Maria Luisa Frongia
PIETRO ANTONIO
MANCA
Grafica, impaginazione e fotolito: Ilisso Edizioni Referenze fotografiche: ARCHIVIO ILISSO: le riproduzioni fotografiche per questo volume sono state realizzate da Pietro Paolo Pinna ad esclusione delle foto nn. 8-10 (Donatello Tore); n. 73 (Giuseppe Schiavinotto). Archivio Demelio, Sassari: nn. 1-2, 4-7, 13-14, 143-144, 146. Archivio Galleria Comunale D’Arte, Cagliari: nn. 16, 109 (Giorgio Dettori). Archivio Soter Edizioni, Villanova Monteleone: nn. 24, 43, 72 (Donatello Tore). Archivio MAN, Museo d’Arte Provincia di Nuoro: nn. 42, 95, n. 2 a pag. 127 (Dessì e Monari); nn. 52, 64, 76 (Donatello Tore).
L’autore e l’editore rivolgono un particolare ringraziamento agli eredi dell’artista, Silvio, Pietro e Chiara Demelio.
Tutti i diritti di copyright sono riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, trasmessa o utilizzata in alcuna forma o con qualsiasi mezzo, senza l’autorizzazione scritta dell’editore. Ogni violazione sarà perseguita a termini di legge.
© Copyright 2006 Ilisso Edizioni - Nuoro www.ilisso.it - e-mail ilisso@ilisso.it ISBN 88-89188-59-6
INDICE
7 UN NUOVO MODO DI DIPINGERE
8 GLI INIZI DI UN ARTISTA LIBERO E “MODERNO”
12 LA CONCEZIONE IMMAGINATIVA DELLA PITTURA
16 L’ARTISTA INDAGA DENTRO DI SÉ. GLI AUTORITRATTI
38 IL MONDO DEL SACRO
52 LA SARDEGNA DI PIETRO ANTONIO MANCA
70 GIOVANNI MARIA ANGIOY TRA STORIA E LEGGENDA
82 LE MASCHERE
87 I RITRATTI
96 IL MONDO VIVO E VIBRANTE DELLE NATURE MORTE
110 DAL PAESE AL MARE. LE SPIAGGE
121 CRONOLOGIA
126 DOVE VEDERE MANCA
UN NUOVO MODO DI DIPINGERE
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on vi è dubbio che Pietro Antonio Manca debba essere considerato uno dei maggiori artisti sardi del Novecento. Nella sua lunga vita egli ha posto al centro degli interessi la Sardegna, guardata dapprima con occhi rivolti ancora alla tradizione pittorica isolana dei primi decenni del secolo, ma con una visione così ampia e matura che già consente di avvertire i segni di una spiccata personalità che avrebbe poi dato i suoi frutti. A questa considerazione vanno aggiunte le sue doti di critico d’arte: sotto la sua penna, spesso graffiante, sono passati e sono stati accuratamente valutati gli artisti più noti del tempo. Più tardi, a partire dagli anni Venti, i frequenti viaggi nella Penisola, soprattutto a Roma, Firenze e Venezia, consolidano le sue innate doti artistiche, mettendolo a contatto diretto con le opere di Caravaggio, dei Veneti del Cinquecento, dell’Ottocento italiano a partire dai Macchiaioli, della Scuola Romana, dal 1925 epicentro culturale della Capitale. Approfondisce anche gli studi sul Romanticismo, in particolare quello francese di Delacroix, e sul Postimpressionismo, prediligendo la figura di Cézanne, studi che lo porteranno fino a Kandinsky. Certo la cultura, la società, la storia, gli usi e i costumi della Sardegna erano sempre presenti e a lui vicini: ne aveva vissuto le speranze, i propositi, la forte volontà di inserimento in un mondo aperto, lontano da una posizione subalterna, alla quale era stato sempre sacrificato. Ma la sua particolare sensibilità, le innovative ricerche lo porteranno a comprendere che la sua terra e il suo popolo non possono più essere descritti secondo schemi e moduli tradizionali, ma necessitano di una nuova concezione dell’operare artistico, con innovative tecniche pittoriche, supportate da un sostrato teorico che ne avrebbe costituito l’intelaiatura e il solido fondamento. Comincia, pertanto, a dare vita a forme di luce e di colore diverse da quelle usate fino ad allora, studiando i grandi teorici, da Newton a Goethe, le concezioni antroposofiche di Rudolf Steiner, apprese attraverso la conoscenza del poeta Arturo Onofri al quale era strettamente legato da una documentata amicizia. Prende forma, così, la sua personale teoria, quella “concezione immaginativa della pittura” della quale il colore costituisce la massima espressione: esplosioni cromatiche costruiscono le forme, «internamente vivificate», perché l’artista, che ha affinato le sue percezioni visive come un “iniziato”, è in grado di penetrare in esse e intuirne il significato e la vita interna. Allora volti di uomini e donne, scene di vita quotidiana, il mondo del sacro, perfino le nature morte, riescono a trasmettere la loro essenza più profonda, 1. Pietro Antonio ricreata dal pennello di Manca che riesce a tradurre anche Manca a Milano, 1921-22, particolare. il folclore tradizionale in «architetture ideali di colore». 7
LA CONCEZIONE IMMAGINATIVA DELLA PITTURA
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itornato alla casa paterna, Manca si dedica a lunghe passeggiate nelle solitarie strade di campagna, portando con sé i fedeli taccuini, in cerca di una nuova ispirazione che, però, non trova nella natura circostante. Una mattina di marzo, com’egli scrive in appunti inediti, lungo la strada che da Sorso porta a Sennori, «ecco il miracolo, la campagna trasfigurata», non dal rinnovato incantesimo della fioritura primaverile, ma dalla percezione della propria visione interna del soggetto naturale e dalla «comprensione del fenomeno» (fig. 12), che si affretta a tradurre in immagini vergate su foglietti di carta con rapidi tratti di pastello. Nascevano così i germi di quella che egli chiamerà “pittura immaginativa”, trasfigurazioni della realtà che si potevano ricreare anche nel chiuso del proprio studio davanti a nature morte, figure, o all’immagine di se stesso riflessa nello specchio, in numerosi e straordinari autoritratti. Manca ha elaborato in diversi momenti il problema della teoria estetica dell’arte fino a giungere a una sua formulazione sistematica, pubblicata solo nel 1955 col titolo Concezione immaginativa della pittura italiana in Sardegna, in appendice a una presentazione della sua opera fatta da Cipriano Efisio Oppo, Il pittore Pietro Antonio Manca. Partendo dalla contrapposizione teorizzata da Arthur Schopenhauer fra mondo noumenico, fatto di verità e di certezze, e mondo fenomenico, nutrito di relatività e di illusione, egli affronta il problema del colore, per lui a fondamento della concezione estetica e, quindi, dell’opera pittorica. Alla teoria di Isaac Newton, il quale riteneva i sette colori che noi identifichiamo come autonomi, parte della luce percepita, egli preferisce quella di Johann Wolfgang von Goethe, secondo il quale i colori non hanno un’autonoma esistenza, ma sono frutto dell’incontro fra luce e oscurità: si giunge alla comprensione vera attraverso l’intuizione, un termine che Manca userà spesso, dopo averne inteso pienamente il valore attraverso l’opera di Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, che tanti seguaci ebbe in Europa a partire dai primi decenni del XX secolo. L’artista ne viene a conoscenza attraverso il poeta Arturo Onofri, che sistemò il complesso delle sue speculazioni, l’antropomorfismo, in un’opera pubblicata nel 1925, Nuovo Rinascimento come Arte dell’Io, che Manca teneva nella sua biblioteca, annotando in copertina: «leggere con calma», assieme all’edizione italiana del 1924 de La scienza occulta nelle sue linee generali di Steiner, ricca di numerose sottolineature. Si rafforza così la sua adesione 12
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alla teoria goethiana del colore, considerata frutto di una concezione dialettica, rappresentata, appunto, dal rapporto fra luce e oscurità, quella che in campo religioso si può stabilire fra Cristo e Ahriman, il demone persiano. Approfondendo il concetto di immaginazione, Manca chiarisce che non va inteso come fantasia, ma come «un mondo reale che viene però percepito in modo diverso da come si percepisce il mondo dei sensi»: una citazione da Steiner. Per esemplificare la sua teoria, anche a costo di banalizzarla, l’artista afferma che erano ormai cambiate «norme e regole del passato» e, così, alla successione «disegno-forma-colore», andava sostituita quella «colore, forma, disegno», una sorta di rivoluzione copernicana il cui merito egli attribuiva agli impressionisti. Accostando il concetto di “luce” di Goethe a quello di “intuizione”, egli li precisa, proponendo l’esempio della percezione che offre una pianta: «il suo colore, lasciato libero di ondeggiare nell’aria, offrirebbe una “morta forma di colore”», ma questa forma, «vivificata dallo spirito», diventa una «luce colorata liberamente ondeggiante e rutilante nei più variati modi, internamente vivificata». Tutta la sua opera dimostra quanto profondamente egli abbia assimilato e approfondito questa ardita concezione. 12. GIARDINO DI SENNORI (prima metà anni Trenta), olio su tela, 48 x 66 cm.
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TEOSOFIA E ANTROPOSOFIA. STEINER E ONOFRI Rudolf Steiner, nato nel 1861 a Kraljevec presso la frontiera austro-ungarica, ancora giovane aderisce nel 1902 alla Società teosofica fondata a New York nel 1875 da Elena Petrovna Blavatskij e dal colonnello Henry Steel Olcott, nella quale occultismo e dottrine orientali finiscono per avere un valore determinante. Sono questi aspetti che spingono Steiner a elaborare una sua teoria che andava progressivamente sostituendo all’orientalismo il cristianesimo, considerato “l’idea forza” dell’universo e Cristo lo spirito per eccellenza. Così, comincia a staccarsi dalla teosofia fino a impegnarsi, a partire dal 1909, nell’elaborazione dell’antroposofia, approfondendo la parte assegnata a Cristo e all’uomo: il mondo dello spirito ha due mezzi per manifestarsi, l’arte e il pensiero. L’uomo trascende l’elemento materiale, raggiungendo le più alte vette nella morte di
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13. Busta postale inviata a P.A. Manca (anni Cinquanta) e tessera del Circolo “Pico della Mirandola”, 1930, «per lo studio della Scienza dello Spirito». 14-15. Due libri di Rudolf Steiner pubblicati rispettivamente nel 1932 e nel 1930, appartenuti a P.A. Manca. 16. CAVALLI E DRAGHI, 1939 olio su tela, 49,5 x 69,5 cm, Cagliari, Galleria Comunale d’Arte.
Cristo, che ha vinto le forze del male. In Italia il divulgatore delle teorie dello Steiner è stato Arturo Onofri, che ne ha accentuato l’aspetto mistico e quello artistico in alcune sue opere. Nella più innovativa, Nuovo Rinascimento come Arte dell’Io, del 1925, si assegna all’arte la capacità di attingere il mistero della conoscenza, limitando la facoltà agli iniziati, a quanti erano riusciti ad elevarsi a questo mondo, nel quale il soprannaturale aveva un ruolo determinante. Manca, legato alla sede romana della Società antroposofica, possedeva dell’amico Onofri, che aveva frequentato a Roma fin dagli anni Venti e col quale intratteneva rapporti epistolari, anche la raccolta di poesie Vincere il drago!, pubblicata nel 1928. L’olio Cavalli e draghi (fig. 16) ne traduce simbolicamente i contenuti, collocando la scena nel mondo tradizionale della Sardegna: l’anima umana, prigioniera del drago che impersona le forze infernali, deve sconfiggerle per poter riacquisire la sua originaria vita celeste: è compito dell’asceta indicare il giusto percorso. I cavalieri in costume compiono un torneo immaginario contro figure surreali, librate nello spazio circostante da rapide e saettanti pennellate di variegati colori: «… l’impeto a galoppo» interromperà «la tenebra del mondo», e «il fuoco dell’agire … se concorda con la volontà sacra del creato, vince d’amore ogni materia sorda», come scriveva il poeta.
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29. AUTORITRATTO CON LIBRO (anni Trenta), olio su carta incollata su cartone, 65 x 45 cm. 30. AUTORITRATTO DOPPIO, 1931 olio su cartoncino, 42,3 x 29,5 cm. 31. AUTORITRATTO (anni Trenta) olio su carta incollata su masonite, 32,4 x 27,3 cm. 32. AUTORITRATTO (anni Trenta) olio su cartone, 35 x 28,2 cm.
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33. AUTORITRATTO (anni Trenta) olio su tela, 19 x 18 cm. 34. AUTORITRATTO (seconda metĂ anni Venti), olio su tela, 20 x 17,8 cm.
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46. AUTORITRATTO, ante 1950 gesso patinato, h 25 cm.
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RICORDI AFRICANI Il 1912, l’anno di permanenza in terra africana, in Libia, lascia un segno non superficiale nell’animo di Pietro Antonio Manca se, circa un ventennio dopo, alcune scene, che si erano sedimentate nella sua immaginazione di uomo e di artista, riaffiorano con forte evidenza e lo por47 tano a dipingere alcune opere che riecheggiano le giornate libiche, nelle ore di tregua concesse dalle operazioni belliche. Il confronto con l’attività di altri artisti sardi che cercavano nell’Africa motivi per la scoperta di nuove terre e di nuove genti è quasi ovvio. Questo vale soprattutto per Biasi, che dagli inizi del 1924 vi rimane fino al 1927. Più breve e meno spinto da motivazioni di studio e di ricerca il breve viaggio di Mario Delitala dal 1930 al 1931. Lungo e diverso il soggiorno di Melkiorre Melis, trasferitosi a Tripoli nel 1934 per aprire la Scuola Artigiana di Ceramica Libica, esperienza che si protrasse fino al 1941. Le divergenze sono, però, fondamentali. Mentre i tre sono spinti da quel fermento che animava anche artisti di paesi europei alla ricerca di un mondo diverso da quello solitamente vissuto, con la speranza che nuove esperienze incidessero sul loro modo di operare, ormai legato a schemi che rischiavano di diventare vieti e retorici, Manca scopre l’Africa durante la sua esperienza bellica. Così i ricordi riaffiorano in visioni di un ambiente torturato dagli agenti atmosferici, come nel Vento del deserto, che la pennellata descrive drammaticamente, o in momenti di lenta vita serena nel Paesaggio africano (fig. 48), con personaggi che indossano i loro costumi, circondati da animali che cercano nutrimento sulla ondulata campagna, vivificata dai colori vibranti. Tutto è trasfigurato e anche il suggestivo pastello Arabo con cammello (fig. 47), intriso di luce, si traduce «in mondo immaginativo», distanza dal folclore sardo sempre più avvertita, orientata verso nuove scene con occhi diversi che la scrutano.
47. ARABO CON CAMMELLO, 1929 pastello su carta, 25 x 40,2 cm. 48. PAESAGGIO AFRICANO (fine anni Venti), olio su tela, 70 x 90 cm, coll. Comune di Sorso.
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LA TECNICA Il forte impatto emotivo che le opere di Pietro Antonio Manca suscitano e la diversità dalle forme pittoriche degli artisti sardi contemporanei, sono dovuti, soprattutto, all’innovativo uso del colore, svincolato totalmente dalle restrizioni del disegno di contorno, libero di espandersi sulla superficie, per abbozzare forme con punte di pennello di diversa larghezza o densi agglomerati magmatici, con colpi di spatola che utilizzano la materia in modo veloce ed energico. La pittura rapida, il cui ritmo è accentuato da un sapiente uso della tavolozza dai colori infuocati, dagli impasti ricchi, dall’esaltazione delle gradazioni cromatiche complementari 61 quali espressione di luce, rivela la conoscenza del linguaggio dei grandi maestri, dai Veneti del Cinquecento, fino a Delacroix. Le intonazioni sono scelte in modo diverso, a seconda dei dipinti, della tecnica – olio, pastello, matita colorata –, dei soggetti. Molte sono cupe e intense, alcune basate su azzurri e verdi diafani, ma mostrano sempre la superficie graffiata da tratti che si intersecano, rivelando la sofferenza della materia e le ardite sperimentazioni luministiche. Così, il colore crepita, come i bagliori delle fiamme dei fuochi dei bivacchi, con pennellate rapide e sciolte, in uno scenario nel quale i dettagli scompaiono per far emergere i toni smorzati dei rossi, dei verdi, dei bianchi, dei gialli, degli azzurri. L’artista fa uso dei più svariati supporti pittorici – tela, cartone, masonite, compensato, carta, cartastraccia –, utilizzando, spesso, in epoca successiva, anche il retro (figg. 61-62) dove sviluppa temi del tutto differenti, sempre, però, alla ricerca di risultati innovativi. 61. VANNA E EVELINA (1938) olio su tela, 150 x 106,7 cm. Realizzato sul retro del dipinto in fig. 55, raffigura la moglie e l’unica figlia dell’artista. Finito in ogni sua parte, così come il successivo (fig. 62), è un esempio della prassi pittorica di Manca: egli utilizzava costantemente entrambi i versi del supporto, dove spesso il lato frontale è privilegiato solo in quanto concepito per ultimo. 62. PROCESSIONE (anni Trenta) olio su tela, 145,5 x 194,5 cm. Retro dell’opera in fig. 70, risulta interrotto dai montanti lignei del telaio.
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LA SARDEGNA DI PIETRO ANTONIO MANCA
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l mondo di Manca è, naturalmente, quello tradizionale della sua Sardegna in un duplice aspetto: quello rurale, nel quale il pastore e il contadino conducono una vita di faticoso lavoro, e quello paesano che vede l’aggregarsi dei nuclei familiari, lontano, comunque, da quello urbano, come, del resto, avviene nell’opera della maggior parte degli artisti sardi. Il mondo paesano si può cogliere soprattutto nelle case, intorno al focolare, a una tavola imbandita, a una preghiera che precede il pasto; al tempo stesso, nell’aggregarsi di gruppi di amici nelle “bettole”, nei bivacchi, nelle piazze vicine alle chiese, nelle sagre paesane, nelle cerimonie e nelle feste religiose, come quelle intorno al fuoco sacro. Riguardo al mondo rurale sardo si è a lungo discusso, concludendo sulla evidente prevalenza sociale e artistica di quello pastorale su quello contadino. Così si evidenzia in Antonio Ballero, in Giuseppe Biasi, in Filippo Figari, in
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63. ESPRESSIONE DI VITA SARDA, 1930, olio su tela, 53 x 64 cm, Cagliari, coll. Piloni. 64. I MISERABILI, 1933, olio su tela, cm 96 x 99, Nuoro, MAN.
Carmelo Floris; forse solo nell’opera di Mario Delitala il lavoro della terra ha ottenuto il giusto riconoscimento. Anche Manca ha descritto il mondo pastorale con una sensibilità forte e partecipe, alimentata da lunghe osservazioni se non da consuetudini di vita con amici e congiunti; sempre, però, vivificata dalla sua pittura “immaginativa” che traduce, come lui stesso scrive, in «visioni e impressioni di colore» anche «motivi e forme del folclore tradizionale». Allora intitola Espressione di vita sarda (fig. 63) l’opera che espone nel 1930 alla I Mostra Sindacale di Sassari: uomini e donne di Sardegna dei quali non si riconoscono 53
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GIOVANNI MARIA ANGIOY TRA STORIA E LEGGENDA
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interesse di Manca non si esaurisce nell’indagine sulla realtà sarda contemporanea e sulla sua rappresentazione pittorica. Egli studia con passione la storia della sua gente, come dimostra la ricca biblioteca da lui posseduta, a partire dalla figura di Eleonora di Arborea, che nel 1392 diede alla Sardegna uno strumento legislativo di grande importanza, la Carta de Logu, e si esalta davanti ai tentativi delle popolazioni sarde di sottrarsi ai domini stranieri che non avevano cessato, nei vari periodi, di tenerle sottomesse. La sua attenzione nel campo più propriamente storico finisce per concentrarsi, anche nell’attività artistica, nello sforzo di identificare momenti e personaggi
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gloriosi del popolo sardo, spinto a questo interesse anche, e forse soprattutto, dalla sua lunga esperienza nei campi di battaglia, al comando dei gloriosi fanti della Brigata “Sassari”. In seguito allo studio degli storici a lui più noti, Manno, Sulis, Carta Raspi, l’artista ferma l’interesse su un personaggio di primo piano della fine del Settecento e sul suo tentativo di liberare le popolazioni isolane dal dominio piemontese e dallo strapote82. ELEONORA re dei feudatari per dar vita ad una repubblica sarda feD’ARBOREA (primi derata con la Francia: Giovanni Maria Angioy, «che ha anni Settanta), olio su cercato di sollevare i suoi conterranei da un troppo lungo tela, 175 x 175 cm. periodo di servaggio», scriveva Manca, «le cui gesta … 83. IL SEGUITO DI ELEONORA rappresentano realmente le aspirazioni delle collettività D’ARBOREA (primi isolane». La storiografia moderna si è a lungo interessata anni Settanta), olio su a questa discussa figura di uomo politico di primo piano tela, 175,5 x 175 cm.
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118. FIORI DI MANDORLO (1954) olio su cartone, 71 x 49,6 cm. 119. FIORI DI MANDORLO, 1954 olio su tavola, 50 x 35 cm. 120. FIORI DI MANDORLO E RICCI (anni Cinquanta), olio su tela, 70 x 50 cm. 121. FIORI DI MANDORLO, 1954 olio su tavola, 50 x 35 cm.
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DAL PAESE AL MARE. LE SPIAGGE
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l tema delle marine e delle spiagge esercita su Manca un notevole fascino, perché ritenute luoghi privilegiati per la meditazione e l’introspezione. La muta solitudine di uno spazio dove terra e cielo si congiungono, la trova nella marina di Sorso, a Marritza, la cui immagine l’artista trasfigura, semplificandola e reinventandola dall’interno, frutto di una profonda speculazione ai limiti del misticismo, dell’ascetismo. Arriva, pertanto, all’essenza delle cose, pervadendo la scena di lucentezze riverberate dall’acqua, graduate come valore tonale nel gessetto e nell’olio degli anni trenta con la solitaria presenza di uno o più casotti di Marritza (figg. 126-127). Oltre a essere il risultato di una meditazione sofferta, essi mostrano anche la conoscenza, attraverso le mostre nazionali, le Quadriennali soprattutto, delle costruzioni solitarie che Carlo Carrà e Ardengo Soffici avevano sviluppato in opere, eseguite, durante il soggiorno estivo in Versilia del 1927, quali, rispettivamente, Spiaggia a
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126. CASOTTI A MARRITZA – MARINA DI SORSO, 1932, olio su cartone, 14,2 x 23,5 cm. 127. CASOTTO A MARRITZA – MARINA DI SORSO (1930), gessetto su cartoncino, 16,1 x 19,2 cm. 128. CALABONA AD ALGHERO (anni Trenta) gessetto su cartoncino, 15 x 21 cm.
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DOVE VEDERE MANCA
Sassari:
1. Chiesa del Cimitero (figg. 57-58)
Nuoro:
2-7. MAN (figg. 42, 52, 64, 76, 95)
Oliena:
8. Hotel Ristorante Su Gologone
Cagliari: 9-10. Galleria Comunale d’Arte: Pinacoteca (figg. 16, 109) 11. Università degli Studi di Cagliari, Collezione Piloni (fig. 63)
Roma:
Galleria Nazionale d’Arte Moderna (fig. 73)
PER UN APPROFONDIMENTO SULL’OPERA DI PIETRO ANTONIO MANCA: C.E. Oppo, Il pittore Pietro Antonio Manca, Milano, Igiesse, 1955. S.A. Demuro, Pietro Antonio Manca, Firenze, Stiav, 1979. M.L. Frongia, Il mondo immaginario di P.A. Manca (1892-1975) e la sua concezione dell’arte, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari”, 1982. Pietro Antonio Manca, catalogo della mostra retrospettiva, Sassari, Amministrazione Provinciale, 1983. M.L. Frongia, Un percorso dell’arte in Sardegna nel XX secolo, catalogo della collezione MAN (Museo d’Arte Provincia di Nuoro), Amministrazione Provinciale, 1998.
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