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Fotografie della Sardegna nel primo Novecento

ISre

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Il presente volume è stato realizzato in occasione della Mostra promossa dall’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna, in collaborazione con il Comune di Nuoro

GUIDO COSTA Nuoro, Ex Tribunale Piazza Santa Maria della Neve

Fotografie della Sardegna nel primo Novecento

26 maggio-31 agosto 2007

Mostra

Catalogo Supervisione Paolo Piquereddu

Grafica Ilisso Edizioni

Ideazione e supervisione Paolo Piquereddu

Coordinamento editoriale per l’ISRE Rosanna Cicalò

Copertina Aurelio Candido

Progetto Antonello Cuccu

Stampa Longo Spa

Realizzazione Settore Musei dell’ISRE Direzione Franca Rosa Contu

Coordinamento editoriale per l’ILISSO Salvatore Novellu

Cura dei testi e delle didascalie Rosanna Cicalò Avvertenze Nel rispetto del dato documentario si è ritenuto di riprodurre, nella sezione “Catalogo”, la lastra o la pellicola originale nelle condizioni di conservazione attuali; nelle tavole, invece, per consentire la massima godibilità dell’immagine, sono stati apportati modesti interventi di ritocco volti ad attenuare i danni e le alterazioni subite nel tempo. Relativamente alle diapositive, nella sezione “Catalogo”, sono state date le dimensioni della lastrina, non dell’immagine.

Ringraziamenti Desidero ringraziare per la preziosa collaborazione la dr. Cristina Cugia, Sassari, e il dr. Stefano Lucchese, Cagliari. (R. Campanelli) Un ringraziamento speciale e particolare va al sig. Guido Costa, e agli eredi Costa. Si ringraziano inoltre: Biblioteca Universitaria di Cagliari; Biblioteca Universitaria di Sassari; Biblioteca S. Satta di Nuoro; Biblioteca Comunale Centrale di Milano; Museo Civico di Urbania; Editta Costa Delitala; eredi Pino Melis; Piero Cicalò. (R. Cicalò)

Aspetti amministrativi Servizio Amministrativo e AA.GG. dell’ISRE Direzione Antonio Deias Stampe fotografiche tradizionali Luigi Carnevali, Roma Stampe digitali Publiphoto, Nuoro Pannelli e teche Artigianato & Design, Nuoro

Ristampa 2010 © Copyright 2007, Nuoro ISRE, Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna ILISSO EDIZIONI ISBN 978-88-89188-86-6


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Indice

7 Prefazione Paolo Piquereddu

9 Guido Costa, la Sardegna e la fotografia degli anni 1920-30 Riccardo Campanelli

13 Immagini di un professore con fotocamera Rosanna Cicalò

25 Guido Costa, mio nonno Guido Costa

31 Tavole

147 La raccolta dell’ISRE Rosanna Cicalò

153 Catalogo Rosanna Cicalò

187 La cantoniera della strada provinciale: Ricordi Sergio Costa

189 Bibliografia


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Guido Costa con Clifton Adams (a destra), fotografo della National Geographic Society, 1921. Fotografia scattata dal figlio Enrico (Archivio eredi G. Costa)

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Sardegna di Clifton Adams, uno dei fotografi più noti della redazione dell’americano The National Geographic Magazine. L’incontro con il professionista Adams è sicuramente determinante nell’approccio di Costa alla fotografia, da lui utilizzata non solo per raccogliere appunti – secondo il felice slogan coniato qualche anno prima da George Eastman – ma per estendere lo sguardo e fermare nelle lastre i segni degli stimoli e delle curiosità che la Sardegna gli accende. Guido Costa, che vive nel tempo della riconquistata nitidezza fotografica, dopo aver acquisito la necessaria padronanza del mezzo, non si accontenta dell’approccio staccato, da viaggiatore, e il suo album non è soltanto un taccuino di “belle immagini”: è piuttosto la testimonianza di un intellettuale dotato di sensibilità, intelligenza e competenze di cultura visiva non facili da riscontrare nelle fotografie aventi per oggetto la Sardegna in quegli stessi anni. Una delle prime potenzialità che la nitidezza fotografica schiude è la messa in evidenza della tridimensionalità delle figure nello spazio visivo, ovvero delle figure in rapporto al paesaggio o alle architetture, o delle stesse architetture in rapporto al paesaggio, con quegli accorgimenti che oggi si definiscono atti a scansare la piattezza dell’immagine. Senza questa competenza del fotografo a vedere e poi, eventualmente, comporre le figure nello spazio, accade che l’immagine possa risultare piatta, o tendente alla piattezza, ma anche senza apparenza di vita. La tridimensionalità ottenuta da Costa in molte delle sue foto non rientra – è opportuno segnalarlo – nella tridimensionalità in voga per almeno un trentennio, a iniziare dalla fine dell’Ottocento, grazie al successo degli apparecchi fotografici chiamati “stereoscopici”. Due obbiettivi allineati sullo stesso apparecchio consentivano la ripresa di immagini che, per effetto della leggera sfasatura tra di essi, in diapositiva di vetro o su carta, venivano guardate con inusitati e straordinari effetti di rilievo, per mezzo del necessario corredo di occhiali o di un visore. La tridimensionalità che Costa ricerca e raggiunge con la sua macchina ad un solo obbiettivo appartiene alla migliore tradizione delle arti visive, così ben codificata dalle opere di Paolo Uccello e Piero della Francesca, o negli scritti teorico-pratici di Luca Pacioli. Dalla forma ai contenuti delle immagini – segnatamente le foto del Campidano e della Barbagia – l’osservazione minuziosa ci porta a formulare per questa parte del fondo Costa un’ipotesi di confronto tra le immagini e il racconto di viaggio dello scrittore inglese D.H. Lawrence, Sea and Sardinia, pubblicato nel dicembre 1921. Tale è l’effetto di corrispondenza tra molti passi di Lawrence e le immagini di Costa che l’ipotesi che ci porta a vederne un rapporto ci appare molto più che una congettura suggestiva, o magari frutto della casualità. Come abbiamo avuto modo di apprendere dagli elementi biografici di Costa, egli è correntemente al passo con l’informazione culturale – le sue letture, le sue conferenze ce lo ricordano –, in particolare con l’informazione che proviene dal mondo anglosassone, ben testimoniata dal rapporto con il Natio-

nal Geographic Magazine, attraverso il suo lungo testo pubblicato dalla rivista americana nel gennaio 1923. Tradotto in italiano soltanto nel 1961, Sea and Sardinia non sfugge sicuramente all’attenzione e alla lettura di Costa sin dal momento della pubblicazione in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Il racconto del viaggio e soggiorno di Lawrence nell’isola colpisce non solo per la capacità di arrivare al cuore delle cose, ma anche per le straordinarie “qualità visive”: le stesse che oggi si riconoscono ed attribuiscono a quei testi che facilmente diventano copioni cinematografici, sia per il genere di scrittura che per le capacità evocative. Colpiscono, in un raffronto tra le foto del Campidano e della Barbagia di Costa e le pagine di Lawrence, non solo le capacità evocative intorno ai personaggi che incontra, ma anche le

Ritratto di Enrico Costa (Archivio eredi G. Costa)

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“Sardegna dolorante”, in Mediterranea, a. 1, n. 1, gennaio 1927 “Il gregge”, in Mediterranea, a. 1, n. 1, gennaio 1927 e in cartolina “Piccole industrie di Sardegna, i cestini di Sinnai”, in Mediterranea, a. 1, n. 8, agosto 1927

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con due periodici americani, di uno dei quali si dirà più avanti). Purtroppo possono darsi per ora indicazioni generiche poiché, per redigere una bibliografia esaustiva, se non completa, sarebbe necessaria una ricerca ancora più approfondita, necessitante un lungo lavoro di spoglio presso gli archivi e le biblioteche, un impegno sul quale si può affermare non si possa scrivere la parola fine; come per quasi tutte le indagini, il risultato finale non è che l’inizio, perché ogni giorno in più può far emergere qualche nuovo importante elemento.

L’articolo più conosciuto che Costa ha scritto fu pubblicato nel gennaio 1923 dalla rivista National Geographic Magazine di Washington, intitolato “The Island of Sardinia and Its People: Traces of Many Civilizations to Be Found in the Speech, Customs, and Costumes of This Picturesque Land”. Come si evince dal titolo, si tratta di un consistente saggio di settantacinque pagine ricco di notizie sulla storia e la geografia della Sardegna, con approfondimenti sugli aspetti culturali, economici e sociali: una dettagliata guida redatta, con cognizione e passione per la sua terra, allo scopo di far conoscere l’isola all’estero e in particolare agli americani, con l’esplicito invito a visitarla. Il testo è corredato da ottantuno fotografie, in b/n e a colori, queste ultime eseguite – con il metodo Finlay – dal fotografo Clifton Adams dello staff tecnico della National Geographic Society.5 Il testo all’epoca fu lodevolmente recensito dal direttore della prestigiosa rivista e da alcuni giornali non solo locali; in particolare è stato recuperato un articolo pubblicato in quell’anno su La Nuova Sardegna dal titolo “La Sardegna ed il suo popolo”, firmato da un non meglio identificato G.A. Guido Costa fu anche collaboratore di Mediterranea, il mensile nato a Cagliari nel 1927, in pieno periodo fascista, che, come specifica la quarta di copertina, si occupava di cultura e di problemi isolani. Vi apportò il proprio contributo un vasto fronte di intellettuali e artisti non solo di fede fascista, uomini che, pur nel nuovo clima politico, si proponevano di perseguire gli obiettivi economico-sociali del sardismo; fra questi, figura di spicco fu Antonio Putzolu il quale, oltre ad aver concorso alla creazione, nel 1926, del Centro di Cultura ed Educazione della Sardegna, assunse l’incarico di direttore della rivista alla sua nascita.6 Si sa con certezza bibliografica che fu collaboratore costante e assiduo del quotidiano sardo L’Unione Sarda e occasionalmente del settimanale torinese Illustrazione del popolo.7 Dalle stesse testate sono stati recuperati solo alcuni degli articoli da lui firmati: in particolare appare significativo un breve pezzo, apparso nel 1934 in Mediterranea, dedicato alla memoria del succitato fotografo americano Clifton Adams appena scomparso. Ricorda il soggiorno trascorso in Sardegna nel 1921 per realizzare il servizio fotografico per il National Geographic e sottolinea la simpatia del fotografo americano per la Sardegna, regione che avrebbe contribuito a far conoscere e a promuovere in America, grazie alle immagini, alcune riprodotte a colori, realizzate con «una tecnica impeccabile e con un senso d’arte non comune».8 L’articolo apparso su L’Unione Sarda è invece una lunga e circostanziata recensione di un’opera di autore inglese relativa all’analisi dell’evoluzione delle vicende sarde durante il periodo fascista.9 I pezzi pubblicati sull’Illustrazione del popolo sono due articoli inerenti rispettivamente all’artigianato tradizionale della Sardegna e alla storia locale.10 Nel 1902 scrisse e pubblicò a Sassari una monografia bilingue dal titolo Canti patriottici inglesi, una selezione curata


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dal professor Costa (così era conosciuto dai suoi contemporanei) sull’opera La Poesia patriottica in Inghilterra.11 Grazie alla conoscenza della lingua, instaurò rapporti epistolari con corrispondenti inglesi di cui però non è rimasta traccia se non nel ricordo del nipote che rammenta in particolare quello intercorso con Clifton Adams e, alla sua morte, con la vedova. La vocazione filantropica e le competenze linguistiche lo portarono a stabilire e mantenere costanti contatti con la Croce Rossa Americana, di cui era un estimatore e ammiratore per tutte le azioni che tale associazione umanitaria aveva attivamente compiuto in Sardegna, soprattutto in campo sanitario, e in particolare per il supporto agli istituti religiosi e benefici che si occupavano di bambini malati e bisognosi. La riconoscenza e ammirazione nei confronti degli americani è dichiarata apertamente, e non a caso, nel citato saggio del National Geographic Magazine: ricordando il doloroso tributo versato dai sardi durante il primo conflitto mondiale, peraltro non riconosciuto dalla madrepatria, tiene a evidenziare quanto invece avrebbe fatto la Croce Rossa Americana per i sardi, enfatizzando non poco tale organizzazione, che avrebbe insegnato ai sardi come educare i propri giovani.12 Secondo alcuni riscontri trovati nell’archivio dell’Istituto Tecnico dove insegnava e soprattutto secondo quanto racconta il nipote, grazie alla rete di relazioni, nonché alla fama di oratore e di intrattenitore, fu invitato a tenere conferenze inerenti alla cultura e alla storia sarda, oltre che nel capoluogo anche nei paesi dell’interno dell’isola; nell’immediato secondo dopoguerra tenne ancora una serie di conferenze in lingua inglese, dinanzi agli americani di stanza a Cagliari, sulle tradizioni della Sardegna che auspicava venissero conosciute anche all’estero. In sifatte occasioni, inoltre, in quanto studioso di letteratura inglese, argomentava di scrittori e poeti anglosassoni; dava poi rendiconto di tali incontri culturali nel quotidiano L’Unione Sarda. I locali dove il professor Costa teneva le conferenze, a Cagliari, cambiavano con la stagione: d’estate presso lo Stabilimento d’Aquila al Poetto e d’inverno al Teatro delle Saline. Traccia di una di queste lezioni si trova nell’unico contenitore di diapositive/lastrine in vetro che gli eredi ancora conservano: in esso è leggibile un appunto manoscritto in cui è scritto testualmente: «Conferenza in Inglese alla Croce Rossa Americana 30 agosto 1944. Operatore alla macchina Signorina Croce Rossina Helen Holton. Numero lastrine 68». La versatilità lo portava ad affiancare alle sue relazioni la proiezione, per mezzo della lanterna magica, delle lastrine in vetro realizzate non soltanto da lui ma anche da altri fotografi; in altri casi utilizzava le immagini come principale intrattenimento e durante il loro scorrere le commentava avvalendosi dell’accompagnamento al pianoforte per creare una particolare atmosfera, come una sorta di colonna sonora. Infatti, sempre da dilettante, suonava lo strumento e, pare, amasse scrivere brevi composizioni; così, come cultore dei canti patriottici popolari inglesi (di cui è stata già citata una pubblicazione), li presentava al

pubblico degli estimatori con un sottofondo musicale, contribuendo, anche grazie alla sua traduzione, a farli conoscere al pubblico, in particolare cagliaritano. Si cimentò anche nella pittura (è conosciuto un olio su tela conservato nel Convento dei Cappuccini a Cagliari) e nel disegno; talvolta ne sperimentava la tecnica con quegli allievi con cui aveva evidentemente instaurato un particolare feeling e che posavano come modelli (raccolti in un album, di proprietà degli eredi, sono rimasti alcuni schizzi a matita). Era anche appassionato d’opera: lo documentano alcune lastrine in vetro, in cui sono presenti il ritratto della cantante-attrice sarda, il soprano Carmen Melis (1885-1967), e alcune riprese effettuate durante le rappresentazioni drammatiche all’Anfiteatro Romano di Cagliari (datate in parte 1916). Come è emerso da quanto già esposto, una figura poliedrica come Guido Costa non poteva non interessarsi anche di fotografia e, seppure praticata come hobby, e dunque da dilettante – ma con risultati ottimi a detta dei conoscitori delle sue immagini –, considerava tale medium un ottimo complemento e ausilio per illustrare le conferenze e documentare i propri scritti. Le sue immagini, apparse nell’arco dei primi trent’anni del Novecento in diverse opere, vengono tuttora utilizzate per qualche pubblicazione, anche se la conoscenza della sua attività fotografica oggi è scarsamente nota tanto da non comparire

“Ozieri”, in Mediterranea, a. 3, n. 4, aprile 1929 “Sardegna pittoresca, Villacidro”, in Mediterranea, a. 4, n. 1, gennaio 1930; a. 4, n. 4, aprile 1930

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Giovani donne in abito tradizionale di Desulo (Archivio Touring Club Italiano)

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o essere appena citata in quei pochi saggi che sono stati scritti sulla fotografia in Sardegna. Più o meno la stessa sorte riservata agli scritti di cui, per i più, se ne è praticamente persa la traccia.13 Non è dato sapere con esattezza quando Costa sviluppò l’interesse per la fotografia né se qualcuno lo iniziò a tale pratica, ma è probabile che ciò sia avvenuto molto presto se già intorno alla fine dell’Ottocento (secondo fonti familiari) sfruttava le conoscenze studentesche di chimica per preparare personalmente i materiali fotosensibili e le emulsioni delle lastre fotografiche – in tempi in cui iniziavano ad essere già disponibili le lastre pronte alla gelatina secca, commercializzate soprattutto dalla nota ditta milanese Capelli, una produzione che semplificava notevolmente il lavoro del fotografo – e talvolta su quelle impressionate interveniva manualmente con coloranti all’anilina. Tracce di ritocco con colore sono visibili, peraltro, anche in un paio di lastre del Fondo ISRE, ma soprattutto in alcune diapositive/ lastrine in vetro (al-

cune al collodio) che rappresentano paesaggi e ritratti in costume sardo: queste sono colorate integralmente con effetti cromatici davvero notevoli. Con il procedimento alla gelatina al bromuro d’argento la fotografia andava conoscendo una diffusione veramente impensabile appena qualche anno prima. Questo metodo, inventato nel 1871 da Richard Leach Maddox e via via perfezionato da altri, permetteva quasi a tutti di fare fotografie discrete. I compiti affidati in passato al fotografo comprendevano una serie di operazioni delicate e non semplici che richiedevano una complessa attrezzatura e specifiche competenze tecniche: come ricordano i ricercatori dell’équipe di Pierre Bourdieu, «egli [il fotografo] doveva controllare l’azione della luce sulle emulsioni, scegliere l’apertura del diaframma in funzione della rapidità d’otturazione, preparare i bagni per sviluppare i clichés: queste molteplici operazioni, in mancanza di apparecchi speciali o a causa del carattere rudimentale dell’attrezzatura (e soprattutto a causa delle difficoltà d’impiego di superfici sensibili il cui tempo d’esposizione era molto limitato) esigevano tatto e abilità nell’utilizzazione di un’infinità di ricette parcellari».14 Non è da escludere che Costa sia stato incoraggiato a conoscere e ad utilizzare l’apparecchio fotografico dal padre Enrico, il quale si interessò alla scoperta della nuova tecnica e, pur con posizioni contrastanti, partecipò all’appassionato dibattito dei primi anni sulla fotografia. Sullo sviluppo di questa in Sardegna espresse dapprima un’opinione non proprio favorevole, soprattutto nei confronti dei dilettanti che l’avrebbero vissuta come una mania; nel 1896, in occasione dell’Esposizione Artistica Sarda, con lo pseudonimo Actos, scriveva: «La fotografia ha invaso il campo della pittura … tutti sono oggi fotografi con una buona macchina da seicento lire … quanti bravi fotografi di professione si prestano a procacciare la fama ed il lustro a dilettanti guastamestieri! agli eterni dilettanti, che piombano come le cavallette d’Egitto sulla magra tavola dei pittori, degli scultori, dei pianisti, dei commedianti».15 La posizione di Enrico Costa ricorda quella assunta, nei primi decenni della nuova scoperta, da diversi artisti e alcuni letterati; viene in mente, in particolare, il poeta e scrittore francese Charles Baudelaire che nel 1859 (dunque già molti anni prima di Enrico Costa) lanciò un’invettiva contro tutti quei “pittori mancati” che avrebbero trovato nella fotografia un rifugio dopo aver fallito nella pittura; erano i tempi in cui si discuteva sull’artisticità o meno della fotografia, soprattutto di quella cosiddetta pittorica.16 Successivamente Enrico Costa rivide in parte la sua posizione: nell’opera sulla storia di Sassari, terminata nel 1909 poco prima della morte, in un paragrafo dedicato alla fotografia in Sardegna, e in particolare a Sassari, scriveva: «L’arte fotografica fece anche da noi immensi progressi e si ebbero molti e buoni fotografi ed anche molti buoni dilettanti che danneggiarono i professionisti».17 Parrebbe dunque che il padre non avesse grande simpatia soprattutto per i dilettanti e, considerato che quando


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concluse l’opera succitata Guido aveva superato i trent’anni, è molto probabile che già da allora avesse sviluppato un autonomo interesse per la fotografia nonostante le “antiquate” posizioni paterne sull’argomento e l’ostilità per i dilettanti dei quali Guido andava ad arricchire le fila. A quanto pare, una delle occasioni per realizzare non poche delle sue immagini sono state le gite scolastiche che, come insegnante e accompagnatore degli allievi, lo portavano a visitare i paesi della Sardegna; in tali circostanze rivolgeva l’obiettivo sui luoghi e li fissava nelle lastre costituendo vere e proprie annotazioni visive della gita; molte di queste sono andate purtroppo perdute. Era il periodo in cui in Italia, almeno tra la media borghesia, iniziava a crescere il turismo e a diffondersi la pratica della fotografia, particolarmente legata al viaggiare e alla disponibilità di tempo libero; l’istituzione del Touring Club Italiano, inoltre, aveva favorito la nascita e lo sviluppo della fotografia amatoriale. Questi nuovi fotografi non erano in genere di umili condizioni, ma appartenevano ad un ceto sociale in grado di permettersi un hobby di questo tipo; infatti la massificazione si verificò soltanto nell’ultimo dopoguerra, intorno agli anni Cinquanta del Novecento. I segni, che questi spesso anonimi dilettanti seppero con intelligenza fissare sulle lastre, costituiscono un apporto prezioso anche per il livello qualitativo raggiunto. Come affermano gli studiosi di fotografia, il confi-

ne tra dilettante e professionista non ha molto valore: esistono infatti immagini scattate da anonimi dilettanti che sono interessanti e di alta qualità quanto quelle realizzate dai fotografi passati alla storia della fotografia. Guido Costa andava dunque ad arricchire quella nutrita schiera di fotoamatori che il Touring stesso sollecitava all’uso di questo importante mezzo di comunicazione ai fini della diffusione di un turismo consapevole, inteso come conoscenza e osservazione di diverse realtà. E proprio la rivista mensile del TCI, Le vie d’Italia, pubblicò in diversi fascicoli le fotografie di Costa, di alcune delle quali l’archivio ISRE conserva il negativo originale.18 Questa chance gli fece acquisire evidentemente la consapevolezza della qualità delle immagini da lui realizzate (considerato che vennero pubblicate negli anni in cui era in vita) e pertanto su alcune di queste iniziò anche ad apporre in calce, sul recto o sul verso, l’autografo: «Prof. Guido Costa». Seppure firmare le immagini fotografiche sia ritenuto, in alcuni ambiti di studio estetici, di cattivo gusto,19 è proprio grazie a questa sorta di copyright che è oggi possibile individuare diverse delle sue produzioni. Apporre la firma, tra l’altro, non è una prerogativa dell’arte grafica e pittorica; molti altri fotografi di fine Ottocento e dei primi Novecento usavano siglare le loro realizzazioni così come tuttora fanno alcuni grossi nomi della fotografia. Se può essere vista come una forma di orgogliosa

Anziani di Pirri (Archivio Touring Club Italiano)

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Il lago Omodeo visto dal ponte di Tadasuni (cat. n. 108) (Archivio eredi G. Costa) Sadali, 16 agosto 1917 (cat. n. 87) (Archivio eredi G. Costa)

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(1891) procedimenti fotografici sperimentati per ottenere il colore,23 e pare si sia cimentato, inoltre, con la stampa alla gomma. Viene ancora in mente una foto, pubblicata in Mediterranea nel fascicolo n. 8 dell’agosto 1927, facente parte di quelle tavole fuori testo definite, guarda caso, “Sardegna pittoresca” e recante la didascalia «Piccole industrie di Sardegna, i cestini di Sinnai» (qui a p. 16). L’immagine si mostra fortemente connotata dai canoni compositivi di matrice pittorica: realizzata in un interno in penombra, illuminato dal lume di una candela che focalizza l’attenzione di chi guarda come fosse l’unica fonte di luce, illustra un ambiente spoglio, arredato appena da un tavolo – su cui è poggiato, oltre al lume, un cestino –, da un fascio di giunchi e da un setaccio appesi alla parete; il barlume si proietta direttamente su una donna seduta di lato al tavolo, assorta nel lavoro d’intreccio in una atmosfera di raccoglimento. Se non si può parlare di adesione formale alla corrente della fotografia artistica-pittorica, certo si può affermare che nell’immagine appena descritta traspaia la vicinanza ad un certo clima culturale, la personale, seppure dilettantesca, esperienza artistica di pittore e disegnatore oltre che l’influenza derivata dalla frequentazione dell’ambiente pittorico sardo contemporaneo (il riferimento è, in particolare, a Felice Melis Marini, pittore ma anche illustratore, tra l’altro, di diverse copertine di Mediterranea). Tuttavia dal confronto con i media tradizionali e manuali (pittura e disegno) emerge con evidenza la distanza che intercorre tra questi e la fotografia, proprio per la capacità descrittiva dei dettagli che questa possiede e che non possono essere registrati dalla mano con i mezzi tradizionali di rappresentazione iconografica. D’altra parte, come sottolinea Ando Gilardi, la fotografia ha le sue radici nei procedimenti per realizzare figure che l’hanno preceduta nel tempo (appunto la pittura, il disegno, l’incisione, la litografia) e di questi non è che l’ultimo, quello che aggiunge alle proprie le possibilità di tutti gli altri; per ciò infatti non si può capire appieno la fotografia senza qualche nozione generale di iconografia.24 Il tentativo di inquadrare il personaggio induce anche a dire che, nonostante sia vissuto in pieno periodo fascista, non lo si può avvicinare a quei fotografi, presumibilmente fedeli all’ottica di Regime, che hanno puntato l’obiettivo sui segni più vistosi prodotti dallo Stato, come per esempio le architetture civili. Se si eccettua la documentazione fotografica sulla monumentale costruzione della diga del Tirso (due esemplari della raccolta), l’attenzione di Costa si concentra piuttosto sulle costruzioni religiose e rurali, sulla gente semplice, contadini, pastori, artigiani, e il prodotto del loro lavoro – non è però da escludere che, anche in tali scelte di soggetti, non vi fossero particolari richieste o pressioni esterne. Le molteplici attività, soprattutto in campo filantropico, lo portarono a ricoprire per tanti anni compiti di rilievo all’interno della Croce Rossa Italiana, di cui divenne membro effettivo e dirigente. Con questo ruolo fece parte, insieme al personale medico e paramedico, di una delle équipe destinate ai luoghi malsani e paludosi dell’isola,


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dove era diffusa la malaria, per la distribuzione del chinino alla popolazione. L’assistenza prestata dalla Croce Rossa è documentata in tre immagini della raccolta ISRE: Costa, infatti, portava sempre con sé la fotocamera e, nelle diverse tappe effettuate durante la campagna sanitaria, usava fissare tali interventi con il suo apparecchio fotografico. Negli anni 1919-20 fu incaricato di fotografare momenti e situazioni presso le colonie gestite dalla Croce Rossa e da istituti benefico-religiosi, in particolare le Vincenziane. Le immagini, interessanti documenti, sono estremamente intense e ricche di spontaneità, denotano l’umanità e la sensibilità dell’autore, l’occhio speciale e riguardoso nel riprendere i bambini, l’attenzione e tenerezza soprattutto per quelli malati o sottoposti a condizioni di disagio e povertà.25 L’interesse per i giovanissimi è documentato anche dalla raccolta dell’archivio ISRE nella quale i soggetti, prevalentemente scalzi con indosso gli abiti semplici della quotidianità, sono rappresentati in intense istantanee di assoluta naturalezza; qualcun’altro invece, talvolta vestito a festa, disposto volutamente in posa, evidenzia un rapporto quasi di complicità con l’autore della ripresa o comunque la piena consapevolezza di essere davanti all’obiettivo del fotografo. Si conoscono inoltre altre immagini che rappresentano ragazzini orfani di guerra e figli di grandi invalidi, pubblicate negli anni Ottanta del Novecento.26 Va tuttavia precisato che, seppure amasse riprendere i bambini e i giovani in generale, non ci si trova davanti al caso di una fissazione tematica, di quelle, per intendersi, che portano la firma perfino di grandi autori della fotografia.27 Relativamente alla diffusione e conoscenza presso un vasto pubblico, le immagini di Guido Costa furono pubblicate, come già accennato, oltre che in periodici o opere monografiche, anche sotto forma di cartoline: l’archivio iconografico ISRE ne possiede una decina afferenti alla collezione del Fondo Colombini e altre di varia provenienza, tutte facenti parte della raccolta di cartoline illustrate d’epoca. Viceversa una coppia di negativi della raccolta ISRE è stata riprodotta in cartolina (tomba di Giuseppe Garibaldi a Caprera e ambulanti di Gavoi): una rarità, se si pensa che la maggior parte dei negativi originali delle cartoline è andata perduta; le stesse stampe in fotomeccanica sul supporto cartolina si trovano ormai sempre più raramente anche nei mercati antiquari. Risulta inoltre che diverse immagini (un paio presenti nella raccolta ISRE) siano conservate nell’immenso archivio del Touring Club Italiano a Milano28 (si tratta di stampe all’albumina) e, come già precedentemente segnalato, nella Biblioteca Comunale di Urbania (negativi in lastre di vetro) e presso gli eredi Pino Melis a Roma (stampe all’albumina). Si suppone, inoltre, che varie stampe, o negativi, siano sparse presso privati, ricevute in dono direttamente dall’autore, notoriamente generoso; alcuni esemplari sarebbero presenti nella così detta “collezione fotografica Cosentino” pubblicata dall’Unione Sarda negli anni Novanta del Novecento.

Riguardo ad informazioni di carattere più specificatamente tecnico, in particolare relativamente al tipo di apparecchio fotografico che Costa avesse posseduto e utilizzato nel corso della sua esistenza, si ha notizia di tre tipi di fotocamere. La prima era una Thornton-Pickard, di produzione inglese; l’obiettivo era un Goerz di produzione tedesca. Macchine di tipo simile (con corpo in legno di mogano e particolari in ottone) erano definite “campagnole”: infatti, montando lastre 13 x 18 cm, più facili da trasportare e relativamente più semplici nell’uso rispetto a quelle di grande formato (di 24 x 30 cm e oltre, in dotazione negli studi dei professionisti), venivano usate dagli escursionisti della domenica e dai dilettanti in genere. L’altra fotocamera, che montava invece lastre nel formato 9 x 12 cm, era una Voigtlander, di produzione tedesca, anch’essa a soffietto ma con corpo metallico, molto più maneggevole e adatta per istantanee, poiché non necessitava del cavalletto. La terza macchina fotografica, utilizzata da Costa nell’ultimo periodo della vita (e che non riguarda i negativi della raccolta ISRE oggetto di questo studio), era una Rolleicord 6 x 6 cm con obiettivo Zeiss.

Scorcio di un paese dell’interno dell’Isola (cat. n. 148) (Archivio eredi G. Costa)

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Cagliari, Anfiteatro Romano, i preparativi per la scena, 3 maggio 1919 (cat. n. 8) Cagliari, il pubblico dell’Anfiteatro Romano (cat. n. 7)


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Cagliari, Anfiteatro Romano, rappresentazione dell’Oreste (4 maggio 1919) (cat. nn. 10, 9)


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Pirri, pulizia e lavaggio della lana, ante 1920 (cat. n. 12)


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Assemini (cat. n. 54) Assemini (cat. n. 55)

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Assemini, Vincenzo Farci al tornio nel laboratorio di Federico Melis, 11 novembre 1926 (cat. n. 57)


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Assemini, interno del laboratorio d’arte ceramica di Federico Melis, 11 novembre 1926 (cat. n. 58)

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Sinnai (cat. n. 19) Settimo San Pietro (cat. n. 17)


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Vigneto (cat. n. 26) Soleminis (cat. n. 25)

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Dolianova, cattedrale di San Pantaleo, facciata, ante 1926 (cat. n. 27)


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Dolianova, cattedrale di San Pantaleo, interno, ante 1926 (cat. n. 29)

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Guido Costa

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Pane di San Giovanni (Fonni), ante 1937 (cat. n. 144)


Guido Costa

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Sardegna centrale (cat. n. 145)


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Nuoro (cat. n. 151)

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sui quali è inchiodato il tavolato sostenente la copertura di piombo». Pubblicata anche in V. Mossa, S. Gavino di Torres: impianto, inserti, restauri, 1988, p. 32.

170. Alghero (SS) – Vista dalla torre detta “di Sulis” (G. Costa) diapositiva su lastrina di vetro 80 x 80 mm (tracce di viraggio? - autografa) (Archivio eredi G. Costa) 174. Sennori, ante 1927 negativo su lastra di vetro 180 x 130 mm (Archivio ISRE, Fondo Costa: n. acquis. 110, inv. 370)

172. Osilo (SS) – In attesa delle corse diapositiva su lastrina di vetro 80 x 80 mm (Archivio eredi G. Costa)

Sennori (SS) – Con lo sfondo di un muro in pietra, due giovani donne vengono riprese, visibilmente disposte in posa per la foto, con un cestino in mano. Sfoggiano l’abbigliamento tradizionale nella variante festiva; si osserva in particolare il complesso copricapo costituito da una serie di fazzoletti sovrapposti alla benda, caratteristico anche di alcuni paesi del Centro dell’isola. «Ci vorrebbero molte pagine per dare una descrizione dei diversi pezzi che compongono il costume sardo femminile» (ISP in NGM, p. 70). Pubblicata in Le vie d’Italia: Rivista mensile del Touring Club Italiano, a. 33 (1927).

171. Porto Torres, basilica di San Gavino, interno, ante 1927 negativo su lastra di vetro 130 x 180 mm (Archivio ISRE, Fondo Costa: n. acquis. 39, inv. 301) Porto Torres (SS) – Interno della basilica di San Gavino (fine XI-metà XII sec.). Viene inquadrata in particolare la parte della navata centrale e il presbiterio con l’altare maggiore (sotto il quale si trova una cripta) rivolti a occidente. L’immagine documenta lo stato della basilica (a tre navate doppiamente absidata) antecedente ai lavori di eliminazione delle soprastrutture dell’altare maggiore e del coro, entrambi di epoca seicentesca. Con la ristrutturazione, effettuata dalla Soprintendenza alle Antichità nel 1938, l’interno venne infatti trasformato e fu ubicato un unico altare nell’abside orientale contrapposta. Pubblicata in Mediterranea: rivista mensile di cultura e di problemi isolani, a. 1, n. 7 (lug. 1927) con la didascalia dell’autore: «Portotorres (Prov. di Sassari), interno della Chiesa di San Gavino di Torres. Questa chiesa per mole, per grandiosità di linee e per vicende storiche, che ad essa si connettono, eccelle fra i monumenti arcaici della nostra architettura medioevale. La navata centrale, qui riprodotta, è – come dice lo Scano (Storia dell’Arte in Sardegna) – sostenuta da ventidue colonne monolitiche e da sei massicci pilastri in pietra concia, che non possono considerarsi come un restauro posteriore, poiché incardinati anche come tecnica murale alla restante costruzione. L’armatura del tetto è a vista ed è composta di cinquantotto cavalletti di rovere

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173. Sennori, ante 1927 negativo su pellicola 120 x 90 mm (stato di conservazione della lastra mediocre: schiarimento dell’emulsione) (Archivio ISRE, Fondo Costa: n. acquis. 90 ter, inv. 351) Sennori (SS) – Donna con l’abito tradizionale del paese nella variante festiva o di gala, fastosa e ricca soprattutto nelle maniche del giubbino ricoperte da un ricamo in canutiglia d’oro che, non a caso, viene posto in evidenza all’obiettivo del fotografo. Il bianco e nero non dà conto della policromia dei tessuti e dei ricami di questo come degli altri costumi dell’isola riprodotti nella raccolta. La foto è stata pubblicata a colori (in cromofotografia) in Mediterranea: rivista mensile di cultura e di problemi isolani, a. 1, n. 5 (mag. 1927) con la didascalia: «Sennori, costume di gala, da una Superchromophotography del Prof Guido Costa».

175. Sennori (SS) – Scene di villaggio diapositiva su lastrina di vetro 80 x 80 mm (trattata con viraggio) (Archivio eredi G. Costa)


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178. Donne in abito tradizionale del Sassarese, ante 1927 negativo su pellicola 130 x 180 mm (stato di conservazione della lastra discreto: tracce di microrganismi – muffe – nell’emulsione) (Archivio ISRE, Fondo Costa: n. acquis. 119, inv. 379)

176. Sedini – Coghinas (SS) – Chiesa pisana di S. Maria diapositiva su lastrina di vetro 80 x 80 mm (trattata con viraggio) (Archivio eredi G. Costa)

Area del Sassarese – Su di un carro a buoi, con conduttore a margine della foto, viene ripreso un gruppo di giovani donne che indossano i fastosi abiti tradizionali di gala riferibili all’area indicata; la foto (come la n. 156) potrebbe essere stata scattata in occasione di una festa o una sagra. «Benché i costumi siano una forma di lascito familiare trasmesso da madre a figlia, essi non durano in eterno. Una giovane sposa non è in grado di sostenere la spesa per farsene fare uno tutto per sé. Dalla fine della guerra i prezzi del broccato e della seta sono aumentati di quattro o cinque volte e così è successo per i gioielli. Come può una ragazza contadina di Osilo, che sta per sposarsi, spendere 800 dollari per un costume completo della festa? Si deve accontentare di un vestito che, essendo disegnato dalla propria fantasia, ha perso le caratteristiche migliori del costume originale. Inoltre gli agricoltori e i contadini ricchi del paese sono abituati a mandare i propri figli e figlie nelle città più vicine per frequentare le scuole superiori. Quando i ragazzi e le ragazze ritornano a casa essi non indosseranno più i costumi tradizionali, ma vorranno vestirsi all’ultima moda europea» (ISP in NGM, p. 71). Pubblicata in Le vie d’Italia: Rivista mensile del Touring Club Italiano, a. 33 (1927).

181. Sardegna settentrionale negativo su lastra di vetro 90 x 120 mm (stato di conservazione della lastra pessimo: frattura trasversale e angolo dx superiore mancante) (Archivio ISRE, Fondo Costa: n. acquis. 19 bis, inv. 281) Località non precisamente individuata: area settentrionale – Coppia a cavallo ripresa quasi in controluce: l’uomo indossa il caratteristico mantello con cappuccio in orbace (saccu), la donna una gonna ribaltata sulle spalle come copricapo (che ha consentito l’individuazione dell’area di appartenenza geografica). «I cavalli sono addestrati a portare due persone, le donne cavalcano dietro gli uomini. Le selle sono opere d’arte in cuoio di diversi colori, decorate con bottoni di osso e tasche. C’è sempre un predellino sul lato per i piedi del cavaliere» (ISP in NGM, p. 51).

177. Anglona negativo su lastra di vetro 180 x 130 mm (Archivio ISRE, Fondo Costa: n. acquis. 104, inv. 364) Anglona (Sennori o Nulvi? – SS) – Ripresa sotto un arco oltre il quale si intravedono le abitazioni in granito tipiche della zona, una donna indossa l’abbigliamento tradizionale dell’area di riferimento con la caratteristica gonna rialzata a copricapo. La definizione attribuita a tale figura dall’iconografia ottocentesca è “portatrice d’acqua”: infatti la donna sostiene sul fianco un mastello in legno (il contenitore tradizionale per la raccolta dell’acqua alla fonte).

179. Castelsardo (SS) – L'ovile con vista del mare diapositiva su lastrina di vetro 80 x 80 mm (Archivio eredi G. Costa)

182. Olbia-Terranova – Il piccolo porto diapositiva su lastrina di vetro 80 x 80 mm (Archivio eredi G. Costa)

180. Aggius (Olbia-Tempio) – La catena dei monti di Aggius vista da Tempio diapositiva su lastrina di vetro 80 x 80 mm (Archivio eredi G. Costa)

183. Golfo Aranci (Olbia-Tempio) – L'isola di Figarolo diapositiva su lastrina di vetro 80 x 80 mm (Archivio eredi G. Costa)

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avvenne che Enrico Costa, suo padre, aveva scritto quel libro. Una sera (così disse) Enrico Costa era uscito da casa; ad un tratto si presentò alla porta un vecchio, in barba bianca, vestito in costume, il quale chiese di parlare con lo scrittore: le figlie gli chiesero chi fosse, ed egli disse di essere Giovanni Tolu (famoso bandito, ormai vecchio, che, avendo saldato il conto con la giustizia era in libertà); a sentir nominare quel terribile nome, le ragazze scapparono spaventate, ma non c’era certo ragione di temere quel povero vecchio, il quale, analfabeta, aveva deciso di scrivere le sue memorie, e si era rivolto ad Enrico Costa perché gliele mettesse per iscritto; cosa che lo scrittore fece, appunto con quel libro. Il capocomico si divertì molto a questo racconto, ed allora ne fece l’oggetto di un prologo alla commedia: soltanto che, avendo a disposizione una sola ragazza, mise in scena insieme a lei il primo attor giovane, e costoro fecero molto bene la scena della fuga e dello spavento allorché il bandito si presentava in casa dello scrittore. Io assistevo con mio zio ed i miei cugini allo spettacolo, e nel vedere questa scena mio zio dichiarò agli astanti a voce alta che egli non era scappato: mio zio assisté molto soddisfatto ai primi tre atti della commedia, ma all’inizio del quarto se ne andò accusando un mal di testa; si era infatti informato ed aveva appreso che in quell’atto si rappresentava il conflitto a fuoco con i carabinieri, e vi erano molti spari… Come ho detto mio zio Guido era professore d’inglese, ma non si limitava ad insegnare ai suoi allievi la grammatica, e parlava di tutto: di fotografie, di arte, di musica. Una volta, ricorrendo non so quale centenario di Shakespeare, fece preparare ai suoi alunni una pergamena, che inviò al Comitato dei festeggiamenti a Stratford-on-Avon; capitò lì per caso l’ambasciatore d’Italia, che vedendo tra le cose esposte questa pergamena, segnalò la cosa al Ministero, che rivolse a zio Guido un vivo elogio. Ad un dato momento mio zio, che aveva pochi mezzi, e aveva quindi viaggiato molto poco, trovò il mezzo di visitare l’Italia; tutti gli anni andava in una città diversa per gli esami di Stato, e con un piano sistematico conobbe così tutte le regioni della nostra patria, poiché non si limitava certo a fermarsi nel centro dove faceva gli esami, ma profittava per far moltissime gite. Un certo anno andò a Napoli, ed una sera, passeggiando per Posillipo, credo, vide un bellissimo giardino di aranci, che poi era un caffè sul mare: entusiasmato del luogo, per la cornice di aranci, il mare, il tramonto, il Vesuvio, scrisse lì per lì una poesia, ma anziché tenersela in tasca (come certo avremmo fatto io e voi) la presentò al padrone del locale; costui, entusiasta, gli chiese il permesso di pubblicarla, cosa che infatti fece; stampandola su foglietti che regalava agli avventori; e poiché mio zio gli aveva dato questo consenso gratis (naturalmente) lo invitò a recarsi per tutto il tempo che sarebbe stato a Napoli nel giardino, e consumare tutto quello che avrebbe desiderato; cosa che mio zio (che era altrettanto goloso quanto generoso) fece. Mio zio mi raccontava anche, che, sempre quell’anno a Napoli, nella pensione ove abitava aveva conosciuto una artista di canto, e spesso il dopocena l’accompagnava al 188

pianoforte (sapeva suonare un pochino); era molto soddisfatto nel dirmi che, spesso, sotto la finestra si radunava un piccolo pubblico, che applaudiva e chiedeva bis… Questo era mio zio Guido, dalla barbetta a punta e gli abiti in disordine, simpaticissimo e divertente, chiaccherone, che spesso mi ha fatto passare delle ore veramente simpatiche; dal suo modo di concepire la vita, ci sarebbe certo da imparare qualche cosa.

1. Sergio Costa (1904-81) era nipote di secondo grado di Guido (il padre di Sergio era figlio di Federico Costa, fratello di Enrico, il celebre scrittore), professore universitario, specialista di diritto processuale civile, già Rettore Magnifico dell’Università di Sassari che, al di là dei numerosi studi accademici di diritto, si dilettava a scrivere romanzi, alcuni dei quali pubblicati, come All’ombra del Castello di Sassari, ovvero La lettera di cambio: romanzo storico sardo. Il testo qui presentato è un documento dattiloscritto inedito, una sorta di memoriale, messo a disposizione dalla figlia Editta, stilato da Sergio Costa intorno agli anni Sessanta del Novecento e dedicato a persone appartenenti alla famiglia o comunque legate ai Costa; un paio di pagine, appunto quelle qui pubblicate, sono dedicate allo zio Guido Costa.


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Bibliografia

Bibliografia

Riccardo Campanelli

Rosanna Cicalò

The National Geographic Magazine, vol. XLIII, n. 1 (January 1923).

Nella bibliografia relativa ai testi e alle fotografie di Guido Costa, sono state riportate, in ordine cronologico, solo le opere reperite e consultate: pertanto non è da ritenersi esaustiva così come la bibliografia generale che, secondo lo stesso principio ordinativo, elenca, tra quelle consultate, solo le fonti ritenute più utili e significative per l’oggetto studiato (mancano quelle pertinenti vari temi e discipline, esaminate, in totale assenza di indicazioni, per l’identificazione dei soggetti rappresentati e per la redazione delle schede di catalogo).

R. Bonu, Scrittori sardi nati nel secolo XIX: con notizie storiche e letterarie dell’epoca, Sassari, Gallizzi, 1961. D.H. Lawrence, Libri di viaggio e pagine di paese, Milano, A. Mondadori, 1961. M. Fulton Margolis, Camera Work: A Pictorial Guide, New York, Dover Publications, 1978. C. Bertelli, G. Bollati, Storia d’Italia: Annali, 2: L’immagine fotografica 1845-1945, Torino, G. Einaudi, 1979. E. Earle, The Stereograph in America: A Cultural History, Rochester (New York), Visual Studies Workshop Press, 1979. Camera, n. 12, 1980; testi di A. Porter, J. Fontcuberta. P. Tausk, Storia della fotografia del XX secolo, Milano, Mazzotta, [1980]. V.D. Coke, Avanguardia fotografica in Germania 19191939, Milano, Il Saggiatore, 1982. O. Maccioni, Cagliari, fra cronaca e immagini: la fotografia in Sardegna dal 1839 al 1943, Cagliari, 3T, [1982]. B. Newhall, Storia della fotografia, Torino, G. Einaudi, 1984. E.H. Gombrich, L’immagine e l’occhio, Torino, G. Einaudi, 1985. Du bon usage de la photographie, Paris, Centre National de la Photographie, [1987]. J.-C. Lemagny, A. Rouillé, Storia della fotografia, Firenze, RCS Sansoni, 1988. August Sander: Eine Reise nach Sardinien: Fotografien 1927, Hannover, Sprengel Museum, 1995. Sardegna: immagini del XIX secolo dagli archivi Alinari, Firenze, Alinari, 1996. Eugène Atget, Cologne, Konemann, 1997 (Aperture Masters of Photography). André Kertesz: lo specchio di una vita, Milano, F. Motta, 1998. G. Scimé, Il fotografo, mestiere d’arte, Milano, Il Saggiatore, 2003.

BIBLIOGRAFIA TESTI E ARTICOLI DI GUIDO COSTA Canti patriottici inglesi, dal libro, La Poesia patriottica in Inghilterra, di prossima pubblicazione, Sassari, Prem. Stabil. Tip. G. Dessì, 1902. “The Island of Sardinia and Its People: Traces of Many Civilizations to Be Found in the Speech, Customs, and Costumes of This Picturesque Land”, in The National Geographic Magazine, vol. XLIII, n. 1 (gen. 1923), Washington, National Geographic Society, pp. 1-75. Il testo dell’articolo con alcune immagini è pubblicato anche nel sito internet <http://www.museodellafotografia.it> “Le piccole industrie di Sardegna”, in Illustrazione del popolo: supplemento della Gazzetta del popolo, Torino, [Tip. Gazzetta Del Popolo], 10 maggio 1925. “Alghero, città catalana”, in Illustrazione del popolo: supplemento della Gazzetta del popolo, Torino, [Tip. Gazzetta Del Popolo], giugno 1926. “La Sardegna e il fascismo nel libro di uno scrittore inglese”, in L’Unione Sarda, n. 127 (29 maggio 1930); recensione del volume: D. Goldring, Sardinia the island of the nuraghi, London, George G. Harrap & Company LTD., 1930. “La morte d’un ammiratore della Sardegna”, in Mediterranea: rivista mensile di cultura e di problemi isolani, a. VIII, n. 7-8 (dic. 1934-XIII), p. 19. Sardegna quasi sconosciuta, traduzione a cura di L. Spanu, N. Vargiu, Sestu, Zonza, 2005 (contiene traduzione italiana dell’articolo pubblicato in The National Geographic Magazine: “The Island of Sardinia and Its People” di G. Costa).

Archeologico in Sardegna: giugno 1926, Reggio nell’Emilia, Officine grafiche reggiane, 1927, pp. 151-187, n. 1 foto (p. 184) (Fondo ISRE). Le vie d’Italia: Rivista mensile del Touring Club Italiano: Organo ufficiale dell’Ente nazionale industrie turistiche, a. 33 (1927), 5, n. 14 foto (pp. 520, 523-526, 528, 530) (n. 5 Fondo ISRE); a. 40 (1934), 3, n. 1 foto; a. 45 (1939), 1, n. 1 foto (p. 78). Mediterranea: rivista mensile di cultura e di problemi isolani, Cagliari, Società Editoriale Italiana, [1927 –], in tavole fuori testo: a. 1, n. 1 (gen. 1927), n. 4 foto (n. 2 Fondo ISRE); a. 1, n. 3 (mar. 1927), n. 1 foto (Fondo ISRE); a. 1, n. 4 (apr. 1927), n. 1 foto; a. 1, n. 5 (mag. 1927), n. 2 foto (n. 1 Fondo ISRE); a. 1, n. 6 (giu. 1927), n. 2 foto (Fondo ISRE); a. 1, n. 7 (lug. 1927), n. 1 foto (Fondo ISRE); a. 1, n. 8 (ago. 1927), n. 1 foto; a. 1, n. 9 (sett. 1927), n. 1 foto; a. 3, n. 4 (apr. 1929), n. 1 foto; a. 4, n. 1 (gen. 1930), n. 2 foto (n. 1 Fondo ISRE); a. 6, n. 2 (febbr. 1932); a. 6, n. 3 (giu. 1932), n. 15 foto (n. 6 Fondo ISRE). B.M. Bechis, Un vero angelo di carità: memorie biografiche di suor Giuseppina Nicoli Figlia di carità di San Vincenzo de’ Paoli, Casale Monferrato, Tip. Lavagno, 1929, n. 5 foto (pp. 259, 261, 263, 265, 267). G. Zanetti, Luci di cristianità in Sardegna, Sassari, Gallizzi, 1953, n. 3 foto (pp. 13, 26, 28) (primo nome non specificato). S. Cambosu, Miele amaro, Firenze, Vallecchi, 1954, n. 1 foto (tavola fuori testo. N.B. Le n. 24 tavole fuori testo contenute nel volume sono anonime, pertanto non si esclude che anche altre fotografie ivi contenute possano essere di Costa) (Fondo ISRE). Foto d’archivio, Italia, 1915-1940: antologia d’immagini tratte dalla fototeca del Touring club italiano, scritti e testi di V. Bompiani, I. Zannier, a cura di R. Bigi, Milano, Touring Club Italiano, 1982, n. 1 foto (tav. 10) (Fondo ISRE). O. Maccioni, Cagliari fra cronaca e immagini: la fotografia in Sardegna dal 1839 al 1943, presentazione di G. Todde, Cagliari, 3T, [1982], n. 4 foto (pp. 384, 730, 874). O. Maccioni, Visioni di Sardegna, Cagliari, 3T, 1983, n. 4 foto (pp. 384, 730, 874). G. Carta Mantiglia et al., Il museo etnografico di Nuoro, direzione scientifica di P. Piquereddu, fotografie di R. Santucci, Sassari, Banco di Sardegna, [1987], n. 8 foto (pp. 22, 23, 107, 115, 184) (Fondo ISRE).

BIBLIOGRAFIA FOTOGRAFIE PUBBLICATE DI GUIDO COSTA

V. Mossa, S. Gavino di Torres: impianto, inserti, restauri, Sassari, Chiarella, stampa 1988, n. 1 foto (p. 32) (Fondo ISRE).

G. Costa, “Le piccole industrie di Sardegna”, in Illustrazione del popolo: supplemento della Gazzetta del popolo, Torino, [Tip. Gazzetta Del Popolo], 10 maggio 1925, n. 4 foto (p. 11).

Grandi alberi della Sardegna: monumenti verdi, testi e consulenza scientifica di S. Vannelli, fotografie di G. Costa, [Cagliari], Regione autonoma della Sardegna, Assessorato della difesa dell’ambiente, 1994 (Cagliari: Photocinexecutive), n. 1 foto (p. 23) (Fondo ISRE).

C. Aru, “La chiesa di S. Pantaleo in Dolia”, in Il Convegno

M. Marini, M.L. Ferru, Federico Melis: una vita per la

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