qualsiasi costrizione lineare, colore che spesso trascende il dato realistico col quale Maccari esprime il «suo personale modo di dipingere», come scrisse Ben Shahn nella già citata presentazione della mostra dell’artista a New York nel 1963, aggiungendo l’acuta osservazione: «… c’è qualcosa di impudente in ogni manifestazione veramente libera ed espressiva del colore stesso». La colata di verde smeraldo che costruisce la chioma della giovane donna dell’olio del 1961 [Testa di ragazza] (fig. 33), contrapposta alle pennellate vermiglie del vestito, costituisce una vera e propria esplosione cromatica la quale riallaccia l’immagine alla manifestazione fantastica di un dato reale; il tutto senza le accentuazioni espressioniste e la violenza formale a cui sottoponeva i suoi ritratti, forgiati dal colore, Chaïm Soutine, spesso citato dai critici in un confronto valido da un punto di vista più stilistico che contenutistico. Di straordinaria efficacia iconografica appare il ritratto datato 1964 [Donna con fiori] (fig. 34), che sembra richiamare i caratteristici tratti del volto di Valentina Prandi, alla quale Maccari dedicò nel 1976 alcune incisioni e un’acquaforte per il volume Poesie d’amore, edito fuori commercio da Dino Prandi in ricordo della moglie, al quale collaborarono altri sette artisti. Nel piccolo dipinto è interessante anche la soluzione tecnica adottata per richiamare la forma dei fiori, costruiti con un 61