Boccioni

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Maurizio Calvesi

BOCCIONI N E L L A

C O L L E Z I O N E

I N G R A O


GALLERIA COMUNALE D’ARTE

DI

CAGLIARI

Il presente volume raccoglie le opere di Umberto Boccioni della Collezione d’Arte Francesco Paolo Ingrao donata alla città di Cagliari il 28 luglio 1999 per volontà di Elisa Mulas.

Progetto scientifico e coordinamento editoriale

Anna Maria Montaldo Fotografia

Dessì & Monari Impianti colore e impaginazione

Ilisso edizioni Stampa

Industria Grafica Stampacolor, Sassari

© Comune di Cagliari ILISSO EDIZIONI - Nuoro, 2001 ISBN 88-87825-21-1 www.ilisso.it


Indice

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I Boccioni di Francesco Paolo Ingrao

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Tavole

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Bibliografia essenziale

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Appendice


Ingrao era geloso della propria collezione ed era propenso a farne vedere di volta in volta solo una parte; riservato, come risulta anche da una frase di Amelia Raffaella Boccioni nella lettera del 16 marzo 1955: «Ho pure avvertito e raccomandato a mie cugine che non facciano con nessuno il Suo nome, come Lei desidera». Era un uomo piccolo, di spiccata intelligenza, ben convinto delle proprie idee sulla pittura; alquanto sospettoso e incredulo dell’altrui capacità di capirla; non troppo disposto alla discussione, ed anche di una qualche incisiva bizzarria nel modo di gestire i rapporti. La corrispondenza, benché certamente incompleta, tra Ingrao e la sorella del maestro futurista, Amelia Raffaella Callegari Boccioni che viveva a Verona, consente di capire quale fosse una delle fonti cui il collezionista attingeva per i suoi acquisti boccioniani; ed è anzi possibile che quella sia stata la fonte principale. Il dott. Ingrao aveva conosciuto la cugina del pittore residente a Roma, signora Procida, come si ricava dalla lettera inviatagli da Amelia Raffaella in data 16-3-1955; ma sembra da escludere che abbia attinto anche a questa fonte, giacché nel ’53 feci un elenco completo anche delle opere di Boccioni possedute dalla famiglia Procida, e nessuna di queste figura nella raccolta Ingrao. Il primo acquisto che risulta documentato dalle poche lettere conservate della Callegari Boccioni al dott. Ingrao o al suo incaricato Biagio Zolfa, risale al 9 dicembre del 1953: la sorella del pittore cede in quella data per la somma di 125.000 lire una Figura di donna (ovvero il dipinto che il mio elenco di quell’anno registrava con questo titolo nella collezione veronese della Boccioni). È da escludere che si tratti di Donna in giardino del 1907, o di Testa di fanciulla, di seguito schedate, in quanto entrambi i dipinti figurano dal mio elenco, lo abbiamo visto, come già appartenenti in quell’anno ad Ingrao. Deve trattarsi quindi della Donna con scialle o del Ritratto di Ines. Le altre lettere, sempre della Callegari Boccioni a Ingrao, risalgono agli anni 1955 e 1956 ma non documentano l’acquisto certo di dipinti. Risulta che Ingrao era interessato all’acquisto, non sappiamo se poi giunto in porto, di un dipinto non meglio specificato che la Callegari Boccioni offre al prezzo di lire 100.000 il 14 dicembre del 1955; nonché di un Autoritratto di Boccioni, cui già si accenna nella lettera dell’11-2-1955 e che il 2-7-1956 viene offerto per un milione di lire, cifra non trattabile. È molto difficile comprendere di quale Autoritratto potesse trattarsi (si veda la nota relativa alla lettera dell’11-2-1955). Comunque sorprende lo sbalzo del prezzo; le quotazioni cominciavano a salire e non è forse un caso che questa offerta (non raccolta) chiuda la corrispondenza, almeno quella superstite, tra Ingrao e Amelia Raffaella. Un capitolo a parte è quello dei disegni. In data 10-3-1955 la Callegari informa Ingrao che da Roma le chiedono, per una mostra, i disegni del fratello e invita il collezionista a venire a Verona prima che i disegni stessi siano spediti, in modo da poter fare qualche acquisto, se lo desidera, presso di lei, piuttosto che in seguito presso una galleria romana. Come si ricava da una successiva comunicazione del 16 marzo, Ingrao rispose immediatamente all’invito, ma prima che arrivasse la sua pur tempestiva risposta i disegni erano stati spediti nel frattempo, a Roma, presso la cugina della Callegari: dalla quale Ingrao potrà recarsi, dice Amelia Raffaella, in modo da poter scegliere se vuole, prima dell’esposizione, «quella decina di disegni che avrebbe piacere di avere nella Sua collezione e che sarei ben lieta di cedere a Lei». È molto pro8


babile che gli undici disegni qui presenti (e in gran parte, come s’è detto, schedati come raccolta Ingrao negli Archivi del Futurismo, 1962) siano stati effettivamente acquistati in quella occasione. Quanto alla mostra ricordo bene, e trovo riscontro in archivio, che il 4 maggio del 1955 si aprì effettivamente nella romana Galleria dello Zodiaco una mostra intitolata Disegni di Boccioni, con presentazione di Nello Ponente. La Callegari, come si ricava dalla corrispondenza con Ingrao, espose allora tutti i disegni del fratello in suo possesso. La mostra era stata concordata tra il già ricordato Bellonzi, Ponente e me, nella speranza – rimasta delusa – che Palma Bucarelli acquistasse qualche foglio per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, dato anche che si era sparsa la voce di una vendita a un collezionista americano. Dell’organizzazione si era occupata (come risulta anche dalle lettere della Callegari) «la segretaria della Quadriennale», ovvero di Fortunato Bellonzi. La cessione dei disegni a un collezionista americano (vedi lettera del 10 marzo 1955) sembrava essere rimasta senza seguito; ma in realtà più tardi, verso il 1957, tutti i disegni di Boccioni di proprietà della Callegari (tranne quelli che aveva acquistato Ingrao) finirono proprio negli Stati Uniti, nella collezione Winston Malbin (poi dispersa, con ritorno di alcuni fogli in Italia, attualmente nel museo di Cosenza). Eccettuati tre disegni (gli studi per Rissa in Galleria e per la copertina di Musica Futurista, più la Figura seduta) le opere della raccolta Ingrao non riflettono l’esperienza futurista di Boccioni. Non tutte però appartengono al periodo pre-futurista. Credo infatti che In montagna e Paesaggio montagnoso debbano assegnarsi agli ultimi mesi di attività del pittore, come risulta in modo a mio parere evidente dall’analisi dello stile. In montagna trascrive quasi certamente i luoghi dove Boccioni si trovò a combattere nella seconda metà del 1915, rientrando poi a Milano in dicembre, e dove, nel mese di novembre, incontrò freddo e neve, anche se il ricordo è quello di una splendida giornata di sole, con lo sciatore accaldato (dovrebbe trattarsi di un alpino) che si è messo in maniche di camicia. Sono due aggiunte particolarmente importanti allo sparuto gruppo delle ultime opere del pittore, e vedono riaffiorare, nel fulgore della luce di montagna, il modello di Segantini, tanto ammirato negli anni pre-futuristi. Boccioni torna qui alle origini, con una ossatura compositiva più sintetica e potente. In montagna non è il solo gioiello boccioniano della collezione Ingrao. Anche il Ritratto di Ines è di una qualità eccezionale; l’incisiva fermezza del disegno e l’intensità dei colori si raccordano, magistralmente, nello spartito di luce e ombra. Buoi aggiogati è un altro capolavoro dove le forme sono come duttilmente scolpite nell’impasto pittorico e ripropongono quel felice connubio tra modellato plastico e partitura cromatico-luminosa. Vi sono poi opere dove il talento coloristico di Boccioni raggiunge esiti di rara squisitezza, come il Paesaggio di mare, o che danno la misura delle sue straordinarie capacità di ritrattista, come il commovente Ritratto di fanciullo. Il traghetto di Caronte apre su un aspetto della fantasia boccioniana che potrà apparire inaspettato a chi non abbia posto attenzione alle pieghe oscure e talvolta persino funebri del suo più profondo sentire, benché qui il guizzo di un’immaginazione “infernale” si risolva in termini quasi divertiti di favola tenebrosa. 9


2. DONNA CON SCIALLE (1902-03) olio su cartone, cm 49,7 x 34,7. Il sodo volto della figura, in questo inedito dipinto, è un’efficace sintesi di volumi plastico-pittorici, ottenuti anche con il risalto dei capelli e degli occhi neri contro il fondo chiaro (analogamente a quanto vediamo nel dipinto di cui alla precedente scheda). Di grande abilità le trasparenze della camicia sulle carni, salvo che nella zona del petto, fasciata da un reggiseno bianco, mentre l’accensione gioiosa dei colori nello scialle dà luogo a un autentico pezzo di bravura, prefigurando una sorta di “divisionismo” nelle piccole pennellate policrome, che nel movimento della frangia sotto il braccio destro si fondono in una miscela più sfatta, vibrante e carica di animazione. Una collocazione tra il 1902 e il 1903 di questo autentico capolavoro di Boccioni (direi il primo a noi noto) sembra la più verosimile, subito prima del Ritratto femminile datato 1903 (C. C. n. 6), dagli effetti luministici più mossi, ma improntati ad una analoga sensibilità nel trattamento, proprio, della ricca frangia della veste. 14


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5. PAESAGGIO AL TRAMONTO CON PECORA (1906) olio su tela, cm 48 x 52,5. Nel pubblicare, insieme al precedente, questo dipinto nel 1961 come appartenente alla collezione Ingrao (poi registrato in De Grada tav. VIII e Damigella p. XLVIII), lo scrivente così lo commentava: «L’albero in controluce è di un rosso staccato e violento, ciò che farebbe pensare alle forzature espressioniste di Boccioni tra il 1910 e il 1911, anche se il tipo di composizione può indurre a retrocedere il dipinto fin verso il 1908. Comunque l’impianto, apparentemente così tradizionale, è di una decisione e di una fermezza molto personali». In C. C. n. 232, lo scrivente anticipava il dipinto al 1905, sulla base del confronto con nuove opere del periodo romano venute alla luce. Ma anche in questo caso va rilevata la forte influenza di Pellizza da Volpedo: ai modelli già citati per l’opera di cui alla precedente scheda, qui Boccioni innesta la visione di altri soggetti del Pellizza, con il motivo delle pecore in controluce: come i disegni con studi di questi animali (Scotti nn. 977-978, riferibili al 1897) o il dipinto Lo specchio della vita, del 1895-98 (Scotti n. 1002) che fu acquistato dal re d’Italia nel 1906, quando Pellizza era a Roma e in contatto con Boccioni (vedi la scheda precedente). È dunque nel 1906 che va collocato anche il presente dipinto.

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6. DUE TESTE (1907-09) olio su tela, cm 64 x 55,2. Pubblicato dal Ballo nel 1964 (n. 168, con le misure errate di cm 40 x 35) e da lui assegnato al 1909. Il Bruno (1969, n. 28, condiviso da Coen in C. C. n. 251) lo riferisce dubitativamente al 1907 considerandolo affine al Ritratto di scultore (C. C. n. 250) e identificando la testa in scultura di fanciullo con quella visibile nel suddetto quadro. Peraltro la datazione di quest’ultimo, di solito riferita al 1907, è stata poi da chi scrive collocata tra il tardo 1907 (dopo la visita a Parigi di una mostra di divisionisti italiani) e il 1909 (Calvesi 1998). La somiglianza tra le due piccole sculture non è in realtà così precisa, variando alcuni dettagli. È verosimile comunque che la data oscilli effettivamente, come quella del Ritratto di scultore, tra il 1907 e il 1909.

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7. PORTO (1907) olio su tavola, cm 19 x 24. Può trattarsi dello stesso luogo inquadrato nell’acquaforte Porto eseguita a Venezia nel maggio del 1907 (Calvesi 2000, p. 38) e nel dipinto Barche al sole dello stesso anno (C. C. n. 254). L’opera, inedita, appartiene comunque al periodo veneziano (aprile-settembre 1907) che è caratterizzato da una tavolozza chiara e luminosa, dai toni leggeri.

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9. DONNA IN GIARDINO, 1907 olio su tela, cm 47,5 x 34,5. Firmato e datato U. Boccioni 907 in basso a destra. Registrato da chi scrive in Argan-Calvesi (1953, p. 29) come ubicato in Roma nella collezione Ingrao; pubblicato poi negli Archivi del Futurismo (1962, n. 95). Ne trattano successivamente De Grada (1962, n. 27), Ballo (1964, n. 23), Bruno (1969, n. 17), C. C. n. 262. La donna è quasi certamente la sorella del pittore, Amelia Raffaella, ritratta anche nello stesso anno, e con la stessa foggia di capelli, in La sorella che lavora (a maglia: C. C. n. 267). La pennellata ha ora assunto un andamento sciolto e fuso, che fissa l’immagine nel movimento dell’atmosfera e della luce, come si vedrà poi in molte altre opere degli anni immediatamente seguenti, toccando un risultato estremo in dipinti come Interno con la madre che lavora del 1909 (C. C. n. 409). 28


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11. BUOI AGGIOGATI (1908) olio su cartone, cm 48,5 x 66,6. L’intensa forza plastica di Boccioni trova una sua espressione particolarmente felice in queste figure di buoi, costruite con robuste segnature di colore che mettono in sapiente evidenza la struttura dei corpi possenti e nocchiuti, facendoli biancheggiare tra il tono spoglio della terra e il verde ammassato della vegetazione, in uno stringato accostamento di piani. Questo importante inedito è un autentico capolavoro di essenzialità, rude nel senso di verità che esprime e raffinato nel modulare i toni strisciati dalla luce. La data può cadere intorno al 1908, con i numerosi disegni di bovini (C. C. nn. 523-534) che documentano l’attenta osservazione di questi animali da parte del pittore.

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16. UNA MANO CHIUSA A PUGNO matita su carta, cm 22 x 33. Come nel foglio di cui alla scheda 13, il segno riesce a comunicare nella sua fermezza il senso della forza, questa volta compressa in un pugno energicamente serrato. Inedito, collocabile nel periodo prefuturista senza possibilitĂ di indicare un preciso momento.

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17. PAESAGGIO (1908-09) olio su cartone, cm 9,3 x 53,6. Questo inedito paesaggio offre un taglio d’orizzonte panoramico, sviluppato in lunghezza, come vediamo anche nel dipinto del 1908-09 Fabbrica Foltzer (C. C. n. 419). Al di là di questa analogia che di per sé non può essere indicativa di una collocazione cronologica, le pennellate fluidamente e mobilmente accostate in una vibrante resa luminosa sembrano effettivamente indicare gli stessi anni, in prossimità dell’altro Paesaggio schedato più avanti, che è datato 1909.

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19. PAESAGGIO, 1909 olio su tavola, cm 35 x 29,7. Firmato e datato U. Boccioni 1 agosto 909 in basso a destra. Registrato da chi scrive in Argan-Calvesi (1953, p. 29) come presente nella collezione Ingrao di Roma; pubblicato poi negli Archivi del Futurismo (1962, n. 96). Ne trattano successivamente De Grada (1962, n. 44), Ballo (1964, n. 234), Bruno (1969, n. 95), C. C. n. 410. La visione, pur nella sua densitĂ , trascorre rapida grazie alle pennellate, grosse e brevi, che movimentano con la loro scattante energia il piano del prato, rendendolo simile a una superficie di mare mossa dal vento.

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20. RITRATTO DI INES (1910-11) olio su tela, cm 111,5 x 66. Firmato U. Boccioni in basso a sinistra. Si tratta di un capolavoro della ritrattistica pre-futurista di Boccioni. La Ines, con cui il pittore aveva un rapporto amoroso, è riconoscibile dal naso pronunciato. L’opera fu pubblicata da chi scrive (Calvesi 1961) che vi vedeva confermata l’ipotesi, in precedenza avanzata, di un’influenza di Munch su Boccioni, anche anteriore agli Stati d’animo del 1911: «Resta da vedere se Boccioni conoscesse già prima di allora (1911) opere sia pure sporadiche di Munch e se la sua conoscenza si limitasse, come potrebbe anche supporsi, alla produzione incisoria o si estendesse ai testi pittorici: ipotesi, la seconda, che ora mi appare più probabile, per qualche riscontro di tavolozza (i rossi intensi e tempestosi, i viola, i verdi smagati), e che un inedito Ritratto di Ines, collocabile tra il 1908 e il 1910, sembra confermare, con la sua presenza carica, fantomatica nel giuoco delle ombre, e con qualche modalità di fattura». Il dipinto è trattato in seguito negli Archivi del Futurismo (1962, n. 40) dove è considerato erroneamente un ritratto della sorella del pittore, in De Grada (1962, n. 20), in Ballo (1964, n. 16), in Bruno (1969, n. 149), in C. C. n. 306. 50


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28. RITRATTO DI FANCIULLO (1910-11) olio su tela, cm 75 x 55. Questo ritratto (inedito) di un patetico adolescente di buona famiglia mostra la viva capacità di presa dal reale della pittura di Boccioni e la sua profondità di penetrazione psicologica. L’esile figura è tracciata con rapidi e forti colpi di pennello, poi la foga della pittura ha un malinconico arresto in corrispondenza del volto smunto e dai grandi occhi tristi, che si allarga in una macchia di luce. Siamo probabilmente verso il periodo di Boccioni più toccato da un suo espressionismo, tra il 1910 e il 1911 e possono essere proposti confronti con Studio per Lutto (C. C. n. 654, 1910), Testa di donna (C. C. n. 711, verso il 1911), Notturno (C. C. n. 719, 1911), Caricatura di Gino Severini (C. C. n. 847, verso il 1911), nonché con il disegno di cui alla scheda che segue. 66


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32. IN MONTAGNA (1915-16) olio su cartone, cm 29,3 x 35,2. Questo abbagliante dipinto, in cui si concentra una grande intensità di luce, appartiene senza dubbio come il precedente, e in virtù delle stesse considerazioni, al periodo estremo di Boccioni. I volumi semplificati, oltre al corrugarsi della materia, sono un altro segnale di questo momento in cui l’artista sembra riportare la propria attenzione sui padri della pittura moderna: Cézanne per qualche aspetto, ma almeno qui soprattutto Segantini, il grande Segantini che lo aveva così tanto interessato nei suoi anni iniziali. In primo piano, uno sciatore (forse un alpino) guarda da un campo di neve la valle inondata dal sole con il suo picco svettante. L’uomo è in maniche di camicia, ma questo non indica necessariamente i mesi estivi, giacché muoversi in montagna sotto il sole bruciante può accaldare in qualsiasi stagione. Verso la fine di novembre del 1915 Boccioni, arruolatosi nel battaglione volontari ciclisti, è «in alta montagna» come scrive a Cecchi, informandolo che una sua cartolina lo «ha raggiunto sotto la neve e la tenda». A Sibilla Aleramo scrive: «Amica mia, grazie infinite delle bellissime fotografie e del pensiero. Le ho ricevute a 1.000 metri sotto la tenda e sotto la neve. Terribile! Abbiamo preso d’assalto Dosso Casina e Dosso Remit». Si tratta di dossi prospicienti il Monte Altissimo. Risale dunque probabilmente a questi giorni e a questi luoghi la visione di paesaggio alpino che il pittore (tornato a Milano in dicembre) ha poi trasferito nella piccola, splendida tela.

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